Pirateria

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L'immunità in alto mare dalla giurisdizione di Stato diversi da quello della bandiera è completa per le navi da guerra e per le navi appartenenti ad uno stato o da esso gestite e impiegate esclusivamente per un servizio pubblico non commerciale (Cnudm, artt. 95-96). Nel caso di navi private sono invece previste alcune eccezioni al «diritto di interferenze» in alto mare a bordo di navi straniere.

La prima di tali eccezioni è, secondo norme da lungo tempo affermatesi, la «Pirateria» che consiste in uno qualsiasi dei seguenti atti:

  1. ogni atto illecito di violenza, detenzione o depredazione commesso dall'equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, che agiscono per fini privati, e diretto contro un'altra nave o aeromobile o contro persone e beni che si trovano a bordo e compiuto in alto mare o in un luogo non sottoposto alla giurisdizione di alcuno Stato (es., coste dell'Antartide);
  2. ogni atto di partecipazione volontaria all'utilizzazione di una nave o aeromobile, quando il suo autore ha conoscenza del fatto che si tratta di una nave o aeromobile pirata;
  3. ogni atto avente lo scopo di incitare a commettere gli atti sopra elencati o compiuto nell'intento di facilitarli (art. 101, Cnudm).

Sono "assimilati" agli atti commessi da una nave privata quelli compiuti da una nave o aeromobile militare il cui equipaggio si sia ammutinato. Il semplice ammutinamento non seguito dall'abbordaggio di un'altra unità non rappresenta tuttavia, di per sé, una forma di pirateria.

Tutti gli atti compiuti da navi pubbliche sono imputabili allo Stato e determinano, se del caso, la responsabilità dello Stato che abbia violato norme di diritto internazionale.
Tutti gli Stati in alto mare, attraverso le loro "navi da guerra" o "destinate a un servizio pubblico", sono autorizzati per un’antica norma di diritto consuetudinario, codificata a Ginevra e poi a Montego Bay, ad effettuare la cattura di qualsiasi nave pirata, arrestare i responsabili e sequestrare i beni che si trovano a bordo, in ragione dell’altissima pericolosità sociale di questo crimine.
La potestà punitiva nei confronti dei "pirati" passa così allo Stato cattore, le cui norme penali interne acquistano efficacia universale, estendendosi lecitamente oltre i propri ordinari confini.

Proprio il fatto che ogni Stato, anche se le sue navi non sono state oggetto di atti lesivi, sia investito del diritto di catturare e giudicare il pirata ha ispirato l'opinione che la pirateria costituisca una ipotesi di «crimen juris gentium», che offende la comunità internazionale nel suo insieme.
A ben vedere, le numerose condizioni prescritte dalle norme sopra citate hanno l'effetto di rendere particolarmente difficile l'acquisto della... «qualità di pirata». Gli attuali predoni del mare, che pure non sono scomparsi, hanno spesso l'accortezza di compiere i loro atti non in alto mare, ma preferibilmente entro le acque territoriali di uno Stato, di solito sprovvisto di adeguati mezzi di controllo, così da evitare il rischio di poter essere in seguito catturati in alto mare da qualsiasi altro Stato.
Non costituiscono peraltro pirateria gli atti di violenza o depredazione posti in essere ai danni di un'altra nave per "finalità politiche". Da questo punto di vista, nel noto caso del dirottamento della nave da crociera italiana «Achille Lauro» avvenuto in acque internazionali il 7 ottobre 1985 ad opera di una fazione palestinese, la pirateria non poteva venire configurata, sia a causa dei fini politici che avevano ispirato l'azione criminosa, sia per il fatto che i terroristi erano già dall'inizio imbarcati come passeggeri, venendo così meno il requisito della duplicità delle navi (nave pirata contro nave vittima).
Per porre rimedio alle lacune della normativa internazionale messe in evidenza nel caso dell'Achille Lauro, è stata conclusa a Roma il 10 marzo 1988, sotto gli auspici dell'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), la "Convenzione sulla repressione di atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima".  Le sue norme si applicano ad un'ampia gamma di atti di violenza commessi per finalità politiche o terroristiche a bordo di una nave privata, che difettando del requisito dell'aggressione di una nave ai danni dell'altra, non possono essere considerati come pirateria.

Le ipotesi criminose previste dalla Convenzione sono:

  1. atti di violenza e minaccia per impadronirsi di una nave o causare danno ad una persona imbarcata;
  2. distruzione di una nave o danni al carico o installazioni a bordo;
  3. comunicazione dolosa di informazioni marittime erronee.

La Convenzione si applica nel caso in cui le azioni suindicate, che debbono essere commesse per mettere in pericolo la sicurezza della navigazione, vengano compiute quando la nave è in acque site «al di là dei limiti esterni del mare territoriale di un solo Stato» o, in base alla sua rotta, stia per navigare in tali acque o provenga dalle stesse.
Le Parti contraenti nel cui territorio si trovino gli autori del reato hanno l'obbligo di perseguirli penalmente e di estradarli in altri Stati determinati (c.d.«Stati destinatari o Stati parte») affinché le Autorità locali agiscano nei modi previsti dalla Convenzione.
La Convenzione si applica anche, in base ad uno specifico «Protocollo» aggiuntivo, concluso in pari data, sulla repressione di attività criminose commesse contro le installazioni fisse in permanenza sul fondo del mare ai fini dell'esplorazione e dello sfruttamento della piattaforma continentale.
 

  • Approfondimenti:

Un fenomeno che si credeva ormai relegato ai racconti "salgariani" ed ai film è tornato ad essere una minaccia reale per la libertà della navigazione e degli scambi commerciali via mare. La pirateria marittima sta occupando negli ultimi tempi una posizione di attenzione per l’opinione pubblica internazionale e le dinamiche degli attacchi che hanno caratterizzato i recenti eventi hanno messo in evidenza le crescenti proporzioni del problema.

Per molti anni l’area di maggiore concentrazione della pirateria è stata quella dell’Indonesia e dello stretto di Malacca ma da qualche tempo i pirati hanno spostato la loro attenzione verso l’Oceano Indiano e Golfo di Aden preso atto che in dette zone transita oltre il 10% delle forniture energetiche mondiali e gran parte del commercio marittimo tra Europa e Asia.

Il 2008 ha rappresentato il momento di maggiore visibilità della pirateria al largo delle coste somale per la frequenza degli attacchi ma soprattutto per il valore delle unità mercantile sequestrate.

Un altro aspetto sul quale è dovuta una ulteriore riflessione è relativo al possibile collegamento tra pirateria marittima e terrorismo. Infatti, sebbene i due fenomeni siano caratterizzati da fini diversi non può essere esclusa a priori una possibilità di osmosi tra i due in particolare laddove è forte e radicata una presenza ideologica e religiosa sulla quale far presa per il coinvolgimento di pirati in azioni violente di natura politica. La moderna pirateria marittima così come si sta manifestando è sicuramente in grado di fornire alle organizzazioni terroristiche capacità tecnico-operative e conoscenza dell’ambiente operativo utili agli scopi del terrorismo.

Le Monarchie petrolifere del Golfo Persico hanno recentemente denunciato la pirateria quale nuova "forma di terrorismo". Se così fosse ci troveremmo di fronte ad un nuovo fenomeno la “pirateria terroristica”.

I Paesi del Gulf Cooperation Counc

il (Consiglio per la Cooperazione tra i Paesi del Golfo Persico) hanno manifestato la propria disponibilità a collaborare per uno sforzo comune per far fronte a quello che definiscono un nuovo pericolo che minaccia la navigazione marittima e la stabilità economica e politica dell’area.

In conclusione potremmo affermare che la presenza di differenti dispositivi navali militari nell’area costituisce un sicuro deterrente per garantire una adeguata cornice di sicurezza ai trasporti via mare ma non sicuramente la soluzione del problema pirateria.