Traffico illegale di clandestini

Versione stampabileVersione stampabile

Il diritto internazionale non riconosce in alto mare, alle navi da guerra, alcun potere di uso della forza nei confronti di unità mercantili straniere dedite al "traffico illegale di clandestini"; né è possibile assimilare tale attività alla tratta degli schiavi.
Tuttavia, viste le proporzioni sempre più rilevanti del fenomeno dell’arrivo, sulle coste dell’Italia meridionale, di migliaia di persone provenienti, per lo più, da Paesi dell’Africa maghrebina, dell’area balcanica (Europa centro-orientale) e del Medio Oriente, ben 80 Stati interessati, tra cui l’Italia, che ha avuto un ruolo propulsore essenziale, hanno aperto alla firma a Palermo, il 12 dicembre 2000, il "Protocollo contro il traffico di migranti clandestini via mare" (oltre che via terra e via aerea), addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale.

Le convergenze registrate incoraggiano a considerare la possibilità di più rigorosi raccordi nella vigilanza delle frontiere marittime comunitarie tesi alla limitazione di flussi marittimi indiscriminati di penetrazione. In tale campo, l’Italia esercita un ruolo chiave, per le responsabilità scaturenti dagli accordi di Schengen.

  • Del Protocollo di Palermo, il cui impianto normativo è strettamente collegato alla Convenzione di Montego Bay, rilevano essenzialmente i seguenti punti cardine:
  1. obbligo per tutte le legislazioni degli Stati parti di prevedere, quale fattispecie penale, il traffico di migranti, mentre il migrante è considerato soggetto passivo del reato;
  2. collaborazione giudiziaria e amministrativa più ampia ed incisiva tra gli Stati parti per la prevenzione e la repressione del fenomeno criminale. A tal proposito, il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto è l’organo naturalmente deputato a diventare l’Autorità Nazionale designata dall’Italia per la raccolta e lo scambio di informazioni, la conferma dell’iscrizione delle unità sospette nei registri di proprietà navale, ed il rilascio di autorizzazioni all’adozione delle misure appropriate;
  3. possibilità di visita e ispezione anche in alto mare delle unità navali ritenute sospette, sia battenti bandiera di un altro Stato parte (previo consenso di quest’ultimo), sia, ovviamente, battenti la propria bandiera o senza nazionalità (oppure, pur battente bandiera straniera o priva di bandiera, ma avente in realtà la stessa nazionalità).

E’ forse superfluo evidenziare come in tutte le ipotesi appena esaminate (non esclusa, appunto, quest’ultima del traffico di migranti clandestini, allorché il Protocollo di Palermo entrerà in vigore, dopo il deposito del 40° strumento di ratifica), il «diritto di visita» debba essere esercitato sempre e comunque cum grano salis, perché se il sospetto dell’esercizio da parte della nave mercantile di una delle attività criminose per le quali è prevista la visita dovesse rivelarsi infondato, si realizzerebbe un illecito internazionale, consistente nell’ «abuso del poteri di visita». La nave da guerra potrebbe essere chiamata, pertanto, a risarcire eventuali danni commerciali derivanti dai ritardi provocati.