La Liberazione condizionale della pena

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Anche in tema di Liberazione condizionale l’ordinamento penale militare conosce qualche deroga. E’ noto che l’art. 176 c.p. (modificato per quanto attiene all’entità della pena complessiva dalla legge 25 novembre 1962 n. 1634) esige quali requisiti per l’applicazione del beneficio: 

  1. comportamento di espiazione di pena tale da fa ritenere sicuro il ravvedimento; 
  2. espiazione di 30 mesi di pena detentiva e comunque di almeno metà della pena stessa (di 4 anni e non meno di ¾ della pena in caso di recidiva: di almeno 26 anni per il condannato all’ergastolo);
  3. pena rimanente non superiore a 5 anni (requisito, questo, ovviamente non applicabile all’ergastolo);
  4. avvenuto adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato (salvo il caso di provata impossibilità). 

Di contro, l’art. 71 c.p.m.p. (non toccato dalla legge 25 novembre 1962 n. 1634) contiene una variante ai primi tre requisiti. Esige, infatti: 

  1. la buona condotta (che è assai meno del «sicuro ravvedimento»);
  2. l’espiazione di metà della pena (o di ¾ in caso di recidiva), purché tale entità di pena espiata non sia inferiore a 3 anni;
  3. un rimanente di pena da espiare che non superi i 3 anni. 

La prima deroga è a favore del condannato, la seconda e la terza, invece, palesemente sfavorevoli. 

  • Ne consegue che, ad esempio, un militare condannato a 8 anni di reclusione militare non potrà fruire della liberazione condizionale militare prima di aver espiato 5 anni, mentre un condannato a pena comune potrà fruire del beneficio dopo aver espiato solo 4 anni. 

Non è facile individuare con esattezza il motivo che ha indotto il legislatore militare a predisporre un simile trattamento; così come non è facile spiegare perché la legge 25 novembre 1962 n. 1634 non sia stata estesa alla liberazione condizionale prevista dal codice penale militare.