La struttura del reato

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La dottrina, analizzando le singole figure criminose, ha elaborato una teoria generale del reato, che individua nella struttura dell’illecito penale una serie di elementi «costitutivi» comuni a tutte le fattispecie criminose. 

Nella struttura di ogni reato si distinguono pertanto, due specie di elementi:

  1. elementi essenziali
  2. elementi accidentali (=accessori)

Gli elementi «essenziali», sono quelli senza i quali il reato stesso non può esistere, venendo a mancare uno degli elementi costitutivi indispensabili per la configurazione dell’illecito penale.

Gli elementi «accidentali», sono quelli la cui presenza non influisce sulla esistenza del reato, ma solo sulla entità della pena; si identificano nelle circostanze aggravanti ed attenuanti (artt. 61 e 62 c.p.).

L’analisi della struttura del reato ha condotto alla formazione di due diverse concezioni:

  1. teoria della bipartizione
  2. teoria della tripartizione 

Secondo la teoria tradizionale della c.d. bipartizione si possono individuare due elementi costitutivi fondamentali:

  1. l’elemento oggettivo (o materiale del reato), nel quale è ulteriormente possibile distinguere:
    1. condotta (azione od omissione antigiuridiche) del soggetto agente (=autore del reato);
    2. evento naturalistico (quando esiste) ed il rapporto di causalità che lega la condotta ed evento;
  2. l’elemento soggettivo (=colpevolezza), che esprime il collegamento psicologico che si stabilisce tra il fatto e il soggetto agente (dolo, colpa e preterintenzione).

 

 

 

La teoria c.d. della tripartizione, invece affianca al fatto materiale e alla colpevolezza un terzo elemento, anch’esso oggettivo, l’antigiuridicità.

Secondo la concezione tripartita questa consiste in una valutazione che compie il Giudice circa il carattere lesivo di un comportamento umano, e più precisamente la contraddizione del fatto con la norma penale ovvero la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale che è stata violata.

  • Ad esempio, se noi vediamo Tizio asportare la cosa mobile altrui, immediatamente diciamo che egli ha commesso un’azione «penalmente antigiuridica» (=furto): l’antigiuridicità penale è, dunque, la relazione tra un fatto umano ed una norma penale e, più precisamente, il rapporto di contraddizione tra il fatto (nell’esempio: l’impossessamento della cosa mobile altrui) e una norma penale (nell’esempio: l’art. 624 c.p. e art. 1148 Cod. nav.).

L’antigiuridicità penale consiste, pertanto in un giudizio di relazione: quando definiamo un fatto antigiuridico, non facciamo altro che giudicare quel fatto in relazione alle norme penali, riconoscendo che esso contrasta con tali norme.

Essa manca tutte le volte che la condotta che costituirebbe reato viene posta in essere in presenza di una «causa di giustificazione» (ad esempio: legittima difesa, stato di necessità, uso legittimo delle armi).

  • Ad esempio, la commissione di un omicidio è un fatto antigiuridico; ma se è stato posto in essere per legittima difesa, il fatto non è più antigiuridico.

Per alcuni autori, l’antigiuridicità non é un elemento specifico e separato dagli altri due elementi del reato (oggettivo e soggettivo), ma una qualificazione del fatto considerato nella sua totalità: é l’essenza stessa del reato.