Protezione dell’ambiente marino dai rifiuti prodotti da navi

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I rifiuti sono ormai da anni al centro di tematiche politico-ambientali a livello internazionale ed europeo. Non a caso i diversi programmi europei d'azione per l'ambiente hanno posto al centro dell'attenzione proprio il tema rifiuti e l'Europa ha promosso e integrato una serie di normative di settore allo scopo di raggiungere una maggiore tutela dell'ambiente e della salute umana. La consapevolezza del valore economico, sociale e culturale dell’ambiente marino ed il dovere di preservare un così grande patrimonio dell’umanità ha spinto gli Stati a creare uno strumento conforme al diritto internazionale in grado di dettare i principi generali verso cui i medesimi devono uniformare le proprie capacità di protezione e preservazione. Inoltre, la necessità di una stretta cooperazione fra gli Stati e le organizzazioni internazionali che li concentri a livello regionale e locale, rappresenta un nuovo “modus operandi” per il conseguimento di risultati soddisfacenti in termini di protezione, preservazione e conservazione.

L’esigenza di affrontare la questione della tutela dell’ambiente marino da varie forme e fonti di inquinamento è sorta contestualmente al processo di industrializzazione e il crescente uso del mare come via di comunicazione nonché di trasporto, soprattutto di prodotti ad alta potenzialità inquinante. Molto si è fatto a livello legislativo per proteggere, preservare e conservare l’ambiente in generale e per informare e stimolare il pubblico ad una nuova mentalità di precauzione e preservazione dell’ambiente marino e terrestre, soprattutto in materia di «gestione dei rifiuti», la quale necessitava la definizione di regole comuni per la corretta raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi che, se non opportunatamente gestiti, costituiscono un forte impatto nell’ecosistema marino.

Con l’evolversi della normativa comunitaria e conseguentemente quella nazionale, il quadro riguardante le modalità di gestione delle aree portuali sta assumendo contorni sempre più netti e precisi. In materia di gestione dei rifiuti delle navi in ambito portuale con la Direttiva n. 2000/59/CE il legislatore ha regolamentato a livello europeo una tematica, quella appunto dei "rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico", divenuta inattuale e arretrata rispetto alla situazione presente in quanto sono aumentati i traffici delle navi nei mari e di conseguenza sono aumentati i rischi di incidenti e sversamenti oltre al problema dei rifiuti in crescente aumento. Fino a questo momento l’unica regolamentazione di riferimento era la Convenzione di Londra del 2 Novembre 1973, MARPOL 73/78, obsoleta al riguardo in quanto realizzata basandosi su traffici allora molto più limitati rispetto agli attuali e quindi con la possibilità di pericoli per l’ambiente minori. La MARPOL è stata la prima, a livello internazionale, a fissare un insieme di regole e disposizioni volte a prevenire l’inquinamento marino provocato da idrocarburi, da sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa, da sostanze pericolose trasportate in appositi contenitori, da acque nere e rifiuti e ad evitare l’inquinamento atmosferico causato da navi. Nel corso degli anni questa Convenzione ha assunto un ruolo di primaria importanza per la tutela ecologica dei mari; essa cerca di regolamentare tutte quelle sostanze che, immesse nell’ambiente marino, possono mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse biologiche e all’ecosistema. In tal senso, la Convenzione in esame si segnala per avere introdotto una dettagliata normativa diretta ad eliminare, ridurre e prevenire l’inquinamento marino derivante dall’immissione volontaria o accidentale di tutte le sostanze che siano in grado di nuocere o comunque mettere in pericolo la salute umana, le risorse biologiche, le bellezze naturali e, in generale, le attività connesse con i legittimi usi del mare. Il Governo italiano ha dato attuazione alla Direttiva CE n. 59/2000 relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 182, che abroga l’art. 19, comma 4 bis del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n. 22. Tale Decreto Legislativo ha costituito uno strumento normativo attraverso il quale il legislatore, su proposta del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha introdotto una disciplina ad hoc sui rifiuti riferendosi al contesto marittimo e portuale. Il decreto in questione è composto di 16 articoli e 4 allegati. Obiettivo primario che il legislatore intende perseguire con l’emanazione del D. Lgs. 24 giugno 2003, n. 182 è ridurre gli scarichi in mare, in particolare quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi che scalano i porti nazionali. Non ultimo, migliorare la disponibilità e l’utilizzo degli impianti portuali di raccolta dei citati rifiuti e residui.

Per questo motivo il Decreto 182/2003 impone alle Autorità portuali[1] l’obbligo di elaborare un «piano di raccolta e gestione dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi» e di dotarsi di impianti e di servizi portuali di raccolta dei rifiuti e dei residui del carico adeguati in relazione alla classificazione del porto o del traffico registrato nell’ultimo triennio.

  • Tale piano deve contenere una serie di punti riconducibili a tre distinte fasi:
  1. la composizione del quadro conoscitivo relativo alle attuali modalità di gestione dei rifiuti;
  2. la pianificazione del sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti
  3. la definizione del modello gestionale organizzativo e deve essere aggiornato ed approvato almeno ogni tre anni, in coerenza con la pianificazione regionale in materia di rifiuti e comunque in presenza di significativi cambiamenti operativi nella gestione del porto.

L’entrata in vigore del D. Lgs. 182/03, ha provocato notevoli disagi e disguidi, infatti dal 2003 ad oggi sono state innumerevoli le interpretazioni e le deroghe illegittime non conformi alla legislazione vigente. Precedentemente all’entrata in vigore del D. Lgs. 182/03, la normativa nazionale in materia portuale si era pronunciata con la legge 28 gennaio 1994, n. 84, la quale si è resa necessaria in quanto il Codice della navigazione non appariva più idoneo, da solo, a definire adeguatamente il bene porto. Essa ha profondamente mutato il quadro normativo e culturale della pianificazione delle aree portuali, nella consapevolezza dell’importanza da questa assunta per uno sviluppo coerente delle dinamiche complessive dei porti, delle azioni imprenditoriali che in essi si sviluppano e del rinnovato rapporto con la città.

La legge 28 gennaio 1994, n. 84, di riordino della legislazione in materia portuale ha previsto l’istituzione per i porti maggiori delle Autorità Portuali, enti aventi personalità giuridica che svolgono attività sostitutiva e integrativa e, in ogni caso, ausiliaria dello Stato, perseguendo la finalità di attuare la gestione dei porti con la partecipazione delle strutture pubbliche e private interessate. Per i rimanenti porti vengono mantenute le Autorità Marittime, organi periferici del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

  • Detta legge detta inoltre nuove norme nelle seguenti materie:
  1. la classificazione dei porti, con connessa nuova normativa in materia di piani regolatori portuali e di realizzazione di nuove opere;
  2. le prestazioni dei lavoratori portuali (operazioni portuali), superando il regime della riserva di cui all’art. 110 del codice della navigazione e lo svolgimento delle operazioni portuali e delle concessioni di aree portuali e banchine.

In seguito divenendo necessario adottare misure relative alla gestione e alla distruzione dei rifiuti alimentari prodotti a bordo di mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali, quali scarti inutilizzabili per il consumo o la trasformazione, assicurando una adeguata protezione dal rischio di introduzione nel territorio nazionale di malattie degli animali, con particolare riguardo alle pesti suine, attraverso tali rifiuti, quando sbarcati dai citati mezzi di trasporto e considerata, altresì, l’esigenza di favorire l’impiego di vasellame e stoviglie riutilizzabili nonché l’effettivo utilizzo di tali beni, in attuazione dell’obiettivo della riduzione della produzione dei rifiuti, il Ministero della Sanità di concerto con il Ministro dell’Ambiente un decreto concernente le “Misure relative alla gestione e alla distruzione dei rifiuti alimentari prodotti a bordo di mezzi di trasporto che effettuano tragitti internazionali”.

Quindi, concludendo, a partire dal 1994 in poi l’ambito portuale è diventato sempre più una realtà concreta e reale a cui si sta cercando di dare regole e procedure operative atte a difendere l’ambiente marino e terrestre all’interno del quale si sviluppa. L’inquinamento e i rifiuti superano la capacità del pianeta di assorbirli e trasformarli e produrre meno rifiuti è diventata una necessità improrogabile, con la quale tutti dobbiamo fare i conti  in quanto dobbiamo avviarci verso uno sviluppo più sostenibile delle risorse, dove per sviluppo sostenibile si deve intendere una forma di sviluppo non solo economico ma anche sociale in cui la crescita economica avviene entro i limiti delle possibilità ecologiche degli ecosistemi e della loro capacità di soddisfare i bisogni delle generazioni future.

La gestione dei rifiuti delle navi è una tematica molto complessa in quanto poco si sa su quest’argomento anche perché ogni Porto è una realtà a sé e non esistono dati globali sia a livello nazionale che a livello comunitario. A livello legislativo solo da pochi anni si è affrontato il problema con un’ottica diversa, con l’obiettivo di promuovere il rispetto dell’ambiente e l’incentivo di sviluppare questo ambito per ricavare un guadagno e sfruttare anche i rifiuti delle navi come “risorsa” e non come semplici rifiuti da distruggere. I dubbi e i problemi affrontati con l’entrata in vigore della nuova normativa, a partire dalla Legge 28 gennaio 1994, n. 84 per arrivare al Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 182, sono stati tanti e tanti ancora destano problemi proprio perché si è andato a legiferare e rinnovare un ambito rimasto arretrato nel tempo e che necessitava di un miglioramento e di una spinta verso una politica maggiormente volta al rispetto dell’ambiente.

 


[1] Le Autorità Portuali istituite sono quelle per i porti di Ancona, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia, Genova, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Napoli, Palermo, Ravenna, Savona, Taranto, Trieste, Venezia.