Tutela delle risorse biologiche e dell'attività di pesca: sistema sanzionatorio

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Un aspetto fondamentale da tenere in considerazione per garantire una gestione efficace delle risorse è appunto la tutela delle specie ittiche e di conseguenza dell’attività di pesca. A tale scopo sono state introdotte delle limitazioni sia per le taglie minime degli esemplari sia per le caratteristiche degli strumenti da pesca. In ambito nazionale questi vincoli erano stati individuati, principalmente dalla abrogata Legge 963 del 1965 (legge quadro sulla pesca marittima) e dal relativo Regolamento di attuazione D.P.R. 1639/68 (ancora jn vigore). Essendo piuttosto datata la predetta normativa, per rendere più competitivo il settore della pesca, è stato emanato il Decreto Legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96”. (GU n. 26 del 1-2-2012) che ha abrogato con l’articolo 27 la legge quadro, nonché l’articolo 7 del D.P.R. n.1639/1968 (classi di pesca), del tutto riformando l’impianto originario della disciplina del settore.

Il decreto in parola, in conformità ai principi e criteri direttivi di cui al comma 1 dell’articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96, ha provveduto al riordino, al coordinamento ed all'integrazione della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura, fatte salve le competenze regionali, al fine di dare corretta attuazione ai criteri ed agli obiettivi previsti dal regolamento (CE) n. 1198/2006 del Consiglio, del 27 luglio 2006, nonché dal regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio, del 29 settembre 2008, che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. L’art. 22, comma 3 del Decreto legislativo n. 4/2012[1] può essere definito il “biglietto da visita” durante l’attività di vigilanza pesca, in quanto affida in primis alle Capitanerie di Porto-Guardia Costuiera e quindi alle Forze di polizia, l’opera di sorveglianza sulla pesca ed il commercio dei prodotti ittici, mentre l’art. 22, comma 7 costituisce il “lasciapassare” in quanto permette al personale incaricato della vigilanza ampio margine di azione, non ponendo limiti né temporali né territoriali alle operazioni di controllo sull’osservanza delle norme sulla disciplina della pesca. I successivi articoli 8 e 9 riguardano, rispettivamente, le pene principali ed accessorie previste per i reati-contravvenzionali sulla pesca di cui all’articolo  7, alle quali si aggiungono con gli articoli 11 e 12 le sanzioni amministrative e accessorie previste, rispettivamente, per le violazioni amministrative di cui all’articolo 10 del predetto decreto.

Tra le modifiche sostanziali apportate dal D.lgs. n. 4/2012 c’è l’individuazione nel Comando Generale delle Capitanerie di Porto, nella veste di “Centro di Controllo Nazionale Pesca” (CCNP), quale Organo di coordinamento dell’attività di vigilanza pesca (art. 22, comma 2).

Importante ed innovativa in ambito sanzionatorio è stata apportata con l’art. 8 comma 3 del predetto decreto, che se da un lato con l’art. 7, secondo comma favorisce l’attività dei pescatori stabilendo la “non punibilità in caso di cattura accidentale o accessoria di specie ittiche al di sotto della taglia minima“, a condizione che sia stato pescato con attrezzi conformi alle norme comunitarie e nazionali autorizzati dalla Licenza di pesca e che non venga comunque detenuto a bordo, sbarcato, trasportato, trasbordato e commercializzato, dall’altro introduce [art. 9 comma 1 lettera d)] quale ulteriore “sanzione accessoria” in caso di commercializzazione o somministrazione di esemplari sottomisura la o di cui è vietata la cattura, la “sospensione dell’esercizio commerciale da 5 a 10 giorni”. Sarà quindi opportuno segnalare questa gravosa sanzione nella N.d.R. inviata al Pubblico Ministero per l’anzidetta violazione, in quanto spetterà poi al Giudice competente stabilire il quantum di pena, che seppur definita accessoria rischia di rappresentare il vero castigo per il contravventore.

Per quanto concerne il D.P.R. n. 1639/68, in attesa dell’emanazione di un Regolamento sull’esercizio della pesca e dell’acquacoltura che lo sostituirà a breve, sono tuttora valide ed applicabili le norme che stabiliscono dimensioni minime dei vari esemplari di pesci, crostacei e molluschi e quelle che descrivono le tipologie e le caratteristiche tecniche degli attrezzi da pesca. A proposito delle taglie minime di cattura, bisogna tenere presente che le dimensioni stabilite per le varie specie ittiche spesso non rappresentano la tipologia di esemplare adulto e pronto alla riproduzione, ma sono invece un compromesso tra la reale dimensione del prodotto al suo ultimo stadio di sviluppo e le esigenze commerciali che interessano la stessa specie.

Analogo discorso è valido per le dimensioni degli attrezzi da pesca ed in particolare per le dimensioni delle maglie delle reti: la difficoltà in questo caso sta nel fatto di dover individuare un’unica misura minima per la singola tipologia di rete anche se questa è destinata alla cattura di esemplari differenti, che tuttavia vivono nello stesso ambito di azione dell’attrezzo. Per questo motivo sono stati stabiliti dei coefficientiche se da una parte salvaguardano un certo esemplare, dall’altra permettono una buona probabilità di cattura di prodotti che per caratteristiche non hanno ancora raggiunto il livello di piena maturazione. Esperienza insegna che spesso sulle unità da pesca operanti in mare possono essere trovati attrezzi e strumenti non conformi alla normativa vigente ed in particolare non utilizzabili da questa stessa unità in quello specifico tratto di mare.

Tuttavia, anche se al momento del controllo non sia già materializzata una effettiva cattura di prodotto derivante dall’utilizzo di quel determinato strumento ugualmente può essere contestabile in violazione degli artt. 10 lett. b), 11comma 1 e 12 comma 1 D.lgs. n. 4/2012 per aver “esercitato la pesca in zone e tempi vietati” dalla normativa comunitaria e nazionale[2].

 

 


[1] L'attività di controllo sulla pesca, sul commercio e sulla somministrazione dei prodotti di essa, nonchè l'accertamento delle infrazioni sono affidati, sotto la direzione dei comandanti delle Capitanerie di Porto, al personale civile e militare dell'Autorità marittima centrale e periferica, alle Guardie di finanza, ai Carabinieri, agli Agenti di pubblica sicurezza ed agli agenti giurati di cui al comma 4. Ai soggetti di cui al comma 3, è riconosciuta, qualora già ad esse non competa, la «qualifica» di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria, secondo le rispettive attribuzioni, ai fini della vigilanza sulla pesca ai sensi dell'articolo 55, ultimo comma, del codice di procedura penale (art. 22 comma.6)

[2] Vedi Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 12310/95 e successiva Sentenza n. 3445/01. E’ stato infatti sancito che “l’ambito della condotta vietata comprende non soltanto l’azione materiale“ attraverso la quale si compie la cattura degli esemplari marini, ma “anche quella preordinata a questo risultato, purché connotata dai requisiti della idoneità e della univocità, secondo quanto dispone l’art. 56 c.p. in tema di delitto tentato”. Ritenendo il Giudice quindi che l’attività preparatoria potesse essere ricondotta ad un atteggiamento univocamente preordinato alla cattura dei pesci, “ha equiparato l’attività prodromica alla vera e propria condotta vietata”. Non è stato quindi sanzionato il tentativo di pesca vietata, in quanto il “pescare” esprime un’attività diretta allo scopo non necessariamente conseguito da chi la realizza e tale attività, come era descritta dall’art. 1 delle Legge 963/65, ora abrogato, “comprende anche le operazioni tecniche finalizzate alla possibile ma non necessaria cattura di esemplari”.