Lo stato di necessità nel diritto penale militare

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Il Codice penale comune all’art. 54 dichiara che «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato e non altrimenti evitabile». Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia, ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.

In materia di «stato di necessità» i Codici penali militari non contengono alcuna espressa norma sostitutiva, integrativa o limitativa dell’art. 54 c.p. Vige quindi la causa di giustificazione “stato di necessità” così come configurata da tale articolo. L’art. 44 c.p.m.p. dichiara che «non è punibile il militare, che ha commesso un fatto costituente reato, per esservi stato costretto dalla necessità di impedire l'ammutinamento, la rivolta, il saccheggio, la devastazione, o comunque fatti tali da compromettere la sicurezza del posto, della nave o dell'aeromobile»

La norma, anzitutto, è diretta a scriminare qualsiasi reato (anche comune) e non semplicemente reati militari. Essa è diretta a scriminare tanto il militare che agisce per impedire reati militari (come la rivolta ex art. 174 c.p.m.p. o l’ammutinamento ex art. 175 c.p.m.p.) quanto il militare che agisce per impedire reati comuni (saccheggio o devastazione ex art. 285 o ex art. 419 c.p., ecc.).

A differenza dell’art. 54 Codice penale comune dove lo stato di necessità è ancorato alla strettissima nozione di “pericolo di danno grave alla persona“, esaminando attentamente l’art. 44 c.p.m.p. si nota che in esso il pericolo di un danno alla persona o  non entra affatto in considerazione o, se entra, entra in modo molto indiretto.

Nel caso di “rivolta o di ammutinamento“ tale pericolo è normalmente da escludersi trattandosi di reati che offendono la disciplina militare, e che di regola non comportano pericolo per la vita, l’integrità fisica o l’integrità morale di persone: e se ciò può dirsi per il superiore, a maggior ragione può dirsi per il militare qualsiasi che spontaneamente intervenga per impedire la rivolta o l’ammutinamento.

Identico discorso può farsi per i reati di “saccheggio o di devastazione” sia che essi vengono in considerazione nella fattispecie comune, sia che vengano in considerazione nella fattispecie militare; il militare che interviene non è attaccato in qualche suo bene personale: egli interviene nell’interesse obiettivo dell’ordinamento militare al fine di impedire l’offesa della fedeltà militare (o, nel caso di reati comuni, l’offesa dell’ordine pubblico e della personalità dello Stato), cioè di beni che non lo riguardano personalmente.

L’ipotesi del «fatto tale da compromettere la sicurezza del posto, della nave o dell'aeromobile» può suggerire una considerazione lievemente diversa: un fatto che compromette la sicurezza del posto può importare un pericolo di danno per le persone dei militari che al posto stesso sono comandati. 

  • Come ad esempio, un fatto che compromette la sicurezza della nave o dell’aeromobile può importare talvolta un pericolo di danno per le persone dei militari che costituiscono l’equipaggio della nave o dell’aeromobile. 

Ma anche in tali casi, si badi, ciò che viene in considerazione in primo piano è la “sicurezza del posto”, della nave o dell’aeromobile (cioè un interesse militare obiettivo): mentre il pericolo di danno personale non acquista diretta rilevanza e resta in secondo piano, con carattere eminentemente eventuale.

A ciò si aggiunge che, mentre l’art. 54 Codice penale comune esige che il pericolo non sia stato volontariamente causato dal soggetto agente, l’art. 44 c.p.m.p. non contiene analoga prescrizione e non richiede che la situazione in cui agisce il militare non sia in alcun modo ricollegabile al comportamento volontario di quest’ultimo. La ragione di simile orientamento legislativo si ricerca nel fatto che nella situazione di cui all’art. 44 c.p.m.p. sono posti in pericolo, come abbiamo detto, non interessi personali del militare ma interessi obiettivi dell’ordinamento militare: il militare che reagisce per impedire l’offesa di tali interessi, viene così ad essere scriminato salva naturalmente la sua responsabilità per reati che eventualmente hanno causato la situazione di pericolo. 

  • In altre parole, ad esempio, se una rivolta o un ammutinamento sono stati provocati da un fatto ingiusto del superiore, da un lato ciò non esclude la responsabilità penale del superiore per l’eventuale reato commesso nel compiere il fatto ingiusto (abuso di autorità) ed importa l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 176 c.p.m.p. ai rivoltosi e agli ammutinati, dall’altro lato non esclude che il superiore venga ad essere scriminato qualora nell’impedire la rivolta o l’ammutinamento abbia posto in essere un comportamento corrispondente ad una astratta fattispecie criminosa.

La scriminante dello stato di necessità consente a chi si trova in una situazione di grave pericolo di uscirne, anche e addirittura, commettendo reati a scapito di terzi innocenti (e non aggressori). Per la sussistenza di esso si richiede, a differenza della legittima difesa, un pericolo attuale e inevitabile di “un danno grave alla persona“ (cioè alla sua integrità fisica). 

  • Si pensi ad esempio, a chi, per mettersi in salvo, spintona e fa cadere (cagionandogli lesioni) un’altra persona che, al pari di lui, sta figgendo da un locale invaso dalle fiamme. 
  • Ad esempio, non è punibile il naufrago che per salvarsi, colpisce un altro individuo che ha tentato di aggrapparsi al suo stesso salvagente capace di sostenere soltanto una persona. L’azione deve essere assolutamente necessaria per salvarsi da un danno grave alla persona e non a qualsiasi diritto altrui. 

Peraltro tale disposizione non può essere invocata da chi abbia un particolare “dovere giuridico di esporsi al pericolo”(comandanti di navi militari e mercantili, Vigili del fuoco, ecc.). Vi sono molte norme incriminatrici militari che a prima vista sembrano sancire direttamente o indirettamente, a carico del militare, il “dovere” di esporsi al pericolo in determinate situazioni. 

  • Si pensi ad esempio, all’art. 110 (omesso uso di mezzi per limitare il danno di incendio o di altro sinistro); art. 111 (abbandono o cessione del comando in circostanze di pericolo); 112 (violazione del dovere del comandante di essere ultimo ad abbandonare la nave, l’aeromobile o il posto in caso di pericolo; 118 (abbandono di posto o violata consegna da parte di militare in servizio di sentinella, vedetta o scolta); 137 (manifestazioni di codardia); 138 (omesso impedimento di reati militari); 253 (pilota che abbandona la nave); 259 (rifiuto di assistenza a nave o aeromobile militare). 

Quel dovere esclude l’applicabilità della scriminante; ma l’esclusione non opera quando non vi sia un rapporto diretto tra il dovere di esporsi al pericolo e il bene sacrificato. 

  • Ad esempio, la sentinella può abbandonare il posto quando un incendio abbia raggiunto proporzioni tali da rendere inutile ogni vigilanza. 

Il pericolo di cui fanno menzione molte delle norme predette non è il «pericolo attuale di un danno grave alla persona» di cui parla l’art. 54 c.p.: è invece un pericolo oggettivo e impersonale (caso di pericolo, circostanze di pericolo) che riguarda non direttamente la persona in quanto tale, bensì il «posto, la nave, il servizio, la consegna, ecc.» e che lascia tuttavia un certo apprezzabile margine all’applicazione dell’art. 54 ogni qualvolta la situazione oggettiva e impersonale venga a concretare in effetti (e ciò potrà accadere assai di frequente) un «pericolo attuale di un danno grave alla persona», non volontariamente causato e non altrimenti evitabile.

Le norme dell’ordinamento militare impongono dunque al militare di compiere il suo dovere sino in fondo e di impegnarsi con tutte le forze per la difesa degli interessi militari: ma non gli impongono né gli imporrebbero imporre un vero e proprio suicidio, pur nel caso di grave pericolo.

Alcuni considerazioni:

Abbiamo detto che la scriminante dello stato di necessità non si applica a chi ha un particolare dovere di esporsi al pericolo. E’ questo, sempre il caso del militare o, almeno, del militare nell’adempimento di un servizio ? 

La risposta è che il dovere di esporsi al pericolo è in relazione allo scopo del servizio e va quindi valutato caso per caso. 

  • Ad esempio, la sentinella al deposito munizioni, in caso di incendio che minaccia di estendersi al deposito, non è scusabile se abbandona il posto quando ancora sussista la possibilità e la esigenza di una vigilanza; ma quando questa sarà divenuta inutile, per l’inesorabile approssimarsi delle fiamme, non ci sarà più ragione di pretendere che la sentinella rimanga immobile in stoica attesa della morte. 
  • Non potrebbe ad esempio invocare di aver agito in stato di necessità, il comandante di una nave da guerra che sacrifica la vita di un inferiore per porsi in salvo sull’unico mezzo di soccorso rimasto ovvero l’equipaggio di nave da guerra che durante l’opera di salvataggio, si fosse allontanato omettendo così di esporsi a qualsiasi pericolo.