Il Corpo delle Capitanerie di porto: attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare

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Il nostro Paese, come ben sappiamo, per la sua posizione centrale nel Mediterraneo è un naturale crocevia di traffici, leciti ed illeciti, che si dispiegano lungo  le  rotte marittime. In particolare  è  il traffico  di  clandestini  che  si sta configurando come il più lucroso ma anche il più infimo, in quanto sfrutta la disperazione della gente. I flussi migratori sono oggi un fenomeno molto preoccupante, in quanto “le migrazioni clandestine si svolgono quasi sempre con modalità e mezzi tali da mettere in pericolo la vita stessa di coloro che, per necessità, cercano fortuna al di fuori del loro paese”.
La quasi totalità degli ingressi clandestini (a parte il caso del confine italo-sloveno e di pochi ingressi tramite via aerea) avviene infatti sulle nostre coste a bordo delle cosiddette “carrette” del mare. Il crescente flusso migratorio clandestino che attraversa le nostre frontiere marittime richiede quindi al personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, unitamente alle FF.AA. e alle Forze di polizia, un ulteriore sforzo per fronteggiare i conseguenti problemi di soccorso e ordine pubblico.
Per fronteggiare la situazione il Comando Generale delle Capitanerie di Porto ha disposto l’impiego di numerosi mezzi navali. Di recente, in base a quanto disposto in materia di contrasto all’immigrazione clandestina dal D.M. 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all'immigrazione clandestina) è stata configurata con precisione l’attività di vigilanza, prevenzione e contrasto via mare a tale fenomeno.

L’art. 1 della legge assegna le «attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare», a norma dell'art. 12 del Testo Unico di cui al D.lgs 25 Luglio 1998, n. 286, di seguito denominato «testo unico» ai mezzi aeronavali della marina militare, delle Forze di polizia e delle Capitanerie di porto, lasciando però il raccordo degli interventi operativi in mare e i compiti di acquisizione ed analisi delle informazioni alla direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.

Nell’art. 2 vengono delineate le «fasi» attraverso cui si sviluppa l’attività di prevenzione e contrasto, prima di tutto si cerca di intervenire diplomaticamente direttamente nei Paesi di origine dei flussi con l’obiettivo di prevenire il fenomeno. In acque internazionali invece si interviene attraverso l’esercizio dei "poteri di polizia dell’alto mare", diretti al monitoraggio, alla sorveglianza, alla individuazione, al controllo degli obiettivi navali in navigazione ed all’accertamento di flussi migratori clandestini utilizzando i mezzi aeronavali della Marina Militare, del Corpo delle Capitanerie di Porto e della Guardia di Finanza.
Nelle "acque territoriali" infine, l’intervento è diretto all’attività istituzionale delle forze di polizia, diretta alla repressione dei reati ed alla scoperta delle connessioni con le organizzazioni transnazionali che gestiscono il traffico illecito, ed è svolto con unità e mezzi navali in servizio di polizia, con il concorso se necessario della marina Militare.
Nel caso cui dovesse presentarsi la necessità di intervenire in soccorso di una di queste unità, sempre l’art. 2 riafferma le competenze del Corpo delle Capitanerie di Porto in materia di salvaguardia della vita umana in mare e conferma il coordinamento degli interventi di soccorso. C’è da notare che, purtroppo, questo aspetto ha portato a situazioni in cui, sempre più spesso, ogni unità che effettui il traffico di clandestini si dichiari in stato di emergenza, trasformando così l’immigrazione clandestina in una situazione SAR (Search and Rescue) a cui solo il Corpo delle Capitanerie di porto è chiamato per legge ad intervenire per prestare soccorso.

  • Le attività in mare di cui abbiamo accennato sopra, possono assumere il carattere di:
  1. intervento di soccorso, quindi S.A.R.;
  2. di semplice sorveglianza, che si realizza con la raccolta di dati operativi provenienti dai radar di scoperta costiera della marina Militare, con un’incessante opera di pattugliamento effettuata con unità navali e con aeromobili di marina, Capitanerie e Guardia di Finanza ed infine con la valorizzazione delle informazioni provenienti da altri comandi operativi internazionali operanti nel bacino del mediterraneo (es. Malta);
  3. di intervento di polizia giudiziaria vero e proprio.

Quest’ultimo è attribuito in via prioritaria alle Forze di polizia secondo i piani regionali, di coordinata vigilanza nelle acque territoriali ed interne, aspetto questo abbastanza contorto in quanto, esistendo già il Corpo delle Capitanerie di Porto che svolge anche funzioni di polizia giudiziaria e può intervenire per espletare funzioni di P.G., non si riesce a capire per quale motivo altri corpi di polizia debbano svolgere quest’attività in un ambiente a loro poco congeniale, come quello marino.
In acque internazionali, l’art. 5 della legge ci dice che deve essere “assicurata una costante attività di vigilanza” per localizzare, identificare e tracciare le unità sospette, per far ciò bisogna ricorrere principalmente ai mezzi aerei che garantiscono la copertura di una più vasta superficie e grazie anche ai sistemi moderni di tracciamento una maggiore riservatezza.
In questi casi è CINCNAV che assume il coordinamento operativo, svolge l’attività di raccordo delle fasi di pianificazione dell’attività con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Centrale Operativa) e dirama ai mezzi coinvolti le direttive di intervento, difatti i mezzi aeronavali delle Capitanerie di Porto e delle altre Forze di polizia, devono stabilire collegamenti radio con le unità della marina.
Nelle acque territoriali e nella zona contigua l’attività di vigilanza, controllo e contrasto al traffico di clandestini, ai sensi dell’art. 6 della legge, viene svolta dalle unità delle Forze di polizia, mentre le unità della marina e delle Capitanerie di Porto concorrono a tale attività con la tempestiva comunicazione dell’avvistamento di unità in arrivo, in attesa dell’intervento delle Forze di polizia.
Nell’art. 7 della legge vengono infine delineate, al verificarsi di una delle qualsiasi operazioni citate, nel caso che la nave sospetta sia in effetti malintenzionata, un caso di "inseguimento transfrontaliero", principalmente se ci si trova in acque internazionali dove, lo ricordiamo, può essere esercitato il “diritto di visita”, previa autorizzazione del paese di bandiera. Si tratta comunque di una eventualità remota, perché sappiamo che i cosiddetti scafisti abbandonano le loro vittime prima di raggiungere la costa o per sfuggire alla cattura si mimetizzano con gli altri clandestini, comunque le unità con cui essi giungono sulle nostre coste, soprattutto negli ultimi anni, non sono quasi mai idonei alla navigazione, tantomeno per un inseguimento.