Valutazione delle circostanze
Nella vecchia formulazione dell’art. 59 c.p. “Circostanze non conosciute o erroneamente supposte” (rimasta in vigore fino al 1990) le circostanze venivano attribuite in base a un criterio obiettivo per cui esse, sostanzialmente, venivano riconosciute e ciò a prescindere dall’effettiva conoscenza (o meno) del soggetto agente e se il soggetto si rappresentava per errore come esistente una circostanza, questa non veniva valutata né a suo carico né a suo favore. Si trattava di una disciplina rigida che prevedeva l’applicazione di tali circostanze per il solo fatto di esistere.
Nel 1990 poi è entrata in vigore la Legge 7 febbraio 1990 n. 19 “Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale e destituzione dei pubblici dipendenti” che ha riformulato (modificandolo) l’art. 59 del c.p. e ha stabilito che “le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”.
Il legislatore ha quindi previsto un nuovo criterio di imputazione delle circostanze, più precisamente per quelle aggravanti, che da oggettivo è stato modificato in soggettivo. Pertanto, perché tali circostanze possano essere riconosciute, occorre un coefficiente soggettivo rispettivamente costituito o dallo loro effettiva conoscenza o dallo loro colpevole ignoranza. Inalterata è invece rimasta la disciplina per l’applicazione delle circostanze attenuanti (imputazione obiettiva).
Pertanto l’applicazione delle circostanze aggravanti dipende dall’effettiva conoscenza delle stesse da parte del reo al momento della commissione del reato (o comunque dal fatto che le stesse sono state ignorate per colpa o per errore determinato da colpa) mentre l’applicazione delle circostanze attenuanti non dipende dall’effettiva conoscenza del soggetto.
La modifica introdotta trova ispirazione al principio (tutelato dalla Costituzione) della colpevolezza e per la soggettività della responsabilità penale.
Una disciplina particolare è prevista per l’ipotesi di errore sulla persona offesa da un reato. Il primo comma dell’articolo 60 c.p. “Errore sulla persona dell’offeso” stabilisce infatti che “nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole” e al secondo comma “sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti”.
- Il tipico caso è quello di un uomo che convinto di uccidere il suo nemico, per un errore di percezione, uccide un uomo che in realtà è il padre. Di certo l’uomo risponderà di omicidio semplice ma non certo di parricidio giacché per la contestazione di tale tipo di reato occorre la effettiva consapevolezza da parte del soggetto agente di uccidere il proprio padre.