La Piattaforma continentale

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Per «Piattaforma Continentale» si intende attualmente l’area sottomarina che si estende al di là delle acque territoriali, attraverso il prolungamento naturale del territorio emerso, sino al limite esterno del margine continentale, o sino alla distanza di 200 miglia dalle linee di base, qualora il margine continentale non arrivi a tale distanza. Quello delle 200 miglia è, in definitiva, considerato dalla Convenzione del 1982 come il limite minimo della piattaforma continentale.

La Cnudm ha adottato criteri diversi, che prescindono dalla nozione "geografica" o "morfologica" della piattaforma stessa. E’ stato così stabilito che la piattaforma continentale si estende, alternativamente:

  1. fino al bordo estremo del margine continentale, ma non oltre la distanza di 350 miglia marine dalle linee di base del mare territoriale ovvero 100 miglia dall’isobata dei 2500 metri. Con tale sistema si è posto un limite all’estensione della piattaforma continentale che per alcuni Stati, tenendo conto del solo dato geologico, poteva risultare eccessivamente estesa;
  2. fino alla distanza di 200 miglia dalla linea di base del mare territoriale, se il margine continentale si trova ad una distanza inferiore. Si è evitato, in questo modo, che alcuni Stati, la cui piattaforma continentale risultava essere di limitate dimensioni, fossero posti in condizioni svantaggiose rispetto ad altri.

Piattaforma continentale

La Cnudm, quindi, ha superato la nozione geomorfologica concepita dalla Convenzione di Ginevra 1958[1].

Sulla piattaforma continentale lo Stato costiero esercita diritti sovrani con riferimento all’esplorazione e sfruttamento delle risorse naturali della stessa, ossia le risorse minerarie (ad esempio, gli idrocarburi) e le risorse biologiche sedentarie (organismi viventi che rimangono immobili sulla piattaforma o che si spostano rimanendo sempre in contatto con il fondo marino.

Agli Stati terzi, invece, spettano le "tradizionali libertà" dell’alto mare alle condizioni stabilite dallo Stato costiero.

  1. navigazione;
  2. sorvolo;
  3. pesca (salvo che non vi sia l’esistenza di zone riservate o zone economiche esclusive nella zona d’acqua sovrastante);
  4. posa di cavi e condotte sottomarine.

I diritti dello Stato costiero sulla propria piattaforma continentale gli appartengono ab origine, e perciò non hanno bisogno di proclamazione. Inoltre, a differenza del diritto di sovranità sul mare territoriale, tali diritti:

  1. hanno natura funzionale: lo Stato costiero può esercitare il proprio potere di governo solo nella misura strettamente necessaria per controllare e sfruttare le risorse della piattaforma;
  2. sono esclusivi, nel senso che nessuno Stato può effettuare attività di esplorazione o sfruttamento sulla piattaforma continentale senza la preventiva autorizzazione dello Stato costiero.

In forza delle sue competenze, l’Unione Europea ha vincolato i Paesi membri all’osservanza di particolari procedure per l’apertura di nuove aree di ricerca e prospezione, con la previsione di gare comunitarie per l’attribuzione delle aree, dei criteri di selezione delle domande e della determinazione dei permessi[2] .

Un problema molto delicato, data la vastità delle aree marine impegnate dai poteri degli Stati costieri sulla piattaforma continentale, è quello della “delimitazione" della piattaforma tra Stati costieri che si fronteggiano o che sono adiacenti.
A tal proposito, la Convenzione di Montego Bay (art. 83) impone agli Stati di concordare una delimitazione tra loro, sulla base del diritto internazionale, in modo da raggiungere una “
soluzione equa”, abbandonando il criterio della «linea mediana» che era stabilito nella Convenzione di Ginevra, nel caso in cui non si raggiunga l’accordo tra Stati frontisti o limitrofi.

L’Italia è stato il primo e il più attivo degli Stati del Mediterraneo ad avviare negoziato per la conclusione di numerosi accordi di delimitazione della piattaforma continentale (quello dell’ 8 Gennaio 1968 con la Jugoslavia, in particolare, fu il primo accordo di delimitazione stipulato in Mediterraneo.

 Linea di equidistanza: delimitazione della piattaforma italiana e dell'ex jugoslavia


Peraltro, la Legge 23 ottobre 2009, n. 157 (sulla ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo stipulata a Parigi il 2 novembre 2001, e norme di adeguamento del l’ordinamento interno), stabilisce all’articolo 3 (Patrimonio culturale subacqueo tra le 12 e le 24 miglia marine) che allorquando la “ Zona di Protezione Ecologica  (art. 94 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), si sovrappone con un’altra zona analoga di un altro Stato e non è ancora intervenuto un accordo di delimitazione, le competenze esercitate dall’Italia non si estendono oltre la linea mediana di cui all’art. 1, comma 3 della Legge 8 febbraio 2006, n. 61.

 


[1] Essa prevedeva due criteri alternativi: “criterio batimetrico” (fino a 200 metri di profondità oltre il proprio mare territoriale); “criterio di sfruttabilità” (ovvero: fino a dove la tecnologia a disposizione dello Stato costiero consente di sfruttare le risorse naturali dei fondi marini). Entrambi questi criteri furono aspramente criticati, a causa delle disparità che creavano: il criterio batimetrico infatti favoriva gli Stati dotati di un’ampia piattaforma, mentre danneggiava quegli altri che, invece, ne risultavano privi; viceversa, il criterio alternativo della sfruttabilità favoriva gli Stati industrializzati, ad alto livello di tecnologia estrattiva, che in teoria non trovavano limiti all’estensione della propria piattaforma. Proprio a causa della potenziale conflittualità internazionale che era in grado di innescare, la Convenzione di Ginevra del 1958 sulla piattaforma continentale non fu ratificata da numerosi Stati costieri del Mediterraneo, tra cui l’Italia. Per questi motivi, era inevitabile che la nozione giuridica di piattaforma continentale dovesse mutare radicalmente a Montego Bay.

[2] Il D.lgs. n° 625 del 25/11/1996, che ha recepito la direttiva comunitaria n° 94/221 CEE, ha così eliminato il monopolio che l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) aveva, di fatto, sulla piattaforma continentale italiana.