Etichettatura comunitaria dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura: obblighi, sanzioni e competenze per la vigilanza

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Oltre alla fondamentale garanzia igienico-sanitaria che si cerca di garantire al consumatore, in questi ultimi anni l’Unione Europea ha messo in evidenza la necessità di garantire, in un mercato globale sempre più vasto, la corretta informazione sulla effettiva tipologia, origine e metodo di cattura del prodotto ittico immesso sul mercato prevedendo una precisa «tracciabilità» di ogni singolo esemplare lungo la filiera, ossia dal momento del suo prelievo dal luogo di origine alla sua definitiva vendita ai consumatori finali.

Al fine di assicurare al consumatore un prodotto finale con le massime caratteristiche di igiene e sicurezza alimentare, assume un’importanza determinante la «etichettatura» dei prodotti ittici, che costituisce (diciamo così) il “biglietto da visita” del pesce di fronte al consumatore.
Questa nuova metodologia di controllo fonda le sue origini sui Regolamenti (CE) nn°. 2406/96, 104/2000 e 2065/2001 e, in ambito nazionale, sul D.lgs. n° 109/92 (sull’etichettatura degli alimenti), sul D.M. 27 marzo.2002 che segue la recente regolamentazione comunitaria (in applicazione dell’art. 9 del regolamento CE 2065/2001) e istituisce il sistema di controllo sui requisiti obbligatori di etichettatura per i prodotto della pesca e dell’acquacoltura.
A fronte di questa normativa, si può porre in evidenza l’aspetto più innovativo della questione che si basa sull’esposizione da parte del negoziante, a fianco di ciascuna specie esposta per la vendita, di una "
ETICHETTA" dei prodotti ittici simile a quella delle carni bovine e delle carni di altre specie animali in genere, che precisi la denominazione commerciale della specie il metodo di produzione (cattura in mare o nelle acque interne o allevamento) e la zona di cattura, rimandando agli Stati membri la pubblicazione dell’elenco delle denominazioni commerciali autorizzate.

In altri termini, anche nel settore ittico il legislatore europeo impone l'obbligo di riportare in etichetta una serie di indicazioni specifiche che permettano al consumatore di vedere in trasparenza l'origine e il percorso compiuto da quel pesce lungo la filiera produttiva.

In questa sede si ha l’opportunità di chiarire che la “tracciabilità“ nelle sue modalità di applicazione consente di controllare se i prodotti sono organoletticamente sicuri, mentre la “etichettatura “ è prescritta solo allo scopo di dare le informazioni utili al consumatore.

Alla luce di quanto previsto dall’art. 2, punto 1 del Decreto 27 marzo 2002, sull’etichetta dei prodotti della pesca in ogni fase della loro commercializzazione, «esclusa la vendita al dettaglio», bisogna riportare

  1. la denominazione commerciale specifica del prodotto seguita dalla denominazione scientifica del prodotto, con la classica denominazione binomiale latina (es. Vongola, Venus gallina);
  2. il metodo di produzione (se di “allevamento” o “di pesca”);
  3. la zona di cattura: in questo caso, l’areale in cui il pesce è stato pescato o allevato è indicato con un numero che corrisponde ad una precisa zona geografica, come riportato nel Regolamento CE 2065 del 2001.
  • Ad esempio, se pescato – Area marittima (può essere indicato il nome del mare, es. “Mar Mediterraneo”; o la zona FAO, es. “zona 37.1”); – Nazione di pesca (se pesci di fiume); se allevato –Nazione di allevamento
  1. la data di scadenza, modalità di conservazione, ecc.

Ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, comma 2 del Decreto 27.03.2002, sull’etichetta dei prodotto ittici «in fase di vendita al dettaglio», il venditore deve riportare:

  1. la denominazione commerciale italiana. In questo caso, è facoltativo per il venditore riportare la denominazione scientifica in latino;
  2. il metodo di produzione (se “di allevamento” o “di pesca”);
  3. la zona di cattura, secondo le medesime indicazioni riportate in precedenza.

L’assenza di tale sistema visivo di identificazione del prodotto comporta una sanzione amministrativa, mentre la non veridicità di una fra le predette indicazioni si può configurare nel più grave «reato di truffa», come la recente immissione nel mercato del nord Italia di ingenti quantitativi di prodotto originario delle acque dolci della Cina, spacciato per il ben rinomato “Rossetto del Mediterraneo”

Alcune considerazioni

Il prodotto che è formalmente etichettato e che risponde positivamente ai controlli di qualità, per assurdo, potrebbe provenire da una zona o paese che invece non è quello dichiarato in etichetta. In questo caso quale sanzione si applicherà ?

Si applicherà la sanzione prevista dall’art. 18 del D.Lgs. 109/92 che va da EURO 1.600 a EURO 9.500 perché l’indicazione dell’origine non è corretta … o la sanzione prevista l’art. 1 bis del D.L. 157/2004 (convertito in legge dalla legge 3 agosto 2004 n.204) che punisce le violazioni delle disposizioni relative alle indicazioni obbligatorie nell’etichettatura dei prodotti alimentari di cui ai commi 1,2,3 che prevede anch’esso la sanzione da Euro 1.600 a 9.500 Euro e della sanzione accessoria della sospensione della commercializzazione, qualora siano commesse più violazioni (reiterazione), anche in tempi diversi.

► L’assenza della “etichetta” a fianco al prodotto ittico comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 516 € a 3.098 € (pagamento in misura ridotta 1.032 €) ai sensi dell’art. 18, comma 3 del D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 per aver violato la norma di cui all’art. 1 del D.M. 27 marzo 2002 e artt. 3, 4 e 5 Regolamento (CE) n. 2065/2001 del 22 ottobre 2001

► La non veridicità di una delle predette indicazioni può configurare l’ipotesi di reato:

  1. di cui agli artt. 56 e 640 c.p. (Truffa)
  2. di cui all’art. 515 c.p., (Frode nell’esercizio del commercio)

► La vendita di prodotti non freschi come freschi può configurare l’ipotesi di reato:

  1. di cui all’art. 516 c.p. (Vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine)
  2. di cui all’art. 444 c.p., (Commercio di sostanze alimentari nocive)
  3.  

 


Legge 30 aprile 1962, n. 283
Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 4 giugno 1962) […]
Articolo 5
E' vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari:
b) in cattivo stato di conservazione
[…]