Terrorismo marittimo

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L’episodio di terrorismo marittimo dell’Achille Lauro, che non fu possibile inquadrare come “pirateria”, evidenziò una grave lacuna dell’ordinamento giuridico internazionale, cui ha cercato di porre rimedio la Convenzione di Roma del 10 marzo 1988 per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza della navigazione marittima, alla quale è annesso un "Protocollo aggiuntivo" per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse ancorate sulla piattaforma continentale, aperto alla ratifica o adesione solo degli Stati già parti della Convenzione. Entrambi questi strumenti convenzionali, di cui l’Italia è parte, sono entrati in vigore nel 1992.

Rientrano nella nozione di «terrorismo marittimo» tutti i casi di violenza commessi per finalità politiche o terroristiche a bordo di una nave privata che, in difetto del criterio delle due navi, non possono essere considerati come pirateria.
Sia la Convenzione che il Protocollo dettano una minuziosa elencazione di casi in cui si realizza la fattispecie criminosa del terrorismo marittimo, nella quale il "bene giuridico protetto" è, in ogni caso, la "sicurezza della navigazione e delle piattaforme fisse".

  • Ad esempio, la cattura e presa di controllo violento di una nave o di una piattaforma fissa, la loro distruzione o un danneggiamento tale che ne comprometta la sicurezza, gli atti di violenza contro persone imbarcate su navi o su piattaforme fisse compromettenti la sicurezza della navigazione o la sicurezza di piattaforme, le comunicazioni dolose di informazioni marittime false.

Nessun dubbio sorge sulla possibilità di intervento e di cattura su nave mercantile nazionale che abbia commesso atti di terrorismo o sulla quale si trovino i terroristi, ovvero di nave priva di bandiera o equiparate (navi battenti bandiera di più Stati a seconda della convenienza) o di nave straniera, nel caso venga acquisito per via diplomatica il preventivo "consenso" dello Stato di bandiera.

Più complessa appare, invece, la problematica dei poteri di uso della forza della nave da guerra su navi straniere, nel caso in cui lo Stato di bandiera non dia il proprio consenso.