L'inquinamento marino: la legislazione nazionale

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Sono passati oltre sedici anni da quello che è considerato il più grave disastro ambientale del Mediterraneo: l’affondamento della Haven e lo sversamento di decine di migliaia di tonnellate di idrocarburi nel mare ligure. Ci sono voluti altri incidenti, dalla Erika alla Prestige perché si cominciasse a prendere in considerazione la possibilità di dotarsi di una normativa più avanzata in questo settore e sono tuttora in esame una serie di misure per rendere più sicuro il trasporto di prodotti petroliferi lungo le coste europee e mediterranee.

L'Italia per motivi geografici, trattandosi di un Paese posto al centro di un mare semi-chiuso di grande interesse strategico e particolarmente vulnerabile sotto il profilo ambientale è parte contraente di quasi tutti i trattati in materia di protezione dell'ambiente marino aventi un'applicazione generale. Per ciò che concerne la tutela del mare alcuni riferimenti normativi sono d’obbligo. L’Italia è uno degli Stati che ha ratificato la Convenzione di Barcellona sulla tutela del mare mediterraneo, e si attiene a quelle che sono le linee guida della convenzione Marpol sull’inquinamento dei mari attraverso le sostanze tossiche ed inquinanti. Sul piano regionale una speciale considerazione merita la già menzionata convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo contro l'inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976), un trattato-quadro, cui hanno fatto seguito quattro protocolli applicabili a specifici settori ambientali. Altri accordi, aventi un ambito di applicazione più ristretto riguardano l'Adriatico (accordo con la Jugoslavia, firmato a Belgrado, il 14 febbraio 1974), lo Jonio (accordo con la Grecia, firmato a Roma il 6 marzo 1979) e il Mar Ligure (accordo con la Francia e Monaco, firmato a Monacpo il 10 maggio 1976.

La necessità di uniformare la normativa nazionale con quella internazionale e al fine di colmare numerosi vuoti legislativi, a partire dalla metà degli anni '70 diversa è stata la normativa prodotta.

La legge n. 979 del 31.12.1982, meglio nota come “legge sulla difesa del mare”, nella parte finale del I comma dell’art.6, riferendosi alle caratteristiche dei mezzi navali da acquisire per il disimpegno del servizio di vigilanza dalla stessa previsto con l’art. 2, lett. c), stabilisce che tali mezzi “dovranno essere progettati ed attrezzati anche (...) per operazioni antinquinamento”.

Con il D.M. 20.5.83,  come è noto, sono state successivamente determinate le suddette caratteristiche, sulla base delle quali sono stati poi realizzati i Pattugliatori d’Altura della classe “Cassiopea”. Questi ultimi, dunque, possono essere impiegati (come è già avvenuto in passato) in interventi per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti e, in tale eventualità, sono chiamati ad operare nell’ambito dell’organizzazione di “pronto intervento” che in questi casi viene attivata in forza delle disposizioni contenute negli articoli 10 e 11 della suddetta legge 979/82.

Va ricordato che tali disposizioni devono essere lette, ovviamente, alla luce dell’art.10, comma I, della Legge n. 537 del 24.12.93 e del correlato D.M.19.1.94, con i quali sono state trasferite al Ministero dell’Ambiente tutte le funzioni in materia di tutela e difesa dell’ambiente marino in precedenza attribuite al soppresso Ministero della Marina Mercantile. A seguito di tali provvedimenti normativi è, quindi, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che provvede, nel quadro del Servizio Nazionale di Protezione Civile, d’intesa con le altre amministrazioni civili e militari dello Stato e mediante il concorso degli enti pubblici territoriali, alla organizzazione del pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti.

Più precisamente, nel disimpegno di tale delicata competenza, il Ministero dell’Ambiente si avvale, a livello centrale, del Servizio Difesa Mare (DIFMAR)  (ora Direzione Generale per la Protezione della Natura) e dell’Istituto Centrale di Ricerca Applicata al Mare (ICRAM), entrambi istituiti presso lo stesso Ministero.

A livello periferico, organi  funzionalmente dipendenti, in questo specifico campo, dal Dicastero dell’Ambiente sono, invece, le Capitanerie di Porto, alle quali la normativa vigente assegna il compito di attuare il c.d. “pronto intervento”, in stretto contatto con i Centri Operativi Periferici esistenti presso i Servizi Supporto Navale (S.S.N) delle Direzioni Marittime.

L’art.11, comma I, della L. 979/82 stabilisce, infatti, che “nel caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento delle acque del mare causato da immissioni, anche accidentali, di idrocarburi o di altre sostanze nocive, provenienti da qualsiasi fonte e suscettibili di arrecare danni all’ambiente marino, al litorale e agli interessi connessi, l’Autorità Marittima nella cui area di competenza si verifichi l’inquinamento o la minaccia di inquinamento, è tenuta a disporre tutte le misure necessarie, non escluse quelle per la rimozione del carico o del natante, allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli”.

In particolare, come specificato dal II comma dello stesso articolo 11, qualora l’inquinamento in atto o la  minaccia di inquinamento sia tale da determinare una situazione di emergenza, il Capo del Compartimento Marittimo (vale a dire il Comandante della Capitaneria di Porto) competente per territorio dichiarerà lo stato di emergenza locale, dando di ciò tempestiva comunicazione al Centro Operativo Antinquinamento (C.O.A.) del summenzionato Difmar ed assumendo contestualmente la direzione delle relative operazioni, sempre in stretto contatto con lo stesso C.O.A. e con il competente Centro Operativo Periferico (C.O.P.). Quest’ultimo, in particolare, assumerà direttamente la direzione delle operazioni qualora l’inquinamento riguardi le acque rientranti nella giurisdizione di due o più Compartimenti marittimi limitrofi.

Tramite il proprio C.O.A., a sua volta, Difmar provvederà a dare immediata comunicazione dell’avvenuta dichiarazione dell’emergenza locale al Servizio Nazionale della Protezione Civile (PROCIVILMARE).

Nel corso di tale stato di emergenza il Comandante della Capitaneria di Porto competente coordinerà le operazioni sulla base dei Piani operativi di pronto intervento locale adottati dagli stessi  Capi di Compartimento di concerto con i Prefetti e con gli organi del Servizio Nazionale della Protezione Civile, con il coinvolgimento, altresì, delle altre amministrazioni periferiche interessate. Va rilevato che qualora lo stato di emergenza locale riguardi un inquinamento che interessi anche la costa, con l’Autorità Marittima interagirà la Prefettura alla quale spetta la direzione delle operazioni di bonifica svolte sulla terraferma.

Diversa da quella sinora esaminata è l’ipotesi in cui l’emergenza derivante da un inquinamento marino sia tale da non poter essere fronteggiata con i mezzi a disposizione del  Ministero dell’Ambiente.

In questo caso, infatti, in base al D.Lgs.n.29 del 03.02.93, il titolare di tale Dicastero dovrà chiedere al Ministro per il coordinamento della Protezione Civile di promuovere la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. Una volta dichiarato tale massimo stato di emergenza, la direzione e la responsabilità di tutte le operazioni spetterà al Sottosegretario di Stato delegato alla Protezione Civile il quale opererà sulla base del Piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze nocive causati da incidenti marini, adottato dagli Organi del Servizio Nazionale per la Protezione Civile ed approvato con il D.M. 11.01.93. Tale Piano, in particolare, costituisce il “terzo livello temporale” di quello che può essere considerato come un unico piano operativo nazionale che vede ai primi due livelli, rispettivamente, i “Piani di pronto intervento locale” delle singole Capitanerie ed il “Piano di pronto intervento per la difesa del mare e delle zone costiere dagli inquinamenti causati da incidenti” approvato, quest’ultimo, con D.M.03.3.87, dall’allora Ministro della Marina Mercantile.

La dichiarazione dello stato di emergenza nazionale antinquinamento costituisce, in generale, la naturale conseguenza di una situazione di “grande inquinamento”, intendendosi, come tale, quello difficilmente contenibile e/o che coinvolga, a causa dell’estensione della zona interessata, più Centri Operativi Periferici ovvero che minacci tratti di costa e/o di litorale di particolare pregio e valore. A prescindere da valutazioni di carattere economico/ambientale, rientra, altresì, nella nozione di “grande inquinamento” anche l’immissione in mare di sostanze che costituiscano seria minaccia per l’incolumità e la salute delle popolazioni rivierasche.

Inoltre, per quanto riguarda, in particolare, lo sversamento di idrocarburi, esiste un limite quantitativo, pari a 1.000 metri cubi, al di sopra del quale le immissioni sono convenzionalmente considerate  “grandi inquinamenti”.

Sotto il profilo organizzativo, nel caso di emergenza nazionale, viene attivato, presso il Dicastero della Protezione Civile, il Centro Operativo Emergenza in Mare (C.O.E.M.) che ha il compito di seguire continuamente l’evolversi della situazione acquisendo tutti i dati e le notizie utili per consentire al titolare del Dicastero stesso di disimpegnare al meglio la propria attività direttiva e di coordinamento di tutte le forze impegnate.

Nello svolgimento di tale delicata attività, il Ministro per il coordinamento della Protezione Civile si avvale, altresì, a livello periferico, dei Centri Operativi Periferici e dei Capi di Compartimento Marittimo mentre, a livello centrale, di notevole ausilio risulta l’opera svolta dal Comitato Tecnico - Scientifico (previsto dal D.M.11.8.90) e dal C.O.A. di Difmar, a sua volta collegato al Centro Nazionale di Coordinamento e Raccolta Dati (esistente presso lo stesso Difmar) ed alla Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Maricogecap).  

Un’ulteriore ipotesi di emergenza che può verificarsi è, infine, quella in cui si renda necessaria l’attuazione di un intervento antinquinamento in acque internazionali al fine di scongiurare la possibilità di danni alle coste ed all’ecosistema delle nostre acque territoriali e interne. Tale intervento è previsto e disciplinato, a livello internazionale, dalla Convenzione di Bruxelles del 1969, meglio nota come “Intervention 69”, alla quale è stata data regolare attuazione nell’ambito del nostro ordinamento giuridico.

In particolare, l’art.1 del D.M.25.9.95, in considerazione della particolarità e delicatezza dell’intervento in alto mare e della complessità degli interessi che, in questo caso, possono essere coinvolti, ha precisato che la relativa decisione deve essere adottata dal Ministero dell’Ambiente solo previa intesa con i Ministeri degli Affari Esteri e della Difesa e sentiti il Ministero dei Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato.

Una volta adottata tale decisione, la direzione delle operazioni sarà assunta dal Direttore Generale per la Protezione della Natura (o da un suo delegato) il quale, qualora l’intervento risulti alquanto  complesso, si avvarrà dell’opera del Comitato Permanente Interministeriale di Pronto Intervento (previsto dal D.P.R.504/78) che, in questo caso (come in altri di una certa gravità), viene convocato d’urgenza tramite il C.O.A. dello stesso Dicastero.

L’attivazione, nei diversi stati di emergenza sopra esaminati, della struttura organizzativa del “pronto intervento” antinquinamento, per poter produrre risultati soddisfacenti, deve essere necessariamente connotata, come è ovvio, dal requisito della tempestività. A tal fine, il Protocollo I alla Convenzione Marpol 73/78 e l’art.12 della L. 979/82 prevedono che nel caso di avarie o incidenti suscettibili di arrecare danno all’ambiente marino attraverso lo sversamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive o inquinanti, il comandante, l’armatore o il proprietario della nave debbano  informare, senza indugio, l’Autorità Marittima più vicina al luogo del sinistro, adottando, nel contempo,  “ogni misura che risulti al momento possibile per evitare ulteriori danni ed eliminare gli effetti dannosi già prodotti”.

In questo caso i summenzionati soggetti vengono diffidati ad adottare le suddette misure dalla stessa Autorità Marittima la quale, nel caso in cui  tale diffida resti  senza effetto ovvero non produca gli effetti sperati entro un termine a tal fine assegnato, provvederà ad eseguire gli interventi necessari per conto dell’armatore o del proprietario, recuperando poi dagli stessi le spese sostenute.

Nei casi di comprovata urgenza, tuttavia, l’Autorità Marittima adotterà tali interventi, sempre per conto dell’armatore o del proprietario, anche in assenza della preventiva diffida.

Va aggiunto che, al fine di rendere gli interventi antinquinamento “mirati” e, quindi, efficaci,, le segnalazioni circa la presenza in mare di sostanze inquinanti dovranno essere quanto più possibile dettagliate con riferimento, in particolare, alle condimeteo in atto, alla esatta posizione ed estensione della “macchia”, alla natura, alla quantità ed alla denominazione tecnica delle sostanze sversate. Nel caso di trasporto in colli, inoltre, occorrerà fare riferimento anche al tipo ed alle condizioni dell’imballaggio, indicando, altresì, il nome del fabbricante, del caricatore e del destinatario del carico.

Tali dati, nel caso in cui a ciò non provveda la nave che ha provocato l’inquinamento, dovranno essere forniti, ove possibile, da chiunque rilevi l’immissione in mare di sostanze inquinanti. Infatti, va ricordato che l’obbligo di segnalare uno stato di inquinamento marino sussiste non solo a carico dei soggetti individuati dalle summenzionate disposizioni normative, ma anche dei Comandanti di qualsiasi unità aeronavale, civile o militare.