Il transito negli stretti

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Un cenno merita la questione relativa agli «stretti internazionali» [1] che mettono in comunicazione due parti di alto mare o due zone economiche esclusive ovvero una zona economica esclusiva ed una zona di alto mare.

Qui la Convenzione di Montego Bay ha introdotto la nozione di «passaggio in transito», la quale comporta un rilevante ampliamento dei diritti rispetto al passaggio inoffensivo, vale a dire:

  1. titolarità della libertà di sorvolo a favore degli aeromobili civili e militari;
  2. libertà per i sommergibili di navigare in immersione durante l’attraversamento dello stretto;
  3. diritto di passaggio inoffensivo “non sospendibile” per navi da guerra e mercantili.

L’art. 39 della Convenzione di Montego Bay non contiene alcuna previsione sanzionatoria a carico delle unità che violino gli obblighi di “passaggio in transito” negli stretti internazionali, effettuando, ad esempio, nel caso di navi da guerra, manovre militari o esercitazioni a fuoco, né prevede alcun diritto di uso della forza dello Stato costiero, oltre i normali mezzi diplomatici, nei confronti della nave in transito responsabile di violazioni. 

 

Regime: transito inoffensivo non sospendibile “Stretto di Messina”

Parte della dottrina ritiene eccezionalmente possibile l’uso della forza soltanto nei casi di gravissime violazioni delle regole del passaggio in transito negli stretti, quando siano addirittura in gioco gli interessi essenziali dello Stato costiero.
Del diritto di passaggio in transito negli stretti godono tutte le navi e gli aeromobili (si è invece visto che non esiste un diritto di sorvolare il mare territoriale). I mezzi in transito sono peraltro obbligati ad astenersi da ogni attività diversa dal transito continuo e rapido, secondo il loro modo normale di navigazione[2] (salvi i casi di forza maggiore o di pericolo) e, a maggior ragione, ad astenersi dal ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza contro la sovranità, l'integrità territoriale, o l'indipendenza politica degli Stati rivieraschi.
È pure fatto obbligo di osservare i regolamenti e le pratiche internazionali generalmente accettati in materia di sicurezza della navigazione e di prevenzione dell'inquinamento.
Gli Stati rivieraschi possono, quando la sicurezza delle navi negli stretti lo esiga, designare delle vie di circolazione e prescrivere dei dispositivi di separazione del traffico, che siano conformi alla regolamentazione internazionale competente (IMO).

 


[1] La nozione attualmente vigente si basa su un elemento funzionale ed uno geografico. Sono infatti considerati «stretti internazionali» le vie d'acqua usate per la navigazione internazionale, interamente coperte dalle acque territoriali dei paesi rivierashi, che mettono in comunicazione due parti dell'alto mare (es. Bocche di Bonifacio, Stretto di Messina), o una parte dell'alto mare con le acque territoriali di uno Stato straniero. Rientrano in questa categoria anche gli stretti che collegano, tra di loro o con l'alto mare o il mare territoriale, parti di ZEE. Secondo la giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia l'elemento geografico è preponderante, ai fini dell'identificazione degli stretti internazionali, rispetto al criterio funzionale del volume del traffico mercantile che passa attraverso la zona o dell'importanza della via d'acqua dal punto di vista delle rotte marine internazionali. I canali artificiali non rientrano nella nozione di stretti.

[2] Il diritto di passare secondo il normale modo di navigazione è interpretato da diversi Stati come comprendente il diritto di far transitare negli stretti i sommergibili in immersione (diversamente da quanto avviene per il passaggio inoffensivo nel mare territoriale).