Violazioni connesse
Consistendo l’identificazione in un potere, come tale contrapposto ad una situazione di soggezione da parte della persona nei cui confronti è stato esercitato il potere di identificazione, il nostro ordinamento penale prevede delle "specifiche sanzioni" per chi ne ostacola il libero e legittimo esercizio.
Infatti l’art. 651 c.p. punisce, quale reato contravvenzionale (arresto fino ad 1 mese o ammenda di € 206) chi, richiesto da un Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali.
In primo luogo, quindi, occorre una "esplicita richiesta" del Pubblico Ufficiale che sta esercitando la propria funzione. Non è sindacabile la necessità o la fondatezza della richiesta del Pubblico Ufficiale, in quanto questi può chiedere a chiunque le generalità purché sia nell’esercizio delle proprie funzioni (Sent. Corte di Cassazione 28 aprile 1995). Tale limite, dell’esercizio delle pubbliche funzioni, significa, pertanto, che siffatto potere deve essere esercitato non in maniera "indiscriminata", ma deve risultare una necessità o un’opportunità connessa al libero e completo svolgimento della funzione medesima.
Il "rifiuto" configura comunque il reato in questione, anche se, poco dopo, il soggetto fornisca spontaneamente le proprie generalità. Non costituisce reato, invece, il non fornire dati non espressamente richiesti dal Pubblico Ufficiale.
Chi, al contrario, "dichiara generalità mendaci", trattandosi di condotta bel più grave rispetto alla precedente, in quanto tende ad indurre in errore il Pubblico Ufficiale che le riceve, incidendo sulla fede pubblica, risponde del delitto previsto dall’art. 496 c.p., punito con la reclusione fino ad 1 anno o con la multa fino a 516 €.
Anche in tale ipotesi criminosa occorre che il Pubblico Ufficiale sia nell’esercizio delle proprie funzioni (o del proprio servizio) ed abbia "esplicitamente interrogato" la persona sulla sua identità, il suo stato e le sue qualità personali.
La pena è della reclusione fino a 3 (tre) anni, quando le dichiarazioni o le attestazioni al siano destinate ad essere ricevute in un atto (art. 495 c.p.).
- Per atto , ad esempio, vanno intesi, in relazione all’attività di polizia, il Verbale che documenta un’attività di polizia giudiziaria (….di identificazione, ….di perquisizione, ….di sequestro, e così via); il Verbale di contestazione di violazione a norme amministrative, al Codice della Strada, ecc.
Oltre che per l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 651 c.p., anche per le due figure di delitto sopra menzionate non è consentito l’arresto nella flagranza di reato ed è competente il Tribunale monocratico.
La Cassazione con Sent. N. 6864 del 9 aprile 1993 stabiliva che il rifiuto di consegnare il documento di riconoscimento al Pubblico Ufficiale integrava gli estremi del reato di cui all’art. 221 del Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S in relazione all’art. 294[1] dello stesso Regolamento e non il reato di cui all’art. 651 c.p.
Il D.lgs. 13.7.1994, n. 480 ha introdotto l’art. 221 bis che punisce la violazione di cui all’art. 221 con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 154 € a 1.032 €.
[1] Art. 294 T.U.L.P.S. – La carta di identità od i titoli equipollenti devono essere esibiti ad ogni richiesta degli Ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza.