Misure di sicurezza militari

Versione stampabileVersione stampabile

Le disposizioni della legge penale comune relative alle misure di sicurezza si osservano anche in materia penale militare (art. 74 c.p.m.p.) salvo talune deroghe, la più notevole delle quali riguarda la «sospensione, durante il servizio militare, della esecuzione delle misure di sicurezza» ordinate sia in applicazione della legge penale militare, sia in applicazione della legge penale comune, tranne – aggiunge la disposizione (art. 76 c.p.m.p.) – che si tratti di misure «curative» (ricovero in una casa di cura e di custodia o in un istituto psichiatrico giudiziario) o di «confisca». Ne risulta che la sola misura detentiva di sicurezza che è sospesa è la «assegnazione ad una colonia agricola o casa di lavoro», quando, si intende, essa non sia connessa a condanna che comporti la degradazione. 

Le misure personali non detentive sono tutte sospese; esse infatti appaiono incompatibili con gli obblighi militari (divieto di soggiorno) o con il servizio militare (libertà vigilata). 

Delle misure patrimoniali, solo la cauzione di buona condotta è soggetta a sospensione; non vi è ragione di sospendere la confisca, che concerne non la persona, ma le cose.

Come abbiamo avuto modo di vedere, parlando di misure di sicurezza, il legislatore comune prevede una sola ipotesi di sospensione l’esecuzione di una misura di sicurezza applicata a persona imputabile è sospesa se questa deve scontare una pena detentiva, e riprende il suo corso dopo l’esecuzione della pena (art. 212 c.p.). Unica causa di sospensione è dunque la pena detentiva, la cui espiazione fa si che si apra una parentesi nella esecuzione della misura e che quest’ultima continui il suo corso a pena espiata.

Il legislatore militare, invece, affianca alla pena detentiva, quale causa di sospensione della misura di sicurezza, anche il servizio militare (art. 76, 1° comma c.p.m.p.). E’ sempre l’interesse all’integrità e alla piena efficienza delle Forze Armate che ha il sopravvento su ogni altra considerazione e che induce il legislatore a predisporre accorgimenti idonei, diretti ad evitare, quanto più possibile, di sottrarre al consorzio militare dei membri validi ed effettivi: ciò, beninteso, compatibilmente con lo stato del soggetto e con il tipo delle misure di sicurezza, poiché vi sono misure (quali ad esempio, quelle curative) la cui esecuzione non è dilazionabile ed esige una precedenza assoluta. 

 

La sospensione riguarda, beninteso, soltanto determinate misure di sicurezza, e cioè quelle rieducative applicate a soggetti imputabili e conseguenti a condanna che non importi la degradazione: non invece, evidentemente, le misure di sicurezza curative (ospedale psichiatrico giudiziario, casa di cura e di custodia) e quelle che siano collegate a una declaratoria di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere. Escluse dalla sospensione sono altresì, per altra ragione, le misure di sicurezza patrimoniali (confisca): la loro esecuzione non è infatti ostacolata dal servizio militare (o meglio, non costituisce ostacolo al regolare compimento del servizio militare).

Il legislatore militare poi esplicitamente risolve il quesito se il servizio militare abbia efficacia sospensiva solo nei confronti delle misure ordinate in applicazione della legge penale militare o anche nei confronti delle misure ordinate in applicazione della legge penale comune: l’efficacia sospensiva si estende anche a queste ultime; nulla infatti giustificherebbe una diversa soluzione, dal momento che le misure di sicurezza non mutano natura e disciplina a seconda che vengano ordinate in applicazione dell’una o dell’altra legge. 

L’art. 76, 2° comma c.p.m.p. dispone che “alla cessazione del servizio alle armi, o durante l’esecuzione della misura di sicurezza, anche prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge, il Ministro di Giustizia può revocare la misura di sicurezza applicata dal giudice, o, quando trattasi di misura di sicurezza detentiva, sostituirla con altra no detentiva”. 

Peraltro il predetto comma deve ritenersi non più applicabile per il combinato disposto degli artt. 69 legge 26 luglio 1975 n. 354 (come modificato dall’art. 21 legge 10 ottobre 1986, n. 663) e D.L. 27 ottobre 1986, n. 700 (convertito in legge 23 dicembre 1986 n. 897[1].

Il combinato disposto di tali norme devolve, quindi, al magistrato militare di sorveglianza ogni competenza in materia di revoca delle misure di sicurezza e quindi implicitamente e da ritenersi abrogato dalla nuova normativa l’art. 76, 2° comma c.p.m.p. 

Un’altra singolarità, nell’applicazione delle misure di sicurezza, riguarda la disciplina di talune specifiche misure di sicurezza, quali:

 Alcuni considerazioni:

  • C’è da chiedersi se nel consorzio militare possano verificarsi ipotesi di pericolosità sociale ? 
  • Se siano concepibili nel diritto penale militare certe forme di delinquenza qualificata (abitualità, professionalità, tendenza a delinquere) a cui si ricollegano le misure di sicurezza applicabili ?
  • Se sia compatibile la misura di sicurezza (sia essa curativa o rieducativa) col servizio militare ?

Non si può dire che questi sono quesiti oziosi e fuor di luogo. Essi scaturiscono infatti da talune osservazioni non prive di rilievo.

La pericolosità sociale è una nozione foggiata dal legislatore comune e prevista in relazione ai reati comuni, tuttavia anche dal reato militare può validamente scaturire un giudizio di pericolosità sociale: lo si deduce chiaramente dal disposto dell’art. 203 c.p., il quale (richiamando l’art. 202 c.p.) pone come presupposto della pericolosità sociale la commissione di un «fatto preveduto dalla legge penale come reato». Il legislatore usa il termine «legge» (s’intende: penale) e termine «reato» in senso lato , includendo quindi, in virtù dell’art. 16 c.p., anche la legge penale militare ed il reato militare.

I reati militari si raggruppano in due categorie chiaramente differenziate: quella dei reati esclusivamente militari e quella dei reati non esclusivamente militari.

La commissione di un reato della prima categoria non pare costituire sintomo di una pericolosità di ordine generale: trattandosi di reato esclusivamente militare, la probabilità di commissione di altri reati non può attenere che ad un reato militare, poiché la capacità a delinquere resta circoscritta nell’ambito della violazione di interessi esclusivamente militari.

La commissione di un reato della seconda costituisce, per contro, sintomo di una pericolosità di ordine generale poiché offende, accanto a un interesse militare, un interesse comune, e rivela pertanto nel soggetto una attitudine a violare la legge penale comune oltreché la legge penale militare.

Le espressioni più caratteristiche dei comportamenti criminosi dei soggetti alle armi possono ripartirsi, in linea di massima, nel seguente modo: 

  1. fenomeni delinquenziali capaci di rilevare la inadattabilità del soggetto alle forme di società militare (categoria comprendente le ribellioni all’ambiente militare o le deviazioni nell’adattamento all’ambiente militare, e coincidente, grosso modo, con quella dei reati non esclusivamente militari); 
  2. manifestazioni di criminalità rispetto alle quali l’ambiente militare gioca un ruolo di mera occasionalità, ponendosi come una delle condizioni più favorevoli predisponenti al delitto (categoria coincidente, grosso modo, con quella dei reati non esclusivamente militari); 
  3. fatti in cui si scorge la presenza di elementi di natura politica in senso lato e che possono presentare o il segno dell’inadattabilità o quello del rapporto di mera occasionalità fra delitto e ambiente (tradimento, spionaggio, crimini internazionali, collaborazionismo).

 Queste considerazioni offrono una conferma di massima alla distinzione precedentemente prospettata.

 


[1] La prima norma ha attribuito alla competenza del magistrato di sorveglianza l’applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza; la seconda norma ha stabilito che per le funzioni e i provvedimenti del magistrato militare di sorveglianza si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 69 predetto.