Requisiti della Reazione

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Circa i requisiti della reazione, l’art. 52 Codice penale comune richiede che quest’ultima sia «necessaria» per difendere il diritto minacciato, e «proporzionata» alla difesa. 

Perché ricorra tale scriminante occorre che la reazione sia legittima (per essere tale deve cadere sull’aggredito) e deve presentarsi come necessaria (non poteva essere evitata) ossia il soggetto è nella alternativa tra reagire o subire; occorre inoltre la inevitabilità del pericolo, nel senso che non deve essere possibile evitare altrimenti l’offesa al diritto proprio o altrui.

  

La difesa deve essere proporzionata all’offesa; proporzione che secondo la dottrina più recente deve sussistere tra il male minacciato e quello inflitto (la giurisprudenza, tra l’altro, suggerisce di tenere conto anche delle condizioni dell’aggredito, dei mezzi di cui disponeva, del tempo e del luogo dell’aggressione, ecc.). 

  • Ad esempio, la causa di giustificazione della legittima difesa non può essere invocata dal Comandante di motovedetta della Guardia Costiera che, affrontato e colpito con pugni e schiaffi da uno scafista, pur essendo più forte fisicamente, spara dei colpi di arma da fuco e lo uccide. 

La reazione è certamente proporzionata e perciò legittima quando il male provocato all’aggressore è inferiore o appena superiore a quello subito. La proporzione deve sussistere fra il male minacciato e quello inflitto nonché fra i mezzi a disposizione e quelli da lui usati. 

  • Nell’ esempio, appena fatto, non vi è proporzione né fra mezzi a disposizione e mezzi usati (mani-arma da fuoco) né fra male minacciato e male inflitto/incolumità-vita).

Anche per la legittima difesa militare il legislatore esige che la reazione risponda ai requisiti della necessità e della proporzionalità: nella determinazione concettuale di tali requisiti non vi è motivo alcuno per derogare ai principi tracciati dalla dottrina in materia di legittima difesa comune, stante la perfetta identità di formulazione legislativa su tali punti. 

Si è posto in passato il problema, se la scriminante sia applicabile a chi, potendo salvarsi con la fuga, preferisce invece difendersi. La dottrina afferma concordemente che se per il “privato“ la fuga può essere talvolta possibile senza danno morale e senza menomazione della dignità, per il “militare “ ciò non avviene, poiché la fuga nuoce al prestigio della divisa e contrasta con le regole dell’etica militare e con l’alto sentimento dell’onore, profondamente radicato nell’ordinamento militare.

Si sostiene generalmente che nella legittima difesa militare il cosiddetto «prestigio della divisa» può essere in gioco tanto nel caso che il militare aggredito fugga, quanto nel caso che reagisca: se fugge, il militare nuoce al prestigio della divisa sottraendosi ad una violenza e dando l’impressione di essere codardo; se affronta la violenza e reagisce, nuoce al prestigio della divisa ledendo l’incolumità personale di un altro militare e molto spesso l’incolumità personale di un superiore, o comunque interessi della disciplina e del servizio.

  •  Si pensi, ad esempio, ai casi di insubordinazione commessa in reazione a violenza del superiore