Elemento soggettivo: la colpevolezza

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Perché un reato sussista non è sufficiente che sia concretamente realizzato il fatto materiale previsto dalla norma (condotta ed eventualmente l’evento, legati fra loro dal rapporto di causalità), occorre anche il verificarsi di un singolo atto deve necessariamente imputarsi alla "volontà" del soggetto agente.

  • Ad esempio, perché sussista il reato di omicidio non basta che si sia verificata la morte di Caio e che essa sia stata cagionata dalla condotta di Tizio. Occorre anche che Tizio abbia «voluto» il fatto o, quantomeno, lo abbia determinato tenendo un atteggiamento antidoveroso e perciò «colpevole» della sua volontà.

L’art. 42, comma 1 c.p. stabilisce che «Nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” (nesso psichico)».
Per aversi reato, oltre al fatto materiale, occorre un nesso psichico tra il soggetto agente e l’evento lesivo; occorre, cioè, l’«attribuibilità psicologica» del singolo fatto di reato alla volontà del soggetto.
Sussiste tale nesso tutte le volte in cui la coscienza e volontà della condotta è posta in essere volontariamente; inoltre, anche quando, pur sussistendo tale esplicita volontà, con uno sforzo del volere la condotta integrante il reato poteva essere evitata dal soggetto.
In una più ampia accezione è stato sostenuto che, vi é coscienza e volontà quando l’azione od omissione sono sostenute da un «impulso volontario cosciente» (la c.d. suitas)[1] .
Un fatto non può dirsi commesso con coscienza e volontà quando la condotta vietata non può essere concretamente impedita dagli sforzi di volontà dell’agente.

  • Ad esempio, il nesso psichico non sussiste se durante un delirio febbrile, taluno compie un gesto inconsulto e ferisce chi gli sta a canto.

La punibilità non è invece esclusa in tutti quei casi in cui ad evitare il fatto sarebbe bastato uno sforzo di attenzione o l’esercizio dei poteri di controllo presenti in ciascuno di noi.
Pertanto devono attribuirsi alla «suitas» del soggetto agente anche gli atti automatici ed abituali i quali con uno sforzo della volontà potevano essere evitati.
Viceversa gli atti istintivi e quelli riflessi in nessun caso possono essere impediti dall’agente. Questi ultimi debbono considerarsi del tutto fuori della sfera di controllo della volontà dell’agente nei confronti del quale, dunque, è da escludere la responsabilità penale dipendenza di essi.

  • Ad esempio, per non rispondere del reato di incendio (art. 449 c.p.) non basta perciò sostenere di essere un fumatore, di aver acceso la sigaretta e di aver gettato il fiammifero con un gesto «incosciente» ed «automatico»; così come, per non rispondere del reato di lesioni colpose (art. 590 c.p.), non basta sostenere di essere un cacciatore, di aver udito un rumore e di aver sparato «istintivamente» credendo di avere nei pressi l’animale braccato e non il compagno di caccia mossosi poco silenziosamente. In entrambi i casi infatti, gli episodi criminosi («incendio» o «lesioni») sarebbero stati evitati se il soggetto agente avesse fatto gli sforzi di attenzione e di volontà che da ciascun uomo è lecito pretendere.
  • Se, ad esempio, un sinistro della navigazione con conseguenze mortali è cagionato per un colpo di sonno del timoniere della nave, non si esclude la configurabilità del reato se trattasi di «sonno fisiologico» conseguente ad un pasto abbondante (il soggetto, col dominio della volontà poteva evitare di mangiare nel corso di un viaggio o sospenderlo per qualche ora). Non sussisterà reato, invece, se il sonno è dovuto a «cause patologiche» come un improvviso e imprevedibile malore (su cui l’Agente non poteva esercitare alcun dominio della volontà).

Il concetto di colpevolezza comprende in sé l’attribuibilità (o imputazione soggettiva) del fatto illecito penalmente sanzionato.
Principio cardine del nostro sistema penale è quindi quello della «
colpevolezza». Esso è il presupposto necessario del principio costituzionale della “personalità della responsabilità penale” sancito dall’art. 27 co.1 della Carta Costituzionale, e ribadito, quale fondamento e misura della pena, dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 364/88.
La colpevolezza non è solo un elemento del reato, ma è anche criterio di commisurazione della sanzione penale. Dal grado di colpevolezza del reo (oltre al danno arrecato) dipende, infatti, la sanzione da comminarsi al reo.

L’elemento soggettivo (colpevolezza) può assumere diverse forme a seconda di come, nel caso concreto, si atteggia la «volontà» dell’autore del reato. Esso può avere dueforme” fondamentali:

  1. il  dolo
  2. la colpa

L'elemento soggettivo del reato può avere anche la forma della «preterintenzione», oltre che quelle, fondamentali suindicate.

 

 

 


[1] La suitas, è l’esistenza di un nesso psichico tra il soggetto agente e il fatto