Adempimento del dovere

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Chi agisce nell’esercizio di un suo diritto, resta immune da colpa anche se commette reato. La norma prevede poi che “l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”.

Secondo la norma quindi non commette reato neanche chi pone in essere una condotta (considerata criminosa dal codice penale), in adempimento di un suo preciso dovere. Secondo tale disposizione quindi, l’agente non commette reato quando non ha alcuna facoltà di scelta e deve porre in essere la condotta “criminosa” in adempimento di un preciso obbligo impartitogli. Del fatto risponderà eventualmente il superiore gerarchico. La norma tende a far prevalere la tutela dell’interesse di chi agisce esercitando un diritto/dovere rispetto alla tutela degli interessi eventualmente configgenti.

Pertanto, nella ipotesi in esame i fatti eventualmente commessi nell’adempimento di un dovere non sono punibili quando il dovere è imposto da una «norma giuridica» o da «un ordine legittimo» (art. 51 c.p.).

Il dovere può derivare:

  1. da una «norma giuridica», intesa anche in questo caso in maniera ampia, comprensiva di qualsiasi regola di diritto, sia scritta che consuetudinaria, sia del potere legislativo che esecutivo.
  • Ad esempio, il soldato che uccide in guerra non commette il delitto di omicidio
  • Si pensi, ad esempio, al caso dell’Ufficiale di polizia giudiziaria che effettua una ispezione su di un peschereccio a norma dell’art. 22 comma 7 del D.lgs. n. 4/2012 oppure una perquisizione (a norma dell’art. 352 c.p.). Egli agisce nell’adempimento di un dovere impostogli da tali disposizioni: sicché è certo che non potrebbe mai essere chiamato a rispondere del reato di «Violazione di domicilio» (art. 614-615 c.p.) per essersi introdotto in un luogo di dimora privata senza curarsi di ottenere il preventivo consenso di chi ne aveva la disponibilità.
  1. a un «un ordine dall’Autorità competente» (Autorità pubblica), inteso come qualsiasi manifestazione di volontà che il superiore rivolge ad un inferiore gerarchico affinché tenga un determinato comportamento. Presupposto della scriminante è l’esistenza tra il superiore e l’inferire di un rapporto di subordinazione di diritto . Non scrimina, invece, un ordine impartito nell’ambito di un rapporto privato. L’ordine, inoltre, deve essere legittimo, tanto sotto il profilo sostanziale quanto sotto quello formale.

Per il primo tipo di legittimità devono esistere i presupposti richiesti dalla legge, pertanto, non si deve dare esecuzione ad un ordine manifestamente criminoso.

Per la legittimità formale dell’ordine è invece richiesto che:

  1. il superiore abbia competenza ad emetterlo;
  2. l’inferiore abbia competenza ad eseguirlo (sia attinente al servizio del subordinato, rientri nei compiti d’istituto);
  3. sia dato nelle forme prescritte (siano state rispettate, cioè, le procedure e le formalità di legge previste per la sua emissione.
  • Per fare un esempio: l’ordinanza che dispone la custodia cautelare in carcere è legittima se risulta emessa dal Giudice (prima dell’esercizio dell’azione penale provvede ad esempio il GIP....) e contiene le indicazioni previste dall’art. 292 c.p.p. (indizi, esigenze cautelari, generalità dell’imputato, firme e date..) ed è trasmessa ad un U.P.G. per la esecuzione (art. 92 disp.att.c.p.p.).
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Se l’ordinanza contiene i suddetti requisiti, l’U.P.G. andrà comunque esente da pena anche se nell’eseguire l’ordinanza stessa ha commesso fatti che, in astratto, potrebbero costituire reato (come il «sequestro» delle persone nei cui confronti la misura è stata applicata; la «violazione del domicilio» per procedere alla sua cattura; la «violenza privata» per ammanettarla.

L’adempimento di un dovere derivante da un ordine legittimo della Pubblica Autorità presuppone un rapporto di subordinazione nascente dal diritto ed un conseguente dovere di obbedienza.
Dalla dizione della legge appare chiaro che la scriminante in tal caso è ammessa solo se l’ordine è legittimo. Il che implica l’esercizio di una facoltà di sindacato sia pure limitata alla legalità esteriore dell’ordine ricevuto e cioè alla forma, alla competenza dell’autorità da cui promana e alla attinenza o meno alle funzioni del subordinato. Questi, infatti, ha, di regola, tale facoltà e, se non l’esercita, agisce a suo rischio e pericolo, come si ricava dal primo e secondo capoverso dell’art. 51 c.p. dove è stabilito che se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde non solo il che ha dato l’ordine ma anche chi lo ha eseguito, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo.
In via generale, il subordinato può andare esente da pena solo se ha esercitato il potere e il dovere di controllare la legittimità dell’ordine impartitogli.

  • Ad esempio: un Ufficiale di polizia giudiziaria può rifiutarsi di sparare contro gli scioperanti che urlano slogans benché l’ordine gli provenga dal funzionario competente.

Quando l’ordine è illegittimo e, malgrado ciò, viene eseguito, del reato commesso rispondono sia chi ha impartito l’ordine sia chi vi ha dato attuazione.
La scriminante tuttavia è ammessa oltre che nel caso dell’errore di fatto di cui si è detto, anche nel caso del subordinato al quale la legge non consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine come accade per i militari e gli appartenenti alle forze di polizia che sono tenuti per legge a una obbedienza particolarmente pronta e rigorosa, ai sensi del dell’ultimo capoverso dell’art. 51 c.p.
In questi casi il subordinato non può sindacare la legittimità dell’ordine e, pertanto, non è punibile per il reato eventualmente commesso in esecuzione dell’ordine medesimo.
Il subordinato, cioè, può invocare a propria scusa il fatto di avere agito nell’adempimento di un dovere e del reato risponderà solo chi ha impartito l’ordine (salvo che si tratti di un ordine palesemente delittuoso - art. 4 Legge 11/7/1979, n. 382 (sulla disciplina militare) ... «il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e informare al più presto il superiore», e art 66 Legge 1/4/1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza)... «l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza al quale viene impartito un ordine la cui esecuzione costituisce manifestamente reato, non lo esegue e informa immediatamente i superiori».

  • Ad esempio: sarebbe un ordine manifestamente criminoso quello di viaggiare contro mano alla guida della vettura dell’amministrazione. Il subordinato risponderebbe di reati eventualmente conseguenti alla condotta illegittimamente tenuta (lesioni o morte delle persone trasportate sulle auto investite a causa della inosservanza delle norme sulla circolazione stradale).