Rifiuti prodotti dalle navi e residui del carico

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La tutela dell’ambiente marino si sostanza, principalmente, nella lotta al fenomeno dell'inquinamento del mare, dovuto ad una molteplicità di cause, tra cui gli scarichi di oli combustibili provenienti dalle raffinerie o dai lavaggi delle petroliere e le perdite accidentali di idrocarburi che complessivamente incidono, sull'ecosistema marino, in misura inferiore rispetto ai quotidiani sversamenti volontari dei predetti lavaggi di cisterne, o degli scarichi delle acque nere o di sentina. A tali fattori occorre aggiungere l'incidenza degli scarichi di rifiuti civili, agricoli ed industriali.

L'analisi della disciplina posta a tutela dell'ambiente marino non può non riguardare anche la normativa in materia di rifiuti, che chiaramente attiene anche alla tutela ed all'igiene dei litorali e dei porti. Le attività portuali, oltre a risultare dinamicamente collegate ad aspetti di natura economica, sociale, storica e culturale, comportano inevitabili relazioni con l’ambiente, sia costiero che marino. Una gestione incontrollata di tali attività, soprattutto se inserite in aree fortemente antropizzate, potrebbe provocare pericolose ripercussioni sull’ambiente naturale, un continuo aumento del consumo di risorse e dei costi per gestire l’ambiente, una maggiore produzione di rifiuti e una conseguente perdita del valore del porto. Ciò risulta tanto più vero per i porti inseriti in aree di particolare interesse naturalistico o in contesti di particolare vulnerabilità come quello del bacino del mediterraneo.

Il Corpo delle Capitanerie – Guardia Costiera colloca la materia ambientale al centro dell’ordinario spiegarsi dei compiti istituzionali. Tali delicate attribuzioni, risultano ulteriormente consolidatesi, alla luce del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale[1], ed in particolare, dagli articoli 135 e 195, che individuano competenze di natura specialistica del Corpo, nella gestione, rispettivamente, dell’attività di prevenzione ed accertamento dei reati ed illeciti in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e nella repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti. La vigilanza sulle aree di reperimento e monitoraggio della filiera dei rifiuti in ambito terrestre, marino e portuale era costituita, in passato dal D. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (c.d. decreto Ronchi), il quale aveva recepito tre direttive della CEE (la 91/156 sui rifiuti; la 91/689 sui rifiuti pericolosi e la 94/62 sugli imballaggi), ed aveva abrogato quasi tutta la normativa precedente, rappresentando una svolta fondamentale nella regolamentazione dei rifiuti. Tale decreto, infatti, si ispirava all'idea che l'inquinamento da rifiuti doveva essere fronteggiato non con interventi da collocarsi a valle dei processi di consumo, attraverso il ricorso allo smaltimento in discarica, ma riducendo la quantità' complessiva dei rifiuti prodotti, e favorendo tecnologie di gestione degli stessi orientate al recupero, al riutilizzo e al riciclo. Il testo legislativo ha mostrato delle molteplici carenze normative, che avevano portato all'emanazione nel ’97 del D. Lgs. n. 389 (cd. Rochi - bis) e nel ’98 della Legge n. 426 (cd. Ronchi - ter), finché è intervenuto il sopra citato Testo Unico dell'Ambiente a riordinare integralmente anche tale materia (la Parte IV tratta  la gestine dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati). La nuova legge, in conformità con quanto stabilito dalla normativa comunitaria, accorpa infatti tutte le disposizioni emanate successivamente al decreto Ronchi, e riorganizza la disciplina dei consorzi di raccolta attraverso l'introduzione di istituti finalizzati ad assicurare la massima concorrenzialità nella gestione del sistema e consentire di costituire nuovi consorzi.La finalità del decreto sono indicate nell’art. 2 comma 1 nella promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzarsi attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionaòe delle risorse naturali.

L’art. 232 comma 2 del Testo Unico ambientale (D.L.vo 152/2006) richiama, quale disciplina di carattere nazionale relativa ai rifiuti prodotti dalle navi ed ai residui del carico, il D.L.vo 24 giugno 2003 n. 182 (in Gazz. Uff., 22 luglio, n. 168) “Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico”. il quale ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva CE 59/2000, relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico, finalizzata ad assicurare alle navi che approdano nei diversi porti dell'Unione Europea adeguati sistemi ove poter conferire non solo i rifiuti inevitabilmente prodotti a bordo della nave, ma anche i residui del carico che altrimenti verrebbero eliminati attraverso sversamenti volontari nelle acque marine.  E’ composto di 16 articoli e 4 allegati, che definiscono in modo puntuale l’ambito di applicazione e le modalità operative di gestione dei rifiuti navali e dei porti:

  • Allegato 1: Prescrizioni relative al piano di raccolta e di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico;
  • Allegato 2: Informazioni sul sistema di raccolta e gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui di carico da fornire agli utenti del porto;
  • Allegato 3: Modulo di dichiarazione contenente le informazioni da notificare prima dell'entrata nel porto;
  • Allegato 4: Criteri per la determinazione della tariffa di cui agli articoli 8 e 10.

Scopo del decreto legislativo è dunque quello di “ridurre gli scarichi in mare, in particolare quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi che utilizzano porti situati nel territorio dello Stato, nonché di migliorare la disponibilità e l’utilizzo degli «impianti portuali di raccolta» per i suddetti rifiuti e residui” (art. 1).Una nave, infatti, durante il suo esercizio impatta in maniera significativa sull’ambiente: basti pensare alle operazioni di routine come quella di smaltimento dei rifiuti prodotti a bordo. Lo stesso dicasi per le attività condotte nei porti, che generano rifiuti anche di natura pericolosa. Tali impianti vengono definiti dall'art. 2, comma 1, lett. e) come strutture, che possono essere fisse, galleggianti o mobili all'interno del porto dove, prima del loro avvio al recupero o allo smaltimento, possono essere conferiti i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico.

Esso si applica (art. 2) a tutte le navi, comprese le unità da diporto ed i pescherecci facenti scalo o operanti in un porto dello Stato, indipendentemente dalla bandiera. Si applica inoltre ai porti dello Stato ove fanno scalo dette navi. Sono invece escluse le navi militari da guerra ed ausiliarie o altre navi possedute o gestite dallo Stato, se impiegate solo per servizi statali ai fini non commerciali, ma è previsto che, con decreto ministeriale, siano stabilite le misure necessarie ad assicurare che le navi militari da guerra ed ausiliarie e le navi delle forze di polizia ad ordinamento civile conferiscano rifiuti ed i residui del carico in conformità alla normativa vigente in materia, tenuto conto delle specifiche prescrizioni tecniche previste per dette navi e delle caratteristiche di ogni unità. Ed infatti, con D.M. 19 marzo 2008, recante “Misure necessarie per il conferimento da parte delle navi militari da guerra e ausiliarie dei rifiuti e dei residui del carico negli appositi impianti portuali, ai sensi dell’articolo 3, commi 1 e 2 del decreto legislativo 24 giuno 2003, n. 182”, sono state stabilite le misure necessarie per il conferimento, da parte delle navi militari da guerra e ausiliarie dei rifiuti e dei residui del carico negli appositi impianti portuali.

Occorre sottolineare che già dalle predette previsioni relative agli obiettivi della norma, ed alla definizione degli impianti di raccolta, emerge chiaramente come il decreto legislativo 182/2003 si occupi della gestioni dei rifiuti del sistema "nave-porto", e non del servizio di pulizia, raccolta rifiuti e disinquinamento del porto. Per ciò che attiene a tale servizio, viene in evidenza, oltre alla disciplina generale sui rifiuti sopra esaminata, il decreto del Ministero dei Trasporti del 14/11/1994, il quale ha individuato vari servizi portuali di interesse generale (servizi di illuminazione, idrici, informatici, telematici), tra cui, per l'appunto, i servizi di pulizia, raccolta dei rifiuti e disinquinamento del porto. In base a tale provvedimento la pulizia di tutti gli spazi terrestri non coperti situati entro l'ambito portuale, compresi quelli utilizzati da soggetti terzi, imprese o utenti portuali viene affidata ad imprese competenti a seguito di gara pubblica indetta dall'Autorità Portuale o, dove non istituita, dall'Autorità Marittima. Il predetto decreto ministeriale in precedenza regolava anche l'attività di pulizia e raccolta di rifiuti provenienti dalle navi in sosta nel porto, che ora invece ha trovato una disciplina ad hoc con il D.Lgs 182/03.

Pertanto, per i rifiuti della nave ed i residui del carico, si applica il Decreto 182/03, e le relative norme concernenti il conferimento, l'obbligo di notifica ed il regime tariffario, mentre per i rifiuti derivanti dalla pulizia degli specchi acquei e terrestri la principale fonte giuridica di riferimento è il nuovo Testo Unico sull'Ambiente, per la parte relativa alla disciplina dei rifiuti (prima regolata dal D.Lgs 22/97), oltre alla L. 84/94 (riordino della legislazione in materia portuale) ed al predetto D.M. 14/11/94.

Particolare importanza riveste, inoltre, la Marpol 73/78, ossia la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento dalle navi. Tale convenzione fu elaborata per rispondere alla necessità di controllare e limitare il rilascio accidentale e deliberato in mare di idrocarburi ed altre sostanze pericolose, fra cui i rifiuti (ad essi è dedicato l’Annesso V).

 


[1] Tale Decreto, emanato in attuazione della Legge 308/2004 “delega ambientale” che a sua volta è stato oggetto di interventi correttivi, l’ultimo dei quali effettuato con il D. Lgs. 29/06/2010, n. 128. e recante “norme in materia ambientale”, dedica la parte IV alle “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati” (articoli 177 – 266) ed ha abrogato una serie di provvedimenti precedenti tra cui il Decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, cosiddetto Decreto Ronchi, che fino alla data di entrata in vigore del D.lgs. 152/06 ha rappresentato la legge quadro di riferimento in materia di rifiuti. La gerarchia di gestione dei rifiuti è disciplinata dall’art. 179 del D.Lgs. 152/06 “Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti” che stabilisce quali misure prioritarie la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti seguite da misure dirette quali il recupero dei rifiuti mediante riciclo, il reimpiego, il riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie, nonché all’uso di rifiuti come fonte di energia.

Il Decreto quindi persegue la linea già definita dal Decreto “Ronchi”, ovvero la priorità della prevenzione e della riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti, a cui seguono solo successivamente il recupero (di materia e di energia) e quindi, come fase residuale dell’intera gestione, lo smaltimento (messa in discarica ed incenerimento).