La tutela dell'ambiente marino nelle convenzioni internazionali

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L'idea di protezione internazionale dell'ambiente marino è relativamente recente: essa si è andata formando alquanto lentamente nell'opinione pubblica anche mediante l'adozione di una serie di «Convenzioni Internazionali» che sono state stipulate a partire dagli anni '50, talora nella forma di convenzione a carattere settoriale, tal'altra in quella di convenzione a carattere regionale. Talune di queste riguardano determinate cause di inquinamento marino e prevedono particolari poteri e doveri degli Stati relativamente a specifici tipi di inquinamento [1]. 

Nella Convenzione di codificazione del diritto del mare conclusa a Ginevra nel 1958, le uniche norme relative alla prevenzione ed alla protezione dell'ambiente marino dall'inquinamento erano contenute negli artt. 24 e 25 della Convenzione sull' «Alto Mare» e riguardavano rispettivamente due sostanze inquinanti speciali: gli idrocarburi e le sostanze radioattive, nonché l'inquinamento derivante dall'esplorazione e dallo sfruttamento dei fondali marini. La Convenzione di Ginevra sull' «Alto Mare» si limitava infatti a disporre all'art. 24 che «ogni stato contraente è tenuto a promuovere norme intese ad evitare la polluzione dei mari derivata da sostanze idrocarburiche defluite da navi o da oleodotti o dall'esplorazione o dallo sfruttamento del fondo o del sottofondo marini, tenendo conto delle disposizioni pattizie esistenti in materia»

Le Convenzioni che vennero stipulate negli anni '50 e '60 si presentano tutte definite per settori di inquinamento o per regioni di inquinamento. Ebbene, proprio questa parcellizzazione di carattere funzionale o spaziale della normativa ha costituito l'ostacolo principale della ricostruzione del quadro generale della normativa stessa. Inoltre, le norme delle convenzioni settoriali e regionali di cui si è detto rivestivano carattere sinallagmatico, e creavano diritti ed obblighi reciproci ed esclusivi tra i vari Stati contraenti. In molti casi, i due contrapposti poli di interessi relativi alle diverse situazioni, erano rispettivamente rappresentati dallo Stato di bandiera della nave, che poteva causare l'inquinamento, e dallo Stato costiero che dall'inquinamento stesso poteva subire il danno. Non emergeva così, in dette convenzioni, il concetto di un obbligo generale relativo alla protezione dell'ambiente marino.

Sino a tutto il decennio 1960 anche i contenuti delle norme internazionali generali sull'inquinamento marino attribuivano agli Stati alcuni poteri e imponevano alcuni obblighi relativi alla prevenzione ed alla repressione dell'inquinamento. Ma, mentre i poteri erano strettamente collegati agli interessi dei singoli Stati, di cui in ipotesi frequenti erano portatori lo Stato della bandiera e lo Stato costiero, gli obblighi, rispetto ai poteri, rivestivano carattere strettamente reciproco ed individuale, ed avevano riguardo in genere allo Stato suscettibile di causare il danno. Tale situazione era evidente rispetto al mare territoriale, già meno evidente rispetto alle zone intermedie, del tutto evanescente rispetto all'alto mare. La diversità di regime era dovuta ovviamente alla presenza del potere sovrano dello Stato costiero nell'ambito del mare territoriale, cui corrispondevano rispettivamente un notevole affievolimento di tale potere nella zona contigua marittima e nelle zone di pesca riservate, ed un assoluto equilibrio nell'esercizio delle rispettive libertà di tutti gli Stati marittimi, nell'ambito dell'alto mare.

Un apporto sostanziale alla determinazione dei contenuti della disciplina internazionale nella materia, si  verificò all'inizio degli anni '70. Nel corso di tali anni si è, infatti, evidenziata una compromissione senza precedenti dell'equilibrio ecologico, tanto da  temere il raggiungimento di un livello irreversibile nella qualità della vita del mare, a causa della universalità delle lesioni procurate all'ambiente marino. Tale fenomeno ha progressivamente evidenziato l'esistenza di un interesse collettivo della Comunità internazionale alla tutela dell'ambiente marino in quanto tale, ed ha indotto conseguentemente ad affermare, nei modi più vari, la necessità dell'impegno di tutti gli Stati, e di ciascuno di essi, al fine di realizzare la tutela dell'interesse in questione. La necessità della protezione internazionale dell'ambiente marino contro l'inquinamento si è andata evidenziando a seguito della spinta dell'opinione pubblica internazionale ed i rispettivi Governi, determinatasi a causa di alcuni «catastrofici incidenti marittimi», riguardanti l'Europa, che per le loro proporzioni hanno assunto portata storica. Invero, fino alla seconda metà circa degli anni sessanta, e cioè finché non si produssero i primi di questi grandi disastri (in particolare quello della nave liberiana Torrey Canyon) e finché l'industria non diede inizio all'epoca delle «superpetroliere» con conseguente incremento vertiginoso dei rischi, la già pur grave situazione ecologico-ambientale non suscitava che un interesse limitato ad alcune aree particolari. Fu quindi paradossalmente necessario attendere fino alla catastrofe ecologica dell'incaglio della petroliera liberiana «Torrey Canyon» nel 1967, sulle estreme scogliere della Cornovaglia (con la fuoriuscita di ben 120.000 tonnellate di grezzo che andarono a riversarsi sulle incantevoli coste bretoni e inglesi), perché si manifestasse una reazione generalizzata, che diede spazio all'idea di una serie di provvedimenti a carattere internazionale, diretti da un lato ad accrescere la sicurezza della navigazione (per evitare la causa prima dell'inquinamento massivo a carattere eccezionale, cioè i sinistri della navigazione) e, dall'altro, ad evitare il versamento in mare di olii o di sostanze nocive o di scoli o di rifiuti, durante il normale esercizio di una nave. Fra questi ultimi provvedimenti possiamo anche ricomprendere la costruzione di terminali di discarica, depurazione e stoccaggio degli idrocarburi.

Ricordiamo ancora, per la loro gravità, i disastri dell'«Amoco Cadiz» nel 1976 e della «Tanio» nel 1978, entrambi verificatesi sulle coste della Bretagna, che, puntualmente, hanno riproposto all'attenzione della Comunità internazionale il fatto che l'attuazione su scala mondiale di misure tecniche e di strumenti giuridici volti, sia alla salvaguardia dell'ambiente marino che al risarcimento delle vittime dell'inquinamento, non poteva essere ancora procrastinata.

Non appare peraltro sufficiente, il prevenire o il reprimere il solo scarico di idrocarburi. Altrettanto nocivo può risultare, un eventuale incidente che coinvolga carichi di prodotti chimici trasportati via mare o altre sostanze suscettibili di porre a repentaglio la salute umana o di danneggiare le risorse e la vita del mare o di compromettere gli usi legittimi del mare, quali i rifiuti e le altre cose o sostanze pericolose. Artefice della considerevole messe di normative pattizie internazionali che, unitamente ad importanti iniziative unilaterali di alcuni Stati ed agli interventi da parte di organi privati (come grandi compagnie petrolifere), ha contribuito alla formazione di strumenti oggi idonei, se non proprio a scongiurare il pericolo d'inquinamento, almeno ad arginare le proporzioni, è senza alcun dubbio l'International Maritime Organization (IMO) che è l'Agenzia delle Nazioni Unite, specializzata nel campo marittimo. E' nata da una Convenzione adottata dalla Conferenza delle N.U. tenutasi a Ginevra nel maggio 1948.

Benché all'atto della sua costituzione, l'ambito di operatività dell'I.M.O. fosse strettamente limitato (nella Convenzione costitutiva ad esempio, non si accennava minimamente all'inquinamento marino, anche perché, a quel tempo, il problema non aveva ancora assunto quella drammaticità che ora gli riconosciamo), si giunse in seguito ad interpretarne in senso lato lo statuto esistente.

Nel 1975 diversi emendamenti alla Convenzione costitutiva modificarono i fini dell'organizzazione, includendovi l'incoraggiamento all'«adozione generale dei più alti standard nelle materie relative...alla prevenzione ed al controllo dell'inquinamento marino da navi, ed alla trattazione dei suddetti problemi di carattere legale».

L'organo dell'I.M.O. specializzato in materia di inquinamento marino è il Marine Evironment Protection Committee (M.E.P.C.), nato nel 1973. Tra gli scopi ad esso riservati risultano l'adempimento di tutte le funzioni attribuite all'I.M.O. delle numerose Convenzioni relative alla «Marine Pollution»; la promozione, l'acquisizione e la divulgazione presso gli Stati di informazioni e conoscenze tecnico-scientifiche in materia; lo sviluppo della cooperazione con le organizzazioni a carattere regionale; ed infine la sottoposizione al Consiglio di progetti di regolamentazioni volte alla prevenzione ed al controllo dell'inquinamento del mare da parte delle navi. Nella pratica tuttavia, l'I.M.O. non dispone di alcun potere normativo, per cui il suo ruolo principale consiste nella predisposizione di progetti di Convenzioni Internazionali e nella organizzazione delle conseguenti Conferenze diplomatiche.

Per quel che concerne l'imponente lavoro svolto in questi anni, ricordiamo, ora brevemente, il suo contributo nella realizzazione di quelle Convenzioni, riguardanti direttamente l'inquinamento marino, quali ad esempio: la OILPOL 1954, la MARPOL 1973, la L.D.C. 1972 (DUMPING), la INTERVENTION 1969, assieme all'INTERVENTION PROTOCOL del 1973 e soprattutto la C.L.C. del 1969 e la FUND del 1971.

Meritano altresì di essere menzionate alcune altre Convenzioni, alla cui stesura e adozione l'I.M.O. ha attivamente preso parte, che hanno avuto il merito di contribuire, pur se indirettamente, a prevenire l'inquinamento marino da navi: e cioè la Convenzione di Londra del 1960 e 1974 (SOLAS) “per la salvaguardia della vita in mare”; la Convenzione di Londra del 1972 sulle “regole Internazionali per prevenire gli abbordi in mare” (COLREG); la Convenzione Internazionale di Londra del 1966 sulle “linee di massimo carico e bordo libero" (LOAD LINE) e la Convenzione di Londra del 1969 sulla “stazzatura delle navi” (TONNAGE).

 

Torrey Canyon - Scogliere della Cornovaglia 1967

 


[1] Indubbiamente va affermandosi una concezione integrale e complessiva dell'intero compendio naturalistico si cerca di superare la «compartimentazione» con cui venivano trattati i problemi. In questa ottica si è superata la concezione settoriale della questione e si è smesso di considerare la tutela dell'ambiente sotto gli aspetti separati di tutela del paesaggio, di tutela dei centri storici o di tutela dei parchi naturali o florifaunistici. Si è fatta strada l'opinione che non fosse neppure sufficiente considerarla in funzione della sola difesa dall'inquinamento e delle problematiche della difesa del suolo e dell'urbanistica, ma in un'ottica molto più totalizzante ed omogenea.