Effetti dell' inquinamento sull'ambiente marino

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Per quanto concerne gli effetti dell’inquinamento sull’ambiente marino, essi possono essere diversissime. Talvolta le sostanze immerse sono così tossiche da distruggere più o meno completamente gli organismi che si trovano esposti, come accade con certi pesticidi usati in agricoltura; altre volte, pur non essendo tossiche, esse agiscono negativamente, impedendo o riducendo una funzione vitale agendo negativamente, ad esempio, sulla riproduzione di una cetra specie. Molto spesso, le sostanze immesse hanno proprietà tali da agire profondamente sull’ambiente marino alterandone le caratteristiche oppure, come avviene, per gli idrocarburi, impedendone la naturale ed indispensabile ossigenazione. Certe sostanze, accumulandosi negli organismi che vivono in mare possono farli diventare, a loro volta, tossici per coloro che se ne nutrono; infine, possono provocare degli effetti selettivi a lungo termine con conseguente alterazione del fattore più importante dell’ambiente marino: il suo equilibrio biologico.

In particolare, l’affondamento doloso delle navi, le cosiddette «navi dei veleni», usate per smaltire illegalmente rifiuti pericolosi, tossici, radioattivi, determina un inquinamento assai rischioso per la salute umana. Tale pratica, inoltre, spesso si interseca con quella del traffico d’armi ed entrambe sono per le organizzazioni criminali internazionali fonti di ingenti guadagni. Ma mentre, e giustamente, si investiga su tali aspetti e si cerca di sanzionarli e reprimerli, l’ambiente marino e la salute dei cittadini sono messe a rischio. Una nave dei veleni può essere considerata una sorta di grande container di sostanze, composti, prodotti di origine e natura varia, ma tali da rappresentare comunque una fonte di tossicità. La natura dell’inquinamento è, anzitutto, funzione del tipo di sostanza inquinante e della sua concentrazione.

Tra le sostanze tossiche più comunemente in gioco, sono i metalli pesanti, in genere prodotti di scarto delle lavorazioni  industriali diversi con potenzialità cancerogena, e come tali classificati dall’Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro (IARC)[1] di Lione in una scala che prevede 5 diverse classi: dal cancerogeno certo, al non cancerogeno per l’uomo. Ugualmente cancerogene per l’uomo sono poi le sostanze radioattive, pure esse surrettiziamente smaltite attraverso l’affondamento doloso delle navi. A titolo unicamente esemplificativo, vengono di seguito riportate alcuni metalli pesanti con il grado di evidenza IARC e l’organo/gli organi bersaglio.

 

Non è però soltanto la tossicità a caratterizzare le condizioni di pericolo che derivano dal contatto con sostanze pericolose. La stabilità termodinamica e la bioaccumulabilità sono dei cofattori di importante rilievo, perchè influenzano direttamente il tempo di interazione con l’ecosistema e soprattutto le concentrazioni di queste sostanze. Da questo punto di vista le analisi sui sedimenti possono fornire utili informazioni, a patto di saperle correttamente interpretare. Infatti, ad esempio, l’assenza di particolari analiti, se da un lato è confortante, in quanto indice di un mancato accumulo e quindi di basse concentrazioni o di ridotta accumulabilità di un agente tossico, d’altra parte può anche denunciare che per certe molecole rilasciate si è già compiuto il ciclo reattivo con l’ecosistema. Da ciò deriva come sia indispensabile acquisire ogni possibile informazioni per definire la natura qualitativa dei carichi delle navi. Rifiuti radioattivi, pesticidi, metalli pesanti, armi chimiche non sono la stessa cosa sotto vari profili, così come aspetti diversi sono quelli concernenti la stabilità, la ossidabilità, la solubilità delle sostanze in causa. L’acqua marina, inoltre, ha una forza ionica che può modificare le caratteristiche di solubilità delle varie sostanze, oltre a poter interagire, in genere positivamente, sui processi di dissoluzione.

Circa l’ossidazione, le condizioni di pressione che si hanno generalmente al livello di questi relitti e la ridotta concentrazione di ossigeno, rispetto a quella atmosferica, obbligano a riconsiderare le costanti termodinamiche delle reazioni di ossidazione rispetto alle condizioni ambiente.

La contaminazione delle acque da parte di tutte queste sostanze, non è di norma contestuale all’affondamento della nave, ma alle modalità di stoccaggio del materiale stivato ed alla stabilità del contenitore. Vi è generalmente un lasso più o meno lungo di tempo tra l’affondamento e la liberazione delle sostanze inquinanti dai loro contenitori progressivamente corrosi dall’acqua di mare.  La fuoriuscita del contenuto può avvenire con grande rapidità, tenuto anche conto del carattere fluido del sistema e della elevata capacità solvente dell’acqua di mare. E’ vero che le capacità di diluizione del mare, che sono la base della sua grande capacità rigenerativa,  rendono le concentrazioni non sempre facilmente determinabili, ma è anche vero che ormai esistono test analitici molto sensibili ed applicabili in situ. In ogni caso, la fuoriuscita delle sostanze tossiche determina un inquinamento delle acque, della flora, della fauna ittica e dei fondali marini, per estensioni più o meno ampie e con il successivo rilascio, da parte di questi ultimi, per tempi anche assai prolungati del materiale inquinante.

Un aspetto nodale dell’inquinamento degli ecosistemi marini è rappresentato dall’accumulo di sostanze nocive nelle catene alimentari, aspetto particolarmente importante e dalle ricadute gravi, anche per la bioaccumulabilità e persistenza di tali sostanze, oltre che per la loro patogenicità che può interessare, in pratica, ogni organo e apparato.

Il coinvolgimento delle catene alimentari, inoltre, amplia in maniera imprevedibile l’ambito delle popolazioni e dei territori coinvolti, che rimane in ogni caso non confinato alle zone geografiche direttamente interessate.

  • Un classico esempio di questa “magnificazione” è rappresentato dal rinvenimento, ancora ai nostri giorni, del diclorodifeniltricloroetano – meglio noto come DDT- nel latte materno o nel grasso dell’orso polare . Tale rilievo risulta ancor più inquietante se si pensa che il DDT non è più usato in Europa dagli anni “70.

 


[1] L'agenzia intergovernativa IARC (acronimo di International Agency for Research on Cancer), è l'organismo internazionale, che tra i vari compiti svolti, detta le linee guida sulla classificazione del rischio relativo ai tumori di agenti chimici e fisici. Con sede a Lione , la IARC è parte dell' Organizzazione mondiale della sanità  (OMS), o World Health Organization (WHO) delle Nazioni Unite. La IARC conserva una serie di monografie sui rischi cancerogeni di svariati agenti.