La codificazione del diritto del mare

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I primi sforzi tesi alla codificazione del diritto marittimo da parte della Comunità internazionale si registrarono nella prima metà del XX° secolo.
La prima conferenza di codificazione, tenutasi a
Ginevra nel 1930, non produsse tuttavia alcun risultato, stanti le divergenze tra gli Stati partecipanti.
La necessità di una rapida codificazione del diritto del mare si rivelò sempre più forte, tanto che sulla spinta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (che subentrò nel ruolo che era stato della Società delle Nazioni), il lavori, sebbene faticosamente, approdarono ad un risultato accettabile solamente nel 1958, a chiusura della prima Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che portò alla codificazione di quattro convenzioni (
note come Convenzioni di Ginevra del 1958).

  • Conferenza di Ginevra 1958

La Conferenza di Ginevra 29 aprile 1958 si concluese con l’adozione di quattro Convenzioni aventi per oggetto:

1. il mare territoriale e la zona contigua;
2. l’alto mare;
3. la pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare;
4. la piattaforma continentale.

Le suddette Convenzioni, entrate in vigore tra il 1962 e il 1966 (l’Italia ha ratificato soltanto le prime due), ancorché oggi risultino sostanzialmente superate dalla Convenzione di Montego Bay, raggiunsero risultati importanti nella codificazione del diritto del mare, sancendo in modo definitivo «il diritto allo sfruttamento della “piattaforma continentale”, definendo i poteri esercitabili dagli Stati membri nella “zona contigua” e riconoscendo agli Stati privi di litorale il diritto di accesso al litorale più vicino ed alla libera navigazione in alto mare».

Per contro, le Convenzioni di Ginevra lasciarono irrisoltie due importanti problemi:

  1. l’individuazione di una precisa estensione del mare territoriale;
  2. la rivendicazione di alcuni Paesi latino-americani per l’ampliamento della sovranità esclusiva dello Stato costiero sulla zona di mare compresa nelle 200 miglia dalla costa, al fine di garantire il controllo delle risorse ittiche per l’alimentazione della popolazione e lo sviluppo economico nazionale.
  • Conferenza di Ginevra 1960

Il diritto del mare scaturito dalle Convenzioni di Ginevra 1958 nasceva già vecchio e contrastato, specie sulle questioni della «delimitazione del mare territoriale» e dei «limiti delle zone di pesca».
Difatti, appena due anni dopo risultò necessario ed urgente porre mano ad innovare le quattro Convenzioni, attraverso la convocazione a Ginevra di una seconda Conferenza (1960) sul diritto del mare, la quale indetta per dare soluzione alle due problematiche ereditate dalla Convenzione del 1958, si concluse, tuttavia, con un pieno insuccesso.

  • La Convenzione di Montego Bay 1982

La situazione creatasi a seguito dell’inasprirsi della cosiddetta “guerra fredda” e la conseguente paralisi delle organizzazioni internazionali, impedì per più di un decennio di ritornare a pensare ad una compiuta codificazione del diritto del mare.
Sotto la spinta delle nuove esigenze dei Paesi in via di sviluppo, fu convocata la Conferenza di Montego Bay (Giamaica), svoltasi in undici sessioni tra il 1973 e il 1982.
Tale Conferenza è stata finalizzata per la prima volta allo sviluppo progressivo – ossia alla produzione di nuove norme su materie in cui la pratica degli Stati non si era sufficientemente sviluppata – del diritto internazinale marittimo, con particolare riferimento agli istituti della «
libertà dell’alto mare» e della «sovranità dello Stato costiero sui mari adiacenti».
Il notevole ritardo dell’entrata in vigore della Convenzione (ben dodici anni), fu dovuto alla mancata ratifica da parte dei Paesi industrializzati, oppostisi al sistema di sfruttamento delle risorse dell’Area Internazionale dei Fondi Marini[1] , considerata “patrimonio comune dell’umanità”, prevista nella Parte XI della Convenzione.
Per tale ragione il 29 luglio 1994 fu firmato a New York un “Accordo di attuazione” di tale Parte che, derogando ad alcune previsioni della Convenzione, accolse le osservazioni degli Stati industrializzati.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare i Unite sul diritto del mare, o UNCLOS acronimo del nome in inglese United Nations Convention on the Law of the Sea,[1] è un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell'utilizzo dei mari e degli oceani, definendo linee guida che regolano le trattative, l'ambiente e la gestione delle risorse naturali.

L'UNCLOS è stata definita durante un lungo processo di negoziazione attraverso una serie di Conferenze delle Nazioni Unite iniziate nel 1973 ed è stata finalmente aperta alla firma a Montego Bay, Giamaica, il 10 dicembre 1982 . È entrata in vigore il 16 novembre 1994, un anno dopo la firma della Guyana quale sessantesimo Stato contraente.

Al momento 155 Stati hanno firmato la Convenzione. La Comunità europea ha firmato e ratificato, gli Stati Uniti hanno firmato ma il Senato americano non l'ha ancora ratificata. L'Italia ha ratificato la convenzione a mezzo della legge del 2 dicembre 1994, n. 689.[2], entrata in vigore sul piano internazionale il 16 novembre 1994 pur abrogando le Convenzioni do Ginevra, è oggi lo strumento base del diritto internazionale marittimo e fissa quattro principi fondamentali:

  1. riconoscimento degli interessi degli stati costieri mediante una forte espansione dei loro poteri nei mari adiacenti;
  2. riconoscimento degli interessi collettivi alla tutela dell’ambiente marino ed allo sfruttamento delle risorse minerali dei fondali marini, al di là delle giurisdizioni nazionali, attraverso la qualificazione del mare come patrimonio comune dell’umanità;
  3. tutela degli interessi tradizionali alla libertà di movimento e alle comunicazioni marittime;
  4. accettazione di un sistema obbligatorio per la soluzione delle controversie, attraverso l’istituzione del “Tribunale internazionale del diritto del mare”.

La Convenzione pone l’accento sulle utilizzazioni economiche dei mari e sui problemi connessi, mentre le “utilizzazioni militari” sono lasciate in ombra: insiste molto sull’uso pacifico dei mari, mentre le omissioni in tema di attività militari, le favoriscono in qualche modo o, comunque, non le penalizzano.
Ovviamente, la libertà degli Stati di svolgere attività militari di ogni tipo nel mare libero, fa salvi gli obblighi di non compiere atti che costituiscono minaccia alla pace, violazione della pace o di aggressione, nel rispetto dei principi inderogabili contenuti nella Carta delle Nazioni Unite.

 

 Montego Bay, Giamaica, 10 dicembre 1982


[1] La Convenzione prevedeva un limite al potere di sfruttamento delle suddette risorse ritenuto inaccettabile dai suddetti Paesi con maggiori capacità tecnologiche, incompatibile con l’economia di mercato.