Il Mediterraneo, essendo un mare “semi chiuso” e a cui si affacciano numerosi paesi, è continuamente sottoposto ad uno sfruttamento intenso e a volte incontrollato[1], che ha reso necessaria la realizzazione di un piano d’azione per garantire la sostenibilità della pesca.
Le misure previste nel piano di regolamentazione comprendono un approccio concertato alla dichiarazione di zone di pesca protette, l’utilizzo dello sforzo di pesca[2] come strumento principale nella gestione della pesca, il miglioramento delle tecniche di pesca in maniera da ridurre l’impatto negativo sugli stock[3] e sull’ecosistema marino, nonché la promozione della cooperazione internazionale.
La valutazione delle caratteristiche economiche dell’attività della pesca è strettamente collegata alla conoscenza dei relativi processi produttivi, connessi ai diversi sistemi e metodi di cattura delle specie ittiche, le quali sono strettamente dipendenti alle caratteristiche biologiche dei pesci.
Tutto questo fa della pesca un business sempre in crescente aumento che rischia però di depauperare l’ambiente marino se non sottoposta a regole rigide. Le risorse marine viventi devono essere gestite con attenzione, nell’ottica di assicurarne la disponibilità per le future generazioni, così da garantire uno sviluppo sostenibile per il settore.
Il mare va protetto da un eccessivo sforzo di pesca, così come dagli impatti negativi che scaturiscono da altre attività umane, in modo che la sua ricchezza possa costituire un patrimonio accessibile a tutti.
Il controllo sull'ordinato svolgimento della pesca marittima richiede, oltre alla perfetta conoscenza delle norme comunitarie e nazionali, anche quella della normativa ad esse connesse (Codice della navigazione, sicurezza della navigazione, norme a tutela degli equipaggi, norme igienico-sanitari, disciplina sul commercio dei prodotti ittici, ecc.).
Di qui l'esigenza avvertita dal legislatore a livello comunitario e nazionale di affidare al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali - Direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura, in qualita di Autorità competente ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 1224/2009, il coordinamento delle attività di controllo.
Ai fini dell'espletamento delle funzioni suindicate, il Dicastero si avvale del Corpo delle Capitanerie di porto, quale Centro di Controllo Nazionale della Pesca (CNNP).
Infatti l'art. 22 (Vigilanza e controllo) del Decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 recante “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 9622” (GU n. 26 del 1-2-2012)[4] (che ha abrogato la Legge quadro sulla pesca marittima, n. 963/1965), prevede espressamente che l’attività di controllo sulla pesca, sul commercio e sulla somministrazione dei prodotti di essa, nonché l'accertamento delle infrazioni sono affidati, sotto la direzione dei Comandanti delle Capitanerie di Porto (art. 22, n. 3 D.lgs. n. 4/2012):
Al predetto personale è riconosciuta, qualora già ad esse non competa, la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, secondo le rispettive attribuzioni, ai fini della vigilanza sulla pesca ai sensi dell'articolo 55, ultimo comma, del Codice di procedura penale.
Gli incaricati del controllo sulla pesca marittima possono accedere in ogni momento ai sensi dell’art. 22, n. 7 del D.lgs. n. 4/2012, presso le navi, i galleggianti, gli stabilimenti di pesca, i luoghi di deposito e di vendita, commercializzazione e somministrazione e presso i mezzi di trasporto dei prodotti della pesca, al fine di accertare l'osservanza delle norme sulla disciplina della pesca.
Il problema della pesca ha una grande importanza nel quadro dell’economia generale della nazione, perché questa industria può dare lavoro a molte migliaia di persone, sia nell’esercizio diretto della pesca, sia nella successiva lavorazione dei prodotti pescati e in tutte le industrie necessarie al suo funzionamento: cantieri navali, corderie, retifici, fabbriche di ghiaccio, e via discorrendo. Ma soprattutto nel campo dell’alimentazione la pesca arreca un contributo fondamentale in quanto fornisce un prodotto sano ed economico, emancipando il Paese dai mercati stranieri sui quali deve acquistare, in grandi quantità, pesce congelato.
Da quanto si è premesso risulta chiara l’importanza che la pesca riveste ed è quindi naturale l’intervento dello Stato con norme di legge e con i suoi organi, allo scopo di:
Il settore della pesca è attualmente di competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali – Direzione Generale della pesca e dell’acquacoltura e quindi dei suoi organi periferici che devono necessariamente essere a conoscenza delle norme al fine di poter esplicare in servizio una severa ed efficace vigilanza nel settore.
Per pesca in genere si intende…
Si intendono, perciò, per prodotti della pesca non solo quelli destinati all'alimentazione (pesce, crostacei, molluschi, ecc.) ma anche quegli altri come il corallo, le perle, le spugne, le tartarughe, ecc dai quali si traggono oggetti di ornamento o di uso domestico.
Bisogna, inoltre, procedere ad una distinzione della pesca per quanto riguarda il «fine perseguito», i «luoghi» nei quali si esercita, i «mezzi» adoperati per esercitarla.
La prima ripartizione da fare è quella che, tenendo conto del “luogo” nel quale si esercita la pesca, distingue:
Questa distinzione è importante perché l’esercizio della pesca è regolato diversamente pure esistendo alcune disposizioni generali comuni.
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[1] Una ricerca sulla pesca condotta di recente dalle Lega Pesca Sicilia ha dichiarato che la produzione ittica mondiale è raddoppiata negli ultimi 30 anni ed ora si attesta a circa 137 milioni di tonnellate. L’Unione Europea ha registrato un aumento modesto dal 1970 (circa 1%) mentre la produzione della Cina, il maggiore produttore mondiale con il 35% del totale, è aumentata di quattordici volte nello stesso periodo. Al primo posto fra i paesi dell’UE vi è la Spagna con 1.520.012 tonnellate di produzione, seguita da Danimarca, Gran Bretagna, Francia e Olanda. L’Italia è solo al sesto posto fra i paesi con 545.523 tonnellate di produzione. Con una produzione di oltre 8 milioni di tonnellate, provenienti sia dalla pesca che dall’acquacoltura, l’Unione Europea è, comunque, la terza potenza mondiale nel settore della pesca, dopo la Cina e il Perù. Nondimeno, pur avendo esportato 1,6 milioni di tonnellate di prodotti della pesca, l’UE ha dovuto importare 4,3 milioni di tonnellate per sopperire al proprio fabbisogno interno.
[2] Lo sforzo di pesca è definito come il prodotto della capacità di pesca e dell'attività di pesca, quest'ultima calcolata in base al tempo trascorso in una zona determinata. La capacità di pesca può essere quantificata sulla base di due tipi di indicatori principali: le caratteristiche del peschereccio; le caratteristiche degli attrezzi da pesca.
[3] Stock indica l’insieme degli individui di una popolazione ittica sfruttabili alla pesca. Si possono considerare come sottoinsiemi di una popolazione ittica che vivono in un’area delimitata (es. ampio golfo o area delimitata da una particolare conformazione della costa).
[4] L’art. 27 del Decreto Legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 recante “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96” (GU n. 26 del 1-2-2012) ha abrogato la Legge 14 luglio 1965, n. 963 e l'articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639 (Regolamento di esecuzione).
[5] Le Amministrazioni regionali e provinciali e chiunque vi ha interesse possono nominare, mantenendoli a proprie spese, agenti giurati da adibire alla vigilanza sulla pesca. Gli agenti debbono possedere i requisiti previsti dalle leggi di pubblica sicurezza e prestare giuramento davanti al Sindaco del Comune. La loro nomina, previo parere favorevole del Capo del Compartimento marittimo, avviene secondo le norme previste dalle leggi di pubblica sicurezza
La pesca è un'attività produttiva caratterizzata da alcune singolarità non identificabili in altri ambiti del sistema economico e da questo ne deriva la sua particolare collocazione in un settore del più ampio comparto della navigazione, disciplinato da una molteplicità di leggi di carattere sanitario, fiscale, commerciale ed amministrativo.
Molti regolamenti legislativi sono stati emanati affinché l’intero settore della pesca marittima godesse di alcune normative e allo stesso tempo potesse seguire un piano di razionalizzazione[1] per l’attività di cattura delle risorse biologiche del mare. Però la pesca è anche un settore per il quale il Parlamento europeo ha chiesto maggiore sicurezza, con riguardo agli aspetti della prevenzione, della formazione professionale e del ricorso alle tecnologie più moderne per i dispositivi del salvataggio. Trattandosi di un'attività che si svolge lontano (relativamente) dalla terraferma, alla mercé degli elementi naturali, in condizioni di lavoro difficili, quella della pesca può essere definita una professione pericolosa.
A regolamentare il settore sono intervenute anche alcune convenzioni e raccomandazioni internazionali, elaborate soprattutto dall’Organizzazione mondiale del lavoro (ILO) e dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO), alle quali l’Italia ha aderito (Londra e Torremolinos).
A queste si aggiungono le disposizioni legislative comunitarie contenute in alcune direttive sulla sicurezza dei pescherecci che, tuttavia, nell’insieme non coprono che l’11% del settore (Lpp>24 m).
L'attività della pesca marittima è regolamentata nel nostro Paese dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96” (GU n. 26 del 1-2-2012). L' art. 27 del Decreto ha abrogato la Legge 14 luglio 1965, n. 963 (Legge Quadro). (Vedi: Tavola comparativa)
[1] Il processo di pesca coinvolge tre aspetti fondamentali:
Pesca razionale significa armonizzare e controllare i tre aspetti suindicati
Cosa cambia per quanto attiene l’attività di controllo sulla pesca
del Personale delle Capitaneria di Porto-Guardia Costiera
E' di fondamentale importanza fare accenno ad alcune tra le più importanti normative nazionali che hanno disciplinato e pianificato, negli anni, l’attività di pesca:
Decreto Legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 recante “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96”. (GU n. 26 del 1-2-2012) - c.d. Legge Quadro
Legge 28 luglio 2016, n. 154 - art. 39 "Modificazioni al Decreto Lefislativo 9 gennaio 2012, n, 4 recante misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura";
D.P.R. n° 1639 del 2 ottobre 1968 “Regolamento per l'esecuzione della Legge 14 luglio 1965, n. 963, concernente la disciplina della pesca marittima” - Regolamento in vigore
E' di fondamentale importanza fare accenno ad alcune tra le più importanti normative comunitarie che hanno disciplinato e pianificato, negli anni, l’attività di pesca:
Applicazione della normativa nazionale e comunitaria (Reg. CE 1967/2006 e D.P.R. 1639/68)
E’ data la possibilità agli Stati membri di adottare misure nazionali nella fascia delle 12 miglia, purché conformi e più restrittive rispetto al diritto comunitario (Reg.CE 2371/2002, artt. 9 e 10).
Le norme nazionali che rispondono ai requisiti di conformità e restrittività si applicano solo alle unità da pesca italiane o alle persone stabilite in Italia, se la pesca non prevede l’uso di pescherecci.
Molto spesso e nella gran parte delle località marine sia italiane che straniere, la pesca viene comunque vissuta in maniera diversa, in cui solo l’esperienza di ogni singolo pescatore porta a prediligere alcuni metodi anziché altri al fine di ottimizzare l’attività di cattura.
I criteri per classificare l’attività di pesca marittima sono molteplici, ma il più usato a livello internazionale è quello che prende in considerazione la “distanza dalla costa” e per questo si è soliti distinguere tra pesca costiera (locale e ravvicinata), pesca d’altura o mediterranea e pesca d’alto mare od oceanica.
La pesca marittima è disciplinata – come abbiamo avuto modo di dire in precedenza - dalla Decreto Legislativo 19 gennaio 2012, n. 4 nonché dal Regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. n. 1639 del 2 ottobre 1968.
La pesca marittima…
...è l'attività diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in mare, svolta dagli imprenditori ittici, dai pescatori e dagli altri soggetti per i quali è responsabile, direttamente e unitariamente, lo Stato italiano secondo le pertinenti norme comunitarie ed internazionali. per finalità professionali o sportive (art. 1 commi 1 e 2 L. 153/2004). |
L'attività della pesca marittima è suddivisa in rapporto al “fine perseguito” nelle seguenti «classi di pesca»:
Il Decreto Legislativo n. 4/2012, al Capo I, art. 2, comma 1, definisce la pesca professionale «attività economica organizzata svolta in ambienti marini o salmastri o di acqua dolce, diretta alla ricerca di organismi acquatici viventi, alla cala, alla posa, al traino e al recupero di un attrezzo da pesca, al trasferimento a bordo delle catture, al trasbordo, alla conservazione a bordo, alla trasformazione a bordo, al trasferimento, alla messa in gabbia, all'ingrasso e allo sbarco di pesci e prodotti della pesca».
Sono connesse alle attività di pesca professionale, purché non prevalenti rispetto a queste ed effettuate dall'imprenditore ittico mediante l'utilizzo di prodotti provenienti in prevalenza dalla propria attività di pesca ovvero di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'impresa ittica, le seguenti attività (art. 2 comma 2):
La pesca non professionale così come la definisce l’art. 6 del D.lgs. n. 4/2012, è la pesca che sfrutta le risorse acquatiche marine vive per fini ricreativi, turistici, sportivi e scientifici. Sono vietati, sotto qualsiasi forma, la vendita ed il commercio dei prodotti della pesca non professionale.
La pesca scientifica è l'attività diretta a scopi di studio, ricerca, sperimentazione, esercitata dai soggetti indicati nel Capo III del titolo I del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639.
Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sono definite le modalità per l'esercizio della pesca per fini ricreativi, turistici o sportivi, al fine di assicurare che essa sia effettuata in maniera compatibile con gli obiettivi della politica comune della pesca.
Il Regolamento CE 302/2009 concernente “un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo che modifica il regolamento (CE) n. 43/2009 e che abroga il regolamento (CE) n. 1559/2007” annovera tra le altre le seguenti definizioni:
L’art. 9 del D.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639 con riferimento alle navi da pesca indicate nell'art. 8, ed alle categorie di pesca previste dall'art. 220 Codice della navigazione e dall'art. 408 del Regolamento per la navigazione marittima, individua i “tipi di pesca professionale” il cui esercizio rientra nell’ambito di applicazione del Regolamento stesso.
In particolare, la pesca professionale si distingue in pesca:
Per quanto riguarda la “pesca costiera”, l’art. 9 in commento puntualizza che la stessa si ripartisce in:
Il successivo art. 10 individua un’ulteriore tipologia di pesca professionale, quella che si esercita “in impianti destinati alla cattura di specie migratorie”, alla “pescicoltura” e, più in generale, all “acquacoltura”.
La «pesca d'altura» si esercita nelle acque del mare Mediterraneo, con navi da pesca di categoria non inferiore alla seconda (non inferiori a 30 TSL e con le dotazioni di sicurezza previste).
La pesca mediterranea o d’altura può essere praticata senza limiti di distanze dalla costa in tutto il Mediterraneo, si pratica tutto l’anno, tranne nei periodi in cui è obbligatorio il fermo tecnico e con cicli di pesca che vanno da trenta a quaranta giorni.
Si divide, a sua volta, in:
L’attrezzo più usato per questo tipo di pesca è lo "strascico", considerato una delle cause principali del depauperamento della popolazione ittica.
Tra le attività di pesca professionale disciplinate dal Regolamento sulla disciplina della pesca marittima è ricompresa anche «l’acquacoltura».
[1] La pesca oceanica si esercita oltre gli stretti di Gibilterra e il Canale di Suez. La pesca effettuata nel Mar Nero, oltre lo stretto dei Dardanelli (Bosforo), è considerata a tutti gli effetti “mediterranea”. La pesca oceanica può essere esercitata in tutti i Compartimenti marittimi italiani.
[2] Per quanto riguarda la pesca costiera locale, il DM 19/4/2000 ha approvato il regime definitivo di operatività fino ad una distanza di 12 miglia dalla costa nazionale. Le navi per essere abilitate alla pesca costiera locale fino a 12 miglia dalla costa devono essere conformi alle prescrizioni di sicurezza stabilite dal DM 22/6/82, previa domanda in bollo al Capo del Compartimento marittimo d’iscrizione della nave; l’autorizzazione ha una validità non superiore a tre anni, rinnovabile. La pesca costiera locale può essere esercitata nel Compartimento marittimo di iscrizione della nave da pesca e in due Compartimenti limitrofi.
[3] Con Legge 30/11/1994, n. 655 la pesca costiera ravvicinata è stata estesa definitivamente a 40 miglia con navi da pesca di stazza lorda pari o superiore a 30 tonnellate. Le navi per essere abilitate, in via sperimentale, alla pesca costiera ravvicinata fino alle 40 miglia dalla costa, devono essere conformi alle prescrizioni di sicurezza stabilite dal DPR 8/11/91 n. 435. La pesca costiera ravvicinata può essere esercitata in tutti i Compartimenti marittimi.
Tra le attività di pesca professionale disciplinate dal Regolamento sulla disciplina della pesca marittima (art. 10 – Impianti da pesca) è ricompresa, anche l’«acquacoltura».
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2135 de Cod. civile, la «acquacoltura» come definita dall’art. 3 del D.lgs. n.4/2012, è l'attività economica organizzata, esercitata professionalmente, diretta all'allevamento o alla coltura di organismi acquatici attraverso la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, in acque dolci, salmastre o marine.
Sono connesse all'acquacoltura le attività, esercitate dal medesimo acquacoltore, dirette a:
Rientrano nella pesca da impianti, quell'insieme di attività umane, distinte dalla pesca, finalizzate alla produzione controllata di organismi acquatici, esercitata mediante lo stabilimento di apprestamenti fissi o mobili, temporanei o permanenti, destinati alla (art. 10 D.P.R. n. 1639/68):
- cattura di specie migratorie;
- piscicoltura;
- molluschicoltura;
- crostaceicoltura;
- allo sfruttamento di banchi marini (alghicoltura).
L'attività acquicola e la gestione delle lagune costiere, dotate di controlli idraulici e apparati idonei alla cattura dei pesci pur se finalizzate, come è chiaro, all'incremento della produttività, costituiscono l'anello di congiunzione tra pesca in senso stretto e acquacoltura. Infatti, il passaggio dall'una all'altra si attua nel momento in cui l'intervento dell'uomo, non più limitato alla cattura o alla raccolta, si concretizza in una vera e propria attività di allevamento.
Oggi la missione dell'acquacoltura è soddisfare la crescente domanda di prodotti che la pesca oceanica non può coprire. La ricerca scientifica e tecnologica sta lavorando al fine di ampliare la gamma delle specie allevabili, di migliorare la qualità dei prodotti e di ridurre l'impatto ambientale che le attività produttive possono generare.
Le navi utilizzate dalle imprese che operano in impianti di pesca hanno un vincolo di destinazione, contenuto nell’annotazione posta sulla Licenza di pesca (“l’unità asservita ad impianto”), da cui si rileva che le stesse vengono utilizzate per un tipo di pesca diverso da quello contemplato dall’art. 11 della legge n. 388/2000.
► Si distinguono:
L'acquacoltura “estensiva“, in cui minore è l'intervento dell'uomo, si basa sull'utilizzo delle risorse trofiche degli ecosistemi confinati da parte degli organismi allevati.
Le tecniche di cattura sono poi quelle tipiche della pesca artigianale, con l'impiego di sistemi fissi o reti, trappole ed ami.
L'acquacoltura “intensiva“ in cui, invece, l'attività umana diventa determinante soprattutto per quel che riguarda la somministrazione di alimenti alle specie allevate. Essa comporta che le specie di interesse vengano allevate in vasche, al di fuori del loro ambiente naturale, o in gabbie e recinti, le aree impiegate sono inferiori rispetto all'acquacoltura estensiva, mentre aumenta notevolmente la densità di allevamento. Le specie allevate con il metodo intensivo dipendono dall'uomo che fornisce loro cibo, ossigeno e rimuove i cataboliti al fine di ottimizzarne la produzione.
Infine esiste una metodica produttiva che risulta intermedia tra l'estensivo e l'intensivo: l'allevamento “semintensivo”. L'obiettivo è quello di ottenere produzioni superiori a quelle possibili con le sole risorse trofiche naturali presenti nell'ambiente di allevamento, senza però modificare eccessivamente il territorio interessato.
L'intervento antropico viene così in questo caso limitato alla somministrazione di alimenti integrativi, alla concimazione a base di azoto e fosforo che esaltano la produttività naturale, e al mantenimento di condizioni di allevamento ottimali (scambi idrici adeguati e buoni tassi di ossigeno disciolto).
L'acquacoltura, in quanto attività innovativa, è una forma produttiva in grande espansione. La possibilità di gestione di impianti in mare aperto teoricamente non pone limiti spaziali al suo sviluppo; anche il processo di modernizzazione dell'acquacoltura coincide con un processo di crescita scientifica e tecnologica che meglio permettono di controllare le varie fasi del ciclo vitale e di mettere a punto trattamenti di qualità, nonché di intensificare le produzioni.
La normativa nazionale (art. 524 norme transitorie e complementari Cod. nav.[2]) prevede, nel caso di un’area da adibire ad impianto di maricoltura, il rilascio di una concessione demaniale e la sua delimitazione con le segnalazioni previste dal codice della navigazione e stabilite dalla capitaneria di porto e dal Maridipart di competenza.
Inoltre la Legge n. 472 del 07/12/1999 emanata dal Ministero dei Trasporti stabilisce che le unità asservite agli impianti di maricoltura in acque marine con gabbie galleggianti devono essere inquadrate come unità “per uso proprio” e quindi non assoggettate alla tenuta del Ruolino di equipaggio.
Impianti acquacoltura: estensiva e intensiva
Approfondimenti:
In Italia coesistono tipi di pesca differenti; quello che ha più legami con le tradizioni marinare italiane, è la Pesca Costiera Locale. Può essere effettuata anche dove non esistono grandi porti pescherecci, avendo bisogno soltanto di piccole baie per il ricovero delle unità e di ridotte attrezzature a terra per la manutenzione.
Ciò ha determinato nel passato la nascita dei borghi pescherecci più caratteristici. Viene effettuata generalmente entro le tre miglia dalla costa con motopesca dotate di un equipaggio di 2 o 3 persone, solitamente tra familiari. La gran parte di queste unità non ha ghiacciaia. Le uscite sono normalmente giornaliere. E’ il tipo di pesca che ha subito negli ultimi anni la più forte crisi, a causa dell’inquinamento lungo le coste e della concorrenza della pesca costiera a strascico. Il pescato è utilizzato per il fabbisogno del luogo.
La cosiddetta pesca costiera a strascico, o più propriamente, Pesca Costiera Ravvicinata, si differenzia dalla prima perché è praticata normalmente entro 20 miglia dalla costa, ma fuori dalle tre miglia. Le unità utilizzate sono dei motopescherecci di10-100 tsl, normalmente dotati di radio, ecoscandaglio, gps, computer di bordo, cellulare, radar, e di ghiacciaie per la conservazione del pescato. Le uscite durano 24-48 ore e l’equipaggio è composto di 4-6 persone, di cui gran parte familiari. Le reti che vengono utilizzate per questa pesca sono a strascico o pelagiche. Il pescato prende la via dell’Italia e dell’Europa.
La Pesca d’Altura è quella effettuata con le unità più moderne ed ha bisogno di cospicue attrezzature a terra per la manutenzione e rimessaggio. Si effettua tutto l’anno con cicli di pesca che durano 30-40 giorni, mediante motopescherecci di oltre 160 tsl, il cui equipaggio è formato di circa una dozzina di persone.
Questo tipo di pesca richiede un'attrezzatura sia per la lavorazione del pesce catturato sia per il mantenimento e conservazione. Poiché essa viene effettuata dalle unità italiane nel Mediterraneo, al largo delle coste, spesso si sono avuti contrasti con i paesi rivieraschi (Nord Africa, ex Jugoslavia).
E’ un tipo di pesca che richiede lavoro faticoso, lunghe permanenze in mare e si ricorre spesso a mano d’opera proveniente dai paesi africani. Altri tipi di pesca caratteristici sono: quelle del Pesce Spada e del Tonno che sono praticate lungo le coste sicule e calabre.
[2] L’art. 524 (Mare territoriale) delle norme transitorie e complementari cod. nav., stabilisce che per l’occupazione e l’uso di zone di mare territoriale e per l’esercizio della polizia sul mare territoriale si applicano le disposizioni stabilite per il demanio marittimo dal codice della navigazione e dal regolamento. Per le concessioni per allevamento di pesci, per coltivazione e deposito di mitili, il Capo del compartimento marittimo promuove il parere del medico provinciale per quanto concerne l’igiene e la sanità.
Le unità da pesca stabilmente destinate a servizi di impianti da pesca non sono inserite in flotta. Per la sua iscrizione occorre dimostrare il possesso di una “concessione” a mare che giustifichi il suo utilizzo.
► Circolare Comando Generale Capitanerie di porto
Lunghezza fino 5- 6 metri - potenza max 105 CV
Lunghezza fino 6-8 metri - potenza max 155 CV
Può arrivare fino a 500 CV con una stazza di 15 Tonn.
Unità adibita alla raccolta delle vongole in allevamento: V° Categoria.
► Imbarcazioni utilizzate per la raccolta dei molluschi
Rientrano nella V° categoria (registro imprese di pesca DPR. 1639 art. 63) e possono suddividersi in 4 principali tipologie:
► D.M. 29 settembre 1995 (Autorizzazione all'esercizio della pesca negli impianti di acquacoltura)
Art.1.
Art. 2.
Art. 3.
omissis.
Art. 5.
omissis
Art. 7.
Approfondimenti:
Lo sviluppo della pesca d'alto mare e, soprattutto, l'industrializzazione di questa, hanno portato alla specializzazione delle “unità da pesca” (=pescherecci), in particolare per ciò che riguarda gli impianti di bordo necessari a un buono svolgimento di questa attività.
Tra i pescherecci moderni si menzionano: quelli per la “pesca mediterranea“, piccole navi in legno o in acciaio, molto slanciate, specie verso prora, con cavallino molto pronunciato e notevole coefficiente di finezza, dotate di stive refrigerate, di uno o due radar di navigazione, di radiotelefono, eventuale ecoscandaglio; le “navi congelatrici“, variabili tra le 500 e le 2000 tonnellate di stazza lorda, destinate alla pesca oceanica operano isolatamente e sono in grado di effettuare a bordo le operazioni di pulizia e surgelamento del pescato; i “pescherecci che operano in flottiglie” attorno alle cosiddette "navi fattoria", alle quali fanno capo per scaricare il prodotto della pesca, per rifornirsi, per ottenere ogni genere di assistenza, compreso lo svago e il riposo dell'equipaggio: anch'essi destinati alla pesca oceanica, di dimensioni più modeste di quelle delle navi congelatrici, sono dotati di girobussola, pilota automatico, centrali di comando in plancia per la manovra a distanza dei verricelli e bozzelli idraulici per le reti e dell'apparato motore, ecoscandaglio per la scoperta dei banchi di pesci e sistemi per attirarli e agevolarne la cattura. Tutti i pescherecci operano usando reti.
Per il futuro si pensa anche a possibili “pescherecci sottomarini”, all'utilizzazione del sonar per determinare velocità e direzione dei banchi di pesce, mentre si fanno studi e ricerche di biologia marina per individuare le forme di pesca più adatte e redditizie e quindi realizzare navi più idonee al compito indicato.
Con D.M. 14/9/1999 e successive modifiche, è stata regolamentata la «piccola pesca» (o pesca artigianale). La piccola pesca è quella esercitata, all'interno delle 12 miglia dalla costa, da unità di lunghezza inferiore a 12 (LFT) e di stazza non superiori alla 10 tonnellate di stazza lorda (TSL) mediante gli attrezzi selettivi previsti dall'art. 19 del decreto ministeriale 26 luglio 1995 (attrezzi da posta, ferrettara, palangari, lenze e arpioni), nonché con gli altri sistemi che vengono utilizzati localmente nella fascia costiera (nasse, bertovelli, fiocine, cianciolo e sciabica). Sono esclusi lo strascico, la draga idraulica per la pesca dei molluschi bivalvi e tutti gli altri sistemi di pesca a traino che utilizzano il motore nell'azione di cattura.
Si fa sempre riferimento quindi ad una pesca di tipo “costiero”, ma nella definizione di piccola pesca sono comunque sottintesi altri elementi caratterizzanti, quali il tipo di propulsione, il tipo e la selettività degli attrezzi da cattura.
Sono, infatti, considerate comunemente unità per la piccola pesca quelle con propulsione a remi o con motori fuoribordo o entrobordo di limitata potenza.
Gli attrezzi da pesca utilizzati sono in genere fissi e ad alta selettività per specie e per taglia (reti da posta, palangari, nasse, lenze, bertovelli, fiocine ecc.).
La piccola pesca, attività primaria delle acque costiere, svolge un ruolo fondamentale all'interno della flotta peschereccia europea.
Essa è fonte di occupazione, di approvvigionamento alimentare ed è fondamentale anche per il ruolo sociale e culturale che assolve in relazione alle molteplici attività che animano la fascia costiera.
Il settore della piccola pesca, proprio per il suo carattere costiero, risente più di altre attività dell'eccessiva antropizzazione della fascia costiera.
Questo incide particolarmente sull'economia del settore, dato che un'elevata mortalità degli stadi giovanili (novellame) delle specie interessanti per la pesca artigianale, particolarmente vulnerabili alle alterazioni ambientali, si traduce in una riduzione delle catture.
Inoltre, le aree maggiormente interessate dalle misure restrittive di salvaguardia imposte dal sovrasfruttamento delle risorse (fermo biologico, aree di tutela biologica, ecc.) sono proprio quelle in cui la pesca artigianale svolge la maggior parte della sua attività.
Sistemi: palangari
La piccola pesca artigianale è regolamentata da numerosi decreti per cui, in questo contesto, vengono riportati quelli di carattere generale:
► DPR 02/10/1968
► REGOLAMENTO (CE) 1626/94
► D.M. 12/01/95
Inoltre, il già citato D.M. 14/09/1999 prevede l’istituzione, a livello compartimentale, di consorzi della piccola pesca aventi, tra l’altro, il compito di proporre piani di gestione degli specchi acquei e delle risorse, nel rispetto della legislazione vigente e in accordo con gli altri settori della pesca che operano nella fascia costiera.
Oltre a questa legislazione di carattere generale, esistono anche delle "Ordinanze locali" che, in base ai diversi mestieri di pesca, possono regolamentare le aree, i periodi di pesca e le quote massime di cattura.
Alla normativa nazionale si aggiunge l’Ordinanza locale emessa dalla Capitaneria di porto di Ancona che stabilisce:
Unità adibite alla piccola pesca
La flotta peschereccia viene catalogata tenendo in considerazione il tipo di “Licenza di pesca”. E' possibile distinguere vari segmenti: la pesca a strascico, la circuizione, la piccola pesca artigiana, le draghe e i pescherecci polivalenti. I tre segmenti principali sono lo strascico, i polivalenti e la piccola pesca artigianale.
Le unità che pescano con le reti a strascico sono circa 2.241 e rappresentano circa il 13,8% della flotta, anche se, dal punto di vista delle capacità, sono circa il 44,5% del tonnellaggio di stazza lorda. La maggiore rappresentatività delle unità da pesca a strascico viene confermata in tutti i mari italiani.
Le unità del sistema polivalente rappresentano, con circa 4.000 unità, la seconda componente, sia in termini di tonnellaggio (28,3%) che di numero (25%). Queste unità praticano frequentemente, come previsto dalla Licenza, anche lo strascico, la pesca con palamiti e con le reti a circuizione.
Le unità della piccola pesca costituiscono, con circa 8.680 unità, la prima realtà nel panorama nazionale, rappresentando oltre il 53% della flotta. Considerate le modeste dimensioni, il tonnellaggio di stazza lorda totale non supera però il 12% della flotta italiana.
La ripartizione per aree geografiche indica che il polo di maggiore consistenza produttiva è rappresentato dalla realtà siciliana, che costituisce il 24% del numero di unità da pesca ed il 31,5% del tonnellaggio di stazza lorda. Il versante adriatico rappresenta invece il 35,2% delle unità ed il 40,5% del tonnellaggio.
► Classificazione delle unità da pesca
L’art. 8 del Regolamento di esecuzione n.1639/1968, distingue le navi destinate alla pesca professionale nelle seguenti «categorie» (la categoria esprime la distanza di navigazione che una nave può raggiungere):
L'assegnazione alla rispettiva categoria spetta al "Comandante della Capitaneria di Porto" (=Capo del Compartimento), all'atto dell'iscrizione nelle Matricole delle navi maggiori o nei Registri delle Navi Minori e Galleggianti (RR.NN.MM. e GG.)
► Distinzione della nave da pesca
Agli effetti del secondo comma dell’art. 136 del Codice della navigazione, le navi (latu sensu) si distinguono, a secondo l’uso cui sono destinate, all’impiego e al tipo di navigazione, in:
Le “navi maggiori” sono le navi alturiere, destinate alla navigazione di alto mare (oltre le 20 miglia dalla costa); le "navi minori", sono le navi costiere, destinate alla navigazione lungo le coste continentali ed insulari dello Stato, a distanza non superiore alle 20 miglia marine.
Fra le navi adibite alla pesca marittima rientrano nella categoria delle navi maggiori, quelle “oceaniche” (I^) e “mediterranee” (II^) e, in genere, quelle destinate dalle imprese di pesca al “servizio di una flottiglia” di pesca (VI^) per l’esercizio di trasferimento e di trasbordo dei prodotti della pesca.
Rientrano, invece, nella categoria delle “navi minori”, le navi da pesca che effettuano la “pesca costiera” (III e IV^). Infine si fanno rientrare tra i “galleggianti”, tutte quelle unità da pesca ricomprese nella V^ ctg. stabilmente destinate a servizi di impianti da pesca che non sono inserite in flotta.
L’attività di pesca viene svolta in navigazione e ciò implica il rispetto delle norme del Codice di navigazione e delle disposizioni legislative sulla sicurezza della navigazione e della vita umana in mare; inoltre, il fatto che l’attività venga svolta mediante il movimento di unità attraverso l’acqua, che è una delle matrici ambientali da tutelare contro l’inquinamento, comporta anche il rispetto delle disposizioni relative alla tutela delle acque e delle zone marine protette.
[1] A questo tipo appartengono tutte quelle medie e grosse navi destinate alla pesca in alto mare o alla pesca oceanica. Sono navi dotate di ottime qualità nautiche ed attrezzate al particolare tipo di lavoro che debbono svolgere. I pescherecci più grossi sono dotati di centrali frigorifere per la produzione del freddo allo scopo di poter lavorare e conservare il pesce pescato allungando in tal modo il periodo di permanenza in mare (campagna di pesca). Molte di queste navi sono in grado di lavorare completamente il pescato, cioè di compiere le operazioni di svisceramento, taglio in filetti, congelazione rapida, confezione e immagazzinaggio in stive refrigerate. Tra le navi adibite alla pesca citiamo la nave “baleniera”, particolarmente attrezzata per la pesca delle balene. Queste navi sono dotate di un apposito cannoncino, situato a prua, il quale può lanciare un arpione contro la balena. Attualmente, ad affiancare le navi baleniere, vi sono le navi destinate alla lavorazione delle balene pescate; queste hanno a poppa una grande apertura munita di un piano inclinato attraverso il quale viene issata la balena pescata, che, una volta a bordo, viene lavorata procedendo all'estrazione di tutte le sostanze utili per l'uso industriale.
Le navi da pesca sono contrassegnate (vedi anche Licenza di Pesca) dal:
Sebbene la norma preveda che nello stesso Ufficio marittimo non possano esserci unità con la stessa denominazione, talune volte, soprattutto per le unità da pesca con stazza lorda inferiore a 3 (tre) tonnellate, si riscontrano identici nominativi.
Il nome è stabilito dall’armatore all’atto dell’iscrizione dell’unità da pesca nei “Registri” e, fatta eccezione per le navi maggiori (oceaniche o mediterranee), può essere modificato in qualsiasi momento.
La variazione del nominativo della nave viene annotata dall’Ufficio marittimo dove è iscritta la nave nel Registro delle navi minori e galleggianti (RR.NN.MM. e GG.) e sulla Licenza di navigazione.
Per le navi maggiori, invece, è necessario chiedere preventiva autorizzazione alla Direzione generale del naviglio.
Nave da pesca
La nave da pesca, dopo il varo, perché possa essere “abilitata alla navigazione” deve essere iscritta in appositi “Registri” e deve essere in possesso di speciali documenti, acquistando così, il diritto a navigare. Condizione perché le unità da pesca possano essere iscritte nei Registri é che siano in possesso degli “elementi di individuazione” e che soddisfino ai “requisiti di nazionalità” [1] .
I Registri di iscrizione delle Navi e dei Galleggianti adibiti alla pesca – così come per tutte le navi mercantili – sono istituiti per l'assolvimento di finalità di carattere amministrativo e, come tali, sono documenti della pubblica amministrazione: essi vengono utilizzati però, anche per il raggiungimento di finalità privatistiche quali strumenti di pubblicità.
Le registrazioni eseguite a questo effetto (trascrizioni ed annotazioni di ogni atto relativo alla vita della nave, alla sua proprietà e al suo uso) sono pubbliche e destinate ad avere rilevanza giuridica verso chiunque vi abbia interesse.
► Distinguiamo:
Le Matricole e, in minore misura, i RR.MM.NN. e GG., offrono un quadro completo degli aspetti tecnici amministrativi giuridici della nave.
[1] L'art. 143 Cod. nav., modificato dalla Legge 27 febbraio 1998, n. 30, prescrive che rispondono ai requisiti di nazionalità per l’iscrizione nelle matricole o nei registri di cui all’art. 146:
L’art. 8 del Regolamento (CE) n.1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 ed il Regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011[1] [1] della Commissione dell’ 8 aprile 2011, Titolo II, Capo III, Sezioni 1 e 2, al fine di agevolare l’attuazione del sistema di controllo della pesca, hanno disciplinato omogenee modalità di marcatura e identificazione dei pescherecci e delle imbarcazioni trasportate a bordo, nonché degli attrezzi da pesca, utilizzati nelle acque comunitarie.
Dal 1° gennaio 2012, pertanto, i pescherecci dell’Unione devono riportare, in forma permanente e chiaramente leggibile, la «sigla del porto di iscrizione» ed il «numero di matricola» dell’unità su entrambi i lati della prua, più in alto possibile rispetto al livello dell'acqua, in modo da essere chiaramente visibili dal mare e dal cielo, dipinti in un colore contrastante (bianco o nero) con il fondo su cui sono tracciati (art. 6 Reg. di esecuzione (UE) n.404/2011)
Le eventuali imbarcazioni trasportate a bordo dei pescherecci e i dispositivi di concentrazione dei pesci devono essere contrassegnati con le lettere ed il numero di matricola esterni del peschereccio che li utilizza.
[1] [1]Regolamento (UE) 404/2011 recante “Modalità di applicazione regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca”.
La nave da pesca per poter navigare deve essere provvista di "speciali documenti" (art. 169 Cod. nav.), prescritti dalla legge in relazione all’importanza del mezzo. Essi adempiono ad una duplice funzione, in quanto:
Naturalmente questi documenti sono diversi a seconda che la nave sia maggiore o minore.
Adempiono non solo a certificare dati tecnici relativi ad un’epoca determinata, ma altresì ad attestare gli elementi di identificazione del bene nave, fare fede degli atti relativi alla proprietà o ai diritti reali su di esso, nonché a contenere ogni annotazione concernente l’equipaggio.
Assolvono la registrazione degli “eventi” che si verificano a bordo, a tutela degli interessi pubblici e privati connessi all’esercizio del bene nave.
Rientrano tra i Libri di bordo (ad esempio):
Per i “pescherecci d’altura“, il libro Giornale nautico (Parte I), Inventario di bordo (Parte II), Giornale generale di contabilità (Parte III), Giornale di navigazione ed il Giornale di macchina sono “unificati” in un unico libro.
I pescherecci che effettuano la “pesca mediterranea“ e “costiera“ possono dotarsi del Giornale di bordo (art. 169 comma 4 cod. nav.).
- Certificato di Classe
- Certificato Navigabilità
- Certificato di Bordo Libero
- Verbale di Visita ai servizi di bordo
- Documenti doganali
- Documenti sanitari
- Documenti assicurativi
Rientrano, infine, tra i documenti di bordo delle navi da pesca:
[1] La Licenza di navigazione di cui sono munite le navi minori ai sensi dell’art. 153 Cod. nav., è equiparata alle Carte di bordo delle navi maggiori anche agli effetti delle leggi per le assicurazioni sociali e per la previdenza, quando si tratti di navi di stazza lorda superiore alle 10 tonnellate ovvero di navi con apparato motore superiore ai 25 cavalli asse o 30 cavalli indicati, anche se costituisca mezzo di propulsione ausiliario (Art. 1287 disp. trans. e complementari cod. nav.).
Tutta la politica della Pesca è normata dal Parlamento Europeo per uniformare le regolamentazioni dei vari Stati Membri: tracciabilità del pescato, navigabilità, controllo della navigazione e delle attività dei loro pescherecci all’interno e all’esterno delle acque comunitarie onde evitare contenziosi di superamenti dei confini. E' proprio in attuazione di quest’ultimo obiettivo con i Regolanti comunitari n. 1967/2006, n. 1224/2009 e n. 404/2011 la Commissione Europea ha disciplinato la modalità di «registrazione» delle informazioni relative alla cattura di pesci da parte delle navi da pesca appartenenti agli Stati Membri.
Per facilitare questi controlli, l’art. 14, paragrafo 1, del regolamento sul controllo (=Reg. CE 1224/2009), obbliga i comandanti dei pescherecci comunitari di "lunghezza fuori tutto pari o superiore a 10 metri" alla tenuta a bordo del “Giornale di Bordo” (=log-book) cartaceo per le loro operazioni e a presentare "dichiarazioni di sbarco" e di "trasbordo" di pesci e prodotti della pesca. Dopo ogni viaggio o bordata[1] [2], all’atto dello sbarco a terra, il Comandante oppure il suo mandatario deve presentare all’Autorità del luogo di sbarco una dichiarazione di sbarco, il cui modello è già compreso nella pagina del log-book.
Nel Giornale di bordo (=giornale di pesca) devono essere indicati, in partcolare, tutti i quantitativi di ciascuna specie catturata e detenuta a bordo superiori a 50 Kg. di equivalente peso vivo (=netto).
L'articolo 15, paragrafo 1, del regolamento sul controllo, ai fini dell’utilizzo delle tecnologie moderne, ha previsto che, per i pescherecci di "lunghezza fuori tutto pari o superiore a 12 metri ", il Giornale di pesca debba essere in formato «elettronico» e che le dichiarazioni di sbarco e di trasbordo siano presentate elettronicamente almeno una volta al giorno.
Le informazioni contenute nei giornali di pesca dovranno essere verificate al momento dello sbarco. È pertanto necessario che i soggetti coinvolti in attività di sbarco e di commercializzazione di pesci e prodotti della pesca siano tenuti a dichiarare i quantitativi sbarcati, trasbordati, messi in vendita o acquistati. Per i piccoli pescherecci di "lunghezza fuori tutto inferiore a 10 metri", non vi è l’obbligo di tenere a bordo un log-book o di compilare una dichiarazione di sbarco in quanto rappresenterebbe un onere sproporzionato rispetto alla loro capacità di pesca. Per garantire un livello di controllo adeguato di tali pescherecci è necessario comunque che gli Stati membri controllino le loro attività mettendo in atto un piano di campionamento.
L’art. 23 del regolamento (CE) 1967/2006 stabilisce che per le operazioni di pesca nel Mediterraneo, tutte le specie conservate a bordo in quantitativi superiori a 15 kg. di equivalente peso vivo (=netto) devono essere registrate nel “log-book”. La soglia di 15 Kg. oltre cui scatta l’obbligo di registrazione delle catture nel Giornale di bordo sale a 50 Kg. per le specie altamente migratorie e le piccole specie pelagiche.
Il log-book diventa, così, un altro “Libro” obbligatorio di bordo disciplinato dall’art. 169 del Codice della navigazione, Capo III, e dagli artt. 362 e ss. del Regolamento di esecuzione del Codice della nav. e la sua mancanza a bordo è punità ai sensi dell’art. 1193 del Cod. nav. Il giornale di pesca (art. 14, paragrafo 1 Reg. CE n. 1224/2009) comprende in particolare le seguenti informazioni:
La "tolleranza" autorizzata nelle stime dei quantitativi in chilogrammi di pesce detenuto a bordo, registrate nel giornale di pesca, è del 10 % per tutte le specie.
I comandanti dei pescherecci comunitari registrano inoltre nel log-book tutte le stime dei rigetti di un volume superiore a 50 kg in equivalente peso vivo per qualsiasi specie.
Nell’ambito delle attività di pesca oggetto di un regime comunitario di gestione dello sforzo, i comandanti dei pescherecci comunitari devono registrare e contabilizzare nel loro giornale di pesca il tempo trascorso in una determinata zona indicando:
I comandanti dei pescherecci comunitari devono trasmettere quanto prima possibile, e comunque entro 48 ore dallo sbarco, le informazioni del giornale di pesca:
[1] [2] Bordata di pesca: qualsiasi viaggio di un peschereccio durante il quale si svolgono attività di pesca che iniziano nel momento in cui il peschereccio lascia i porto e termina all'arrivo in porto.
Il comandante di un peschereccio dell'Unione di…lunghezza fuori tutto pari o superiore a 10 metri non soggetto alla compilazione e alla trasmissione elettroniche dei dati del giornale di pesca, delle dichiarazioni di trasbordo e delle dichiarazioni di sbarco, deve compilare e presentare in «formato cartaceo» i dati del log-book, delle dichiarazioni di trasbordo e delle dichiarazioni di sbarco di cui agli articoli 14, 21 e 23 del regolamento sul controllo (=Reg. CE 1224/2009). Le suddette dichiarazioni di trasbordo e di sbarco possono essere altresì compilate e presentate dal rappresentante del comandante a suo nome (=mandatario).
Peraltro, tale obbligo si applica anche ai pescherecci dell'Unione di... lunghezza fuori tutto pari o inferiore a 10 metri ai quali lo Stato membro di bandiera abbia imposto di tenere il giornale di pesca e di presentare le dichiarazioni di trasbordo e/o di sbarco in conformità all'articolo 16, paragrafo 3 (pescherecci non soggetti agli obblihui relativi al giornale di pesca), e all'articolo 25, paragrafo 3 (perscherecci no soggetti agli obblighi relativi alla dichiarazione di sbarco), del regolamento sul controllo.
Per tutte le zone di pesca, salvo la sottozona NAFO 1 e le divisioni CIEM Va e XIV, il giornale di pesca, la dichiarazione di trasbordo e la dichiarazione di sbarco sono compilate e presentate in formato cartaceo dai comandanti dei pescherecci dell'Unione in conformità al modello riportato nell' Allegato VI (Modello combinato dell'Unione Europea di Giornale di pesca, dichiarazione di sbarco e dichiarazione di trasbordo) e secondo le istruzioni riportate nell’Allegato X del Regolamento (CE) n. 404/2011.
Tuttavia, per le operazioni di pesca condotte esclusivamente nel Mediterraneo ai comandanti di pescherecci dell'Unione che effettuano quotidianamente bordate di pesca in un'unica zona di pesca, è consentito utilizzare il modello riportato nell'Allegato VII (Modello di Giornale di pesca e di dichiarazione di sbarco/trasbordo dell’Unione europea - Mar Mediterraneo) del Regolamento (CE) n. 404/2011.
Per la sottozona NAFO 1 e le divisioni CIEM Va e XIV, si utilizza il formato riportato nell'Allegato VIII (Modello di Giornale di pesca dell’Unione Europea per la sottozona NAFO 1 e le divisioni CIEM Va e XIV) per il giornale di pesca cartaceo e il formato riportato nell'Allegato IX per le dichiarazioni di trasbordo e le dichiarazioni di sbarco cartacee.
Il giornale di pesca, la dichiarazione di trasbordo e la dichiarazione di sbarco nel formato cartaceo riportato negli Allegati VI e VII sono tenuti in conformità al paragrafo 1 e all'articolo 31 del Regolamento n. 404/2011 anche qualora i pescherecci dell'Unione in questione svolgano attività di pesca nelle acque di un paese terzo, nelle acque disciplinate da un'organizzazione regionale per la pesca o in acque esterne alle acque dell'Unione non disciplinate da un'organizzazione regionale per la pesca, salvo nel caso in cui il paese terzo o le norme dell'organizzazione regionale per la pesca interessata richiedano in modo specifico la compilazione e la presentazione di una tipologia diversa del giornale di pesca, della dichiarazione di trasbordo o della dichiarazione di sbarco.
Qualora il paese terzo non specifichi un giornale di pesca particolare ma richieda elementi di dati diversi da quelli previsti dall'Unione europea, tali dati devono essere registrati.
Gli Stati membri possono continuare ad utilizzare giornali di pesca in formato cartaceo conformemente al regolamento (CEE) n. 2807/83 (abrogato) per i pescherecci dell'Unione non soggetti alla compilazione e alla trasmissione per via elettronica dei dati del giornale di pesca a norma dell'articolo 15 del regolamento sul controllo fino al completo esaurimento delle scorte di giornali di pesca cartacei.
L’art. 32, paragrafo 1, del Reg. CE n. 404/2011 obbliga. tutti i comandanti di pescherecci comunitari o i suoi rappresentanti a presentare alle Autorità competenti del proprio Stato l'originale (gli originali) del giornale di pesca (log -book), della dichiarazione di trasbordo e della dichiarazione di sbarco:
Quando un peschereccio dell'Unione effettua un trasbordo in un porto o in un luogo vicino alla costa o sbarca in un porto di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di bandiera, presenta alle Autorità competenti dello Stato membro in cui avviene il trasbordo o lo sbarco la prima copia (le prime copie) del giornale di pesca, della dichiarazione di trasbordo e della dichiarazione di sbarco il prima possibile e comunque entro 48 ore dall'avvenuto trasbordo o sbarco. L'originale (gli originali) del giornale di pesca, della dichiarazione di trasbordo e della dichiarazione di sbarco viene spedito (vengono spediti) alle Autorità competenti dello Stato membro di bandiera il prima possibile e comunque entro 48 ore dal trasbordo o dallo sbarco.
Quando un peschereccio dell'Unione effettua un trasbordo in un porto o nelle acque di un paese terzo o in alto mare oppure uno sbarco nel porto di un paese terzo, spedisce alle Autorità competenti dello Stato membro di bandiera l'originale (gli originali) del giornale di pesca, della dichiarazione di trasbordo e della dichiarazione di sbarco il prima possibile e comunque entro 48 ore dal trasbordo o dallo sbarco.
Qualora un paese terzo o le norme di un'organizzazione regionale per la pesca richiedano una tipologia diversa del giornale di pesca, della dichiarazione di trasbordo o della dichiarazione di sbarco rispetto a quella prevista dall'Allegato VI, il comandante del peschereccio dell'Unione presenta alle relative Autorità competenti una copia di tale documento il prima possibile e comunque entro 48 ore dopo il trasbordo o lo sbarco.
L’art. 33 del Reg. CE n. 404/2011 detta norme specifiche per il giornale di pesca in formato cartaceo e in particolare stabilisce che il medesimo debba essere compilato con tutte le informazioni obbligatorie, anche in caso di catture nulle:
All'atto della partenza da un porto o a seguito del completamento di un'operazione di trasbordo e quando le catture rimangono a bordo, i quantitativi di ogni specie sono indicati su una nuova pagina del giornale di pesca.
Si utilizzano i codici riportati nell'Allegato XI per indicare, alle voci corrispondenti del giornale di pesca in formato cartaceo, gli attrezzi di pesca utilizzati.
L’art. 34 del Reg. CE n. 404/2011 prevede - nel caso di un'operazione di trasbordo tra due pescherecci dell'Unione, una volta completata l'operazione di trasbordo - che il comandante del peschereccio che trasborda i prodotti, o il suo rappresentante, consegna una copia della dichiarazione di trasbordo cartacea del suo peschereccio al comandante del peschereccio sul quale sono stati trasbordati i prodotti o al suo rappresentante.
Una volta completata l'operazione di trasbordo, il comandante del peschereccio sulla quale vengono trasbordati i prodotti, o il suo rappresentante, consegna anche una copia della dichiarazione di trasbordo cartacea del suo peschereccio al comandante del peschereccio che trasborda i prodotti o al suo rappresentante.
Le copie sono presentate ai fini del controllo e dell'ispezione su richiesta dei funzionari.
Il comandante, o il suo rappresentante, firma ogni pagina della dichiarazione di sbarco prima della relativa presentazione.
In applicazione dei Regolamenti comunitari 1224/2009 e il recente 404/2011 della Commissione, per la sua esecutività, e al fine di monitorare la navigazione e la tracciabilità delle quantità e tipologie di pesce catturato, sui pescherecci di "lunghezza fuori tutto pari o superiore ai 12 metri" il Giornale di bordo (=Giornale di pesca) deve essere elettronico. La telematica con il giornale di bordo elettronico (e-LogBook) entra a far parte delle politiche di controllo per una sostenibilità della pesca, sempre più messa a rischio dall’ esaurimento degli stock ittici europei, dovuto principalmente alla eccessiva capacità delle flotte.
La strumentazione per il e-LogBook, realizzata dalla società Sin S.p.a, per conto dell’Amministrazione, è stata installata gratuitamente e inizialmente sui pescherecci con lunghezze superiori ai 24 metri (1° gennaio 2010) e solo per le unità presenti nei porti italiani.
I comandanti di pescherecci di lunghezza “fuori tutto pari o superiore a 12 metri” devono registrare per via elettronica le informazioni contenute nel giornale di pesca (di cui all’articolo 14 del regolamento sul controllo) e le trasmettono per via elettronica all’Autorità competente dello Stato membro di bandiera almeno (=CCNP) almeno una volta al giorno oppure su richiesta della stessa Autorità, e in ogni caso trasmettono i pertinenti dati del giornale di pesca dopo la conclusione dell’ultima operazione di pesca e prima dell’entrata in porto.
Gli Stati membri possono «esentare» i comandanti dei pescherecci comunitari di lunghezza fuori tutto inferiore a 15 metri battenti la loro bandiera dallla registrazione elettronica dei pertinenti dati del giornale di pesca se:
L’art. 47 del Reg. CE n. 404/2011 obbliga il comandante di un peschereccio in corso di navigazione, di trasmettere le informazioni del e-LogBook alle Autorità competenti dello Stato membro di bandiera almeno su base giornaliera, entro le ore 24:00, anche in assenza di catture.
Il comandante deve, inoltre, trasmettere i dati suddetti:
Se l'ultima operazione di pesca ha avuto luogo al massimo un'ora prima dell'entrata in porto, le trasmissioni di cui ai numeri 2. e 3. possono essere trasmesse in un unico messaggio.
Il comandante può trasmettere correzioni dei dati del e-LogBook e della dichiarazione di trasbordo fino all'ultima trasmissione prima dell'entrata in porto. Le correzioni sono facilmente identificabili. Tutti i dati originali del giornale di pesca elettronico e le correzioni ad essi apportate sono conservati dalle Autorità competenti dello Stato membro di bandiera.
Il comandante conserva copia delle informazioni del e-logbook a bordo del peschereccio per l'intera durata di ogni assenza dal porto, fino alla presentazione della dichiarazione di sbarco. Se un peschereccio dell'Unione è ormeggiato in porto, non detiene a bordo prodotti della pesca e il comandante ha trasmesso la dichiarazione di sbarco per tutte le operazioni di pesca dell'ultima bordata, la trasmissione dei dati del e-logbook può essere sospesa previa notifica al CCP dello Stato membro di bandiera. La trasmissione viene ripristinata non appena il peschereccio dell'Unione lascia il porto. La notifica preventiva non è necessaria per i pescherecci dell'Unione dotati di VMS che trasmettono i dati tramite il medesimo.
L'esercizio della pesca marittima a scopo professionale è subordinato all'iscrizione degli interessati nel «Registro pescatori professionali marittimi», istituito presso le Capitanerie di Porto.
Possono, altresì, ottenere l’iscrizione nella Prima parte del Registro, quanti intendono esercitare «promiscuamente» le due forme di attività.
Ai sensi dell'art. 35 del Regolamento di esecuzione alla Legge sulla pesca non può ottenere l'iscrizione nel Registro, Parte Prima:
Per ottenere l'iscrizione nel registro, Parte Seconda, oltre a quanto previsto nei punti 2), 3), 4) e 5), è necessario essere iscritti almeno nelle matricole della Gente di Mare di «terza categoria».
Il Capo del Compartimento può in ogni momento verificare che l'iscritto nel Registro dei pescatori non eserciti in maniera stabile e continuativa altra attività professionale (ad esempio, dal Mod. 740).
I requisiti e le condizioni per iscrizione nel Registro si provano con il «titolo matricolare» (=Libretto di Navigazione e Foglio di Ricognizione) e con il «Certificato generale del casellario giudiziale» richiesto d’ufficio, al Tribunale competente, dall'Autorità marittima che procede all'iscrizione oltre al «Codice fiscale» (art. 36 Reg. 1639/68). L'iscrizione avviene presso la Capitaneria di Porto nella cui circoscrizione è il «domicilio» del pescatore professionale. Per coloro che sono in possesso dei “Titoli” e delle “Specializzazioni professionali” per la pesca, l'iscrizione si effettua con la relativa qualifica.
[1] Con legge n. 381/1988 i reati-delitti sulla pesca sono stati ridotti a reati-contravvenzione.
CAPITANERIA DI PORTO DI_______________ Istanza di iscrizione nel Registro dei Pescatori marittimi
Il sottoscritto __________________________, nato a _________________ il ______________ C.F./P.IVA ___________________ nella qualità di ______________ della Ditta _____________ C H I E D E di essere iscritto nel Registro Pescatori Marittimi tenuto da codesta Capitaneria di Porto ai sensi dell’art. 2 del Decreto Legislativo 26.05.2004, n° 153. D I C H I A R A ( ) di essere residente a _________________________ via ___________________________; n° 3 fotografie; Il sottoscritto è informato, ai sensi dell’art. 13 del D.lgs. 196/2003 in particolare riguardo ai diritti riconosciuti dalla legge ex art. 7 D.lgs. 196/2003, acconsento al trattamento dei miei dati con le modalità e per le finalità indicate nell’informativa stessa, comunque strettamente connesse e strumentali al presente procedimento. ____________ ____________________ IL DICHIARANTE
(1) L’istanza deve essere sottoscritta innanzi alla persona addetta a ricevere la stessa. In caso contrario all’istanza dovrà essere allegata fotocopia di un documento di riconoscimento in corso di validità.
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I pescatori professionali marittimi fanno parte della «Gente di Mare» e quindi, più in generale, del «personale marittimo» (art. 114 Cod. nav.).
In particolare rientrano nella categoria dei pescatori professionali marittimi tutto il personale destinato a navigare e quindi a svolgere l’attività di pesca a bordo della flottiglia peschereccia, e quanti esercitano la pesca senza imbarco o negli impianti da pesca.
La distribuzione delle “competenze” a bordo delle navi, risulta dalla ripartizione dei vari servizi, fondamentalmente distinti in «servizi tecnici» e «servizi complementari»
I “servizi tecnici di bordo”, comprendono il “personale che disimpegna servizi richiedenti una qualificazione tecnica specialmente inerente alla vita di bordo”.
I “servizi complementari” comprendono il “personale la cui attività non riveste un carattere essenzialmente nautico ma solo occasionalmente viene prestata a bordo e costituito, in gran parte, dal personale ausiliario”.
L'equipaggio della nave da pesca deve essere composto da persone che siano in possesso dei “titoli professionali“ o delle “qualifiche“ relative alle mansioni che ciascuno deve esplicare a bordo.
L’articolo 13 Legge 963/65, consente l'iscrizione nelle Matricole della Gente di Mare del personale addetto ai servizi tecnici o complementari di bordo occorrenti per l'attività di pesca, di conservazione o di trasformazione del pescato, mentre il Regolamento D.P.R. n. 1639/68 determina le qualifiche ed i titoli professionali del personale suddetto, i limiti di età e gli altri requisiti necessari per ottenere l'iscrizione nelle Matricole.
Per i marittimi che sono in possesso dei “titoli” e delle “specializzazioni” professionali per la pesca, l’iscrizione nel Registro si effettua con la relativa qualifica.
► Sono titoli professionali:
► Sono specializzazioni professionali:
L'iscrizione nel Registro si effettua altresì con le qualifiche professionali marittime previste dalle relative disposizioni[1], che sono cumulabili con le qualifiche professionali per la pesca.
Per coloro che non sono in possesso di titoli o specializzazioni per la pesca, l’iscrizione avviene con la “qualifica iniziale” di:
Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, sentita la commissione consultiva centrale per la pesca marittima, può introdurre nuove qualifiche professionali, al fine di adeguare la presente disciplina al progresso tecnico ed economico dell'industria della pesca.
Gli uffici marittimi, cui spetta la tenuta del Registro dei pescatori, tengono una “Rubrica” degli iscritti, distinta per qualifiche professionali.
[1] Il D.M. 30.11.2007 emanato per elevare lo standard di addestramento della Gente di Mare, adeguare ed uniformare la legislazione in materia di qualifiche ed abilitazioni per il settore di coperta e di macchina per gli iscritti alla Gente di Mare con quelle previste dalla Convenzione Internazionale STCW 78/95 (Standards of Training, Certification and Watchkeeping for Seafarers), ha modificato l’art. 123 e ss. Cod. nav. ed ha abrogato espressamente i DD.MM. 5.10.200 e 22.12.200
I titoli professionali per il personale addetto ai servizi tecnici e complementari della pesca e per quello addetto agli impianti di pesca, sono i seguenti:
Il Capopesca, esercita le mansioni relative alla direzione delle operazioni di pesca e le altre connesse con la qualifica.
A seconda del tipo di pesca professionale distinguiamo i seguenti “titoli”:
Il Frigorista, esercita le mansioni relative alla qualifica a bordo delle navi da pesca. Per conseguire tale titolo - oltre al possesso dei requisiti previsti dall’art. 54 Regolamento n. 1639/69 - occorre altresì che il marittimo abbia lavorato in uno stabilimento industriale per la costruzione e la riparazione di apparati frigoriferi, o abbia condotto impianti frigoriferi industriali almeno per un anno, ovvero sia stato imbarcato, per lo stesso periodo di tempo, su una nave da pesca in qualità di “Allievo frigorista”; ovvero abbia seguito, con esito favorevole, un corso specializzato riconosciuto dal Ministro dei trasporti.
L'attività di pesca e quella lavorativa richiesta per il conseguimento dei titoli professionali per la pesca debbono essere effettuate almeno per un terzo su navi e presso imprese nazionali.
La persistenza dei requisiti fisici richiesti per la specializzazione di pescatore subacqueo è accertata periodicamente secondo le norme stabilite dal Dicastero, sentita la Commissione medica centrale.
[1] Il D.M. 30.11.2007 emanato per elevare lo standard di addestramento della Gente di Mare, adeguare ed uniformare la legislazione in materia di qualifiche ed abilitazioni per il settore di coperta e di macchina per gli iscritti alla Gente di Mare con quelle previste dalla Convenzione Internazionale STCW 78/95, ha modificato l’art. 123 e ss. Cod. nav. ed ha abrogato espressamente i DD.MM. 5.10.200 e 22.12.2000.
Il pescatore professionale, per poter essere arruolato a bordo di una nave da pesca, deve essere dotato di «Titolo Matricolare» che è il documento che lo abilita alla professione marittima. Esso vale anche, a tutti gli effetti di legge, come “libretto di lavoro” per il servizio prestato a bordo delle navi e dei galleggianti dagli iscritti nelle matricole della Gente di Mare. Il titolo matricolare è documento di “identità personale” e vale come “passaporto” per le esigenze connesse con l'esercizio della professione marittima.
Il titolo matricolare, per i marittimi di “prima” e “seconda” categoria (=Libretto di Navigazione) è conforme al modello approvato dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.
Gli Uffici di iscrizione possono, in attesa del suo rilascio, munire i marittimi al loro primo imbarco di un «Foglio Provvisorio di Navigazione». Questo documento, conforme al modello ministeriale sostituisce a tutti gli effetti il Libretto ed é valido sino alla sua emissione, per il marittimo che ne faccia richiesta e che dimostri di avere intrapreso l'attività navigatoria in maniera continuativa.
Per quanto detto, si riferisce che di massima gli Uffici marittimi procedono al rilascio del Libretto di navigazione al neomarittimo che abbia effettuato almeno un “periodo di tre imbarchi”.
Il Titolo matricolare destinato ai marittimi di “terza” categoria, conforme al modello ministeriale, reca l'intestazione «Foglio di Ricognizione».
I Titoli matricolari sono rilasciati dal Capo dell'Ufficio di iscrizione e consegnati, all'atto del primo imbarco dell'iscritto, al Comandante della nave direttamente o a mezzo dell'Ufficio marittimo o consolare del luogo in cui si trova la nave stessa.
Il «Certificato d'iscrizione» (=tesserino di pescatore), previsto dall'art. 10, 2° comma, della legge 963/65, è il documento di “abilitazione” all'attività di pescatore marittimo. Il certificato è rilasciato dal Capo dell'ufficio di iscrizione.
Quando il certificato è stato sottratto o è andato smarrito o distrutto, o è diventato inservibile, l'Ufficio di iscrizione rilascia un duplicato.
Nell'esercizio dell'attività di vigilanza sulla pesca, l'Autorità competente accerta il possesso del certificato di iscrizione da parte di chi esercita professionalmente la pesca marittima.
Quando si procede alla cancellazione dell'iscritto dal registro, o è intervenuto provvedimento che importa l'interdizione all'esercizio della pesca, l'Autorità marittima procede al ritiro del certificato.
Per svolgere l’attività di pesca è necessario che l’Armatore della nave assuma anche il “ruolo di imprenditore” a tutti gli effetti e, pertanto, titolare di una «impresa di pesca».
A tal fine, deve iscriversi nel “Registro delle imprese di pesca” (=R.I.P.), istituito presso ogni Capitaneria di porto nella cui giurisdizione ha sede l’impresa stessa; questo obbligo si estende a tutte le imprese, qualunque sia la loro dimensione, ed alle cooperative di pesca.
Senza la suddetta iscrizione, l’impresa che esercita la propria attività con navi non può ottenere la «Licenza di pesca»: elemento giuridico essenziale per l’esistenza di un'impresa di pesca è l’esercizio di una nave da pesca, cioè l’essere armatori di una nave da pesca. Sono esclusi da iscrizione quanti esercitano pesca scientifica od appartengono ad Organizzazioni ed Istituti riconosciuti od autorizzati dal Ministero delle politiche agricole e forestali (MI.P.A.F.).
Il Registro nel quale sono iscritte le imprese che esercitano la pesca professionale, è diviso in «cinque parti», in ragione dei cinque tipi di pesca previsti dai citati artt. 9 e 10 del Regolamento:
L'iscrizione deve avvenire presso la Capitaneria di Porto nella cui circoscrizione ha sede l'impresa. L'iscrizione si effettua nella «Parte» del R.I.P. corrispondente al tipo di pesca professionale esercitata; quando venga esercitato più di un tipo di pesca, l'iscrizione si effettua in ciascuna delle relative “Parti” del Registro.
Per poter esercitare l’attività di pesca come imprenditore ittico, l’interessato deve presentare al MI.P.A.F. richiesta per ottenere il “nulla-osta” all’esercizio della pesca con navi, allegando:
Ne consegue che il «nulla-osta» debba essere richiesto necessariamente, prima della costruzione o acquisto ovvero adeguamento della nave.
Il MI.P.A.F. rilascia, entro 90 giorni, Nulla-osta non trasferibile, specificandone la durata (su richiesta motivata dell’interessato, il Ministero può prorogarne la durata).
Il Nulla-osta viene ritirato se l’interessato:
La costruzione della nave deve avvenire in conformità alle caratteristiche tecniche previste dal Reg. CE 2930/86. Non sono ammesse modifiche alla potenza del motore, salvo preventivo nulla-osta del Ministero.
L’interessato in possesso del nulla-osta deve presentare al MI.P.A.F. domanda in bollo con firma autenticata, per ottenere la Licenza di pesca, allegando:
Il MI.P.A.F.provvede a rilasciare le Licenze agli interessati iscritti nel R.I.P. tenendo conto di eventuali priorità (come ad esempio: cooperativa giovani esercenti direttamente pesca; cooperative armatrici, ecc.) e sospendendo il rilascio di nuove licenze qualora raggiunti i limiti.
L’Ufficio licenze, prima di rilasciare il documento autorizzativo, provvede ad inserire i dati inerenti all’armatore, il proprietario e la nave, nell’archivio elettronico delle licenze di pesca, costituito in applicazione delle disposizioni di cui all’art. 4 della legge 41/82, al fine di poter conoscere la situazione reale della flotta peschereccia italiana in qualunque momento.
In bollo
CAPITANERIA DI PORTO DI_______________
SEZIONE PESCA
Il sottoscritto __________________________________ , nato a ________________________il _________________ - C.F./P.IVA ______________________ nella qualità di ______________ della Ditta _________________________________ con sede in _________________________ Via _________________________ n.____________ armatore del l’unità da pesca denominato __________________ iscritto al n.________________/SR____________ dei RR.NN.MM. e GG. del ___________________________
C H I E D E
ai sensi dell’art. 3 del D.lgs. 26.05.2004 n. 153 l’iscrizione nel Registro Imprese di Pesca tenuto da codesta Capitaneria di Porto , __________ categoria - pesca costiera _____________ entro _________ dalla costa .
D I C H I A R A
( ) di essere residente a _________________________ con abitazione in _________________
( ) che la Società ___________________________________ di cui il sottoscritto risulta essere _____________________ è iscritta presso la Camera di Commercio di _________________ al n. ______________ in data __________ e che gli altri soggetti (soci ) tenuti alla certificazione antimafia sono :________________________________________________________________
( ) che la famiglia anagrafica si compone come segue e di non avere altre persone conviventi nel territorio dello Stato / di essere convivente di fatto con le seguenti persone (1)
Il sottoscritto è informato, ai sensi dell’art.13 del D.lgs. 196/2003 in particolare riguardo ai diritti riconosciuti dalla legge ex art. 7 D.lgs. 196/2003, acconsento al trattamento dei miei dati con le modalità e per le finalità indicate nell’informativa stessa, comunque strettamente connesse e strumentali al presente procedimento.
luogo_________ data_______ Firma del richiedente (1)
Nota
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Licenza rientra tra i documenti di bordo della nave da pesca ed è rilasciata all'interessato (proprietario o armatore della nave, imprenditore), regolarmente iscritto nel «Registro delle Imprese di Pesca» (art.11, legge 963/65), dal Ministero delle politiche agricole e forestali - Direzione Generale della pesca e acquacoltura (MI.P.A.F.) che autorizza l’esercizio della pesca professionale, con gli attrezzi ivi indicati, per la cattura di una o più specie ittiche in determinate aree marittime.
La Licenza di pesca ha una validità di «otto anni» a decorrere dalla data del rilascio, che viene stampata direttamente dalla Direzione generale contestualmente alla firma dell’atto. Sono stati disposti sulla Licenza “spazi” per consentire all’Autorità marittima di annotarne gli estremi del Bollettino di c/c postale di versamento della tassa di concessione governativa a cui è soggetto l’atto.
► Rinnovo
La Licenza di pesca è rinnovabile. L’interessato deve presentare al MI.P.A.F. domanda in bollo, con firma autentica, per il rinnovo della Licenza o sostituzione o variazioni da apportare sulla medesima, allegando specifico “formulario” ministeriale.
Nel caso che la Licenza sia andata smarrita o distrutta o risulti illeggibile, l’interessato chiede a MI.P.A.F. il rilascio “duplicato”.
All'interessato, in attesa del rinnovo o della sostituzione della Licenza (duplicato per smarrimento) o in caso di variazioni da apportare sulla stessa l'Ufficio di iscrizione della nave rilascia una «Attestazione provvisoria»
inizialmente valida per 1 anno e rinnovabile di anno in anno. Nelle more del rinnovo della Licenza di pesca da parte dell’Amministrazione centrale e fino alla consegna della medesima, è consentito, infatti, alle Autorità marittime competenti di rilasciare una “Attestazione provvisoria” che autorizza la pesca con i sistemi ivi indicati.
Tale autorizzazione, inizialmente valida in linea generale per un anno, è rinnovata per il periodo di validità della Tassa di Concessione Governativa (TCG) connesso alla Licenza di pesca stessa.
Qualora l’interessato non abbia provveduto alla misurazione delle caratteristiche tecniche della nave ai sensi del Regolamento CEE n° 2930/86 (misurazione delle caratteristiche tecniche della nave, lunghezza, larghezza, potenza motore, stazza), o allorché riporta sulla licenza rettifiche (inerenti: ditta, Comune, sede impresa, denominazione nave, proprietà) senza comunicarle entro 180 giorni all’Uffico preposto, il termine di validità è di 6 (sei) mesi.
► Perdita di validità della Licenza
Come sopra evidenziato, la Licenza di pesca è valida, in linea generale, per otto anni. Tuttavia, il decreto ministeriale 26.7.1995 contempla alcune “circostanze” al verificarsi delle quali, dopo una determinata procedura effettuata in osservanza alla legge n. 241 del 1990, viene dichiarata la “cessazione della validità” della Licenza.
La Licenza che ha cessato di validità, deve essere trasmessa entro “30 giorni” al Ministero delle politiche agricole e forestali – Dir. Generale della pesca e acquacoltura.
L’interessato che intende “rinnovarla” deve presentare domanda per la nuova licenza.
► Sospensione della licenza
E’ prevista un'ipotesi di sospensione della Licenza di pesca che si realizza allorquando l’interessato non abbia provveduto, nei termini, alla misurazione delle caratteristiche tecniche della nave ai sensi del Regolamento CEE 2930/86.
Se l’inadempienza si prolunga nel tempo, il MI.P.A.F. ritira la Licenza e la restituisce all’interessato dopo che ha adempiuto gli obblighi CE.
► Sostituzione della licenza
Licenza sostituita nel caso di:
E' opportuno analizzare gli “elementi” che contraddistinguono la Licenza di pesca.
Come si evince dal documento riprodotto (Fac-Simile), la Licenza di pesca è suddivisa in vari "settori" in ciascuno dei quali vengono trascritti gli elementi necessari ad individuare l’armatore, il proprietario e le caratteristiche tecniche della nave.
Allo scopo di evidenziare i casi in cui è necessario che l’Amministrazione proceda ad una nuova istruttoria per consentire le eventuali variazioni degli elementi che devono essere indicati sulla Licenza di pesca, si ritiene utile esaminare il contenuto di ciascun settore con la precisazione che, qualora venga richiesta la modifica di elementi sostanziali che determina il rilascio di una nuova Licenza di pesca l’interessato, allo stato attuale, deve corrispondere nuovamente la tassa di concessione governativa.
L’omessa comunicazione al Ministero delle intervenute variazioni, nei termini previsti dalla normativa vigente, comporta la cessazione della validità della Licenza stessa.
L’elemento che caratterizza la prima parte del documento è il «Numero» della Licenza di pesca che viene apposto seguendo l’ordine progressivo, seguito dall’indicazione dell’anno in cui la Licenza è rilasciata.
Eccetto il caso di primo rilascio, oltre al numero che individua la Licenza di pesca, viene indicato quello della Licenza sostituita.
► Una Licenza di pesca può essere stampata per i seguenti motivi:
La Licenza di pesca rilasciata per una determinata unità sarà identificata con una «Numerazione» composta da tre parti:
1. numero progressivo;
2. anno;
3. numero di variazione.
XXX.XXX/XXXX/X |
Le prime due componenti rimarranno inalterate per tutta la vita dell’unità da pesca.à da pesca.
Ad esempio:
la Licenza n. 2.374/1990/7 sostituisce la n. 2.374/1990/6 |
I dati che individuano l’impresa armatrice che esercita l’attività di pesca con l’unità a cui la Licenza si riferisce sono:
Qualora dovesse intervenire una variazione dei suddetti elementi, è necessario che l’armatore chieda l’aggiornamento della Licenza di pesca all’Amministrazione centrale, tramite l’Autorità marittima competente che provvede a trasmettere la documentazione da cui risultano le variazioni dei dati al Ministero e ad emettere, nelle more dell’aggiornamento della Licenza di pesca rettificata, un'attestazione provvisoria al fine di consentire all’interessato di continuare a pescare.
L’Amministrazione, dopo aver eseguito l’istruttoria di competenza, provvede al rilascio di una nuova Licenza di pesca.
Se la variazione è riferita al trasferimento della sede dell’impresa armatrice in altro compartimento marittimo, variando la Capitaneria di porto, il numero e la parte del Registro delle imprese di pesca, la stessa, sempre per il tramite dell’Ufficio ove è iscritta l’unità, trasmette la prescritta documentazione all’ufficio licenze che provvede alla stampa di una nuova Licenza di pesca.
Nel caso in cui si verifichi soltanto un mutamento di indirizzo o di sede (comune e provincia) dell’impresa armatrice nell’ambito dello stesso Compartimento marittimo, l’Ufficio marittimo di iscrizione provvede direttamente a riportare l’avvenuta variazione sulla Licenza di pesca e a darne successiva comunicazione all’ufficio licenze della Direzione Generale mediante l’invio di una copia del documento modificato. L’ufficio licenze provvede ad aggiornare l’archivio elettronico senza procedere alla stampa di una nuova Licenza.
In questa parte del documento in esame sono riportati i dati atti ad individuare la nave con la quale l’impresa armatrice può esercitare la pesca.
Come abbiamo avuto modo di dire in precedenza, le navi da pesca sono contraddistinte da un “Nome”.
Sebbene la norma preveda che nello stesso Ufficio marittimo non possano esserci unità con la stessa denominazione, talune volte, soprattutto per le unità da pesca con stazza lorda inferiore a tre tonnellate, si riscontrano identici nominativi.
Per le navi minori, il nome è stabilito dall’armatore all’atto dell’iscrizione dell’unità nei Registri e, fatta eccezione per le navi maggiori, può essere modificato in qualsiasi momento. La variazione del nominativo della nave viene annotata dall’Ufficio marittimo dove è iscritta la nave nel Registro delle navi minori e galleggianti (RR.NN.MM. e GG.) e sulla Licenza di navigazione.
Per le navi maggiori, invece, è necessario chiedere preventiva autorizzazione alla Direzione generale del naviglio.
Nel caso in cui la Licenza di pesca sia stata già rilasciata, l’Ufficio d’iscrizione provvede ad annotare sulla stessa il nuovo nominativo e a darne comunicazione al Ministero, mentre, nell’ipotesi in cui la Licenza sia in fase di rilascio o di rinnovo, l’Autorità marittima comunica l’avvenuto cambio del nome della nave documentandolo con l’estratto del Registro.
Nel campo “Ufficio marittimo d’iscrizione“ viene riportato l’Ufficio dove l’unità è iscritta. In caso di trasferimento dell’unità in altro Ufficio marittimo, quest’ultimo deve iscrivere la nave nel proprio Registro, assegnarle un numero di matricola ed annotare nel Registro l’Ufficio marittimo di provenienza con il relativo numero di immatricolazione.
Accanto all’indicazione dell’Ufficio di iscrizione della nave viene posto il numero di immatricolazione che viene assegnato all’unità al momento dell’iscrizione in quell’Ufficio. Tale numero, riportato sull’unità, è trascritto su tutti i documenti relativi alla stessa e non può essere sostituito o variato.
Il numero di immatricolazione di una nave che, per qualsiasi motivo (trasferimento ad altro ufficio, demolizione, passaggio al diporto, vendita all’estero, perdita presunta, affondamento, ecc.), venga cancellata, non può essere riutilizzato.
Per la cancellazione di una nave dal Registro, l’Ufficio marittimo competente restituisce al Ministero la Licenza di pesca per l’archiviazione, comunicando il motivo della cancellazione, l’eventuale nuova destinazione e, nel caso l’unità venga iscritta in altro Registro, il nuovo Ufficio e il nuovo numero di immatricolazione.
L’Ufficio marittimo dove l’unità si iscrive assegna all’unità un nuovo numero di immatricolazione, rilascia all’armatore la documentazione necessaria per la navigazione e trasmette all’Ufficio licenze i documenti aggiornati per il rilascio di una nuova Licenza.
La normativa vigente in materia di rilascio di licenze consente di trasferire un'unità da un Ufficio marittimo ad un altro, con conseguente assegnazione di un nuovo numero di immatricolazione, anche se appartenente a diverso Compartimento.
Il “Nominativo internazionale radio“ è individuato da una sigla, assegnata dalla Marina Militare, che le unità aventi un valore di stazza superiore alle 15 tonnellate devono necessariamente avere. Tale sigla si riferisce agli “apparati radio trasmittenti” installati a bordo delle navi e non varia finché l’unità rimane adibita alla pesca.
Il “Numero UE“ è il numero internazionale attribuito a ciascuna unità da pesca che rimane inalterato anche a seguito di trasferimento in altri Compartimenti marittimi. La categoria di programma è un codice alfa-numerico assegnato all’unità al momento della stampa della Licenza che classifica l’unità stessa in base al tipo di navigazione assegnato.
Attualmente nell’archivio elettronico sono inseriti i dati relativi alla “Proprietà” della nave (cognome, nome, indirizzo e residenza del/dei proprietari, codice fiscale o partita IVA, luogo e data di nascita se persone fisiche, altre navi possedute e la data dell’evento).
Nel campo previsto sulla Licenza vengono riportati, invece, soltanto il cognome e il nome del/dei proprietari.
Ogni variazione di proprietà viene segnalata, per il tramite dell’Ufficio d’iscrizione, dall’armatore dell’unità mediante l’invio all’Ufficio licenze del mod. 18, dell’estratto del registro delle navi minori e galleggianti, della copia della Licenza di navigazione nonché, naturalmente, la Licenza di pesca da sostituire.
Attualmente in procedura vengono inserite le caratteristiche strutturali della nave: la lunghezza fuori tutto, la lunghezza tra le perpendicolari, la larghezza, l’altezza di stazza, la stazza lorda calcolata in TSL, la stazza netta calcolata in TSN, la stazza internazionale calcolata in GT.
Nello spazio che nella Licenza è riservato alle “Caratteristiche strutturali“ della nave vengono riportati soltanto i dati che la Comunità europea ritiene essenziali: la lunghezza fuori tutto, la lunghezza tra le perpendicolari, la stazza in TSL, la stazza in GT.
La normativa vigente non consente alcuna variazione in aumento della stazza, pertanto richieste in tal senso devono essere opportunamente valutate ed approvate.
Qualora a seguito di ammodernamento della nave dovessero cambiare la lunghezza tra le perpendicolari e la lunghezza fuori tutto, fermo restando che la stazza non deve essere aumentata, l’interessato, al fine di ottenere il rilascio della Licenza di pesca aggiornata, deve comunicarlo al Ministero tramite l’Ufficio competente, inviando il certificato di stazza, i documenti aggiornati e la Licenza che deve essere sostituita.
Per le draghe idrauliche, qualora si tratti di unità i cui titolari non abbiano aderito ai Consorzi, le caratteristiche tecniche della nave tipo sono quelle indicate nel D.M. 21.7.1998 (in G.U. n. 180 del 4.8.1998) ovvero, in caso positivo, quelle indicate nel D.M. 5.10.1999 (in G.U. n. 274 del 22.11.1999).
I dati riportati in questo settore della Licenza indicano la “Potenza dei motori installati sull’unità espressi sia in KW che in HP”.
Sono riportati, inoltre, il tipo di motore, (entro/fuoribordo) e il tipo di propulsione (benzina, diesel, diesel elettrico).
Lo spazio previsto nella sezione consente l’inserimento dei dati relativi a due motori.
Qualora la nave ne possieda di più, i valori della potenza devono essere sommati.
Nell’archivio sono registrate tutte le variazioni che intervengono.
Le disposizioni vigenti non consentono variazioni della potenza senza la preventiva autorizzazione.
E’ consentito l’aggiornamento automatico della Licenza di pesca in caso di sostituzione del motore con un altro, anche di tipo diverso, a condizione che sia di potenza pari o inferiore.
I dati riportati in questo settore del documento autorizzativo indicano rispettivamente il “Tipo di pesca e gli attrezzi consentiti”.
Ogni unità da pesca, in relazione alle proprie caratteristiche tecniche ed alle dotazioni di sicurezza, è abilitata ad esercitare un determinato tipo di pesca.
La Comunità Europea, recentemente, ha introdotto ulteriori elementi per la classificazione delle unità nell’ambito delle abilitazioni nei vari tipi di pesca. Tant’è che si è reso necessario, per la classificazione delle navi nei vari segmenti, prendere in considerazione altri parametri quali la “lunghezza fuori tutto” ed i “sistemi di pesca” ai quali ogni nave è autorizzata.
L’integrazione dei citati elementi determina l’assegnazione della nave ad una delle seguenti categorie di programma previste dal POP IV (=Propraganda Orientamento Pluriennale):
Costiera: | 4H1 - Piccola pesca costiera |
4H2 - Strascico | |
4H3 - Traino pelagico a coppia | |
4H4 - Attrezzi passivi | |
4H5 - Draga idraulica | |
4H6 - Polivalenti | |
Mediterranea: | 4H7 - Strascico e volante |
4H8 - Attrezzi passivi | |
4H9 - Circuizione per tonno | |
4HA - Spadare | |
Oceanica: | 4HB - Oceanica |
Al fine di poter cambiare il tipo di pesca autorizzato sulla Licenza è necessario richiedere apposito nulla-osta al Ministero che, dopo aver valutato la compatibilità della richiesta con la capienza del relativo segmento, invita l’interessato a produrre idonea documentazione attestante la sussistenza dei requisiti prescritti per esercitare il diverso tipo di pesca.
L’Amministrazione, completata l’istruttoria, (favorevolmente) può rilasciare la Licenza di pesca con la variazione in parola.
Anche se in linea generale non è consentita l’aggiunta di nuovi sistemi di pesca sulla Licenza, possono tuttavia verificarsi delle eccezioni (per esempio in caso di rinuncia ad un sistema di pesca che incide maggiormente sulle risorse ittiche) in cui l’Amministrazione, su richiesta dell’interessato, può valutare l’opportunità di concedere l’autorizzazione per un nuovo attrezzo in sostituzione di quello a cui si rinuncia. In tal caso l’Amministrazione centrale rilascia apposito nulla osta e successiva Licenza di pesca.
Il rilascio del “nulla-osta“ da parte del Ministero è pure necessario qualora l’interessato intenda utilizzare l’unità, oltre che per la pesca professionale, anche come unità asservita ad impianto ovvero come unità appoggio sub. Al rilascio di tale nulla- osta segue quello della Licenza di pesca recante apposita autorizzazione.
Ogni unità da pesca, in relazione al tipo di pesca a cui è autorizzata, può esercitare l’attività in uno, in tre o in tutti i Compartimenti marittimi.
I sistemi di pesca autorizzati sulla Licenza sono quelli ripresi dal vecchio permesso di pesca rilasciato dagli Uffici dove l’unità è iscritta, anche se, a seguito del D.M. 26 luglio 1995, vengono denominati per categorie omogenee in vista del razionale sfruttamento delle risorse biologiche del mare.
Alle unità di nuova costruzione sono concessi i sistemi già autorizzati alle unità offerte in ritiro e, in caso di costruzione senza ritiro, i sistemi previsti dai decreti che hanno consentito il rilascio del nulla osta:
Allo stato attuale non è possibile autorizzare ulteriori sistemi di pesca rispetto a quelli già riportati sulla Licenza.
Tuttavia, possono essere positivamente valutate dalla Direzione Generale sostituzioni di alcuni sistemi a forte impatto sulle specie catturabili (strascico – volante - circuizione – palangari ) con altri sistemi non soggetti a restrizioni (attrezzi da posta e lenze).
Alcuni sistemi sono a “numero chiuso“ come la draga idraulica, la rete a circuizione per i tonni, la rete da posta derivante, il rastrello da natante, il palangaro per i tonni e sono disciplinati da apposita normativa.
Per le "unità asservita ad impianto" o "unità appoggio sub", non essendo inserite in flotta, le relative Licenze possono essere rilasciate senza particolari vincoli.
Non è previsto il rilascio della licenza per l’impiego dell’attrezzo denominato “Rastrello da natante” o “Rastrello a mano”. Per l’impiego di detto attrezzo in nessuna fase dell’attività di pesca, ivi compreso il trasferimento sul luogo di pesca, è consentito l’uso di unità.
Approfondimenti:
E’ il caso di evidenziare che con il D.M. 26.7.1995, in vista del razionale sfruttamento delle risorse biologiche del mare, gli attrezzi da pesca autorizzati con la Licenza sono stati raggruppati, per categorie omogenee, mediante l’introduzione di taluni "Sistemi di pesca", ciascuno dei quali consente l’impiego degli attrezzi compresi nel sistema autorizzato.
A seguito di tale innovazione, con la Licenza di pesca possono essere autorizzati i seguenti sistemi:
Oltre alle licenze di pesca sopra descritte, vengono rilasciate anche distinte Licenze per le pesche speciali:
Le licenze di pesca per il novellame da allevamento sono rilasciate annualmente agli interessati che l’abbiano ottenuta l’anno precedente. In esse sono riportati i periodi di pesca consentiti, le specie catturabili e i quantitativi massimi di novellame da prelevare.
Le licenze per la pesca del novellame da consumo sono rilasciate annualmente a coloro che, secondo il criterio della consuetudine, hanno esercitato tale attività negli anni precedenti regolarmente autorizzati.
L’ultima parte del documento è caratterizzata, oltre che dagli “Estremi del bollettino di c/c postale di versamento della tassa di concessione governativa”, anche dalla “Data del rilascio” e dalla “Firma dell’Autorità competente”.
All’annotazione degli estremi del bollettino di c/c postale, della data di versamento della tassa e dell’ufficio postale dove la tassa è stata versata, provvede direttamente l’Ufficio ove l’unità è iscritta.
Non coincidendo la validità della Licenza (otto anni dalla data di rilascio) e la validità della tassa di concessione governativa (otto anni dal versamento), salvo il caso di primo rilascio per nuova nave, è stato necessario prevedere in questo campo della Licenza più di un rigo per consentire all’Autorità marittima di annotarne gli estremi dei diversi bollettini di c/c postale.
Nuova procedura:
In attesa che venga definita la procedura della firma digitale, il Direttore Generale della pesca e dell’acquacoltura, con apposto decreto, delega in via transitoria, ai sensi della legge n. 963/1965 e della legge n. 491/1993, il Capo del compartimento alla sottoscrizione della Licenza di pesca.
Pescaturismo consiste in un' attività integrativa alla pesca artigianale che offre la possibilità agli operatori nel settore di “ospitare” a bordo delle proprie unità da pesca un certo numero di persone diverse dall'equipaggio per lo svolgimento di attività turistico-ricreative.
L'attività di Pescaturismo è attualmente regolamentata dal D.M. 13 aprile 1999, n. 293 MIPAF (Regolamento recante norme in materia di disciplina dell'attività di pesca turismo, in attuazione dell'art. 27-bis della legge 17 febbraio 1982, n.41, e successive modificazioni) e dal Dlgs. 26 maggio 2004 n. 154, che comprende lo svolgimento di attività nell'ottica della divulgazione della cultura del mare e della pesca, come:
L'eccezionale bellezza paesaggistica, la peculiarità morfologica-geologica delle più interessanti località turistiche italiane e la necessità avvertita nel mondo della pesca di creare nuove opportunità di lavoro e nuova occupazione hanno portato alla nascita del Pescaturismo.
L'attività rappresenta una proposta innovativa per rispondere all'esigenza di diversificazione di parte delle attività di pesca, in particolare all'interno di Aree Marine Protette, riqualificando una quota di mercato turistico in parte esistente e creandone un'aggiuntiva particolarmente interessante; il tutto in perfetta linea con l'esigenza di politiche che rispondano ai criteri di un “Turismo responsabile”.
Il concetto di Turismo responsabile nasce da nuove esigenze di valorizzazione e riscoperta della realtà sociale ed ambientale dei luoghi più suggestivi e delle antiche tradizioni della nostra cultura. Si vuole offrire al visitatore la possibilità di inserirsi in maniera armonica nel contesto preesistente senza alterarne le preziose particolarità. Gli usi e le tradizioni legati alle marinerie italiane possono offrire nuove possibilità di rilancio di questo settore, rispondendo contemporaneamente alle politiche europee di razionalizzazione dello sforzo di pesca. Il Pescaturismo può portare molteplici vantaggi: il mantenimento di quell'integrità sociale ed economica spesso danneggiata dal voler promuovere attività che non tengono conto del contesto locale; una valida risposta ai problemi legati alla pesca, con la possibilità di integrazione del reddito degli operatori del settore attraverso un'attività non contrastante con la loro stessa identità storica e culturale; la razionalizzazione del prelievo delle risorse, ottenuta tramite l'orientamento verso una graduale diversificazione delle attività produttive. Il pescaturismo permette, infine, al pescatore, di mettere in rilievo aspetti della cultura marinara e delle tradizioni della pesca artigianale, troppo spesso sottovalutati.
Unità adibita a pesca-turismo
Il pescaturismo si esercita “per tutto l’arco dell’anno”, nell’ambito del Compartimento d’iscrizione dell’unità da pesca ed in quelli confinanti, con condizioni meteomarine favorevoli, a una distanza dalla costa:
Tale pesca è consentita nel periodo 1° Novembre-30 Aprile a condizione che le unità da pesca siano dotate di: «sistemazioni, anche amovibili, per il ricovero al coperto delle persone imbarcate».
Tali iniziative possono essere svolte anche nei giorni festivi, in ore diurne, e qualora esistenti le sistemazioni d’alloggio di caratteristiche pari a quelle dell’equipaggio (art. 5, 1°comma lettera c) DM 22/6/82) anche in ore notturne[1].
[1] La Direz. Gen. della pesca e dell’acquacoltura con Dp. 602020 del 13/7/2000 ha chiarito che il DM 22/6/82 intitolato “imbarco di ricercatori” l’ autorizzazione al pernottamento a bordo, è prevista per attività superiori alle 24 ore, con turni di riposo notturni. La stessa norma, pertanto, non è pertinente nel caso di pesca che si svolge nel corso di una notte, dal calar del sole all’alba, per cui si può prescindere dalle sistemazioni a bordo. Tale autorizzazione, di conseguenza, può essere concessa, nel rispetto della normativa vigente, fermo restando la presa visione da parte di coloro che intendono partecipare, delle clausole connesse all’attività di pesca turismo in ore notturne, concernenti in particolare l’aggiornamento delle manovre da effettuarsi e gli interventi connessi ad eventuali emergenze notturne, nonché l’esistenza della copertura assicuratrice sull’attività svolta in ore notturne.
L'attività di pesca-turismo può essere svolta con i «sistemi di pesca» previsti nella prescritta Licenza di pesca, nel rispetto delle norme di comportamento di cui all'articolo 96 del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639.
Alle unità abilitate alle lenze e arpione è consentita l’aggiunta di attrezzi da posta o palangari.
Alle unità autorizzate ad un solo sistema fra attrezzi da posta, ferrettara, palangari, è consentita l’aggiunta di un altro sistema fra questi tranne ferrettara più lenze o arpione.
Gli armatori di unità munite di Licenza di pesca riportanti «sistemi a traino», previa rinuncia agli stessi, possono esercitare l'attività di pesca-turismo con tutti i sistemi consentiti dall'articolo 19 del decreto ministeriale 26 luglio 1995 (Disciplina del rilascio delle licenze di pesca - Piccola Pesca)[1], mediante il rilascio di una «Attestazione provvisoria» da parte del Capo del Compartimento marittimo del luogo di iscrizione dell'unita da pesca interessata.
I predetti sistemi a traino sono sbarcati e sigillati, prima dell'inizio dell'attività di pesca turismo, dalla locale Autorità marittima.
Quando l'attività di pesca-turismo è effettuata utilizzando gli «attrezzi da pesca sportiva», l'armatore ne cura la sistemazione in maniera che non rechino intralcio al normale svolgimento dell'attività di bordo durante la navigazione.
Sistemi: palangari e lenze
[1] Piccola pesca:
Le cooperative di pesca e le imprese di pesca, in relazione alle esigenze di riconversione delle attività di pesca ed in considerazione dei problemi occupazionali e sociali connessi, possono essere autorizzate ad esercitare l'attività di pesca-turismo, mediante utilizzazione di navi non superiori a 10 tonnellate di stazza lorda acquisite a tale esclusivo fine, con i sistemi previsti dall'articolo 19 del decreto ministeriale 26 luglio 1995, ad esclusione dei palangari. Per tali unità, che potranno esercitare l'attività nel limite delle 6 miglia, saranno applicate le norme in vigore sulla sicurezza inerente l'attività di pesca costiera locale.
Le cooperative e le imprese concessionarie di specchi acquei per la mitilicoltura, l'allevamento in mare e le tonnare possono intraprendere l'attività di pesca-turismo all'interno dell'area assentita in concessione con imbarcazioni iscritte in quinta categoria.
Al fine di ottenere l'autorizzazione (o il rinnovo[1]) all'esercizio dell'attività di pesca-turismo è presentata, da parte dell’armatore, domanda al Capo del compartimento marittimo del luogo di iscrizione della nave.
La domanda con l’indicazione delle tariffe che si intendono applicare (l’autorizzazione è revocata per un anno in caso di inosservanza delle previsioni del Decreto 13 aprile 1999 n. 293) devono essere corredate dalla seguente documentazione:
Entro 60 (sessanta) giorni dalla presentazione della domanda, il Capo del compartimento marittimo del luogo di iscrizione della nave, rilascia l'autorizzazione, tenuto conto degli accertamenti di sicurezza eseguiti anche per il tramite degli Uffici marittimi dipendenti e della prova pratica di stabilità effettuata dal Registro Navale Italiano.
Il Capo del compartimento, in sede di rilascio, fissa altresì il numero massimo di persone imbarcabili, nel «numero massimo di 12», attenendosi anche alle indicazioni del Registro navale italiano.
L'esercente attività di pesca-turismo è tenuto ad aggiornare la “documentazione relativa alla sicurezza“ e, nel caso di modificazioni delle caratteristiche tecniche dell'unità, e tenuto a presentare nuova domanda di autorizzazione.
Le navi destinate all'esercizio dell'attività di pesca-turismo devono essere provviste del “materiale sanitario“ indicato nelle istruzioni annesse al decreto 25 maggio 1988, n. 279 del Ministero della sanità, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 25 maggio 1998.
I “mezzi di salvataggio” da sistemare a bordo delle unità da pesca, autorizzate all'esercizio della pesca turismo, sono quelli indicati dagli articoli 12, 13, 14, e 15 del decreto ministeriale 22 giugno 1982; gli stessi dovranno essere sufficienti per tutte le persone a bordo; per l'imbarco di minori di anni 14, le unita devono essere dotate di mezzi di salvataggio individuali per bambini. Le unità dovranno comunque essere in possesso del certificato di annotazioni di sicurezza in regolare corso di validità. Per le esigenze delle persone imbarcate, ove non previsto dalle pertinenti disposizioni del regolamento di sicurezza per la pesca, le unità autorizzate alla pesca-turismo devono essere dotate di apparato radiotelefonico VHF, anche di tipo portatile. Sono fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale in materia di pesca nell'ambito del mare territoriale.
L’esercente attività di pescaturismo deve altresì ottemperare ad altri obblighi normativi, quali ad esempio:
[1] 3 anni in concomitanza con il rinnovo delle Annotazioni di Sicurezza L'Autorizzazione è rinnovata ogni
[2] Il D.Lgs. 155 del 26/05/1997 indica i sistemi da adottare per procedere all'analisi dei pericoli che potrebbero verificarsi in un qualsiasi processo produttivo alimentare; è il metodo di analisi identificato dalla sigla HACCP, ovvero in italiano: "Analisi dei Rischi – Punti Critici di Controllo". Per documentare il lavoro di analisi dei rischi connessi con la manipolazione di alimenti e il controllo dei punti critici nei processi di lavorazione degli stessi, occorre predisporre un apposito Manuale contenente tutte le notizie inerenti l'Azienda, il ciclo produttivo, il processo di autocontrollo e le schede di rilevazione dei dati. WST Italia provvede a redigere il Manuale di Autocontrollo HACCP in conformità ai criteri del D.Lgs. 155/97; partendo dalla ricerca di tutti i pericoli che potrebbero insorgere sia durante le fasi produttive di un alimento, sia durante tutte le altre fasi successive come lo stoccaggio, il trasporto, la conservazione fino alla vendita al consumatore finale.
Associata all'attività di pescaturismo troviamo oggi un'altra novità: l'Ittiturismo, che consiste in un'attività di ricezione ed ospitalità esercitata dai pescatori professionisti, attraverso l'utilizzo delle proprie abitazioni, adeguatamente ristrutturate o appositamente acquisite, e l'offerta di servizi di ristorazione e degustazione dei prodotti tipici delle marinerie italiane.
L’ittiturismo è regolamentato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 96 “Disciplina dell’Agriturismo” - secondo l’art.7 comma 1 b) del D.L. 26 maggio 2004, n.154, ed è finalizzato alla corretta fruizione degli ecosistemi acquatici e vallivi, delle risorse della pesca e dell’acquacoltura, e alla valorizzazione degli aspetti socio-culturali delle imprese ittiche e di acquicoltura, esercitata da imprenditori, singoli o associati, attraverso l’utilizzo della propria abitazione o di struttura nella disponibilità dell’imprenditore stesso.
Approfondimenti:
Il progetto “turismo con i pescatori”, propone di ripristinare aree soggette a degrado, come antichi borghi marinari e località isolate da problemi storici e logistici. Si profila nell'insieme un'opera di risanamento e ristrutturazione di importanti edifici di particolare valore storico-monumentale, nonché di abitazioni tipiche dei pescatori che ben si integrano con l'ambiente circostante, senza mai aggiungere nuove costruzioni al patrimonio preesistente. La ristrutturazione di antichi borghi, oggi sovente degradati, offre inoltre la possibilità di allestire piccoli ristoranti tipici dove si cucina il pesce appena pescato ed altre pietanze tipiche del luogo, di aprire botteghe dove è possibile acquistare i prodotti locali preparati artigianalmente e piccoli musei della pesca per imparare qualcosa in più sulle arti e le tradizioni di questo mondo.
Questa possibilità rappresenta una vera svolta ed un concreto aiuto nell'ambito di un processo di ristrutturazione e modernizzazione del settore della pesca e della creazione di un sistema di tutela e valorizzazione delle risorse alieutiche.
Per quali motivi si pratica ?
- integrare il reddito
- salvaguardare le risorse
- mantenere l’occupazione
- evitare l’espulsione dei giovani dal settore
- trovare impiego per le donne dei pescatori
- divulgare le conoscenze
- valorizzare il ruolo sociale del pescatore
- introdurre il concetto di turismo eco-sostenibile
Chi può esercitare l’ittiturismo ?
- pescatori professionisti muniti di regolare licenza che abbiano disponibilità di locali o spazi;
- cooperative di pesca
- società d’acquicoltura e maricoltura
- l’imprenditore ittico
quindi chi “…esercita, in forma singola o associata o societaria, l’attività di pesca professionale diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri o dolci e le attività connesse”.
Quali sono le attività connesse ?
Il D.L. 26 maggio 2004, n° 154, apporta modifiche al D L. 18 maggio 2001, n. 226, e specifica quali sono:
1. il pescaturismo
2. l’ittiturismo
3. la prima lavorazione dei prodotti del mare e dell’acquacoltura
4. la conservazione
5. la trasformazione
6. la distribuzione
7. la commercializzazione
8. le azioni di promozione e valorizzazione dei prodotti
Cosa implica ?
- la degustazione dei prodotti della pesca anche sotto forma di pasto completo
- la vendita dei prodotti della pesca anche lavorati e trasformati
- il pernottamento
Il Regolamento D.P.R. n. 1639/68 come modificato ed integrato dal D.P.R. n. 219/83, determina i limiti e le modalità idonee a garantire la tutela ed il miglior rendimento costante delle risorse biologiche del mare e a tal fine stabilisce:
In attesa dell’emanazione del nuovo Regolamento sull’esercizio della pesca e dell’acquacoltura che sostituirà a breve il citato D.P.R. 1639/68, sono tuttora valide ed applicabili le norme che stabiliscono le dimensioni minime dei vari esemplari di pesci, crostacei e molluschi e quelle che descrivono le tipologie e le caratteristiche tecniche degli attrezzi da pesca.
Peraltro con la costituzione dell’Unione Europea sono stati introdotti regolamenti e direttive comunitarie che hanno modificato la disciplina dell’attività di pesca, considerando tra l’altro che in caso di Regolamenti, questi prevalgono sulla normativa nazionale dei singoli Stati, ad esclusione delle norme che per la loro formulazione risultano più restrittive di quelle comunitarie.
In particolare il Regolamento (CE) 1967/2006 del Consiglio del 21 dicembre 2006 (relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel mar mediterraneo e recante mgdificha al Regolamento (CE) n. 2847/1993 e che abroga il Regolamento (CE) n. 1626/1994), ha stabilito le misure minime e di protezione per alcune specie ittiche e per alcuni habitat marini (ad esempio le praterie sommerse di Posidonia oceanica). Stabilisce altresì che in caso di pesca accidentale di specie incluse nella direttiva Habitat (es. tartaruga marina) la loro detenzione a bordo è permessa se necessaria alla cura dell'individuo e se le autorità competenti ne sono state informate in precedenza. Ha previsto restrizioni relative agli attrezzi da pesca, vietandone l’impiego e la detenzione a bordo dei pescherecci (Capo IV - artt. 8-14) allorquando risultano dannosi per l’ambiente marino o conducono al depauperamento di determinati stock ittici e di altri organismi marini.
La pesca è una delle attività più antiche messe in atto dall’uomo per poter soddisfare i propri bisogni primari. Sin dai tempi più remoti il mare è stata una fonte naturale da cui attingere per procacciare cibo; prima con l’ausilio di rudimentali “attrezzi” di cattura, poi con attrezzi statici ed, infine, con quelli dinamici.
Oggi i pescatori oltre a basarsi sull’uso di attrezzi quali ami e reti, sono accompagnati da efficienti accorgimenti tecnici e metodologie avanzate che permettono una migliore reperibilità del pescato, migliori prestazioni e maggiori sicurezze per chi pratica questa attività.
La grande varietà di attrezzi in uso nel Mar Mediterraneo è determinata dalla multi specificità di questo mare; esistono attrezzi diversi in base alle specie da catturare, che vivono a profondità diverse, su fondali diversi, solitarie, in branchi, nascoste in tane, infossate.
Gli attrezzi da pesca si suddividono, in riferimento alla loro condizione operativa, nei seguenti tipi:
I «sistemi di pesca»[1] normalmente impiegati in Italia sono regolamentati da una fonte legislativa specifica finalizzata, principalmente, alla tutela ambientale ed alla salvaguardia delle risorse ittiche.
L’attività di pesca viene esercitata utilizzando un natante e una particolare attrezzatura che può:
I possibili sistemi di “Pesca professionale” e le loro definizioni sono fornite dal Reg. (CE) 1964/2006 il quale, unitamente al D.P.R. 1639/1968, impartisce i requisiti tecnici e le limitazioni afferenti il loro utilizzo.
Altri requisiti sono marginalmente disciplinati dal Reg. (UE) 404/2011 nella parte concernente la loro “segnalazione” in mare ai fini della sicurezza della navigazione e la corretta individuazione del proprietario dell’attrezzo.
Requisito essenziale, infatti, è la corretta marcatura degli attrezzi, ai sensi del Capo III - Sezione II, mediante una targhetta identificativa che riporti il numero di immatricolazione del peschereccio.
L’indicazione di ciascun sistema sulla Licenza di pesca consente l’impiego degli attrezzi compresi nel sistema autorizzato.
[1] Sistemi di pesca e attrezzi da pesca sono due cose diverse. Il sistema di pesca è quello indicato nella Licenza di pesca e può comprendere diversi attrezzi da pesca (esempio: il sistema a strascico comprende sia la rete a strascico sia il rapido). Ai sensi del D.M. 26/01/2012 si fa oggi riferimento ai singoli attrezzi da pesca.
Il Reg. CE 1967/2006 (Capo I – art. 2) classifica gli attrezzi per la pesca professionale in:
In particolare, le reti trainate comprendono:
Le draghe, sono attrezzi trainati attivamente dal motore principale del peschereccio (draga tirata da natanti) o tirati da un vericello a motore di una nave ancorata (draga meccanizzata) per la cattura di molluschi bivalvi, gasteropodi e spugne e che comprendono un sacco di rete o una gabbia metallica montati su un’armatura rigida o una barra di forma e dimensioni variabili, la cui parte inferiore può presentare una lama che può essere arrotondata, affilata o dentata e può essere o no munita di scivoli e depressori; esistono draghe attrezzate di dispositivi idraulici (draghe idrauliche).
Le draghe tirate a mano o da un verricello a mano in acqua bassa con o senza un natante per la cattura di molluschi bivalvi, gasteropodi o spugne (draghe a mano) non sono considerate attrezzi trainati ai fini del citato Regolamento.
Classifica gli attrezzi per la pesca professionale
(Reg. CE 1967/2006)
La grande varietà di attrezzi in uso nel Mar Mediterraneo è determinata dalla multispecificità di questo mare; esistono attrezzi diversi in base alle consuetudini locali, alle specie da catturare, che vivono in profondità diverse su fondali diversi, solitarie, in branchi, nascoste in tane, infossate.
A livello locale, i pescatori professionali devono, durante l’attività di pesca, tenersi a conveniente distanza gli uni dagli altri, in conformità del tipo di attrezzo impiegato, salva l’osservanza di diverse disposizioni di legge o regolamento.
Il Capo del compartimento, sentito il parere della Commissione consultiva locale per la pesca marittima, al fine di assicurare il disciplinato esercizio della pesca nella zona di mare della rispettiva circoscrizione, può stabilire norme particolari per l'uso degli attrezzi, in particolare allorquando tali attrezzi possono recare danno al patrimonio ittico.
Il Capo del compartimento può vietare o limitare nel tempo e nei luoghi, l’esercizio della pesca qualunque sia il mezzo di cattura impiegato, in quelle zone di mare (zone di tutela biologica) che sulla base di studi scientifici o tecnici, siano riconosciute come aree di riproduzione o di accrescimento di specie marine di importanza economica o che risultassero impoverite da un troppo intenso sfruttamento.
Nell’ambito comune della pesca, al fine di evitare la cattura eccessiva e gli aumenti di mortalità di individui sottotaglia ovvero ridurre l’entità dei rigetti in mare di organismi marini morti da parte dei pescherecci, la comunità europea (Reg. (CE) 1967/2008), per proteggere determinate zone in cui si riunisce il novellame - tenendo conto delle condizioni biologiche locali - vieta o sottopone ad una regolamentazione più rigorosa, l’uso degli attrezzi da pesca che risultano troppo dannosi per l’ambiente marino o che, comunque, conducono al depauperamento di determinati stock, predisponendo un aumento delle dimensioni delle maglie e degli ami per le reti da traino, le reti da fiondo e i palangari utilizzati per la cattura di alcune specie di organismi marini, rendendo obbligatorio l’impiego di pezze i rete a maglie quadre.
Allo scopo di favorire una pesca sostenibile per proteggere le zone di crescita e gli habitat sensibili nonché di favorire la sostenibilità sociale della pesca nel mar Mediterraneo, determina oltremodo le dimensioni totali dei principali attrezzi fissi per limitare uno dei fattori che incidono sullo sforzo di pesca, riservando una parte della fascia costiera agli attrezzi selettivi utilizzati per la pesca artigianale e delle taglie minime di sbarco di taluni organismi marini al fine di migliorarne lo sfruttamento. Tra le innumerevoli iniziative adottate dal legislatore in sede comunitaria, data l’importanza che riveste la pesca sportiva nel Mediterraneo, occorre garantire che anch’essa venga praticata in modo tale da non interferire in misura significativa con la pesca professionale, che sia compatibile con lo sfruttamento sostenibile delle risorse acquatiche vive e che rispetti gli obblighi comunitari con riguardo alle organizzazioni regionali per la pesca.
Per garantire un efficace controllo e sorveglianza delle attività di pesca nel Mediterraneo, la Comunità europea si è impegnata ad applicare una strategia precauzionale nell’adozione di misure più rigorose rispetto a quelle gia previste dal Reg. (CE) n. 2847/93, volte alla razionale conservazione, gestione e sfruttamento delle risorse acquatiche vive e degli ecosistemi marini, vietando l’utilizzazione e la detenzione a bordo di attrezzi da pesca non conformi ai requisiti fissati dal Reg. (CE) 1967/2008).
Sono previste al Capo IV, art. 8 del citato Regolamento, alcune importanti restrizioni per quanto attiene agli attrezzi da pesca e alcuni divieti riguardo all'impiego per la pesca e la detenzione a bordo di:
► Il Regolamento fa divieto, altresì:
I predetti divieti si applicano a tutte le zone “Natura 2000” [3] , a tutte le zone particolarmente protette e di rilevanza mediterranea (ASPIM) designate ai fini della conservazione di tali habitat a norma della direttiva 92/43/CEE o della decisione 1999/800/CE.
L’art. 10 del Reg. (CE) 1967/2006 vieta l'impiego per la pesca e la detenzione a bordo di "palangari" con ami di lunghezza totale inferiore a 3,95 cm e di larghezza inferiore a 1,65 cm per i pescherecci che utilizzano palangari e che sbarcano o detengono a bordo un quantitativo di occhialone (Pagellus bogaraveo) superiore al 20% delle catture in peso vivo misurate dopo la cernita.
[1] Area in cui il fondale marino è caratterizzato dalla presenza dominante di una specifica comunità biologica chiamata "coralligena" o in cui tale comunità è esistita e richiede un intervento di ripristino. Coralligeno è un termine collettivo per una struttura biogenica molto complessa, risultante dalla continua sovrapposizione, su un sostrato roccioso o duro preesistente, di strati calcarei derivanti principalmente dall'attività costruttrice, tramite incrostazioni calcaree, di alghe rosse corallinacee e organismi animali quali Poriferi, Ascidi, Cnidari (gorgonie, ventagli di mare, ecc.), Briozoi, Serpulidi, Anellidi e altri organismi fissatori di calcare.
[2] Area in cui il fondale marino è caratterizzato dalla presenza dominante di una specifica comunità biologica chiamata "maerl" o in cui tale comunità è esistita e richiede un intervento di ripristino. Maerl è un termine collettivo per una struttura biogenica risultante da varie specie di alghe coralline rosse (Corallinacee), che sono dotate di scheletro rigido di calcio e crescono sul fondale come alghe coralline a ramificazioni libere, a rametti o a noduli, formando sedimenti nelle pieghe dei fondali melmosi o sabbiosi. I letti di maerl sono di solito composti di una o più alghe rosse variamente combinate, in particolare Lithothamnion coralloides e Phymatolithon calcareum.
[3] Natura 2000 è una rete di siti ecologici detti di “interesse comunitario” e quindi protetti dagli Stati membri della Comunità Europea. Scopo della rete è garantire la sopravvivenza a lungo termine delle specie e degli habitat europei più preziosi e più minacciati. Mira a svolgere un ruolo chiave nella protezione delle biodiversità nel territorio dell’Unione Europea.
Sono vietati l'uso di "attrezzi trainati" entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa o all'interno dell'isobata di 50 metri quando tale profondità è raggiunta a una distanza inferiore dalla costa.
In deroga, l'uso di "draghe" è autorizzato entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa, indipendentemente dalla profondità, a condizione che le specie diverse dai molluschi catturate non superino il 10% del peso vivo totale della cattura.
E’ vietato l'uso di "reti da traino" entro una distanza di 1,5 miglia nautiche dalla costa. In deroga, l'uso di reti da traino entro una distanza compresa tra 0,7 e 1,5 miglia nautiche dalla costa è autorizzato alle condizioni che tale deroga sia giustificata:
Tale deroga si applica, in particolare, alle attività di pesca già autorizzate dagli Stati membri e alle unità aventi un’attività comprovata nella pesca di più di 5 (cinque) anni e non comporta alcun aumento futuro nello sforzo di pesca previsto. Le attività di pesca devono inoltre soddisfare i requisiti di cui all’art. 4 (Habitat protetti) e all’art. 23 (Controllo delle catture) del Regolamento e non interferire con le attività delle unità che utilizzano attrezzi diversi dalle reti da traino, dai ciancioli o da analoghe reti trainate ed infine essere regolamentate in modo da garantire che le catture delle specie di cui all’Allegato III, ad eccezione dei molluschi bivalvi, siano minime.
In particolare tale attività non deve orientarsi verso i cefalopodi.
È vietato l'uso di "draghe tirate da natanti" e "draghe idrauliche", entro una distanza di 0,3 miglia nautiche dalla costa.
E’ vietato l'uso di "ciancioli" entro una distanza di 300 metri dalla costa o all'interno dell'isobata di 50 metri quando tale profondità è raggiunta a una distanza inferiore dalla costa.
I ciancioli non sono piazzati ad una profondità inferiore al 70% dell'altezza totale dei ciancioli stessi secondo i criteri di misura di cui all'Allegato II del presente Regolamento.
È vietato l'uso di "draghe trainate" e di "reti da traino" per la pesca a profondità superiori a 1.000 m.
E’ vietato l'uso di "draghe per la pesca delle spugne" all'interno dell'isobata di 50 metri; tale pesca non deve essere effettuata entro una distanza di 0,5 miglia nautiche dalla costa.
Sono vietati l'impiego per la pesca e la detenzione a bordo di “reti trainate”, di “reti da circuizione” o di “reti da imbrocco”, a meno che la dimensione delle “maglie” nella parte della rete in cui esse sono più piccole (sacco), ai sensi dell’art. 9 del Regolamento, siano:
Uno Stato membro può concedere deroga per le “sciabiche da natante” e le “sciabiche da spiaggia” che rientrano nel piano di gestione per la pesca nel mare territoriale (art. 19), a condizione che la pesca in questione sia altamente selettiva, abbia un effetto trascurabile sull'ambiente marino e non sia interessata dalle disposizioni di cui all'articolo 4 (Habitat protetti), paragrafo 5, che in deroga al paragrafo 1, primo comma[1] , stabilisce che la pesca esercitata con reti trainate sul fondo, tradizionalmente intrapresa sulle praterie di posidonie, da pescherecci di lunghezza fuori tutto inferiore o pari a 12 metri e potenza del motore inferiore o pari a 85 kW, può essere autorizzata dalla Commissione (secondo la procedura di cui all'articolo 30, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 2371/2002), a condizione che:
► Le predette attività di pesca devono comunque soddisfare i requisiti di cui:
Gli Stati membri interessati stabiliscono un piano di controllo e relazionano[2] alla Commissione ogni 3 (tre) anni in merito allo stato delle praterie di posidonia oceanica interessate dalle attività di pesca con reti trainate sul fondo e all'elenco dei pescherecci autorizzati, delle zone autorizzate, con le rispettive coordinate geografiche sia terrestri che marine.
Deroghe transitorie alla dimensione minima delle maglie alla distanza minima dalla costa per l’uso degli attrezzi da pesca
Le reti trainate, comprese quelle destinate alla pesca della sardina e acciuga, da circuizione o da imbrocco, le cui maglie siano di dimensioni inferiori a quelle stabilite all’art. 9 del Regolamento e, il cui uso sia conforme alla legislazione nazionale in vigore al 1º gennaio 1994, possono comunque essere utilizzate fino al 31 maggio 2010 anche se non vengano rispettati i valori minimi di distanza e profondità per l’uso degli attrezzi da pesca stabiliti all’art. 13 del Regolamento.
[1] E’ vietata la pesca con reti da traino, draghe, trappole, ciancioli, sciabiche da natante, sciabiche da spiaggia e reti analoghe in particolare sulle praterie di posidonie (Posidonia oceanica) o di altre fanerogame marine. In deroga, l'uso di ciancioli, sciabiche da natante e reti analoghe la cui altezza totale e il cui comportamento nelle operazioni di pesca implicano che il cavo di chiusura, la lima da piombo o le corde da salpamento non tocchino le praterie può essere autorizzato nel quadro dei piani di gestione di pesca a livello comunitario o nelle acque territoriali),
[2] La prima relazione è trasmessa alla Commissione entro il 31 luglio 2009.
L’art. 8 del Regolamento (CE) n.1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 ed il Regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011 della Commissione dell’ 8 aprile 2011, Titolo II, Capo III, Sezioni 1 e 2, al fine di agevolare l’attuazione del sistema di controllo della pesca, hanno disciplinato omogenee modalità di marcatura e identificazione dei pescherecci, delle imbarcazioni trasportate a bordo e degli attrezzi da pesca, utilizzati nelle acque comunitarie.
Dal 1° gennaio 2012, pertanto, i pescherecci dell’Unione e gli attrezzi detenuti a bordo o utilizzati per la pesca, devono riportare, in forma permanente e chiaramente leggibile, la sigla del porto di iscrizione ed il numero di matricola dell’unità
Nelle acque dell’Unione, ad una distanza di 12 miglia nautiche misurate dalle linee di base degli Stati membri costieri, è vietato utilizzare per la pesca attrezzi fissi, boe e sfogliare non marcati e non identificabili in conformità alle disposizioni degli articoli da 9 a 17 del Reg.di esecuzione (UE) n. 404/2011
Gli attrezzi detenuti a bordo o utilizzati per la pesca devono riportare, in relazione alla tipologia di attrezzo da pesca, in forma chiaramente leggibile, la sigla di iscrizione ed il numero di matricola dell’unità cui appartengono:
a) per le reti, su una targhetta fissata sulla prima fila superiore;
b) per le lenze e i palangari, su una targhetta posta nel punto di contatto con la boa di ormeggio;
c) per le nasse e le trappole, su un'etichetta fissata alla lima da piombo.
Per gli attrezzi fissi di estensione superiore ad 1 (uno) miglio nautico le informazioni di cui sopra devono essere riportate necessariamente su «targhette» ad intervalli regolari non superiori ad un miglio nautico, in modo da non lasciare senza contrassegno nessuna parte dell'attrezzo di estensione superiore ad un miglio nautico.
- essere composte da materiale inalterabile;
- essere saldamente fissata all’attrezzo;
- misurare almeno 65 mm di larghezza;
- misurare almeno 75 millimetri di lunghezza.
La targhetta non può essere rimossa, cancellata, alterata, resa illeggibile, coperta o dissimulata.
Regolamento UE 404/2011 recante “Modalità di applicazione regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca”.
L’art. 8 del Regolamento (CE) n.1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 ed il Regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011 della Commissione dell’ 8 aprile 2011, Titolo II, Capo III, Sezioni 1 e 2, al fine di agevolare l’attuazione del sistema di controllo della pesca, hanno disciplinato omogenee modalità di marcatura e identificazione dei pescherecci, delle imbarcazioni trasportate a bordo e degli attrezzi da pesca, utilizzati nelle acque comunitarie.
Dal 1° gennaio 2012, pertanto, i pescherecci dell’Unione e gli attrezzi detenuti a bordo o utilizzati per la pesca, devono riportare, in forma permanente e chiaramente leggibile, la sigla del porto di iscrizione ed il numero di matricola dell’unità.
In particolare, gli attrezi fissi (reti, lenze, palangari, nasse e trappole) devono essere individuati tramite «due boe segnaletiche situate all’estremità» degli stessi e per mezzo di «boe intermedie», contrassegnate con le informazioni relative al peschereccio, nel punto più alto possibile al di sopra del livello dell'acqua in modo da essere chiaramente visibili.
I cavi che collegano le boe all'attrezzo fisso devono essere di materiale sommergibile oppure devono essere provvisti di pesi.
Le boe possono avere un segnale all'estremità superiore con una o due bande luminose a strisce (non devono essere di colore rosso o verde e devono avere una larghezza di almeno 6 centimetri).
Le boe segnaletiche poste all’estremità dell’attrezzo da pesca, a seconda del «settore» dove si trovano devono essere fissati agli attrezzi fissi nel modo seguente:
► boa del settore occidentale (ossia la zona delimitata sulla bussola dal semicerchio che va da sud ad ovest, compreso il nord) attrezzata con due bandierine, due bande luminose a strisce, due luci e una targhetta con le seguenti caratteristiche:
- essere composte da materiale inalterabile;
- essere saldamente fissata all’attrezzo;
- misurare almeno 65 mm di larghezza;
- misurare almeno 75 millimetri di lunghezza.
La targhetta non può essere rimossa, cancellata, alterata, resa illeggibile, coperta o dissimulata.
► boa del settore orientale (ossia la zona delimitata sulla bussola dal semicerchio che va da nord ad est, compreso il sud) attrezzata con una bandierina, una banda luminosa a strisce, una luce e una targhetta con le caratteristiche suindicate.
Agli attrezzi fissi di estensione superiore a cinque miglia nautiche devono essere fissate «boe segnaletiche intermedie» posizionate, tra loro, a distanze non superiori a cinque miglia nautiche, in modo da non lasciare senza contrassegno nessuna parte dell'attrezzo di estensione pari o superiore a tale distanza.
Le boe sono devono avere caratteristiche identiche a quelle della boa segnaletica situata all'estremità del settore orientale (attrezzate, cioé con una luce intermittente di colore giallo che lampeggia ogni cinque secondi (F1 Y5s) e visibile a una distanza di almeno due miglia nautiche) fatta eccezione per i seguenti elementi:
Regolamento UE 404/2011 recante “Modalità di applicazione regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca”.
: CARATTERISTICHE DELLE BOE SEGNALETICHE SITUATE ALL'ESTREMITÀ OCCIDENTALE
: CARATTERISTICHE DELLE BOE SEGNALETICHE SITUATE ALL'ESTREMITÀ ORIENTALE
CARATTERISTICHE DELLE BOE SEGNALETICHE INTERMEDIE
Negli ultimi anni, nell’intento di pervenire ad una razionale gestione delle risorse ittiche, ci si pone in forma sempre più pressante il problema della loro salvaguardia.
Per questo si mettono in atto regolamenti per il contenimento, in alcuni casi per la riduzione, dello sforzo di pesca e si introducono misure tecniche più restrittive per l’uso di determinati attrezzi, unitamente ad altre misure tecniche quali, ad esempio, la limitazione delle dimensioni delle maglie.
Fra gli strumenti tecnici adottati in sede comunitaria e nazionale per una gestione razionale delle risorse, gioca un ruolo molto importante la “misura dell'apertura della maglia” perché da essa dipende la possibilità di fuga dalla rete degli organismi marini, in particolare degli esemplari con dimensioni inferiori a quelle minime pescabili.
Il D.P.R. 1639/68 ha fissato le misure minime delle maglie delle reti, ma non ha dato nessuna indicazione su come misurarle. Successivamente, la legislazione italiana con il DPR 651/78 e con il D.M.21/5/81 ha approvato i «misuratori di maglia» sia a carico longitudinale (ICES mesh gauge) che triangolare.
Le maglie delle reti escono dai telai in forma di losanga (rombo) e sono confezionate oltre che con fili diversi (tortiglie, trecce e catenelle) in poliammide (PA), polietilene (PE), poliestere (PES) e polipropilene (PP)
con intrecci diversi (A-con nodo e B-senza nodo), come indicato in figura.
A - con nodo B - senza nodo
Lo strumento è molto simile ad un comune calibro e presenta le seguenti caratteristiche:
Misuratore a carico longitudinale
(ices mesh gauge)
Anche se l'art. 110 del citato Regolamento dice che: "le reti al traino non possono essere composte in alcuna parte da maglie aventi apertura inferiore a 40 mm.”, in realtà ciò che interessa principalmente è la selettività del “sacco”, ed è su questo che conviene concentrarsi, senza dimenticare comunque quanto detto in questo articolo. La misura dell'apertura della maglia si effettua sempre su rete bagnata ed usata, nella direzione “N” in cui la maglia raggiunge la massima estensione. Le maglie da misurare vanno scelte su una fila di 20 maglie consecutive e parallele all'asse longitudinale del sacco. La fila scelta deve essere lontana da bordi, cuciture, riparazioni, giunzion,i ecc.
L'operatore impugna il Misuratore ed inserisce i due beccucci nella maglia, quindi, in rapida successione, effettua due misure, legge il valore relativo alla seconda misurazione sulla "scala graduata" e lo trascrive su una tabella.
Lente per la lettura della misura
Alla fine delle 20 misure calcola la media aritmetica con il relativo intervallo di fiducia al 90%. La maglia usata dovrà considerarsi non regolamentare qualora il valore della media sommato all'intervallo di fiducia sia inferiore a 40 mm.
Approfondimenti:
E’ uno strumento abbastanza sofisticato e preciso proposto per fini scientifici molti anni fa dall’ICES (Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare) per cui spesso viene indicato brevemente come strumento ICES. Questo strumento è indicato come riferimento in caso di controversie nell’art. 110 bis del DPR 1639/68 come modificato con DPR 651/78. Lo sesso strumento è descritto, standardizzato e ne sono indicate le modalità di uso nella norma UNI 8738/861, parte I. Il tentativo di proporlo a livello internazionale, predisponendo una apposita norma ISO (Organizzazione internazionale di standardizzazione) è naufragato per la impossibilità che alcuni paesi hanno ad accettare le molle come misuratori di forza. Lo strumento ICES infatti ha al suo interno una molla che al raggiungimento del carico voluto (fissato in funzione della dimensione del filo) blocca lo strumento stesso rendendo possibile in modo univoco la misura.
Con questo dispositivo è chiaro che la misura diviene oggettiva, indipendente cioè dall’operatore. Lo strumento quindi è un ottimo strumento che effettua la misura bene e senza la possibilità di contestazioni. Vi è però anche qualche difetto che è opportuno evidenziare. Oltre al problema creato dall’uso della molla, che non è naturalmente di facile soluzione, lo strumento è costoso, delicato, facile alla rottura dei denti di blocco della misura. E’ uno strumento che a livello scientifico, per le prove di selettività, è ben accetto ed usato, ma a livello di controllo, come normale strumento di lavoro in condizioni non certo ideali quando lo si deve usare nella ispezione a bordo dei pescherecci in altomare, lascia un poco a desiderare. In pratica, sia in Italia che a livello comunitario nella normale attività di controllo della pesca non viene usato.
[1] Il blocco è prodotto dall’incastro di un perno, comandato dal beccuccio mobile, tra i denti di una barra a cremagliera fissata sullo strumento. I denti della cremagliera sono distanziati tra loro d 1 mm. in modo da avere sulla scala graduata una lettura con la precisione al millimetro intero.
Attualmente in dotazione a tutte le Capitanerie di porto, è dimensionato e tarato in rapporto al misuratore a carico longitudinale (in modo che la forza trasversale, esercitata sulla maglia dai bordi convergenti dello strumento, fosse uguale a quella prevista per l’altro misuratore) e presenta le seguenti caratteristiche:
Sul manico sono riportate una serie di “tacche” che indicano il valore della forza premente, quella centrale, più marcata, corrisponde alla forza premente di 10 N, che sviluppa tangenzialmente una forza di circa 40N.;
La regolamentazione nazionale non prevede la certificazione della calibrazione e taratura delle molle.
Misuratore Triangolare
Fermo restando la scelta delle maglie bagnate, per misurare l'apertura della maglia col “Misuratore triangolare italiano” necessitano due operatori: uno tiene ben tesa la rete sul piano orizzontale, l'altro inserisce lo strumento perpendicolarmente alla rete in modo da misurare l'apertura della maglia nella descrizione N in cui la maglia raggiunge la massima estensione.
L'operatore che effettua la misura spinge sul manico del triangolo finché non raggiunge la “tacca” dei 10 N, cercando di non oltrepassarla perché falserebbe il risultato della misura dando un valore più elevato.
La Circolare dell'ex MMM N° 622714 del 16/3/83 modifica il metodo di calcolo precedentemente illustrato, in effetti si calcola sempre la media aritmetica delle 20 misure, ma non si fa più cenno all'intervallo di fiducia. La semplice media aritmetica va arrotondata al decimo di millimetro ed è ammessa una tolleranza di 3 millimetri. Inoltre la stessa Circolare rammenta che il “misuratore triangolare” deve essere utilizzato unicamente per la misurazione delle maglie delle reti al traino che operano sul fondo del mare. Quindi sono escluse: le reti da posta, le reti a circuizione e le reti al traino pelagico (volanti).
Approfondimenti:
E’ uno strumento più semplice del "misuratore a carico longitudinale", formato sostanzialmente da un triangolo isoscele, con angolo al vertice di 15°. Lo strumento viene inserito nella maglia con una determinata forza e sui due lati obliqui del triangolo si legge la misura della maglia. E’ lo strumento descritto nell’art. 110 bis del DPR 1639/68 e considerato come lo strumento di normale uso nei controlli. Gli organi di vigilanza e controllo italiani sono forniti di tale strumento.
Per una più dettagliata descrizione e per le modalità di uso si rimanda alla norma UNI 8738/861, parte II. Lo strumento è abbastanza preciso e nell’uso non ha mai evidenziato difficoltà. Ha un costo limitato, è facile da ritarare in caso di dubbio sulla lettura della forza applicata, è robusto. Il difetto più grosso imputabile allo strumento è legato allo stesso suo principio di funzionamento. Come detto, nel manico è inserita una molla che permette di leggere il carico applicato alla maglia. Permette di leggere, non lo limita. Se l’operatore non smette di spingere al raggiungimento del carico fissato, lo strumento continua a penetrare nella maglia e la misura della maglia viene falsata; si ottiene un valore più grande di quello che si sarebbe ottenuto lavorando come prescritto. L’operatore in questo caso commette un errore, ha la possibilità di accorgersene e di scartare quindi il risultato di quella misura. Con lo strumento ICES questo non sarebbe potuto accadere perché lo strumento avrebbe impedito il superamento della forza prevista.
La legislazione dell’UE, per la misura della maglia e dello spessore del filo delle reti da pesca, non è stata sufficientemente precisa e non ha consentito di evitare differenze sia nella costruzione degli strumenti di misura ufficiali sia nelle procedure di utilizzo.
Il regolamento (CE) n. 859/1998 prima e il regolamento (CE) n. 129/2003 poi, hanno fissato via via norme dettagliate per la misura della dimensione delle maglie e dello spessore del filo delle reti da pesca.
Tuttavia l’utilizzo di tali misuratori da parte degli ispettori della pesca ha dato luogo, nel corso di ispezione, a controversie tra gli stessi ispettori ed i comandanti dei pescherecci per quanto riguarda i metodi di misurazione delle maglie e i relativi risulatati della misurazione, a seconda di come erano utilizzati gli strumenti in questione.
Nasce pertanto l’esigenza dal parte della comunità europea di sviluppare un nuovo misuratore di maglia più “oggettivo”, valido per la ricerca, l’industria e gli ispettori della pesca.
L’utilizzo dei nuovi misuratori, che devono recare il marchio “misuratore CE”, è stato reso obbligatorio per gli ispettori della Comunità e gli ispettori nazionali degli Stati mebri dal Regolamento CE n. 517/2008 della Commissione del 10 giugno 2008.
Misuratore CE
L’utilizzo del nuovo misuratore - costruito e sperimentato durante il progetto OMEGA (progetto finanziato dalla CE all’ICES, di cui fa parte anche il Reparto di Tecnologia della pesca del CNR di Ancona) - è identico a quello previsto per il misuratore a carico longitudinale dell’ICES (International Council Exploitation Sea) ma differisce da quest’ultimo, ed in modo sostanziale, per l’elemento sensibile che controlla la forza applicata.
La forza di pressione, infatti, viene controllata da una "cella di carico elettronica" posta all’interno dello strumento, mentre per il vecchio ICES da una molla calibrata. Inoltre il nuovo strumento può essere tarato e calibrato con "forze longitudinali" comprese tra 5 e 180 Newton (N), con una precisione di 1 N.
Il Regolamento (CE) n. 517/2008, ai fini della procedura di controllo da parte degli ispettori, ha stabilito norme dettagliate sia per quanto riguarda i tipi di misuratori da utilizzare e il modo in cui devono essere impiegati, sia i criteri di scelta delle maglie da misurare, la tecnica di misurazione di ogni maglia, il metodo di calcolo dell’apertura di maglia, la procedura di selezione dei fili ritorti delle maglie per verificarne lo spessore, nonché l’ordine di svolgimento della procedura di ispezione.
I «sistemi di pesca» normalmente impiegati in Italia sono regolamentati da una fonte legislativa specifica finalizzata, principalmente, alla tutela ambientale ed alla salvaguardia delle risorse ittiche.
L’attività di pesca viene esercitata utilizzando un peschereccio e una particolare attrezzatura che può:
Ogni unità da pesca, in relazione al tipo di pesca a cui è autorizzata, può esercitare l’attività in un compartimento (draga idraulica), nel compartimento di iscrizione e nei due ad esso contigui (pesca costiera locale) o in tutti i compartimenti marittimi (costiera ravvicinata).
Sistemi di pesca professionali
(art.11 del D.M. 26.07.1995)
Sistema a Circuizione: | Cianciolo per pesce azzurro, cianciolo per pesce bianco, Lampara, Tonnara volante, circuizione senza chiusura |
Sistema Sciabica: | Sciabica da natante (danese), Sciabica da spiaggia |
Sistema Strascico: | Strascico a divergenti, Strascico a bocca fissa, Traino pelagico a divergenti, Rapido, Sfogliara |
Sistema Volante: | Traino pelagico a coppia, Agugliara |
Sistema Traino per Molluschi: | Attrezzo di traino per molluschi, Ostreghero, Rampone per molluschi, Sfogliara per molluschi |
Sistema Draga Idraulica: | Sostituisce quello denominato turbosoffiante: Vongolara, Cannellara, Fasolara |
Sistema Rastrello da Natante: | Sostituisce la draga manuale: Draga da natante |
Sistemi Attrezzi da Posta: | Imbrocco, tremaglio, nasse, cestelli, cogolli, bertovelli, rete circuitante, rete da posta fissa, rete da posta a circuizione |
Sistemi Reti da Posta derivanti: Sistemi Reti da Posta derivanti: | Spadara, Alalungara |
Sistema Ferrettara: | Piccola derivante, menaide, sangusara, bisantonara, alacciara, bisara, bogara, sgomberara, occhiatara, e palamitara; |
Sistena Palangari: | Palangari fissi, Palangari derivatiPalangari fissi, Palangari derivati |
Sistema Lenze: Sistema Lenze: | Lenze a mano, Lenze a canna, Lenze trainate |
Sistema Arpione: Sistema Arpione: | Arpione, Fiocina, l’asta e specchio per ricci Rastrello per ricci |
Le «reti a circuizione» sono quelle reti calate in mare al fine di recingere e catturare, con immediata azione di recupero, un branco di pesci localizzato o aggregato artificialmente. Le reti possono essere calate da una sola unità o da due: nel primo caso l'unità compie un cerchio, nel secondo, le due unità gemelle percorrono un semicerchio ciascuna.
Le reti da circuizione distese in banchina o viste nel loro piano costruttivo si presentano come enormi lenzuoli rettangolari che possono essere formate o no da varie pezze, esse pure rettangolari, diverse per la dimensione di maglia o il titolo del filo con cui le pezze stesse sono costruite. La base superiore viene armata (unita) con una lima (cavo) munita di numerosi galleggianti per tenerla in superficie mentre la base inferiore, armata con una lima munita di piombi (cavo piombato o catena), mantiene la rete distesa nel senso verticale.
Su questa ultima lima sono sistemate, a intervalli regolari, delle bretelle (cavetti) che hanno, alla loro estremità, degli anelli in ferro. Attraverso questi anelli passa un cavo di acciaio grazie al quale si effettua la chiusura meccanica della rete. A fine cala, questo cavo viene recuperato per primo trasformando la rete in un sacco, dal quale il pesce non può più scappare.
Appartengono alla prima categoria la maggioranza delle reti a circuizione utilizzate per la cattura di specie pelagiche piccole o grandi o specie demersali (cianciolo per acciughe e sarde, cianciolo per tonni, cianciolo per pesce bianco o costiero). Hanno la caratteristica fondamentale di avere la possibilità di essere chiuse in basso tramite un cavo che, passando attraverso grossi anelli di ferro collegati alla lima dei piombi, viene tirato meccanicamente.
Quelle senza chiusura sono presenti dove si opera manualmente la pesca con rete a circuizione, infatti non hanno la possibilità di essere chiuse dal fondo. Il rendimento di pesca in confronto a quelle con chiusura è ridotto. Le prede più frequenti sono rappresentate dal bianchetto, rossetto, ciccerello e pesce bianco in genere. Quest'ultimo tipo di attrezzo oggi è praticamente scomparso.
Approfondimenti:
Questo tipo di pesca si effettua chiudendo le reti al fondo, mentre il galleggiamento della parte superiore è garantito dalla lima dei galleggianti. La lima dei piombi costituisce la zavorra che permette l’affondamento della rete stessa. Le reti da circuizione possono essere calate in mare da una o da due unità. Nel primo caso il motopesca percorre un cerchio completo per circondare il pesce. Una volta individuato il banco, la rete è calata e fissata ad un natante chiamato “stazza”, che rimane fermo. Il motopesca ha invece il compito di stendere completamente la rete, per poi chiudere il cerchio ricongiungendosi alla stazza. Nel secondo caso due unità simili della stessa potenza percorrono un semicerchio ciascuno
In relazione alla loro costruzione ed impiego, le reti da circuizione si suddividono in due categorie: reti da circuizione abbinate alla attrazione luminosa del pesce che sono usate per la cattura del pesce azzurro (acciughe e sarde) e reti da circuizione per la cattura di pesce di grossa taglia, tonni o più in generale sgombriformi.
Per la cattura di alici e sarde le reti sono chiamate dai pescatori “lampare”, “ciancioli” e “saccoleve”.
Per la cattura dei tonni e sgombri è nota come “tonnara volante”
Questa pesca pelagica è effettuata da unità di media grandezza da 20-120 tsl, con potenza motore superiore i 400 cavalli. Le dimensioni delle maglie variano lungo la rete: le maglie più piccole stanno al centro dove si forma il sacco.
Le reti a circuizione per la cattura del pesce azzurro sono abbinate da lungo tempo all’uso della luce quale artificio per agevolare la concentrazione del pesce. Tale pesca, detta a lampara, viene effettuata ovviamente solo di notte e in assenza di luna piena affinché la luce artificiale abbia un effetto maggiore su questi pesci che, in queste ore, si avvicinano alla superficie. In passato, queste lampade funzionavano a gas o a petrolio ma attualmente sono elettriche e vengono alimentate da un generatore montato direttamente sulle barche.
Si chiama «cianciolo» la rete da circuizione a chiusura meccanica. I ciancioli per i piccoli pelagici sono confezionati con maglie colorate, generalmente marrone scuro, di piccole dimensioni (apertura non inferiore ai 14 mm) e filato piuttosto sottile; i galleggianti sono numerosi e di piccole dimensioni, la lima dei piombi è munita di bretelle ed anelli di ferro.
Le unità che effettuano questo tipo di pesca hanno la poppa libera da sovrastrutture e il verricello principale posto in parallelo con la chiglia.
Circuizione a chiusura meccanizzata (Cianciolo)
Si presenta come un enorme rete rettangolare di dimensioni non inferiori agli 800 metri di lunghezza e 120 metri di altezza (tranne per le tonnare volanti) E' una rete a circuizione che viene impiegata per la pesca di pesci pelagici, per la cattura del pesce azzurro, principalmente acciughe, sardine e sgombri. Nella pesca con il cianciolo vengono impiegate spesso delle fonti luminose che servono ad attirare il pesce sotto le unità da pesca.
Questo tipo di pesca viene fatto essenzialmente in Tirreno, Adriatico e dai motopescherecci siciliani.
Dato che in Italia questa pesca si effettua solo di notte, è possibile vedere, a bordo della barca grande, dei battellini più piccoli con le luci per la concentrazione artificiale dei pesci.
La luce gioca un ruolo molto importante nella attrazione dei piccoli pelagici, poiché l'aggregazione "a banco" è una forma di difesa visiva contro i predatori Una volta che la barca ha raggiunto il luogo di pesca, di solito a notte inoltrata, si calano in mare due o tre battellini, ad una certa distanza l'uno dall'altro.
Sui battellini vengono accese le luci per aggregare il pesce, e quando questo si è accumulato in quantità sufficiente, i marinai a guardia delle luci, remando l'un verso l'altro, riuniscono i battellini in un unico punto.
Nella figura vengono schematizzate le fasi della pesca
a circuizione
Successivamente si lasciano accese le luci di un solo battellino, per mantenere il pesce in aggregazione, mentre un altro si porta ad una distanza da esso pari al raggio del cerchio che il Comandante deve effettuare per circondare il pesce aggregato. Il Comandante dirige la barca su quest'ultimo battellino, gli consegna un capo della rete, detto "stazza", e cala la rete in mare, in cerchio. Alla fine della cala si ritroverà nuovamente sul punto di partenza e riprenderà la "stazza" del battellino, iniziando la chiusura del cianciolo. A questo punto il battellino che si trova al centro del cerchio con il pesce aggregato, spegnerà le luci e remando si dirigerà all'esterno della rete. Il pesce catturato verrà portato a bordo con grosse volighe o ittiopompe, e stivato in recipienti pieni di acqua ghiacciata (baie) prima di essere cernito e incassettato.
Sono chiamate «lampare» le reti da circuizione la cui chiusura non è meccanica, ma a rovesciamento, cioè la raccolta del pesce si ottiene issando a bordo la lima dei piombi, in modo da portare la parte centrale del panno rettangolare, che subisce un rovesciamento, nella posizione opposta alla superficie del mare.
La rete, come confezione, non si discosta molto dal cianciolo, ma a differenza di questo non ha le bretelle con gli anelli.
Le catture non sono paragonabili in termini di rendimento con le reti a circuizione a chiusura meccanizzata (cianciolo) in quanto le reti sono molto più piccole.
Questo sistema di pesca, molto in voga negli anni '50 e '60, oggi è pressoché in disuso e trova qualche applicazione con unità di dimensioni ridotte.
La «tonnara volante» si identifica con i ciancioli adibiti alla cattura dei grossi pelagici, tonni e affini. Sia le reti che le unità sono facilmente riconoscibili per le dimensioni più grandi rispetto a quelle normalmente usate per i Ciancioli, per la cattura di sardine e acciughe: questo tipo di pesca può utilizzare motopescherecci di grosse dimensioni se lavorano singolarmente, oppure di dimensioni medie quando lavorano in coppia. Presenza sul motopesca del “power block” (bozzello salparete).
Power bloc” (bozzello salparete)
La rete può raggiungere i 2000 m di lunghezza e 400 m di altezza e ha maglie di 70-120 mm di lato. Lo spessore del filato è di circa 4 mm e generalmente di colore nero.
I galleggianti sono molto più grandi ed il volume complessivo di tutta la rete, generalmente copre tutta la coperta di bordo, con un peso che, mediamente, non supera le 50 t.
Il mestiere della circuizione permette la cattura di banchi di pesce molto numerosi; il metodo di pesca comporta che la rete sia calata in modo da circondare completamente il pesce in mare ed impedirne, di fatto, la fuga.
Le reti sono formate da varie pezze di forma rettangolare che presentano maglie e filo di dimensioni diverse.
La pesca si effettua chiudendo le reti al fondo, mentre il galleggiamento della parte superiore è al solito garantito dalla lima dei galleggianti. La parte sommersa della rete presenta un cavo di chiusura presso la lima dei piombi, che costituisce, appunto la zavorra che permette l’affondamento della rete stessa. La chiusura del cavo fa assumere alla rete la forma di un sacco in cui il pesce resta imprigionato. Le reti a circuizione possono essere calate in mare da una o due barche.
L'individuazione dei tonni viene fatta a vista grazie al "coffista" (il marinaio che sta di vedetta sulla coffa), ma anche grazie agli aeroplani che guidano i motopesca (l'utilizzo dell'aeroplano è consentito solo in alcuni mesi dell'anno).
Tonnara volante
(Rete in fase di accerchiamento)
Nel primo caso l’unità percorre un cerchio completo per circondare il banco di pesce. Una volta individuato il banco, la rete è calata e fissata ad un natante chiamato «stazza», che rimane fermo. Il motopesca ha invece il compito di stendere completamente la rete, superando i tonni in velocità, per poi chiudere il cerchio ricongiungendosi alla "stazza".
Nel secondo caso, le due barche percorrono un semicerchio ciascuno. Questa pesca è effettuata da imbarcazioni superiori le 200 tsl.
E’ vietato l’uso di ciancioli (reti a circuizione a chiusura meccanizzata) entro una distanza di 3 miglia dalla costa o all’interno dell’isobata di 50 m (quando tale profondità è raggiunta a una distanza inferiore dalla costa).
E’ vietato l’uso di fonti luminose ad una distanza dalla costa inferiore ai 300 metri e nelle zone di mare entro le 3 miglia in cui la profondità sia inferiore ai 30 metri. Il Capo del compartimento, al fine della tutela delle risorse biologiche del mare, sentita la commissione consultiva locale per la pesca marittima, può stabilire ogni altra disposizione circa la località di esercizio, i periodi di tempo e i tipi degli strumenti pescherecci per la pesca con fonti luminose nelle acque del compartimento.
La tonnara volante può raggiungere 2000 metri di lunghezza e 400 di altezza.
E’ comunque vietato l’uso di ciancioli ad una profondità inferiore al 70% dell’altezza totale dei ciancioli stessi.
E’ vietata la pesca con ciancioli sulle praterie di Posidonia (Posidonia oceanica) o di altre fanerogame marine. In deroga l’uso di ciancioli la cui altezza totale e il cui comportamento nelle operazioni di pesca implicano che il cavo di chiusura, la lima da piombo o le corde da salpamaneto non tocchino le praterie può essere autorizzato nel quadro dei piani di gestione. L’apertura della Maglia della circuizione è fissata in 14 mm.
E’ consentito l’impiego di tutti i tipi di rete da circuizione per piccoli pelagici (ciancioli, lampare) di Lunghezza non superiore agli 800 metri e di Altezza non superiore a 120 metri (tranne per le tonnare volanti).
E’ vietata la pesca del tonno rosso dal 01/07 al 31/12
E’ vietato l’uso di aeromobili per la ricerca del tonno rosso
La «Sciabica» è un antichissimo tipo di rete da pesca usato in passato in tutte le marinerie. E' utilizzata in modo completamente manuale da un elevato numero di persone (una dozzina) o tramite verricello a unità ferma e ancorata.
Sono reti molto simili alle reti a circuizione con chiusura manuale. Generalmente vengono calate a bassa profondità e catturano gli organismi marini durante la fase di recupero. La sciabica può considerarsi un attrezzo “ibrido” in quanto viene calata a semicerchio (come una circuizione) e recuperata a traino.
La sciabica è formata da varie pezze di rete di forma e dimensioni di maglie diverse. L’apertura verticale di bocca è assicurata dai galleggianti sulla lima dei sugheri e dai piombi sulla lima dei piombi: mentre l’apertura orizzontale è ottenuta con il particolare metodo di calo e di tiro.
La lima da piombi sta sempre in contatto con il fondo, per questo motivo segue la stessa normativa della rete a strascico.
Le dimensioni delle maglie variano lungo la rete: le più piccole sono al centro dove si forma il sacco. Le maglie sono grandi sulle braccia da cui si dipartono due lunghi cavi detti “calamenti” o “reste” (anche centinaia di metri) che servono per spaventare e aggregare il pesce verso la parte centrale della rete, e trainare la rete. Caratteristica principale dell’attrezzo: prevalenza dei piombi sui galleggianti (non si vedono i galleggianti in superficie); braccia molto lunghe (5-6 volte il corpo) e sacco molto corto (da essere un tutt’uno con il corpo della rete) Le sciabiche somigliano molto alle reti a strascico, ma si differenziano sostanzialmente da queste ultime per la lunghezza dei bracci, tant'è che in realtà il corpo si identifica con il sacco di raccolta.
E’ il tipo più diffuso in Italia anche se in alcune località è rimasta solo come tradizione. Viene utilizzata nella pesca del novellame destinato all'allevamento (cefali, spigole, orate, ecc.) ed al consumo diretto: bianchetto (clupeiformi) e rossetto (Aphia minuta).
La rete viene calata a semicerchio utilizzando una unità a remi di piccole dimensioni. Un capo del "calamento" (cavo di collegamento tra i bracci della rete ed un punto del traino) viene lasciato sulla spiaggia mentre con la piccola unità, si cala in mare la rete a semicerchio attorno a pesce, e quindi si ritorna sulla riva portando con sè il capo dell'altro calamento.
La figura descrive le varie fasi della cala e recupero della rete:
I calamenti tirati dalle due squadre convergono sulla spiaggia
Sulla spiaggia si formano “due squadre” di pescatori che, camminando a ritroso e in modo convergente tirano i due calamenti in modo che, quando la rete è nuovamente sulla spiaggia, risulti chiusa.
La «sciabica da natante» ha origini danesi e risale a oltre un secolo fa. E’ poco diffusa in Italia e la si usa generalmente su quei fondali dove lo strascico, causa le asperità varie, è possibile solo per tratti brevi. Le maglie devono avere 40 mm di apertura. Deroghe possono essere concesse per la cattura di novellame
Dalla barca si getta in mare una “boa” con il capo di un calamento e si inizia a calare in mare la rete a semicerchio. Alla fine della cala si ritorna sulla “boa”. Tale operazione in origine del tutto manuale, oggi si avvale dell'aiuto di verricelli.
Questa fase assomiglia molto al sistema di pesca con lo strascico.
La figura descrive le fasi di pesca con questo sistema
Con la sciabica si pescano soprattutto latterini, triglie, sogliole, cefali, orate, rossetto e bianchetto ed alcuni cefalopodi, come polpi e seppie.
Dal 1° luglio 2008, la sciabica è costituita da una pezza di rete a maglia quadrata da 40 mm. nel sacco o, su richiesta motivata da parte del proprietario del peschereccio, da una rete a maglia romboidale da 50 mm.
E’ vietato l’uso delle sciabiche entro le 3 miglia nautiche dalla costa o entro i 50 metri di profondità, se tale profondità è raggiunta a distanze inferiori ad eccezione delle deroghe concesse dal Regolamento.
E’ consentito l’uso della sciabica per la cattura di “novellame da allevamento” purché tale pesca sia effettuata senza motore (recupero manuale).
La Lunghezza della lima da sugheri della sciabica deve essere inferiore ai 40 metri.
L’apertura della maglia deve essere uguale o superiore a 1 mm. (fino al 31/5/2010, ai sensi dell’art. 14 Reg. CE 1967/06).
E’ consentito l’impiego di tutti i tipi di sciabica per la pesca del rossetto e del bianchetto.
E’ consentito l’uso di sciabiche, senza limiti di distanza dalla costa, con unità da pesca di stazza lorda non superiore a 10 t. e potenza apparato motore non superiore a 100 HP.
L’apertura della maglia dell’attrezzo deve essere uguale o superiore ai 5 mm. (fino al 31/5/2010 Reg. CE 1967/08):
E’ vietato in tale pesca l’uso di catene o denti.
Tale pesca è consentita dalle ore 04 alle 18 di ogni giorno.
Pesca di rossetto in Toscana: dimensioni delle unità – TSL ≤ 10, HP ≤ 150.
Apertura della maglia: ≥ 3 mm. (fino al 31/5/2010 art. 14 Reg. CE 1967/06)
Pesca di rossetto e bianchetto: fino al 31/5/2010. I DM indicheranno annualmente le modalità, i tempi e le unità autorizzate.
E’ vietato l’uso delle sciabiche su prateria di Posidonia
Rientra in questo sistema, qualsiasi attrezzo da pesca, ad eccezione delle lenze trainate, trainato dalla forza motrice del peschereccio o tirato per mezzo di vericelli con il peschereccio all’ancora o in movimento a bassa velocità, incluse in particolare le reti trainate e le draghe
In particolare, fra questi attrezzi, le reti da traino oggi sono gli attrezzi più usati nel mondo a livello di pesca industriale. Questa predominanza è dovuta alla introduzione sui pescherecci, in quest'ultimo mezzo secolo, di motori sempre più potenti.
Le reti a traino sono “reti attive”, reti cioè che sono portate incontro al pesce che viene catturato per il loro progressivo avanzamento. Sono formate da molte pezze di rete diverse come dimensione del filo e dimensione di maglia. Le pezze di rete che compongono le rete da traino sono cucite tra loro in modo da formare durante il traino un tronco di cono o un tronco di piramide (corpo della rete).
Sulla parte terminale della rete, sul sacco, vi è un sistema di chiusura formato da una cimetta che permette facilmente di riaprire il sacco quando la saccata è issata a bordo.
Sulla base maggiore sono montate le braccia e le lime, o la struttura rigida nel caso di reti a bocca fissa.
Le reti al traino si differenziano fra loro perché, sia il sistema di confezione che l'attrezzatura variano in base alle specie che si vogliono catturare.
► Le “reti trainate sul fondo” (o a strascico), vengono trainate facendole strisciare sul fondo marino con lo scopo di catturare le specie bentoniche, che sono tra quelle più pregiate dal punto di vista commerciale. Sono attrezzi attivi, perché trainati da pescherecci (un’unica unità per rete) ad una velocità tale da mantenerne aperta l’imboccatura. La tipica rete a strascico è la “tartana”. Ha forma conica ed è distinta in tre parti, i bracci, il corpo e il sacco, in cui si accumula il pesce.
► Le “reti trainate a mezz’acqua” (pelagiche o semipelagiche) vengono impiegate per la cattura delle specie pelagiche, come le acciughe, le sardine, e gli sgombri. La più comune è la “volante“, la quale viene trainata a mezz’acqua da due pescherecci (le volanti) dalle caratteristiche simili e viene utilizzata per la cattura del pesce azzurro. Regolando la lunghezza dei cavi di traino della rete è possibile variare la profondità alla quale si pesca.
Lo «Strascico» è la pesca più praticata in Italia e nel Mondo per la cattura del pesce di fondo, quello più pregiato e più richiesto (triglie, naselli, cernie, pagelli, saraghi, sogliole, rane pescatrici, razze, palombi, scampi, gamberi rossi, aragoste, pannocchie, moscardini, seppie e calamari).
Vi sono molti tipi di rete, praticamente uno per ogni paese in cui vi è una fiorente pesca. In Italia la rete a strascico più nota ed usata è la rete mediterranea o rete italiana (tartana).
Schema Sistema italiano (Tartana)
Le reti a strascico sono costituite da molte pezze di rete, con filo di diverse dimensioni e maglie di varia apertura. I pescatori italiani preferiscono operare con una unità; in questo caso, la bocca della rete viene tenuta aperta in senso orizzontale da due "divergenti", strutture in legno o in metallo che, grazie all'azione dell'acqua, tengono bene aperta la bocca della rete in senso orizzontale.
La rete è collegata all’unità per mezzo di "cavi d’acciaio" e "calamenti" fissati a loro volta a due "mazzette" (estremità della rete). Il sacco è tenuto aperto verso l’alto dalla lima dei sugheri e poggia sul fondo con la "lima dei piombi", a volte zavorrata con catene.
La rete può essere trainata da una o due unità. Il traino a coppia alla fine della II guerra mondiale è stato abbandonato poiché la propulsione meccanica consentiva ai divergenti di sviluppare dalle forze idrodinamiche tali da provocare l’apertura della bocca della rete.
La rete a strascico presenta diverse lunghezze nelle lime. Quella dei piombi è più lunga di quella dei sugheri per evitare che, quando questa muove il pesce dal fondo, esso non sfugga verso l’alto. Molto utilizzata nell’Adriatico per la pesca dei merluzzi, triglie, sogliole, scampi, gamberi, pannocchie, rospi, seppie e calamari. Esiste anche lo strascico a coppia. La pesca a strascico può essere effettuata con diversi tipi di attrezzi che, tra l'altro, variano in relazione alle tradizioni e al bagaglio culturale locale e regionale.
Questo sistema di pesca è il più diffuso in Italia e le unità che lo usano sono facilmente riconoscibili perché a bordo hanno una serie di strutture ed apparecchiature proprie dello strascico, come il “verricello dei cavi d'acciaio”, “l'arco di potenza” e i “divergenti”.
Rete in assetto di pesca
Sezione, da sinistra: cavo di traino, divergente, braga, calamento, restone, catena, mazzetta, braccia
Nel Mediterraneo lo strascico a divergenti viene effettuato principalmente con due sistemi diversi:
I due sistemi sono abbastanza diversi, in particolare per quanto attiene la confezione della rete e l'attrezzatura per il traino.
I “divergenti” sono componenti essenziali del traino perché assicurano l'apertura orizzontale di tutta l'attrezzatura.
Vari tipi di divergenti visti dall'alto e di lato:
A - Rettangolare piatto.
B - Ovale in ferro, tipo polivalente.
C - Pelagico in ferro, tipo Süberkrüb.
Schema dello strascico: sistemi italiano (Taratana) e francese (Vigneron) a confronto
In Italia, la quasi totalità delle marinerie usa la “Tartana”, perché le specie pregiate da catturare (specie bersaglio) sono demersali o bentoniche, e quindi non è necessaria una grande apertura verticale della rete. Inoltre, più acqua entra nel corpo della rete, maggiore è la resistenza che si riscontra nel traino e spesso ciò non significa una cattura maggiore, ma può tradursi in un aumento dei costi di gestione per unità di prodotto catturato.
La rete italiana a strascico con divergenti è caratterizzata da alcune parti costitutive:
Schema Tartana
La rete è assimmetrica. Ha le maglie “senza nodo”. Costruttivamente la rete è formata da una parte superiore, detta “cielo”, e da una inferiore detta “tassello” che strascica sul fondo: tra cielo e tassello c’è una differenza di lunghezza (15-20%), imbando, che contribuisce a garantire il contatto tra rete e fondo.
Schema di base della rete
La rete francese (Vigneron), è simmetrica e i due pannelli, superiore e inferiore hanno la stessa lunghezza. La rete - a differenza della tartana - ha uno scarso contatto con il fondo, ma un'apertura verticale maggiore (3-4 metri) ed in funzione di ciò anche l'attrezzatura del traino è diversa. Inoltre, la rete francese, generalmente, è senza nodo, mentre quella italiana è con nodo.
Schema Vigneron
Schema di base di una rete francese
La rete è la stessa che normalmente viene utilizzata per il traino pelagico a coppia, la differenza è solo nell'impiego dei divergenti. A differenza della rete a strascico, la rete pelagica è simmetrica ed ha quattro pannelli, uguali a due a due (sopra-sotto e laterali). La rete inoltre è facilmente riconoscibile per la grandezza delle maglie dei bracci (600-800 mm di apertura), per le ridotte dimensioni delle maglie del sacco (20 mm di apertura) e per la lunghezza complessiva (tripla rispetto alla Tartana).
Le reti non vengono a contatto con il fondo; nelle singole unità l’apertura orizzontale della rete è assicurata da “divergenti” (volante monobarca) mentre nella coppia l’apertura è assicurata dalla “distanza” delle due unità.
Nelle reti le maglie possono avere apertura ≥ 20 mm, purché il 80% delle catture, a cernita avvenuta, sia di sardine e acciughe [R. (CE) 1967/06]
Schema del traino pelagico a divergenti: volante monobarca
[da sinistra] Cavo traino D 11-13 ; Divergenti Süberkrüb 70-80 Kg ; [in alto] m 40-50 D 7,5 ;
[in basso] m 40-50 D 10 ; [a destra, dall'alto] Galleggianti: 10 3 Kgf ; 10 Kg ; peso 70-80 Kg ; 1,50-2,00m.
Un' altra caratteristica peculiare di questa rete è riscontrabile nei "pannelli" che sono confezionati con tortiglia (rete con nodo) e non con catenella (rete senza nodo) come per le altre reti a strascico di tipo italiano. Il traino pelagico a divergenti chiamato anche "volante monobarca". L'apertura orizzontale della rete è assicurata dalla spinta dei divergenti "Süberkrüb", mentre l'apertura verticale è dovuta all'effetto combinato dei pesi, verso il basso, e della posizione del cavo superiore di traino, verso l'alto.
Questo sistema di pesca essenzialmente è rivolto alla cattura dei piccoli pelagici (alici, sardine, sgombri, suri, ecc). Questa rete, che teoricamente dovrebbe pescare nel dominio pelagico (mezz'acqua) in realtà viene usata anche con la lima dei piombi in contatto col fondo.
Schema di base di una rete pelagica
La pesca pelagica a divergenti è nota da anni in altri paesi sopratutto per unità da pesca con potenze elevate.
La pesca pelagica a divergenti può essere effettuata solo con particolari strumenti di bordo quasi sconosciuti in Italia (net sonde ad esempio) e con divergenti pelagici o polivalenti il cui funzionamento, più delicato di quello dei divergenti da fondo, necessita di una esperienza che non è ancora entrata come bagaglio normale nelle nostre marinerie.
Tale sistema di pesca, rivolto essenzialmente alle specie bentoniche ed usato in particolare per la pesca delle sogliole, si vale di attrezzi composti da una rete montata su una intelaiatura rigida che ne assicura l'apertura orizzontale e verticale.
Naturalmente, questa rete non ha i bracci e praticamente il corpo ed il sacco di raccolta sono un tutt'uno.
Sfogliara (A) e Rapido (B)
In alto: sacco, bocca, braghe, cavo di traino.
Al centro: rete, tavola depressore, braga.
In basso: slitta, particolare slitta e rastrello, rastrello.
La “Sfogliara“ o Rampone, può definirsi l'antenato della categoria. Attualmente è quasi in disuso, ma in passato ha trovato largo impiego nelle marinerie dell'Alto e Medio Adriatico, per la cattura di sogliole, rombi e passere.
Le dimensioni della sfogliara variano a seconda della potenza della nave da pesca che deve trainarla: generalmente è costituita da una rete che forma un sacco allungato la cui bocca è costituita superiormente da un telaio metallico fissato su due slitte, che permettono lo scivolamento sul fondo; l'altezza della slitta determina l'apertura verticale. Il lato inferiore della bocca non presenta invece supporti rigidi ed è formato da cavo misto, appesantito da una serie di piombi che lo fanno aderire fortemente al fondale. La parte inferiore è unita alla struttura con una lima dei piombi a forma di corona, che assicura un forte contatto con il fondo.
Sistema di pesca Sfogliara
Ogni unità può tirarne due (come indicato in figura), ma contrariamente al rapido, la velocità non è consigliata poiché l’attrezzo si alza dal fondo. Attualmente è poco usata in Italia sostituita dal rapido più redditizio.
Tiro a due
Il “Rapido“ può definirsi come un'evoluzione tecnologica della Sfogliara; in effetti rimane la struttura del telaio con le slitte, ma per aumentare la penetrazione nel substrato sono stati introdotti degli accorgimenti: la tavola depressore e il rastrello.
Il rapido è una rete da pesca utilizzata in Adriatico per la cattura di specie bentoniche: sogliole, seppie, pannocchie, cappesante, rombi, passere, ghiozzo.
Sistema Rapido
E’ costituito da un'armatura rettangolare interamente in ferro sulla quale è fissato il corpo della rete. La parte superiore della bocca, lunga non più di 4 metri, è inclinata in avanti con un angolo di circa 22°, su cui è fissata una tavola di legno che funziona come un “depressore”, facendo in modo che l'attrezzo aderisca al fondo. La parte inferiore dell'armatura è munita di “denti ricurvi”, che sporgono di 2 o 3 cm dal piano d'appoggio dell'armatura e che penetrano nel fondo marino.
Struttura rapido
Lo scivolamento è consentito da “slitte” collegate al cavo di traino tramite catene. I denti arcuati penetrano nel fondo sabbioso e obbligano le sogliole a sollevarsi e a finire nella rete. La tavola depressore è fissata sulla parte superiore del telaio con un angolo che si può variare per regolare la spinta verso il basso dell'attrezzatura, al variare della velocità del traino.
L’ apertura verticale dell’attrezzo è circa 15-20 cm., quella orizzontale 3-4 metri (le dimensioni non sono soggette a normativa).
La rete è composta di più pezze in poliammide senza nodo e la sua larghezza complessiva è di circa 8-10 metri. In genere è presente un foderone, eventualmente una fodera di rinforzo ed il sacco presenta sempre un cavo di chiusura.
L’avanzamento sul fondale è agevolato dalle slitte metalliche montate sulla parte inferiore dell’armatura; è costituito da denti metallici ricurvi che si infossano di circa 2-3 cm. stanando gli organismi nascosti sotto la sabbia.
Questo tipo di pesca generalmente si effettua a una velocità di 6-7 nodi [1], contro i 3-4 nodi . dello strascico a divergenti
Il nome "Rapido" trae origine proprio dall'alta velocità del traino. Questo tipo di pesca, come abbiamo detto in precedenza. è ancora molto praticato nelle marinerie dell'Alto e Medio Adriatico e si effettua generalmente di notte in alternativa alla rete a strascico, tanto che alcune unità da pesca hanno a bordo entrambe le attrezzature.
Ogni unità pesca con due o più rapidi per volta, con la tecnica illustrata nella figura che segue. Ogni unità può tirare anche 4 rapidi simultaneamente.
Rapido (reti in assetto di pesca)
La pesca con il rapido è vietata in Tirreno (D.M. 26.07.95) dove è ancora utilizzato da poche unità autorizzate (D.M. 04.08.2000).
E' usato principalmente per la cattura delle sogliole.
Le dimensioni variano a seconda la potenza del motore dell’unità ma generalmente non superano i quattro metri.
[1] Il termine "nodo", significa "un miglio all'ora".
Alla luce delle deroghe concesse all’art. 14, punto 2, del Reg. (CE) 1967/2006, lo strascico è vietato entro le 3 (tre) miglia nautiche dalla costa o entro i 50 (cinquanta) metri di profondità, se tale profondità è raggiunta a distanze inferiori.
La Commissione può autorizzare deroghe per attività di pesca già autorizzate dagli Stati membri e per le unità da pesca aventi un’attività comprovata nella pesca di più di cinque anni e solo se l’attività non comporta alcun aumento futuro nello sforzo di pesca previsto.
Il divieto si applica a tutte le zone Natura 2000, alle zone particolarmente protette, alle zone particolarmente protette di rilevanza mediterranea (ASPIM).
Maglie delle reti a strascico: dal 30/06/2008 pezza di rete a maglia quadrata[1] da 40 mm nel sacco o, su richiesta debitamente motivata da parte del proprietario del peschereccio, una rete a maglia romboidale da 50 mm.
E’ vietato utilizzare coperture della maglia del sacco o comunque dispositivi atti ad ostruire o chiudere le maglie con conseguente riduzione della dimensioni e quindi della selettività.
Gli unici dispositivi autorizzati sono i seguenti (Reg. CE 3440/1984 e Reg. CE 1967/2006):
► Recenti innovazioni tecniche della pesca a strascico
Attualmente questo tipo di pesca può essere effettuato mediante l’uso di due (raramente più di 2) reti di dimensioni inferiori rispetto alle reti tradizionali che vengono trainate contemporaneamente. Tali reti devono rispettare la normativa relativa allo strascico (maglie, fodere, ecc.).
In molte marinerie il sacco delle reti a strascico non è unico ma è diviso in due settori uno superiore e uno inferiore: nella parte inferiore si accumulano granchi, scampi, ecc ma anche tutto lo “sporco”, nella parte superiore viene convogliato il pescato commerciale. Entrambe le sezioni devono rispettare la normativa relativa alla maglia, alla circonferenza e alle fodere.
E’ fatto divieto di utilizzare coperture del sacco o comunque dispositivi di montaggio e di armamento atti ad ostruire o chiudere le maglie o di avere per effetto la riduzione della selettività del sacco.
È consentito l'uso di foderoni di protezione o di altro materiale fissato unicamente al di sotto del sacco per attenuare o prevenire i danni derivanti alla rete dall'abrasione del fondo marino.
È consentito l'uso di doppi sacchi, a condizione che l'apertura delle maglie dei sacchi esterni risulti almeno tre volte quella delle maglie del sacco della rete e che la loro larghezza stirata corrisponda ad un valore compreso tra 100 e 150 per cento della larghezza stirata del sacco interno.
Il Ministro, con la procedura di cui all'articolo 32 della legge 14 luglio 1965, n. 963, può consentire l'uso di reti a strascico con maglie aventi apertura inferiore a 40 mm nel caso di “pesche speciali” rivolte alla cattura di specie i cui individui, allo stadio adulto, non possono essere convenientemente pescati con reti a maglia regolamentare.
[1] Per quanto riguarda le maglie delle reti da traino: dai 40 mm, a forma «romboidale», si passa ai 40 mm a forma «quadra». Quest'ultima, per effetto della trazione dell'unità da pesca, non si comporta come quella a rombo, ovverosia, non si chiude, assicurando maggiore selettività dell'attrezzo. Per tale motivo è stata data possibilità alle imprese di pesca di dotarsi, in alternativa, di reti con sacchi a maglia romboidale, di misura pari a 50 mm, dietro autorizzazione ministeriale. E' questa l'opzione scelta dalla maggioranza degli armatori delle unità da pesca che hanno presentato domanda alle Capitanerie di porto.
La «volante» è una rete che viene trainata in superficie, a mezz'acqua o che sfiora appena il fondo a seconda del tipo di pesce che si vuole catturare. Queste reti vengono anche chiamate "pelagiche" perché non toccano il fondo. La tecnica della volante permette di catturare alici, sardine, sgombri e aguglie.
In questi ultimi anni il sistema ha soppiantato le reti a circuizione per la cattura del pesce azzurro. Il sistema di pesca è effettuato in prevalentemente in Adriatico. Queste reti sono state, infatti, introdotte in Italia dai pescatori del Nord Adriatico che hanno importato il sistema da retifici che lo producevano per l’uso nel mare del Nord, dove sono nate e si sono rapidamente sviluppate.
La rete volante è usata solo "a coppia", trainata, a mezz'acqua o sfiorante appena il fondo, da due pescherecci per la cattura di pesci pelagici come: alici, spratti, aguglie, sgombriformi e cefali: anche più di 10 t in un’unica cala.
Il sistema "volante" comprende quelli attualmente denominati come:
La denominazione di "traino pelagico" è soppressa (Art. 11, n. 5 del D.M. 26 luglio 1995 “Disciplina del rilascio delle licenze di pesca). (G.U. 31 agosto 1995 n. 203).
Si tratta di reti “volanti” che sono trainate a mezz'acqua o sfiorano appena il fondo (reti semipelagiche). Sono reti “attive” in quanto catturano il pesce nel loro progressivo avanzamento.
Nel sistema volante a coppia ogni peschereccio traina due cavi della rete. Dai due lati della rete parte un cavo dalla mazzetta superiore e uno da quella inferiore.
La rete volante ha in tutto quattro mazzette e quattro lime: lima da sugheri, lima da piombi e due laterali.
Traino pelagico a coppia (volante)
La possibilità di pescare in superficie, a mezz'acqua o vicino al fondo (operando in quest’ultimo caso come rete semipelagica) dipende dalla lunghezza del cavo filato e dalla velocità di pesca.
Per basse profondità, quando la lunghezza del cavo filato è minima (100-150 metri) la distanza è controllata da un cavo detto "traversino" che unisce i due pescherecci; per alte profondità, quando il cavo filato è superiore ai 150 m, la distanza è sotto controllo radar.
Schema della volante a coppia
La rete volante viene usata spesso come rete “semipelagica” perché nei nostri mari e soprattutto di giorno, il pesce azzurro staziona in prossimità del fondo. D’altra parte la pesca semipelagica è più sicura sia perchè il pesce ha una possibilità di fuga in meno (da sotto rete) sia perchè, non disponendo i pescherecci di strumenti di controllo della rete (net sonde), è più facile lavorare la lima da piombi sul fondo. A mezz’acqua non si ha la certezza di esplorare la zona in cui lo scandaglio ha evidenziato il pesce e quindi cattura è più aleatoria. L’apertura orizzontale (20-40 metri) è naturalmente assicurata dai due pescherecci che trainano in coppia, mentre quella verticale (10-14 metri) è assicurata da due grossi pesi (di 250-300 Kg ciascuno) sui due cavi di traino che vanno alle mazzette inferiori, dai piombi e dai galleggianti, questi ultimi, praticamente sempre presenti, anche se non indispensabili.
La rete, di forma conica o piramidale, è formata da moltissime pezze di maglie e filo diversi e termina con un sacco a maglia più piccola dove viene trattenuto il pescato.
Il corpo della rete è composto da quattro parti che sono a due a due uguali: le due parti laterali e la parte superiore ed inferiore.
Schema di base della volante a coppia
La parte superiore e la parte inferiore identiche tra loro e le due parti laterali, anch’esse identiche. Nella rete volante, come modificata e prevalentemente usata in Italia, si ha che le parti laterali sono la metà come numero di maglie della parte superiore ed inferiore.
Le maglie nella prima parte della rete (braccia e prima parte del corpo) sono molto grandi normalmente intorno ai 660 mm di lato e gradatamente diminuiscono man mano che ci si avvicina alle prime pezze del cielo (600-200 mm.) fino al sacco e nel sacco sono generalmente molto piccole con nodo (16 - 18 mm.).
Le maglie del sacco quindi sono molto piccole: ciò però non è dovuto alla volontà del pescatore di usare una maglia, anche proibita, ma consenta migliori catture. L’uso di una maglia piccola è imposto dalle necessità di evitare l’imbrocco anche alla più piccola delle tre specie pelagiche che prevalentemente compongono le saccate delle reti volanti: sarde, acciughe e spratti.
Se si dovesse avere l’imbrocco ci si troverebbe con un pesce ogni maglia e si impedirebbe quindi lo scarico dell’acqua da parte della reti provocando in questo modo la rottura della rete stessa.
Questo attrezzo, se incontra un grosso banco di pesce, può fare catture superiori alle 10 t in una sola cala, e la rete non può essere issata a bordo in una sola volta; per supplire a ciò, il sacco è costruito in modo tale (Enca e Strozzatoio).
L'Enca è un panno di rete inserito all'interno e nella parte iniziale del sacco, che funziona da valvola di non ritorno ed è sollevato quando la barca è in movimento, mentre si abbassa quando la barca si ferma.
Lo Strozzatoio è posto verso la fine del sacco e, tirato da una manovra volante di bordo (ghia), divide la saccata nelle quantità volute dal Capopesca.
Oltre alla volante a coppia esiste anche la volante monobarca ma in Italia e in Mediterraneo è molto rara e spesso viene usata a livello sperimentale.
Tra le reti da traino pelagiche a coppia la agugliara merita un posto a parte. Questo attrezzo, poco conosciuto nelle marinerie italiane, ha riscontrato un discreto successo negli anni '60 - '70 nel Medio Adriatico.
Sistema Agugliara
Attualmente il suo uso è molto limitato anche in questa zona, perchè cattura una sola specie (aguglie) e solo in particolari condizioni ambientali (estate e mare completamente calmo). Infatti le aguglie, durante il periodo estivo, si portano in vicinanza della superficie e spesso saltano fuori dall'acqua.
E’ una rete quindi molto selettiva che praticamente cattura solo aguglie e saltuariamente, quando ne incontra il banco, cefali.
Si tratta di una rete di superficie unica nel suo genere poiché viene trainata con la lima da sugheri (che chiameremo ancora così anche se è completamente priva di sugheri) fuori dell’acqua per evitare che le aguglie, con i loro caratteristici balzi fuori dall’acqua possono evitare la cattura.
L'agugliara è trainata da una coppia di pescherecci, in modo tale che le mazzette su cui sono montati i bracci sporgano dall'acqua consentendo alla rete di "emergere" e catturare anche i pesci che tentano di saltare fuori dall'acqua, con la tecnica illustrata nella figura.
Agugliara in assetto di pesca
Contrariamente alla volante, la agugliara è formata da sole due parti, perfettamente simmetriche e viene trainata con un solo cavo per ciascuna unità.
L’apertura orizzontale e naturalmente garantita dai due pescherecci, mentre quella verticale è assicurata da due lunghe aste in ferro che fanno da mazzette
E’ una rete usata praticamente solo in Adriatico da tanti di modeste potenze. Di preferenza viene pescata di notte.
Schema di base agugliara
Alla luce delle deroghe concesse all’art. 14, punto 2, del Reg. (CE) 1967/2006, lo strascico è vietato entro le 3 (tre) miglia nautiche dalla costa o entro i 50 (cinquanta) metri di profondità, se tale profondità è raggiunta a distanze inferiori.
La Commissione può autorizzare deroghe in certe situazioni (art. 13) per attività di pesca già autorizzate dagli Stati membri e per le unità da pesca aventi un’attività comprovata nella pesca di più di cinque anni e solo se l’attività non comporta alcun aumento futuro nello sforzo di pesca previsto.
L’apertura della maglia delle volanti non deve essere inferiore ai 20 mm quando sardina e acciuga rappresentano almeno l’80% delle catture in peso vivo misurate dopo la cernita.
E’ vietato ostruire le maglie o ridurre di fatto le dimensioni. Gli unici dispositivi autorizzati sono i seguenti (Reg. CE 3440/1984 e Reg. CE 1967/2006):
In Italia è consentito usare contemporaneamente fodera superiore e fodera di rinforzo.
La pesca dei molluschi bivalvi è diventata in questi ultimi anni un'attività estremamente redditizia. Alla base della convenienza economica di questo tipo di mestiere, sono le qualità organolettiche del prodotto e le capacità di cattura degli attrezzi. La pesca viene fatta soprattutto su fondi sabbiosi, che rappresentano il substrato più sfruttato in Italia per l'abbondanza del prodotto. Possono essere impiegati diversi tipi di attrezzi, con barche di tonnellaggio variabile tra le 10 e le 15 tsl
Le «Draghe», in genere, sono attrezzi molto noti e molto usati per la pesca dei molluschi. L’attrezzo deve strappare e o raccogliere molluschi sessili o che si annidano nel substrato. In questa operazione naturalmente si raccoglie anche altro materiale non voluto. Da qui la nascita e l'evoluzione di vari attrezzi diversi, che con vari metodi riescono a trattenere i molluschi e a perdere il materiale di fondo. In alcuni casi si usano nei sacchi di raccolta, maglie molto grandi e fenditure nella parte superiore del sacco stesso e ciò è sufficiente a perdere buona parte dello sporco, in altri casi quando l’attrezzo penetra molto si pompa nell’attrezzo stesso acqua in modo che si abbia la perdita della sabbia e del fango. Generalmente questi attrezzi vengono usati in prossimità della costa soprattutto su fondali sabbiosi da pescherecci di limitata potenza che effettuano uscite giornaliere. Le catture sono generalmente abbastanza consistenti e ciò spiega l’elevato numero di unità che soprattutto in Adriatico operano con tali attrezzi.
Come già in precedenza accennato, le draghe idrauliche sono esse stesse attrezzi per molluschi. E’ bene comunque distinguere tra draghe idrauliche ed attrezzi da traino per molluschi. Anche la draga è tirata, ma molto lentamente. Il peschereccio tramite verricello recupera lentamente l’ancora che ha prima lasciato a congrua distanza. L’attrezzo da traino per molluschi invece è sì trainato a velocità abbastanza bassa, ma il traino avviene, come per le reti da traino, con l’elica stessa del motopeschereccio.
L’uso delle draghe è autorizzato entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa, indipendentemente dalla profondità, purché le specie catturate diverse dai molluschi non superino il 10% del peso vivo totale della cattura.
Alla luce delle deroghe concesse dall’art.14, punto 2, del Reg. (CE) 1967/2006, fino al 31/05/2010, rimane in vigore la norma nazionale che vieta unicamente l’uso di “draghe idrauliche”, ad eccezione della "cannellara", a profondità inferiori a 3 metri (D.M. 22/12/2000).
Dal 01/06/2010 sarà vietato l’uso di “draghe tirate da natanti” (traino per molluschi) e di “draghe idrauliche” entro una distanza di 0,3 miglia nautiche dalla costa.
La larghezza massima consentita per le draghe è di 3 metri (concordata con quella italiana solo per le draghe idrauliche, per il rastrello da natante e il traino per molluschi è più restrittiva la legislazione italiana) a eccezione delle draghe per la pesca delle spugne.
Questo sistema (corrispondente all’italiano “Traino per molluschi” comprende attrezzi, privi di getti d’acqua in pressione, che trainati sul fondo marino staccano e trattengono i molluschi bivalvi che vivono sul fondo annidati nel substrato; generalmente, a questi attrezzi non si richiede una forte spinta verso il basso (tranne che per il Rampone). Il traino dei detti attrezzi può avvenire sia in modo rettilineo che circolare.
Sono molto diversi l’uno dall’altro per forma e dimensioni, ma generalmente consistono di una bocca rigida seguita da un corto sacco di rete tessile.
Assomigliano molto alle reti a strascico a bocca fissa, quali rapido e sfogliara da cui però è possibile distinguerli per alcune caratteristiche, quali:
Questi attrezzi da traino a telaio rigido, generalmente sono molto simili tra loro e cambiano il nome da zona a zona, in funzione dell'organismo catturato o del modo d'impiego.
Sono molto simili ai "rapidi", ma ne differiscono in particolari come: larghezza della bocca (ridotta), dimensioni delle maglie della rete del sacco di raccolta (più grandi), assenza del sistema di apertura del sacco nella parte posteriore (la cattura viene rovesciata sul ponte di coperta), lunghezza della rete molto ridotta (tanto da considerarla come fosse solo sacco).
Traino per molluschi
Per "Ostreghero" si intende un attrezzo a bocca rigida utilizzato essenzialmente per il prelievo delle ostriche. Ha una forma simile a quella di una sfogliara ed è munito di un sacco di raccolta in rete sintetica o metallica.
La bocca rigida è formata da un'asta trasversale in ferro, senza slitte agli estremi: nella parte inferiore è montata una lima da piombi, spesso in catena.
La larghezza della bocca non deve essere superiore a 1.6 m , la maglia della rete deve essere inferiore ai 60 mm
Ostreghero
Il "rampone" tradizionale per molluschi è un attrezzo a bocca rigida che trova impiego particolarmente in alcune marinerie del Basso Adriatico (Manfredonia) per la cattura di cozze pelose (Modiolus barbatus), canestrelli (Chlamys glabrar), mussoli (Arca noae), cappesante (Pecten jacobaeus).
La struttura del telaio è molto simile a quella del rapido (un telaio rigido con lama a denti ricurvi che poggiano su due slitte), ma ha dimensioni ridotte e i denti del rastrello, sempre in tondino ricurvo, non sono appiattiti.
Se ne differenzia per la presenza di due depressori (tavole) con inclinazioni diverse che aumentano fortemente la pressione dei denti sul substrato.
Attrezzo simile al rampone è la “Cassa”: bocca rigida formata da un rettangolo in tondino in ferro a cui è armato un sacco di rete.
Rampone tradizionale a Cassa
Questo tipo particolare di pesca non necessita di una velocità elevata, bensì di una forte spinta verso il basso perchè gli organismi da catturare vivono su fondali abbastanza duri. Il sistema di traino non è rettilineo, ma circolare, e la velocità è piuttosto bassa.
In effetti, spesso il traino di questo attrezzo non è effettuato in modo rettilineo, ma circolare, cioè si passa più volte sulla stessa circonferenza, in quanto il mollusco da catturare, ad esempio la cozza pelosa, è fortemente attaccato sul fondo e la sua cattura avviene per “sradicamento”.
Simile all’Ostreghero.
Viene usato da piccole unità da pesca (in Sardegna, Puglia e Campania) per la cattura di gamberi, granchi e pesci bentonici. Viene trainato da una unità con un solo cavo.
La bocca ha forma rettangolare: la parte superiore è formata da un tubo di ferro piegato alle estremità mentre quella inferiore è formata da un cavo piombato Potrebbe definirsi come una sfogliara a grande apertura verticale: la bocca è infatti alta circa un metro e larga circa 5.
Ganghero
Due piccole slitte laterali consentono all’attrezzo di rimanere diritto. Il corpo della rete è costituito da diverse pezze con varie dimensioni di maglia: il corpo misura circa 20 m Si salpa su una fiancata.
Il telaio del Rampone e della Cassa: non deve avere una larghezza superiore a 1,60 metri. L’apertura della maglia non deve essere inferiore a 50 mm.
Nella parte superiore della rete (sacco) devono essere presenti tre aperture longitudinali che agevolano la fuoriuscita dei detriti (solo per il rampone di manfredonia).
Il telaio dell’Ostreghero e della Sfogliara per molluschi non deve avere una larghezza superiore a 1,60 metri; l’apertura della maglia non deve essere inferiore a 60 mm;
Nel telaio non devono essere presenti le slitte che ne vincolano l’apertura verticale come nella sfogliara per sogliole.
Possono essere adibite a tale tipo di pesca le navi di lunghezza tra le perpendicolari (Lpp) di 10 metri, di stazza lorda non superiore a 10 t. e potenza motrice non superiore a 100 HP.
L’uso del sistema traino per molluschi è autorizzato entro una distanza di 3 miglia nautiche dalla costa, indipendentemente dalla profondità, purché le specie catturate diverse dai molluschi non superino il 10% del peso vivo totale della cattura.
Alla luce delle deroghe concesse dall’ 14, punto 2, del Reg. (CE) 1967/2006, fino al 31/05/2010, rimane in vigore la norma nazionale che vieta unicamente l’uso del “sistema traino per molluschi”, ad eccezione della cannellara, a profondità inferiori a 3 metri (D.M. 22/12/2000).
Dal 01/06/2010 sarà vietato l’uso del “sistema traino per molluschi” entro una distanza di 0,3 miglia nautiche dalla costa.
Il sistema corrisponde all'italiano "Rastrello da natante ". I rastrelli da natante sono attrezzi a bocca rigida che trainati sul fondo marino, staccano e trattengono molluschi bivalvi annidati nel substrato. La parte superiore della bocca, normalmente, è un semicerchio la cui parte inferiore è il diametro. Alla bocca è montato un corto sacco di rete tessile per la raccolta dei molluschi.
I rastrelli sono attrezzi che possono essere trainati a mano o da piccole unità di massimo 10 tonnellate di stazza lorda; in quest'ultimo caso il traino e il recupero sono completamente manuali e non utilizzano il movimento delle unità.
Il «rastrello a denti» è munito di un manico piuttosto corto (1-2 m), che ha lo scopo di regolare l'inclinazione dei denti: sono in genere molto vicini e piuttosto lunghi (30 cm), affilati e ravvicinati (ad esempio, il rastrello napoletano) e servono a raccogliere le vongole dal fondo e convogliarle nel sacco.
Rastrello da natanti a denti
Il «rastrello a lama», invece, ha un manico più lungo rispetto all'altro e penetra nel substrato raccogliendo sia il sedimento che vongole. Durante il recupero un marinaio di tanto in tanto scuote il manico per agevolare la fuoruscita del sedimento.
Rastrello a lama (Rusca)
Laguna di Venezia
Il traino avviene tramite recupero dell'ancora con il verricello. Ogni unità traina due attrezzi, con un cavo ciascuno, che agisce sulla bocca del rastrello.
Il salpamento dell'attrezzo è manuale; esso viene issato a bordo senza l'uso di verricello meccanico, o bigo. Questo tipo di attrezzo, data la sua particolare costruzione (manico di regolazione), ha una profondità di pesca molto limitata.
I rastrelli da natante sono maggiormente usati nei litorali campani, laziali e toscani, mentre quelli senza ausilio di forza motrice in Alto Adriatico e sono impiegati soprattutto per la pesca delle telline, mentre quelli trainati a mano per la cattura delle vongole.
Il «rastrello da natante» deve avere le seguenti caratteristiche:
Le unità da pesca non devono superare la stazza di 10 t, e la potenza dell’apparato motore non deve essere superiore a 100 HP. Il pescato massimo giornaliero è di 150 Kg.
L’uso dell’attrezzo è consentito solo nel Mar Tirreno ed è soggetto a limitazioni temporali (fermi,giornalieri e mensili).
Per «rastrello a piedi» e «rastrello senza ausilio di forza motrice» si intendono attrezzi azionati esclusivamente da energia umana. Ve ne sono essenzialmente di due tipi; infatti la bocca inferiormente può essere provvista di una lama metallica (come nel caso della vongolara manuale), o di denti (come nel caso del rastrello a denti). L’attrezzo può essere fornito di sacco in rete tessile o cesto di raccolta in rete o grigliato metallico. L’attrezzo può essere adoperato a piedi o da bordo di un natante, in quest’ultimo caso il traino ed il recupero sono totalmente manuali.
Rastrello a mano
Rastrello a denti
Le «draghe idrauliche» (o turbosoffianti) sono attrezzi utilizzati per la pesca dei molluschi bivalvi, in particolare di vongole, cannolicchi e fasolari, che vivono adagiati o affossati nel sedimento. Sono attrezzi che penetrano nel fondo marino per raccogliere, avanzando, tutti gli organismi presenti nel substrato.
Il sistema consente di trattenere i molluschi espellendo con una serie di getti d'acqua la sabbia e il fango.
La draga vera e propria è costituita da una gabbia completamente metallica (a forma di parallelepipedo) nel cui interno vengono iniettati getti d'acqua a pressione (draghe turbosoffianti), che agevolano sia la penetrazione dell'attrezzo nel sedimento che la fuoruscita di materiale come sabbia o fango, che possono intasare.
Sistema draga idraulica
La pompa dell'acqua a pressione è posta quasi sempre a bordo dell’unità da pesca, e l'acqua viene convogliata nella gabbia tramite un tubo di gomma.
Il grigliato della gabbia (che seleziona i bivalvi per taglia già in fase di pesca) è costituito da “tondini di ferro” la cui distanza varia a seconda dell'organismo da catturare.
Nella parte anteriore in contatto con il fondo, viene bullonata una draga metallica che, sporgendo sotto i pattini laterali di qualche cm (4-6 cm per le vongole e i fasolari e 10-15 cm per i cannolicchi), consente alla gabbia di scavare fuori dal sedimento gli organismi presenti.
Davanti alla lama e sul grigliato scorrono i tubi metallici con gli ugelli di sfondamento e smaltimento.
Il traino può essere effettuato normalmente tramite il recupero del cavo dell'ancora, o con l'elica a marcia indietro (la draga è sempre posta sulla prua dell'unità), con la tecnica illustrata nella figura che segue.
Il traino avviene con il recupero dell’ancora oppure con l’elica a marcia indietro poiché la gabbia è sempre posta a prua
Al termine del traino la gabbia viene issata a prora tramite il cavo di recupero ed il materiale raccolto viene convogliato in un setaccio, per la selezione delle taglie commerciabili.
A seconda dei molluschi che si vogliono catturare, la draga idraulica si differenzia, in base alle caratteristiche costruttive, in:
La «Vongolara» è l’attrezzo usato per la cattura delle vongole. In passato si usava la vongolara a mano che consisteva in un grosso rastrello con un lunghissimo manico. La vongolara era tirata lentamente recuperando l’ancora e con il manico si cercava di agitare il rastrello in modo che si scaricasse la maggior quantità possibile di sabbia. Ora si usa la vongolara con getto d’acqua all’interno dell’attrezzo.
Le dimensioni dell’attrezzo sono aumentate, il manico è scomparso, il salpamento è meccanico: in generale le catture sono molto più alte e con minor fatica.
A seconda del tipo di pesca, sia la draga (parte inferiore) che i setacci (se ammessi) possono essere di tipo A, B o C (come rappresentato in figura).
Griglia a maglia quadra con lato di 17 mm. Setaccio (Griglia del tipo C)
La «Cannellara» è molto simile alla vongolara, ha però un potere di penetrazione nel fondo marino superiore.
Ciò è necessario per catturare convenientemente i “cannelli”.
Non è ammesso l’uso di vibrovagli (=setacci): il pescato deve essere selezionato a mano.
Tutto il resto va ributtato in mare ad eccezione dei vermi marini (BIBI).
La «Fasolara» è usata infine per la cattura dei fasolari (Callista chione). E’ ammesso l’uso del vibrovaglio.
La flotta italiana conta all’incirca 835 unità equipaggiate con “draga idraulica”, che rimane l'attrezzo più usato per la pesca dei molluschi in Italia, in particolar modo in Alto e Medio Adriatico, dove si contano 784 unità operative, per la pesca di vongole, longoni e fasolari e nel litorale campano e laziale, dove operano non più di 60 turbosoffianti per la cattura dei cannolicchi.
Sistema draga idraulica
In questa categoria sono inseriti tutti gli attrezzi confezionati con rete che vengono lasciati in mare in una postazione fissa o in balia delle correnti. Generalmente questi attrezzi vengono definiti "passivi" perchè sono gli organismi marini che nei loro spostamenti vi incappano rimanendo intrappolati per imbrocco (gilled), per impigliamento (entangling) o per insaccamento (bagging) che è tipico del tremaglio.
La pesca è stagionale e legata alla tipologia delle specie da catturare. Le unità che attuano tale tipo di pesca fanno parte in genere della “Piccola pesca” (DM 14/09/1999, pesca costiera locale) e quindi le dimensioni devono essere LFT < 12 m e TSL < 10.
Reti da posta fisse (A: superficie, B: mezz’acqua, C: da fondo) e derivanti (D)
Tremaglio con relativo sistema di cattura (E, F); imbrocco (G).
Le reti da posta sono reti “passive", destinate a recingere o sbarrare spazi acquei allo scopo di ammagliare: pesci, molluschi e crostacei che vi incappano. Una prima suddivisione di questa si ha quando sono nude o tramagliate: nel primo caso il pesce penetra con la testa e vi rimane impigliato, come ad esempio nella sardellara; nel secondo caso invece oltre la rete nuda vi sono altre due pareti a maglie più larghe così da consentire, sotto la spinta del pesce il formarsi di un sacco. Da qui un’altra versione per il riconoscimento di queste reti da posta, quella della sua destinazione: da imbrocco o da insacco. A loro volta si suddividono ulteriormente in reti fisse e reti derivanti: le prime sono ancorate al fondo marino e le seconde invece sono lasciate all’azione dei venti e delle correnti. Le reti da posta sono le reti da pesca più note, più ingegnose e di più antico uso. Sono reti formate da fili moto sottili e flessibili in quanto debbono essere il meno visibili al pesce perché non si spaventi e scappi. Questo tipo di pesca è effettuata da motopescherecci da 20-30 tsl. Si possono individuare alcuni tipi di rete usate dai pescatori.
Le reti da posta sono quelle destinate a recingere o sbarrare spazi acquei allo scopo di imbroccare od ammagliare gli organismi marini che vi incappano.
Esse si dividono in fisse e derivanti; le prime sono ancorate sul fondale marino, mentre le seconde sono lasciate all'azione delle correnti e dei venti.
Questi attrezzi sono confezionati con lunghi pannelli (pezze) di rete rettangolari che vanno armate con due lime: sulla superiore vengono montati i galleggianti e su quella inferiore i piombi in modo da farle assumere in acqua una posizione verticale (l'effetto combinato assicura l'apertura verticale della rete).
Le reti da posta possono essere calate in mare vicino alla superficie, a mezz'acqua o sul fondo, a seconda delle specie da catturare. Possono essere confezionate in tre modi diversi: con un solo pannello di rete (imbrocco), con tre pannelli (tremaglio) o come “incastellata o combinata”, che viene armata a tremaglio nella parte inferiore (per la cattura del pesce di fondo) e ad imbrocco nella parte superiore (per la cattura dei pelagici).
È consentito l'impiego di tutti i tipi di reti da posta, sia fisse che derivanti, senza limitazioni di lunghezza purché le dimensioni delle maglie “non siano inferiori a mm. 20“ e le reti siano dotate dei prescritti segnali.
Attualmente, tali reti vengono prodotte in nylon che, per la sua grande tenacità, consente la realizzazione di reti a fili sottilissimi ma comunque sufficientemente robusti. In alcuni casi, si sta inoltre diffondendo l’uso del monofilo che presenta, tra gli altri vantaggi, anche quello della quasi completa trasparenza in acqua.
Sono attrezzi usati praticamente in tutte le marinerie, anche in quelle più piccole. Infatti spesso vengono usate piccole unità a remi o con un piccolo motore fuoribordo che possono partire addirittura dalla spiaggia. Spesso sono utilizzate con buoni risultati in quei fondali dove la pesca a strascico non è possibile.
In genere, tali reti sono salpate e calate a mano ma in alcuni casi, per ridurre la fatica o per fare uso di reti di maggiore lunghezza vengono utilizzati particolari ausiliari di coperta detti salpatramagli.
A seconda che siano ancorate o meno al fondo e a seconda della loro disposizione in acqua possono essere suddivise in: fisse, derivanti e circuitanti.
Le «reti da posta» sono quelle destinate a recingere o sbarrare spazi acquei allo scopo di imbroccare o ammagliare gli organismi marini che vi incappano.
Le prime sono ancorate sul fondale mentre le seconde sono lasciate all’azione delle correnti e dei venti. Questi attrezzi si compongono di lunghi pannelli rettangolari di rete con nodo (singolo o doppio) armati nella parte superiore alla lima dei galleggianti e nella parte inferiore alla lima dei piombi (l’effetto combinato assicura l’apertura verticale della rete).
In particolare, per “reti da posta fisse” si intendono tutte quelle reti che, benché possano trovarsi in superficie (A), a mezz’acqua (B) oppure sul fondo marino (C) vengono tuttavia ancorate ad intervalli in modo fisso al fondo marino con ancore o pesi. I pesi o le ancore vengono segnalate in superficie da galleggianti munite di bandierine gialle di giorno e luci gialle di notte per renderne possibile l’individuazione al momento del recupero.
Reti da posta fisse (A: superficie, B: mezz’acqua, C: da fondo)
Le reti, una volta calate, vengono lasciate in posizione per un certo periodo di tempo, in genere una notte, in modo tale da renderle ancora più invisibili al pesce e poi recuperate. Normalmente, nell’intervallo fra l’operazione di cala e quella di salpata la barca rientra in porto.
► Tremaglio: 3 pezze di rete sovrapposte, delle quali la mediana è più estesa e presenta maglie più piccole. Specie bersaglio tipiche di fondale (scorfani, aragoste, seppie, ecc.).
► Incastellata o combinata: questa rete combina i vantaggi delle due reti descritte precedentemente essendo formata nella parte superiore da una rete ad “imbrocco” (per la cattura dei pelagici) e nella parte inferiore da un “tremaglio” (per la cattura del pesce di fondo).
►Rete circuitante: è una normale rete ad imbrocco di altezza pari a 10 metri che invece di essere calata in mare in modo rettilineo, è calata in cerchio o semicerchio in prossimità della costa: l’unità si pone all'interno dello stesso ed inizia a produrre rumori per spaventare il pesce e indirizzarlo verso le pareti della rete.
La «rete ad imbrocco» è costituita da un’unica pezza fissata ad una linea dei sugheri e ad una dei piombi. Costituita da fili in monofilamento, la rete ha in sostanza una cattura monospecifica e monotaglia. Ciò dipende dalla misura della maglia con cui è armata. I pesce penetra con la testa nella maglia e vi rimane impigliato.
La rete ad imbrocco è un attrezzo molto selettivo perché cattura solo pesci più o meno della stessa taglia che rimangono incastrati in una data maglia (i più piccoli l’attraversano e i più grandi non vi entrano); per questo motivo la rete ad imbrocco è confezionata con una gamma di apertura di maglia molto vasta (40-500 mm.) in funzione della specie e della taglia che si vuole catturare.
Il pesce non resta prigioniero in una sacca come nel tremaglio, ma generalmente penetra con la testa nella maglia e vi resta imprigionato, senza poter andare avanti e indietro.
Sistema da posta (Imbrocco)
Approfondimenti:
L’imbrocco è una rete selettiva la cui dimensione di maglia varia in funzione delle specie bersaglio, con target variabili da zona a zona e nei diversi periodi dell’anno: è comunque il merluzzo la specie che più contribuisce ai ricavi provenienti da questo attrezzo, seguita a notevole distanza da altre specie tra cui mendole, triglie, sogliole, pannocchie, orate, saraghi e boghe. A livello nazionale la rete ad imbrocco ha una frequenza del 28%, con picchi alti nel Lazio, dove è impiegata con la stessa frequenza del tramaglio (67%).
Sono reti formate da un’unica pezza. La cattura del pesce avviene per imbrocco ossia il pesce, una volta entrato nella maglia della rete, non riesce più ad andare né avanti né indietro.
Schema della rete
Le dimensioni delle maglie di queste sono variabili a seconda della specie e della taglia del pesce che si intende catturare reti (≥ 16 – Reg. CE 1967/2006). Infatti se le maglie sono troppo grandi il pesce può passare oltre senza danni mentre se troppo piccole il pesce non resta ammagliato e quindi sfugge alla cattura.
Le reti a maglia piccola sono usate prevalentemente per la cattura specie pelagiche e necto-bentoniche (sogliole, canocchie, palombi, naselli, salpe, occhiate).
Le reti a maglia media (50-130 mm circa) catturano diverse specie commerciali di taglia maggiore.
Le reti a maglia medio-grande (160-200 mm) sono specifiche per alcune specie di tonnetti e alalunghe. Infine, le reti a maglia grande (> 350 mm) e filato molto spesso, sono specifiche per la cattura dei pesci spada (=spadare).
Nel caso della rete da posta per tonni la cattura non avviene tanto per imbrocco quanto per intrappolamento del pesce nella rete.
Questo tipo di rete, lunga alcuni chilometri, può essere sia di tipo fisso che derivante. Per lo svolgimento della pesca con reti ad imbrocco vengono messe in atto tecnologie piuttosto semplici: 1 o 2 persone di equipaggio e imbarcazioni di modeste dimensioni.
E’ la più nota tra le reti da posta, ed è formata da tre pezze (pannelli) di rete sovrapposte ed armate con diverso rapporto di armamento sulle stesse due lime da sughero e da piombi.
Le due pezze esternamente identiche e formate da maglie molto grandi sono armate sulle lime con un rapporto di armamento abbastanza alto (0,6-0,7), mentre la pezza intermedia ha maglie piccole e rapporto di armamento basso (0,4-0,5). I filamenti sono generalmente multifilamento o multimonofilamento.
Sistema da posta (Tramaglio)
Ciò permette una sovrabbondanza di rete nella pezza a maglia piccola. Il pesce quindi incontra nel suo cammino la rete e cerca di superarla; da qualunque parte provenga, supera abbastanza agevolmente la maglia grande della pezza esterna (il maglione) e preme sulla pezza a maglia piccola che essendo sovrabbondante fa una sacca delimitata dalla maglia grande della terza parte di rete. In questa sacca il pesce resta imprigionato senza nessuna possibilità di fuga; da qui verrà prelevato dal pescatore quando salpa la rete.
Il tremaglio è generalmente calato sul fondo per la cattura di specie pregiate. Le dimensioni delle maglie e dei maglioni variano da zona a zona.
Il tremaglio è confezionato con filato molto sottile e questo agevola l’ammagliamento del pesce al solo contatto con le pinne; per questo motivo tale attrezzo è considerato poco selettivo.
Strutture dei vari tipi di Tramaglio
Approfondimenti:
Di tutte le reti da posta, il tremaglio è quello meno selettivo. Impiegata nella pesca costiera, è una grande parete di rete che può essere sistemata appena al di sopra del fondo marino quando si vogliano pescare tipi di pesce demersale o comunque quando si vogliano pescare pesci pelagici ad una certa profondità dalla superficie.
Il tremaglio è confezionato con filato molto sottile e questo agevola l'ammagliamento del pesce al solo contatto con le pinne; per questo motivo tale attrezzo è considerato poco selettivo; generalmente viene ancorato in vicinanza del fondo.
Il tremaglio è una rete a maglia stretta formata da tre pezze (pannelli), delle quali le due esterne sono a maglie grandi (maglioni), mentre quella interna è a maglie più piccole. Il pesce viene catturato per ammagliamento dal pannello interno, dopo avere attraversato il primo pannello. Anche l’altezza delle tre pezze è diversa: quelle esterne sono uguali mentre quella centrale è notevolmente più alta e libera di muoversi tra le altre due. Ad ogni modo essa oscilla tra 1.5 m e 2 m. Il pesce, da qualunque parte esso provenga, può agevolmente superare la prima pezza ma, entrato a contatto con la seconda, trova in questa una specie di sacca e, nel tentativo di sfuggire, si impiglia sempre di più.
La parte superiore della rete è collegata a una lima da galleggianti mentre quella inferiore è connessa a una lima da piombi. L’azione combinata dei galleggianti e dei piombi mantiene lo stiramento verticale della rete.
I galleggianti sono in genere di forma ovoidale, lunghi 10 cm con 5 cm di diametro. I piombi, di norma situati in corrispondenza dei galleggianti, hanno forma cilindrica cava, lunghezza di 10 cm circa e peso di circa 170g.
Con tremagli da fondo viene usato un peso sufficiente a tenere la lima da piombi aderente sul fondo del mare mentre la galleggiabilità fornita dai galleggianti è sufficiente solo a mantenere la tensione verticale.
Sistema Tramaglio (pannello)
Nel caso di tremaglio a mezz’acqua, vengono usati galleggianti sufficienti per controbilanciare il peso della lima da piombi che viene usata per assicurare la verticalità della rete. I cavi connessi alle due lime, a ciascuna estremità della rete sono collegati a quelli che collegano le ancore in fondo al mare ai galleggiamenti in superficie che mostrano la posizione e l’estensione della rete e successivamente vengono utilizzati per il recupero della rete. Le reti vengono calate spesso in estate. Quando si raggiungono le zone di pesca si preparano un’ancora e un galleggiante. Si cala l’ancora e, mentre si posiziona il galleggiante, la nave si muove in avanti a una velocità di circa 3-5 nodi. Il tremaglio viene generalmente ancorato al fondo e viene impiegato per la cattura di pesce ad alto valore commerciale (sparidi, crostacei, pesci piatti, ecc.).
Più produttiva sui fondali rocciosi o misti, è per questo meno utilizzata nell’Adriatico, mentre mostra frequenze notevoli nel Tirreno, nello Ionio e nelle isole. Tra le specie più importanti nei mix di cattura del tramaglio si segnalano, in ordine di importanza economica: triglie, scorfani, seppie, merluzzi e aragoste, quest’ultime pescate con reti a maglia larga spesso denominate “tramaglioni”. Tra le catture accessorie hanno una certa rilevanza anche polpi, mormore, orate e spigole. I pesci più piccoli rimangono impigliati nello strato mediano mentre i pesci più grossi urtano contro lo strato mediano e lo fanno rientrare nelle maglie più larghe degli strati esterni rimanendo imprigionati in una specie di sacco.
Nessuna limitazione è stabilita per le dimensioni delle maglie delle reti adibite alla pesca di sardine o di acciughe.
Esiste infine una terza tipologia di rete da posta, spesso denominata come “rete incastellata”.
Questa rete combina i vantaggi delle due reti descritte precedentemente essendo formata nella parte superiore da una rete ad “imbrocco” (per la cattura dei pelagici) e nella parte inferiore da un “tremaglio” (per la cattura del pesce di fondo).
È abbastanza diffusa nel Tirreno, dalla Liguria al Lazio, rara o assente nelle altre regioni d’Italia: ciò potrebbe forse suggerirne una sperimentazione in aree di pesca con caratteristiche analoghe.
Sistema da posta (Incastellata)
Questi attrezzi operano in genere in superficie. Prevalentemente sono reti da imbrocco, costituite da uno o più pannelli, armate in alto ad una linea dei sugheri che permette il galleggiamento, ed in basso ad una linea dei piombi.
Il peso dei piombi neutralizza l’azione dei galleggianti facendo rimanere la rete in posizione verticale.
La rete viene tenuta ancorata al fondo mediante dei pesi o delle ancore.
I filamenti possono essere: monofilamento (filamenti singoli), multifilamento (elevato numero di fibre finissime) e multimonofilamento (unione di alcuni monofilamenti leggermente ritorti).
La posizione della rete viene segnalata in superficie, permettendone il recupero, mediante delle boe e delle bandierine.
La rete viene lasciata in “pesca” per un periodo di tempo variabile, in genere nelle ore notturne, e poi recuperate. L’unità da pesca rimane comunque sempre collegata alla rete.
Rete da imbrocco
La «rete circuitante» è una normale rete da posta fissa (ad imbrocco) che invece di essere calata in mare in modo rettilineo, è calata in cerchio, o a semicerchio se in prossimità della costa.
Questo sistema di pesca, generalmente si usa in vicinanza della costa, con unità da pesca di piccole dimensioni, per catturare pesci che si trovano addensati in una spazio abbastanza ristretto.
Una volta che il cerchio è chiuso, l’unità si pone all'interno dello stesso ed inizia a produrre rumori per spaventare il pesce e indirizzarlo verso le pareti della rete.
Poco usata (2% a livello Italia), non deve confondersi con le “reti a circuizione”. Mantiene una certa diffusione solo in alcune marinerie della Liguria, della Calabria e del Medio Adriatico, mentre tende a scomparire nelle altre regioni d’Italia dove il numero di equipaggi che la impiegano non supera le 15 unità. Nel mix di cattura spicca per valore economico il pesce bianco.
Schema sistema da posta (circuitante)
Sono da posta (imbrocco) a tutti gli effetti, calate in modo che le lime si dispongano circolarmente, così da imprigionare, all’interno del cilindro che si forma, i pesci che vengono poi spaventati in modo che indirizzarli verso le pareti della rete, nelle quali restino imbroccati o impigliati.
Rete da imbrocco
E' consentito l’impiego di tutti i tipi di rete da posta (imbrocco, tramaglio o incastellata) sia fisse che derivanti (D.P.R. 1639/68 – Reg. CE 1967/06).
► E’ vietato l’uso di tutte le reti da fondo per la cattura delle seguenti specie (Reg. CE 1967/06):
A titolo di deroga, le catture accessorie accidentali di non più di 3 esemplari delle specie di squali suddette possono esere detenute a bordo o sbarcate purché non si tratti di specie protette ai sensi del diritto comunitario.
La rete circuitante deve avere altezza pari a 10 metri (Reg. CE 1967/2006). pertanto non deve essere confusa con una rete a circuizione (sistema di pesca diverso indicato in licenza) perché quest’ultima, per ragioni puramente geometriche, deve avere necessariamente altezza superiore a 10 metri.
Le reti da posta devono essere muniti di “segnali” costituiti da «galleggianti di colore giallo», distanziati fra, loro non più di 200 metri. Le estremità dell'attrezzo debbono essere munite di «galleggianti di colore giallo» con bandiere di giorno, e fanali di notte, dello stesso colore; tali segnali debbono essere visibili a distanza non inferiori a mezzo miglio.
Le reti da posta sono contrassegnate, “di giorno”,
con corpi galleggianti gialli in numero sufficiente ad indicarne la posizione
Le reti da posta sono contrassegnate, “di notte”, con luci ordinarie gialle
in numero sufficiente ad indicarne la posizione
È vietato collocare reti da posta ad una distanza inferiore a 200 metri dalla congiungente i punti più foranei, naturali o artificiali, delimitanti le foci e gli altri sbocchi in mare dei fiumi o di altri corsi di acqua o bacini.
Per le reti calate "oltre le 12 miglia" nautiche misurate dalle linee di base dello Stato costiero, il Regolamento (CE) n. 356/2005, (che stabilisce le modalità d’applicazione per la marcatura e l’identificazione di attrezzi da pesca fissi e sfogliare) modificato dal Reg. (CE) n. 1805/2005, prevede ai fini del controllo e la sorveglianza delle attività di pesca, le modalità d’applicazione per la “marcatura” e la “identificazione” degli attrezzi da pesca detenuti a bordo o utilizzati nelle acque comunitarie.
Posizionamento delle “targhette” sulla lima da sughero alle estremità dell’attrezzo.
Il cavo è di materiale sommergibile o provvisto di pesi
Posizionamento delle “targhette” fissate sulla lima da sughero ad intervalli regolari
non superiore a 1 miglio nautico per gli attrezzi di estensione superiore a 1 miglio nautico.
I «cavi» che collegano le boe all’attrezzo fisso sono di materiale sommergibile oppure debbono essere provvisti di pesi
Agli attrezzi fissi di estensione superiore a 5 miglia nautiche sono fissate “boe segnaletiche intermedie”
ad intervalli regolari non superiore a 5 miglia nautiche.
L’asta di ogni boa segnaletica situata all’estremità ha un’altezza di almeno 1,5 metri dal livello del mare, misurata dal punto più alto del galleggiante.
Le boe segnaletiche situate all’estremità sono colorate, ma non di color rosso o verde.
Ogni boa segnaletica situata all’estremità è composta da:
Le boe segnaletiche situate alle estremità sono fissate agli attrezzi fissi nel seguente modo:
L’asta di ogni boa segnaletica situata all’estremità ha un’altezza di almeno 1,5 metri dal livello del mare, misurata dal punto più alto del galleggiante.
Le boe segnaletiche situate all’estremità sono colorate, ma non di color rosso o verde.
Ogni boa segnaletica situata all’estremità è composta da:
Le boe segnaletiche situate alle estremità sono fissate agli attrezzi fissi nel seguente modo:
Caratteristiche delle boe segnaletiche situate alle estremità e delle boe segnaletiche intermedie
L’uomo nella sua storia ha inventato innumerevoli tipi di “trappole” per catturare le prede di cui aveva bisogno per nutrirsi. Le trappole per la cattura del pesce sono quanto di più ingegnoso si può trovare, sia come concezione della trappola, di metodi cioè adottati per invogliare l’ingresso ed impedire l’uscita, sia come materiali utilizzati nella costruzione della trappola, sia infine come esche per attirare il pesce. In ogni zona vi sono tipi particolari di trappole diverse sia in funzione della specie e dei fondali in cui si opera sia in funzione dei materiali.
Le «trappole a postazione fissa» sono calate in un punto scelto sulla base della esperienza ed ivi lasciate per tutta la stagione di pesca. Il calo in ogni modo è un’operazione piuttosto delicata e laboriosa. E’ necessario un sistema di ancoraggio sicuro cui fissare le varie parti dell’attrezzo; è necessario conoscere le correnti prevalenti nella zona in cui si opera; è necessario conoscere la normale direzione dei pesci che si vogliono catturare in modo da disporre il braccio di incanalamento nella giusta posizione cioè in posizione che convogli il pesce verso l’attrezzo e non viceversa.
Nelle reti a postazione fissa, l’ingresso deve essere facile ed invitante, l’uscita in pratica impossibile. Per questo molto spesso si hanno vari ingressi consecutivi sempre più sicuri da cui è impossibile e difficile uscire. L’ultima camera dell’attrezzo è la camera della morte, dove il pesce resta fino che il pescatore salpi la rete e lo prelevi.
Le reti a postazione fissa normalmente non sono innescate, sfruttano solo le abitudini o le migrazioni dei pesci, note per la lunga esperienza ai pescatori.
Le trappole fisse di cui le più note sono la “tonnara” per la cattura del tonno rosso e il “lavoriero” per la cattura delle anguille, cefali, spigole e orate, sono caratterizzate da avere una postazione fissa, e di essere mantenute per una stagione di pesca o per un tempo più lungo quando si tratta di strutture complesse.
Sono collocate i specifiche aree di pesca dove sfruttano determinati comportamenti della specie bersaglio.
Sia nel caso della tonnara che del lavoriero è l’istinto delle specie a riprodursi che la porta ad incontrare questi attrezzi sul suo cammino.
Nel caso del tonno, avvicinandosi alla costa dalle acque al largo, nel caso dell’anguilla nel tentativo di raggiungere il mare dalle acque dolci o salmastre dove vive.
Le «trappole mobili», sono attrezzi passivi che a differenza di quelle fisse, vengono salpate e controllate ogni 1 o 2 giorni ed eventualmente spostate in un’altra area di pesca (Nasse, cogolli e bertovelli). L’impiego di tali attrezzi richiede un’approfondita conoscenza delle zone e del comportamento delle specie bersaglio perché la pesca risulti redditizia.
Non è certo possibile confondere la «tonnara» con un altro attrezzo da pesca. Le stesse dimensioni sono tali da non lasciare dubbi. Gli impianti fissi per la cattura del tonno sono chiamati “tonnare per mattanza”.
E’ la maggiore fra tutte le reti da posta fissa. Le zone poi dove sono calate le tonnare sono molto note da lungo tempo ormai. La cosa più difficile oggi è trovare la tonnara. Questo attrezzo da pesca ormai è ridotto a poche unità. La cattura si svolge in diversi momenti tutti collegati fra loro ma distinti. I tonni oggi si catturano con la tonnara volante.
La tonnara è un impianto di sbarramento, un labirinto composto di reti ancorate sul fondo del mare che obbligano i tonni a finire in una trappola costituita da diversi corridoi e camere, la cui disposizione viene segnalata in superficie da boe.
Schema Tonnara per tonno rosso
La tonnara è costituita da una rete verticale detta “pedale”, che partendo dalla costa si dirige verso il largo con una direzione quasi perpendicolare al litorale; al largo si trova un insieme di reti verticali che costituiscono un complesso chiamato “isola”, formata da numerose camere da 4 a 9, tutte, tranne l'ultima, non hanno fondo e sono divise tra loro da apposite porte.
Tonnara (Camera della morte)
Il tonno avvicinandosi alla costa trova uno sbarramento costituito da reti che formano
un vero e proprio muro che lo costringe ad entrare in un labirinto di camera fino a quella finale (della morte)
L'impianto di una tonnara, non può essere consentito se non a distanza di 3 miglia marine sopra vento e di 1 miglio marino sottovento da altre preesistenti, salvo che i proprietari o i concessionari abbiano diritto a maggiori distanze in forza di titoli particolari. Tali distanze debbono essere osservate negli eventuali spostamenti di tonnare.
La tonnara deve essere segnalata con unità o galleggianti ancorati al largo della sua parte centrale foranea.
Su tali barche devono essere collegati i seguenti segnali:
Durante il periodo di funzionamento della tonnara, sia di corsa che di ritorno, è vietato l'esercizio di ogni altra forma di pesca a distanza minore di 3 miglia sopravento e di un miglio sottovento dalla tonnara stessa, salvo che i proprietari o i concessionari abbiano diritto a maggiori distanze in forza di titoli particolari.
È altresì vietato l'esercizio di qualsiasi altra forma di pesca nella zona di tre miglia verso l'alto mare dal punto più foraneo di ciascuna tonnara.
Durante il periodo di funzionamento della tonnarella è vietato l'esercizio di ogni altra forma di pesca a distanza minore di 500 metri sopravento e di 200 metri sottovento dalla tonnarella stessa, salvo le maggiori distanze cui i proprietari o i concessionari abbiano diritto in forza di titoli particolari.
È altresì vietato l'esercizio di ogni altra forma di pesca nella zona di 500 metri verso l'alto mare, misurata dal punto più foraneo di ciascuna tonnarella.
Le distanze suindicate raddoppiate per la pesca esercitata con fonti luminose.
Un momento della mattanza
Il cogollo è un attrezzo da pesca ormai in disuso. Si utilizza per la pesca in laguna e nelle acque basse costiere.
Viene ancorato a tre pali infissi sul fondo, due dal lato della bocca ed uno in fondo all'attrezzo. Nei pressi della bocca, legati ai due pali anteriori, vi sono due braccia di incanalamento formate da due pezzi di rete rettangolare, la bocca è rigida e ha di forma circolare.
Cogollo
A partire dalla bocca si susseguono diverse camere a forma di imbuto con l'ingresso che si stringe sempre di più fino all'ultima camera, dove il pesce rimane prigioniero.
In mare il cogollo è generalmente calato in prossimità della riva; a volte la parte superiore dell’attrezzo è ben visibile a pelo d’acqua.
In ogni caso la sagoma permette di evidenziare il braccio (o i bracci) di incanalamento, la prima bocca d’ingresso e il corpo dell’attrezzo. Il sacco è segnalato da un galleggiante per permettere il periodico prelievo del pescato.
Schema: Il cogollo (da: FAO-Catalogue Small Scale Fishing gear, 1987, modificato)
Il «Lavoriero» è un impianto fisso destinato alla cattura dei pesci maturi che dalla laguna o dalle foci dei fiumi tornano al mare per riprodursi.
E’una costruzione complessa e delicata a forma di doppio cuneo e può essere considerato una grande trappola.
E' costituito da diverse camere che guidano il pesce in comparti sempre più stretti, dove è più facile la cattura; è costruito in modo tale da permettere sempre la risalita del novellame dal mare verso la laguna. Principalmente viene usato per la cattura delle anguille (quando attratte dall’acqua salata che entra dai canali nelle valli, cercano di guadagnare il mare per la riproduzione dopo il periodo di crescita ed ingrasso in valle) anche se in camere separate vi restano imprigionati altre specie di pesce quali i cefali e spigole.
Questo metodo di pesca sfrutta i movimenti migratori di massa delle specie che si riproducono in mare e maturano nelle acque interne: in primavera anguille, cefali, spigole e orate entrano in valle allo stadio di novellame, mentre in autunno gli adulti sessualmente maturi sono richiamati al mare dove si riprodurranno. La pesca avviene, quindi, in autunno durante la migrazione riproduttiva. A febbraio, si aprono le chiaviche per effettuare il ricambio dell’acqua salata delle valli e viene fatta la semina del pesce, in quanto l’entrata naturale del novellame dal mare è scarsa. In marzo vengono seminati gli individui giovani di anguille (Anguilla anguilla), delle diverse specie di cefali (Mugil cephalus, Chelon labrosus, Liza sp.), di orate (Sparus aurata) e di spigole (Dicentrarchus labrax). Nel lavoriero particolari incannicciate (grisole), infisse nel fondo lagunare e sostenute da un’intelaiatura di pali e pertiche, delimitano un perimetro cuneiforme nel quale una serie di bacini triangolari, come punte di freccia, comunicanti fra loro, consentono la cattura differenziata del pesce.
Nel corso del tempo, dal lavoriero primitivo di canna si è passati a quello moderno in cemento e metallo, più facile e rapido da costruir.
Lavoriero
La «mugginara» è una rete a trappola con cui si pratica una pesca a vista: si tratta di una sorta di tonnarella dove una rete viene calata tra la costa e due barche ancorate a formare una camera, regolata di giorno in giorno, a seconda dell’intensità della corrente da cavi che partono da terra e dai natanti.
La mugginara porta sulla parte superiore, al di sopra dei sugheri, una pezza supplementare di rete disposta parallelamente al pelo dell'acqua.
Schema di Mugginara
Questa rete viene utilizzata per la cattura di cefali in acque lagunari e viene utilizzata spaventando i pesci colpendo l'acqua con bastoni, i cefali, molto agili, saltano fuor d'acqua per scavalcare la rete e restano ammagliati nella pezza orizzontale. Viene chiamata per questo motivo anche rete a battere. Durante il periodo di funzionamento della mugginara, è vietato l'esercizio di ogni altra forma di pesca a distanza minore di 100 metri dalla mugginara stessa.
E' una trappola particolare destinata soprattutto alla cattura dei cefali. È costituita da pezzi di rete chiamate “braccia”, assemblate su pali infissi nel fondale, sistemati in modo da fare assumere al saltarello una forma a spirale detta “corte”, che impedisce al pesce di retrocedere una volta entrato.
Lungo tutto il perimetro, in superficie, è posto un tremaglio in senso orizzontale detto “incannata” e sul fondo vengono posizionati alcuni cogolli.
L'incannata serve per catturare i pesci che tentano la fuga saltando, mentre i cogolli per catturarne altri che preferiscono tentare la via di fuga dal basso.
Il bertovello è una nassa fatta di rete fissata a cerchi di plastica.
E' costituito da camere a forma di “cono” l'uno dentro l'altro, che consentono al pesce di muoversi solo verso l'interno intrappolandolo. Quando non è in pesca può essere chiusa a fisarmonica occupando pochissimo spazio a bordo.
In genere i bertovelli vengono immersi in serie.
Bertovello
Attrezzo tipico della pesca artigianale, costruito con materiali diversi (vimini, giunco, legno, ferro e plastica). Sono in pratica delle gabbie nelle quali le prede potenziali vengono incoraggiate con esche ad entrare e dalle quali non sono più in grado di uscire.
Le Nasse sono attrezzi “passivi” dove la cattura avviene per intrappolamento del pesce in una parte dell’attrezzo da cui gli è praticamente impossibile sfuggire. L’incanalamento del pesce verso questo punto si ottiene in genere per mezzo di esche poste al suo interno. Vengono usate per la cattura di una varietà enorme di specie che vanno dai pesci ai crostacei e ai molluschi. Normalmente vengono ancorate al fondo marino per mezzo di pesi e segnalate in superficie con corpi galleggianti per facilitarne l’avvistamento ed il successivo recupero.
Le dimensioni non sono elevate e a volte vengono calate in mare non ad una ad una, ma legate insieme a distanza fissa, ad una corda chiamata “madre” o “trave”.
Sistema da posta (nasse)
Approfondimenti:
Questo attrezzo è utilizzato soprattutto dalla piccola pesca, ne esistono tipi diversi con diverse forme legate alla costruzione che fino a qualche tempo fà era di tipo artigianale. A seconda delle diverse marinerie e delle regioni italiane potevano essere di legno armate con una rete di metallo o di vimini intrecciato. Fino a pochi anni fa soprattutto in Adriatico, venivano utilizzate nasse a forma di parallelepipedo, all'interno delle quali venivano posti dei rametti di alloro per la cattura delle seppie. Questo tipo di pesca viene effettuata quando le seppie si avvicinano alla costa durante il periodo riproduttivo; i ramoscelli di alloro, servono per attirare la seppia che li utilizza come substrato per deporre le uova. Oggi queste nasse sono state sostituite ormai del tutto dai “bertovelli”. Altre specie catturabili sono saraghi, anguille, gronchi, cefalopodi (seppie, polpi), crostacei (granchi, aragoste e gamberi).
Un altro tipo di nassa è il “cestino”. Il cestino è una piccola nassa a forma di tronco di cono che serve per la cattura dei lumachini ed altri gasteropodi; il cestino è rivestito da una rete a maglie piccole con l'apertura nella parte superiore. Come esca in genere viene usato del pesce morto poco pregiato. I lumachini attratti dall'esca salgono facilmente lungo le pareti esterne, ma una volta entrati, non sono più in grado di risalire in senso inverso.
La nassa è una sorta di cesta usata per la pesca. Può essere a rete (nassa a rete) (a), a grata (nassa metallica) (b) o a intreccio (nassa a canestro) (c). L’apertura si stringe verso l’interno a forma d’imbuto (d) e fa sì che l’organismo oggetto di pesca, una volta entrato, non possa più uscirne. Viene calata sui fondi più diversi e segnalata in superficie con galleggianti.
Nasse (tipologie)
Le nasse sono utilizzate per la cattura delle seppie durante il periodo riproduttivo, i cogolli, o bertovelli, vengono impiegati per la pesca delle anguille, dei crostacei, delle seppie e di piccoli pesci.
Tra gli altri attrezzi da posta, si assiste ad un recupero del mestiere delle nasse, che alcuni autori indicano come un’arte caduta progressivamente in disuso dalla fine dell’ultima guerra, ma comunque praticata da medie e piccole imbarcazioni.
Tra le specie catturate con le nasse, quelle che più pesano sul ricavo totale sono polpi, seppie, pannocchie e gamberi rossi.
Una realtà produttiva importante nell’Alto e Medio Adriatico, con una particolare diffusione in Emilia Romagna, è infine la pesca con i cestelli per lumachini, questi ultimi considerati a ragione una importante risorsa locale. Praticata da piccole imbarcazioni dotate di motore fuoribordo, questa tecnica è utilizzata da alcune migliaia di operatori soprattutto nei mesi invernali.
Nelle stagioni primaverile ed estiva è invece più frequente la pesca con i cogolli, essenzialmente mirata alla cattura di seppie.
La normativa relativa alle Trappole in generale si basa, a livello Compartimentale, sul DM 14/9/99 della “Piccola pesca” che prevede piani di gestione degli specchi acquei e delle risorse, ma anche sulle “Ordinanze” locali emesse dalle singole Capitanerie di Porto relative ad attrezzi specifici e a determinate specie.
Le unità da pesca che attuano tale tipo di pesca fanno parte in genere della piccola pesca o pesca artigianale e quindi le dimensioni devono essere LFT inferiore a 12 e comunque di TSL inferiore a 10.
La distanza minima dalla costa non è soggetto a normativa (come per la piccola pesca) ma viene stabilita con Ordinanze delle locali Capitanerie di Porto.
Per «reti da posta derivanti» si intendono tutte quelle reti che non vengono ancorate al fondo ma sono lasciate libere di muoversi in balìa delle correnti: grazie a dei galleggianti vengono tenute sopra o appena sotto la superficie dell'acqua.
La loro altezza varia a seconda del tipo di pesca, ma per le grandi reti è generalmente compresa fra i 20 e i 30 metri. Alla parte inferiore della rete sono attaccati dei pesi che la mantengono in verticale neutralizzando la spinta dei galleggianti.
Le reti possono andare alla deriva da sole oppure, più comunemente, sono trainate da unità in movimento a cui è fissata una loro estremità.
In genere vengono calate di notte, almeno per la cattura delle specie di grandi dimensioni, e sono destinate di norma alla pesca di specie pelagiche: pesci che nuotano vicino alla superficie, come le sardine, le aringhe, il tonno, il pesce spada e il salmone.
Un’estremità della rete è collegata ad un galleggiante mentre l’altra è collegata alla unità stessa.
Dato che questo sistema di pesca si effettua in vicinanza della superficie è necessaria un’ottima segnalazione e un’accurata sorveglianza al fine di evitare incidenti con la navigazione marittima.
Generalmente le reti derivanti sono ad “imbrocco” non a tramaglio. Questi attrezzi sono abbastanza simili fra loro e si differenziano dalle altre reti ad imbrocco per la grandezza delle maglie e lo spessore del filato, molto più grosso.
Approfondimenti:
L'Unione europea vieta le reti da posta derivanti. Nella riunione dell'8 giugno 1998 il Consiglio dei Ministri ha preso una decisione difficile, ma necessaria: quella di vietare l'uso di reti da posta derivanti per la cattura del tonno nell'Atlantico e nel Mediterraneo a decorrere dal 1° gennaio 2002. La decisione è stata presa tenendo conto di una serie di fattori di natura biologica, economica e sociale. Viene vietata una tecnica di pesca, quella delle reti da posta derivanti, e non la pesca del tonno, che potrà continuare ad essere praticata con tecniche più sicure, più selettive ed interessanti dal punto di vista economico. A breve termine, questo divieto potrà avere ripercussioni economiche e sociali negative per le collettività interessate, ma lo status quo avrebbe avuto conseguenze ancora più gravi. Per aiutare queste collettività nel loro processo di transizione verso tecniche più sicure l'Unione europea, in cooperazione con gli Stati membri, adotterà le misure necessarie affinché queste ripercussioni siano ridotte al minimo.
Che cosa sono le reti da posta derivanti ?
Le reti da posta derivanti sono reti che grazie a dei galleggianti vengono tenute sopra o appena sotto la superficie dell'acqua. La loro altezza varia a seconda del tipo di pesca, ma per le grandi reti è generalmente compresa fra i 20 e i 30 metri. Alla parte inferiore della rete sono attaccati dei pesi che la mantengono in verticale neutralizzando la spinta dei galleggianti. Le reti possono andare alla deriva da sole oppure, più comunemente, sono trainate dall'imbarcazione in movimento a cui è fissata una loro estremità. In genere vengono calate di notte, almeno per la cattura delle specie di grandi dimensioni, e sono destinate di norma alla pesca di specie pelagiche: pesci che nuotano vicino alla superficie, come le sardine, le aringhe, il tonno, il pesce spada e il salmone.
Quali sono i principali problemi connessi a questo tipo di pesca ?
L'accusa che viene mossa alle reti da posta derivanti è quella di non essere sufficientemente selettive e di intrappolare un numero inaccettabile di cetacei, mammiferi marini, uccelli e rettili.
All'origine le reti da posta derivanti venivano utilizzate per catturare specie di piccole dimensioni e non davano luogo a preoccupazioni. Nel Mediterraneo, ad esempio, questa tecnica è stata a lungo impiegata per pescare diverse specie di tonnidi con reti di lunghezza limitata. I problemi sono sorti quando le reti derivanti sono state modificate allargandone le maglie in modo da permettere la cattura di specie più grandi ed aumentandone le dimensioni globali al fine di massimizzare le catture. L'uso di queste grandi reti si è prima affermato nel Pacifico, per poi estendersi alla pesca del tonno dell'Atlantico. Anche se la natura e il volume delle catture di specie che non sono specie bersaglio - e cioè le catture accessorie (specie catturate accidentalmente) - variano a seconda del modello delle reti, del tipo di pesca e delle zone in cui si utilizzano, le reti con maglie più larghe e di maggiori dimensioni sono risultate fatali per moltissime specie.
Per venire incontro alle preoccupazioni espresse dall'opinione pubblica, le Nazioni Unite (NU) all'inizio degli anni '90 approvarono una risoluzione che chiedeva una moratoria dell'impiego delle grandi reti da posta derivanti. Da parte sua il Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, con l'appoggio del Parlamento europeo, decise di imporre un limite massimo di 2,5 km per le reti da posta derivanti utilizzate dalle imbarcazioni dell'UE. (Questa misura, così come la moratoria delle NU, non si applicava al Mar Baltico).
I problemi però non sono cessati perché, nonostante i sensibili miglioramenti registrati nell'Atlantico, hanno continuato a prodursi una miriade di casi di inosservanza delle norme sulla lunghezza massima. Un controllo effettivo dell'applicazione di questa norma in mare presenta molti problemi pratici e richiede altresì ingenti risorse finanziarie e disponibilità di personale, con un livello di spesa difficile da sostenere sul lungo periodo sia per l'UE che per i singoli Stati membri. Così, nonostante la normativa esistente, la pesca con le reti da posta derivanti ha continuato ad espandersi. Preoccupata per gli effetti di questa pressione crescente sulle risorse ittiche e per il conseguente aumento del volume delle catture accessorie, la Commissione propose nel 1994 di vietare le reti da posta derivanti, divieto che sarebbe diventato effettivo di lì a qualche anno, ma gli Stati membri non si ritennero in condizione di adottare tali proposte.
Dopo qualche difficoltà di adattamento al limite dei 2,5 km, le tonniere dell'Atlantico sono riuscite ad aumentare la loro efficienza e dopo un certo tempo questa tecnica è risultata la più produttiva. Tuttavia nel giugno 1998 la maggioranza degli Stati membri ha deciso che, tutto considerato, era venuto il momento di vietare l'uso delle reti da posta derivanti per la pesca del tonno.
Dove si usano attualmente le reti da posta derivanti ?
Le grandi reti da posta derivanti vengono attualmente utilizzate da diversi paesi. Nell'Unione europea, questa tecnica è impiegata nella pesca del tonno da circa 670 pescherecci italiani che pescano pesce spada nel Mediterraneo e da circa 70 pescherecci francesi e 30 pescherecci irlandesi e britannici che pescano tonno bianco nell'Atlantico settentrionale tra giugno e ottobre/novembre. Come abbiamo visto prima, ci sono anche alcune zone di pesca nel Mediterraneo in cui questa tecnica viene utilizzata da pescherecci spagnoli e italiani per la cattura di tonni. Le reti da posta derivanti vengono utilizzate anche per la pesca di piccole specie, come le sardine e le aringhe, il che non pone però alcun problema.
Le «spadare» sono particolari reti derivanti (ad imbrocco) che hanno la particolarità di avere un’altezza superiore ai 30 metri., lunghezza superiore a 5 miglia e con maglia in genere superiore a 350 mm. di apertura e filato molto spesso. Le spadare vengono calate in modo da formare delle campanate: viste dall’alto, le spadare formano una sinusoide e devono quindi essere molto lunghe .
Mantenute in superficie tramite dei galleggianti, vanno a formare dei veri e propri sbarramenti in mezzo al mare con inevitabili conseguenze per le specie pelagiche o per le imbarcazioni che si trovano sulla stessa rotta.
La pesca al pesce spada veniva effettuata con delle unità particolari, denominate “passerelle” perché dotate di un lungo pulpito a prua, dal quale veniva lanciato l’arpione, e di un altissimo albero per l’avvistamento da lontano.
Attualmente sono oggetto di polemiche perché oltre ad essere distruttive per la pesca catturano delfini e tartarughe marine che sono specie protette.
Spadara
Approfondimenti:
Si tratta di reti da posta derivanti, quindi non fisse, che vengono calate in mare e lasciate alla deriva, usate per la cattura di grossi pesci pelagici, come diverse specie di tonni, ma soprattutto per il pesce spada, da cui prendono appunto il nome. Sono reti lunghissime, anche fino a venti chilometri, e larghe fino a trenta metri, fatte di nailon molto resistente.
Rispetto ai tradizionali metodi di pesca la differenza è sostanziale: non vengono più usate reti di poche centinaia di metri, bensì autentiche barriere lunghe diversi chilometri, che provocano il cosiddetto “effetto muro”; le moderne spadare di fibre sintetiche inoltre non vengono calate vicino alla costa da piccole imbarcazioni a remi o a vela, bensì da pescherecci con potenti motori che si spostano in mare aperto.
Il loro livello di selettività è molto basso, cosicché, oltre alle cosiddette specie bersaglio, può incapparci di tutto, come ad esempio Tartarughe, piccoli delfini come le Stenelle, ma anche Cetacei molto più grandi come i Capodogli e le Balenottere presenti nel Mediterraneo. Da un’indagine condotta nel 1993 è risultato che solo il 18% circa di pesci catturati, in termini numerici, era costituito da specie bersaglio. Uno studio promosso dall’allora Ministero della Marina Mercantile, accertò nel 1990 e nel 1991 che almeno 30 specie diverse erano incappate nelle reti calate nel Mar Ligure e nel Mar Tirreno. La Commissione Baleniera Internazionale (IWC) calcolò nel 1990 in almeno 8000 all’anno i cetacei vittime delle spadare, esprimendo preoccupazioni sia per il livello “insostenibile” di mortalità delle popolazioni mediterranee di Stenella, che per l’incidenza delle spadare sulla popolazione di Capodogli. In quest’ultimo caso, se tali popolazioni dovessero risultare distinte da quelle atlantiche, il livello di mortalità artificiale sarebbe allora altissimo.
Ma le spadare sono state accusate di arrecare un danno non solo alle cosiddette specie accessorie, ma alle stesse specie di interesse commerciale, sia in termini di aumento dello sforzo di pesca, sia per la cattura sempre più frequente di pesci spada immaturi o sotto misura: in parole povere si pescano pesci di taglia sempre più piccola. Nel Tirreno centrale e meridionale la media dei pesci spada catturati con il sistema del palamito o palàngaro, che fa uso di ami, è compresa tra 12 e 17,5 kg.
Si consideri che la flotta italiana, comprese le piccole barche per i pesci pelagici di dimensioni medie e piccole, era arrivata a circa un migliaio di unità e che la lunghezza media delle spadare era di 12, 5 chilometri, per cui 700 imbarcazioni potevano calare in mare qualcosa come 8500 km di rete, una lunghezza superiore al profilo costiero dell’Italia, Isole comprese.
Contro questo tipo di pesca vi fu dapprima la risoluzione 44/225 del dicembre 1989 delle Nazioni Unite, cui fece seguito a livello comunitario (Regolamento CEE n.345/92 del 28/10/1991) il divieto di usare reti più lunghe di due chilometri e mezzo a partire dal 1° giugno 1992 (divieto praticamente non rispettato a causa della scarsissima redditività di reti così corte) e, successivamente, il regolamento 894 del 29 aprile 1997, che disponeva la messa al bando totale delle spadare a partire dal 1 gennaio 2002 “ per assicurare la protezione delle risorse biologiche marine nonché uno sfruttamento equilibrato delle risorse della pesca conforme all’interesse sia dei pescatori che dei consumatori” (punto 2 del Regolamento (CE) 894/97.
A partire dal 1998 furono varati dei piani per la dismissione e la riconversione delle spadare, con dei contributi economici a sostegno sia degli armatori che degli equipaggi e a questi piani aderirono, non senza polemiche, tutti gli armatori che usavano le spadare, tranne un novantina.
Un recente Decreto del Ministero delle politiche Agricole e Forestali del 27 marzo scorso e una circolare della Direzione Generale Pesca del 10 aprile, hanno riaperto la questione, perché autorizzano anche coloro che avevano beneficiato del cosiddetto “piano spadare” ad aggiungere, al sistema di pesca noto come “ferrettara”, anche le reti da posta fisse, purché lunghe fino a cinque chilometri.
La cosiddetta ferrettara è già una rete da posta di maglia non superiore a 100 mm di apertura, ma non dovrebbe superare i due chilometri di lunghezza e non potrebbe essere usata oltre le tre miglia dalla costa, per catturare specie come le ricciole, gli sgombri, le sardine o le acciughe. Il problema è che, in mancanza di controlli, la circolare potrebbe essere utilizzata per il riutilizzo delle spadare, di lunghezza ben superiore ai cinque chilometri, vanificando di fatto il regolamento comunitario, proprio quando invece sarebbe opportuno intraprendere delle iniziative a livello internazionale per estendere il divieto anche ai numerosi pescherecci nordafricani ( circa 600 tra libici, tunisini, marocchini), che continuano ad usare le spadare. Va sottolineato che è assolutamente indispensabile applicare anche alle risorse del mare, che non sono affatto inesauribili, i principi dell’ecologia e della dinamica delle popolazioni al fine di ottenere uno sforzo di pesca sostenibile dall’ecosistema e quindi una pesca responsabile. Quindi occorre definire quanto di una risorsa può essere prelevato senza arrecare danno alla popolazione animale e quali sono le condizioni che consentono un razionale utilizzo del risorsa stessa, senza intaccarne la capacità di sopravvivenza. Una necessità che dovrebbe essere sostenuta prima di tutto dagli stessi pescatori, perché se si pesca troppo oggi, domani non ci sarà più niente da pescare.
Una certa importanza su scala locale hanno anche le reti da posta derivanti «Alalungara», oggi utilizzate in alcune marinerie della Puglia, della Sicilia e del basso Tirreno da unità da pesca di stazza medio-alta.
Attualmente la regolamentazione prevede dei limiti sulle aree di pesca e sulle dimensioni delle reti; a partire dal 1° gennaio 2002 il loro uso sarà comunque proibito.
E’ una rete da superficie derivante usata raramente al largo per la cattura delle alalunghe. E’ la principale delle reti derivanti, se si esclude la spadara ormai vietata, con una lunghezza massima di duemila metri e con una maglia che non supera i 18 centimetri. L’altezza è compresa tra i 20 e i 30 metri. Nella parte superiore è fornita di galleggianti mentre nella parte inferiore vengono attaccate delle mazzare (pesi) che servono a mantenere la rete verticalmente. Le reti derivanti rivestono una certa importanza in poche marinerie.
Sistema reti derivanti
E’ vietato tenere a bordo o effettuare pesca con reti derivanti destinate alla cattura di alcune specie (elencate nell’Allegato VIII dei Regolamenti: tonni, palamite, tonnetti, tombarelli, aguglie, pesci spada, costardelle, corifene, squali, (alcune specie), cefalopodi. Vietato anche lo sbarco delle specie elencate (Reg. CE 1239/98 e Reg. CE 894/97)
E’ vietata la detenzione a bordo di reti o attrezzi di cui sia in modo assoluto proibito l’uso con l’impiego dell’unità. Non è più necessario l’accertamento della condotta vietata esclusivamente durante l’effettivo esercizio dell’attività di pesca, ma sarà sufficiente che venga accertata la presenza a bordo delle reti spadare per contestare la violazione e procedere al sequestro (art. 15 lettere a e b Legge 963/65, come modificata dall’art. 8 del Dlgs. n. 101/2008).
Una particolare rete derivante è la ferrettara, caratterizzata da dimensioni più piccole rispetto alle derivanti canoniche (la lunghezza massima consentita è di 2,5 km) e da una maglia non superiore ai 100 mm d’apertura, (art. 2, n. 2 del D.M. 21 settembre 2011 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, pubblicato in G.U.n.223 del 24 settembre 2011 che abroga il Decreto 24 maggio 2006).
Sono reti ad imbrocco (una sola pezza) di fibra poliammidica con nodo e possono essere calate a mezz’acqua o con la lima da sugheri in superficie.
Si tratta di un attrezzo relativamente diffuso in Sicilia e nel Basso Tirreno il cui uso è consentito, a decorrere dal 1° gennaio 2012 solo entro le 3 miglia dalla costa (art. 1 del D.M. 21 settembre 2011) Con l’entrata in vigore delle nuove restrizioni, le unità da pesca che impiegano reti derivanti e/o la ferrettara potranno comunque avvalersi degli altri sistemi di pesca previsti in Licenza, limitando il danno economico derivante dalla riconversione obbligatoria. I dati mostrano che già oggi il 95% delle unità che operano con le reti derivanti e il 99% di quelle che operano con la ferrettara utilizzano parallelamente altri sistemi di pesca.
Sistema Ferrettara
In particolare, la «Menaide» (o Tratta): è una rete da posta derivante molto antica che generalmente viene utilizzata per la pesca del pesce azzurro ed il meccanismo di cattura è quello delle reti ad imbrocco. È formata da diversi segmenti quadrati riuniti in modo da formare un lungo rettangolo, alto da 12 a 20 metri, che si cala verticalmente, grazie ai piombi fissati nella sua parte inferiore e ai galleggianti situati in quella superiore. Può funzionare in modo vagante (o alla deriva, perché in balia della corrente) o manovrata dalle unità per circondare un banco di pesci. Con essa si catturano i soliti pesci azzurri, nonché Palamite e Tonnetti.
Nella zona del Catanese è abbastanza diffusa e viene utilizzata una piccola menaide per la cattura delle acciughe (masculini) che vengono commercializzate freschissime.
La «Palamitara»: è una rete usata raramente al largo per la cattura dei Palamiti, Tombarelli e Allitterati.Questo tipo di pesca è in disuso, e la rete viene soprattutto calata sotto costa per la cattura dei Palamiti.
Tonno bianco: Thunnus alalunga; Tonno rosso: Thunnus thynnus; Tonno obeso: Thunnus obesus; Tonnetto striato: Katsuwonus pelamis; Palamita: Sarda sarda; Tonno pinna gialla: Thunnus albacore; Tonno pinna nera: Thunnus atlanticus; Tonnetti: Euthynnus spp.; Tonno del Sud: Thunnus maccoyii; Tombarelli: Auxis spp.; Pesce castagna: Brama rayi; Aguglie imperiali: Tetrapturus spp.; Makaira spp.; Pesci vela: Istiophorus spp.; Pesce spada: Xiphias gladius; Costardelle: Scomberesox spp.; Cololabis spp.; Corifene: Coryphoena spp.; Squali: Hexanchus griseus; Cetorhinus maximus; Alopiidae; Carcharhinidae; Sphymidae; Isuridae; Lamnidae; Cefalopodi: tutte le specie.
A decorrere dal 1° gennaio 2012, l'impiego dell'attrezzo ferrettara è consentito esclusivamente entro le 3 miglia dalla costa (per la cattura di ricciole, occhiate, sgombri, salpe, boghe, alaccie, sardine ed acciughe) non può essere di lunghezza superiore a 2,5 Km. e deve avere una maglia non superiore a 100 mm. di apertura (D.M. 21/09/2011).
D.M. 21 settembre 2011 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, pubblicato in G.U.n.223 del 24 settembre 2011 che abroga il Decreto 24 maggio 2006).
La pesca con gli ami è uno dei sistemi più diffusi ed antichi del mondo, sia per la facilità di costruzione dell’attrezzo (un pezzo di ferro opportunamente piegato e appeso ad un filo), sia per la semplice manovrabilità ed adattabilità a tutte le condizioni ambientali.
Il «palangaro» è l’attrezzo ad ami più usato a livello professionale: nelle sue linee essenziali esso è composto da una serie di lenze (braccioli) di cui una estremità termina con un amo e l’altra è collegata ad un cavo (trave) lungo anche diversi chilometri. I braccioli vengono legati al trave ad intervalli regolari, pari a circa 2 volte la loro lunghezza.
Generalmente, la pesca del palangaro viene effettuata di notte: si cala verso il tramonto e si salpa all’alba. Durante il giorno si allestiscono le ceste e si innescano gli ami. Gli ami hanno diverse forme e dimensioni in relazione alla specie da catturare.
I palangari possono essere calati in prossimità del fondo e qui ancorati (palangari fissi) per la cattura di specie demersali (naselli, gronchi, corvine, rombi, palombi, saraghi) oppure possono essere calati a mezz’acqua o in superficie per la cattura dei grossi pesci pelagici (tonnidi e pesce spada).
Palangari fissi Palangari derivanti
In quest’ultimo caso sono lasciati alla deriva in balia delle correnti e dei venti (palangari derivanti).
I due tipi si differenziano tra loro, oltre che per il metodo di pesca, anche per la lunghezza dei braccioli e la grandezza degli ami: piccoli per i parangali fissi, grandi per quelli derivanti.
Nella pesca professionale per ottenere una cattura che ricompensi del lavoro sono necessari moltissimi ami; si calano quindi varie “ceste di ami”.
Schema sistema palangari (coffe)este di ami (Coffe)
La cesta è in pratica la "unità di palangaro". Il recupero è manuale, quindi lungo, faticoso e pericoloso. Oggi sono stati introdotti strumenti atti a ridurre la fatica e i tempi di lavoro in modo che si possano calare più ami e quindi si possa avere un rendimento superiore.
Si hanno infatti, strumenti per l’innescamento automatico mentre si cala con continuità e strumenti che permettono il recupero più o meno automatico (salpapalangari).
In generale la pesca con il palangaro, è una pesca che si effettua con limitati consumi energetici ed è molto rispettosa delle risorse che si stanno sfruttando. E’ infatti, un metodo di pesca fortemente selettivo.
Approfondimenti:
Il successo di questo tipo di pesca è legato in modo particolare al numero degli ami che ogni barca riesce a calare in mare: lo sviluppo di questi attrezzi, che richiedono un basso consumo energetico, è legato essenzialmente all’automazione di tutte le fasi operative di escamento, cala e recupero.
Attualmente, in quasi tutte le marinerie italiane, queste operazioni, tranne il recupero del cavo principale vengono svolte manualmente anche se, da diversi anni, sui mercati internazionali sono comparse macchine salpalangari completamente automatizzate che assolvono, in particolare per il palangaro da fondo, a tutte e tre le suddette operazioni.
L’attività ha carattere prettamente stagionale (Maggio-Giugno) in quanto legata al passaggio dei tonni nel Canale di Sicilia. Ciò comporta l’effettuazione di bordate di pesca assai lunghe e di durata variabile.
Un tipico palangaro derivante da superficie per la cattura di pesci spada, tonnidi ecc. è costituito da un trave pressoché simile a quello da fondo. I braccioli invece sono molto più lunghi, da 5 a 10metri, e sono formati in due parti: quella unita al trave è, come questo, in nylon o poliestere anche se di diametro un pò’ inferiore mentre la seconda parte, quella unita all’amo, è quasi sempre in acciaio.
Le due porzioni sono unite tra loro tramite un “tornichetto” che ne impedisce l’attorcigliamento al dimenarsi della preda (V. figura a lato).
Se tale tipo di pesca è finalizzato alla pesca del tonno, l’attrezzatura usata consta di ami, opportunamente escati e l’imbarcazione ha un equipaggio formato dal comandante e da nove marinai. Un tipico palangaro fisso da fondo è costituito da un trave generalmente in nylon o poliestere del tipo ritorto o treccia. I braccioli, quasi sempre in nylon del tipo monofilo, hanno una lunghezza che va da 50 a 150 cm.
La pesca del tonno è caratterizzata da un’elevata aleatorietà del quantitativo di pesce catturato e pertanto, al fine di elevare il rendimento dell’attrezzatura, è necessario calare un elevato numero di ami con un conseguente forte aumento del tempo di controllo.
Dato l’elevato valore economico del pescato, molte volte, alcune unità, che operano nella stessa zona di pesca si alternano nel rientro in porto lasciando la propria attrezzatura in acqua; il peschereccio che resta continua a pescare, controllando contemporaneamente a distanza l’attrezzatura abbandonata, mentre quello che rientra porta in banchina sia le sue catture che quelle dell’altro.
Una tipica bordata ha la durata di quattro giorni ed ha inizio verso la mezzanotte della domenica per terminare all’alba del giovedì; si scarica il proprio pesce e quello dell’eventuale nave restata in zona per il controllo, si fa rifornimento di viveri e la sera stessa si riparte.
I palangali debbono essere muniti di “segnali” costituiti da galleggianti di colore giallo, distanziati tra loro non più di 500 metri. Le estremità dell'attrezzo debbono essere munite di galleggianti di colore giallo, con bandiera di giorno, e fanale di notte, dello stesso colore; tali segnali debbono essere visibili a distanza non inferiore a mezzo miglio (D.P.R. 1639/68).
Estremità dell’attrezzo segnalate di "giorno" con boe gialle e bandiere
visibili ad una distanza non inferiore a mezzo miglio
Estremità’ dell’attrezzo segnalate di "notte" con fanali gialli
visibili ad una distanza non inferiore a mezzo miglio.
► Attrezzi calati oltre le 12 miglia:
Segnalazione dei palangari di lunghezza superiore a 5 miglia nautiche
calati oltre le 12 miglia dalla costa: posizionamento delle targhette
Palangaro di fondo:
Palangaro di superficie (derivante):
Nel caso di bordate di pesca superiori ai 2 giorni si può detenere a bordo un ugual numero di ami di riserva.
La pesca del tonno rosso con palangari derivanti effettuata da pescherecci di lunghezza superiore a 24 metri è vietata nel periodo dal 1 giugno al 31 dicembre.
E’ vietato l’uso di aeroplani o elicotteri per la ricerca del tonno rosso.
La pesca del pesce spada in Mediterraneo è vietata dal 15 ottobre al 15 novembre 2008.
Gli ami dei palangari non sono selettivi anche gli individui di pesce spada o tonno rosso di piccole dimensioni riescono ad abboccare agli ami più grandi.
Studi recenti hanno cercato di limitare la cattura di giovanili modificando la forma degli ami (di forma circolare); più recentemente sono stati impiegati i “pingers” (strumenti acustici) come deterrente per i delfini (i risultati non sono così’ soddisfacenti poiché’ i delfini apprendono per cui il segnale emesso dai pingers dopo le prime volte risultava essere addirittura un attrattiva per i delfini).
Pingers
I palamiti si usano oltre che al limite fra i fondi coralligeni e fangosi, anche in acque più profonde come sulla scarpata continentale fra i 200 e i 500 metri o più. Caratteristica principale: questi attrezzi rientrano nell’elenco di quelli della “Piccola pesca”.
Meno usate professionalmente rispetto ai palangari le «lenze», che costituiscono una tecnica accessoria usata prevalentemente nel Meridione (isole comprese) in alternanza con attrezzi da posta o palangari. La caratteristica particolare di questo sistema di cattura sta nella presenza continua dell'uomo, nella fase operativa. Le lenze, a differenza dei palangari, sono infatti calate e tenute sotto controllo continuo da parte del pescatore. Appena un pesce abbocca si inizia il recupero, agendo in modo da garantire che il pesce non possa liberarsi.
Le lenze sono caratterizzate da un cavetto su cui sono legati uno o più ami, o ancorette. La preda viene attirata dall'esca che può essere naturale, artificiale, ad attrazione olfattiva o luminosa. Le esche naturali impiegate sono costituite in genere da pezzi di sardine, di calamari o di altri molluschi freschi e da anellidi. L'esca artificiale invece può essere ad attrazione olfattiva o luminosa, cioè può attirare la prede grazie ad un richiamo odoroso oppure visivo. Le lenze si distinguono fra loro per le modalità con le quali vengono impiegate. Possono essere trainate a velocità appropriata per la pesca di lampughe, calamari o altri pesci da zuppa, ovvero controllate manualmente o tramite una canna da pesca; in quest’ultimo caso i target prevalenti sono polpi e totani. In relazione al loro impiego si dividono in:
Decreto 27/1/1995:
E’ consentito l’uso di canne a lenze fisse o da lancio da terraferma a coloro che utilizzano la pesca da unità con canna a mulinello e con bolentino da fondo armato con max 3 ami.
D.M. 27/7/98:
Può essere utilizzata da chi ha in licenza: sistema lenze o attrezzi da posta:
Essendo tenuta a mano dal pescatore, questa lenza è sempre sotto il controllo diretto dell'operatore. Può essere utilizzata con o senza canna ed è costituita da una cavetto robusto, di lunghezza variabile e dotato di un piombo di zavorra. Per la pesca in acque profonde le lenze vengono normalmente accoppiate ad un “mulinello”.
Sistema lenze a mano
In genere sono lenze ancorate sul fondo provviste di più ami e di un galleggiante di segnalazione. Vengono lasciate in mare per un certo periodo, poi il pescatore torna sul posto e recupera la lenza a partire dal galleggiante.
Togna
Le lenze trainate sono quelle, composte da uno o più ami, rimorchiate da imbarcazioni. L'esca, per effetto del traino, imita il movimento di un pesce ed inganna i pesci predatori che abboccano.
Possono essere tenute direttamente a mano o, meglio, utilizzando dei buttafuori. I buttafuori permettono di calare più lenze contemporaneamente e sono in grado di evidenziare la cattura del pesce.
Correntina
Attrezzo da pesca destinato alla cattura di molluschi cefalopodi (totani, seppie, calamari). La pesca al totano è praticata nelle ore notturne, preferibilmente quando non c’ è la luna, su un fondale variabile dai 20 ai 200 metri di profondità.
Sistema totanara
La lenza è costituita da un filo alla cui estremità è fissata la «totanara», un cilindro metallico o di piombo con una corona di ami appuntiti, dotato di una luce intermittente alimentata da piccole pile: nelle profondità marine il totano, animale che di notte va a caccia di piccoli pesci, scambia la luce artificiale per la scia di una preda in fuga, e afferrandosi all’ attrezzo viene catturato dagli ami.
Tale sistema comprende gli attrezzi attualmente denominati come “arpione”, “fiocina”, “asta e specchio per ricci” e “rastrello per ricci”.
La pesca con arpioni e fiocine, strumenti che feriscono od uccidono il pesce che si vuole catturare, molto nota in passato oggi è fortemente ridimensionata e limitata alla cattura di poche specie.
Arpione
La cattura del pesce spada infatti, avviene con il palangaro derivante (o le reti da posta derivanti calata principalmente per la cattura di tonnidi, alalonghe) o con l’arpione con le tradizionali barche caratteristiche per la presenza di un altissimo albero con “coffa” e di un lungo "ponte prodiero" (prolungamento della prua). Il pesce è avvistato da un marinaio (che esplora il mare in cima all’albero e guida poi l’inseguimento) e viene arpionato da un altro pescatore che lancia l’arpione dalla estremità del ponte. Con tale metodo di pesca si catturano solo pesci spada adulti, a differenza del palangaro che cattura anche i giovani.
Approfondimenti:
La pesca con l'arpione per la cattura del pesce spada è ancora praticata nello stretto di Messina. Questa pesca avviene nel periodo della riproduzione che nello Stretto di Messina va da maggio ad agosto, quando gli esemplari si avvicinano alla costa. La pesca con l'arpione si pratica con mare molto calmo, per facilitare l'avvistamento dei pesci.
Si tratta di un sistema conosciuto fin dall'antichità, quando le imbarcazioni erano provviste di un albero di avvistamento molto alto, detto "coffa" e di una lunga passerella prodiera. Il "pisci spata" viene infatti individuato a vista, da un “marinaio” esperto del tratto di mare in cui si naviga e del comportamento del pesce. Dopo l'avvistamento la barca deve iniziare l'inseguimento per portarsi a una distanza utile per il lancio dell'arpione: compito di un altro “marinaio” appostato sulla passerella di prua. Questo sistema di pesca si caratterizza soprattutto per la selettività, dato che è possibile scegliere di catturare solo animali adulti che possono raggiungere, considerando anche la spada, i 4-5 m di lunghezza e un peso di 300-350 kg. Il periodo di pesca è quello a cavallo della riproduzione, da maggio ad agosto nel Mediterraneo, quando i pesci spada si avvicinano alla costa
Barca tradizionale per la cattura del pesce spada
Barca tradizionale per la pesca con lampara e fiocina
E' consentita la pesca professionale del riccio di mare con la sola utilizzazione dei seguenti attrezzi da raccolta:
I pescatori subacquei professionali possono effettuare la pesca del riccio di mare in immersione e solo manualmente.
Il pescatore professionale non può catturare giornalmente più di 1.000 esemplari: la taglia minima di cattura del riccio di mare non può essere inferiore a 7 centimetri di diametro totale compresi gli aculei. Tale pesca è vietata nei mesi di maggio e giugno.
Approfondimenti:
Nella “Regione Sardegna”, la raccolta dei ricci di mare può essere esercitata:
E’ vietata la raccolta del riccio di mare mediante attrezzi trainati con unità o anche a mano mediante mezzi meccanici (strumenti in ferro), compresi i rastrelli.
La taglia minima di cattura è di 50 mm esclusi gli aculei; ogni esemplare di taglia inferiore prelevato in qualsiasi circostanza, da qualunque tipologia di imbarcazione e da qualsiasi categoria autorizzata alla pesca, anche non appartenente a quella dei pescatori professionali di echinodermi, dovrà essere immediatamente restituito al mare.
Il pescatore professionista, accompagnato da assistente a bordo dell’unità, può raccoglierne giornalmente 6 ceste (dimensioni: altezza 35 cm, lunghezza 60 cm, larghezza 50 cm), equivalenti, per due unità lavorative, a circa 3000 esemplari; se il professionista non è accompagnato da un assistente può raccogliere giornalmente 3 ceste pari a circa 1500 ricci.
Il pescatore sportivo, per uso personale, può raccogliere esclusivamente durante il periodo consentito dal calendario, un numero massimo di 50 ricci al giorno.
La stagione di pesca del riccio di mare per l'anno 2008-2009 è consentita dal 1 novembre 2008 al 13 aprile 2009.
Per l'esercizio della pesca dei ricci è necessario richiedere l'autorizzazione all'Assessorato regionale dell'Agricoltura. Il servizio pesca rilascerà le autorizzazioni in base alla disponibilità del numero di licenze non assegnate per ciascuna capitaneria di porto.
E' necessario richiedere il rinnovo prima della scadenza.
Innumerevoli sono i metodi di pesca che non rientrano tra quelli fino ora descritti e che i pescatori hanno usato ed usano ancora. Basti pensare alla pesca senza strumenti, direttamente a mano, alla pesca con l’ausilio di animali. Tra gli strumenti più noti troviamo:
Le reti da lancio sono quelle costituite da un telo di rete, destinate con moto dalla superficie al fondo a catturare i pesci. Sono reti poco usate professionalmente per lo scarso reddito che possono dare e per la fatica che richiedono.
La rete era lanciata su un branco di pesci individuato ad occhio. Per azione idrodinamica la rete si apriva mentre scendeva sul fondo trascinatavi dalla gravità. Lentamente poi iniziava il recupero facendo in modo che il pesce trattenuto sotto la rete restasse impigliato nei risvolti che la rete stessa determinava quando era salpata.
Rete da lancio (Rezzaglio)
Le reti da raccolta sono quelle costituite da un telo di rete di varia grandezza e forma, con o senza intelaiatura di sostegno, destinate, col moto dal fondo alla superficie, a catturare animali marini. Sono reti poco usate perché poco redditizie. Sono reti usate soprattutto sotto costa. Hanno maglie di dimensioni diverse a secondo la specie che si vuole pescare.
Tra le reti da raccolta troviamo la “Quadra”, che è la più grande delle reti da raccolta. Si tratta di un impianto fisso in cui la rete, l’attrezzo da pesca, è la parte minore. Generalmente consiste di una capanna (sulla terra ferma) da cui si manovra la rete.
La rete è calata e salpata con argani manuali o meccanici che tramite rinvii agendo sui quattro pali che ne assicurano l’apertura, permettono di alzarla a di abbassarla. Il pesce catturato è generalmente prelevato con il coppo o con altri attrezzi.
Rete da raccolta (Quadra)
La “Bilancia” è più piccola della quadra ed è la versione portatile di questa. L’apertura sul piano orizzontale, è assicurata da due pertiche (in legno o acciaio) a croce che vanno ai quattro angoli della rete che è quadrata. Per calarla e salparla si agisce sull’incrocio tra le due pertiche. In qualche caso la bilancia può essere tenuta aperta anziché dalle pertiche da un’intelaiatura rigida (e smontabile) armata sui bordi della pezza quadrata. La bilancia può essere usata a terra o da bordo di natanti. In pratica è usata solo a livello sportivo.
Bilancia
Il “Coppo” può essere considerato anch’esso una rete da raccolta anche se le sue dimensioni sono molto piccole. Come attrezzo da pesca è poco usato, mentre il suo uso è frequente come ausilio per il recupero del pesce catturato con altri attrezzi da pesca (rete a circuizione). Il coppo ha svariate forme. La più nota è quella formata da un cerchio, da una rete che forma un sacco e da un manico che serve per manovrarlo.
Spesso si hanno organismi marini che o vivono all’interno di massi sul fondo marino o che sono a questi ultimi ben fissati da rendere necessario per staccarli, l’uso di picconi e martelli. Si tratta naturalmente di pesche effettuate da palombari su specie che hanno un alto valore economico se si tratta di professionisti. I martelli e i picconi sono usati ad esempio per il prelievo del corallo, quando si adopera con il palombaro; la Pesca del Corallo viene effettuata soprattutto nei mari caldi del basso Mediterraneo e del Mar Rosso. Questa pesca distrugge e cambia il fondo marino.
Per la cattura industriale del “corallo” è spesso usato l’ingegno. Si tratta di un attrezzo da traino che, tirato a velocità opportuna, rompe il corallo e i rami staccati, almeno in parte restano impigliati sugli sfilacci o nei pezzi di rete che sono trascinati sul fondo appesi alla parte rigida dell’ingegno stesso. L’ingegno può essere formato da due sbarre di legno duro e zavorrato unite tra loro a “croce di S.Andrea” a cui sono attaccati i vari pezzi di materiale tessile su cui si impigliano i rami di corallo staccati dai bracci della croce.
La luce è stata ed è utilizzata frequentemente per la cattura di organismi marini. Basti pensare alla rete a circuizione chiamata anche “lampara” . Come principio è sfruttato il potere di attrazione che la luce ha su alcune specie. La luce è prodotta da lampade che attingono energia da generatori elettrici azionati da motori Diesel o da lampade a gas liquido o a petrolio. Generalmente le lampade vengono tenute fuori dall’acqua, ma non mancano casi di lampade immerse per poter attirare pesce da profondità superiori. Questa pesca è effettuata solo di notte, soprattutto nelle notti senza luna quando è più facile la raccolta sotto le lampade. Si cattura principalmente pesce azzurro e celopodi.
E’ un metodo di cattura del pesce che sfrutta il particolare comportamento degli organismi acquatici alla presenza di un campo elettrico.
In Italia la legge ne vieta l’uso per la tutela delle risorse biologiche e dell’attività di pesca. La pesca con fonti elettriche si effettua mediante l’impiego “diretto” e quello “indiretto”.
Il primo metodo è quando l’organismo è attratto e paralizzato dall’anodo, un fenomeno conosciuto col nome di galvanonarcosi e con una pompa immersa nel mare è trasportato a bordo.
Il secondo invece è quando si immette la corrente elettrica in uno degli attrezzi già conosciuti ed appositamnete modificato. Così si può avere dal campo elettrico l'attrazione verso l'amo del palangare; oppure da una barca generare la corrente verso i due poli immersi a prua e a poppa in mare, mentre una rete circuisce il branco di pesci; infine si può provocare agli elettrodi un campo energetico davanti alla bocca della rete a strascico, così da convogliare i pesci all’interno ed impedire la eventuale fuga agli altri.
I “sistemi” di cattura nei mari italiani e nel Mediterraneo hanno subito una costante evoluzione, specialmente in questi ultimi decenni; altri invece professionalmente e commercialmente non rappresentano più che un fatto puramente storico e folcloristico, privo di una reale applicazione in mare.
La conoscenza delle caratteristiche di selezione degli attrezzi da pesca sulle diverse specie ittiche riveste un ruolo importante in merito alle scelte necessarie per evitare uno sfruttamento eccessivo delle risorse biologiche marine.
In particolare. la selettività delle reti al “traino” rappresenta un aspetto di notevole importanza nella gestione delle risorse demersali. Infatti, soprattutto nella pesca al traino vengono catturati grandi quantitativi di individui di piccola taglia, anche se di scarso valore commerciale. Ciò è dovuto alla ridotta dimensione delle maglie dell'attrezzo utilizzato.
La regolamentazione della maglia è quindi una misura indispensabile per salvaguardare le forme giovanili.
Una buona gestione della pesca richiede che gli attrezzi catturino gli individui adulti (grandi) e permettano ai giovani (piccoli) di fuggire. L'attrezzo, quindi, dovrebbe essere in grado di selezionare la cattura in funzione della taglia (lunghezza o circonferenza) ottimale del pesce.
E' infatti la taglia del pesce che determina la possibilità di fuga attraverso le maglie della rete, o nuotando fuori dell' attrezzo.
La selettività degli attrezzi al traino viene controllata fissando la dimensione minima della maglia della rete, in particolare di quella del sacco.
Teoricamente, per ogni specie, dovrebbe essere garantita la possibilità di fuga agli individui di dimensioni inferiori alla taglia di prima maturità. L'obiettivo principale è ridurre la mortalità dei pesci sotto questa taglia, nelle operazioni di pesca.
La pesca demersale nel Mediterraneo è caratterizzata dalla multispecificità delle catture e dell'ampio intervallo di taglie della maggior parte delle specie catturate, per cui la determinazione della maglia ottimale, spesso è il frutto di un compromesso che tiene conto di questa pluripresenza.
Le ricerche sulla selettività degli attrezzi da pesca permettono di conoscere, per ogni specie, le taglie effettivamente catturate dall'attrezzo considerato, in funzione della dimensione di maglia usata.
In seguito a tali studi il legislatore è in grado di fissare la dimensione minima della maglia sulla base delle taglie minime catturabili, che risultano dagli studi biologici sulle diverse specie commerciali.
Più in generale, gli studi sulla selettività degli attrezzi puntano a migliorare le conoscenze anche su altri parametri dell'attrezzo che hanno effetti trascurabili sulla selettività.
Negli ultimi decenni, l’obiettivo primario perseguito dal legislatore nel settore della pesca marittima è consistito nel tutelare l’insieme degli interessi legati, direttamente o di riflesso, alla filiera della pesca, mediante l’individuazione di metodologie di cattura e limitazioni, in termini di quote e dimensioni del pescato, tali da consentire uno sfruttamento sostenibile della risorsa ittica, compatibile sia con la tutela dell’ecosistema mare nel suo complesso e sia con la necessità di garantire il naturale ed indispensabile ripopolamento della fauna ittica.
Come facilmente intuibile, infatti, il ripopolamento ittico si pone come presupposto irrinunciabile, al fine di mantenere un ragionevole equilibrio nel ricambio tra l’entità delle catture operate e i nuovi esemplari adulti in grado di sostituire i primi, in modo da prevenire il progressivo impoverimento delle specie con conseguenti ripercussioni a catena lungo l’intera filiera della pesca.
Per tali motivi, è stato indispensabile identificare precise limitazioni nell’esercizio della pesca marittima, atte a prevenire uno sistematico depauperamento delle specie bersaglio che, in ragione delle inscindibili interconnessioni che legano l’un l’altro tutti gli abitanti del mare, può interrompere, talvolta in via irreversibile, alcune fondamentali catene vitali.
Per raggiungere tali finalità il legislatore italiano, fin dal 1965 con l’abrogata Legge 14 luglio 1965, n. 963 (“Disciplina della pesca marittima”) e relativo Regolamento di attuazione (DPR 02/10/1968, n. 1639) ha ritenuto di individuare, per ciascuna specie ittica di interesse commerciale, una precisa “taglia minima” di riferimento, identificata secondo parametri squisitamente scientifici legati all’avvenuto raggiungimento, da parte degli esemplari, di una maturità sessuale tale da consentirne la riproduzione.
Conseguentemente la stessa normativa vietava, non solo la pesca, bensì anche la detenzione, il trasporto, l’immagazzinamento ed il commercio del novellame di pescato che non raggiungeva la misura minima prevista, con il conseguente obbligo, a carico del pescatore, di effettuare una prima immediata cernita al momento della cattura finalizzata a rigettare il mare l’eventuale pescato “irregolare”.
Le taglie minime in parola sono attualmente disciplinate dalla normativa unionale, da quella nazionale o da entrambe. I capisaldi di questa normativa sono:
Contengono norme a tutela delle «forme giovanili» di diverse specie, in modo da limitare i danni derivanti agli stock ittici[1] dalla cattura massiva di individui sottomisura. Determinate taglie minime vengono oltremodo stabilite da norme speciali quali Decreti Ministeriali o Regolamenti ad hoc.
Ai sensi dell’art. 86, per «novellame» si intendono gli esemplari allo stadio giovanile delle specie animali, viventi nel mare, non pervenuti alle dimensioni indicate negli artt. 87, 88 e 89 del Regolamento medesimo.
L’art. 91 stabilisce il divieto di detenzione di organismi sotto misura: pesci, crostacei e molluschi, di dimensioni inferiori a quelle stabilite, eventualmente catturati, debbono essere rigettati in mare.
L’art. 7, comma 1 lettera a), fa divieto di detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore.
L’art. 7, comma 1 lettera b), fa divieto di trasportare e commercializzare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore.
L’art. 7, comma 2 stabilisce che in caso di cattura accessoria o accidentale di esemplari di dimensioni inferiori alla taglia minima, questi devono essere rigettati in mare.
L’art. 8, comma 1 stabilisce che chiunque viola i divieti di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a), b), è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da 2.000 euro a 12.000 euro (reato contravvenzione).
Non si applica la sanzione se la cattura è stata realizzata con attrezzi conformi alle norme comunitarie e nazionali, autorizzati dalla licenza di pesca (Art. 8, comma 3).
L’art. 15 Allegato III, Capo V stabilisce le “taglie minime” al di sotto delle quali pesci, molluschi o crostacei vengono considerati sotto misura e quindi non possono essere catturati, tenuti a bordo, trasbordati, sbarcati, trasferiti, immagazzinati, venduti, esposti o messi in vendita (art. 15, n. 1) e, fattore di notevole rilevanza, non prevede la tolleranza di una qualsiasi percentuale di “organismi marini sotto taglia” se non nei casi specificati dal Regolamento stesso.
Lo sbarco, il trasporto, il trasbordo e la commercializzazione di esemplari sottomisura rimane solo per le specie (e nelle percentuali) per cui ciò sia chiaramente specificato nella normativa comunitaria (ad esempio: Tonno Rosso, Reg. (CE) 1559/2007, art. 9, par. 1).
Effettuando un cambio di tendenza, il Reg. (UE) 1380/2013, entrato in vigore all’inizio del 2015, relativo alla politica comune della pesca (che modifica i regolamenti (CE) n. 1954/2003 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e che abroga i regolamenti (CE) n. 2371/2002 e (CE) n. 639/2004 del Consiglio, nonché la decisione 2004/585/CE del Consiglio), ha apportato delle importanti innovazioni nel settore della pesca.
La riforma della politica comune della pesca (PCP) istituisce per la prima volta il c.d. obbligo di sbarco, cioè il ha abolito la pratica del rigetto in mare per le specie soggette a taglia minima (pratica abbastanza consueta nelle attività di pesca professionale) e introdotto l’obbligo di sbarco divieto di rigettare in mare pesci morti.
Attenzione !
Si ricorda che le Regioni a statuto speciale (Sardegna) possono legiferare autonomamente in materia di pesca (anche per le taglie minime), tali norme prevalgono sulla normativa nazionale ma NON su quella comunitaria, a meno che non contengano misure più restrittive.
[1]. Uno stock ittico (o semplicemente stock) è una subpopolazione [3] di una specie di organismo (pesce [4] o invertebrato) soggetto a pesca commerciale [5]. È l'unità di base della biologia della pesca [6].
La riforma comune della politica della pesca (PCP), stabilisce per il Mediterraneo il divieto di rigetto in mare per quelle specie per cui è prevista una taglia minima comunitaria, in base al Reg. 1967/2006.
In genere, una specie può essere rigettata in mare dopo la cattura per diversi motivi:
Inoltre, le catture di specie che il pescatore intende scartare dovranno essere tenute a bordo registrate nei “Giornali di pesca” in maniera da essere chiaramente distinguibili dalle catture “commerciali”.
Una volta sbarcate, l’uso delle catture di specie di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione è autorizzato unicamente a fini diversi dal consumo umano diretto, come la farina di pesce, l’olio di pesce, gli alimenti per animali, gli additivi alimentari, i prodotti farmaceutici e cosmetici.
Gli obiettivi principali del Regolamento sono di rendere la pesca più selettiva e di ridurre gradualmente i rigetti in mare.
Le catture accidentali e i rigetti costituiscono di fatto uno spreco considerevole e incidono negativamente sullo sfruttamento sostenibile delle risorse biologiche marine e sugli ecosistemi marini.
a) specie la cui pesca è vietata e che sono identificate come tali in un atto giuridico dell’Unione adottato nel settore della PCP;
b) specie per le quali, secondo i migliori pareri scientifici disponibili, presentano un elevato tasso di sopravvivenza quando sono
rilasciate in mare;
c) pesci danneggiati da predatori, quali mammiferi marini, che, essendo potenzialmente pericolosi per la salute umana e degli
animali domestici, devono essere immediatamente smaltiti in mare.
L’obbligo di sbarco è stato introdotto in modo differenziato a seconda delle varie attività di pesca.
In particolare, l’obbligo di sbarco è già entrato in vigore dal 1º gennaio 2015 per la pesca dei “piccoli pelagici”, vale a dire per la pesca di sgombro, sugarello, acciuga, argentina, sardina, spratto. Per le attività di pesca che mirano alle “specie demersali” [1], l’obbligo di sbarco in Mediterraneo sarà attuato al più tardi dal 2019.
In Italia, le attività di pesca interessate dall’obbligo di sbarco fin dal 1º gennaio 2015 sono sostanzialmente la pesca con i “ciancioli” (o lampare) e la pesca con “reti volanti”.
Lo scopo dell’obbligo di sbarco è duplice, da una parte evitare i comportamenti come il cosiddetto “high grading” (o rigetto selettivo) cioè pescare di più e rigettare morti i pesci che presumibilmente avrebbero un valore minore sul mercato, e dall’altra quantificare lo “spreco” di risorse che deve essere affrontato tramite una maggiore selettività degli attrezzi.
In Italia le specie interessate dall’obbligo di sbarco dal 1º gennaio 2015 sono quindi acciuga, sardina, sgombro, lanzardo, suro, aventi le seguenti taglie minime stabilite dal Regolamento CE 1967/2006:
- acciuga (Engraulis encrasicolus)......... 9 cm
- sardina (Sardina pilchardus)............... 11 cm
- sgombro (Scomber scomber)
- lanzardo (Scomber japonicus)............. 18 cm;
- suro o sugarello (Trachurus spp)....... 15 cm.
Essendo praticamente impossibile per gli Organi di controllo verificare la taglia minima di tutte le acciughe e sardine, in caso di grandi quantitativi, il Regolamento suddetto lasciava agli Stati Membri la facoltà di convertire la taglia di acciuga e sardina come segue:
Da questo punto di vista il Regolamento 1380/2013 ha introdotto un cambiamento radicale rispetto a quanto previsto nel Regolamento CE 1967/2006.
Infatti, il Regolamento CE 1967/2006 stabiliva taglie minime per alcune specie commerciali senza alcuna tolleranza lungo tutta la filiera. L’obiettivo era quello di scoraggiare la vendita finale di prodotto sotto misura e di conseguenza anche la richiesta di mercato di pesce sotto taglia. Questa norma, per quanto poco gradita alla categoria dei pescatori, era in ogni caso riconosciuta da questi come necessaria, se applicata e fatta rispettare con buon senso.
Al contrario, il Regolamento 1380/2013, pur vietando la commercializzazione ai fini del consumo umano di prodotto ittico sotto taglia, ha aperto la possibilità di utilizzare tale prodotto per altri fini, attivando potenziali nuovi canali di mercato (farine di pesce, ad esempio).
Questa prospettiva sembra di fatto contraddire i propositi di buona gestione della risorsa insiti nel Regolamento 1380/2013. Infatti, se una unità da pesca potrà in qualche modo commercializzare prodotto ittico anche sotto misura, se ben valutato ai mercati, sarà interessata a catturare il maggior quantitativo di pesce possibile, indipendentemente dalla taglia dello stesso.
Attenzione !
La risposta corretta alla domanda “Cosa succede se pesco pesce di misura inferiore al consentito ? ” è: “Niente se il pesce sotto misura viene immediatamente rigettato in mare. In mancanza di rigetto immediato, invece, si rischia l’arresto da 2 mesi a 2 anni o l’ammenda da 2.000 a 12.000 euro”.
Attenzione !
Attenzione !
[1]. Si definiscono “demersali” quelle specie di organismi marini che nuotano attivamente ma si trattengono nei pressi del fondale, sul quale o nei pressi del quale trovano il nutrimento. Il vocabolo si contrappone a “bentonico [7]” o bentos (dal greco [8] βένϑος = “abisso” ) ed a “pelagico [9]”, nel primo caso ci si riferisce a specie (murena, il grongo, la razza, la sogliola, ecc.) che passano tutto o gran parte del loro tempo sul fondale (sono al limite “sessili [10]”), mentre con il secondo si intendono specie che passano la loro vita nell'acqua aperta ed instaurano rapporti con il fondale in modo limitato (tonno [11], pesce spada [12], sardina [13], barracuda, ecc.). In zoologia sono “sessili” gli animali [14] acquatici, incapaci di movimento e che vivono ancorati ad un qualche tipo di substrato [15] solido come per esempio rocce [16], scafi [17] di imbarcazioni [18], piante, alghe [19] o altri animali. Tra gli organismi sessili vi sono le spugne [20], i coralli [21], capaci di autocostruirsi il proprio substrato, i briozoi [22], i crostacei [23] balanidi [24] e ctamalidi [25], gli ascidiacei [26].
Ai fini della conservazione e del miglior rendimento delle risorse biologiche del mare, in base DPR n. 1639/1968 (come modificato da DM 7/07/1980, DM 3/08/1982; DM 5/06/1987 n. 250) e succ. mod. e ai Reg. CE n. 1967/2006 e 3094/86/CEE, è vietata la pesca e la commercializzazione di pesci allo stadio giovanile (novellame) in quanto tali sotto misura.
Gli esemplari sotto misura non possono essere detenuti a bordo, trasbordati, sbarcati, trasportati, immagazzinati, esposti o venduti e quelli eventualmente catturati, devono essere rigettati in mare.
Tutti i pesci hanno una taglia minima di 7 cm., al di sotto della quale sono considerati forme giovanili, ad eccezione di quelle specie che raggiungono lo stadio adulto prima di questa lunghezza, e di quelle per le quali è fissata una lunghezza minima doiversa (artt. 87 e 93 DPR. 1639/68 e succesive integrazioni).
Ricciola: LT= 7 cm.
In figura, la ricciola:pesce predatore molto resistente, che vive in banchi e raggiunge le dimensioni di 50-80 cm fino ad arrivare ai 190 cm. Gli adulti sono grigio verdi o marrone chiaro sul dorso e più biancastri sul ventre, mentre i piccoli sono gialli con macchie di colore scuro che dal dorso scendono ai fianchi. Questa differenza ha fatto credere per molto tempo che appartenessero a specie diverse. Mentre i piccoli vivono vicino alla costa, gli adulti si spostano in mare aperto dove si nutrono di pesce e invertebrati. Le ricciole sono diffuse in tutte le acque nazionali ma sono più numerose al sud. Reti da posta e circuizione sono i metodi usati per pescarle, soprattutto in Sicilia e basso Tirreno: a volte finiscono nelle tonnare e possono essere catturate con la lenza. Sono più rinomati gli esemplari piccoli dalla carne bianca e con poche spine. Sono stati fatti diversi tentativi di allevarle anche in Italia, come avviene nei paesi orientali, e si cominciano ad avere le prime produzioni.
Tonno: P=30 Kg. o LF=115 cm.
È un pesce migratore di mare aperto che può raggiungere una velocità di 70 km/h. Vive in gruppi numerosi ed è un vorace predatore. La riproduzione avviene tra la metà di luglio e la seconda metà di settembre. È noto anche per riuscire a mantenere una temperatura corporea intorno ai 10° C, più alta rispetto alla pelle, grazie ad un sistema dei vasi sanguigni altamente sofisticato. Se acquistate tonno fresco, qualora il pesce superi il peso di 40 kg, si tratta di tonno rosso; se è di piccole dimensioni potrebbe essere un alletterato, un'alalunga, una palamita o un biso che, pur essendo della stessa famiglia, hanno caratteristiche organolettiche diverse.
Alalunga
E' un grosso pesce pelagico della famiglia dei tonni, da cui si differenzia per la pinna pettorale, lunghissima, dalla quale prende il nome, e per il colore della carne che è bianca e non rossa. Arriva a misurare un metro di lunghezza e può superare i 30 kg.
E' chiamato anche tonnetto, è diffuso nei nostri mari più caldi, dove vive radunandosi in banchi. Ha il corpo allungato, a forma di fuso, con la coda molto assottigliata. La pelle è liscia dal colore inconfondibile: il dorso è azzurro nerastro e presenta linee sinuose molto scure. Il fianco e il ventre sono argentati. Sul corpo sono evidenti alcune macchie nere tondeggianti il cui numero varia a seconda degli individui. L'alletterato misura al massimo 1 metro e può arrivare fino a 12 kg di peso, più comune tra i 4 e i 7 kg.
P=25 Kg. o LF=125 cm.
LF=140 cm.
È una specie conosciuta fin dall'antichità. Il suo nome deriva dalla caratteristica più evidente, l'enorme sviluppo della mascella superiore, prolungata a formare la "spada", un rostro acuminato e tagliente, lungo circa un terzo della lunghezza dell'animale. Ha un colore grigio ardesia con fianchi argentati, la cui tonalità sfuma via via verso il bianco del ventre. Può raggiungere eccezionalmente la lunghezza di 4-5 m e toccare anche i 500 kg di peso. Nei nostri mari raggiunge al massimo i 3 m di lunghezza e un peso di 350 kg. Vive isolato o in coppia. La pesca avviene con maggiore intensità da maggio a ottobre, quando le acque superficiali sono più calde, tramite palangresi di superficie, usando come esca il calamaro o lo sgombro. Uno dei pregi del pesce spada è la sua carne soda, bianca, delicata e priva di lische e spine.
Ai fini della conservazione e del miglior rendimento delle risorse biologiche del mare, in base DPR n. 1639/1968 (come modificato da DM 7/07/1980, DM 3/08/1982; DM 5/06/1987 n. 250) e succ. mod. e ai Reg. CE n. 1967/2006 e 3094/86/CEE, è vietata la pesca e la commercializzazione di molluschi[1] allo stadio giovanile (novellame) in quanto tali sotto misura.
Gli esemplari sotto misura non possono essere detenuti a bordo, trasbordati, sbarcati, trasportati, immagazzinati, esposti o venduti e quelli eventualmente catturati, devono essere rigettati in mare.
Le dimensioni dei «molluschi» si riferiscono alla lunghezza massima o al diametro massimo delle conchiglie:
[1] I molluschi sono animali con il corpo molle. Esempi di molluschi sono le lumachine di mare, le seppie, i polipi, le vongole, ecc. Pur con una grande varietà di forme, nel corpo di tutti i molluschi si osservano le seguenti parti:
L’apparato digerente dei molluschi è diviso in parti (l’esofago, lo stomaco e l’intestino) e termina nella “cavità palleale”, che si trova tra il piede e il mantello. Essa contiene gli organi della respirazione (branchie) e vi sbocca l’apparato escretore.
L’apparato circolatorio, in cui è presente un cuore, è di tipo aperto, poiché il sangue circola in vasi sia in lacune del corpo. Il sistema nervoso è formato da gangli collegati da cordoni nervosi. La riproduzione è sessuata; alcune specie hanno sessi separati, altre sono ermafrodite. I molluschi si dividono in gasteropodi, bivalvi e cefalopodi.
Lerreralmente, gasteropode significa animale che cammina sul ventre; la maggior parte dei gasteropodi possiede una conchiglia costituita da un solo pezzo, ma in alcune specie la conchiglia non c’è. Appartengono a questa classe le lumachine di mare, muride.
La loro conchiglia è formata da due valve, cioè due pezzi collegati da una sorta di cerniera azionata da potenti muscoli. Alcuni bivalvi sono produttori di perle, che si formano per una reazione di difesa dell’animale nei confronti di granelli di sabbia o di parassiti che sono penetrati tra le valve. Esempi di bivalvi sono le vongole e i mitili.
Il nome cefalopode significa animale che cammina sulla testa: il piede infatti si trova vicino alla testa dell’animale ed è suddiviso in numerosi tentacoli. Il capo ha una sorta di becco con il quale il cibo viene frantumato. In alcuni cefalopodi la conchiglia è interna (come l’osso della seppia), altri cefalopodi invece non hanno la conchiglia (come il polpo).
[2]Articolo 89 - Dimensione minima dei molluschi bivalvi
Si considerano molluschi bivalvi (Lamellibranchi) allo stadio giovanile gli esemplari inferiori alle seguenti dimensioni:
- ostrica (Ostea sp.) ............................................... . ..cm. 6
- mitilo (Mitilus sp.) ............................................... . ...cm. 5
- vongola (Venus gallina e Venerupis sp.) ..................cm. 2,5
- tartufo di mare (Venus verrucosa) ..................... ... cm. 2,5
- cannello o cannolicchio (Solen sp. e Ensis sp)... ...cm. 8
- datteri di mare (Lithophaga Lithopaga) ............... ..cm. 5 (Vietato R. CE 1967/2006)
- capasanta (Pecten jacabaeus) ............................ . ...cm. 10
- tellina (Donax trunculus) .................................... . ..cm. 2
E’ vietata la pesca, la detenzione e il commercio del dattero di mare (lithophaga lithophaga) e del dattero bianco (pholas dactylus) e della pinna (pinna nobilis) e della patella (patella ferruginea ) in tutte le coste italiane.
Ai fini della conservazione e del miglior rendimento delle risorse biologiche del mare, in base DPR n. 1639/1968 (come modificato da DM 7/07/1980, DM 3/08/1982; DM 5/06/1987 n 250) e succ. mod. e ai Reg CE n. 1967/2006 e 3094/86/CEE, è vietata la pesca e la commercializzazione di «crostacei» allo stadio giovanile (novellame) in quanto tali sotto misura.
Tra i «crostacei», soltanto alcune specie di Decapodi (Astice, Scampo e Aragosta) hanno misure minime particolari, al di sotto delle quali gli esemplari sono considerati allo stato giovanile (vedi art. 88 DPR 1639/678 e successive modifiche). la normativa nazionale però non si applica in quanto le stesse specie sono soggette alla normativa europea.
Comprendono gamberi, aragoste, astici, granchi Il corpo è suddiso in "cefalotorace" e "addome", coperto in parte o totalmente da uno scudo molto resistente con funzione protettiva, detto “carapace”. Sul capo vi sono due paia di antenne con funzione di organi di senso. La respirazione è branchiale, gli arti sono in numero variabile (in genere cinque paia di zampe), di cui il primo è trasformato in robuste appendici, chiamate “chele”, che possono essere usate per difesa oppure per trattenere e lacerare le prede.
Aragosta (Palinuride)
[1] La pesca della “aragosta“ (e dell’astice) è vietata nel periodo 1° gennaio al 30 aprile
Crostaceo dal corpo allungato con la parte anteriore, il «carapace», robusto munito di «rostro» dentellato ai lati del quale si trovano gli occhi, possiede due paia di antenne di cui un paio lunghe ed un paio più corte bifide. Possiede quattro paia di braccia e l’addome termina con una sorta di coda che si apre a ventaglio (telson).
Il colore è rosa con macchie bianche ed arancio. Della stessa famiglia dell’astice, si distingue per le minori dimensioni, per la forma delle chele, lunghe e sottili, e per il diverso colore.
Il maschio è più grande della femmina, può raggiungere una lunghezza massima di 25 cm, comunemente si pesca attorno ai 10 - 20 cm.
I sessi sono separati, il maschio si può distinguere per la presenza sotto l’addome di due appendici a forma di spina, gli organi copulatori, la femmina porta le uova sotto l’addome fino alla schiusa e le larve sono planctoniche.
Tra 20 e 800 metri di profondità, vive nascosto in gallerie che scava sul fondo, per questo predilige fondali con sabbia compatta, si muove di notte per alimentarsi catturando piccoli organismi: altri crostacei ed anellidi.
E' il crostaceo più grosso del Mediterraneo, caratteristica peculiare sono le due grosse e temute chele anteriori di dimensioni diverse fra loro, possiede due paia di antenne un paio corte ed un paio lunghe quanto tutto il corpo, le chele vengono usate soprattutto per difesa e per la cattura delle prede, le altre due paia di appendici dietro alle chele oltre che per il movimento possiedono pinze che possono essere usate per portare il cibo alla bocca, le ultime due paia posteriori servono unicamente per spostarsi.
Come tutti i crostacei ha il corpo rivestito da una spessa corazza che costituisce l’esoscheletro, la crescita deve avvenire perciò per mute successive con le quali l’animale si libera della vecchia corazza e ne costruisce una nuova più grande.
Può raggiungere dimensioni superiori a 60 cm ed un peso di 6 kg. Il carapace è liscio, due sole spine si trovano dietro agli occhi, il colore è nero bluastro con riflessi giallastri sul dorso.
Vive abitualmente su fondali misti con sabbia e roccia, fino a 100 m di profondità, si riproduce nei mesi estivi, le uova sono portate sotto l’addome delle femmine per 10 – 11 mesi, la larva trascorre un periodo planctonico per poi portarsi nei pressi del fondo una volta acquisito l’aspetto definitivo.
Si trova in tutto il mediterraneo ma è più frequente in Adriatico. Più attivo nelle ore notturne quando esce dalle tane, scavate nella sabbia o ricavate in anfratti rocciosi, per cacciare soprattutto molluschi, è un animale territoriale.
Appartiene al vasto ordine dei Decapodi e rientra, insieme ad altre importanti specie commerciali come la Mazzancolla (Melicertus kerathurus), nella Famiglia Penaeidae. Noto come «gambero bianco» o «gambero rosa», è un crostaceo dal corpo compresso lateralmente. La parte anteriore (cefalotorace) è ricoperta da un carapace da cui si diramano 13 paia di appendici. Rostro superiore fornito di 8-9 denti. Il rostro del gambero rosa è diritto o appena sinuoso e leggermente incurvato verso l'alto, dotato di 5-9 spine nella parte dorsale e privo di spine in quella ventrale. Il rostro prosegue posteriormente in una carena fin quasi al bordo del carapace. Sul carapace è ben visibile la spina epatica. La parte posteriore (addome) è composta da 6 segmenti. Occhi peduncolati, senza tubercoli. Gli occhi sono peduncolati e privi di tubercoli. La colorazione di P. longirostris è rosa-arancio tendente al rosso-violaceo sul carapace e, soprattutto, sul rostro. Nelle femmine la colorazione delle gonadi varia dal bianco al verde in funzione dello stadio di maturità sessuale; nelle femmine mature, come succede in molti crostacei, è possibile osservare in trasparenza gli ovari verdi. Questa specie presenta dimorfismo sessuale e le femmine sono più grandi dei maschi; la lunghezza totale massima riscontrata è stata di 19 cm su individui femmina.
Vive in fondali fangosi. E' comune nel Mediterraneo e nell'Atlantico sia orientale che occidentale. Abbastanza comune, distribuito nell'intero bacino Mediterraneo e nell'Atlantico. La specie, pur essendo diffusa in tutti i mari italiani, risulta molto più abbondante nel Tirreno centrale, nel canale di Sicilia e nello Ionio; nell'Adriatico centro-settentrionale le concentrazioni del gambero rosa sono sempre state piuttosto limitate, anche se negli ultimi anni la tendenza sembra aver subito un cambiamento di rotta e la specie comincia ad essere abbastanza diffusa anche in questo bacino.
L’aragosta è il crostaceo senza dubbio più famoso ed apprezzato dal punto di vista alimentare. Come tutti i crostacei ha il corpo rivestito da una spessa corazza che costituisce l’esoscheletro, la crescita deve avvenire perciò per mute successive con le quali l’animale si libera della vecchia corazza e ne costruisce una nuova più grande. Può raggiungere dimensioni attorno ai 50 cm ed un peso di 8 kg. Il corpo è provvisto di tredici paia di appendici cinque delle quali vengono usate per camminare, un paio è costituito da lunghe antenne, possiede una coda, il telson, a forma di ventaglio, gli occhi sono situati in cima a peduncoli mobili, non si osservano chele, il corpo e cosparso di spine e tubercoli, la colorazione è rosso violacea con macchie più chiare.
Vive abitualmente su fondali rocciosi o ghiaiosi, raramente la si può trovare su fondi sabbiosi, a profondità comprese tra 20 e 70 m, può raggiungere i 200 m. E’ diffusa soprattutto nei mari attorno alla Sardegna, predilige fondali ricchi di anfratti dove si colloca facendo sporgere le antenne, forma spesso colonie con numerosi individui.
Durante la muta l’animale è più debole perché rimane privo della corazza di protezione, il suo aspetto non cambia ma il corpo è molle e facilmente attaccabile, si ritira così in una tana dove passa la giornata mangiando conchiglie di molluschi che le consentono di acquisire i sali minerali necessari per la nuova corazza.
La riproduzione avviene a fine estate, si possono osservare le femmine con l’addome pieno di uova, le larve nascono al termine dell’inverno, sono planctoniche e raggiungono il fondo, loro habitat definitivo, attraverso una crescita caratterizzata da diversi stadi durante la quale si nutrono di plancton.
Esistono altre due specie di aragosta in Mediterraneo, Palinurus mauritanicus, che si distingue per la presenza di numerose chiazze bianche sulla corazza e per le abitudini di vita, predilige fondali più profondi, e Palinurus regius, riconoscibile per il corpo di colore verde, presente lungo brevi tratti della costa meridionale francese e spagnola, si suppone sia stata introdotta accidentalmente in Mediterraneo.
Crostaceo che può raggiungere dimensioni notevoli, il corpo può misurare fino a 25 cm di lunghezza e 18 di larghezza. È un granchio dalle zampe decisamente sproporzionate rispetto al corpo.
Il corpo è a forma di cuore e bombato con dentellature lungo il margine laterale che terminano con due denti cuneiformi più sporgenti nella parte anteriore, tutto il dorso è rugoso con spini e tubercoli più o meno sporgenti. Possiede cinque paia di zampe di cui quattro servono per il movimento ed un paio terminano con due robuste chele. Il colore è di solito giallo rossiccio, ma può variare da individuo ad individuo con sfumature rosse o marroni, a seconda del luogo in cui vive. I sessi sono separati ed il maschio è più grande della femmina.
Solitamente vive su fondali sabbiosi e detritici fino a 100 m di profondità dove si mimetizza rimanendo immobile, ma è facile trovarlo anche a profondità inferiori su fondali rocciosi , nei quali si nasconde in mezzo alla vegetazione o nelle fessure.
Granchio è il nome generico di varie specie (un'infraordine) di Crostacei Decapodi, in particolare dotati di un robusto carapace e di due potenti chele; pertanto utilizzano quattro paia di arti per il movimento e le chele per difendersi e cibarsi. L'addome è ripiegato verticalmente ed è pertanto nascosto.
Molte specie sono notturne, quando la presenza di potenziali predatori è minore; l'alimentazione varia da specie a specie e comprende animali, piante, carcasse.
Sono animali con la pelle spinosa che vivono solo in mare. Sono rappresentanti degli echinodermi la "stella marina" e il "riccio di mare". Hanno un vero e proprio scheletro esterno, il “dermascheletro”, incluso nella pelle e possiedono una simmetria raggiata, cioè a stella. Esternamente il dermascheletro presenta numerose spine, particolarmente vistose in alcune specie (come il riccio di mare).
Gli echinodermi si muovono mediante un particolare sistema di locomozione detto “apparato acquifero”, costituito da un canale circolare in comunicazione con l’estreno tramite una “piastra madreporica” forata e da cinque canali radiali, dai quali partono i “pedicelli ambulacrali” chde sporgono all’esterno e sono muniti di ventosa. La circolazione dell’acqua in questa serie di canali provoca cambiamenti di pressione al loro interno e modificazioni nella forma dei pedicelli che, aderendo al substrato, consentono un lento spostamento dell’animale sul fondale marino.
L’apparato digerente inizia con la bocca, che si trova sulla faccia ventrale dell’animale, quella che poggia sul fondale marino, e termina con l’ano, posto sulla faccia opposta. Lo scambio dei gas respiratori avviene attraverso l’apparato acquifero. Gli echinodermi si riproducono sessualmente e sono ovipari.
Per quanto riguarda il “riccio di mare“, la sua pesca è consentita esclusivamente in apnea e solo manualmente nel periodo da Gennaio ad Aprile e da Luglio a Dicembre (fatte salve le Leggi regionali ed i regolamenti locali).
Il pescatore subacqueo professionale non può raccogliere più di 1.000 (mille) esemplari al giorno (Decreto 7 luglio 1995 “Disposizioni per la pesca del riccio di mare”, art.1, n. 2 e art. 2, n. 1)[1].
La taglia minima di cattura del riccio di mare non può essere inferiore a 7 centimetri di diametro totale compresi gli aculei.
[1] Decreto 7 luglio 1995 (Disposizioni per la pesca del riccio di mare)
Art. 1 (Oggetto e sfera di applicazione) :
Art. 2 (Limiti di cattura):
Art. 3 (Diametro minimo di taglia):
Art. 4 (Limiti temporali):
La natura non è un serbatoio continuo e inesauribile di risorse da cui attingere senza preoccupazioni. Il sovrasfruttamento delle risorse del mare, il cambiamento di habitat per alcune specie, l’inquinamento diretto o indiretto del mare, possono, a lungo andare, essere causa di irreparabili danni con ripercussione anche sulla specie umana.
Per salvaguardare le specie in via di estinzione e i loro ambienti di vita, sono sorte diverse organizzazioni di protezione della natura in senso lato e sono stati stipulati trattati internazionali (convenzioni) che ogni singolo Paese firmatario ha ratificato.
L’Unione Europea ha emanato precise e puntuali direttive, nonché regolamenti, volti a tutelare e conservare gli habitat naturali e la fauna selvatica. L’Italia ha dato attuazione a queste direttive con proprie leggi ed ha aderito e ratificato le Convenzioni internazionali che vincolano il nostro paese alla tutela concreta delle specie indicate.
Nella Tabella sono riportate alcune tra le specie soggette a norme di protezione che si possono rinvenire nei mari italiani
La convenzione internazionale formulata a Berna il 19.09.1979, concernente “la conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa” (di seguito denominata Convenzione di Berna) è stata ratificata in Italia con Legge 5 agosto 1891, n. 503, la quale riporta il testo integrale della Convenzione stessa. La convenzione di Berna è stata formulata nell’ambito del Consiglio d’Europa con lo scopo di assicurare la conservazione di flora e fauna selvatiche e i loro habitat naturali con particolare riguardo alle specie vulnerabili e minacciate di estinzione.
Il testo della convenzione prevede che i paesi firmatari adottino misure di conservazione per la flora e la fauna elencata nei suoi annessi, nonché degli habitat importanti alla conservazione delle specie. In particolare si presta attenzione alle specie e agli habitat di specie vulnerabili/in pericolo di estinzione/endemiche. I paesi si impegnano a pianificare e monitorare lo stato di conservazione di flora e di fauna e si impegnano a promuovere l’educazione in questa materia.
L’articolo 5 della Convenzione stabilisce i divieti che le parti si impegnano a far rispettare tramite opportune leggi e regolamenti per le specie di flora selvatica mentre, l’articolo 6 stabilisce i divieti previsti per le specie in Allegato II: “Specie di fauna rigorosamente protette”. Inoltre la convenzione prevede la salvaguardia degli habitat con particolare attenzione alla protezione di aree di svernamento, migrazione, raduno, alimentazione e muta. I divieti stabiliti previsti per le specie di cui all’Allegato II, ed illustrati all’articolo 6, sono:
“Ogni parte contraente adotterà necessarie e opportune leggi e regolamenti onde provvedere alla particolare salvaguardia delle specie di fauna selvatica enumerate all'allegato II. Sarà segnatamente vietata per queste specie:
L’articolo 9 prevede che ogni Parte Contraente potrà derogare alle disposizioni degli articoli 4-7 della Convenzione stessa per specifici motivi quali: la protezione della flora e della fauna, la prevenzione di danni alla natura e altre forme di proprietà, nell’interesse della salute e la sicurezza pubblica e per fini di ricerca/educativi, per il ripopolamento/reintroduzione delle specie in questione, e consentendo una cattura selettiva ed entro limiti precisati.
Questo importante atto sopranazionale è stato in parte attuato con l’adozione in Italia della Legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”.
Tuttavia è da segnalare che tale legge e tutti i suoi riferimenti di regolamentazione si riferiscono alla fauna selvatica omeoterma. Pertanto l’attuazione della Convenzione di Berna, promulgata tramite la legge n. 157, si può applicare solo ai mammiferi e all’avifauna selvatica, tralasciando tutte le altre specie di fauna e di flora considerate rigorosamente protette ai sensi della Convenzione di Berna, tartarughe marine incluse.
La Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratrici, appartenenti alla fauna selvatica è stata adottata a Bonn nel 1979 è stata ratificata ed è entrata in vigore in Italia nel 1983. L’obiettivo di tale convenzione è quello di conservare al di fuori dei confini nazionali, le singole specie migratrici e i loro habitat, nell’ambito dell’intera area di distribuzione, attraverso l’adozione di specifici accordi e di efficaci misure di protezione per le specie considerate in pericolo di estinzione. La Convenzione di Bonn individua due categorie di specie migratrici elencate nell’Appendice I e nell’Appendice II. Nella prima sono inserite le specie che richiedono una immediata protezione mentre nell’Appendice II figurano le specie per le quali gli Stati si sforzano di stipulare accordi con altri Stati per assicurarne la conservazione e la gestione.
La Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (di seguito nominata CITES) del 3.3.1973, ratificata in Italia con Legge. 874/1975, è stata recepita dalla Comunità Europea con Regolamento (CE) n. 3626/82, sostituito con Regolamento (CE) 338/97 del 9.12.1996 che ne fornisce una più completa e precisa attuazione. In Italia la Legge 150 del 7 febbraio 1992, modificata da ultimo dal decreto legislativo n. 275 del 18 maggio 2001, recepisce la normativa CITES, prevedendo un regime di sanzioni per le violazioni. La Convenzione di Washington è nata dall'esigenza di controllare il commercio di esemplari di fauna e flora (vivi, morti o parti e prodotti derivati), in quanto lo sfruttamento commerciale è, assieme alla distruzione degli ambienti naturali nei quali vivono, una delle principali cause dell'estinzione e rarefazione in natura di numerose specie. La Convenzione, pertanto, è un accordo internazionale che regolamenta il commercio di fauna e flora in via di estinzione comprendendo anche i sottoprodotti o derivati dalle medesime.
La Convenzione elenca alcune specie animali e vegetali in tre appendici, secondo il loro grado di rischio di estinzione in natura. L’Appendice I, “Specie minacciate d'estinzione”, comprende quelle specie gravemente minacciate di estinzione per le quali è rigorosamente vietato il commercio. La loro utilizzazione è consentita solo per circostanze eccezionali. L’Appendice II, riguarda le specie il cui commercio è regolamentato per evitare sfruttamenti incompatibili con la loro sopravvivenza. L’Appendice III invece comprende specie protette da singoli stati, e iscritte nell'appendice, per regolamentare le esportazioni dai loro territori.
Lo strumento comunitario che recepisce questa convenzione (Regolamento CE n. 338/97) la regolamenta e formula dei nuovi allegati identificati con le seguenti sigle: A, B, C e D. Questo permette di controllare anche le popolazioni europee di specie che non sono necessariamente incluse nelle appendici CITES a livello globale ma che la Comunità Europea intende tutelare in maniera più restrittiva tramite lo strumento della CITES, oltre ad impedire l’introduzione nella U.E. di specie esotiche che possano mettere in pericolo quelle autoctone. Le specie in Allegato A comprendono tutte le specie elencate in Appendice I, alcune specie di Appendice II e Appendice III per le quali l’Unione Europea ha adottato misure più’ restrittive, nonché alcune specie non listate nella CITES. L’allegato B comprende tutte le specie presenti in Appendice II, alcune specie presenti in Appendice III ed alcune specie non listate nella CITES. L’Allegato C include tutte le altre specie listate in Appendice III. L’Allegato D include alcune specie listate in Appendice III per le quali l’Unione Europea ritiene necessario condurre un’attenta attività di monitoraggio, nonché alcune specie non listate nella CITES.
In Italia l'attuazione della Convenzione di Washington è affidata al Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare con il supporto del Ministero del Commercio Internazionale e del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, per tramite del Corpo forestale dello Stato. Questo ultimo, tramite il Servizio CITES, cura la gestione amministrativa ai fini del rilascio della certificazione di riesportazione e di riconoscimento delle nascite in cattività, oltre all’attività di enforcement e controllo sul territorio dell’applicazione della normativa CITES. Il Servizio CITES è strutturato in un Servizio Centrale, presso l’Ispettorato Generale del Corpo forestale dello Stato a Roma, e in 41 Uffici periferici, oltre ad altri 5 istituiti presso le Regioni a Statuto Speciale e la Provincia autonoma di Bolzano. Il Servizio Centrale ha funzioni di assistenza operativa, di coordinamento e di indirizzo per l’attività degli uffici periferici di concerto con il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, di consulenza tecnico-scientifica nonché di rapporto con Enti e Organismi Internazionali. Gli Uffici periferici si differenziano in 27 Uffici territoriali, con funzione di certificazione, accertamento infrazioni e controllo territoriale, e in 19 Nuclei Operativi presso le Dogane, con funzione di verifica merceologica, controllo documentale e verifica della movimentazione commerciale nonché collaborazione nell’accertamento di illeciti.
Tutte le tartarughe marine presenti nei mari italiani, sono elencate in Appendice I e nell’Allegato A e ricevono dunque la massima protezione: ne è vietato l’acquisto, l’offerta per l’acquisto, l’acquisizione ai fini commerciali, l’esposizione ai fini commerciali, l’uso ai fini commerciali, l’offerta e il trasporto ai fini dell’alienazione (rif. Art. 1, Reg. CE 338/97). A norma dell’art. 1 della L. 150/1992, come novellato in ultimo dal decreto legislativo n. 275/2001, è punito chiunque “in violazione di quanto previsto dal Regolamento (CE) n. 338/1997”, tra l’altro, “trasporta o fa transitare, anche per conto terzi, esemplari senza la licenza o il certificato prescritti, rilasciati in conformità del regolamento (CE) n. 338/97 […]” e “detiene, utilizza per scopi di lucro, acquista, vende espone o detiene per la vendita o per fini commerciali, offre in vendita o comunque cede esemplari senza la prescritta autorizzazione”. A norma dell’art. 4 della L. 150/92, in caso di violazione dei divieti indicati è disposta sempre la confisca dell’esemplare; qualora venga confiscato l’esemplare vivo si procede, sentita la Commissione scientifica CITES, “all’affidamento a strutture pubbliche o private anche estere”; mentre nel caso di confisca dell’esemplare morto è disposta “la conservazione ai fini didattici o scientifici, o la loro distruzione”. Quanto sopra esposto non sembra contemplare la necessità di intervento della Commissione scientifica CITES nel caso, come quello in esame, in cui gli esemplari siano accidentalmente recuperati dal mare o spiaggiati, e poi siano detenuti o trasportati da strutture pubbliche autorizzate, non ai fini commerciali ma per la loro cura e riabilitazione. Infatti, tale fattispecie di “prelievo” dalla natura non sembra normato dalla legislazione CITES.
Si elenca di seguito, una breve sintesi dei principali strumenti legislativi, comunitari e nazionali, che possono essere applicati alle tartarughe marine e in particolar modo alla regolamentazione delle modalità inerenti la loro importazione ed esportazione ai fini del commercio.
Regolamento CE n. 338/97 del Consiglio del 9 dicembre 1996 relativo alla protezione di specie di flora e fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio.
Il Regolamento n. 338/97 sostituisce il Regolamento precedente n. 3626/82 che già applicava la Convenzione ed introduce norme più restrittive per il commercio di esemplari di fauna e di flora (nei due allegati A e B sono state inserite specie che non sono incluse nelle Appendici della Convenzione, ma per le quali l'Unione Europea ha inteso estendere la tutela normata dalla Convenzione stessa). Il Regolamento n. 865/2006 della Commissione stabilisce le modalità per l'applicazione del Regolamento n. 338/97.
L’articolo 8, comma 1 del Regolamento CE 338/97 stabilisce i seguenti divieti per le specie in Allegato A: acquisto, offerta di acquisto, acquisizione, esposizione ai fini commerciali, uso a scopo di lucro e alienazione, detenzione, offerta o trasporto ai fini dell’alienazione. Il regolamento stabilisce che tali specie possono essere tuttavia esportate/importate dalla/nella Comunità purché munite di una specifica licenza. Le licenze di importazione possono essere concesse per le specie in allegato A (art.4), qualora l’Autorità Scientifica CITES abbia stabilito che:
Nel caso di introduzioni dal mare, la spedizione avverrà in maniera da ridurre al minimo il rischio di lesioni o il danno alla salute o il maltrattamento dell’esemplare in questione. Le licenze di esportazione possono essere concesse per le specie in Allegato A (art. 5 comma 1-3), qualora l’Autorità Scientifica abbia stabilito che:
La Legge 150 ordina e disciplina sotto il profilo sanzionatorio i reati relativi ai divieti posti dalla Convenzione. Gli articoli 4 comma 2, 5, 6, 8 bis, 12 ter sono stati modificati e integrati dall'articolo 4 della Legge 9 dicembre 1998 n.426 (Nuovi interventi in campo ambientale) e successivamente dal D.L. n.2, del 12.1.93 (Modifiche e integrazioni alla Legge 7febbraio 1992, n. 150, in materia di commercio e detenzione di esemplari di fauna e flora minacciati di estinzione) nonché dalla legge n. 59, del 13.03.93 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 gennaio 1993, n.2, recante modifiche ed integrazioni alla legge 7 febbraio 1992, n.150, in materia di commercio e detenzione di esemplari di fauna e flora minacciati di estinzione). La più recente integrazione della legge 150 è stata portata dal D.L. 275, 18 maggio 2001.
Il decreto modifica alcuni articoli della legge 7 febbraio 1992, n. 150. In particolare, il decreto sostituisce il testo degli articoli 1, 2 e 4, integra l’articolo 3 e inserisce un nuovo articolo inerente le sanzioni penali in materia di importazioni di pellicce animali (art.5). L’articolo 1 stabilisce, al comma 1, le sanzioni (arresto da 3-12 mesi e ammenda da €7.746 a €77.468) per chi viola i seguenti divieti per le specie incluse nell’Allegato A:
L’art. 1, stabilisce inoltre (comma 2) che, in caso di recidiva, è previsto l’arresto da 3-24 mesi e l’ammenda (da €10.329 a €103.291) e qualora l’illecito dovesse essere condotto nell’ambito di una attività di impresa, oltre alla condanna di cui sopra, è prevista la sospensione della licenza per un periodo da 6-18 mesi. Qualora sia implicata l’importazione, l’esportazione o riesportazione di oggetti derivati da esemplari di specie di cui all’Allegato A, si applica la sanzione amministrativa da € 1.549 a € 9.296.
In caso di violazione dei divieti di cui agli art.1 e 2, è sempre prevista la confisca degli esemplari. Per gli esemplari vivi, la Commissione Scientifica CITES può procedere al rinvio allo stato esportatore, all’affidamento a strutture pubbliche/private, o vendita mediante asta pubblica. Per gli esemplari morti invece, la stessa Commissione può prevedere la conservazione ai fini didattici/scientifici o la distruzione dell’esemplare (art. 4).
Il decreto stabilisce i soggetti tenuti a dotarsi di registro, numerato e vidimato prima del suo utilizzo dal Servizio certificazione CITES del Corpo forestale dello Stato, sul quale annotare, entro il 31 gennaio 2002, gli esemplari delle specie della flora e della fauna selvatica di cui agli allegati A e B del regolamento CE n. 338\97 e successive modificazioni. L'annotazione sul registro di qualsiasi variazione degli esemplari detenuti andrà riportata entro trenta giorni dalla variazione medesima. Le sanzioni per coloro che non rispettassero i termini suddetti oscillano tra €3.098 e €9.296. I soggetti al quale questo decreto si indirizza sono, tra l’altro, chiunque utilizzi detenga o esponga esemplari a fini di lucro o ponga in essere atti di disposizione finalizzati allo scambio, alla locazione, alla permuta o alla cessione a fini commerciali di qualsiasi natura e titolo, ivi compreso chiunque ottenga esemplari provenienti da sequestro, confisca, affidamento fatte salve le disposizioni della L.157/1992. Proprio dalla lettura di questo ultimo paragrafo (art.2, comma 1 lett. c) del D.M. 8 gennaio 2002), sembrerebbe previsto l’obbligo della tenuta del registro di detenzione delle specie animali e vegetali CITES anche per i centri di riabilitazione, tenendo gli stessi gli esemplari CITES in una forma di affidamento.
1.2.4 Direttiva 92/43/CEE, “Habitat”
Il D.P.R. 357 dell’8.09.97 regolamenta l’attuazione della Direttiva “Habitat” 92/43/CEE. Le specie elencate negli allegati B, D, ed E (Allegati II, III e IV nel testo della Direttiva CEE) sono specie di interesse comunitario, e sono considerate tali perché ritenute in pericolo, vulnerabili, rare o endemiche. Le specie elencate in allegato B (Allegato II nel testo della Direttiva) sono specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione (ZSC). Alcune di queste sono evidenziate come specie prioritarie per le quali l’Unione ha una particolare responsabilità (la tartaruga comune è una di queste).
Spetta alle Regioni e le Province autonome l’adozione di misure di monitoraggio sullo stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali di interesse comunitario, in particolar modo quelli prioritari. In particolare, le Regioni e le Province autonome rappresentano le amministrazioni preposte a instaurare un monitoraggio continuo delle catture e delle uccisioni accidentali rispetto alle quali devono trasmettere un rapporto annuale al MATT. Le linee guida per il monitoraggio delle specie e degli habitat sono definite tramite decreto del Ministero dell’Ambiente, sentito il parere del Ministero delle Politiche Agricole e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (art.7).
Le specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa sono elencate nell’allegato D. I divieti di massima protezione previsti per la fauna presente in questo allegato sono stabiliti nell’articolo 8:
► art. 8 -Tutela delle specie faunistiche
Il MATTM, sentito il parere del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, autorizza le deroghe ai divieti di cui agli articoli 8-10 per fini di protezione, per la prevenzione di danni specifici, per interesse della sanità, la sicurezza pubblica, inclusi i motivi socio-economici e a fini didattici, di ricerca, per il ripopolamento e la reintroduzione. Le deroghe concesse sono trasmesse con cadenza biennale alla CEE (art.11). Il MATTM promuove altresì programmi di ricerca per il monitoraggio e per l’individuazione di aree di collegamento ecologico funzionali (art. 14).
► Art. 11 – Deroghe
Il D.P.R. 120 apporta alcune modifiche al D.P.R. 357 identificando, nello specifico, il compito del MATT nella definizione di linee guida per il monitoraggio e per i prelievi e le deroghe delle specie rigorosamente protette. In particolare, l’art. 8 stabilisce che:
► Art. 8 ( Modifiche all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 35
► Art. 7 (Indirizzi di monitoraggio, tutela e gestione degli habitat e delle specie);
Protocollo Aspim (Aree Speciali di Protezione di Interesse per il Mediterraneo)
Il protocollo comprende l’istituzione di aree protette importanti per potere conservare le componenti della diversità biologica nonché di ecosistemi specifici al Mediterraneo o habitat di specie minacciate e di interesse scientifico, estetico e culturale garantendone la protezione. Le aree protette, denominate ASPIM, possono essere costituite da zone marine costiere sotto la giurisdizione dei Paesi o zone parzialmente/interamente in alto mare. I paesi che aderiscono si impegnano a mantenere in buono stato di conservazione la flora e la fauna marina e a garantire massima protezione alle specie elencate negli annessi del protocollo e a sviluppare Piani d’Azione Nazionali per la conservazione delle specie protette. Per le specie in Appendice 2, “Lista di specie in pericolo o minacciate”, il protocollo prevede che i paesi garantiscano misure di protezione e di conservazione per le specie vietandone l’uccisione, il commercio, ed il disturbo durante i periodi di riproduzione, migrazione, svernamento ed altri periodi in cui gli animali sono sottoposti a stress fisiologici. In particolare, gli art. 11 e 12 stabiliscono che:
► Parte III - Articolo 11
[…]
► Articolo 12
1.2.6 Regolamento 1967/2006/CE
Alcuni bivalvi sono comunemente consumati (cozze, vongole, cannolicchi, fasolari, pettini, telline), ma altri sono protetti: il Dattero di mare, il Dattero bianco, la Pinna nobilis e la Patella ferrosa - la Pinna e il dattero di mare sono inseriti nella lista di specie strettamente protette della Direttiva Habitat della Comunità Europea, mentre tutte e tre sono incluse nell'Appendice 2 del Protocollo ASPIM.
I 4 Bivalvi sono inclusi in questa lista poiché subiscono pressioni antropiche che mettono a rischio, o lo stato di conservazione della specie (nel caso della Pinna), o dell'ambiente in cui vivono (nel caso dei datteri).
E’ distribuito in tutto Mediterraneo e nell’oceano Atlantico orientale, dal Portogallo al Senegal. Presenta una conchiglia liscia, cilindrica, con valve uguali e arrotondate all’estremità, di colore marrone scuro. Spesso ha striature violacee lungo il dorso. Raggiunge una lunghezza di 8-12 cm
Vive nei fondali rocciosi di tipo calcareo. Qui perfora la roccia calcarea, scavando una galleria. Vive fino a 30 metri profondità; più frequente nei primi metri. E' capace di perforare il substrato fino a 20 cm di profondità (n.b. lithophaga significa “che si nutre di pietra").
Cresce molto lentamente. Tre anni dopo la fissazione al substrato arriva ad 1 cm ed impiega 15-20 anni per raggiungere i 5 cm di lunghezza. L‘ età degli esemplari più grandi è stimata intorno agli 80 anni.
La specie è consumata in tutti paesi Mediterranei per la sua prelibatezza ma è pescata utilizzando sistemi illegali come la dinamite o i martelli subacquei pneumatici che ne distruggono l’habitat costituito da biocenosi che ospitano molte specie autoctone. Tale sistema di pesca ha causato la rarefazione della specie in varie località mediterranee (i.e. il sud della Francia) e la distruzione di molte scogliere Mediterranee. I metodi utilizzati per la sua raccolta provocano la desertificazione degli habitat.
Dattero rosso
La specie di per se non è minacciata ma la sua protezione è importante per diminuire l’impatto ambientale causato dalla sua pesca (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1967/2006)
E’ presente in tutto il Mediterraneo e nell'Atlantico orientale, dalla Gran Bretagna al Marocco. E' un bivalve perforante. Le valve sono di forma allungata e appuntita anteriormente. La superficie della conchiglia è bianco-grigia, con costole concentriche e strie radiali. Le estremità del mantello hanno proprietà fosforescenti, che rendono il bivalve luminoso, con toni verde-blu, in condizioni di illuminazione ridotta. Raggiunge una lunghezza media di 8 cm ed una massima di 15cm. Vive in substrati rocciosi (fessure, grotte o sotto massi) fino alla profondità di 20 metri. Scava delle gallerie in substrati di diversa natura come, fango solidificato, argilla, sabbie e rocce (scisti, calcari, gneiss, e graniti), compiendo movimenti rotatori delle valve.
Dattero bianco
La specie è pescata utilizzando sistemi illegali come la dinamite o i martelli pneumatici subacquei che portano la distruzione dei fondali. I metodi utilizzati per la sua raccolta provocano la desertificazione degli habitat costieri.
Il dattero bianco è inoltre sensibile alla contaminazione da composti sintetici e metalli pesanti. (Reg. CE 1967/2006)
E’ una specie endemica, distribuita in tutto il Mediterraneo. E’ il bivalve più grande del Mediterraneo. La conchiglia è triangolare, allungata, sottile e fragile con la superficie cosparsa di lamelle squamose. Con il tempo si ricopre di organismi. Secerne il bisso, una sostanza filamentosa con cui si fissa sul fondo marino.
Il colore esterno è bianco sporco, l’interno madreperlaceo. L’altezza media è di 50 cm ma può raggiungere il metro.
Da larva, la pinna si insedia sul fondale marino (sabbioso) ed inizia a crescere. Si può trovare nelle praterie di Posidonia oceanica, su substrato sabbioso o anche su detritico grossolano. Vive a profondità massime di 30-40 metri (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1967/2006).
Pinna
Nel Mediterraneo occidentale ed in particolare in Italia, le popolazioni esistenti sono in forte diminuzione per svariate cause:
Consigli per la conservazione:
Storicamente presente in tutto il bacino, è endemica del Mediterraneo, anche se la sua distribuzione attuale è oramai molto puntiforme e limitata. La specie è segnalata nel mare di Alboran, nelle Isole Egadi, a Pantelleria, in Tunisia, in Sardegna ed in Corsica.
E’ estinta nelle coste continentali italiane e francesi ad eccezione di Piombino del promontorio di Portofino.
La conchiglia tondeggiante con un ampio piede muscoloso, spessa ed ornata da bande beige, presenta una superficie caratterizzata da solchi e rilievi costolari cospicui.
Patella ferrosa
E’ presente nell’ambiente litorale roccioso; qualche metro sopra il limite superiore dell’alta marea fino a qualche metro sotto il livello dell’acqua (DPR. 8/9/1997 n. 357; Reg. CE 1976/2006).
Quando si parla di echinodermi, ossia di quel gruppo di animali del mare solitamente dotati di "spine sulla pelle", si fa riferimento generalmente ai ben noti ricci e alle stelle di mare. Pochi sanno che invece fanno parte di questa famiglia anche i crinoidi (o gigli di mare), le oloturie (o cetrioli di mare) e infine un particolare tipo di "stelle", se proprio così le vogliamo definire, dette ofiure o, più comunemente, stelle serpentine.
Il «riccio di mare» detto volgarmente femmina (Paracentrotus lividus) è una prelibatezza che il mare offre ai pescatori professionisti e sportivi. La normativa sulla pesca dei ricci di mare prevede che possono essere pescati solo i ricci che superano il diametro di 7 cm (compresi gli aculei), al contrario i più piccoli devono essere rilasciati in mare per permettere loro la crescita. In particolare il DPR n. D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 vieta la cattura del «Riccio Diadema».
Vive sulle scogliere coralline, dalla superficie fino a 30 metri di profondità. Prestare molta attenzione quando si maneggiano questi ricci: i loro aculei penetrano facilmente nella pelle, provocando spesso infezioni. Non dimenticate di mettere in vasca, alcuni ossi di seppia: saranno un'utile fonte di calcio per i ricci
In natura si nutre di alghe e detrito. In acquario si abitua a mangiare lattuga o verdura cotta, anche se talvolta non disdegna cibo di origine animale
Ha abitudini prevalentemente notturne; generalmente di giorno si nasconde tra gli anfratti delle rocce. I lunghi aculei costituiscono spesso un rifugio per alcuni piccoli crostacei e pesci. Vive in genere in gruppi numerosi. Il corpo misura circa 10 cm di diametro, gli aculei possono superare i 30 cm di lunghezza. Color nero.
Evitare di porre questo riccio assieme ai pesci balestra e pesci palla: nonostante gli aculei, infatti, questi pesci lo attaccano e spesso riescono a ucciderlo. Il riccio a sua volta può attaccare piccoli crostacei, soprattutto nel periodo della muta.
E’ vietato catturare o uccidere esemplari di questa specie nell’ambiente naturale. E’ inoltre vietato il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (D.M. 3/5/89; art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997).
L'aspetto degli Storioni, è fortemente caratterizzato: il capo è ricoperto da scudi ossei, il muso è allungato, con profilo superiore concavo, la bocca è infera, tubiforme, guarnita anteriormente da quattro barbigli.
Il corpo ha sezione pentagonale, con i vertici del pentagono corrispondenti a 5 serie longitudinali di caratteristiche placche ossee che percorrono il dorso, i fianchi e il ventre. La coda eterocerca contribuisce a dare a questi pesci una sagoma squaliforme.
Gli storioni risalgono i fiumi a scopo riproduttivo, ma trascorrono la maggior parte della vita in mare. In molti luoghi la risalita è oggi ostacolata da sbarramenti di varia natura e questo, assieme alla pesca e al degrado ambientale, è uno dei fattori che hanno determinato un drammatico calo delle presenze di questi pesci nelle nostre acque.
Due comunque sono le specie potenzialmente presenti: lo Storione comune (Acipenser sturio) che vive nei mari di tutta Europa e può superare i 3 m di lunghezza, e il più piccolo Storione cobice (Acipenser naccarii), che raggiunge di rado il metro e mezzo.
A prima vista è quasi indistinguibile dall'Acipenser sturio, tanto che le due specie sono regolarmente confuse dai pescatori, sportivi o professionisti, che in Italia hanno la fortuna di catturare questa rara specie di acipenseride. Il corpo di A. naccarii è slancíato, con sezione subcilindrica. Rispetto allo storione comune, ha testa più larga e tozza, ornata da placche ossee disposte in maniera simmetrica sui lati e sulla fronte. Il muso è più tozzo e corto, ad apice arrotondato e profilo superiore concavo, con gli scudi ossei di rivestimento più rilevati. La lunghezza del muso non supera un terzo di quella della testa. La bocca dello storione Cobice è ampia, ventrale, tubolare e protrattile, con il labbro posteriore, meno evidente che in A. sturio, sottile e nettamente inciso. La cavità orale, nello storione Cobice termina poco dopo l'estremità anteriore dell'opercolo, mentre nello storione comune termina a metà. L'apertura orale è preceduta da quattro barbigli che si originano più vicino all'estremità del muso che alla bocca. I barbigli non sono appiattiti e, se rivolti all'indietro, non raggiungono il labbro superiore. I primi scudi ossei della serie dorsale sono più piccoli dei successivi. Non sono mai presenti serie supplementari di placche ossee tra la serie di scudi ossei dorsali e quelle laterali. La colorazione del dorso e dei fianchi è bruna, tendente al nero od al verdastro, il ventre è biancastro. Appare simile a quella dello storione comune, tranne che per le pinne che sono verdastre invece che rosee. Gli scudi dorsali e laterali sono bruno-verdastri, mentre gli scudi ventrali possono assumere anche sfumature rosee. Gli scudi ossei sono sempre più chiari rispetto al colore di fondo.
Storione cobice
Le dimensioni della specie sono considerevoli: il cobice può raggiungere 25 kg di peso e 1,5 m di lunghezza.
Gli storioni sono principalmente predatori e si alimentano sul fondo catturando molluschi e altri invertebrati e occasionalmente pesci. La loro dieta comprende, seppur in minima parte, anche materiale vegetale.
Struttura dell'Acipenser naccarii
In Italia la specie è autoctona. È stato segnalato in tutti i mari, ma abita anche nei fiumi. Oggi, però, la presenza dello storione in acque interne è piuttosto scarsa. In mare predilige fondali sabbiosi e profondi 40-150 metri. In acque interne frequenta fiumi a grande portata con correnti lente e profonde, fondali melmosi, ghiaiosi o sabbiosi, prediligendo le buche più profonde dei fiumi. Lo storione è stato allevato e riprodotto con successo in grandissimi acquari.
A causa delle sue dimensioni, finora, è stato allevato soltanto in strutture pubb liche. Questo tipo di storione ha muso breve e largo, barbigli labiali più lunghi dello storione comune (Acipenser sturio). Può raggiungere dimensioni di 2 m, placche ossee sul dorso, fianchi e ventre.
Storione comune
Il colore è bruno olivastro, bianco sul ventre. Corpo allungato fusiforme ricoperto di 5 serie di scudi ossei. Muso lungo, triangolare a forma di rostro. Bocca piccola con 4 barbigli, disposta nella parte ventrale, priva di denti. Unica pinna dorsale posizionata verso il fondo; la pinna caudale ha la parte superiore molto più lunga. Occhio piccolo.
Colorazione grigio scura sul dorso, più chiara sul ventre. La lunghezza varia da 50 cm fino a 4 metri Storione
Struttura dell'Acipenser sturio
L’unico pinnipede presente nel Mediterraneo è la «Foca Monaca». Sono vietati la cattura o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997; D.M. 21/5/80). La CITES ha inserito la Foca Monaca nell’Appendice I della Convenzione di Washington, cioè tra le specie protette in pericolo di estinzione.
La Foca Monaca del Mediterraneo
(Monachus monachus)
È l’unico Pinnipede presente nel Mediterraneo. Ha il corpo massiccio lungo circa 240-280 cm nel maschio adulto (la femmina è leggermente più piccola); il peso varia dai 350 ai 400 kg. I piccoli nascono lunghi circa un metro e pesano poco più di 20 kg. Il capo è arrotondato, ornato da lunghe vibrisse (i “baffi”); lunghe sopracciglia ornano gli occhi. Le pinne pettorali sono allargate e ogni falange porta un unghia alla sua estremità. Le pinne posteriori, dalla forma molto caratteristica, hanno il primo e il quinto dito più lungo e le dita intermedie più corte. La coda è piccola e poco visibile. Il pelo è corto.
La specie fu descritta per la prima volta nel 1779, con il nome di Phoca monacus. Successivamente John Flemming creò il genere Monachus del quale vennero a fare parte tre specie simili:
La foca monaca è una straordinaria nuotatrice. Per nuotare utilizza gli arti posteriori, che muove lateralmente, e gli anteriori per manovrare. Agile ed aggraziata in acqua, ha una pessima mobilità a terra al contrario delle otarie che utilizzano le pinne anteriore come propulsore in acqua e una volta a terra si sollevano sui quattro arti, diventando più agili della monaca che invece utilizza solo il ventre.
È un animale stanziale e costiero, che partorisce all’età di cinque sei anni. Ogni due anni, dopo una gestazione di 11 mesi un unico piccolo, all’asciutto in una grotta. Il piccolo viene allattato circa 16 settimane e solo dopo lo svezzamento entra per la prima volta in acqua.
Non restano che 300 esemplari di foca monaca del Mediterraneo, distribuiti tra Turchia, Mauritania, Spagna, Tunisia e Grecia. Fino agli anni ‘70 era presente in Sardegna, nelle isole Tremiti, all’isola d’Elba, accusata dai pescatori di rubare pesce dalle reti causando danni alle stesse è stata barbaramente uccisa per decenni persino con la dinamite. Data il suo scarso tasso riproduttivo,(ogni due anni un cuccioli dopo il quinto anno di età e data l’altissima mortalità infantile dovuta alla stagione delle nascite agosto novembre, spesso le grotte dove nascono i cuccioli si allagano e le onde trascinano il cucciolo incapace di nuotare per i primi quattro mesi) la sua sopravvivenza è legata solo all’opportuno ed efficace intervento dell’essere umano per la sua protezione e conservazione. Solo creando aeree protette e controllate si può sperare di riottenere i successi che sono stati raggiunti con la specie hawaiana. Ciò impedirebbe la scomparsa della specie dal Mediterraneo.
Le«tartarughe marine» appartengono all’ordine dei Cheloni, sono rettili che nel corso della loro evoluzione si sono adattati a vivere in mare. Sono 7 le specie che popolano i mari di tutto il mondo:
Per tutte le tartarughe che vivono nei mari italiani sono vietati la catturare o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997; D.M. 31/5/89). La CITES ha inserito tutte le specie presenti nelle nostre acque nell’Appendice I della Convenzione di Washington, cioè tra le specie più minacciate e per le quali è tassativamente vietata qualsiasi forma di commercio.
Le specie di tartarughe marine esistenti
Nome scientifico Nome comune Nome inglese
Con una lunghezza massima di circa 140 cm di carapace è una delle tre specie di tartarughe marine che vivono in Mediterraneo. Il carapace presenta una colorazione marrone – rossiccia con 5 placche neurali, 5 paia di placche costali e 12 paia di placche marginali. Il piastrone ha una colorazione tendente al giallo. La sua alimentazione è costituita prevalentemente da crostacei e molluschi ma anche da organismi planctonici come ad esempio alcune specie di meduse. In alcuni contenuti stomacali sono stati ritrovati esemplari di cavallucci marini e pesci ago (generi Hippocampus e Syngnathus).
Caretta caretta: peculiarità
Il periodo della deposizione varia dai primi di maggio fino alla fine di agosto. Un nido è composto da un numero variabile di uova (fino ad un massimo registrato di 190). In Mediterraneo i maggiori siti di deposizione sono in Grecia, Turchia, Libia , Tunisia ed Italia. Questa specie è l’unica che regolarmente depone le uova in alcuni siti lungo le coste italiane ( es. Isole Pelagie).
Tartaruga comune (Caretta caretta)
Caratteristica sistematica di questa specie è la presenza di 5 placche neurali, 4 paia di placche costali e 11 paia di placche marginali. Il carapace ha una colorazione verde tendente al nero e il piastrone è giallastro. Raggiunge i 125 cm di carapace e i 250 kg di peso.
E’ una tartaruga erbivora che predilige le acque basse anche se nelle fasi giovanili è principalmente carnivora. Particolare è la ranfoteca dentellata che facilita la sua alimentazione basata principalmente su piante marine quali Posidonia e Zostera.
Chelonia mydas: peculiarità
Il periodo di deposizione è legato alla latitudine in cui esse vivono. In Mediterraneo i siti principali sono in Turchia, Cipro ed Israele principalmente nel periodo estivo. Ogni nido può essere formato da 38-195 uova.
Tartaruga verde (Chelonia mydas)
La particolarità di questa tartaruga è l’assenza di un carapace osseo che è stato sostituito da una pelle cuoiosa supportata da placche ossee. La colorazione è nera con macchie rosa prevalentemente sul collo e nella parte anteriore e posteriore degli arti. Le natatoie anteriori possono raggiungere i 2,5 metri di lunghezza. E’ la più grande tartaruga esistente: può raggiungere infatti i 2 m di lunghezza e i 700 Kg di peso. Nella parte anteriore della ranfoteca la presenza di due cuspidi forniscono, quando la stessa è chiusa, la caratteristica forma a W.
Dermochelys coriacea: peculiarità
Si nutre principalmente di meduse, salpe, calamari, larve di crostacei e pesci. Animali prevalentemente pelagici sono conosciuti per il loro comportamento durante la deposizione. Presente in Mediterraneo dove però non nidifica. Le deposizioni ad esempio avvengono da marzo a giugno in Colombia e da ottobre a febbraio in Messico. La tartaruga liuto si riproduce ogni 2-3 anni e può deporre da 4 a 5 nidi per stagione riproduttiva. Un nido può contenere un numero variabile di uova: da 46 a 160.
Tartaruga liuto (Dermochelys coriacea)
Tra le tartarughe marine è la più colorata: il carapace presenta striature marroni e nere su un fondo color ambra, il piastrone è giallastro. Presenta 5 placche neurali, 4 paia di costali e 11 paia di marginali come la Chelonia. Il suo nome deriva dalla conformazione delle placche che nei giovani sono in parte sovrapposte, quindi embricate. Con la crescita la struttura delle pacche cornee tende a uniformarsi risultando così perfettamente unite negli individui adulti. Si nutre principalmente di crostacei, molluschi e alghe raggiungendo anche i 100 metri di profondità. Si ciba inoltre di spugne. E’ la più tropicale delle tartarughe marine. Predilige le acque tropicali, calde e basse, dell’area indo-pacifica e dell’Atlantico centrale. In Mediteranno è considerata una specie occasionale. I luoghi di deposizione di questa specie sono molto isolati. Il periodo di nidificazione dipende dalla latitudine. Ogni nido può contenere da 71 a 250 uova. Anche se raggiunge la maturità sessuale abbastanza precocemente (intorno ai 3 anni) e i siti di deposizione siano molto isolati le popolazioni di tartarughe embricate sono molto rare. Infatti questa specie, nei tempi passati, è stata sempre soggetta ad una pesca finalizzata alla produzione di oggetti decorativi e gioielli. Sebbene oggi siano state istituite delle normative per la tutela di questa specie non è difficile trovare piccoli souvenir nei mercatini delle regioni che si affacciano nell’Oceano Indiano.
Tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata)
Tartaruga di piccole dimensioni era considerata frutto di un incrocio tra la tartaruga comune e la tartaruga verde. Per questo motivo era stata denominata “bastarda”. La livrea del suo carapace cambia con l’età. I piccoli sono grigio scuro per raggiungere una colorazione verde oliva negli individui adulti per poi ridiventare grigio scuro negli esemplari molto vecchi. Anche il piastrone cambia colorazione da bianco a giallastro. La sua alimentazione è principalmente carnivora. Le sue abitudine riproduttive sono poco conosciute ma sembra che questa specie deponga le uova in una sola spiaggia del Messico. Caratteristica di questa specie è il fenomeno della “arribada” un deposizione di massa. Ad esempio in una singola spiaggia di Racho Nuevo nel Golfo del Messico sono state registrate 40.000 femmine in deposizione. Con i passare del tempo il numero di femmine che determinano questo particolare evento sono drasticamente diminuite. Nel 1995 la grande arribada ha interessato soltanto 1429 femmine. I giovani di questa specie vivono soprattutto lungo le coste europee e africane dell’oceano Atlantico.
Tartaruga bastarda (Lepidochelys kempii)
La colorazione verde oliva del suo carapace conferisce il nome a questa tartaruga, la più piccola tra le specie di tartarughe marine (in media 68 cm di carapace).
Prevalentemente carnivora si nutre di pesci, molluschi (bivalvi e gasteropodi), crostacei (antipodi, isopodi), briozoi, ascidie. Come avviene per la tartaruga bastarda le femmine di questa specie si danno appuntamento e risalgono tutte insieme sulla stessa spiaggia per deporre le uova. In Messico il periodo di deposizione inizia con l’estate per protrarsi fino al tardo autunno. Ogni nido può essere formato al massimo da circa 102 uova. Vive nelle regioni tropicali dell’Oceano Pacifico, Indiano e Atlantico dove predilige le acque che coprono la piattaforma continentale.
Tartaruga olivacea (Lepidochelys olivacea)
Caratteristica di questa tartaruga è la presenza di un unico artiglio nelle pinne anteriori. Il carapace di forma piatta ed ellittica ha una colorazione verde- grigio mentre in piastrone è uniformemente chiaro.
Il suo habitat principale è caratterizzato da acque basse del sottocosta e quelle delle barriere coralline. Poco si conosce sulle sue abitudini alimentari. E’ una specie endemica dell’Australia dove, nel periodo compreso tra novembre e dicembre, depone le uova nella zone a nord-ovest del continente. Ogni nido contiene un numero ridotto di uova ( da 7 a 73 uova). Poco o niente si conosce circa il suo comportamento e le sue migrazioni.
Tartaruga piatta (Natator depressus)
I «Cetacei» un ordine di mammiferi euplacentati, completamente adattatisi alla vita acquatica. Il nome cetaceo deriva dal greco kētos, che significa balena o mostro marino e fu introdotto da Aristotele per designare gli animali acquatici dotati di respirazione polmonare.
L'ordine Cetacea comprende circa 85 specie, quasi tutte marine tranne 5 specie di delfini di acqua dolce. Le specie sono suddivise in due sottordini: Mysticeti ed Odontoceti. Esiste un terzo sottordine, Archaeoceti, cui appartengono solo specie estinte.
Tra i misticeti si trovano gli animali comunemente chiamati balene, i più grandi conosciuti al mondo: in particolare la balenottera azzurra è il più grande animale mai esistito sulla Terra, più grande anche dei famosi Dinosauri. Tra gli odontoceti, invece, si trovano delfini e orche, spesso allevati e addestrati nei delfinari.
Nel Mediterraneo e in particolare nei mari italiani vivono in forma stanziale 2 specie di misticeti e 6 specie di odontoceti. Altre specie di odontoceti possono entrare nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra ed essere avvistate sporadicamente nei mari italiani.
Tutti i cetacei che vivono nei mari italiani sono inclusi nell’elenco delle specie rigorosamente protette nei mari europei (Convenzione di Berna, All. 2). Per tutti sono vietati la catturare o l’uccisione nell’ambiente naturale. il possesso, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione di esemplari provenienti dall’ambiente naturale (art. 8 D.P.R. 357 del 8/9/1997). Per gli esemplari catturati in acque internazionali, valgono le norme della Convenzione di Washington.
L'ordine Cetacea comprende circa 85 specie, quasi tutte marine tranne 5 specie di delfini di acqua dolce.
Le specie sono suddivise in due sottordini: Mysticeti ed Odontoceti.
LR: specie a basso rischio;
VU: specie Vulnerabile;
EN: specie in pericolo;
CR: specie in pericolo in modo critico
Il «Santuario dei Cetacei» si estende in un’area protetta di vaste dimensioni, ben 87.500 chilometri quadrati, quasi due volte la Svizzera, la maggior parte dei quali in acque internazionali, e ha come limiti Punta Escampobariu (43°20'00''N ; 004°50'30''E) in Francia, Capo Falcone (40°58'00'' N ; 008°12'00''E) e Capo Ferro (41°09'18'' N ; 009°31'00'' E) nella Sardegna Occidentale e Fosso Chiarone (42°21'24'' N ; 011°31'00'' E) in Toscana.
Confini del Santuario Mediterraneo per i Cetacei
Dopo anni di studi e progetti, la firma ufficiale che sancisce la nascita è stata firmata a Roma nell’ottobre del 1999 dai ministri italiano, francese e monegasco e rattificato dal Governo Italiano con legge n°391 dell''11 ottobre del 2001.
Il Santuario dei Cetacei comprende numerose "Aree Marine Protette", inoltre è delimitato da ben 5 grandi Aree Protette Terrestri: 4 Parchi Nazionali ed un Parco Regionale. Il Parco Nazionale delle Cinque Terre in Liguria, il Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, il Parco Regionale della Maremma Toscana, Parco Nazionale dell'Arcipelago della Maddalena ed il Parco Nazionale dell'Asinara. Essi possono essere considerati non solo i limiti geografici ma parte integrante del Santuario stesso, poichè l'area di tutela spesso si estende anche al mare.
Un triangolo marino ricco di vita, un ambiente che può vantare la più alta concentrazione di cetacei fra tutti i mari italiani e che con tutta probabilità rappresenta l'area faunisticamente più ricca dell'intero Mediterraneo.
Capodogli, balenottere comuni, delfini, grampi, globicefali costituiscono un ecosistema di grande ricchezza che connota quest'area come eccezionalmente produttiva e ricca di forme viventi.
Un ecosistema prezioso di cui occorre mantenere le condizioni ottimali se non si vuole correre il rischio di vederlo modificato dalle attività umane che si svolgono sul mare.
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Misticete
Famiglia: Balaenopteridae
Genere: Balaenoptera
Specie: Balaenoptera physalus
Dimensioni: fino a 21 m. di lunghezza oltre 50 t. di peso.
Corporatura: estremamente affusolata e idrodinamica.
Capo: cuneiforme, dorsalmente diviso a metà da una cresta longitudinale.
Pinna dorsale: alta e falcata, situata all’inizio del terzo posteriore.
Pinne pettorali: piccole e lanceolate.
Coda: possente, con marcato seno interlombare.
Colorazione: grigia uniforme sul dorso e biancastra sul ventre, sulla superficie inferiore delle pettorali e della coda; parte destra della mandibola bianca.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). E’ inclusa tra le specie di cetacei in pericolo mondiale di estinzione (CITES, App. 1).
Balenottera comune (Balaenoptera physalus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Globicephala
Specie: Globicephala melas
Dimensioni: 5-6 m. di lunghezza e 2 t. di peso.
Corporatura: allungata.
Capo: globoso e voluminoso, con melone pronunciato e rostro quasi assente.
Pinna dorsale: in posizione avanzata, con base molto larga.Pinne pettorali: lunghissime, sottili e ricurve.
Colorazione: nero ebano, talvolta le regioni golare e ventrale portano un disegno bianco.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Globicefalo non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2).
Globicefalo (Globicephala melas)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Physeteridae
Genere: Physeter
Specie: Physeter macrocephalus
Dimensioni: fino a 18 m. di lunghezza e oltre 50 t. di peso.
Capo: squadrato e di enormi dimensioni (tra ¼ e 1/3 delle dimensioni totali). Mandibola lunga, sottile e dotata di denti (nella mascella non erompono dalla gengiva).
Pinna dorsale: bassa, smussata, triangolare, posta prima del terzo posteriore. Dietro di essa sono presenti delle gibbosità che arrivano alla coda.
Coda: larga, triangolare, con margine posteriore rettilineo e cospicuo seno interlobare.
Colorazione: generalmente grigia uniforme, bordata di bianco sulla mandibola. Rari esemplari albini.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Capodoglio in particolare, è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 1).
Capodoglio (Physeter catodon)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Grampus
Specie: Grampus griseus
Dimensioni: circa 3,5 m. di lunghezza e 400 kg di peso.
Corporatura: relativamente slanciata ma tozza nella parte anteriore.
Capo: rotondeggiante con melone ben sviluppato, rostro assente.
Pinna dorsale: mediana, alta e falcata.
Pinne pettorali: lunghe e appuntite.
Colorazione: generalmente grigia con numerose graffiature chiare che aumentano con l’età.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Il Grampo non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2).
Grampo (Grampus griseus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Ziphiiidae
Genere: Ziphius
Specie: Ziphius cavirostris
Dimensioni: circa 6 m. di lunghezza e 3 t. di peso.
Corporatura: siluriforme e piuttosto tozza.
Capo: piccolo, lateralmente compresso, con piccolo melone e rostro corto; rima boccale corta, sigmoide.
Pinna dorsale: piccola, arretrata e falcata.
Pinne pettorali: corte e sottili, vicino al corpo vengono tenute in una apposita depressione.
Coda: grande, priva di seno interlombare.
Colorazione: grigia ardesia nel maschio, dal grigio al bruno nelle femmine, nero bluastro nel piccolo. Presenza di macchie e graffiature chiare.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Lo Zifio non è considerato in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2), anche se si conosce molto poco sulla sua consistenza numerica.
Zifio (Ziphius cavirostris)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Stenella
Specie: Stenella coeruleoalba
Dimensioni: circa 2 m. di lunghezza e 100 kg di peso.
Corporatura: slanciata ed elegante.
Capo: melone visibile, rostro lungo e sottile.
Pinna dorsale: di medie dimensioni e leggermente falcata.
Pinne pettorali: piccole e leggermente incurvate.
Colorazione: grigio scuro sul dorso, grigio chiaro sui fianchi, bianca sul ventre. Fiamma chiara vicino la dorsale. Tre striature scure che partono dall’occhio.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Anche se la frequenza di cattura è elevata nei mari europei, non è considerata in pericolo di estinzione a livello mondiale (CITES, App. 2). Non sempre le catture vengono segnalate perché dalle Stenelle si ricava il “musciame”, che viene poi venduto clandestinamente.
Stenella (Stenella coeruleoalba)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Delphinus
Specie: Delphinus delphis
Dimensioni: circa 2 m. di lunghezza e 100 kg di peso.
Corporatura: estremamente slanciata.
Capo: melone modesto ma distintamente separato dal rostro, che è lungo e sottile.
Pinna dorsale: relativamente alta e falcata, in posizione mediana.
Pinne pettorali: piccole, sottili e leggermente incurvata.
Colorazione: generalmente grigia scura sul dorso, biancastra sul ventre, area a forma di clessidra color senape sui fianchi, linea scura che congiunge la pettorale alla mandibola.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). Al di fuori del Mediterraneo il Delfino comune non presenta particolare rischio di estinzione (CITES, App. 2). Le popolazioni dei mari europei invece sono a rischio, anche se le cause del declino sono sconosciute.
Delfino comune (Delphinus delphis)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Ordine: Cetacea
Sott’ordine: Odontocete
Famiglia: Delphinidae
Genere: Tursiops
Specie: Tursiops truncatus
Dimensioni: circa 3 m. di lunghezza e 300 kg di peso.
Corporatura: piuttosto tozza e possente.
Capo: melone ben sviluppato, rostro corto e tozzo.
Pinna dorsale: alta e falcata.
Pinne pettorali: corte e sottili.
Colorazione: generalmente grigia uniforme sul dorso e biancastra sul ventre, ma esistono numerose varianti.
Forma di protezione: totale nei mari italiani (D.P.R. 357 del 8/9/1997). La densità del Tursiope nel mondo è ancora alta (CITES, App. 2) malgrado venga cacciato o catturato in numerosi stati: Nell’area geografica europea è in forte diminuzione.
Tursiope (Tursiops truncatus)
► Classificazione del rischio di estinzione:
Il “cavalluccio marino” è uno dei pesci più curiosi, per vari aspetti che lo caratterizzano come la forma e il modo in cui si muove, così elegante, e tra i pesci decisamente "singolare".
La struttura fisica si sviluppa su un asse verticale che consente a questi animali di tenere una posizione eretta. Il collo arcuato pone la testa in avanti, dalla caratteristica forma che ricorda quella di un piccolo cavallo, da cui appunto l’animale prende il nome, e con un muso allungato e tubolare. Sia la livrea sia le dimensioni variano da specie a specie.
Durante il nuoto il cavalluccio marino assume una posizione più avanzata e idrodinamica: si sposta sospinto dalla pinna dorsale, chiuso nella sua fragile armatura, e si aggrappa ad alghe o gorgonie, usando la lunga coda prensile.
Il genere Hippocampus appartiene alla famiglia Syngnathidae e vive nelle acque costiere di tutto il mondo, ad eccezione di quelle glaciali. Vive in media 4-5 anni.
Durante il ciclo vitale questa specie si riproduce più volte per stagione: come per le altre specie appartenenti a questa famiglia, dopo l'accoppiamento, che è solamente preceduto da una vera e propria danza nuziale, la femmina passa le uova in una speciale sacca incubatrice (marsupio) nel ventre del maschio, situata vicino all'apertura anale che le incuba per circa un mese.
Poco prima del parto, il maschio ha delle vere e proprie contrazioni che servono ad espellere i piccoli cavallucci. (evento piuttosto insolito in natura, chiamato gravidanza maschile [27]).
Alla nascita i piccoli avannotti [28]- che misurano pochi millimetri - sono già pronti per cacciare il cibo che trovano nella colonna d'acqua.
Alla schiusa, il maschio espelle gli avannotti [28] con delle contrazioni addominali simili al parto [29] femminile, evento piuttosto insolito in natura, chiamato gravidanza maschile [27].
I cavallucci marini si trovano in tutte le acque del mondo tranne quelle glaciali, prevalentemente in prossimità delle coste dove trovano rifugio e sostegni dove potersi ancorare durante i movimenti con la lunga coda prensile. Sono particolarmente diffusi nelle barriere coralline [30] e nelle praterie di fanerogame [31] marine come la Posidonia oceanica [32].
Tutte le specie del genere Hippocampus sono state inserite nella Appendice II della Convention on International Trade of Endangered Species (CITES [33]).
Nonostante molti divieti internazionali, in alcuni paesi è pescato per essere poi venduto essiccato come oggetto decorativo o curativo specialmente sul mercato asiatico.
L’eccessivo sfruttamento da parte della pesca professionale ed in particolar modo di quella illegale hanno ridotto in modo consistente gli stock della specie nel mare Mediterraneo, al punto che l’Unione Europea sta attualmente valutando l’opportunità di inserire il tonno nell’elenco delle “specie a rischio”, con l’obiettivo di assicurargli maggiore protezione e limitarne ancor più la pesca.
Nel frattempo l’Unione ha introdotto regole più severe, subordinando ad esempio la pesca sportiva e ricreativa del prezioso tonno ad una «autorizzazione preventiva», valida unicamente nel periodo dal 15 giugno al 15 ottobre, ma al momento è difficile stabilire il livello di efficacia di queste misure, che non eliminano il problema di fondo della pesca incontrollata e illegale.
E’ su questo aspetto che si devono concentrare gli sforzi dell’Unione e dei paesi membri: l’Italia, ad esempio, non ha un corpo specificamente dedicato alla tutela ambientale ed al controllo della pesca, e se anche le Capitanerie di Porto svolgono specifiche funzioni in questo ambito, è evidente che la molteplicità dei compiti svolti e la limitata disponibilità di mezzi finiscono per minare l’efficacia della sua azione di contrasto dei fenomeni di illegalità.
La pesca del tonno rosso (thunnus thynnus) in Mediterraneo è soggetta, come detto, a normativa CE. L’adesione della Comunità Europera all’ICCAT (International Commission for Conservation of Atlantic Tuna) fa si che anche in Mediterraneo venga applicata la “Raccomandazione ICCAT” entrata in vigore il 21 giugno 1999[1] . Il Reg. (CE) 302/2009, concernente “un piano pluriennale di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo che modifica il regolamento (CE) n. 43/2009 e che abroga il regolamento (CE) n. 1559/2007”) disciplina l’attività di pesca proprofessionale nonché quella sportivo-ricreativa. della specie.
La Circolare n° 10778 del 07 Aprile 2009 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Dipartimento delle Politiche Europee e Internazionali – Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura, dal titolo: “Circolare sul tonno rosso: campagna di pesca 2009”, fornisce ulteriori elementi di chiarificazione circa l’applicazione degli obblighi normativi comunitari relativi alla cattura del tonno rosso ed in particolare quelli derivanti dall’introduzione del Regolamento (CE) n° 302/2009 citato che di seguito si riassume.
[1] In occasione dell’undicesima sessione straordinaria svoltasi a Santiago de Compostela (Spagna) dal 16 al 23 novembre 1998, la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Altantico (ICCAT) ha raccomandato una serie di regole specifiche riguardanti le taglie minime degli sbarchi per il tonno rosso. Al fine di garantire una più efficace protezione del novellame è stata segnatamente modificata una precedente raccomandazione intesa a vietare gli sbarchi di tonno rosso di età 0, finora classificato come pesce di peso pari a 1,8 kg, per vietare lo sbarco di pesci di peso inferiore a 3,2 kg. E’ stato altresì raccomandato di modificare le date relative al fermo stagionale della pesca al cianciolo.
In quanto membro dell’ICCAT, la Comunità è vincolata da tali raccomandazioni, entrate in vigore il 21 giugno 1999.
Le disposizioni in materia di taglie minime degli sbarchi per il tonno rosso sono fissate dai regolamenti (CE) n. 1626/94 e (CE) n. 850/98 del Consiglio per quanto riguarda, rispettivamente, il Mare Mediterraneo e le regioni da 1 a 8 degli oceani Atlantico e Indiano. Per conformarsi ai propri obblighi internazionali, la Comunità deve adeguare tali regolamenti al fine di integrarvi le raccomandazioni dell’ICCAT. La presente proposta è finalizzata a tale obiettivo.
Per ridurre lo sforzo di pesca sono stati fissati dei periodi di fermo sia per i «palangari di superficie» che per i «ciancioli» (art. 7 Reg.).
In deroga, se uno Stato membro può dimostrare che, a causa dei venti di forza 5 o più sulla scala Beaufort, alcune delle proprie navi da cattura che praticano la pesca del tonno rosso con reti a circuizione nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo non hanno potuto utilizzare i giorni di pesca loro assegnati, tale Stato membro può riportare fino a 5 giorni persi entro il 20 giugno. Lo Stato membro interessato notifica[1] alla Commissione entro il 14 giugno i giorni di pesca supplementari concessi.
[1] Tale notifica è corredata delle seguenti informazioni: i) una relazione che illustri i particolari della cessazione del-l’attività di pesca in questione contenente le pertinenti infor-mazioni di tipo meteorologico; ii) il nome della nave da cattura; iii) il numero unico di registrazione di un peschereccio (CFR) secondo la definizione dell’allegato I del regolamento (CE) n. 26/2004. La Commissione trasmette senza indugio all’ICCAT queste in-formazioni.
La «taglia minima» per il tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo è di 30 Kg. o 115 cm.
In deroga e fatto salvo le catture accessorie, la taglia minima per il tonno rosso è di 8 kg o 75 cm nei casi seguenti:
Catture accidentali con una "tolleranza del 5%" di tonno rosso di taglia compresa fra 10 kg (o 80 cm) e 30 kg sono autorizzate per tutte le navi da cattura che praticano la pesca attiva di tale specie (art. 11 Reg.)
La percentuale è calcolata in base alle catture accidentali totali di tonno rosso effettuate dalle suddette navi da cattura, in numero di esemplari per sbarco, o all’equivalente peso, espresso in percentuale.
Le navi da cattura comunitarie che non praticano la pesca attiva del tonno rosso non sono autorizzate a detenere a bordo catture di tonno rosso superiori al 5 % delle catture totali presenti a bordo in peso e/o numero di esemplari.
Quando è aperta la pesca del tonno rosso è vietato rigettare in mare gli esemplari morti delle catture accessorie.
Il comandante di una nave comunitaria "autorizzata alla cattura attiva" del tonno rosso con «sistema a circuizione», o di un’altra nave da cattura di "lunghezza (lft) superiore a 24 metri", autorizzata con «sistema palangari», trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera, (MIPAF – Dipartimento delle politiche europee e internazionali - Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura) per via elettronica o con altri mezzi una «dichiarazione di cattura giornaliera» (art. 20 Reg.) comprendente le seguenti informazioni:
Il comandante di una nave da cattura di "lungheza inferiore (lf) a 24 metri", autorizzata alla cattura del tonno rosso con «sistema palangari», è tenuta a trasmettere al citato Dicastero, una «dichiarazione di cattura settimanale» comprendente le seguenti informazioni:
La dichiarazione di cattura è trasmessa, al più tardi, entro le ore 12 (dodici) di lunedì con le catture effettuate nella settimana precedente, avente termine alle ore 24 (ventiquattro) GMT della domenica. Tale dichiarazione comprende informazioni sul numero di giorni in mare trascorsi nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo dall’inizio della pesca o dall’ultima dichiarazione settimanale
In caso di sbarco in uno dei porti comunitari designati, il comandante della nave da pesca comunitaria che ha catturato tonno rosso anche se accidentalmente (o il suo rappresentante), deve darne «pre-notifica», alle Autorità competenti dello Stato membro (per l’Italia, l’Autorità marittima del porto designato allo sbarco) o alla PCC (le parti contraenti della convenzione e le parti, entità o entità di pesca non contraenti cooperanti) di cui intendono utilizzare i porti o i luoghi di sbarco, almeno "quattro ore" prima della prevista ora di arrivo in porto (OPA), (art. 21 comma 1 Reg.) Tale pre-notifica deve contenere le informazioni:
Le Autorità dello Stato membro di approdo conservano una registrazione di tutti i preavvisi di sbarco dell’anno in corso.
Entro 48 ore dalla conclusione dello sbarco le Autorità dello Stato membro di approdo trasmettono un «rapporto di sbarco» all’Autorità dello Stato di bandiera della nave.
Dopo ogni bordata ed entro 48 ore dallo sbarco i comandati delle navi da cattura comunitarie presentano una «dichiarazione di sbarco» (in calce alla relativa pagina del Logbook) alle Autorità competenti dello Stato membro o della PCC in cui ha luogo lo sbarco e al proprio Stato membro di bandiera.
Il comandante della nave da cattura autorizzata è responsabile dell’esattezza della dichiarazione, che indica perlomeno i quantitativi di tonno rosso sbarcati e il luogo in cui sono stati catturati. Tutte le catture sbarcate sono pesate e non stimate. Tale ultima disposizione non si applica agli sbarchi effettuate da tonniere con lenze a canna e da unità con lenze trainate nell’Atlantico orientale, agli sbarchi di tonno rosso catturati nel Mare Adriatico ai fini di allevamento e agli sbarchi di tonno rosso catturati nel Mediterraneo nell’ambito della pesca costiera artigianale di pesce fresco da tonniere con lenze a canna, pescherecci con palangari e pescherecci con lenze a mano.
Prima di effettuare un’operazione di trasferimento in gabbie rimorchiate (art. 22 Reg.), il comandante di una nave da cattura trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera (per l’Italia, la Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura) una «notifica preventiva di trasferimento» indicante i dati seguenti:
L’operazione di trasferimento può avere inizio solo con la "previa autorizzazione" dello Stato di bandiera della nave da cattura. Lo Stato membro di bandiera informa il comandante della nave da cattura che il trasferimento non è autorizzato e che deve procedere al rilascio in mare del pesce se, all’atto del ricevimento della notifica preventiva di trasferimento, ritiene che:
oppure;
Il comandate di una nave da cattura compila e trasmette alle Autorità competenti del proprio Stato membro di bandiera (per l’Italia, la Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura), una volta ultimata l’operazione di trasferimento al rimorchiatore, la «dichiarazione di trasferimento ICCAT».
La dichiarazione di trasferimento accompagna il trasferimento del pesce durante il trasporto verso l’allevamento o un porto designato. L’autorizzazione di trasferimento da parte dello Stato di bandiera non pregiudica l’autorizzazione dell’operazione di ingabbiamento.
Il comandante della nave da cattura deve assicurare che tutti i trasferimenti di tonno rosso dalla rete di circuizione alla gabbia, effettuati dalla sua unità, siano ripresi da una "videocamera" posta nell’acqua, al fine di consentire il monitoraggio dell’attività svolta.
E’ vietato il trasbordo di tonno rosso in mare nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo (art. 23 Reg.). Le operazioni di trabordo sono consentite solo previa «autorizzazione» dei rispettivi Stati di bandiera.
In caso di trasbordo in uno dei porti comunitari designati e prima dell’entrata in porto, il comandante della nave ricevente o un suo rappresentante deve darne «pre-notifica», almeno 48 ore prima dell’ora prevista di arrivo, alle Autorità competenti dello Stato membro (per l’Italia, l’Autorità marittima del porto designato allo sbarco) del porto che intende utilizzare.
Tale prenotifica deve contenere le seguenti informazioni:
Le navi da pesca non sono autorizzate a effettuare trasbordi senza previa autorizzazione dei rispettivi Stati di bandiera. Prima di cominciare il trasbordo il comandante della nave da pesca che effettua il trasbordo trasmette al proprio Stato di bandiera le informazioni di seguito indicate:
L’Autorità competente dello Stato membro del porto in cui è effettuato il trasbordo:
I comandanti delle navi da pesca comunitarie compilano una «dichiarazione di trasbordo ICCAT» (in calce alla relativa pagina del Logbook) e la trasmettono alle Autorità competenti dello Stato membro di cui le navi da pesca battono bandiera. Tale dichiarazione è trasmessa entro e non oltre 48 ore delle operazioni dalla conclusione delle operazioni di trasbordo.
Le catture della tonnara sono registrate al termine di ogni operazione di pesca effettuata mediante tonnara e trasmesse all’autorità competente dello Stato membro in cui la tonnara si trova (Capo del Compartimento marittimo competente e al MIPAF – Dipartimento delle politiche europee e internazionali - Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura), per via elettronica o con altri mezzi, entro 48 ore dalla conclusione di ogni operazione di pesca (art. 26 Reg.).
Non appena ricevute le dichiarazioni di cattura, gli Stati membri le trasmettono per via elettronica alla Commissione. La Commissione trasmette sollecitamente tali informazioni al segretariato dell’ICCAT.
Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti per garantire che tutte le navi da cattura figuranti nel registro ICCAT delle navi autorizzate a praticare la pesca attiva del tonno rosso che entrano in un porto designato al fine di sbarcare e/o trasbordare catture di tonno rosso effettuate nell’Atlantico orientale o nel Mediterraneo siano sottoposte a controllo in porto (art. 27 Reg.).
Gli Stati membri adottano i necessari provvedimenti per procedere al controllo di ogni operazione di ingabbiamento nelle aziende di ingrasso o di allevamento soggette alla loro giurisdizione.
Se le aziende di ingrasso o di allevamento sono situate in alto mare, le disposizioni di cui sopra, si applicano, mutatis mutandis, agli Stati membri in cui sono stabilite le persone fisiche o giuridiche responsabili dell’azienda di ingrasso o di allevamento.
Per maggiori approfondimenti vedi: Reg. (CE) 302/2009 e Circolare n° 10778/2009 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Dipartimento delle Politiche Europee e Internazionali – Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura, dal titolo: “Circolare sul tonno rosso: campagna di pesca 2009”.
Durante la fase di sbarco del prodotto ittico catturato presso le banchine per il successivo carico su vettori stradali dovranno essere osservate le norme nazionali e comunitarie emanate in materia igienico-sanitaria.
L’Autorità marittima potrà richiedere al Dipartimento di prevenzione – Area sanità pubblica veterinaria dell’Azienda Unità Sanitaria Locale N. ____ di _________ la verifica del rispetto delle condizioni igienico-sanitarie durante le operazioni di sbarco.
Sono vietate operazioni di lavorazione del prodotto in banchina.
Al termine delle operazioni di travaso, dovrà essere assicurata la pulizia del tratto di banchina utilizzato.
Al momento dell’arrivo presso la banchina del porto designato e successivamente all’avvenuto sbarco del prodotto, a cura del Comandante dell’unità da pesca dovrà essere resa prontamente disponibile e posta in visione al personale dell’Autorità Marittima presente in banchina, la documentazione di cui al Regolamento (CE) n° 302/2009 (come richiamata dalla Circolare n° 10778 del 07 Aprile 2009), secondo la tempistica prevista, decorrente dall’orario in cui sono terminate le operazioni di sbarco stesse. In particolare andrà curata la corretta compilazione della seguente documentazione:
La nota di vendita del prodotto (fattura o documento equivalente) di che trattasi, all’atto della prima vendita, deve essere rilasciata dai centri per la vendita all’asta del mercato ittico, da altri organismi autorizzati, ovvero dal compratore autorizzato; tale documentazione deve essere inviata all’Autorità marittima del luogo ove è avvenuta la prima vendita. La nota di vendita dovrà contenere le seguenti informazioni:
Della presentazione delle note di vendita in cui si trovano elencati tutti i dati sopra elencati sono responsabili i suddetti centri per la vendita all’asta o gli altri organismi o persone autorizzate.
Nel caso in cui il prodotto non sia venduto direttamente, verrà rilasciata una dichiarazione di assunzione in carico da parte dell’armatore dell’imbarcazione o del suo mandatario. La dichiarazione di assunzione in carico dovrà contenere le seguenti informazioni:
Il Regolamento (CE) n. 2244/2003 della Commissione, del 18 dicembre 2003, che stabilisce disposizioni dettagliate per quanto concerne i sistemi di controllo dei pescherecci via satellite, si applica alle navi da pesca, adibite o destinate allo sfruttamento commerciale delle risorse di tonno rosso, incluse le navi da cattura, le navi officina, le navi di appoggio, i rimorchiatori, le unità che partecipano a operazioni di trasbordo, le navi da trasporto attrezzate per il trasporto di prodotti a base di tonno e le navi ausiliarie, tranne le navi container.
Gli Stati membri provvedono inoltre affinché tutti i rimorchiatori battenti la loro bandiera, a prescindere dalla lunghezza, siano dotati di un «impianto di localizzazione e di controllo via satellite» a norma degli articoli da 3 a 16 del Regolamento (CE) n. 2244/2003. 2.
Gli Stati membri provvedono affinché i loro centri di controllo della pesca trasmettano alla Commissione e ad un organismo designato dalla stessa, in tempo reale e nel formato «https data feed», i messaggi del sistema di controllo via satellite (VMS) ricevuti dalle navi da pesca battenti la loro bandiera. La Commissione trasmette tali messaggi per via elettronica al segretariato dell’ICCAT.
Sistema di controllo dei pescherecci via satellite (VMS) (DM 10 /11/2004)
Gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare che tutti i messaggi resi disponibili alle loro navi da ispezione siano trattati in modo riservato e siano limitati alle operazioni di ispezione in mare.
Il «Sistema di Controllo Satellitare Pesca» (SCP) è un sistema di localizzazione e controllo delle navi da pesca nazionali basato sull'utilizzazione di tecnologie satellitari.
Il sistema SCP consente il monitoraggio dei pescherecci aventi lunghezza fuori tutta superiore ai 15 mt in termini di posizione, rotta e velocità, di archiviare e gestire le relative informazioni, di rappresentare lo scenario su idoneo sistema cartografico di presentazione.
Le unità da pesca sono state dotate di un apposito apparato di bordo (c.d. "Blue Box"), attivato all'interno della rete di trasmissione satellitare «Inmarsat», che consente di trasmettere al Centro di Controllo le informazioni relative alla posizione, velocità e rotta dell'imbarcazione, alle emergenze ed agli allarmi nonché di ricevere dal Centro i parametri necessari alle impostazioni di funzionamento e di controllo.
Il sistema SCP consente la ricezione e trasmissione dei dati tramite «Inmarsat-C», con l'archiviazione automatica dei messaggi in arrivo ed in partenza e la possibilità di interrogazione degli archivi storici:
La struttura tecnico/informatica e di localizzazione pescherecci che costituisce il sistema SCP (Sistema di Controllo Pesca) comprende:
La Blue-Box costituisce il sottosistema del «Sistema VMS» (Vessel Monitoring System) e garantisce sia la localizzazione continua del peschereccio, che il suo uso da parte del comandante per l'invio degli "Effort Report" (messaggi di servizio da inviare all'uscita e rientro dai porti e dalle zone di pesca).
Il sistema radio è di tipo omologato per installazioni su unità (secondo la normativa vigente) e utilizza frequenze adibite alle telecomunicazioni marittime.
E' l'unità centrale in cui sono presenti tutti i database rientranti nella normativa ed è il mezzo di raccolta e supervisione su cui vengono inviate e visualizzate tutte le informazioni di posizione e di entrata/uscita dai porti e dalle zone di pesca protette.
Qualora un peschereccio battente bandiera italiana si avvicini o entri in acque territoriali di altro Stato costiero della comunità europea, il CCNP invierà, in formato elettronico, tutte le informazioni relative a quel peschereccio al CCP dello stato membro in questione.
Anche ogni Sistema di Controllo Pescherecci (SCP) di altri paesi membri, invierà al CCNP Italiano le informazioni, in formato elettronico, relative ai pescherecci registrati presso la loro nazione e che temporaneamente si trovano in acque territoriali italiane.
Sono unità elaborative dislocate su quindici centri territoriali italiani (Direzioni Marittime) che, collegate con l'unità centrale del CCNP, permettono di gestire le informazioni riguardanti i pescherecci che navigano nelle loro zone di competenza o su cui stanno effettuando i controlli.
I CCAP sono: Genova, Livorno, Napoli, Reggio, Calabria, Bari, Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste, Catania, Palermo, Cagliari, Pescara e Olbia.
E' l'insieme delle linee che collegano tra di loro:
Il collegamento satellitare bidirezionale tra il sistema di bordo e il CCNP, è la gateway satellitare che permette di scambiare i messaggi tra il sistema di bordo e il CCNP.
Sistema di Controllo Satellitare delle attività di pesca
Gli Stati membri auspicano che chiunque si approcci al mare per finalità ludico-sportivo-ricreative si faccia promotore di una cultura sempre più volta alla conservazione dell’ambiente marino e delle sue risorse ed alla sostenibilità delle attività svolte in esso.
Per regolare e disciplinare l’attività di pesca del tonno rosso (thunnus thynnus) e le attività connesse secondo la disciplina e le norme stabilite in seno ai vigenti Regolamenti comunitari ed alla normativa nazionale, le Capitanerie di Porto recependo la regolamentazione in materia, hanno emesso apposita “Ordinanza” al fine di regolare il prelievo di tonno rosso da parte della pesca sportiva e ricreativa. A tal infine vengono indicate rispettivamente le “regole” basilari che il pescatore sportivo/ricreativo ha l’obbligo rispettare proprio per scongiurare che il tonno rosso, già abbondantemente sfruttato ed in via di estinzione in altri mari, possa estinguersi anche nel nostro mare.
► Divieti:
► Divieti:
Anche per la pesca sportiva vale la regola…”garantire, per quanto possibile, il rilascio dei tonni catturati vivi, in particolare del novellame”.
Le manifestazioni di pesca sportiva potranno avvenire solo se preventivamente autorizzate dall’ Autorità Marittima competente. I dati delle catture di tonno rosso nell’ambito delle manifestazioni sportive dovranno essere comunicati all'Autorità Marittima nel cui Circondario marittimo si svolgono le manifestazioni.
Il Ministero ha dato attuazione al Regolamento prevedendo che l'esercizio della pesca sportiva e ricreativa sia consentita ai soli possessori di specifiche “autorizzazioni” rilasciate dalle Autorità marittime (art. 12 Reg.).
L'obbiettivo e quello di monitorare le catture dei tonni e di tenere sotto controllo il quantitativo totale pescato.
Pertanto, i pescatori sportivi o ricreativi che intendano esercitare la pesca del tonno rosso dovranno chiedere il rilascio dell’autorizzazione all’Ufficio Circondariale Marittimo nella cui giurisdizione si trova il porto di stanza dell’unità da diporto da adibire a tale attività (se il porto in questione ricade nella giurisdizione di una Capitaneria di Porto, l’autorizzazione dovrà essere richiesta alla Sezione Pesca di quel Comando).
E’ il caso di chiarire che tale autorizzazione ha validità su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’Ufficio che ne ha curato il rilascio ed è limitata all’anno corrente.
Dichiarazione di cattura del tonno rosso (Reg. (CE) N. 302/2009)
Nome e/o numero di iscrizione dell’unità da diporto: __________________________________
(per i natanti, il proprietario dovrà indicare anche le matricole dei motori, come risultanti dai relativi documenti)
Riferimento comunicazione [ ] VHF [ ] telefono in data : _____________ alle ore: _______
Data: Il Comandante dell’unità ____________________
Modalità per effettuare la comunicazione preliminare
SI RICORDA CHE:
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Gli esemplari di tonno rosso provenienti dalla pesca sportiva o ricreativa possono essere sbarcati presso gli approdi del Circondario Marittimo.
Al termine della battuta di pesca, prima di rientrare in porto, i conduttori delle unità da diporto che intendano sbarcare tali esemplari, hanno l’obbligo di «prenotificare» il loro arrivo in porto, via VHF o telefonicamente, all’Autorità Marittima del porto di sbarco (ovvero alla più vicina Capitaneria di Porto), comunicando l’orario di previsto arrivo con congruo anticipo. al fine di dare la eventuale possibilità, al personale addetto, di effettuare il controllo direttamente in banchina.
Per lo sbarco del tonno rosso proveniente da operazioni di pesca sportiva e ricreativa non è obbligatoria la presenza di “ispettori” degli Organi di controllo ferma restando, tuttavia, la permanenza obblighi di prenotifica e di consegna della dichiarazione di cattura entro le 24 ore dallo sbarco.
Entro 24 ore dallo sbarco deve essere consegnata, ovvero trasmessa all’Autorità Marittima del porto di sbarco, una copia della«dichiarazione di cattura», utilizzando il modello apposito allegato all’Ordinanza.
Le unità adibite ed autorizzate alla pesca sportiva o ricreativa, una volta ormeggiate in porto, non potranno iniziare le operazioni di sbarco degli esemplari catturati sino a quando non sarà presente in banchina un incaricato dell’Autorità Marittima o, comunque, prima di aver ricevuto il preventivo nulla osta da parte della stessa.
I contravventori alla «Ordinanza» saranno perseguiti ai sensi della normativa vigente, ed in particolare, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, dalle disposizioni di legge di seguito elencate:
Il «fermo pesca» che interessa ormai da parecchi anni le unità autorizzate ad effettuare la pesca con i «sistemi a strascico e/o volante», è quel periodo di interruzione, solitamente durante la stagione estiva, che si attua per permettere la riproduzione di specie bentoniche e pelagiche.
Il fermo dell’attività di pesca che tiene conto delle esigenze di tutela degli stock ittici, può essere definito quindi come «l’arresto temporaneo delle navi da pesca per un periodo di 45 giorni consecutivi, per il quale lo Stato corrisponde un premio».
Da esso bisogna distinguere il «fermo tecnico», ossia il periodo di arresto supplementare in aggiunta al fermo biologico, per il quale non è corrisposto alcun premio, di cui alla Legge 41/1982.
Il calendario prevede il fermo biologico, per le unità da pesca iscritte nei «Compartimenti marittimi tirrenici e ionici», nel periodo… dal 31 agosto al 14 ottobre e, per le unità da pesca iscritte nei «Compartimenti marittimi adriatici», nel periodo… dal 31 luglio al 13 settembre
Nelle acque antistanti i Compartimenti marittimi in cui è attivato il fermo pesca, non è consentita la pesca a strascico o volante a nessuna unità da pesca, anche se proveniente da altri Compartimenti.
Non sono soggette al fermo biologico e possono esercitare la pesca nei periodi di interdizione, tutte le unità abilitate al «sistema di pesca a sciabica».
Per le unità iscritte nei Compartimenti marittimi della Sicilia e Sardegna il fermo biologico è disciplinato dalle rispettive legislazioni regionali. Per Sicilia e Sardegna saranno dunque i Governi regionali a decidere le opportune misure di tutela delle risorse ittiche.
Approfondimenti
Fermo bilogico 2009 in Sardegna
A partire dal 15/9/2009 sul lato occidentale e dal 22/9 sul lato orientale della Sardegna, per 45 giorni, la Regione Autonoma della Sardegna (RAS) ha decretato il fermo biologico per la pesca con reti da posta e palangari, ma si fermerà anche la pesca subacquea dei dilettanti in tutti i giorni della settimana tranne il week end, non si fermerà invece quella dei pescatori subacquei professionisti e non si fermerà, anche se ne limita gli attrezzi da pesca, quella della pesca dei dilettanti di superficie ( i”cannisti”).
Dal 15 settembre al 5 novembre inclusi vige il fermo biologico che riguarderà anche i pescatori sportivi. Esso sarà articolato in questo modo:
In queste acque la pesca sportiva marittima dovrà essere esercitata esclusivamente alle seguenti condizioni:
La pesca subacquea sportiva può essere esercita nelle sole giornate di sabato, domenica e festivi.
Le limitazioni imposte dal fermo non riguardano le gare di pesca sportiva promosse dalle competenti Federazioni, Associazioni o Enti di promozione che abbiano già ottenuto, alla data di entrata in vigore del presente decreto, la specifica autorizzazione dall’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma agro pastorale e dall’Ufficio Statale Marittimo Competente per territorio.
E’ ammessa la pesca con altri sistemi, previa esplicita istanza al Capo del Compartimento competente. Le Navi abilitate allo strascico e/o volante, od autorizzate alla “Pesca Turismo” possono optare per la continuazione della pesca durante il periodo di interruzione, rinunciando agli aiuti previsti, “previo sbarco delle attrezzature per lo strascico e/o volante” (la rinuncia deve annotarsi sulla Licenza di Pesca)
Di tale scelta l’armatore deve fornire comunicazione entro il giorno precedente l’inizio dell’interruzione alla Capitaneria di porto competente. Tali navi possono riprendere la pesca a strascico e/o volante solo a partire dalla 9^ settimana successiva al termine del periodo di interruzione.
Durante il periodo di fermo è consentita sia la manutenzione ordinaria che straordinaria, nonché operazioni di rinnovo certificati di sicurezza; è altresì ammesso il raggiungimento del luogo ove tali operazioni si devono effettuare, attestate da un impegno del cantiere e previo sbarco delle attrezzature da pesca.
L’autorizzazione è rilasciata dall’Ufficio marittimo di iscrizione, per il tempo strettamente necessario al raggiungimento del cantiere.
Se il disarmo per manutenzione è avvenuto prima dell’inizio del periodo di fermo, l’unità non è ammessa al beneficio del premio.
L’unità deve essere stata armata ed equipaggiata per almeno 120 giorni dell’anno civile quello precedente il fermo.
Salvi i casi di forza maggiore o sbarco volontario, non è consentito lo sbarco di membri di equipaggio nei 10 giorni precedenti e nei 30 giorni successivi il periodo di fermo biologico, nei casi di sbarco per forza maggiore, l’indennità è corrisposta fino alla data dello sbarco; nel caso di reimbarco da infortunio o malattia, l’indennità e corrisposta dalla data di reimbarco; in tutti gli altri casi, l’indennità è corrisposta al numero degli imbarcati risultante il giorno precedente l’inizio del fermo biologico.
Entro il primo giorno di interruzione della pesca, l’Armatore deve:
L’Autorità marittima competente accerta che:
L’Autorità marittima competente, sulla base dei prospetti di liquidazione redatti dalla Capitaneria di porto, emana gli "ordini di pagamento", singoli o cumulativi (in questo caso i soggetti beneficiari debbono, entro 7 giorni dalla disponibilità della somma, versare ai singoli interessati “importo al netto della quota associativa sindacale”).
Contro i provvedimenti emessi dalla Capitaneria di porto sono ammessi “mezzi impugnativi previsti dalle leggi vigenti”.
Chiunque attua la pesca con sistemi a strascico e/o volante nelle acque dei Compartimenti marittimi in cui è prevista l’interruzione temporanea della pesca, anche se provenienti da altri compartimenti marittimi: sospensione licenza di pesca per 30 giorni.
Nessun aiuto è previsto per l’armatore che non rispetta il “Contratto Nazionale Collettivo.
Per tutto il periodo di interruzione temporanea della pesca è concesso:
Nessun aiuto è previsto per la nave posta in disarmo prima dell’inizio dell’interruzione temporanea della pesca e che permane in disarmo durante il periodo di interruzione.
Il premio non è cumulabile con altri benefici concessi dalle Regioni, Enti pubblici, Province, Comuni, fatta salva la possibilità di integrazione nella misura massima concedibile.
Il principale riferimento legislativo per la pesca subacquea è il Regolamento approvato con D.P.R. 02.10.68, n° 1639 con successive modificazioni ed integrazioni (regolamento emanato in esecuzione alla Legge 14.07.65 n° 963 concernente la disciplina della pesca marittima).
Per semplicità di trattazione, chiameremo la Legge 963/65 semplicemente "Legge" ed il D.P.R. 1639/68 semplicemente "Regolamento". E' bene subito precisare che Legge e Regolamento, che dettano norme generali valide su tutto il territorio nazionale, non costituiscono l'unico riferimento per i pescatori subacquei.
La Legge prevede il divieto generale di "pescare in zone e tempi vietati dai regolamenti, decreti, ordini legittimamente emanati dall'Autorità amministrativa e detenere, trasportare e commerciare il prodotto di tale pesca, nonché pescare quantità superiori a quelle autorizzate, per ciascuna specie, da regolamenti, decreti ed ordini legittimamente emanati dall'Autorità amministrativa" (art. 15 comma 1 lett. a). Ciò significa che in pratica la legge proibisce e sanziona la violazione di regolamenti, decreti ed ordini emanati dalle Autorità locali la cui esistenza va verificata di volta in volta.
Questo sistema, se da una parte non semplifica la vita del pescatore subacqueo costringendolo ad assumere informazioni ogni volta che desidera immergersi in un nuovo posto, dall'altra consente all'Autorità locale di prendere provvedimenti imposti da esigenze tipicamente locali.
Oltre al complesso e frazionato sistema normativo relativo alle aree marine protette, quindi, esiste un altro sistema particolare di regolamentazione, teoricamente subordinato rispetto alla normativa nazionale, costituito dalle "Ordinanze Balneari”.
Tali ordinanze sono emesse ogni anno dalle Capitanerie di Porto in occasione dell'apertura della stagione balneare (che di solito va da Maggio a Settembre) e restano in vigore per tutta la durata la stagione. Molte volte le Ordinanze Balneari si limitano a richiamare le norme generali contenute nel Regolamento, ma altre volte specificano le limitazioni in modo peculiare, finendo così per dettare una normativa "locale" valida solo nella giurisdizione dell'Autorità che ha emanato l'atto.
Per completezza, bisogna ricordare anche la normativa delle Regioni a statuto speciale (Sardega, Sicilia e Friuli), che detta norme valide solo all'interno del territorio regionale e che spesso deroga a quella nazionale.
Proprio per l'esistenza di varie fonti normative, oltre a conoscere le regole generali è sempre indispensabile informarsi circa l'esistenza di ordinanze, leggi o regolamenti vigenti in ambito locale. Soprattutto quando si va in vacanza, è bene informarsi al meglio prima di entrare in acqua: non ci dimentichiamo che le sanzioni del pescatore subacqueo sono tutte molto salate e che alcune violazioni possono addirittura integrare dei veri reati.
La legge attribuisce la responsabilità per il coordinamento dell'attività di controllo e vigilanza sulla pesca al Ministero per le Politiche Agricole (art. 19 L. 963/65), svolta sotto la direzione del Corpo delle Capitanerie di Porto (art 21 comma 1 L 963/65).
La vigilanza sul rispetto delle leggi e dei regolamenti è affidata "al personale civile e militare della Amministrazione centrale e periferica della Marina Mercantile (ora a quello delle Politiche Agricole e Forestali), alla Guardia di Finanza, ai Carabinieri, agli agenti di pubblica sicurezza" nonché agli agenti giurati che gli enti locali (Regioni e Province) e "chiunque vi abbia interesse" possono nominare.
Oltre alla Guardia Forestale, quindi, assumono funzione di organo di controllo dell'attività di pesca un cospicuo numero di soggetti non ben identificabili a priori.
Pesca subacquea professionale: battuta di pesca
La pesca subacquea professionale è consentita esclusivamente a coloro che sono in possesso della «Specializzazione di pescatore subacqueo».
Può essere esercitata solo dall’alba al tramonto ed esclusivamente nell’ambito del Compartimento marittimo che ha rilasciato l’Autorizzazione (art. 2 D.M. 20 ottobre 1986).
Ha "validità annuale", ed è rilasciata dal Capo del compartimento marittimo a condizione che (art. 4 D.M. 20 ottobre 1986):
Il Comandante della Capitaneria competente stabilisce con propria “Ordinanza”:
Ai sensi dell’art. 129 del Regolamento D.P.R. n °1639/68, intitolato "Limitazioni" l’esercizio della pesca subacquea professionale è vietato:
► Alcune considerazioni
Il limite che pone più problemi interpretativi è quello previsto dal punto a), anche perché il divieto dell'articolo 129 è ribadito praticamente in tutte le Ordinanze Balneari. Per chiarire il significato della norma, cerchiamo di rispondere agli interrogativi più comuni.
Il limite di distanza è valido solo in presenza di spiagge vere e proprie o anche in caso di scogliere ?
Letteralmente, spiaggia è cosa diversa da scogliera, ma la ragione della norma è quella della tutela dei bagnanti. Pertanto, l'obbligo di mantenere la distanza di rispetto deve ritenersi valido anche nel caso di scogliere frequentate da bagnanti.
Alcune Ordinanze, però, nel caso di scogliere a picco prevedono una distanza inferiore (di solito 100-200 metri) o addirittura consentono di pescare a ridosso della roccia, ma solo in assenza di bagnanti.
Cosa si intende per spiaggia frequentata da bagnanti ?
Le risposte possibili sono sostanzialmente tre:
Dato che come si è detto lo scopo è quello di «tutelare i bagnanti», la soluzione preferibile ci appare quella dell'ipotesi numero 2: di conseguenza, non solo il pescatore subacqueo deve stare alla larga dagli stabilimenti balneari, ma anche da quelle spiaggette raggiungibili solo via mare e quelle scogliere "solitamente" frequentate da bagnanti.
La distanza di 500 metri dalla costa vale solo durante la stagione balneare o tutto l'anno ?
L'art. 129 del Regolamento è una norma con forza di legge, valida su tutto il territorio e tutto l'anno. Ciononostante, è ormai pacifico ed accettato da tutti che il limite sia operativo solo durante la stagione balneare, definita dall'Ordinanza Balneare. Evidentemente, il motivo di questa interpretazione sta proprio nella ragione della norma, che è quella della tutela dei bagnanti.
Il concetto di spiaggia "solitamente" frequentata da bagnanti, al contrario delle altre due ipotesi, è perfettamente compatibile con questa interpretazione. Se si accogliesse il concetto di spiaggia frequentata da bagnanti dei punti 1 o 3, infatti, non avrebbe senso porre dei limiti temporali che la legge non ha previsto.
Ci si può immergere da una spiaggia frequentata da bagnanti per pescare alla distanza di legge ? Come si misurano i 500 metri ? Verso il largo o in tutte le direzioni ?
Ci si può immergere da una spiaggia frequentata da bagnanti, a patto però di caricare il fucile solo dopo che si è raggiunta la distanza i rispetto, che si calcola "a ventaglio", ossia in tutte le direzioni e non solo verso il largo.
In caso di una piccola cala tra due tratti di costa rocciosa, i 500 metri andranno percorsi o verso il largo o parallelamente alla costa.
I punti b) e c) dell'articolo 129 non richiedono particolari commenti, mentre il punto d) conferma l'importanza di rivolgersi alle Capitanerie di Porto per conoscere le limitazioni locali.
Sul divieto di pesca notturna previsto dal punto e), possiamo solo notare come la proibizione si giustifichi col fatto che molte specie ittiche durante le ore notturne diventano molto vulnerabili, specie se illuminate dalla torcia subacquea.
Va aggiunto che oltre ad essere vietata ed antisportiva, la pesca subacquea notturna racchiude anche rischi maggiori per l'incolumità.
Tutte le violazioni dell'art. 129 sono punite con sanzione amministrativa da 1.000 a 3.000 euro.
Con riferimento alle «distanze di rispetto», le Ordinanze Balneari giocano un ruolo essenziale, perché spesso individuano delle aree specifiche in cui è vietata la balneazione, che dobbiamo ritenere un presupposto per l'esercizio della pesca in apnea. La consultazione dell'Ordinanza in vigore sulla zona di pesca è pertanto fortemente consigliabile. E’ poi da notare come la distanza di 500 metri appaia eccessiva, soprattutto in considerazione del fatto che un qualsiasi problema o malessere potrebbe avere gravi conseguenze in determinate circostanze. Inoltre, se si considera che le stesse imbarcazioni devono rispettare una distanza minore - solitamente 300 metri - appare davvero difficile comprendere la ragione di una distanza così grande.
Occorre segnalare che a volte capita di imbattersi in Ordinanze che prevedono distanze inferiori a quella usuale: non sappiamo se per una svista, l'Ordinanza 48/2001 della Capitaneria di Porto di Catania prevedeva una distanza di 300 metri.
Tale pesca può essere effettuata esclusivamente mediante l’uso di (art. 9 D.M. 20/10/1986):
► Obbligo di segnalazione
Sostanzialmente, è l'obbligo principale imposto al pescatore subacqueo. Data la sua importanza, riportiamo l'articolo di legge per intero:
Art. 130 del Regolamento: "Il subacqueo in immersione ha l'obbligo di segnalarsi con un galleggiante recante una bandiera rossa con striscia diagonale bianca, visibile ad una distanza non inferiore a 300 metri; se il subacqueo è accompagnato da mezzo nautico di appoggio, la bandiera deve essere messa issata sul mezzo nautico. Il subacqueo deve operare entro un raggio di 50 metri dalla verticale del mezzo nautico di appoggio o del galleggiante portante la bandiera di segnalazione".
Boa Atoll
L'articolo del Regolamento (art. 128 ter, introdotto con l'art. 3 del D.M. 1 Giugno 1987 n. 249) consente ai fini della sicurezza e della salvaguardia dei pescatori subacquei professionali, di trasportare sul mezzo nautico il fucile subacqueo ed una bombola ad aria compressa di capacità non superiore a 10 litri, fermo restando il divieto di servirsene per l'esercizio della pesca.
Se utilizzate navi di appoggio, queste vanno regolarizzate come unità da pesca professionale.
La Pesca Non professionale, così come la definisce l’art. 6 del D.lgs. n. 4/2012, è la pesca che sfrutta le risorse acquatiche marine vive per fini ricreativi, turistici, sportivi (agonistici) e scientifici. Tale tipo di pesa si ripartisce a sua volta (Regolamento CE 302/2009) in :
La pesca sportiva-ricreativa è disciplnata dal Decreto Legislativo 19 gennaio 2012, n. 4 (come modificato dall’art. 39 – Capo VIII della Legge 28 luglio 2016, n. 154 sulle disposizioni in materia di pesca e acquacoltura) e Regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. n. 1639 del 2 ottobre 1968 (modificato dal D.P.R. n. 219/1983)
A sua volta la pesca sportiva e ricreativa la si può suddividere in:
Sono vietati, sotto qualsiasi forma, la vendita ed il commercio dei prodotti di tale tipo di pesca.
Ciononostante, in via eccezionale, può essere autorizzata la “commercializzazione” di specie catturate nell’ambito di “gare sportive”, purché il reddito generato dalla loro vendita sia destinato a scopi benefici.
In generale la pesca ricreativa è consentita con l’uso dei seguenti attrezzi “individuali” e “non individuali”
[1] Trappola (es. nasse): attrezzo da pesca che viene calato ed ivi lasciato passivamente, generalmente costituito da una camera con una o più bocche che permettono l’ingresso, ma non l’uscita degli organismi da catturare.
La pesca sportiva-ricreativa è consentita con l'uso dei seguenti attrezzi “individuali” e “non individuali” (artt. 138 Reg. n. 1639/68) ma tale uso presenta le seguenti limitazioni:
Pesca col rezzaglio
L’articolo 139 del Regolamento n. 1639/68 (Norma di comportamento), vieta l'esercizio della pesca sportiva-ricreativa:
Nell'esercizio della pesca sportiva-ricreativa possono essere utilizzate solo “unità da diporto” (c.d. fotta lusoria) come definite dalla Legge n. 171/2005, e successive modificazioni ed integrazioni (art. 143 D.P.R. n. 1639/68)
Nell’ambito della pesca sportiva e ricreativa è vietato per la cattura di specie “altamente migratorie” l’uso (Reg. CE 1967/2006) dei seguenti “attrezzi” :
E’ consentita con attrezzi “individuali” e “non individuali” ma tale uso presenta, peraltro, le seguenti “limitazioni” (art. 140 D.P.R. n. 1639/68):
1. NON possono essere utilizzate “bilance” di lato superiore a 6 metri e maglia di dimensioni non inferiore a 10 mm);
2. NON può essere utilizzato “rezzaglio” (=giacchio o sparviero) di perimetro superiore a 16 metri;
3. NON possono essere usate più di 5 (Cinque) “canne” per ogni pescatore sportivo a non più di 3 ami, e “correntine” a non più di 6 ami;
4. NON può essere usate più di 1 “totanara” per pescatore sportivo. Può essere munita di una “fonte luminosa” (D.M. 27/07/1998)
5. il numero degli ami dei “palangari” complessivamente calati da ciascuna unità NON deve essere superiore a 200 ami (qualunque sia il numero delle persone presenti a bordo dell’unità da diporto);
6. NON possono essere calate da ciascuna unità più di 2 (Due) “nasse” (qualunque sia il numero delle persone presenti a bordo dell’unità da diporto);
7. è vietato l'uso di “fonti luminose” ad eccezione della “torcia” utilizzata nell'esercizio della pesca subacquea (es. di giorno per stanare la preda dalla tana);
8. per la pesca con la “fiocina” è consentito l'uso della “lampada” (non sono previsti limiti di luminosità).
Il singolo pescatore ricreativo può catturare giornalmente (da terra o da unità da diporto):
1. pesci
2. molluschi (cefalopodi, bivalvi e gasteropodi)
3. crostacei
di taglia minima prevista dalla normativa nazionale e comunitaria e in quantità giornaliera massima di Kg. 5, salvo il caso di preda singola di peso superiore (art. 142 D.P.R. n. 1639/68):
4. NON più di 3 Kg. di “mitili” (cozze), senza ausilio di attrezzi di sorta e con modalità stabilite con Ordinanza dal Comandante della Capitaneria di porto (Decreto 10 aprile 1997);
5. NON può catturare giornalmente più di un esemplare di “Cernia” a qualunque specie appartenga (es. Cernia di fondale)
a. la pesca della “lumachina di mare” è consentita purché non venga utilizzato l’attrezzo denominato “rapido” e “sfogliara”;
b. è vietata la pesca del “riccio di mare” (è consentita, peraltro, in apnea e solo manualmente - Decreto 7 luglio 1995 “Disposizioni per la pesca del riccio di mare”);
c. è vietato catturare, detenere a bordo, trasbordare e sbarcare femmine mature di “Astice” e “Aragosta”.
d. è vietata la cattura giornaliera di più di n° 1 esemplare di “tonno rosso” per ogni unità da diporto, di taglia minima non inferiore ai 30 Kg. o di 115 cm di lunghezza, indipendentemente dal numero di persone presenti a bordo.
È fatto obbligo informare l’Autorità Marittima prima dell’accesso in porto dell’avvenuta cattura e successivamente compilare il “certificato di cattura” reperibile presso qualsiasi Autorità Marittima.
L’esemplare catturato deve essere sbarcato intero (Reg. CE 1559/2017).
e. è vietata la cattura giornaliera di più di n° 1 esemplare di pesce spada per ogni unità da diporto, di taglia minima non inferiore ai 140 cm e/o 10 kg o 90 cm di lunghezza. È fatto obbligo informare l’Autorità Marittima prima dell’accesso in porto dell’avvenuta cattura e successivamente compilare il certificato di cattura reperibile presso qualsiasi Autorità Marittima;
f. nell’esercizio della pesca occorre rispettare le “dimensioni minime” dei pesci, dei molluschi e dei crostacei previste dal Regolamento sulla pesca, di cui al DPR n. 1639/1968, e all’Allegato III Reg. CE 1967/2006.
g. è vietata la vendita dei prodotti ittici pescati (anche Reg. CE 1967/2006);
Attenzione !
Le limitazioni suddette non si applicano ai partecipanti alle "manifestazioni sportive" (D.M. 12 gennaio 1995).
Il Tonno Rosso (Thunnus thynnus), è un pesce con un'enorme importanza commerciale La sua carne è molto ricercata, in special modo per preparare il sashimi [34] ed il sushi [35]. La parte più pregiata è la cosiddetta ventresca [36], prodotta con la regione attorno alla cavità addominale del pesce. Viene insidiato con una miriade di tecniche, come la tradizionale mattanza [37] nella tonnara [38], le reti da circuizione [39], i palamiti [40] e la fiocina [41]. I pescatori sportivi [42]-ricreativi lo catturano a traina [43] o a drifting [44] (pesca con esche naturali a unità ferma).
Da qualche anno si sta espandendo molto la pesca sportiva catch and release[1] con tecnica spinning[2] molto adrenalinica.
In ossequio alle vigenti normative internazionali (Reg. UE 2016/1627 e D.D. 10/04/2017), il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Direzione Generale della Pesca e dell'Acquacoltura, ha inteso disciplinare l'esercizio delle pesca sportiva/ricreativa della risorsa Tonno rosso. conosciuto anche come “tonno pinna blu”.
In particolare, il menzionato provvedimento prevede il rilascio, a cura dell'Ufficio circondariale marittimo nella cui giurisdizione ricade il porto di stanza dell'unità da diporto interessata, di una “specifica autorizzazione” con validità triennale e rinnovabile alla scadenza.
Attenzione !
Tale nulla-osta si riferisce all'unità da diporto (che, naturalmente, deve essere di nazionalità italiana), per cui non è necessaria la presenza a bordo del soggetto che ne ha fatto richiesta.
Dal punto di vista tecnico operativo sono previste le seguenti limitazioni:
[1] Il Catch & Release (dall'inglese [45] catturare e rilasciare) è una pratica di pesca [46] per la quale non si uccide il pesce pescato, qualsiasi sia la tecnica di pesca utilizzata, ma lo si rilascia in acqua. Non ci sono notizie certe sull'origine di questo comportamento, ma possiamo dare per certo che abbia avuto inizio negli Stati Uniti [47] negli ambienti della pesca con la mosca [48] e della pesca a spinning [49] al black bass o persico trota (Micropterus salmoides [50]). Queste due tecniche di pesca, la pesca a mosca e lo spinning, sono tuttora le discipline alieutiche che supportano maggiormente e praticano il Catch & Release. L'impatto ambientale dei pescatori che praticano questa tecnica è quasi nullo dato che la popolazione ittica di una determinata area non viene in questo modo intaccata da un prelievo indiscriminato. Rilasciare il pesce pescato, per chi condivide, attua e diffonde la pratica del catch and release, non è solo segno di civiltà e rispetto ambientale, ma rappresenta una vera filosofia e approccio alla pesca, dove alla gioia della cattura si aggiunge la felicità del vedere l'animale appena catturato di nuovo libero.
[2]. La Pesca a spinning è un tipo di pesca sportiva [42] mirata alla cattura dei pesci predatori. Lo spinning è una tecnica di pesca nella quale si utilizzano esche artificiali, in metallo, legno o plastica. Essa prende il suo nome dal movimento dell'esca [51] artificiale (dall'inglese [45] to spin, ruotare). La pesca a spinning era originariamente praticata con esche come cucchiaini rotanti (spoon in inglese) che, venendo recuperati ad una velocità variabile, producevano un movimento rotatorio in acqua e quindi delle vibrazioni che attiravano il pesce. L'esca artificiale può variare a seconda della situazione: le più comuni sono i cucchiaini [52] che possono essere rotanti o ondulanti in questi casi, essa è costituita da una paletta metallica che ruota sul suo asse nel momento in cui è recuperata dal pescatore, subito dopo il lancio, i pesci artificiali in plastica o balsa e le esche siliconiche [53]. L'asse attorno a cui ruota la paletta è appesantito da un piccolo peso di piombo, di forma pressoché sferoidale, il cui diverso peso incide, tra l'altro, sulla profondità che potrà raggiungere l'esca nell'acqua e sulla distanza che potrà essere raggiunta con il lancio.
[3] I totali ammissibili di catture (TAC), o possibilità di pesca, sono limiti di cattura (espressi in tonnellate o numeri) che vengono fissati per la maggior parte degli stock ittici commerciali.
Il regime sanzionatorio per le violazioni alle disposizioni in materia di pesca sportiva/ricreativa del Tonno rosso (Thunnus thynnus), è stabilito dalle pertinenti disposizioni di cui al vigente D.Lgs. n. 4/2012.
► Art. 11, comma 10 lettera a): Violare le norme vigenti relative all’esercizio della pesca sportiva, ricreativa e subacquea
► Art. 11, comma 11 lettera b) - Nel caso in cui il quantitativo totale di prodotto della pesca, raccolto o catturato giornalmente dal pescatore sportivo, ricreativo o subacqueo sia superiore a 5 kg, fatto salvo il caso in cui tra le catture vi sia un singolo pesce di peso superiore ai 5 kg.
per quantitativi > 5kg <10 kg da 1.000 a 6.000 euro
> 10kg <50 kg da 4.000 a 24.000 euro
> 50kg da 24.000 a 100.000 euro
ll Pesce Spada (Xiphias gladius) è un pesce osseo [54] marino, unica specie [55] della famiglia [56] Xiphiidae. Presente nel mar Mediterraneo [57], è un tipico pesce pelagico [58] che popola in prevalenza acque superficiali e che in certe situazioni si può avvicinare alle coste. Si tratta di una specie [55] di grande importanza per la pesca commerciale [5] che viene effettuata in prevalenza con palamiti [40] derivanti e reti da circuizione [59] nonché come bycatch [60] [1] nella pesca al tonno [61]. È anche catturato dai pescatori sportivi [42] d'altura.
In ossequio alle vigenti normative internazionali (Reg. UE 2016/1627, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali - Direzione Generale della Pesca e dell'Acquacoltura, ha inteso disciplinare l'esercizio delle pesca sportiva/ricreativa della risorsa pesce spada.
L’esercizio della pesca del pesce spada è sottoposto a preventivo ”nulla osta” da parte della competente Autorità Marittima. I pescatori sportivi o ricreativi che intendono esercitare tale tipo di pesca, mediante l’utilizzo di unità da diporto, dovranno presentare all’Ufficio circondariale marittimo, nella cui giurisdizione ricade il porto di stanza della medesima unità, apposita “dichiarazione” relativa all’intenzione di svolgere l’attività in questione con unità da diporto. Tale comunicazione vistata dall’Autorità Marittima deve essere tenuta insieme ai documenti di bordo ed esibita agli organi di controllo;
Gli interessati dovranno inoltre presentare, unitamente alla dichiarazione, la seguente documentazione:
a) copia autenticata della polizza di assicurazione del/i motore/i;
b) copia della documentazione amministrativa relativa al/ai motore/i;
c) copia di un documento di riconoscimento in corso di validità;
d) copia della licenza di navigazione dell’unità (qualora iscritta nei Registri delle imbarcazioni da diporto – R.I.D.).
In particolare, il menzionato provvedimento prevede il rilascio, a cura dell'Ufficio circondariale marittimo, di una “specifica autorizzazione” con validità triennale e rinnovabile alla scadenza.
Tale nulla-osta si riferisce all'unità da diporto (che, naturalmente, deve essere di nazionalità italiana), per cui non è necessaria la presenza a bordo del soggetto che ne ha fatto richiesta.
La dichiarazione, munita del nulla-osta dell’Autorità marittima, (validità triennale) consente lo svolgimento dell’attività di pesca per tutti i soggetti presenti a bordo e deve essere esibita, assieme agli altri documenti dell’unità, all’atto del controllo.
N.B. Non è necessaria, pertanto, la presenza a bordo del soggetto che ha presentato la dichiarazione.
Dal punto di vista tecnico operativo sono previste le seguenti limitazioni:
La percentuale di tolleranza consentita per il sottomisura, nella sola fase di cattura e/o sbarco, è del 5% rispetto al numero di esemplari.
[1]. Il bycatch è costituito da tutti gli organismi che vengono catturati involontariamente assieme alla specie [55] ricercata (specie target) durante l'attività di pesca [46] sia professionale [5] che, secondariamente, sportiva [42]. Il termine può essere applicato anche ad individui della specie oggetto dell'attività di pesca ma troppo rovinati, di taglia troppo piccola (soprattutto se esiste una misura minima legale per quella specie) o troppo grande per essere commercializzati. Non sempre il bycatch è una perdita per i pescatori, infatti talvolta è composto da specie commercializzabili, in casi estremi perfino di valore superiore a quello della specie target. Si parla in questo caso di bycatch commerciale. La gran parte del bycatch viene comunque scartata.
[2]. Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico.
Il regime sanzionatorio per le violazioni alle disposizioni in materia di pesca sportiva/ricreativa del Pesce Spada è stabilito dalle pertinenti disposizioni di cui al vigente D.Lgs. n.4/2012.
► Art. 11, comma 10 lettera a) - Violare le norme vigenti relative all’esercizio della pesca sportiva, ricreativa e subacquea.
Sanzione principale: sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 euro a 6.000 euro di cui all’art. 11 comma 10, Dlgs. n. 4/2012.
Sanzione accessoria di cui all’art. 12, comma 1 D.lgs. n. 4/2012:
► Art. 11, comma 11 lettera b) - Nel caso in cui il quantitativo totale di prodotto della pesca, raccolto o catturato giornalmente dal pescatore sportivo, ricreativo o subacqueo sia superiore a 5 kg, fatto salvo il caso in cui tra le catture vi sia un singolo pesce di peso superiore ai 5 kg.
> 10kg <50 kg da 4.000 a 24.000 euro
> 50kg da 24.000 a 100.000 euro
Dal 2011 è obbligatorio da parte dei pescatori dilettanti che intendono praticare la pesca in mare, da terra e da unità da diporto, “comunicare” al Ministero delle politiche agricole l'esercizio della pesca in mare di tipo sportivo e ricreativo.
“La pratica di pesca sportiva e ricreativa a mare è subordinata al possesso del relativo permesso rilasciato a titolo oneroso in ragione del tipo di pesca praticato e degli attrezzi utilizzati."
Il D.M. 6 dicembre 2010, in attuazione delle previsioni del Reg. (CE) 1967/2006, ha stabilito, allo scopo di promuovere la “rilevazione (=censimento) della consistenza della pesca sportiva e ricreativa”, che tutti i pescatori dilettanti che intendono praticare la pesca in mare, da terra e da unità da diporto, hanno l’obbligo di “registrarsi” effettuando una “comunicazione” al Ministero delle politiche agricole e forestali – Direzione Generale della pesca marittima e dell’acquacoltura (MIPAF) (o attraverso sito web o presso gli Uffici delle Capitanerie di Porto competenti per territorio) al fine di ottenere il “permesso (tesserino) di pesca” in mare.
La comunicazione deve contenere:
Il permesso obbligatorio è rilasciabile gratuito sul sito ufficiale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Dopo la registrazione, infatti, sarà possibile stampare l’attestato per la pesca in mare da tenere sempre dietro e da esibire in caso di richiesta degli Organi di polizia. Al momento del controllo il pescatore sportivo o ricreativo deve esibire l'attestazione dell'invio della comunicazione. L'attestato della avvenuta comunicazione funzionerà da “titolo” per l'esercizio della pesca.
Qualora non ne sia in possesso, deve sospendere l'attività di pesca ed effettuare entro 10 giorni dall'accertamento da parte dell’Organo di controllo, la comunicazione ovvero presentare, all'Autorità che ha effettuato il controllo, l'attestazione della comunicazione già effettuata, per non incorrere in sanzioni.
La comunicazione è obbligatoria per tutti coloro che abbiano compiuto 16 anni, ha validità di 3 anni e può essere effettuata in vari modi:
Tesserino Fac-Simile
Ai sensi dell’art. 129 del Regolamento D.P.R. n 1639/68, intitolato "Limitazioni" l’esercizio della pesca subacquea è vietato:
Il limite che pone più problemi interpretativi è quello previsto dalla lettera a), anche perché il divieto dell'articolo 129 è ribadito praticamente in tutte le Ordinanze Balneari. Per chiarire il significato della norma, cerchiamo di rispondere agli interrogativi più comuni.
Letteralmente, spiaggia è cosa diversa da scogliera, ma la ragione della norma è quella della tutela dei bagnanti. Pertanto, l'obbligo di mantenere la distanza di rispetto deve ritenersi valido anche nel caso di scogliere frequentate da bagnanti.
Alcune Ordinanze, però, nel caso di scogliere a picco prevedono una distanza inferiore (di solito 100-200 metri) o addirittura consentono di pescare a ridosso della roccia, ma solo in assenza di bagnanti.
Le risposte possibili sono sostanzialmente tre:
Dato che come si è detto lo scopo è quello di «tutelare i bagnanti», la soluzione preferibile ci appare quella dell'ipotesi numero 2: di conseguenza, non solo il pescatore subacqueo deve stare alla larga dagli stabilimenti balneari, ma anche da quelle spiaggette raggiungibili solo via mare e quelle scogliere "solitamente" frequentate da bagnanti.
L'art. 129 del Regolamento è una norma con forza di legge, valida su tutto il territorio e tutto l'anno. Ciononostante, è ormai pacifico ed accettato da tutti che il limite sia operativo solo durante la stagione balneare, definita dall'Ordinanza Balneare. Evidentemente, il motivo di questa interpretazione sta proprio nella ragione della norma, che è quella della tutela dei bagnanti.
Il concetto di spiaggia "solitamente" frequentata da bagnanti, al contrario delle altre due ipotesi, è perfettamente compatibile con questa interpretazione. Se si accogliesse il concetto di spiaggia frequentata da bagnanti dei punti 1 o 3, infatti, non avrebbe senso porre dei limiti temporali che la legge non ha previsto.
Ci si può immergere da una spiaggia frequentata da bagnanti, a patto però di caricare il fucile solo dopo che si è raggiunta la distanza i rispetto, che si calcola "a ventaglio", ossia in tutte le direzioni e non solo verso il largo.
In caso di una piccola cala tra due tratti di costa rocciosa, i 500 metri andranno percorsi o verso il largo o parallelamente alla costa.
I punti b) e c) dell'articolo 129 non richiedono particolari commenti, mentre il punto d) conferma l'importanza di rivolgersi alle Capitanerie di Porto per conoscere le limitazioni locali.
Sul divieto di pesca notturna previsto dal punto e), possiamo solo notare come la proibizione si giustifichi col fatto che molte specie ittiche durante le ore notturne diventano molto vulnerabili, specie se illuminate dalla torcia subacquea.
Va aggiunto che oltre ad essere vietata ed antisportiva, la pesca subacquea notturna racchiude anche rischi maggiori per l'incolumità.
Con riferimento alle «distanze di rispetto», le Ordinanze Balneari giocano un ruolo essenziale, perché spesso individuano delle aree specifiche in cui è vietata la balneazione, che dobbiamo ritenere un presupposto per l'esercizio della pesca in apnea. La consultazione dell'Ordinanza in vigore sulla zona di pesca è pertanto fortemente consigliabile. E’ poi da notare come la distanza di 500 metri appaia eccessiva, soprattutto in considerazione del fatto che un qualsiasi problema o malessere potrebbe avere gravi conseguenze in determinate circostanze. Inoltre, se si considera che le stesse imbarcazioni devono rispettare una distanza minore - solitamente 300 metri - appare davvero difficile comprendere la ragione di una distanza così grande.
Occorre segnalare che a volte capita di imbattersi in Ordinanze che prevedono distanze inferiori a quella usuale: non sappiamo se per una svista, l'Ordinanza 48/2001 della Capitaneria di Porto di Catania prevedeva una distanza di 300 metri.
Il pescatore subacqueo ricreativo-sportivo non può catturare tutto quello che incontra perché esistono diverse limitazioni.
L'art. 142, del Regolamento di esecuzione (D.P.R. n. 1639 del 2 ottobre 1968) stabilisce che il pescatore ricreativo-sportivo può catturare giornalmente:
in quantità giornaliera massima di Kg. 5 complessivi (pesci + molluschi cefalopodi), salvo il caso di preda singola (tra pesci e molluschi cefalopodi) di peso superiore.
Il secondo comma dell'art. 128 bis del citato D.P.R., stabilisce che il pescatore ricreativo-sportivo subacqueo NON può raccogliere:
Il pescatore subacqueo ricreativo-sportivo NON può:
Per quanto riguarda il riccio di mare, la sua pesca è consentita esclusivamente in apnea e solo manualmente nel periodo da Gennaio ad Aprile e da Luglio a Dicembre. (art. 1, n. 3 e art. 2, n. 2 del Decreto 7 luglio 1995 “Disposizioni per la pesca del riccio di mare”), pena l'usuale sanzione amministrativa da 516 a 3.098 euro, inferta anche a chi raccoglie i ricci nei mesi di Maggio e Giugno[2].
Anche per il pescatore subacqueo ricreativo-sportivo valgono le “MISURE MINIME“ delle prede fissate dalla legge nazionale e comunitaria per tutti i tipi di pesca.
[1] Sono vietati la cattura, la detenzione a bordo del dattero di mare (Lithophaga lithophaga) e del dattero bianco (Pholas dactylus).
[2] La pesca del riccio è vietata nei mesi di maggio e giugno, in quanto l’animale è stato sottoposto negli ultimi tempi ad un prelievo indiscriminato sia da parte dei pescatori professionali sia da parte dei pescatori ricreativo-sportivo.
Sostanzialmente, quello di segnalarsi è l'obbligo principale imposto al pescatore subacqueo. Data la sua importanza, riportiamo l'articolo di legge per intero:
Art. 130 del Regolamento: "Il subacqueo in immersione ha l'obbligo di segnalarsi con un galleggiante recante una bandiera rossa con striscia diagonale bianca, visibile ad una distanza non inferiore a 300 metri; se il subacqueo è accompagnato da mezzo nautico di appoggio, la bandiera deve essere messa issata sul mezzo nautico. Il subacqueo deve operare entro un raggio di 50 metri dalla verticale del mezzo nautico di appoggio o del galleggiante portante la bandiera di segnalazione".
Boa Atoll
Mentre non sussiste alcuna differenza tra boa vera e propria e la cosiddetta "plancetta" (sia l'una che l'altra rientrano nel genere "galleggiante"), è importante sottolineare il fatto che la legge evidenzia molto l'importanza della bandiera rossa con striscia diagonale bianca quale segnale convenzionale di segnalazione del sub.
Tale precisazione si impone dal momento che spesso si notano subacquei che si segnalano con boa senza bandierina (che, in genere, è la prima cosa che si perde). In tal caso, oltre a correre inutili rischi, saremmo comunque passibili di un verbale da 1.000 a 3.000 euro, perché il galleggiante senza bandiera non soddisfa l'obbligo imposto dalla norma, che si preoccupa della sicurezza del subacqueo in immersione esposto al rischio di investimento da parte dei natanti.
E’ da rilevare come il legislatore, apparentemente non si sia curato di imporre in via generale una distanza di rispetto anche alle unità da diporto: in pratica, mentre il sub è severamente punito quando si allontana troppo dalla boa esponendosi al rischio di essere falciato da un'elica, nulla può contestarsi - in linea generale - al diportista che si avvicini incautamente alla boa segnasub mettendo a repentaglio l'incolumità del subacqueo.
La determinazione di tale "distanza di sicurezza" è talvolta stabilita dalle Capitanerie di Porto con Ordinanza. In questo caso la violazione della distanza di rispetto da parte del diportista integrerebbe un illecito amministrativo (art. 53, n. 3 D.lgs. n. 171/2005 - Nuovo Codice della Navigazione da diporto).
Al pescatore subacqueo, che comunque deve sempre essere dotato di boa segnasub, resta l'intelligenza di evitare, soprattutto nei mesi estivi, i posti e le ore con più intenso traffico nautico.
Alcune considerazioni:
Gli interrogativi posti dall'articolo 130 sono molti, vediamo di rispondere ai più comuni:
Occorre fare attenzione. La legge dice solo che la bandiera deve risultare visibile a non meno di 300 metri, ma le condizioni di visibilità in mare possono cambiare molto in relazione al suo stato. Con mare increspato o mosso, la nostra bandiera diventerà poco visibile e di questo dobbiamo sempre tenere conto.
In caso di condizioni che impediscano la visibilità della bandiera a grande distanza, si consiglia di evitare zone trafficate dalle imbarcazioni come le punte o di allontanarsi da riva.
Il rischio di essere multati in caso di condizioni di visibilità precaria è comunque praticamente assente, più che altro si tratta di una questione di sicurezza.
Qui l'incertezza generata dalla formulazione approssimativa della norma lascia spazio alle interpretazioni più disparate. In sostanza, durante un controllo potrà capitare di sentirsi dire tutto ed il contrario di tutto.
Senza complicare troppo il discorso, cercheremo di dare una lettura equilibrata della norma che vi metta al riparo da verbali ingiusti.
L'articolo 130 del Regolamento dice due cose in proposito:
Interpretando letteralmente il punto 1), si dovrebbe poter concludere che nel caso in cui il subacqueo ancori il mezzo e si allontani con la boa non ci sia alcun obbligo di issare la bandiera sul mezzo. Per essere "accompagnato" dal mezzo nautico, il subacqueo dovrebbe essere "seguito" da un assistente a bordo: il gommone ancorato, infatti, non "accompagna" nessuno.
Se andiamo a considerare la finalità della norma, che è quella della salvaguardia del subacqueo in immersione, giungiamo alla stessa conclusione: la bandiera issata sul gommone ancorato non aiuta in alcun modo il subacqueo che si è allontanato più di 50 metri con pallone al seguito. Al massimo, può confondere le idee ai diportisti di passaggio.
La soluzione migliore potrebbe essere quella di issare comunque la bandiera sul mezzo nautico. Anche se il punto 2) indica boa e bandiera sul mezzo nautico come due metodi alternativi di rispettare l'obbligo di segnalazione, nessuna norma vieta di "abbondare" in sicurezza ed avvalersi di entrambi.
Assolutamente no, per nessun motivo. Ognuno poi è ovviamente libero di fare le proprie valutazioni, ma ogni volta che il pescatore si allontana più di 50 metri dalla boa o, peggio, si immerge senza segnalazione, è passibili di un verbale da 1.000 a 3.000 euro.
Sì, l'importante è mantenersi sempre alla dovuta distanza. Questa soluzione, però, è sconsigliabile ed anche quando si pesca in coppia l'ideale è disporre di due boe segnasub.
La pesca “subacquea” ricreativa (come quella professionale) è ammessa «esclusivamente in apnea» (artt. 128 e 128 bis del Regolamento).
E' vietato l'uso di appareccchi ausiliari di respirazione (bombole ed erogatore). Tale uso è consentito solo per finalità diverse dalla pesca.
A fini di sicurezza, in tutti i casi è consentito trasportare sul mezzo nautico fucili per la pesca subacquea, mezzi simili, ed apparecchi di respirazione, dotati di bombola della capacità di 10 litri (una per ogni mezzo nautico) fermo restando il divieto di utilizzare gli apparecchi per la pesca subacquea.
Durante la pesca, il pescatore subacqueo, secondo le ultime disposizioni ministeriali, deve essere sempre seguito da un mezzo nautico con a bordo una persona pronta ad intervenire in caso di emergenza.
L'articolo 128 ter del regolamento, introdotto con l'art. 3 del D.M. 1 Giugno 1987 n. 249, chiarisce meglio la questione del trasporto di fucili e bombole: "Ai fini della sicurezza e della salvaguardia dei pescatori subacquei, sia professionali che sportivi, è consentito trasportare sullo stesso mezzo nautico fucili per la pesca subacquea o mezzi simili ed apparecchi ausiliari di respirazione dotati di una bombola di capacità massima di 10 litri, (una per ogni mezzo nautico), fermo restando il divieto di servirsene per l'esercizio della pesca subacquea". Il secondo comma dello stesso articolo aggiunge: "Durante l'attività di pesca subacquea il pescatore deve essere costantemente seguito da bordo del mezzo nautico da almeno una persona pronta ad intervenire in casi di emergenza; in ogni caso deve esservi a bordo del mezzo stesso una cima di lunghezza sufficiente a recuperare il pescatore subacqueo".
Alcune considerazioni
La norma ha inizialmente generato molta incertezza nella sua applicazione: gli Organi di controllo finirono per intenderla nel senso che la pesca subacquea poteva esercitarsi esclusivamente con barca appoggio e barcaiolo al seguito.
La conseguenza di questa interpretazione non era da poco: di fatto, veniva proibita la pesca subacquea con immersione da terra, molto praticata dagli appassionati; inoltre, anche chi si recava a pesca con la barca appoggio, doveva farsi assistere sempre da un secondo a bordo del mezzo. La cosa suscitò non poche polemiche, anche perché se la legge avesse voluto introdurre una limitazione così importante non lo avrebbe certamente fatto in modo così implicito, servendosi della seconda parte di un articolo che si occupava della sicurezza del pescatore subacqueo.
Non a caso, infatti, lo stesso Ministro (al tempo: della Marina Mercantile) intervenne con la famosa Circolare n. 6227201 del 23/07/1987, nella quale chiarì che l'articolo di legge in questione riguardava esclusivamente i subacquei che "si recano nella zona di pesca con un mezzo nautico sul quale si trovi [omissis] un apparecchio ausiliario di respirazione" e che non si applicava al "pescatore subacqueo che si reca nella zona di pesca con l'ausilio di un mezzo nautico senza alcun apparecchio ausiliario di respirazione (bombola ed erogatore) a bordo, o che effettua la pesca subacquea da terra".
Per fugare ogni dubbio, il Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Rep. 2° - Uff. II) con foglio prot. Nr.. 82/010390/II, ha stabilito che in presenza di un mezzo nautico, è in ogni caso obbligatoria la presenza a bordo di “almeno una persona pronta ad intervenire”, giusta quanto disposto dall’art. 3, comma 2 del D.M. 1 giugno 1987, n. 249.
Rimane salva la facoltà del Capo del Circondario di disciplinare con ordinanza ex art. 59 Reg cod. nav. la materia, avendo riguardo alle particolari esigenze locali.
Per il resto, basta ricordare che la violazione delle disposizioni dell'art 128 ter è punita con sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 3.000 euro.
L'art. 131 del Regolamento, intitolato "Limitazione di uso del fucile subacqueo", recita: «È vietato tenere il fucile subacqueo in posizione di armamento se non in immersione».
La norma chiarisce come l'abitudine di alcuni di trasportare i fucili carichi sul gommone o di appoggiare i fucili carichi sopra la plancetta durante gli spostamenti integri in realtà una condotta proibita dalla legge e passibile di sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 3.000 euro (art. 11, n. 10 lettera a) D.lgs. N. 4/2102).
Sempre riguardo il fucile, bisogna considerare che anche se la legge lo definisce un attrezzo da pesca, resta comunque uno strumento di offesa e pertanto è bene toglierlo dal bagagliaio della propria auto al rientro dalla pescata e non portarselo dietro in situazioni in cui sarebbe difficile giustificarne la presenza, come ad esempio andando a fare shopping o peggio ancora andando a sciare. Questo consiglio vale a maggior ragione per il coltello da sub.
Concorso eventuale con il reato (contravvenzione) di “porto senza giustificato motivo di strumento chiaramente utilizzabile, per circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa della persona” (art. 4 L. 110/75).
Innanzitutto, la pesca subacquea con fucile o attrezzi similari può essere esercitata solamente dopo aver compiuto il 16 (sedicesimo) anno di età (art. 11, comma 19 lettera b) D.lgs. N. 4/2012).
Chi cede un fucile subacqueo o un attrezzo similare ad un minore di anni 16 è punito con sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 3.000 euro (art 10, comma10 D.lgs. N. 4/2102).
La stessa pena è prevista per chi affida un fucile subacqueo o attrezzo similare ad un minore di anni 16 qualora all'affidamento, che possiamo definire una "cessione temporanea", segua l'uso effettivo.
Regolamento di attuazione dell'articolo 65 del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171, recante il codice della nautica da diporto. (GU n. 222 del 22-9-2008 - Suppl. Ordinario n. 223)
[…]
Capo III
Norme di sicurezza per «unità da diporto» impiegate come unità appoggio per immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo
[…]
Art. 90
Mezzi di salvataggio e dotazioni di sicurezza
Art. 91.
Segnalazione
Oltre alla pesca sportiva/ricreativa subacquea, in mare, viene praticato anche il «nuoto subacqueo», per la visita ai fondali, ecc. Quest’attività non è regolamentata da alcuna norma legislativa per cui il Comando Generale delle Capitanerie di Porto, per rispondere ai numerosi quesiti degli appassionati subacquei, con Circolare n. 82010390 del 16.2.2000 ha fornito alle Autorità marittime periferiche le direttive di coordinamento, ai fini della disciplina locale, a salvaguardia dell’integrità fisica dei subacquei, distinguendo il semplice “nuoto subacqueo” dalla vera e propria “attività subacquea”.
Il nostro Paese vanta una vocazione naturale per le attività legate al mare come la pesca, con la sua storia e le sue tradizioni. Ma le risorse marine viventi devono essere gestite con attenzione, nell’ottica di assicurarne la disponibilità per le future generazioni, cose da garantire uno sviluppo sostenibile per il settore. Il mare va protetto da un eccessivo sforzo di pesca, così come dagli impatti negativi che scaturiscono da altre attività umane, in modo che la sua ricchezza possa costituire un patrimonio accessibile a tutti.
Il controllo sull'ordinato svolgimento della pesca marittima richiede, oltre alla perfetta conoscenza delle norme comunitarie e nazionali, anche quella della normativa ad esse connesse (Codice della navigazione, sicurezza della navigazione, norme a tutela degli equipaggi, norme igienico sanitari, disciplina sul commercio dei prodotti ittici, ecc.). Di qui l'esigenza avvertita dal legislatore di affidare il coordinamento di detta attività al “Corpo delle Capitanerie di Porto”[1], struttura radicata e capillarmente diffusa lungo gli oltre 8.000 Km di costa.
A seguito dell’abrogazione della Legge n. 963/1965 e l’entrata in vigore del Decreto legislativo 19 gennaio 2012, n. 4 (come modificato dall’art. 39 – Capo VIII della Legge 28 luglio 2016, n. 154 sulle disposizioni in materia di pesca e acquacoltura) che ha introdotto nuove disposizioni applicative della normativa europea inserita nei regolamenti 1224/2009 e 404/2011 oltre ad un riassetto generale della materia con l’armonizzazione del sistema sanzionatorio, l’attività di controllo sulla pesca, sul commercio e sulla somministrazione dei prodotti di essa, nonché l’accertamento delle infrazioni che li riguardano (art. 22, comma 3) sono affidati, al personale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, che, in quanto incaricati del controllo sulla pesca marittima, possono accedere in ogni momento presso le navi, i galleggianti, gli stabilimenti di pesca, i luoghi di deposito e di vendita, commercializzazione e somministrazione e presso i mezzi di trasporto dei prodotti della pesca, al fine di accertare l'osservanza delle norme sulla disciplina della pesca (art. 22 comma 7).
Va aggiunto che, a seguito del varo della politica comune della pesca, gli Stati dell'Unione Europea hanno avvertito l'esigenza di individuare in ogni Stato aderente un soggetto qualificato a cui tutti gli organi preposti al controllo della filiera della pesca devono fare riferimento, dando vita, in tal modo, alla istituzione di “Centri di Controllo Pesca Nazionali”. Il Centro Controllo Nazionale Pesca (CCNP) è stato costituito in attuazione del Regolamento CE 1489/97 della Commissione del 29/07/1997, recante le modalità di applicazione del Regolamento CEE 2847/93 (Abrogato) del Consiglio sui sistemi di controllo dei pescherecci via satellite. Compito del CCNP, secondo quanto previsto dal DPR 9 ottobre 1998 n. 424, è la sorveglianza sullo sforzo di pesca e sulle attività economiche connesse. Detta attività è rivolta nei confronti dei pescherecci battenti bandiera italiana (a prescindere dalle acque nelle quali essi operano o dal porto in cui fanno scalo) e nei confronti delle unità da pesca appartenenti a Stati membri, nonché di quelle appartenenti a Paesi non facenti parte dell'Unione Europea, quando operano in acque comunitarie.
In definitiva, l'Italia, con il suindicato DPR 424/98 ha designato quale Autorità di controllo il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto ed ha predisposto a tal fine strutture, impianti e programmi informatici che consentono, a partire dal nuovo anno, la radiolocalizzazione in tempo reale dei pescherecci di lunghezza superiore a 18 metri a mezzo blue boxes (ferma la possibilità per le unità di minore lunghezza di dotarsi volontariamente di tale apparecchiatura).
Attività di vigilanza e controllo svolta dal personale del Corpo
[1] [63] Sotto la direzione del Comandante della Capitaneria di Porto, sono preposti alla vigilanza pesca altresì:
Il Reg CE n. 1224/2009 del Consiglio del 20 novembre 2009 ed il Reg. di esecuzione (UE) n. 404/2011 dell’8 aprile 2011, stabiliscono disposizioni dettagliate per quanto concerne le modalità di gestione e controllo della flotta comunitaria e delle navi di paesi terzi che operano in acque comunitarie attraverso gli impianti di localizzazione satellitare (Blue Box), al fine di sorvegliare efficacemente le attività di pesca esercitate dai pescherecci ovunque si trovino, nonché le attività di pesca esercitate nelle loro acque.
In sintesi il Regolamento sul controllo, apartire dal 1° gennaio 2012, obbliga i pescherecci di "lunghezza fuori tutto pari o superiore a 12 metri e inferiore ai 15" ad installare a bordo un dispositivo pienamente funzionante che consenta la localizzazione satellitare e identificazione automatiche del peschereccio da parte del «sistema di controllo dei pescherecci via satellite» (SCP) che fornisce, a intervalli regolari, alle Autorità di pesca i dati relativi alla posizione, alla rotta e alla velocità dei pescherecci.
Gli Stati membri possono «esentare» (art. 9, paragrafo 5 ) i pescherecci comunitari di "lunghezza fuori tutto inferiore a 15 metri" battenti la loro bandiera dall’obbligo di dotarsi del sistema di controllo dei pescherecci se:
Tale dispositivo consente il rilevamento del peschereccio da parte del Centro di Controllo della pesca dello Stato membro di bandiera (CCPN), la cui funzione è di sorvegliare le attività di pesca e lo sforzo di pesca. Il centro di controllo della pesca di un determinato Stato membro sorveglia i pescherecci battenti la bandiera di tale Stato membro, indipendentemente dalle acque nelle quali essi operano o dal porto nel quale si trovano, nonché i pescherecci comunitari battenti la bandiera di altri Stati membri e quelli dei paesi terzi cui si applica un sistema di controllo dei pescherecci operanti nelle acque soggette alla sovranità o alla giurisdizionedello Stato membro in questione.
I pescherecci di lunghezza fuori tutto pari o superiore a 12 metri e le navi appartenenti a paesi terzi, che operano nelle acque comunitarie, impegnate in «attività accessorie» alla pesca hanno l’obbligo di installare a bordo un dispositivo pienamente funzionante che ne consenta la localizzazione e l’identificazione automatica da parte del “Sistema di controllo dei pescherecci” grazie alla trasmissione a intervalli regolari di dati relativi alla loro posizione, effettuata secondo le stesse modalità seguite dai pescherecci comunitari. Tali dati dovranno essere trasmessi e rilevati ogni ora. Responsabile del corretto funzionamento della Blue Box è il comandante del peschereccio.
Sistema di controllo dei pescherecci via satellite (VMS)
(DM 10 /11/2004)
Approfomdimenti
Il Sistema di Controllo Satellitare Pesca (SCP) è un sistema di localizzazione e controllo delle navi da pesca nazionali basato sull'utilizzazione di tecnologie satellitari.
Il sistema SCP consente il monitoraggio dei pescherecci aventi lunghezza fuori tutta pari o superiore a 12 metri e inferiore a 15 metri in termini di posizione, rotta e velocità, nonché di archiviare e gestire le relative informazioni, di rappresentare lo scenario su idoneo sistema cartografico di presentazione.
Le unità da pesca sono state dotate di un apposito apparato di bordo (c.d. "Blue Box"), attivato all'interno della rete di trasmissione satellitare «Inmarsat», che consente di trasmettere al Centro di Controllo le informazioni relative alla posizione, velocità e rotta dell'imbarcazione, alle emergenze ed agli allarmi nonché di ricevere dal Centro i parametri necessari alle impostazioni di funzionamento e di controllo. Il sistema SCP consente la ricezione e trasmissione dei dati tramite «Inmarsat-C», con l'archiviazione automatica dei messaggi in arrivo ed in partenza e la possibilità di interrogazione degli archivi storici:
La struttura tecnico/informatica e di localizzazione pescherecci che costituisce il sistema SCP (Sistema di Controllo Pesca) comprende:
Il sistema di bordo (Blue Box)
La Blue-Box costituisce il sottosistema del «sistema VMS» (Vessel Monitoring System) e garantisce sia la localizzazione continua del peschereccio, che il suo uso da parte del comandante per l'invio degli "Effort Report" (messaggi di servizio da inviare all'uscita e rientro dai porti e dalle zone di pesca). Il sistema radio è di tipo omologato per installazioni su naqvi da pescxa (secondo la normativa vigente) e utilizza frequenze adibite alle telecomunicazioni marittime.
Il Centro di Coordinamento Nazionale dei Pescherecci (CCNP)
E' l'unità centrale in cui sono presenti tutti i database rientranti nella normativa ed è il mezzo di raccolta e supervisione su cui vengono inviate e visualizzate tutte le informazioni di posizione e di entrata/uscita dai porti e dalle zone di pesca protette. Qualora un peschereccio battente bandiera italiana si avvicini o entri in acque territoriali di altro Stato costiero della comunità europea, il CCNP invierà, in formato elettronico, tutte le informazioni relative a quel peschereccio al CCP dello stato membro in questione. Anche ogni Sistema di Controllo Pescherecci (SCP) di altri paesi membri, invierà al CCNP Italiano le informazioni, in formato elettronico, relative ai pescherecci registrati presso la loro nazione e che temporaneamente si trovano in acque territoriali italiane.
I Centri di Controllo di Area dei Pescherecci (CCAP)
Sono unità elaborative dislocate su quattordici centri territoriali italiani (Direzioni Marittime) che, collegate con l'unità centrale del CCNP, permettono di gestire le informazioni riguardanti i pescherecci che navigano nelle loro zone di competenza o su cui stanno effettuando i controlli.I CCAP sono: Genova, Livorno, Napoli, Reggio, Calabria, Bari, Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste, Catania, Palermo, Cagliari, Pescara, Olbia.
La rete terrestre di comunicazioni
E' l'insieme delle linee che collegano tra di loro:
Il collegamento satellitare
Il collegamento satellitare bidirezionale tra il sistema di bordo e il CCNP, è la gateway satellitare che permette di scambiare i messaggi tra il sistema di bordo e il CCNP.
Le tecnologie moderne, quali il sistema di controllo dei pescherecci (VMS) e il sistema di identificazione automatica (AIS), consentono agli Stati dell’Unione di effettuare un monitoraggio efficace e controlli incrociati sistematici e automatizzati in modo rapido, facilitando le procedure amministrative sia per le Autorità nazionali che per gli operatori, consentendo in tal modo di realizzare in tempo utile analisi dei rischi e valutazioni globali di tutte le informazioni pertinenti relative al controllo. Il regime di controllo dovrebbe dunque permettere agli Stati membri di combinare l’utilizzo dei diversi strumenti di controllo al fine di garantire la massima efficacia del metodo di controllo.
A norma dell'articolo 9, paragrafo 1, del regolamento sul controllo (=Reg.CE n. 1224/2009), gli Stati membri obbligano i comandanti delle navi da pesca a utilizzare un sistema di controllo dei pescherecci via satellite al fine di sorvegliare efficacemente le attività di pesca esercitate dai loro pescherecci ovunque si trovino, nonché le attività di pesca esercitate nelle acque nazionali
È opportuno redigere per tale sistema delle «specifiche» comuni a livello dell'Unione europea. Tali specifiche devono, in particolare, precisare:
Ciò premesso, l’art. 18, CAPO IV del Reg. di esecuzione (UE) n. 4040/2011 del Consiglio, obbliga i pescherecci dell'Unione soggetti al VMS, ad eccezione di quelli utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'acquacoltura, di non lasciare il porto se non sono provvisti del dispositivo di localizzazione via satellite (VMS) pienamente funzionante installato a bordo.
Peraltro, quando un peschereccio dell'Unione è ormeggiato in porto, il dispositivo di localizzazione via satellite deve essere disinserito soltanto nei seguenti casi:
Le Autorità competenti dello Stato membro di bandiera possono consentire che la «notifica preventiva»sia sostituita da un messaggio automatico VMS o da un allarme generato dal sistema, che indichi la presenza del peschereccio in una zona geografica predefinita del porto.
I dispositivi di localizzazione via satellite (Blue Box) installati a bordo dei pescherecci dell'Unione devono garantire, a intervalli regolari, la trasmissione automatica dei seguenti dati al Centro di controllo della pesca (CCP) dello Stato membro di bandiera:
Gli Stati membri devono vigilare affinché i dispositivi di localizzazione via satellite non consentano la registrazione o la trasmissione di posizioni false e non possano essere alterati manualmente.
I comandanti dei pescherecci dell'Unione provvedono affinché i dispositivi di localizzazione via satellite siano perfettamente funzionanti in qualsiasi momento al fine di garantire la trasmissione automatica, a intervalli regolari, le informazioni al Centro di controllo della pesca (CCP) dello Stato membro di bandiera:
In particolare provvedono affinché:
È vietato distruggere, danneggiare, disattivare o comunque manomettere l'impianto di localizzazione via satellite a meno che le autorità competenti dello Stato membro di bandiera non ne abbiano autorizzato la riparazione o la sostituzione (art. 10 comma 1 lettera m) e art. 11 comma 1 D.lgs. n. 4/2012).
Gli Stati membri di bandiera provvedonpo al controllo e alla sorveglianza continui e sistematici dell'esattezza dei dati trasmessi dai dispositivi di localizzazione satellitare a bordo dei pescherecci e intervengono tempestivamente non appena constati dati inesatti o incompleti.
Ciascuno Stato membro provvede affinché il proprio CCP riceva attraverso il VMS, almeno una volta ogni due ore, le informazioni riguardanti i propri pescherecci e può richiedere alle proprie unità che la trasmissione avvenga ad intervalli più ravvicinati al fine di individuarne l'effettiva posizione. Cio permette, peraltro, al CCP dello Stato membro costiero di controllare, attraverso i dati VMS, la data e l'ora dell'entrata e dell'uscita dei suoi pescherecci:
Il VMS adottato da ciascuno Stato membro garantisce la trasmissione automatica al CCP dello Stato membro costiero delle informazioni di cui all’art. 19 comma 1 del regolamento di esecuzione (UE) n. 4/2011 con riguardo ai pescherecci di bandiera mentre essi si trovano nelle acque di uno Stato membro costiero. Tali dati sono trasmessi simultaneamente al CCP dello Stato membro di bandiera secondo il modello riportato nell'Allegato V.
Gli Stati membri costieri che esercitano il controllo congiunto in una determinata zona possono precisare una destinazione comune per la trasmissione delle sopra citate informazioni e ne informano la Commissione e gli altri Stati membri. Ciascuno Stato membro trasmette agli altri Stati membri e alla Commissione un elenco esaustivo delle coordinate latitudinali e longitudinali che delimitano la propria zona economica esclusiva (ZEE) o la propria zona di pesca esclusiva, in un formato, ove possibile elettronico, compatibile con il World Geodetic System 1984 (WGS-84). E’ cura inoltre dello Stato membro, comunicare agli altri Stati membri e alla Commissione ogni eventuale modifica di queste coordinate. In alternativa, gli Stati membri possono pubblicare il suddetto elenco sul sito web di cui all'articolo 115 (Zona del sito web accessibile al pubblico), Capo III del regolamento sul controllo.
Gli Stati membri costieri garantiscono il coordinamento tra le loro autorità competenti ai fini della trasmissione dei dati VMS in conformità all'articolo 9, paragrafo 3[2], del regolamento sul controllo, anche mediante l'istituzione di apposite procedure chiare e documentate.
[1] Articolo 50 (Controllo delle zone di restrizione della pesca). Le attività di pesca esercitate dai pescherecci comunitari edai pescherecci di paesi terzi in zone di pesca in cui è stata stabilita dal Consiglio una zona di restrizione della pesca sono controllate dal centro di controllo della pesca dello Stato membrocostiero, che dispone di un sistema che gli consente di individuaree registrare l’entrata e il passaggio dei pescherecci nella zona direstrizione della pesca, nonché la loro uscita dalla medesima. La frequenza di trasmissione dei dati è pari ad almeno unavolta ogni 30 minuti quando un peschereccio entra in una zonadi restrizione della pesca. Il transito in una zona di restrizione della pesca è autorizzato per tutti i pescherecci che non sono autorizzati a pescare intali zone purché soddisfino le seguenti condizioni:
Il presente articolo si applica ai pescherecci comunitari e ai pescherecci di paesi terzi aventi una lunghezza fuori tutto pari o superiore a 12 metri.
[2] Quando un peschereccio si trova nelle acque di un altro Stato membro, lo Stato membro di bandiera mette a disposizione i dati del sistema di controllo dei pescherecci relativi al peschereccio in questione mediante una trasmissione automatica al centro di controllo della pesca degli Stati membri costieri. Su richiesta, i dati del sistema di controllo dei pescherecci sono inoltre messi a disposizione dello Stato membro nei porti del quale un peschereccio potrebbe sbarcare le proprie catture o nelle acque del quale è probabile che il peschereccio prosegua le proprie attività di pesca.
Qualora il dispositivo di localizzazione via satellite installato a bordo di un peschereccio dell'Unione risulta difettoso o non perfettamente funzionante, il comandante o il suo rappresentante, a partire dal momento in cui è stato rilevato il guasto o dal momento in cui sia stato informato del guasto tecnico o non funzionamento della Blue Box dalle Autorità competenti dello Stato membro di bandiera o, eventualmente, dello Stato membro costiero, comunica ogni quattro ore al CCP dello Stato membro di bandiera le coordinate geografiche aggiornate del peschereccio tramite un sistema di telecomunicazione adeguato. Gli Stati membri decidono in merito al sistema di telecomunicazione da utilizzare e lo indicano sul sito web di cui all'articolo 115, (Zona del sito web accessibile al pubblico)Capo III del regolamento sul controllo.
Il CCP dello Stato membro di bandiera inserisce senza indugio nella banca dati del VMS le posizioni geografiche aggiornate, non appena ricevute. I dati manuali del VMS devono essere chiaramente distinguibili dai messaggi automatici all'interno di una banca dati. Ove del caso, tali dati del VMS manuali devono essere trasmessi senza indugio agli Stati membri costieri.
Un peschereccio dell'Unione non può salpare dal porto, quando si è verificata una situazione di guasto tecnico o di non funzionamento del dispositivo di localizzazione via satellite, finché le Autorità competenti dello Stato di bandiera non abbiano constatato che il dispositivo di localizzazione via satellite installato a bordo funziona perfettamente. In deroga a questo principio, il CCP dello Stato membro di bandiera può autorizzare i propri pescherecci a lasciare il porto con un dispositivo di localizzazione via satellite non funzionante ai fini della sua riparazione o sostituzione. L'asportazione dell'impianto a tal fine è soggetta all'approvazione delle Autorità competenti dello Stato membro di bandiera
Se durante dodici ore consecutive, il CCp dello Stato membro di bandiera non riceve dati VMS (almeno una volta ogni due ore) o non gli vengono comunicate, in caso di guasto tecnico o non funzionamento del dispositivo di localizzzaione satellitare, le coordinate geografiche aggiornate del peschereccio, tramite un sistema di telecomunicazione adeguato, almeno ogni quattro ore, ne informa quanto prima il comandante o l'operatore del peschereccio dell'Unione o il suo rappresentante.
Se, per uno stesso peschereccio dell'Unione, il fatto si ripete più di tre volte nell'arco di un anno, lo Stato membro di bandiera procede all'accurato controllo dell'impianto di localizzazione via satellite del peschereccio. Esso dispone inoltre un'indagine per accertare se l'apparecchiatura sia stata manomessa.
In deroga all'articolo 20, paragrafo 2, lettera d), del Regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011, l'apparecchiatura può essere asportata dal peschereccio per essere esaminata.
Se durante dodici ore non riceve dati VMS per una delle ragioni suindicate, e l'ultima posizione ricevuta era all'interno delle acque territoriali di uno Stato membro, il CCP dello Stato membro di bandiera ne informa quanto prima il CCP dello Stato membro costiero di cui trattasi.
Le Autorità competenti dello Stato membro costiero, qualora rilevino la presenza di un peschereccio dell'Unione nelle proprie acque territoriali e non abbiano ricevuto dati VMS, ne informano il comandante del peschereccio e il CCP dello Stato di bandiera.
Gli Stati membri utilizzano i dati VMS ai fini del controllo efficace delle attività di pesca dei pescherecci dell’Unione. Gli Stati membri di bandiera, in particolare:
A norma dell’Allegato II, Parte I, punto 3, della direttiva 2002/59/CE, i pescherecci di "lunghezza fuori tutto superiore a 15 metri" hanno l’obbligo di dotarsi di un «Sistema di Identificazione Automatica» (AIS) di cui assicurano il corretto funzionamento e che rispetta le norme direndimento stabilite dall’Organizzazione marittima internazionale conformemente al Capitolo V, regola 19, sezione 2.4.5, della convenzione SOLAS del 1974.2.
Gli Stati membri possono utilizzare e consentire l’accesso ai dati del sistema di identificazione automatica (AIS), ove disponibili, ai fini della verifica incrociata con altri dati disponibili conformemente agli articoli 109 e 110 (giornale di bordo sulle attività di pesca; documenti di trasporto e note di vendita; dati provenienti dalle Licenze di pesca e dalle autorizzazione di pesca; dati provenienti dai rapporti di ispezione; dati sulla potenza del motore, ecc.)
A tal fine gli Stati membri provvedono affinché idati del sistema di identificazione automatica per i pescherecci battenti la loro bandiera siano messi a disposizione delle loro Autorità nazionali responsabili del controllo della pesca. I dati provenienti dal sistema di controllo dei pescherecci, dal sistema di identificazione automatica e dal sistema di rilevamento delle navi possono essere trasmessi alle agenzie comunitarie e alle autorità competenti degli Stati membri impegnate in operazioni di sorveglianza ai fini della sicurezza e della protezione marittima, del controllo delle frontiere, della tutela dell’ambiente marino e dell’applicazione generale della legge.
Approfondimenti:
L’ AIS è un sistema automatico di tracciamento adottato obbligatoriamente, a partire da un certo tonnellaggio, dalle navi commerciali, e facoltativamente dalle unità da diporto[1]. Attraverso una apparecchiatura elettronica montata sull’unità, vengono trasmessi i propri dati identificativi attraverso un sistema VHF predefinito, analogamente a quanto accade sugli aerei con il transponder, allo scopo di permettere ad ogni unità in navigazione di visualizzare in tempo reale i dati identificativi del traffico navale attorno a sè, onde evitare rischi di collisione con altre navi in base alle reciproche rotte e velocità e di consentire alle Autorità marittime di monitorare i movimenti delle navi medesime. Le informazioni fornite dal trasponder AIS delle unità in transito, (quali: nome della unità, codice MMSI, latitudine e longitudine, velocità, rotta, condizioni/attività e altre informazioni), possono essere visualizzate su uno schermo o un ECDIS.
L'AIS integra un ricetrasmettitore VHF standardizzato con un sistema di posizionamento come un LORAN o un ricevitore GPS, con altri sensori elettronici di navigazione, quali ad esempio una girobussola. Le navi al di fuori della copertura radio dell' AIS possono essere monitorati con il sistema di identificazione e tracciamento a lungo raggio (LRIT).
L' IMO (Organizzazione marittima Internazionale) e la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (Cap. V, regola 19, sezione 2.4.5 SOLAS edl 1974) richiede che l'AIS siano montati a bordo di tutte le navi commerciali con stazza lorda superiore a 300 tonnellate, e su tutte le navi passeggeri, indipendentemente dalle dimensioni, nonché dalle piattaforme.
Secondo le norme internazionali ITU che hanno stabilito il protocollo, dal trasponder AIS dell'unità in transito, vengono trasmessi continuamente queste informazioni:
[1] [64] [64] [64] Mentre il naviglio commerciale ha l'obbligo di installare esclusivamente un rice-trasmettitore ("Trasponder" ), le unità da diporto entro 24m possono scegliere di installare un trasponder o il solo ricevitore.Nel 2007 è stato introdotto sul mercato l'AIS Classe B che ha permesso una nuova generazione di ricetrasmettitori a basso costo AIS rendendo appetibile per qualunque unità l'uso di questo strumento.
Attivazione di un bersaglio AIS
Analizzando la schermata nel dettaglio osserviamo che:
L’attivazione di un bersaglio AIS avviene andandoci semplicemente sopra con il cursore, in questo modo si apre una finestra con i principali dati identificativi, vediamoli nel dettaglio:
In realtà il sistema AIS fornisce anche altri dati (tipologia di nave, porto di partenza, porto di destinazione, ora presunta di arrivo alla destinazione, ecc.) che possono essere o meno visualizzati dall’unità ricevente in base alle configurazioni software.
Le coordinate geografiche (latitudine e longitudine) della nave non vengono indicate in maniera esplicita perché il bersaglio viene posizionato direttamente sulla carta elettronica nella posizione indicata.
Dati di pericolo collisione, sono la funzionalità più interessante del sistema e necessitano di un piccolo approfondimento.
CPA (closest point of approach) è la distanza minima a cui ci troveremo dal bersaglio se lui manterrà l’attuale rotta e velocità (e se noi ovviamente manterremo le nostre)
Nel caso dell’esempio la distanza minima sarà di 21,8 miglia
TCPA (Time to CPA) è il tempo previsto per giungere al punto di minore distanza.
Nel caso dell’esempio è negativo in quanto abbiamo già superato il punto di massima vicinanza. Inoltre questo esempio è poco significativo in quanto la nostra barca era all’ormeggio e non in navigazione. E’ molto utile invece in navigazione perché ci permette di stabilire subito se una nave è potenzialmente pericolosa (CPA inferiori alle 2 miglia o meno) e quanto tempo abbiamo prima di rischiare una collisione.
Molti software permettono anche di impostare allarmi che si attivano solo se la CPA o la TCPA scende sotto un valore da noi impostato.
E’ importante però chiarire che questi strumenti sono solo di ausilio alla navigazione e risentono fortemente della precisione dei dati forniti. Un errore od una instabilità della nostra (o del bersaglio) rotta e/o velocità (dovuto magari ad una scarsa copertura del segnale GPS) può causare grandi variazioni del CPA e/o TCPA, rischiando di non indicarci situazioni potenzialmente pericolose. Come tutti gli ausili alla navigazione possono risultare molto comodi, ma non bisogna cadere nella tentazione di affidarsi completamente a loro, come se navigare fosse un videogioco.
Per ultimo, ma non ultima come utilità, il sistema AIS ci permette di conoscere sia l’MMSI che il nome della nave, in questo modo ci sarà molto più facile contattare la nave via VHF in caso di potenziale pericolo, sia con una chiamata individuale se il nostro apparato è fornito di DSC che con una chiamata in fonia sul canale 16.
Il fenomeno comunemente individuato come “pesca illegale” presenta aspetti variegati e molteplicità di tipologie relative agli attrezzi di cattura, al mancato rispetto delle norme, al prelievo eccessivo di esemplari sotto taglia, al prelievo di specie tutelate.
Le più comuni pratiche di pesca illegali denunciate dagli operatori stessi o rilevate dalle Autorità marittime, possono essere riassunte come segue:
Sequestro di datteri di mare (Litophaga litophaga)
Un aspetto fondamentale da tenere in considerazione per garantire una gestione efficace delle risorse è appunto la tutela delle specie ittiche e di conseguenza dell’attività di pesca. A tale scopo sono state introdotte delle limitazioni sia per le taglie minime degli esemplari sia per le caratteristiche degli strumenti da pesca. In ambito nazionale questi vincoli erano stati individuati, principalmente dalla abrogata Legge 963 del 1965 (legge quadro sulla pesca marittima) e dal relativo Regolamento di attuazione D.P.R. 1639/68 (ancora jn vigore). Essendo piuttosto datata la predetta normativa, per rendere più competitivo il settore della pesca, è stato emanato il Decreto Legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96”. (GU n. 26 del 1-2-2012) che ha abrogato con l’articolo 27 la legge quadro, nonché l’articolo 7 del D.P.R. n.1639/1968 (classi di pesca), del tutto riformando l’impianto originario della disciplina del settore.
Il decreto in parola, in conformità ai principi e criteri direttivi di cui al comma 1 dell’articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96, ha provveduto al riordino, al coordinamento ed all'integrazione della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura, fatte salve le competenze regionali, al fine di dare corretta attuazione ai criteri ed agli obiettivi previsti dal regolamento (CE) n. 1198/2006 del Consiglio, del 27 luglio 2006, nonché dal regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio, del 29 settembre 2008, che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. L’art. 22, comma 3 del Decreto legislativo n. 4/2012[1] può essere definito il “biglietto da visita” durante l’attività di vigilanza pesca, in quanto affida in primis alle Capitanerie di Porto-Guardia Costuiera e quindi alle Forze di polizia, l’opera di sorveglianza sulla pesca ed il commercio dei prodotti ittici, mentre l’art. 22, comma 7 costituisce il “lasciapassare” in quanto permette al personale incaricato della vigilanza ampio margine di azione, non ponendo limiti né temporali né territoriali alle operazioni di controllo sull’osservanza delle norme sulla disciplina della pesca. I successivi articoli 8 e 9 riguardano, rispettivamente, le pene principali ed accessorie previste per i reati-contravvenzionali sulla pesca di cui all’articolo 7, alle quali si aggiungono con gli articoli 11 e 12 le sanzioni amministrative e accessorie previste, rispettivamente, per le violazioni amministrative di cui all’articolo 10 del predetto decreto.
Tra le modifiche sostanziali apportate dal D.lgs. n. 4/2012 c’è l’individuazione nel Comando Generale delle Capitanerie di Porto, nella veste di “Centro di Controllo Nazionale Pesca” (CCNP), quale Organo di coordinamento dell’attività di vigilanza pesca (art. 22, comma 2).
Importante ed innovativa in ambito sanzionatorio è stata apportata con l’art. 8 comma 3 del predetto decreto, che se da un lato con l’art. 7, secondo comma favorisce l’attività dei pescatori stabilendo la “non punibilità in caso di cattura accidentale o accessoria di specie ittiche al di sotto della taglia minima“, a condizione che sia stato pescato con attrezzi conformi alle norme comunitarie e nazionali autorizzati dalla Licenza di pesca e che non venga comunque detenuto a bordo, sbarcato, trasportato, trasbordato e commercializzato, dall’altro introduce [art. 9 comma 1 lettera d)] quale ulteriore “sanzione accessoria” in caso di commercializzazione o somministrazione di esemplari sottomisura la o di cui è vietata la cattura, la “sospensione dell’esercizio commerciale da 5 a 10 giorni”. Sarà quindi opportuno segnalare questa gravosa sanzione nella N.d.R. inviata al Pubblico Ministero per l’anzidetta violazione, in quanto spetterà poi al Giudice competente stabilire il quantum di pena, che seppur definita accessoria rischia di rappresentare il vero castigo per il contravventore.
Per quanto concerne il D.P.R. n. 1639/68, in attesa dell’emanazione di un Regolamento sull’esercizio della pesca e dell’acquacoltura che lo sostituirà a breve, sono tuttora valide ed applicabili le norme che stabiliscono dimensioni minime dei vari esemplari di pesci, crostacei e molluschi e quelle che descrivono le tipologie e le caratteristiche tecniche degli attrezzi da pesca. A proposito delle taglie minime di cattura, bisogna tenere presente che le dimensioni stabilite per le varie specie ittiche spesso non rappresentano la tipologia di esemplare adulto e pronto alla riproduzione, ma sono invece un compromesso tra la reale dimensione del prodotto al suo ultimo stadio di sviluppo e le esigenze commerciali che interessano la stessa specie.
Analogo discorso è valido per le dimensioni degli attrezzi da pesca ed in particolare per le dimensioni delle maglie delle reti: la difficoltà in questo caso sta nel fatto di dover individuare un’unica misura minima per la singola tipologia di rete anche se questa è destinata alla cattura di esemplari differenti, che tuttavia vivono nello stesso ambito di azione dell’attrezzo. Per questo motivo sono stati stabiliti dei coefficientiche se da una parte salvaguardano un certo esemplare, dall’altra permettono una buona probabilità di cattura di prodotti che per caratteristiche non hanno ancora raggiunto il livello di piena maturazione. Esperienza insegna che spesso sulle unità da pesca operanti in mare possono essere trovati attrezzi e strumenti non conformi alla normativa vigente ed in particolare non utilizzabili da questa stessa unità in quello specifico tratto di mare.
Tuttavia, anche se al momento del controllo non sia già materializzata una effettiva cattura di prodotto derivante dall’utilizzo di quel determinato strumento ugualmente può essere contestabile in violazione degli artt. 10 lett. b), 11comma 1 e 12 comma 1 D.lgs. n. 4/2012 per aver “esercitato la pesca in zone e tempi vietati” dalla normativa comunitaria e nazionale[2].
[1] [63] L'attività di controllo sulla pesca, sul commercio e sulla somministrazione dei prodotti di essa, nonchè l'accertamento delle infrazioni sono affidati, sotto la direzione dei comandanti delle Capitanerie di Porto, al personale civile e militare dell'Autorità marittima centrale e periferica, alle Guardie di finanza, ai Carabinieri, agli Agenti di pubblica sicurezza ed agli agenti giurati di cui al comma 4. Ai soggetti di cui al comma 3, è riconosciuta, qualora già ad esse non competa, la «qualifica» di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria, secondo le rispettive attribuzioni, ai fini della vigilanza sulla pesca ai sensi dell'articolo 55, ultimo comma, del codice di procedura penale (art. 22 comma.6)
[2] [65] Vedi Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 12310/95 e successiva Sentenza n. 3445/01. E’ stato infatti sancito che “l’ambito della condotta vietata comprende non soltanto l’azione materiale“ attraverso la quale si compie la cattura degli esemplari marini, ma “anche quella preordinata a questo risultato, purché connotata dai requisiti della idoneità e della univocità, secondo quanto dispone l’art. 56 c.p. in tema di delitto tentato”. Ritenendo il Giudice quindi che l’attività preparatoria potesse essere ricondotta ad un atteggiamento univocamente preordinato alla cattura dei pesci, “ha equiparato l’attività prodromica alla vera e propria condotta vietata”. Non è stato quindi sanzionato il tentativo di pesca vietata, in quanto il “pescare” esprime un’attività diretta allo scopo non necessariamente conseguito da chi la realizza e tale attività, come era descritta dall’art. 1 delle Legge 963/65, ora abrogato, “comprende anche le operazioni tecniche finalizzate alla possibile ma non necessaria cattura di esemplari”.
Dal 25 agosto 2016 sono ufficialmente entrate in vigore su tutto il territorio nazionale, le nuove regole che disciplinano il "sistema sanzionatorio" in materia di pesca.
Le novità più importanti introdotte dall'art. 39 della Legge n° 154/2016, che va a modificare il decreto legislativo n° 4/2012 (testo di riferimento sulla materia), riguardano la depenalizzazione del reato consistente nella detenzione, sbarco, trasbordo, trasporto e commercializzazione delle specie ittiche sottomisura (cosiddetto "novellame").
Occorre subito evidenziare come l’articolo 39 oltre a “depenalizzare” le citate fattispecie, ha operato una degradazione ad illecito amministrativo di una serie di condotte precedentemente qualificate come “reati contravvenzionali”.
Peraltro, continuano a mantenere, ad esempio, rilevanza penale le seguenti “condotte”:
Condotte (reati contravvenzionali) che sono punite con l’arresto da 2 (due) mesi a 2 (due) anni o con l’ammenda da 2.000 € a 12.000 € nonché con la sospensione dell'esercizio commerciale da 5 (cinque) a 10 (dieci) giorni, fermo restando la possibilità dell’Amministrazione di costituirsi parte civile nel giudizio penale ex art. 23 decreto legislativo n.4/2012.
Entrando nel merito delle nuove regole introdotte dalla normativa in questione, occorre evidenziare in particolare l’introduzione di:
Sicché il nuovo articolo 10, comma 2 del Decreto legislativo n. 4/2012, introduce tra gli “illeciti amministrativi” le seguenti condotte: detenere, sbarcare, trasbordare, trasportare, commercializzare e somministrare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione (per taglia minima si intendono le dimensioni di una specie acquatica marina viva, che tengano conto della crescita, al di sotto delle quali si applicano restrizioni o incentivi volti ad evitare la cattura dovuta all'attività di pesca). Illeciti che sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria, la sospensione dell'esercizio commerciale, la confisca del prodotto e degli attrezzi da pesca.
In particolare, la sanzione amministrativa risulta “graduata” in ragione del peso del prodotto detenuto:
Il tutto tenendo presente che i predetti importi sono “raddoppiati” nel caso in cui il prodotto sia il tonno rosso (Thunnus thynnus) e il pesce spada (Xiphias gladius) e che restano fermi i principi generali previsti dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689 (in primis, la facoltà concessa al trasgressore del pagamento in misura ridotta, pari alla somma più favorevole tra il doppio del minimo e il terzo del massimo della sanzione edittale).
La norma neo introdotta prevede anche una riduzione a favore del trasgressore pari al 10% del peso rilevato ai soli fini della gradualità della sanzione.
Ulteriore elemento da evidenziare è la previsione secondo la quale non è applicabile alcuna sanzione in caso di catture accidentali di esemplari sottomisura, qualora le stesse siano effettuate con attrezzi regolari (previsione già contemplata dall’art. 11, comma 7, del Decreto legislativo n.4/2012), fatte salve le specie soggette al cosiddetto “obbligo di sbarco” individuate nell’Allegato III del Regolamento Mediterraneo 1967/2006. Specie per le quali rimane il divieto di commercializzazione ai fini del consumo umano diretto e che devono essere obbligatoriamente sbarcate. Mentre l’obbligo di sbarco non trova applicazione per le specie di cui è sempre vietata la cattura e per quelle che è scientificamente dimostrato un alto tasso di sopravvivenza in caso di rigetto in mare (esempio: Venus spp-vongola).
Una disciplina particolare, anch’essa rimasta inalterata, regola la pesca del “rossetto” e del “cicerello” (specie ittiche di dimensioni molto ridotte che mantengono una piccola taglia anche in età adulta) il cui esercizio deve essere autorizzato dalla Direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura.
Rimane parimenti vigente il divieto di pesca del novellame di “sarda” e “alice”, cd. bianchetto o sardella, inconsiderazione che sono, rispettivamente, novellame di alice e sarda
Quanto alle sanzioni riguardanti la “tracciabilità”, il nuovo sistema sanzionatorio è rimasto anch’esso invariato. Per tali condotte illecite sono previste delle sanzioni amministrative pecuniarie, in luogo di quelle penali, comprese tra 1.000 e 75.000 euro, che raddoppiano nel caso in cui le violazioni abbiano ad oggetto il tonno rosso ed il pesce spada, oltre alla sanzione accessoria della chiusura da cinque a dieci giorni dell'esercizio commerciale che ponga in vendita tali prodotti.
Dette sanzioni pecuniarie, saranno applicate in relazione alla gravità della violazione effettivamente commessa (quantità di prodotto ittico oggetto della condotta illecita).
Al fine di tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, l'art. 7 del Capo II, commi 1 del Decreto Legislativo 19 gennaio 2012, n. 4 fa divieto di:
► Norme dispositive (illeciti penali):
lettera a) pescare, detenere, trasbordare, sbarcare, trasportare e commercializzare le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, in violazione della normativa vigente;
lettera b) danneggiare le risorse biologiche delle acque marine con l'uso di materie esplodenti[1], dell'energia elettrica o di sostanze tossiche atte ad intorpidire, stordire o uccidere i pesci e gli altri organismi acquatici;
lettera c) raccogliere, trasportare o mettere in commercio pesci ed altri organismi acquatici intorpiditi, storditi o uccisi con le modalità di cui alla lettera b);
lettera d) pescare in acque sottoposte alla sovranità di altri Stati, salvo che nelle zone, nei tempi e nei modi previsti dagli accordi internazionali, ovvero sulla base delle autorizzazioni rilasciate dagli Stati interessati. Allo stesso divieto sono sottoposte le unità non battenti bandiera italiana che pescano nelle acque sottoposte alla sovranità della Repubblica italiana;
lettera e) esercitare la pesca in acque sottoposte alla competenza di un'organizzazione regionale per la pesca, violandone le misure di conservazione o gestione e senza avere la bandiera di uno degli Stati membri di detta organizzazione;
lettera f) sottrarre od asportare gli organismi acquatici oggetto dell'altrui attività di pesca, esercitata mediante attrezzi o strumenti fissi o mobili, sia quando il fatto si commetta con azione diretta su tali attrezzi o strumenti, sia esercitando la pesca con violazione delle distanze di rispetto stabilite dalla normativa vigente;
lettera g) sottrarre od asportare gli organismi acquatici che si trovano in spazi acquei sottratti al libero uso e riservati agli stabilimenti di pesca e di acquacoltura e comunque detenere, trasportare e fare commercio dei detti organismi.
2. Il divieto di cui al comma 1, lettera a), non riguarda la pesca scientifica, nonchè le altre attività espressamente autorizzate ai sensi delle normative internazionale, europea e nazionale vigenti. Resta esclusa qualsiasi forma di commercializzazione per i prodotti di tale tipo di pesca ed è consentito detenere e trasportare le specie pescate per soli fini scientifici.
► Norme sanzionatorie
L’art. 8 D.lgs. n. 4/2012 , commi 1 e 2 (Pene principali per le contravvenzioni) prevede:
[1] Legge 895/67, art. 2, sostituito con L. 497/74 art. 10: chiunque illegalmente detiene a qualsiasi titolo le armi o parti di esse, le munizioni, gli esplosivi, gli aggressivi chimici e i congegni indicati nell’articolo precedente è punito con la reclusione da uno a otto anni e con la multa da lire quattrocentomila (206 €) a lire tremilioni (1549 €); sequestro degli attrezzi, del mezzo e del pescato.
Corte di cassazione Penale, Sez. III, 15/11/2007 (ud. 12/10/2007), Sentenza n. 42109.
Pesca marittima - Pesca con materie esplodenti - Leggi penali speciali - Concorso formale con altri reati - Configurabilità - Danneggiamento aggravato del “mare territoriale” - Delitto di ricettazione - Concorso formale tra la ricettazione ed il reato di messa in commercio del pescato illegittimamente acquistato.
In materia di pesca marittima con uso di materie esplodenti colui il quale pesca con gli esplosivi risponde non solo della loro detenzione illegale ovvero della contravvenzione di cui all’art. 678 cod. pen. (Cass. Sez. Un. 15/10/1986 n 10901, Granata), ma anche - in concorso formale - del delitto di danneggiamento aggravato del “mare territoriale” (art. 635, comma secondo, n.3 cod. pen.), in quanto bene pubblico esposto alla pubblica fede e destinato a pubblica utilità (Cass sez I, 20/02/1987, n 287; Cass 20/11/2003). Inoltre, l’acquirente del pescato proveniente dalla cattura mediante esplosivi o da danneggiamento delle risorse marine, risponde del delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) se acquista consapevolmente pesce proveniente dai predetti delitti. Infine, vi è concorso formale tra la ricettazione ed il reato di messa in commercio del pescato illegittimamente acquistato, trattandosi di norme che offendono beni giuridici diversi. Presidente C. Vitalone, Relatore C. Petti. Corte di cassazione Penale, Sez. III, 15/11/2007 (ud. 12/10/2007), Sentenza n. 42109.
Giurisprudenza: Cass. Sez. III n. 42109 del 15 novembre 2007 (Ud. 12 ott. 2007) Pres. Vitalone Est. Petti Ric. Morelli ed altro - Acque. Mare territoriale - Configurabilità - Pesca marittima con uso di materie esplodenti - Delitto di detenzione illegale di esplosivi o contravvenzione prevista dall'art. 678 cod. pen. - Concorso formale - Ammissibilità.
È configurabile il concorso formale tra il delitto di detenzione illegale di esplosivi (o la contravvenzione prevista dall'art. 678 cod. pen.) e il delitto di danneggiamento aggravato del "mare territoriale" (art. 635, comma secondo, n. 3 cod. pen. in relazione all'art. 625, n. 7 cod. pen.) nell'esercizio dell'attività di pesca marittima con uso di materie esplodenti, in quanto si tratta di danneggiamento di bene pubblico esposto alla pubblica fede e destinato a pubblica utilità.
Alla condanna per le contravvenzioni previste all'art. 8 del D.lgs. n. 4/2012, l'articolo 9, comma 1 del D.lgs. n. 4/2012 comporta l'applicazione delle seguenti pene accessorie:
a) la confisca del pescato, salvo che esso sia richiesto dagli aventi diritto nelle ipotesi previste dall'articolo 7, comma 1, lettere f) e g);
b) la confisca degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchi con i quali è stato commesso il reato;
c) l'obbligo di rimettere in pristino lo stato dei luoghi nei casi contemplati dall'articolo 7, comma 1, lettere b), f) e g), qualora siano stati arrecati danni ad opere o impianti ivi presenti;
d) la sospensione dell'esercizio commerciale da cinque a dieci giorni, in caso di commercializzazione o somministrazione di esemplari di specie ittiche di cui è vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, in violazione della normativa vigente.
L' articolo 9, comma 2
Qualora le violazioni di cui all'articolo 7, comma 1, lettere d) ed e), abbiano ad oggetto le specie ittiche tonno rosso (Thunnus thynnus) e pesce spada (Xiphias gladius), è sempre disposta nei confronti del titolare dell'impresa di pesca la "sospensione della licenza di pesca" per un periodo da tre mesi a sei mesi e, in caso di recidiva, la revoca della medesima licenza.
L' articolo 9, comma 3
Qualora le violazioni di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a), d) ed e), siano commesse mediante l'impiego di una unità non espressamente autorizzata all'esercizio della pesca marittima professionale, è sempre disposta nei confronti dei trasgressori la "sospensione del certificato di iscrizione" nel Registro dei pescatori professionali da quindici a trenta giorni e, in caso di recidiva, da trenta giorni a tre mesi.
Al fine di tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, l'art. 10 del Decreto Legislativo 19 gennaio 2012, n. 4 (come modificato dall'art. 39 della Legge del 28 luglio 2016 n° 154) fa divieto di:
► Norme dispositive (IIleciti amministrativi):
lettera a) effettuare la pesca con unità iscritte nei registri di cui all'articolo 146 del codice della navigazione, senza essere in possesso di una licenza di pesca in corso di validità o di un'autorizzazione in corso di validità;
lettera b) pescare in zone e tempi vietati dalle normative europea e nazionale vigenti;
lettera c) detenere, trasportare e commerciare il prodotto pescato in zone e tempi vietati dalle normative europea e nazionale vigenti;
lettera d) pescare direttamente stock ittici per i quali la pesca è sospesa ai fini del ripopolamento per la ricostituzione degli stessi;
lettera e) pescare quantità superiori a quelle autorizzate[1], per ciascuna specie, dalle normative europea e nazionale vigenti;
lettera f) effettuare catture accessorie o accidentali in quantità superiori a quelle autorizzate, per ciascuna specie, dalle normative europea e nazionale vigenti;
lettera g) pescare direttamente uno stock ittico per il quale è previsto un contingente di cattura, senza disporre di tale contingente ovvero dopo che il medesimo è andato esaurito;
lettera h) pescare con attrezzi o strumenti vietati dalle normative europea e nazionale o non espressamente permessi, o collocare apparecchi fissi o mobili ai fini di pesca senza la necessaria autorizzazione o in difformità da questa;
lettera i) detenere attrezzi non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente e detenere, trasportare o commerciare il prodotto di tale pesca;
lettera l) manomettere, sostituire, alterare o modificare l'apparato motore dell'unità da pesca, al fine di aumentarne la potenza oltre i limiti massimi indicati nella relativa certificazione tecnica;
lettera m) navigare con un dispositivo di localizzazione satellitare manomesso, alterato o modificato, nonchè interrompere volontariamente il segnale, ovvero navigare, in aree marine soggette a misure di restrizione dell'attività di pesca, con rotte o velocità difformi da quelle espressamente disposte dalle normative europea e nazionale, accertate con i previsti dispositivi di localizzazione satellitare;
lettera n) falsificare, occultare od omettere la marcatura, l'identità oi contrassegni di individuazione dell'unità da pesca, ovvero, dove previsto, degli attrezzi da pesca;
lettera o) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale vigenti in materia di registrazione e dichiarazione dei dati relativi alle catture e agli sbarchi, compresi i dati da trasmettere attraverso il sistema di controllo dei pescherecci via satellite;
lettera p) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale vigenti in materia di registrazione e dichiarazione dei dati relativi alle catture e agli sbarchi di specie appartenenti a stock oggetto di piani pluriennali o pescate fuori dalle acque mediterranee;
lettera q) effettuare operazioni di trasbordo o partecipare a operazioni di pesca congiunte con pescherecci sorpresi ad esercitare pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) ai sensi del regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio, del 29 settembre 2008,in particolare con quelli inclusi nell'elenco dell'Unione delle navi INN o nell'elenco delle navi INN di un'organizzazione regionale perla pesca, o effettuare prestazione di assistenza o rifornimento a tali navi;
lettera r) utilizzare un peschereccio privo di nazionalità e quindi da considerare nave senza bandiera ai sensi del diritto vigente;
lettera s) occultare, manomettere o eliminare elementi di prova relativi a un'indagine posta in essere dagli ispettori della pesca, dagli organi deputati alla vigilanza ed al controllo e dagli osservatori, nell'esercizio delle loro funzioni, nel rispetto delle normative europea e nazionale vigenti;
lettera t) intralciare l'attività posta in essere dagli ispettori della pesca, dagli organi deputati alla vigilanza ed al controllo e dagli osservatori, nell'esercizio delle loro funzioni, nel rispetto delle normative europea e nazionale vigenti;
lettera u) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale relative a specie appartenenti a stock ittici oggetto di piani pluriennali, fatto salvo quanto previsto alla lettera p);
lettera v) commercializzare il prodotto della pesca proveniente da attività di pesca INN ai sensi del regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio, del 29 settembre 2008, fatta salva l'applicazione delle norme in materia di alienazione dei beni confiscati da parte delle Autorità competenti;
lettera z) violare gli obblighi previsti dalle pertinenti normative europea e nazionale vigenti in materia di etichettatura e tracciabilità nonchè gli obblighi relativi alle corrette informazioni al consumatore finale, relativamente a tutte le partite di prodotti della pesca e dell'acquacoltura, in ogni fase della produzione, della trasformazione e della distribuzione, dalla cattura o raccolta alla vendita al dettaglio;
lettera aa) violare le prescrizioni delle normative europea e nazionale vigenti in materia di obbligo di sbarco.
a) detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, in violazione della normativa vigente;
b) trasportare, commercializzare e somministrare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, in violazione della normativa vigente.
► Norme sanzionatorie
L’art. 11 del D.lgs. n. 4/2012 (Sanzioni amministrative principali) prevede:
a) fino a 5 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 1.000 euro e 3.000 euro. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada (Xiphias gladius);
b) oltre 5 kg e fino a 50 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 2.500 euro e 15.000 euro e sospensione dell'esercizio commerciale per cinque giorni lavorativi. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada (Xiphias gladius);
c) oltre 50 kg e fino a 150 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 6.000 euro e 36.000 euro e sospensione dell'esercizio commerciale per otto giorni lavorativi. Ipredetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada(Xiphias gladius);
d) oltre 150 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 12.500 euro e 75.000 euro e sospensione dell'esercizio commerciale per dieci giorni lavorativi. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui le specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione sono il tonno rosso (Thunnus thynnus) o il pesce spada (Xiphias gladius).
a) viola le norme vigenti relative all'esercizio della pescasportiva, ricreativa e subacquea. I predetti importi sono raddoppiati nel caso in cui la violazione abbia ad oggetto le specie ittiche tonno rosso (Thunnus thynnus) e pesce spada (Xiphias gladius);
b) cede un fucile subacqueo o altro attrezzo similare a persona minore degli anni sedici, ovvero affida un fucile subacqueo o altro attrezzo similare a persona minore degli anni sedici, se questa ne faccia uso.
a) oltre 5 kg e fino a 10 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 500 euro e 3.000 euro;
b) oltre 10 kg e fino a 50 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 2.000 euro e 12.000 euro;
c) oltre 50 kg di pescato: sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 12.000 euro e 50.000 euro.
[1] Nella determinazione della quantità delle prede catturate, al fine di accertare il rispetto del limite di peso consentito, non è prescritta la pesatura del pescato, potendo essere sufficiente anche la valutazione personale dell’Organo accertatore competente che compie l’accertamento, qualora le circostanze del caso concreto siano da ritenere certe la sussisternza dell’eccedenza di peso (come ad esempio, l’entità macroscopica dell’eccedenza, l’impiego di contenitori standard, l’assenza di contestazioni su un’evidente eccedenza da parte dell’interessato presente all’accertamento) (Cassazione Civile, Sez. I, 20 aprile 1995, n. 4770).
Alle violazioni di cui all'articolo 11, commi 1, 3, 4, 5, 8, 9, 10, lettera a), e 11 del Dlgs. n. 4/2012 l'art. 12, comma 1 prevede l'applicazione delle seguenti «sanzioni amministrative accessorie»:
a) la confisca del pescato. Fatte salve le previsioni di cui all'articolo 15 del regolamento (UE) n. 1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, e' sempre disposta la confisca degli esemplari di specie di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, stabilita dalle normative europea e nazionale;
b) la confisca degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchi usati o detenuti, in contrasto con le pertinenti normative europea e nazionale. Gli attrezzi confiscati non consentiti, non autorizzati o non conformi alla normativa vigente sono distrutti e le spese relative alla custodia e demolizione sono poste a carico del contravventore;
c) l'obbligo di rimettere in pristino le zone in cui sono stati collocati apparecchi fissi o mobili di cui all'articolo 10, comma 1, lettera h).
2. Qualora le violazioni di cui all'articolo 10, comma 1, lettere h) ed i), siano commesse con reti da posta derivante, è sempre disposta nei confronti del titolare dell'impresa di pesca, quale obbligato in solido, la sospensione della licenza di pesca per un periodo da tre mesi a sei mesi e, in caso di recidiva, la revoca della medesima licenza, anche ove non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione.
3. Qualora le violazioni di cui all'articolo 10, commi 1, lettere b), c), d), e), f), g), h), p) e q), 2, 3, 4 e 5, abbiano ad oggetto le specie ittiche tonno rosso (Thunnus thynnus) e pesce spada (Xiphias gladius), è sempre disposta nei confronti del titolare dell'impresa di pesca, quale obbligato in solido, la sospensione della licenza di pesca per un periodo da tre mesi a sei mesi e, in caso di recidiva, la revoca della medesima licenza anche ove non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione.
4. Qualora le violazioni di cui all'articolo 10, commi 1, lettere a), b), c), d), g), h), s) e t), 2, 3, 4 e 5, siano commesse mediante l'impiego di una unità non espressamente autorizzata all'esercizio della pesca marittima professionale, è sempre disposta nei confronti dei trasgressori la sospensione del certificato di iscrizione nel registro dei pescatori da quindici a trenta giorni e, in caso di recidiva, da trenta giorni a tre mesi, anche ove non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione.
5. Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali sono individuati modalità, termini e procedure per l'applicazione della sospensione di cui al comma 4»;
Per garantire un'applicazione uniforme delle norme della politica comune della pesca in tutti i paesi membri ed armonizzare il “sistema di sanzioni” in caso di violazione, l'UE ha redatto un elenco delle “violazioni gravi” con l’obbligo da parte dei paesi dell’UE di includere nella loro legislazione sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e assicurare nel contempo il rispetto delle norme medesime.
Nell'ambito di tale sistema, le Autorità nazionali devono:
a) valutare, in base alle definizioni standard dell'UE, le presunte violazioni che riguardano le unità da pesca battenti bandiera nazionale;
b) applicare un numero prestabilito di punti di penalità alle unità implicate in una violazione grave (i punti vengono iscritti nell'apposito Registro nazionale);
c) ritirare la Licenza delle unità da pesca per 2, 4, 8 o 12 mesi se, nell'arco di 3 anni, ha accumulato un numero prestabilito di punti.
L’Italia, nell’adeguarsi all’Europa nell’azione di contrasto della pesca illegale, ha adottato e reso operativo dal 1° gennaio 2012 il nuovo “sistema a punti per le infrazioni gravi” previsto dalle normative europee per contrastare la pesca illegale.
Con la emanazione del Decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 e con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 213 del 12 settembre 2017, dei Decreti attuativi 2 marzo e 20 luglio 2017, recanti rispettivamente ”Modalità termini e procedure per l’applicazione del sistema di punti per infrazioni gravi alla licenza di pesca” e “Modalità, termini e procedure per l’applicazione del sistema di punti per infrazioni gravi del comandante del peschereccio”, sono state introdotte nuove misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, tese a prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.
Il nuovo sistema interessa pescherecci e comandanti di navi da pesca. I pvengono attribuiti alla Licenza di pesca abbinata all'unità. In tal modo rimangono legati a quest'ultima anche in caso di passaggio di proprietà.
Nello specifico vengono elencati tutti quei comportamenti che possono essere sanzionati sia sotto il profilo amministrativo oppure penale, con l’arresto e la confisca del pescato o dell’attrezzatura di pesca non conforme agli standard comunitari.
Costituiscono infrazioni gravi i "reati-contravvenzione" di cui all' articolo 7, comma 1, Decreto legislativo n. 4/2012:
► Costituiscono infrazioni gravi gli "illeciti amministrativi" di cui all' articolo 10, comma 1, del Decreto legislativo n. 4/2012:
► di cui all'articolo 10, comma 2 del Decreto legislativo n. 4/2012:
► di cui all'articolo 10, comma 4, del Decreto legislativo n. 4/2012:
In caso di cattura, accidentale o accessoria, di specie soggette all'obbligo di sbarco, la cui taglia è inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione, è fatto divieto di trasportarne e commercializzarne gli esemplari al fine del consumo umano diretto.
La commissione di un'infrazione grave dà sempre luogo all'assegnazione di un numero di punti alla Licenza di pesca, come individuati nell'Allegato I, anche se non venga emessa l'ordinanza di ingiunzione. Presso il Centro controllo nazionale pesca (CCNP) del Comando generale delle Capitanerie di porto, è istituito il «Registro nazionale delle infrazioni».
Diventa pienamente operativo dopo oltre cinque anni il "sistema della licenza di pesca a punti". La commissione di gravi infrazioni, come ad esempio, pescare specie vietate, usare esplosivi per la pesca o sottrarre organismi acquatici da un allevamento senza il consenso dell’avente diritto o calare le reti in acque di altri Paesi, avrà l’effetto di far “caricare” di un certo numero di punti la Licenza di pesca
Alcuni reati-contravvenzione ed illeciti amministrativi danno luogo all’assegnazione di un numero di punti che, sommati, possono portare alla “sospensione” o alla “revoca” della Licenza di pesca (art. 16 D.lgs. n. 4/2012). In particolare:
Se una nave da pesca la cui Licenza di pesca è stata sospesa o revocata a titolo definitivo, conformemente all'articolo 16 del D.lgs. n. 4/2012, svolge attività di pesca durante il periodo di sospensione o successivamente alla revoca definitiva della Licenza di pesca, gli Organi preposti al controllo adottano le misure di esecuzione immediata ritenute più idonee tra quelle previste dall' articolo 43 del Regolamento (CE) n. 1005/2008, che comprendono in particolare:
a) la cessazione immediata delle attività di pesca;
b) il ritorno in porto del peschereccio;
c) l’invio del mezzo di trasporto verso un altro luogo a fini di ispezione;
d) la costituzione di una garanzia;
e) il sequestro di attrezzi da pesca, catture o prodotti della pesca;
f) l’immobilizzazione temporanea del peschereccio o del mezzo di trasporto considerati;
g) la sospensione dell’autorizzazione di pesca.
Le misure di esecuzione sono tali da impedire il proseguimento dell’infrazione grave di cui trattasi e da consentire alle Autorità competenti di completarne l’indagine.
Qualora una Licenza di pesca sia stata sospesa ai sensi dell'articolo 16 del D.lgs. n. 4/20012, eventuali nuovi punti assegnati alla Licenza stessa vengono aggiunti ai punti esistenti ai fini dell'applicazione dell'articolo 16.
Il Decreto 29 febbraio 2012 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (GU n. 105 del 7 maggio 2012 ) ha definito modalità, termini e procedure per l'applicazione del «Sistema di punti per infrazioni gravi alla Licenza di pesca», ai sensi dell'art. 14, comma 4 del D.lgs.n. 4/2012.
Nel caso di accertamento di una infrazione grave costituente illecito amministrativo di cui di cui all'art. 10, comma 1, lettere a), b), d), g), h), n), o), p), q), r), s), e t) del citato D.lgs., gli Organi addetti al controllo, oltre a contestare l’infrazione elevando “Verbale” al Comandante della nave da pesca, notificano altresì al titolare della Licenza di pesca del peschereccio interessato anche il “Verbale” relativo all'applicazione dei punti secondo quanto previsto all'art. 14, comma 3, del D.lgs, n. 4/2012, e, senza ritardo, trasmettono copia di entrambi gli atti al Capo del compartimento marittimo competente in base al luogo della commessa violazione.
Nell’ipotesi che gli Organi addetti al controllo accertano condotte che costituiscono reato di cui all'art. 7, comma 1, a), c) e g) del D.lgs. n. 4/2012, notificano al titolare della licenza di pesca del peschereccio interessato, il “Verbale” relativo all'applicazione dei punti secondo quanto previsto all'art. 14, comma 3, del decreto legislativo n. 4/2012, e, senza ritardo, ne trasmettono copia al Capo del compartimento marittimo competente in base al luogo della commessa violazione. Entro il termine di 30 giorni dalla notifica del Verbale relativo all'applicazione dei punti, gli interessati possono far pervenire al competente Capo del compartimento «scritti difensivi» e documenti, nonché chiedere di essere sentiti dal medesimo (= richiesta di audizione). Il Capo del compartimento, sentito l'interessato, ove questi ne abbia fatto richiesta, ed esaminati gli eventuali documenti e scritti difensivi inviati oppure comunque decorsi i termini dei trenta giorni, ritenuto fondato l'accertamento, dispone, con “provvedimento motivato l'assegnazione dei punti”, altrimenti emette “provvedimento motivato di archiviazione” degli atti. In entrambi i casi, il provvedimento motivato è notificato all'interessato nei termini di legge e ne è trasmessa copia all'Ente accertatore.
Il Capo del compartimento, nel caso emetta “provvedimento di assegnazione di punti”, ne trasmette copia alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura e, se diverso, all'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio. L'Ufficio di iscrizione della nave da pesca annota senza ritardo sul “Registro di iscrizione” del peschereccio gli estremi del provvedimento di assegnazione dei punti ed il numero dei punti assegnati e ne dà comunicazione al Centro Controllo Nazionale Pesca (CCNP) ed alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura. Ove rilevi che la violazione commessa comporta il raggiungimento dei punti di cui all'art. 16, comma 1 del D.lgs. n. 4/2012[1],notifica all'interessato il relativo atto di accertamento, precisando il “periodo di sospensione” previsto in relazione al numero di punti accumulati, ne dà comunicazione alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura e, se diverso, al Capo del Compartimento marittimo dell'Ufficio di iscrizione del peschereccio. Di contro, ove detto Ufficio rilevi che la violazione commessa comporta il raggiungimento dei punti di cui all'art. 16, comma 3 del D.lgs. n. 4/2012[2],notifica all'interessato il relativo atto di accertamento e, se diverso, ne dà comunicazione al Capo del Compartimento marittimo dell'Ufficio di iscrizione del peschereccio ed alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura.
Per le violazioni accertate fuori dal limite delle acque territoriali (12 miglia) la competenza a ricevere il rapporto è il Capo del Compartimento marittimo dell'Ufficio di iscrizione del peschereccio interessato.
In caso di trasferimento di proprietà del peschereccio, il titolare della Licenza all'atto di trasferimento è tenuto a produrre l'attestazione relativa al numero di punti assegnati rilasciata dall'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio.
[1] Art. 16, comma 1 (Sospensione e revoca definitiva della licenza) - L'assegnazione di un numero totale di punti pari o superiore a 18, comporta la sospensione della licenza di pesca per un periodo di due mesi. Se il numero totale di punti è pari o superiore a 36, la licenza di pesca è sospesa per un periodo di quattro mesi. Se il numero totale di punti è pari o superiore a 54, la licenza di pesca è sospesa per un periodo di otto mesi. Se il numero totale di punti è pari o superiore a 72, la licenza di pesca è sospesa per un periodo di un anno.
[2] Art. 16, comma 3. L'accumulo di 90 punti sulla Licenza di pesca comporta la revoca definitiva della licenza di pesca.
Entro il termine di trenta giorni dalla notifica dell'atto di accertamento di cui all’art. 2, comma 7 del decreto 29 febbraio 2012 (= per le violazioni che comportano il raggiungimento dei punti di cui all’art. 16, comma 1 del D.lgs, n. 4/2012), l'interessato può far pervenire al Capo del compartimento marittimo dell'Ufficio di iscrizione del peschereccio, scritti difensivi e documenti, nonché chiedere di essere sentito dal medesimo. Il Capo del compartimento, sentito l'interessato, ove questi ne abbia fatto richiesta, ed esaminati gli eventuali documenti e scritti difensivi inviati ovvero comunque decorsi i termini (trenta giorni), ritenuto fondato l'accertamento, dispone il “provvedimento motivato di sospensione della licenza di pesca”, altrimenti emette “provvedimento motivato di archiviazione” degli atti. Il provvedimento è notificato all'interessato nei termini di legge, per il tramite dell'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio.
Il periodo di sospensione della Licenza di pesca decorre dal momento del ritiro della stessa da parte dell'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio interessato, che deve avvenire nel più breve tempo possibile e comunque non oltre 10 giorni dalla notifica del provvedimento di sospensione.
Al momento del ritiro della Licenza di pesca, l'Ufficio marittimo di iscrizione redige apposito Verbale, annota senza ritardo sul Registro di iscrizione del peschereccio gli estremi del provvedimento ed il periodo di sospensione, ne trasmette copia alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura, e ne dà comunicazione al Centro di Controllo Nazionale della Pesca (CCNP). Durante il periodo di sospensione gli attrezzi da pesca sono fissati e stivati ai sensi dell'art. 47 del Reg. (CE) n. 1224/2009.
Entro il termine di trenta giorni dalla notifica dell'atto di accertamento di cui all’art. 2, comma 8 del decreto 29 febbraio 2012 (= per le violazioni che comportano il raggiungimento dei punti di cui all’art. 16, comma 3 del D.lgs, n. 4/2012), l'interessato può far pervenire alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura scritti difensivi e documenti, nonché chiedere di essere sentito. Il Direttore generale, sentito l'interessato, ove questi ne abbia fatto richiesta, ed esaminati gli eventuali documenti e scritti difensivi inviati ovvero comunque decorsi i termini (trenta giorni), ritenuto fondato l'accertamento, dispone il “provvedimento motivato di revoca della licenza di pesca”, altrimenti emette “provvedimento motivato di archiviazione” degli atti. Il provvedimento è notificato all'interessato nei termini di legge, per il tramite dell'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio.
L'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio provvede al ritiro della licenza di pesca nel più breve tempo possibile e comunque non oltre 10 giorni dalla notifica del provvedimento di revoca. Al momento del ritiro della licenza di pesca, l'Ufficio marittimo di iscrizione redige apposito Verbale, annota senza ritardo sul Registro di iscrizione del peschereccio gli estremi del provvedimento, ne trasmette copia alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura, e ne dà comunicazione al Centro di Controllo Nazionale della Pesca (CCNP).
In conformità a quanto prescritto dall'art. 131 del Reg. (UE) n. 404/2011, qualora la licenza di pesca venga sospesa o revocata a titolo definitivo, il peschereccio a cui si riferisce la licenza medesima viene identificato come sprovvisto di licenza nell' Archivio nazionale licenze di pesca e nel Fleet Register della Commissione Europea. La Direzione Generale della pesca marittima e dell'acquacoltura provvede ad aggiornare le informazioni contenute nell'Archivio nazionale licenze di pesca e ad inviare i dati per l'aggiornamento del Fleet Register della Commissione Europea.
I provvedimenti di assegnazione dei punti, sospensione e revoca possono essere impugnati (art. 5 Decreto 29 febbario 2012) ai sensi degli articoli 22 e seguenti (Opposizione all'ordinanza-ingiunzione; Competenza per il giudizio di opposizione; Giudizio di opposizione) della Legge n. 689/1981.
Qualora, a seguito di impugnazione, sia annullato il provvedimento con cui sono stati assegnati i punti, il titolare della Licenza di pesca presenta, al Capo del compartimento dell'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio, copia del «provvedimento giudiziale» che dispone l'annullamento. Il Capo del compartimento dell'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio interessato, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento giudiziale citato, dispone con proprio provvedimento la decurtazione dei punti assegnati, e lo notifica al titolare della Licenza di pesca dandone comunicazione al Centro Controllo Nazionale Pesca (CCNP), alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell'Acquacoltura e, se diverso, all'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio.
Nel caso in cui dall'assegnazione dei punti decurtati, sia derivata la “sospensione” o la “revoca” della Licenza di pesca, il Capo del compartimento dell'Ufficio marittimo di iscrizione del peschereccio nel caso di sospensione o la Direzione generale della pesca Marittima e dell’Acquacoltura in caso di revoca, provvedono all'annullamento del provvedimento di sospensione e dispongono la riconsegna al titolare della licenza di pesca. L'Ufficio marittimo di iscrizione annota senza ritardo sul Registro di iscrizione del peschereccio gli estremi dei provvedimenti di cui al presente articolo.
Il titolare della Licenza di pesca, al fine di ottenere la cancellazione dei punti (art. 8 decreto 29 febbraio 2012), presenta la relativa istanza, corredata da idonea documentazione attestante l'esistenza delle condizioni di cui ai commi 2 e 4 dell'art. 18 del D.lgs. n. 4/2012, al Capo del Compartimento marittimo dell'Ufficio di iscrizione del peschereccio interessato.
Nel caso in cui non ne ricorrano i presupposti emette un “provvedimento di diniego” e lo notifica all'interessato.
Il Centro Controllo Nazionale Pesca (CCNP), ricevuta la comunicazione del “provvedimento” citato, provvede ad aggiornare il “Registro nazionale delle infrazioni”.
Il Centro Controllo Nazionale Pesca provvede ad aggiornare i dati contenuti nel Registro nazionale delle infrazioni con l'indicazione di tutti i punti assegnati, dei punti decurtati ai sensi dell'art. 5 comma 3 e cancellati ai sensi dell'art. 8 del decreto 29 febbraio 2012, nonché delle sospensioni delle licenze di pesca con relativo periodo, e delle revoche definitive.
[1] Art. 18, comma 2 D.lgs. n. 4/2012 (Cancellazione Punti). […] Se il numero totale di punti assegnati alla licenza di pesca è superiore a due vengono cancellati due punti qualora:
a) il peschereccio utilizzato per commettere l'infrazione per cui sono stati assegnati i punti utilizzi in seguito il sistema di controllo dei pescherecci «vessel monitoring system» - VMS o proceda alla registrazione e alla trasmissione elettronica dei dati del giornale di pesca, della dichiarazione di trasbordo e della dichiarazione di sbarco senza essere legalmente obbligato all'uso di tali tecnologie;
b) il titolare della licenza di pesca si offra volontariamente, dopo l'assegnazione dei punti, per partecipare a una campagna scientifica per il miglioramento della selettività degli attrezzi da pesca;
c) il titolare della licenza di pesca sia membro di un'organizzazione di produttori e accetti un piano di pesca adottato dall'organizzazione di produttori nell'anno successivo all'assegnazione dei punti che comporti una riduzione del 10 per cento delle possibilità di pesca per il titolare della licenza di pesca;
d) il titolare della licenza di pesca partecipi a una attività di pesca che rientri in un programma di etichettatura ecologica destinato a certificare e promuovere etichette per i prodotti provenienti da una corretta gestione della pesca marittima e focalizzato su temi correlati all'utilizzo sostenibile delle risorse della pesca.
[2] Art. 18, comma 4 (Cancellazione punti). […] Nel caso in cui non venga commessa una nuova infrazione grave nei tre anni successivi all'ultima infrazione grave, tutti i punti applicati sulla licenza di pesca sono annullati.
Di particolare interesse è l’istituzione ai sensi dell'art. 19 del Decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 di un «Sistema di punti per i comandanti dei pescherecci» a norma dell'articolo 92, paragrafo 6, del Regolamento (CE) n. 1224/2009 e dell'articolo 134 del Regolamento (CE) n. 404/2011 per infrazioni gravi.
La commissione di un'infrazione grave, di cui all'articolo 14, comma 2, del D.lgs. n. 4/2012 dà sempre luogo all'assegnazione di un numero di punti al marittimo imbarcato con la funzione di comandante della unità da pesca, come individuati nell 'Allegato I, anche se non viene emessa l'ordinanza di ingiunzione.
L'applicazione del sistema di punti per i comandanti delle navi da pesca, comporta:
Se nel corso di un’ispezione vengono accertate due o più infrazioni gravi, sono assegnati fino a un massimo di 12 punti. Nel caso in cui non venga commessa una nuova infrazione grave nei tre anni successivi all'ultima infrazione grave, tutti i punti applicati alle funzioni di Comandante sono annullati.
Se le infrazioni sono commesse da appartenenti al personale marittimo, laddove ricorrano i presupposti di cui agli articoli 1249 e seguenti del Codice della navigazione, sono applicate anche le sanzioni disciplinari ivi previste.
Il Decreto 29 febbraio 2012 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (GU n. 105 del 7 maggio 2012 ) modalità, termini e procedure per l’applicazione del «Sistema di punti per infrazioni gravi del comandante del peschereccio», ai sensi dell’art. 19, comma 3 del D. Lgs. n. 4/2012.
Con le stesse modalità previste per l'applicazione del «Sistema di punti per infrazioni gravi alla Licenza di pesca», in caso di accertamento da parte degli Organi addetti al controllo, di una infrazione grave costituente illecito amministrativo di cui di cui all' art. 10, comma 1, lettere a), b), d), g), h), n), o), p), q), r), s), e t) del citato D,lgs. legislativo, oltre a contestare l’infrazione elevando “Verbale” al Comandante della nave da pesca, gli stessi notificano al titolare della Licenza di pesca del peschereccio anche il “Verbale” relativo all'applicazione dei punti secondo quanto previsto all'art. 14, comma 3, del decreto legislativo n. 4/2012, e, senza ritardo, trasmettono copia di entrambi gli atti al Capo del compartimento marittimo competente in base al luogo della commessa violazione.
Nell’ipotesi che i predetti Organi accertano condotte che costituiscono reato di cui all'art. 7, comma 1, a), c) e g) del D.lgs. n. 4/2012, notificano al titolare della licenza di pesca del peschereccio interessato, il “Verbale” relativo all'applicazione dei punti secondo quanto previsto all'art. 14, comma 3, del decreto legislativo n. 4/2012, e, senza ritardo, ne trasmettono copia al Capo del compartimento marittimo competente in base al luogo della commessa violazione. Qualora l’Organo accertatore rilevi che l’applicazione dei punti per l’infrazione grave contestata comporta, ai sensi dell’art. 20 delD. Lgs. n. 4/2012, la sospensione della funzione di comandante, nel Verbale di applicazione dei punti, inserisce altresì l’indicazione del relativo periodo di sospensione. Entro il termine di trenta giorni dalla notifica del Verbale relativo all’applicazione dei punti, l’interessato può far pervenire al Capo del compartimento scritti difensivi e documenti, nonché chiedere di essere sentito dal medesimo. Questi, sentito l’interessato, ove questi ne abbia fatto richiesta, ed esaminati gli eventuali documenti e scritti difensivi inviati ovvero comunque decorsi i termini di trenta giorni, ritenuto fondato l'accertamento, dispone, con “provvedimento motivato”, l’assegnazione dei punti e l’eventuale sospensione, altrimenti emette “provvedimento motivato di archiviazione” degli atti. In entrambi i casi, il provvedimento motivato è notificato all’interessato nei termini di legge, e ne è trasmessa copia all’Ente accertatore.
Il Capo del compartimento, nel caso emetta “provvedimento di assegnazione di punti” ed eventuale sospensione, dispone l’annotazione degli estremi del provvedimento - con indicazione del numero dei punti e dell’eventuale periodo di sospensione - sul titolo matricolare del marittimo (= libretto di navigazione) e ne dà comunicazione al Centro Controllo Nazionale Pesca (CCNP), alla Direzione Generale della Pesca Marittima e dell’Acquacoltura ed all’Ufficio di iscrizione del marittimo per le dovute annotazioni sul pertinente «Registro». La sospensione delle funzioni di comandante è altresì annotata sul Ruolo di equipaggio ovvero sul Ruolino di equipaggio ed il periodo di sospensione inizia a decorrere dalla data della predetta annotazione.
Per le violazioni accertate fuori dal limite delle acque territoriali la competenza a ricevere il rapporto è il Capo del Compartimento marittimo dell’Ufficio di iscrizione del peschereccio interessato.
I provvedimenti di assegnazione dei punti e sospensione possono essere impugnati ai sensi degli artt. 22 e ss. della L. 689/1981. Qualora, a seguito di impugnazione, sia annullato il provvedimento con cui sono stati assegnati i punti, il marittimo interessato presenta al Capo del compartimento marittimo dell’Ufficio di iscrizione copia del “provvedimento giudiziale” che dispone l’annullamento.
Il Capo del compartimento, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, dispone con proprio provvedimento la decurtazione dei punti assegnati, lo notifica al marittimo interessato, dispone l’annotazione degli estremi del provvedimento sul titolo matricolare del marittimo - con indicazione del numero dei punti decurtati -, ne dà comunicazione al Centro Controllo Nazionale Pesca (CCNP) ed all’Ufficio di iscrizione del marittimo per le dovute annotazioni sul pertinente Registro.
Nel caso in cui dall’assegnazione dei punti, successivamente decurtati, sia derivata la “sospensione” delle funzioni di comandante, il Capo del compartimento dell’Ufficio marittimo di iscrizione del marittimo interessato provvede all’annullamento del provvedimento di divieto e ad annotarne gli estremi sul titolo matricolare del marittimo e, ove occorra, sul Ruolo ovvero Ruolino di equipaggio.
Il marittimo interessato, al fine di ottenere la cancellazione dei punti nei casi di cui al comma 3 dell’articolo 20 del D. Lgs n. 4/2012[1], presenta la relativa istanza al Capo del Compartimento dell’Ufficio marittimo di iscrizione. All’esito della verifica, il Capo del Compartimento emette, ove ne ricorrano i presupposti, un provvedimento di cancellazione dei punti, lo notifica all’interessato, dispone l’annotazione degli estremi del provvedimento sul documento matricolare del marittimo – con indicazione del numero dei punti cancellati - e ne dà comunicazione al Centro Controllo Nazionale Pesca ed all’Ufficio di iscrizione del marittimo per le dovute annotazioni sul pertinente Registro. Nel caso in cui non ne ricorrano i presupposti emette un provvedimento di diniego e lo notifica al marittimo interessato.
Il Centro Controllo Nazionale Pesca provvede ad aggiornare i dati contenuti nel «Registro nazionale delle infrazioni» con l'indicazione di tutti i punti assegnati, dei punti decurtati ai sensi dell’art. 3 comma 3 e cancellati ai sensi dell’art. 4 del presente decreto, nonché delle sospensioni delle funzioni di comandante.
[1] Art. 20, comma 3 (Sanzioni applicate al comandante della nave) […] Nel caso in cui non venga commessa una nuova infrazione grave nei tre anni successivi all'ultima infrazione grave, tutti i punti applicati sulla licenza di pesca sono annullati.
Negli ultimi anni si è preso coscienza che oltre a tutelare le specie ittiche è necessario anche preservare i diritti e soprattutto la salute del consumatore finale del prodotto. Pertanto sono state emanate normative nazionali e comunitarie che pongono l’attenzione sugli aspetti sanitari e commerciali del mondo della pesca.
Di fondamentale importanza per quanto riguarda la questione sanitaria è il D.lgs. 6 novembre 2007, n. 193 in attuazione della direttiva 2004/431/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore.
Il Decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 novembre ed entrato in vigore il 21 novembre 2007, recependo la citata Direttiva 2004/41/CE, ha definitivamente abrogato numerosi atti normativi nazionali di derivazione comunitaria ed altre norme nazionali preesistenti che hanno a lungo costituito una parte fondamentale dell’intero quadro normativo del settore alimentare, confermando peraltro numerose “abrogazioni” già precedentemente operate da tali atti, e in particolare:
Questo decreto dovrebbe essere propedeutico al nuovo Codice della sicurezza alimentare, da tempo in fase di elaborazione, che dovrebbe completare le necessarie abrogazioni e riunire tutte le norme in un quadro organico ed armonizzato rispetto alla legislazione comunitaria.
L’art. 6 del Dlgs. n. 193/2007 (nei limiti dell’applicabilità del Reg CE n. 853/2007) non indica puntualmente gli articoli della normativa comunitaria violati, ma elenca le fattispecie costituenti violazione e le rispettive sanzioni applicabili.
Ai commi (commi 11, 12, 13 e 14) prevede le sanzioni applicabili per il settore dei molluschi bivalvi vivi (MBV)
I commi 11-14 trattano delle sanzioni relative all’immissione del molluschi bivalvi vivi e sotto intendono alla preoccupazione del legislatore in merito alla possibile commercializzazione di MBV al di fuori del circuito di produzione, stabilendo sanzioni più elevate nel caso di immissione sul mercato di MBV provenienti da zone dichiarate “Precluse “ o “Non idonee”, salvo che il fatto costituisca reato.
La violazione delle norme contenute nel citato Decreto dà origine a sanzioni amministrative piuttosto pesanti nei confronti del possessore e inoltre, a seguito di successivi esami da parte del personale sanitario della A.S.L., può sfociare in una ancor più affittiva sanzione penale in caso di cattiva conservazione del prodotto, che può essere configurata nel reato di pericolo presunto, che di per sé non esige il verificarsi di un danno per la salute del consumatore (Sentenza Cass. n°. 35103/04).
Ad adiuvandum:
[1] Il Decreto Legislativo n. 193/2007 all’art. 2, individua le autorità competenti ai fini dell’applicazione della normativa comunitaria rappresentata dai Regolamenti del pacchetto igiene (Regolamento 852, 853, 854 e 882 del 2004). Tali Autorità sono rappresentate, per le rispettive competenze, da: Ministero della salute, Regioni e Province autonome; Aziende Unità Sanitarie Locali.
Viene così superata una carenza che ha suscitato non pochi dubbi ed equivoci, dato che sono diversi gli enti titolari di qualche competenza nell’ambito del controllo ufficiale nel settore alimentare (per esempio, in materia amministrativa o di etichettatura) che, negli ultimi anni, avevano scoperto la vocazione dell’igiene e della sicurezza alimentare, certamente sensibili al problema della tutela della salute ma senza averne la competenza tecnico-scientifica. A livello periferico solamente le ASL, nelle articolazioni dei Dipartimenti di Prevenzione, possono compiere valutazioni del rischio per la sicurezza alimentare e adottare i provvedimenti del caso, fatte salve le prerogative ispettive dei Comandi Carabinieri per la Sanità (NAS).
Oltre alla fondamentale garanzia igienico-sanitaria che si cerca di garantire al consumatore, in questi ultimi anni l’Unione Europea ha messo in evidenza la necessità di garantire, in un mercato globale sempre più vasto, la corretta informazione sulla effettiva tipologia, origine e metodo di cattura del prodotto ittico immesso sul mercato prevedendo una precisa «tracciabilità» di ogni singolo esemplare lungo la filiera, ossia dal momento del suo prelievo dal luogo di origine alla sua definitiva vendita ai consumatori finali.
Al fine di assicurare al consumatore un prodotto finale con le massime caratteristiche di igiene e sicurezza alimentare, assume un’importanza determinante la «etichettatura» dei prodotti ittici, che costituisce (diciamo così) il “biglietto da visita” del pesce di fronte al consumatore.
Questa nuova metodologia di controllo fonda le sue origini sui Regolamenti (CE) nn°. 2406/96, 104/2000 e 2065/2001 e, in ambito nazionale, sul D.lgs. n° 109/92 (sull’etichettatura degli alimenti), sul D.M. 27 marzo.2002 che segue la recente regolamentazione comunitaria (in applicazione dell’art. 9 del regolamento CE 2065/2001) e istituisce il sistema di controllo sui requisiti obbligatori di etichettatura per i prodotto della pesca e dell’acquacoltura.
A fronte di questa normativa, si può porre in evidenza l’aspetto più innovativo della questione che si basa sull’esposizione da parte del negoziante, a fianco di ciascuna specie esposta per la vendita, di una "ETICHETTA" dei prodotti ittici simile a quella delle carni bovine e delle carni di altre specie animali in genere, che precisi la denominazione commerciale della specie il metodo di produzione (cattura in mare o nelle acque interne o allevamento) e la zona di cattura, rimandando agli Stati membri la pubblicazione dell’elenco delle denominazioni commerciali autorizzate.
In altri termini, anche nel settore ittico il legislatore europeo impone l'obbligo di riportare in etichetta una serie di indicazioni specifiche che permettano al consumatore di vedere in trasparenza l'origine e il percorso compiuto da quel pesce lungo la filiera produttiva.
In questa sede si ha l’opportunità di chiarire che la “tracciabilità“ nelle sue modalità di applicazione consente di controllare se i prodotti sono organoletticamente sicuri, mentre la “etichettatura “ è prescritta solo allo scopo di dare le informazioni utili al consumatore.
Alla luce di quanto previsto dall’art. 2, punto 1 del Decreto 27 marzo 2002, sull’etichetta dei prodotti della pesca in ogni fase della loro commercializzazione, «esclusa la vendita al dettaglio», bisogna riportare
Ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, comma 2 del Decreto 27.03.2002, sull’etichetta dei prodotto ittici «in fase di vendita al dettaglio», il venditore deve riportare:
L’assenza di tale sistema visivo di identificazione del prodotto comporta una sanzione amministrativa, mentre la non veridicità di una fra le predette indicazioni si può configurare nel più grave «reato di truffa», come la recente immissione nel mercato del nord Italia di ingenti quantitativi di prodotto originario delle acque dolci della Cina, spacciato per il ben rinomato “Rossetto del Mediterraneo”
Alcune considerazioni
Il prodotto che è formalmente etichettato e che risponde positivamente ai controlli di qualità, per assurdo, potrebbe provenire da una zona o paese che invece non è quello dichiarato in etichetta. In questo caso quale sanzione si applicherà ?
Si applicherà la sanzione prevista dall’art. 18 del D.Lgs. 109/92 che va da EURO 1.600 a EURO 9.500 perché l’indicazione dell’origine non è corretta … o la sanzione prevista l’art. 1 bis del D.L. 157/2004 (convertito in legge dalla legge 3 agosto 2004 n.204) che punisce le violazioni delle disposizioni relative alle indicazioni obbligatorie nell’etichettatura dei prodotti alimentari di cui ai commi 1,2,3 che prevede anch’esso la sanzione da Euro 1.600 a 9.500 Euro e della sanzione accessoria della sospensione della commercializzazione, qualora siano commesse più violazioni (reiterazione), anche in tempi diversi.
► L’assenza della “etichetta” a fianco al prodotto ittico comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 516 € a 3.098 € (pagamento in misura ridotta 1.032 €) ai sensi dell’art. 18, comma 3 del D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 per aver violato la norma di cui all’art. 1 del D.M. 27 marzo 2002 e artt. 3, 4 e 5 Regolamento (CE) n. 2065/2001 del 22 ottobre 2001
► La non veridicità di una delle predette indicazioni può configurare l’ipotesi di reato:
► La vendita di prodotti non freschi come freschi può configurare l’ipotesi di reato:
Legge 30 aprile 1962, n. 283
Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 4 giugno 1962) […]
Articolo 5
E' vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari:
b) in cattivo stato di conservazione
[…]
L'art. 8 del Regolamento n° 2065/2001 stabilisce che le indicazioni obbligatorie di cui all’art. 2, punto 1 del decreto 27 marzo 2002, devono essere disponibili ad ogni stadio di commercializzazione; spiega poi che tali indicazioni e la denominazione scientifica della specie "sono fornite mediante l’etichettatura o l’imballaggio del prodotto, oppure mediante un qualsiasi documento commerciale di accompagnamento della merce, compresa la fattura", e ciò viene confermato dal Decreto Ministeriale citato in premessa.
È certamente quest’ultimo il caso più frequente quando si tratta di prodotti freschi contenuti in cassette aperte, destinati ad essere venduti sfusi: il venditore al dettaglio rileverà dal “documento accompagnatorio”, che deve peraltro sempre essere presente ai sensi del Dlgs. n. 193/2007, le indicazioni, per riportarle su apposito cartello da esporre al pubblico in corrispondenza della merce secondo l’art. 16 del D. Lgs. n° 109/1992.
► Facciamo una breve panoramica delle singole indicazioni.
Questa informazione non figura fra le indicazioni obbligatorie definite dal Reg. n° 104/2000 ma a queste viene accostata dal Reg. n° 2065/2001 per la tracciabilità nelle fasi commerciali precedenti la vendita al consumatore finale (art. 8) e, come indicazione facoltativa, anche in quest’ultima fase (art. 3); ciò è peraltro confermato rispettivamente dagli articoli 1 e 2 dello stesso D. M. 27 marzo 2002.
L’art. 3 del D. M. 27 marzo 2002 approva, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del Reg. n° 104/2000, l’elenco (Allegato A) delle denominazioni in lingua italiana delle specie ittiche di interesse commerciale, suddivise fra pesci, molluschi bivalvi, molluschi cefalopodi, crostacei ed echinodermi, per un totale di 424 specie, ognuna delle quali classificata per ordine, famiglia, genere e specie (nome scientifico), con il nome italiano corrispondente.
È la denominazione stabilita in ciascuno Stato membro che deve essere riportata sull’etichetta, sull’imballaggio o sui documenti accompagnatori fino alla vendita al consumatore finale: ogni Stato membro, peraltro, riconosce le denominazioni approvate dagli altri Stati membri nella stessa lingua (art. 4, par. 3, del Reg. n° 104/2000).
In caso di commercializzazione di specie non incluse nell’elenco approvato, il Decreto 27 marzo 2002 assegna all’autorità sanitaria di controllo (identificabile nel veterinario dell’Azienda sanitaria locale che effettua il controllo sanitario) il compito di attribuire una denominazione provvisoria, che deve essere comunicata al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali il quale provvede, entro cinque mesi, a stabilire la denominazione definitiva inserendola nell’elenco ufficiale e notificandola alla Commissione Europea (art. 2 del Reg. 2065/2001).
Quest’informazione deve essere fornita, secondo il Reg. 2065/2001, mediante le indicazioni elencate dall’art. 4 in tutte le lingue degli Stati membri:
È prevista la possibilità che gli Stati membri autorizzino, qualora dalla denominazione e dalla zona di cattura risulti con chiarezza e senza possibilità di errore che si tratti di specie pescate in mare, ad omettere l’indicazione del metodo di produzione.
Le zone di cattura da indicare sono così individuate dall’art. 5 del Reg. n° 2065/2001:
A cura degli operatori, l’indicazione della zona di cattura può essere più precisa, con individuazione di un ambito marittimo o territoriale più ristretto (per esempio, anziché "Mar Mediterraneo", "Mar Adriatico" o "Mar Tirreno").
Etichettatura: zone di cattura
Secondo l’art. 6 del Reg. n° 2065/2001, in caso di vendita di miscugli di specie diverse, le indicazioni obbligatorie devono essere fornite per tutte le specie.
In caso di vendita di un miscuglio di prodotti della stessa specie ma provenienti da zone di cattura o di allevamento diverse, è necessario avvertire circa tale variabilità, indicando almeno la zona relativa alla partita più rappresentativa del miscuglio.
Se il miscuglio di prodotti della stessa specie è riferibile a metodi di produzione diversi, occorre indicare tale metodo per ogni partita.
L’unica deroga prevista è relativa ai piccoli quantitativi di prodotti venduti direttamente ai consumatori dai pescatori o dai produttori di acquacoltura, a cui non si applicano le norme citate (art. 4 del Reg. n° 104/2000). L’entità di tali quantitativi deve essere stabilita dagli Stati membri, ma non devono superare il valore di 20 Euro per acquisto (art. 7 del Reg. 2065/2001).
È necessario non fare confusione fra tale deroga e quella prevista dal Decreto Legislativo n° 531/1992, che all’art. 2, comma 1, lettera p), esclude dal suo campo di applicazione, ai fini della normativa sanitaria, sia la fase di vendita al dettaglio che la vendita diretta da parte del pescatore di "piccole quantità" (poi stabilite nel quantitativo massimo di pescato di 100 Kg) al venditore al minuto o al consumatore: diverso è lo scopo della normativa in materia di etichettatura che qui esaminiamo, la quale esclude dall’obbligo delle indicazioni solamente il produttore che vende i piccoli quantitativi ai consumatori (ricordiamo che il D. Lgs. n° 109/1992, in attuazione di direttive comunitarie, comprende in questa categoria sia il consumatore finale che i ristoranti, le mense e le comunità in genere), mentre il pescatore o produttore di acquacoltura che cede quantitativi di prodotto di qualsiasi entità ai dettaglianti deve sempre procedere all’etichettatura.
L’art. 4, 1° comma, del Decreto 27 marzo 2002 riconduce l’inosservanza delle disposizioni sopra elencate alla sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 18, comma 3, del Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n° 109 (modificato dall’art. 8 del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n° 68) per la violazione dell’art. 4 dello stesso D.Lgs. (relativo alla "Denominazione di vendita"); tale sanzione, secondo il tasso di conversione e le modalità di cui all’art. 51 del Decreto Legislativo 24 giugno 1998, n. 213, risulta compresa fra il minimo di Euro 516 e il massimo di Euro 3098.
Pertanto, la somma che può essere pagata in misura ridotta con effetto liberatorio, entro 60 giorni dalla notifica, ai sensi dell’art. 16 della Legge 24 novembre 1981, n° 689, è pari a Euro 1032 (doppio del minimo/terzo del massimo). L’autorità competente a ricevere eventuali scritti difensivi da parte dall’autore della violazione e ad emettere l’ordinanza ingiunzione in caso di mancato pagamento è la Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura della provincia in cui è avvenuta la violazione.
Si precisa che per i prodotti preconfezionati la sanzione, prevista dall’art. 18, comma 2, riferibile alle altre indicazioni diverse da quelle di cui qui si è trattato (cioè: nome e sede del produttore, ingredienti, lotto, peso netto, data di scadenza, modalità di conservazione, ecc.), è più elevata, essendo compresa fra Euro 1549 ed Euro 9296; si ritiene che le due sanzioni siano applicabili anche contemporaneamente, essendo riferite a specifiche e diverse violazioni.
Secondo l’art. 4 comma 2, del D. M. 27 marzo 2002, l’accertamento delle violazioni e l’applicazione delle sanzioni compete alle persone incaricate della sorveglianza sulla pesca e sul commercio dei prodotti ittici di cui all’art. 21 della Legge 14 luglio 1965, n° 963 (Disciplina della pesca marittima) sotto la direzione dei comandanti delle Capitanerie di Porto, vale a dire:
Come si vede, non è compreso il personale sanitario (veterinari e tecnici della prevenzione), che per ovvi motivi è, tuttavia, il più presente lungo la filiera del settore, esercitando, secondo le competenze rispettive di ogni figura professionale, il controllo prima della commercializzazione dei prodotti ittici e la vigilanza in tutte le fasi del commercio e della trasformazione; anche se, come abbiamo visto più sopra, proprio l’"autorità sanitaria di controllo" viene chiamata in causa ed è preposta ad assegnare le denominazioni provvisorie alle specie non comprese nell’elenco.
Ma lo stesso personale sanitario incaricato del controllo ufficiale degli alimenti non è escluso dalla possibilità di esercitare la vigilanza sull’etichettatura dei prodotti alimentari, con relativo accertamento delle violazioni, avendo anzi in materia una specifica competenza: concetto, questo, molto chiaro nella Circolare del Ministero della Sanità 6 luglio 1993, n° 27, e nello stesso Decreto Legislativo 3 marzo 1993, n° 123, che all’art. 2, comma 1, lettera h), prevede espressamente, fra le attività ispettive, la vigilanza sull’etichettatura: materia di certo preminentemente commerciale, che presenta però, innegabilmente, implicazioni di rilevanza sanitaria come più volte richiamato da circolari, note ministeriali e letteratura.
Conclusioni
Certamente siamo di fronte ad un nuovo, importante fatto storico nella tracciabilità degli alimenti.
I consumatori possono ora avere informazioni più complete circa la natura e la provenienza dei prodotti ittici, sempre che la normativa sia puntualmente e correttamente applicata da tutti gli operatori che devono garantire la trasparenza nelle transazioni commerciali ad ogni passaggio.
Nelle piccole imprese di pesca e nella piccola distribuzione possiamo aspettarci dei ritardi nell’applicazione, superabili con un piccolo impegno: infatti, non si vedono difficoltà nell’indicare il metodo di produzione e la zona di cattura, mentre per quanto riguarda le denominazioni bisogna fare uno sforzo per superare l’abitudine all’utilizzo di nomi locali e dialettali, non previsti nell’elenco ministeriale (nel quale, peraltro, non figurano — e ciò è curioso — i molluschi gasteropodi, anche se comprendono alcune specie largamente commercializzate).
Non pochi problemi crea poi la nuova regolamentazione per l’etichettatura dei miscugli di specie diverse, finora spesso indicati semplicemente — e impropriamente — come "misto" o con una terminologia relativa all’utilizzo gastronomico ("frittura", "zuppa", ecc.): può risultare infatti difficile e macchinoso elencare i nomi (nelle fasi precedenti la vendita al consumatore finale anche quelli scientifici) di tutte le specie presenti nel miscuglio, specialmente se composto da esemplari di piccola taglia.
È certo che le sanzioni previste sono degne di attenzione e rappresentano un deterrente importante nei confronti delle resistenze all’applicazione della normativa, ma è giusto escludere dal novero delle autorità competenti all’accertamento delle violazioni proprio quel personale sanitario che, come sopra già evidenziato, è indubbiamente il più presente lungo tutta la filiera ed è in grado di assicurare il controllo più capillare?
È difficile capire se possa trattarsi di una semplice dimenticanza o di un’esclusione voluta e comunque lecita (anche se, come abbiamo visto, in evidente contraddizione con altre norme vigenti), che rischia comunque di frammentare l’attività di controllo e, almeno in parte, di vanificarne l’obiettivo.
La normativa nazionale e comunitaria nell'ambito del regime di controllo, istituito ai sensi dei regolamenti (CE) 1224/2009 e (UE) 404/2011, disciplina la "tracciabilità" del prodotto ittico, in particolare dal momento della cattura alla prima vendita, attraverso la produzione ed il trasferimento di dati tra i diversi attori della filiera al fine di definire un valido sistema di rintracciabilità che consenta al flusso delle informazioni di seguire il prodotto fino alla vendita al dettaglio.
Ciascun operatore della filiera ittica ha l'obbligo di ottemperare, per la propria parte di competenza, alle disposizioni previste dalla normativa vigente.
Ai sensi del Titolo IV del Regolamento 1224/2009,:
In particolare, i dati del Giornale di Pesca in formato elettronico devono essere trasmessi almeno una volta al giorno (entro le ore 24.00), su richiesta dell'Autorità competente dello Stato membro di bandiera e in ogni caso dopo la conclusione dell'ultima operazione di pesca e prima dell'entrata in porto.
Il comandante di un peschereccio deve compilare la Dichiarazione di Trasbordo - laddove autorizzata - e trasmetterla entro 24 ore dal completamento delle operazioni di trasbordo.
Il comandante di un peschereccio (o un suo delegato) deve compilare la Dichiarazione di Sbarco e trasmetterla entro 24 ore dal completamento delle operazioni di sbarco.
Come disposto dal D.M. 1° marzo 2012 e ai sensi degli artt. 15, comma 4, 22, comma 3 e 24, comma 3 sono stati esonerati dagli obblighi di compilazione e trasmissione elettroniche rispettivamente dei dati del Giornale di Pesca, della Dichiarazione di Trasbordo e della Dichiarazione di Sbarco previsti le unità da pesca di lft inferiore a 15 metri e pari o superiore a 12 metri, previa presentazione dell'apposita dichiarazione prevista dal predetto decreto ministeriale.
Le unità da pesca che si avvalgono della facoltà di essere esonerati dagli obblighi di cui agli art. 15, comma 4, 22, comma 3 e 24, comma 3 hanno l'obbligo di compilare i modelli cartacei del Giornale di Pesca, della Dichiarazione di Trasbordo e della Dichiarazione di Sbarco secondo le modalità previste dalla normativa di riferimento.
Le unità da pesca che si avvalgono della facoltà di essere esonerati dagli obblighi di cui agli art. 15, comma 4, 22, comma 3 e 24, comma 3, laddove dovessero decidere successivamente di ottemperare agli obblighi di trasmissione dei documenti di bordo elettronicamente, potranno ricevere un pc tablet in dotazione, di proprietà del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, secondo disponibilità delle scorte (fino ad esaurimento scorte).
Adempimenti a carico degli operatori commerciali. Registrazione degli operatori
Ai sensi dell'art. 59 del Reg. (CE) 1224/2009 gli acquirenti in prima vendita dei prodotti della pesca e i soggetti che prendono in carico il prodotto per la messa in vendita successiva del prodotto stesso devono essere registrati.
Ai sensi dell'art. 114 del Reg.(CE) 1224/2009 è stato istituito il sito controlli www.controllopesca.politicheagricole.it [66], ove è possibile accedere alla procedura di registrazione utente e successivamente alle procedure di trasmissione dei dati di seguito specificate.
Al fine di agevolare l'accesso alle procedure informatizzate, il sito presenta una sessione FAQ ed i recapiti cui potersi rivolgere per informazioni circa gli adempimenti cui ottemperare.
Inoltre, al fine di facilitare le operazioni di inserimento dati, successive alla registrazione, sono stati pubblicati sul sito del Mipaaf manuali relativi alla gestione dati da parte degli operatori.
Ai fini della prima immissione sul mercato, i prodotti della pesca devono essere ceduti esclusivamente ad operatori registrati.
Sono esonerati dagli obblighi di registrazione gli acquirenti dei prodotti della pesca di peso non superiore a 30 kg che non vengono successivamente immessi sul mercato, ma che sono esclusivamente destinati al consumo privato.
I prodotti ittici della pesca e dell'acquacoltura freschi, refrigerati e congelati posti in vendita al dettaglio per il consumo finale debbono obbligatoriamente essere etichettati con le seguenti informazioni:
Per il prodotto pescato si può anche indicare la Zona Fao, ma deve essere esposta la tabella esplicativa:
Se il prodotto è surgelato, deve contenere espressa indicazione, con richiamo al divieto di ricongelamento (la surgelazione è un procedimento che avviene a livello industriale, perché comporta un raggiungimento di temperature tali per cui sono necessari macchinari appositi; la congelazione invece è un procedimento "casalingo" , che può essere effettuato nel freezer di qualsiasi cucina).
I ristoranti sono assimilati al consumatore finale (l'acquirente), quindi non devono etichettare l'eventuale prodotto esposto ma conservare i documenti giustificativi d'acquisto, per assicurarne la tracciabilità e la sicurezza di provenienza da fonti che non siano – per esempio - la pesca sportiva.
Un prodotto della pesca preparato già sottoposto a cottura (trasformato) è da considerarsi escluso dal campo di applicazione del Regolamento n. 104/2000: non sono quindi necessarie le informazioni obbligatorie da questo previste e l'etichettatura può riportare come ingrediente la denominazione "pesce", come si è visto prevista dal D Lgs. n. 109/1992, seguita dalla percentuale se l'ingrediente "pesce" è un ingrediente caratterizzante evidenziato (es. denominazione "crocchette di pesce", "bastoncini di pesce"). La suddetta esclusione dal campo di applicazione riguarda anche i prodotti della pesca "altrimenti preparati o conservati con procedimenti diversi da quelli previsti nel Capitolo 3 della nomenclatura combinata". Nel caso, invece, di prodotti della pesca preparati, per esempio affettati, sfilettati o tritati, anche se uniti ad altri ingredienti, non sottoposti a un trattamento di trasformazione ma solamente conservati mediante il freddo (refrigerati o congelati), rientrando gli stessi nei codici di Nomenclatura Combinata citati dal Reg. n. 104/2000, si ritiene che trovi piena applicabilità il regolamento stesso, con il conseguente obbligo di riportare in etichettatura come ingrediente, anziché la generica indicazione di categoria "pesce", il nome della specie ittica, il metodo di produzione (pesca o allevamento) e la zona di cattura.
Alimenti - Frode
Non sussiste il reato di frode nell’esercizio del commercio in ipotesi di omessa indicazione nella lista vivande di “alimenti surgelati” (c.d. munù), qualora il consumatore possa verificare personalmente, in quanto visibili, la tipologia e le caratteristiche dei prodotti somministrati.
Pret. Orvieto, 29 giugno 1994 – Riviste Rass. Giur. Umbra
La detenzione di alimenti surgelati in un ristorante, conservati in apposito surgelatore, senza la relativa dicitura sulla lista del giorno integra il tentativo del reato di frode nell’esercizio del commercio, a nulla rilevando la mancata identificazione di soggetti passivi o l’assenza di clienti nell’ora del sopralluogo.
Cass. Pen., 3 marzo 1984 – Riviste: cass. Penale
“Costituisce tentativo di frode in commercio esporre sui banchi di un negozio prodotti alimentari scaduti con etichetta alterata o sostituita”. Con sentenza del 21 dicembre 2000, n. 28 le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione riconoscono che costituisce tentativo di frode in commercio – ex. art. 515 c.p. – esporre sui banchi di un negozio prodotti alimentari scaduti con etichetta alterata o sostituita. L’art. 56 c.p. richiede per la punibilità del delitto tentato che gli atti posti in essere dall’agente siano idonei e diretti in modo non equivoco alla commissione del delitto; esisteva, però, un contrasto giurisprudenziale sulla necessità o meno di un rapporto diretto tra venditore ed acquirente per la configurabilità del tentativo di frode in commercio, perciò la questione è stata rimessa alla S.U. Una parte della giurisprudenza riteneva che il tentativo fosse configurabile solo in presenza di una contraffazione idonea ed inequivocabilmente predisposta alla consegna di merce diversa a chi intendeva in concreto acquistarla (Cass., sez. III, 13 ottobre 1994); un’altra parte riteneva invece sufficiente la semplice offerta al pubblico (Cass., sez. III, 3 novembre 1999). Le Sezioni Unite “hanno sposato” quest’ultima tesi affermando che se i prodotti alimentari scaduti con etichetta alterata o sostituita vengono esposti sui banchi d’esercizio o sono comunque offerti al pubblico la condotta posta in essere dall’esercente l’attività commerciale deve considerarsi idonea e diretta in modo non equivoco alla vendita della merce ai potenziali acquirenti. Il tentativo non è viceversa configurabile, per l’assenza del requisito dell’univoctà degli atti, ove i prodotti con etichetta alterata o sostituita siano semplicemente detenuti all’interno dell’esercizio o in un deposito senza essere esposti o in qualche modo offerti al pubblico.
Cass. Penale. S.U., sent. 21 dicembre 2000, n. 28
In materia di alimenti, perché ricorra il cattivo stato di conservazione – elemento costitutivo del reato contravvenzionale di cui all’art. 5 della Legge 30 Aprile 1962, n. 283 – non occorre che la sostanza alimentare risulti alterata. E’ sufficiente che nelle modalità di conservazione del prodotto (sistemi di confezionamento, luogo di conservazione, esposizione all’aria o al sole, stivaggio, trasporto, ecc.) non vengono osservate le precauzioni igienico-sanitarie dirette ad evitare che il prodotto stesso possa subire un’alterazione che ne comprometta la genuinità o commestibilità, precauzioni che possono essere prescritte da leggi o regolamenti o precauzioni dettate dall’art. 47 del D.M. 20 gennaio 1927 in ordine alla conservazione dell’acqua minerale – norma tuttora in vigore perché non abrogata, né espressamente né implicitamente, dal D.L. 25 gennaio 1992, n. 105 o dal D.M. 12 novembre 1992, n. 542 – determina la sussistenza del suddetto reato. (Nella fattispecie, è stato ritenuto configurabile il reato in questione in relazione alla detenzione, per la vendita, di bottiglie di acqua minerale depositate in luogo esposto al sole).
Cass, sez. III, sent. N. 9229 del 13.10.1997 (cc. del 19.09.1997), Nastasi (rv. 208679).
In materia di alimenti, il reato di cui all’art. 5 della Legge 30 Aprile 1962, n. 283, lett, b), si perfeziona con la detenzione, da parte del gestore-venditore, della sostanza alimentare, essendo tale detenzione correlata alla vendita ed alla somministrazione. Ne deriva che è irrilevante l’assunto, secondo cui il prodotto venga sottoposto a controllo prima dell’emissione al consumo. (Nella specie, trattavasi di prodotto di validità scaduta, detenuto nel magazzino-dispensa di un ristorante).
Cass., sent. N. 9338 del 31.08.1994 (cc. del 21.06.1994), Sacchi (rv. 198799).
La conservazione prevista dall’art. 5 della Legge 30 Aprile 1962, n. 283, lett, b), costituisce una fattispecie di reato di pericolo, nel senso che essa si realizza mediante la condotta di conservazione del prodotto idonea ad evitare possibili condizioni di “alterazione” la cui effettiva realizzazione comporta la presenza di distinte ipotesi di reato. Cosicché l’inosservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie intese a garantire la buona conservazione del prodotto è già di per sé sufficiente per integrare gli estremi della detta contravvenzione. (Nella fattispecie, relativa a conservazione per la vendita di dolci alla crema a temperatura non consentita dall’art. 31 del D.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, la Corte ha ritenuto la sussistenza del reato di cui all’art. 5 della Legge 30 Aprile 1962, n. 283, lett, b), anche se il prodotto offerto in vendita non risultava alterato).
Sez. VI, sent. N. 6608 del 25.01.1992 (cc. del 07.12.1992), Tinca (rv. 193468).
In materia di alimenti, l’art. 5 della Legge 30 Aprile 1962, n. 283, lett, b), delinea una contravvenzione integrata dall’inosservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie intese a garantire la buona conservazione del prodotto. Trattasi di reato di pericolo, per integrare il quale non è necessario che il “cattivo stato di conservzione” abbia danneggiato o alterato il prodotto.
Sez. VI, sent. N. 3802 del 21.01.1993 (ud. del 27.10.1992), Castigiole (rv. 192929).
Con la costituzione dell’Unione Europea sono stati introdotti regolamenti e direttive comunitarie che hanno modificato la disciplina dell’attività di pesca, considerando tra l’altro che in caso di Regolamenti, questi “prevalgono” sulla normativa nazionale dei singoli Stati, ad esclusione delle norme che per la loro formulazione risultano più restrittive di quelle comunitarie. In particolare il Regolamento (CE) n. 1626/94 del Consiglio del 27 giugno 1994 ha stabilito nuove “taglie minime” per la maggior parte delle specie ittiche, in quanto ha introdotto delle misure superiori a quelle previste dalla normativa nazionale; oltretutto con successive modifiche sono stati banditi alcuni sistemi di pesca, spesso facenti parte della tradizione locale quale ad esempio la sciabica da spiaggia. Fattore di notevole rilevanza da notare è l’assenza di una qualsiasi tolleranza di prodotto sottomisura, mentre per la normativa nazionale era consentito il 10% del peso sul totale del pescato sbarcato dalla singola unità.
Anche per le specie che hanno taglia minima nazionale non esiste più la tolleranza sul sottomisura (D.L. 8 aprile 2008, n. 59, convertito in legge con Legge 6 giugno 2008, n. 101). Lo sbarco, il trasporto, il trasbordo e la commercializzazione di esemplari sottomisura rimane solo per le specie (e nelle percentuali) per cui ciò sia chiaramente specificato nella normativa comunitaria (ad esempio, Tonno Rosso, Reg. (CE) 302/2009). Questa particolarità agevola notevolmente l’attività di controllo e soprattutto di repressione delle violazioni in materia, in quanto in qualsiasi punto della filiera commerciale, sbarco, trasporto, detenzione e commercio non è più necessario dover risalire all’intera partita della specie incriminata per stabilire se la percentuale di sottomisura sia superiore al 10% - come in passato - ma è sufficiente anche un unico esemplare di quel singolo quantitativo di prodotto rinvenuto sia di dimensioni inferiori a quelle previste dalle norme comunitarie, per poter intraprendere l’azione repressiva nei confronti del possessore.
Sta quindi al “buon senso” e alla “esperienza” dell’operatore saper valutare la gravità dell’infrazione e soprattutto la volontarietà dell’azione legale, prima di decidere se procedere ai previsti atti di polizia: identificazione (ed elezione di domicilio), dichiarazioni spontanee dell’autore del fatto, sequestro penale del prodotto, rilievi fotografici, ecc e notizia di reato all’A.G.
Per contro la normativa nazionale prevede all’art. 87 del D.P.R. 1639/68 la tolleranza del 10% del peso totale del pescato sbarcato dalla singola unità. Di conseguenza applicando questa norma la contestazione può essere effettuata soltanto al momento dello sbarco del prodotto, infatti la Corte Suprema di Cassazione con la Sentenza n. 8690/1998 ha stabilito che “il commerciante che acquista il prodotto non può avere cognizione del rispetto del divieto imposto dalla legge non disponendo dei dati relativi alla quantità complessiva originaria e, di conseguenza, non risponde del reato di cui all’art. 15 comma 1 lettera c), mancando la prova sia dell’elemento materiale, che di quello intenzionale”.
La creazione dell’Unione Europea ha anche significato libero mercato delle merci e condivisione delle risorse comuni. Questi principi fondamentali sono alla base di una politica comune della pesca, con una gestione delle risorse che fosse condivisa nello spirito dai singoli Stati e che è stata materializzata con l’emanazione di numerosi provvedimenti volti alla tutela delle specie ittiche, tramite anche degli atteggiamenti repressivi uniformi nell’ambito della Comunità Europea; a tale scopo con il Regolamento (CE) 2847/93, di cui si è detto in precedenza, si sono volute individuare le violazioni ritenute più gravi ed invasive dell’ecosistema, prevedendo un resoconto finale da parte di ogni singolo Stato sulla propria attività di repressione svolta, al fine di individuare eventuali difformità di applicazione della normativa nelle singole realtà locali e volendo individuare metodi coercitivi sempre più efficaci ed idonei alla progressiva riduzione dei comportamenti illeciti riscontrati.
Sempre per verificare la corretta applicazione delle normative comunitarie sono stati istituti i “Centri di Controllo Pesca” (D.P.R. 424/98) ed il “Nucleo centrale Ispettori Pesca” (D.M. 12.09.2002) con lo scopo di coordinare l’attività di controllo in ambito nazionale, coadiuvare le ispezioni disposte dall’Unione Europea ed effettuate da personale specializzato di altri Stati comunitari ed inoltre, partecipare alle medesime ispezioni realizzate all’estero sia a bordo di unità italiane anche in acque non comunitarie, sia su unità straniere in acque comunitarie.
Anche la tecnologia è stata messa al servizio dell’attività di vigilanza tramite l’introduzione con il Regolamento (CE) 1489/97 dell’apparato radioelettrico “Blue Box”, che, come abbiamo avuto modo di dire in precedenza, rappresenta una vera spina nel fianco per le condotte illecite, in particolare per ciò che concerne gli sconfinamenti in acque territoriali straniere od il superamento dell’abilitazione consentita.
Questo apparecchio consente di individuare la reale posizione delle unità che lo hanno in dotazione, avendo quindi la possibilità di contestare direttamente eventuali violazioni accertate esclusivamente dal terminale, senza dover obbligatoriamente assistere di persona alla condotta illecita.
Tale tecnologia se da un alto consente un notevole risparmio di energie umane ed economiche, dall’altro garantisce l’inconfutabilità della violazione e quindi la quasi certezza della “condanna” per ogni attività illecita rilevata dallo strumento.
Il Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena è stato istituito Legge 4 gennaio 1994, n. 10 [67] conformemente alla normativa di riferimento sulle “Aree protette”. Il suo Ente gestore è disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) del 17 maggio 1996, che ha anche introdotto le prime “norme di salvaguardia”.
Il Decreto delimita i confini del Parco, che comprendono "tutte le isole e gli isolotti appartenenti al territorio del comune di La Maddalena, nonché le aree marine circostanti": un'estensione costiera di oltre 180 chilometri, pari a circa un decimo dell'intera Sardegna[1].
Il Parco, insieme al Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, è attualmente uno dei due Parchi nazionali italiani che mantengono, tra le proprie norme istitutive, un'estensione sia terrestre, nel caso dell'area protetta sarda pari a 5.100 ettari, sia marina, per circa 15.000 ettari.
Il Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena rappresenta anche una parte significativa del territorio dello Stato italiano e della Sardegna all'interno del futuro Parco marino internazionale delle Bocche di Bonifacio, per la cui realizzazione l'Ente Parco coopera da circa dieci anni con gli organismi corsi preposti alla tutela dell'ambiente ottenendo significativi risultati nel corso degli anni.
L'Ente Parco ha varato nel corso degli anni “Misure di Salvaguardia” (M.d.S.) contenute nell’Allegato A del D.P.R. 17 maggio 1996 [68] mediante l’adozione di alcuni Regolamenti annuali che a partire dal 2007, sono stati sostituiti da specifiche “Ordinanze“ connesse all’esigenza di prevenire e porre rimedio agli inconvenienti ambientali e naturalistici derivanti da flussi turistici intensissimi ed in costante accentuazione. Le “limitazioni” degli usi delle risorse marine e della pesca, hanno rappresentato una importante novità nel quadro delle iniziative che, anche in campo nazionale ed internazionale, vengono adottate per la salvaguardia ambientale.
In particolare le “Misure di Salvaguardia” contenute nel citato D.P.R. [68], suddividono il territorio in varie aree (c.d. "zonizzazione" o "zonazione"), le quali hanno lo scopo di tutelare le specie vegetali e animali, e più in generale mantenere il patrimonio complessivo della biodiversità delle piccole isole attraverso il coinvolgimento di istituzioni e organizzazioni non governative che si occupano della tutela dell'ambiente.
Le norme di salvaguardia ambientale e la regolamentazione di alcune tipologie di attività nautiche nell'Area marina del Parco hanno rappresentato un elemento fortemente innovativo per un territorio particolare come l'Arcipelago di La Maddalena, che soprattutto nei mesi estivi, ha subito uno sfruttamento indiscriminato e senza regole.
Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena
La spiaggia di Cala Coticcio (Tahiti) - Isola di Caprera
[[1]] Il territorio del Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena comprende tutte le isole e gli isolotti appartenenti al territorio del Comune di La Maddalena, nonché le aree marine circostanti, ed è delimitato in via definitiva dalla perimetrazione riportata nella Cartografia ufficiale in scala 1:25.000 depositata in originale presso il Ministero dell'ambiente ed in copia conforme presso la Regione autonoma della Sardegna e la sede dell'Ente Parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena. Tra le più importanti, La Maddalena [75], Caprera [76], Santo Stefano [77], Budelli [78], Santa Maria [79], Razzoli [80], Spargi [81], oltre ad altre più piccole come gli isolotti di Spargiotto, Mortorio, Barrettini, Soffi, Capuccini, Roma [82], Cardellino e Cala Lunga [83]: se ne contano 62, fra isole e isolotti, per un totale di 180 km di coste.
Il Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena [84] è una vasta “Area protetta geomarina” composta da un insieme di isole situate nel nord-est della Sardegna, per la maggior parte totalmente disabitate o con esigui insediamenti umani (isole di Caprera e Santa Maria), ad eccezione dell’Isola Madre, sede dell’omonimo comune.
Fatte salve le modalità operative concernenti le utilizzazioni del territorio per esigenze di carattere militare, di competenza dell'Amministrazione Difesa, l'Area del Parco Nazionale, è suddivisa, ai sensi dell'art. 12 della Legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge Quadro sulle Aree Protette [85]), nelle seguenti macro zone:
►L'area del Parco, per la parte «terrestre», è suddivisa nelle seguenti zone:
Zona Ta: di rilevante interesse naturalistico, con limitato o inesistente grado di antropizzazione (contrassegnata nella Carta in
scala 1:100.000 dal colore rosso);
Zona Tb: di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico o con maggiore grado di antropizzazione
(contrassegnata nella Carta in scala 1:100.000 dal colore giallo);
Zona Tc: con accentuato grado di antropizzazione (contrassegnata nella Carta in scala 1:100.000 dal colore arancione).
►L'area del Parco, per la parte «marina», è suddivisa nelle seguenti aree:
Zona Ma: di rilevante interesse naturalistico nella quale il rapporto tra uomo e ambiente è limitato (contrassegnata nella
Carta in scala 1:100.000 dai bordi di colore rosso);
Zona Mb: di rilevante interesse naturalistico nella quale il rapporto tra uomo e ambiente è autorizzato secondo determinate
modalità (contrassegnata nella Carta in scala 1:100.000 dai bordi di colore verde).
Tranne che per le attività connesse alla utilizzazione dell'area per fini militari, la sorveglianza delle “zone terrestri” è affidata al "Corpo forestale della Regione autonoma della Sardegna", eventualmente coadiuvato da personale del "Corpo forestale dello Stato" mediante appositi accordi raggiunti nelle forme di legge con il Ministero competente, previo benestare della Regione autonoma della Sardegna, nelle forme e nei modi previsti dall'art. 21 della legge n. 394 del 1991.
La sorveglianza delle “zone marine” è esercitata dalle “Capitanerie di Porto”, ai sensi dell'art. 19, comma 7, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e dal "Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione autonoma della Sardegna" secondo le rispettive competenze, nonché dalle altre Forze di polizia.
L'Arcipelago di La Maddalena è un gruppo di "Isole" a Nord-Est della Sardegna, al largo della Costa Smeralda.
Tra le più importanti: La Maddalena, Caprera, Santo Stefano, Santa Maria, Spargi, Budelli, Razzoli
oltre ad altre più piccole (Barettini, Mortorio, Soffi, Nibani)
Tranne che per le attività connesse alla utilizzazione dell'area per fini militari, la sorveglianza delle “Zone terrestri” è affidata al "Corpo forestale della Regione autonoma della Sardegna", eventualmente coadiuvato da personale del "Corpo forestale dello Stato" mediante appositi accordi raggiunti nelle forme di legge con il Ministero competente, previo benestare della Regione autonoma della Sardegna, nelle forme e nei modi previsti dall'art. 21 della Legge n. 394 del 1991.
La sorveglianza delle “Zone marine” è esercitata dalle “Capitanerie di Porto-Guardia Costiera”, ai sensi dell'art. 19, comma 7, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e dal "Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione autonoma della Sardegna" (Cfva) secondo le rispettive competenze, nonché dalle altre Forze di polizia.
Nelle Aree marine protette sono vietate le attività che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell'ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell'area. In particolare sono vietati (art. 19, comma 3 della Legge 6 dicembre 1991, n. 394):
Nel caso si abbia certezza che il trasgressore sia a conoscenza dei vincoli dell’area e viola le su citate disposizioni, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da € 103 a € 13.000 (art. 30, n. 1). Le pene sono raddoppiate in caso di recidiva. In caso di violazioni costituenti ipotesi di reato perseguiti ai sensi degli articoli 733 (Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale) e 734 (Distruzione o deturpamento di bellezze naturali) del Codice penale può essere disposto dal Giudice o, in caso di flagranza, per evitare l'aggravamento o la continuazione del reato, dagli addetti alla sorveglianza dell'area protetta, il sequestro di quanto adoperato per commettere gli illeciti ad essi relativi. Il responsabile è tenuto a provvedere alla riduzione in pristino dell'area danneggiata, ove possibile, e comunque è tenuto al risarcimento del danno.
Le pene sono raddoppiate in caso di recidiva. Qualora l'area protetta marina NON sia segnalata in maniera conforme ai criteri AISM-IALA (di cui all'articolo 2, comma 9-bis), chiunque, al comando o alla conduzione di un'unità da diporto, che comunque NON sia a conoscenza dei vincoli relativi a tale area, violi il divieto di navigazione a motore di cui all'articolo 19, comma 3, lettera e), è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 200 euro a 1.000 euro.
L’art. 19. n. 5 della L. 394/91 prevede - per la violazione dei divieti e dei vincoli contenuti nei decreti emanati dagli Organismi di gestione delle Aree protette – la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 50 € a 1.032 € (p.m.r. 50 €) di cui all’art. 30, n. 2 della L. 394/91.
Qualora l’area marina protetta NON sia segnalata in maniera conforme ai criteri AISM-IALA[1] ed il trasgressore non sia a conoscenza dei vincoli dell’area si applica la sanzione amministrativa da 25 € a 500 € (art. 30, n. 2 bis L. 394/91). Tali sanzioni sono irrogate, nel rispetto delle disposizioni di cui alla Legge 24 novembre 1981, n. 689 [86], dal legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area protetta.
L’art. 83 del Codice della navigazione [87] “Divieto di transito e di sosta” determina le zone dove è vietata - per motivi di protezione dell’ambiente marino - la navigazione, l’ancoraggio o la sosta delle navi mercantili merci/passeggeri superiori alle 500 tsl nella fascia di mare esterna di 2 mg dai perimetri dei parchi/aree protette nazionali, marini e costieri, ex L. 979/82 e L. 394/91, e all'interno dei medesimi perimetri. E’ punito con la reclusione sino a 2 anni e multa sino a 516 € il comandante di nave nazionale o straniera che non osserva il divieto o il limite di navigazione stabiliti nell’art. 83 (art. 1102, comma 1 del Codice della navigazione).
I segnali speciali - Aree Marine Protette (AMP)
[[1]] I segnalamenti marittimi ottici AISM (Association International de Signalisation Maritime) - I.A.L.A. (International Association of Lighthouse Authorities) indicano i limiti geografici delle aree protette entro i quali è vietata la navigazione. Il segnalamento (segnali cc.dd. speciali) può essere di varie forme ma comunque sempre di colore giallo. Il miraglio, se presente, è a forma di X, anch'esso di colore giallo, e l'eventuale segnalazione luminosa è gialla con qualunque caratteristica purché non si confonda con altri segnalamenti luminosi a luce bianca presenti nella stessa zona.
I limiti geografici delle Aree marine protette [88] (AMP) entro i quali è vietata la navigazione devono essere individuati con mezzi di segnalazione conformi alla normativa AISM-I.A.L.A.
I segnalamenti marittimi ottici AISM - I.A.L.A. sono costituiti dal complesso dei segnali posti a terra o in mare per rendere più sicura e facile la navigazione costiera [89]. Servono ad indicare la presenza di pericoli, ad aiutare a riconoscere la costa, ad indicare tramite allineamento la rotta corretta, ed in generale a fornire dei punti notevoli [90] al navigante. Sono situati sulla costa, all'entrata dei porti [91], sulle dighe foranee [92], sui promontori, sugli scogli, sulle secche o galleggianti in mare.
Per la loro funzione, i segnalamenti marittimi devono essere quindi facilmente visibili ed identificabili, ed essere riportati sulle carte [93] o sui documenti nautici. Possono essere luminosi, ed essere visibili quindi anche di notte, oppure essere di utilizzo esclusivamente diurno. A volte i segnalamenti più piccoli sono dotati anche di un riflettore radar, un diedro metallico che permette ai radar [94] delle navi una loro più facile individuazione.
Ogni tipo di segnalamento possiede delle caratteristiche particolari, quali il colore e la caratteristica della luce [95] per i segnali luminosi, la forma ed il colore dei miragli, e così via, che forniscono informazioni utili al loro riconoscimento univoco ed al loro utilizzo.
Il sistema internazionale di segnalamenti AISM acronimo di Association International de Signalisation Maritime) I.A.L.A. di International Association of Lighthouse Authorities, utilizza boe, mede, dromi e segnali fissi e codificando opportunamente le caratteristiche di cui sopra, individua 5 categorie di segnalamenti:
Il sistema di segnalamento I.A.L.A. è adottato in tutto il mondo, ma alcune caratteristiche dei segnalamenti sono parzialmente differenti in base allo stato in cui ci si trova. In pratica l'emisfero terrestre è stato convenzionalmente suddiviso in due grandi regioni:
La Regione A, della quale fa parte il Mediterraneo, comprende anche le coste dell'Atlantico Orientale, l'Oceano Indiano e gran parte del Pacifico Occidentale: è caratterizzata dall'avere, per i segnalamenti laterali, il rosso a sinistra ed il verde a dritta.
La Regione B, cui appartiene la restante parte del mondo, si differenzia per avere, sempre nei segnali laterali, il verde a sinistra ed il rosso a dritta.
Pertanto, la differenza tra le due macro Regioni sta nel colore dei segnalamenti laterali, infatti mentre nella Regione A entrando in un porto o in un canale il segnale che vediamo a destra dell'ingresso è di colore verde e quello a sinistra dell'ingresso è di colore rosso, nella Regione B i colori dei segnalamenti sono invertiti mentre gli stessi mantengono la forma originale.
Le figure sottostanti rappresentano i "Segnali Laterali" utilizzati nella REGIONE A (che include Europa, Africa, Australia e Asia ad eccezione di Corea, Giappone e Filippine) in corrispondenza dell'ingresso di un porto, di un canale, ecc.
Le figure sottostanti rappresentano i segnali laterali utilizzati nella REGIONE A in corrispondenza di una biforcazione
ATTENZIONE
I segnali laterali utilizzati nella REGIONE B hanno i colori invertiti
I Segnali Cardinali segnalano aree di pericolo utilizzando i 4 punti cardinali rispetto alla posizione del segnale.
Sono di colore nero e giallo, con i miragli costituiti da due coni di colore nero sovrapposti in maniera diversa per ognuno dei 4 segnali cardinali. Più precisamente:
I Segnali di pericolo isolato segnalano pericoli isolati per la navigazione (scogli, secche, ecc.) in prossimità della loro posizione, sono di colore nero con una o più fasce larghe rosse orizzontali a forma di fuso o di asta. Il miraglio è composto due sfere nere sovrapposte. Caratteristiche dell'eventuale segnalazione luminosa: luce bianca a gruppi di due lampi.
I Segnali di acque sicure indicano zone sicure per la navigazione, il segnalamento è a settori verticali rossi e bianchi, di forma sferica, a fuso o ad asta spesso con miraglio sferico di colore rosso. Le caratteristiche dell'eventuale segnale luminoso sono:
I Segnali speciali indicano cavi sottomarini, oleodotti, Aree Marine Protette (AMP) e militari ecc., il segnalamento può essere di varie forme ma comunque sempre di colore giallo.
Il miraglio, se presente, è a forma di X, anch'esso di colore giallo, e l'eventuale segnalazione luminosa è gialla con qualunque caratteristica purché non si confonda con altri segnalamenti luminosi a luce bianca presenti nella stessa zona
Di norma l'Area Marina Protetta (AMP) viene suddivisa in tre distinte zone a diverso grado di tutela che, pur non prevedendo un limite assoluto alle tradizionali attività legate al mare (prime fra tutte la pesca e il turismo), ne regolano lo svolgimento in base alle diverse necessità di conservazione.
Le AMP generalmente sono suddivise al loro interno in “sub-sistemi” denominati Zone A, B e C. L'intento è quello di assicurare la massima protezione agli ambienti dove il valore naturale è particolarmente accentuato, che ricadono nelle zone di riserva integrale (Zona A), attraverso regimi di tutela molto stretti.
Con le Zone B e C si crea una modularità nei livelli di protezione in modo da coniugare la conservazione dei valori naturali con la fruizione ed uso sostenibile dell'ambiente marino. Le tre tipologie di zone sono delimitate da coordinate geografiche e riportate nella cartografia allegata al Decreto Istitutivo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
In particolare:
Zona A, di riserva integrale
La zona di riserva integrale (A) è quella in cui sono generalmente vietate le attività che possano arrecare danno o disturbo all'ambiente marino. La zona A è solitamente un’area «no entry-no take». In tale zona, di estensione limitata, sono consentite in genere unicamente le attività di ricerca scientifica e le attività di servizio. Essa garantisce, infatti, la tutela della biodiversità e il ripopolamento delle specie animali e vegetali, e pertanto prescrive, quasi sempre, il divieto di balneazione e di navigazione.
Zona B, di riserva generale
Al confine con la zona di protezione integrale si trova quella di riserva generale (B) che coniuga la conservazione dei valori ambientali con la fruizione compatibile dell'ambiente marino. In essa, in genere, sono consentite la balneazione, le visite guidate anche subacquee, la navigazione (a remi, a vela o a velocità ridotta), l'ormeggio e l'ancoraggio in zone limitate individuate dall'ente gestore. Le attività di pesca consentite si limitano generalmente alle attività professionali esercitate dai residenti, mentre la pesca sportiva, quando permessa, è regolamentata rigidamente. La pesca subacquea è rigorosamente vietata.
Le le zone B di solito non sono molto estese
Zona C, di riserva parziale
Di norma la zona di riserva generale è racchiusa da una zona di riserva parziale (C) che si può considerare una fascia tampone o fascia intermedia (buffer zone) tra le zone di maggiore pregio naturalistico e i settori esterni all'AMP. In questa zona, di solito non molto estesa, i limiti d’uso sono meno pressanti e le attività antropiche sono generalmente consentite. Qui, oltre a quanto già consentito nelle altre zone, sono permesse e regolamentate dall'Organismo di gestione tutte le attività di fruizione del mare di modesto impatto ambientale, quali la navigazione delle imbarcazioni a motore (nel più dei casi a velocità ridotta), l'ormeggio, l'ancoraggio e la pesca sportiva. In zona C in genere ricade la maggior estensione dell'AMP. Occorre precisare che limiti e divieti nelle diverse Zone sono esattamente definiti e individuati dai decreti istitutivi e dai regolamenti delle Aree Marine Protette, che tengono conto delle peculiarità, caratteristiche e necessità di ciascuna.
In zona C in genere ricade la maggior estensione dell'area marina protetta.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
"PARCO NAZIONALE DELL’ARCIPELAGO DI LA MADDALENA"
La presente Carta in scala 1:100.000 è stata realizzata dalla cartografia ufficiale 1:25.000
allegata al D.P.R. del 17 maggio 1996
La consultazione della stessa è possibile presso la sede del Parco, in via Giulio Cesare, 7 a La Maddalena
La presente carta non può essere usata per la navigazione
Ai sensi dell’art. 1 dell’Allegato A – Misure di salvaguardia del Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena[1] – al D.P.R. 17 maggio 1996, sono consentite su tutto il territorio del Parco:
Attenzione !
Nel Parco sono vietate le gare di "pesca sportiva".
La vigente Ordinanza del Presidente n. 4 del 9 luglio 2007 che disciplina l’esercizio dell’attività di pesca ricreativa all’interno del Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena, stabilisce le regole seguenti:
Nelle Zone Ma (riserva integrale) è vietata qualunque attività di pesca ricreativa.
Nelle Zone Mb (riserva generale) la pesca ricreativa può essere praticata (fatte salve eventuali disposizioni di legge più
restrittive):
a) a bordo di unità da diporto (natanti, imbarcazioni e navi)
b) da terra
c) in ambiente subacqueo (pesca sub)
Ulteriori norme riguardanti la pesca ricreativa:
Nell’area marina del Parco è vietata qualunque forma di prelievo delle seguenti specie:
A fronte di particolari esigenze di tutela ambientale, l’Ente parco si riserva il diritto, con successivo provvedimento e a seguito di apposito monitoraggio, di disciplinare le modalità di prelievo di specie di rilevante interesse naturalistico, con particolare riferimento alla tutela delle seguenti specie:
Attenzione !
Per tutte le discipline non esplicitate all’articolo 1 dell’Ordinanza 04/2007, valgono per le attività di pesca ricreativa le disposizioni di cui al presente Disciplinare e al Decreto del Presidente della Repubblica del 17 Maggio 1996, nonché le disposizioni di legge vigenti in materia pesca sportiva-ricreativa (Decreto Legislativo 19 gennaio 2012, n. 4 come modificato dall’art. 39 – Capo VIII della Legge 28 luglio 2016, n. 154 sulle disposizioni in materia di pesca e acquacoltura) nonché dal previgente Regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. n. 1639 del 2 ottobre 1968.
Si fa riferimento anche ai Decreti ed alla normativa regionale.
Regolamento Parco Nazionale di La Maddalena
Dei “Limiti di cattura” nelle Zone Mb
[1] Il territorio del Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena comprende tutte le isole e gli isolotti appartenenti al territorio del comune di La Maddalena, nonché le aree marine circostanti, ed è delimitato in via definitiva dalla perimetrazione riportata nella cartografia ufficiale in scala 1:25.000 depositata in originale presso il Ministero dell'ambiente ed in copia conforme presso la Regione autonoma della Sardegna e la sede dell'Ente Parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena.
[2] L’Autorizzazione (c.d. “SeaPass”) consiste in una card gratuita contenente tutte le tipologie autorizzative (diporto, pesca da terra, pesca da unità da diporto, pesca subacquea e immersioni). Ha validità quinquennale (con scadenza al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di rilascio) e può essere usata anche senza apporre il bollino adesivo (che non è obbligatorio) sulla unità,.
[[3] E' vietata la pesca, detenzione a bordo, trasbordo o sbarco della Magnosa (Scyllarides latus intellettuale) (Artt. 1 e 2 Decreto Regione Autonoma della Sardegna del 04.03.2010 n. 344DecA/8)
La cernia conosciuta maggiormente come cernia bruna (Epinephelus marginatus), è un pesce appartenente alla famiglia dei Serranidi [96]. Vive comunemente nel Mar Mediterraneo ad una profondità variabile tra i 10 e i 50 metri (spingendosi fino ai 200), spesso vicino a fondali rocciosi e ricchi di grotte e fenditure. Gli esemplari più giovani vivono in prossimità della costa. Viene comunque incontrata anche nell'Oceano Atlantico orientale e nell'Oceano Indiano occidentale, nelle isole Britanniche e fino al Monzambico e al Madagascar. Di grosse dimensioni, fino a 140-150 centimetri per anche 60 chilogrammi di peso. Molto longeva (anche 50 anni con un'età massima stimata di 61 anni[11] [97]). È di colore bruno con macchie più chiare, tendenzialmente più scuro negli esemplari più vecchi; tipiche le macchie chiare attorno l'occhio.
Solitaria, territoriale, piuttosto schiva, anche se è documentata una certa curiosità dell'animale. Il pesce è un ermafrodita proterogino [98], che diviene maschio intorno ai dodici anni. Gli esemplari di grandi dimensioni sono pertanto tutti di sesso maschile. La riproduzione avviene durante il periodo estivo. Si nutre principalmente di molluschi, crostacei e di altri pesci.
Nel Mar Mediterraneo vivono altre specie di Epinephelus oltre alla E. marginatus come:
E. marginatus si riconosce dalle altre per via del margine della pinna caudale arrotondato in modo convesso, per le strisce chiare laterali sulla testa e per il colore tipicamente marrone, più grigio nelle altre specie. La famiglia delle cernie mediterranee è però completata da altre due specie di cernie di genere differente: Polyprion americanus e Mycteroperca rubra, note rispettivamente come cernia di fondale e cernia rossa.
In Mediterraneo, la Cernia Bruna si trova in condizioni ottimali solo entro le aree marine protette. Nel caso fosse pescata, non può essere commercializzata se di lunghezza inferiore ai 45 centimetri.
Esemplare di Cernia bruna (Epinephelus marginatus)
La cernia o dotto (Polyprion americanus), conosciuta maggiormente come cernia di fondale (Regolamento (CE) N. 216/2009), è un pesce di mare appartenente alla famiglia Polyprionidae che fino a poco tempo fa veniva ascritto alla famiglia dei Serranidae come le cernie propriamente dette. Il nome del genere deriva dal greco “poly”= molto e “prion” = sega, cioè è un pesce che “sega molto”, considerando il fatto che è rivestito da piccole scaglie ctenoidi cigliate,molto ruvide, per non parlare della scabrosa cresta dell’opercolo, della seghettatura del preopercolo e delle numerose spine.
La cernia o dotto (cernia di fondale) è conosciuta, nelle varie regioni italiane, con nomi dialettali divesi:
Liguria |
Lucerna, Lüxerna de fundo |
Puglia |
Dotture, Cernia fusca, Pesce de friesche, Pisci frischi, Pisci fusco |
Sardegna |
Gernia niedda |
Sicilia |
Addottu di sciumi, Addottu di furi |
Il nome della specie “americanus” sarebbe semplice dire che deriva da “americano”, visto che è presente, con densità variabile , sulle coste atlantiche del Nord America e del Sud America. È diffuso sia in mari tropicali che in acque fredde, infatti si ritrova nell'Oceano Atlantico dall'Islanda e Norvegia fino al Sudafrica ed anche nel Pacifico e nell'Oceano Indiano. Comunque è più comune in mari temperati e freddi piuttosto che vicino ai Tropici. Nonostante il nome è rarissima lungo le coste americane sia del nord che del sud. Il suo habitat è profondo, in genere nelle grotte a 100-200 metri di profondità, ma è stato avvistato anche 1.000 metri. Ha una predilezione per le navi affondate, dove mette su casa, tanto che gli inglesi lo chiamano “Wreck fish” cioè “Pesce dei relitti”. Gli esemplari più giovani, per allenarsi, si trovano spesso in superficie sotto assi e rottami galleggianti alla deriva. Gli adulti si rinvengono tra da 30-40 metri fino ad oltre 400 metri di profondità sia in ambienti rocciosi e sabbio-fangosi e, soprattutto, all'interno di relitti. I giovani hanno la curiosa abitudine di stazionare in piccoli branchi sotto relitti galleggianti in mare aperto (da cui il nome di cernia ombra). Il corpo è tozzo non molto schiacciato lateralmente ed è immediatamente riconoscibile dalle cernie propriamente dette a causa della bocca enorme, della mandibola che sopravanza la mascella di varie lunghezze e della caratteristica fronte concava con un'evidente gibbosità dietro l'occhio. La colorazione dei giovani sono di colore bruno violaceo, con macchie più chiare e più scure sparse e bordi delle pinne biancastri. Negli adulti il corpo assume una tinta unita brunastra, più scura sul dorso con riflessi vinosi e più chiara sul ventre con sfumature giallastre. Si riproduce in estate e cambia di sesso- I particolari biologici sono poco noti. La riproduzione ha luogo d’estate, come mostrano le retate di plancton contenenti uova pelagiche, ed i piccoli raggiungono 10 cm ad un anno di vita. Data la profondità in cui vive, non è facile dire fino a che punto questa specie sia in pericolo. Ma è evidente che pesci pregiati di grosse dimensioni, a crescita lenta, sono seriamente minacciati dalla pesca moderna, anche se in alcuni stati sono state votate misure protezionistiche. L’indice di vulnerabilità della specie segna attualmente 72 su una scala di 100.
Esemplare di cernia (Polyprion americanus),
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La Sciaena umbra, comunemente conosciuta come corvina, è un pesce d’acqua salata appartenente alla famiglia Sciaenidae. La corvina appartiene alla stessa famiglia dell’ombrina è ed fra le specie più prelibate. La corvina è diffusa in tutto il Mediterraneo, nel Mar Nero e nell’Atlantico orientale, a nord fino al Golfo di Biscaglia e a sud fino al Senegal. Solitamente staziona su fondali rocciosi su batimetriche comprese fra i 5 e i 50 metri; talvolta si spinge fino a -180 metri.
La corvina è un pesce con il corpo ovale sul dorso e piatto sul ventre con la pinna dorsale è divisa in due lobi e la pinna caudale è ampia e tondeggiante. Presenta una colorazione bronzea sul dorso e sui fianchi e chiare sul ventre con le pinne di colore giallo. Le pinne ventrali sono invece scure e bordate da una striscia bianca. Le labbra sono carnose e di colore bianco. Raggiunge una lunghezza di oltre 50 centimetri.
La corvina è un pesce gregario che forma anche grossi branchi, chiamati voli per il modo sinuosi di nuotare di questi pesci. La corvina è un pesce bentonico che ama vivere vicino al fondale. Predilige le zone ricche di anfratti e di posidonia dove caccia e si nasconde. Di solito piuttosto lenta nei movimenti, capace però di scatti improvvisi in caso di necessità. I maschi di questa specie producono un sordo ticchettio provocato dallo scontro fra loro dei denti faringei, rumore amplificato dalla vescica natatoria che funziona da cassa di risonanza
La deposizione avviene ad agosto.
La corvina si nutre di piccoli pesci e di crostacei.
NOME VOLGARE: Corvina. Covrolaca, corvo di scoglio, pescio corvo, cappa nigra, covrolaca (Liguria), locca (Tosacana), lodola (Marche), curviello, gattè, cuorve de mare (Puglia), curveddu niru, schifaro (Calabria), pisci acula, alaguia, aguia, serrania, aloca, corvu pisci, serrania di niuri (Sicilia), gorbagiu, corbaglio, umbrina impiriali (Sardegna), brown meagre (Inglese), corb (Francese), corvallo, corvinato (Spagnolo). skios (Greco).
Esemplare di Corvina (Sciaena umbra)
La Pinna nobilis, comunemente nota come nacchera, pinna comune, cozza penna o stura, è il più grande bivalve presente nel Mar Mediterraneo. In Italia viene segnalata genericamente nel Mar Ligure (Portofino) e Tirreno (Piombino), fino alle coste Settentrionali della Sardegna. In Sicilia è presente nelle Isole Egadi ed a Pantelleria.
L’aspetto è quello di una enorme cozza. Un mega mollusco dal colore marroncino conosciuto come «nacchera». È un organismo sessile che vive fissato con la parte appuntita della sua conchiglia triangolare nella sabbia o nella roccia, spesso situata in mezzo alle praterie di Posidonia oceanica, da pochi metri fino a 40 di profondità. Può raggiungere un metro di lunghezza. La sua raccolta è vietata. In ogni caso, pur essendo edule, trattandosi di un mollusco filtratore, è estremamente rischioso mangiarlo in quanto accumula assorbendoli dal mare grandi quantità di inquinanti e patogeni. Per questo motivo è stato utilizzato come indicatore dell'inquinamento marino (anche nucleare presso l’Isola di La Maddalena).
Per nutrirsi e respirare pompa l'acqua nella cavità del mantello mediante un sifone inalante e poi la emette attraverso uno esalante. Le valve hanno il margine posteriore arrotondato e presentano una ventina di coste radiali con scaglie a forma di canali. Il colore è bruno con scaglie più chiare; l'interno è bruno e lucente con la parte anteriore madreperlacea. Possono vivere più di 20 anni e raggiungere un metro di lunghezza, ma la dimensione media della conchiglia di un esemplare adulto è intorno ai 65 cm. Ha uno sviluppo abbastanza rapido nei primi anni di vita, in media di 10 cm per anno; raggiunta la maturità sessuale, intorno ai 40 cm, l'accrescimento rallenta e si assesta su circa 10 cm ogni 3 anni.
Al suo interno ospita talvolta in simbiosi crostacei decapodi, come Pontonia pinnophylax e Pinnotheres pimmotheres. Tipica l'epibiosi con organismi che si insediano sulla parte esterna del guscio quali alghe, briozoi, ascidie e spugne.
Molto simile alla Pinna rudis, da cui si distingue per l'assenza o la scarsa marcatura delle costolature sulla conchiglia.
Come tanti molluschi marini produce dei filamenti con i quali si ancora al fondo del mare. Hanno delle caratteristiche peculiari: possono raggiungere anche i 20 centimetri di lunghezza, sono molto resistenti, lucenti e hanno dei riflessi dorati. Specifiche che li hanno resi materia prima eccellente in sartoria per produrre tessuti dalle tonalità calde e vive, molto richiesti ma soprattutto costosi. Questi fili, sottili e robusti, costituiscono il materiale con cui si fabbrica il filamento detto bisso marino, utilizzato in passato specialmente in Sardegna per la tessitura di preziosi indumenti dai colori cangianti. A seguito della tutela della specie la lavorazione del bisso marino è quasi del tutto scomparsa.
Indicatore naturale dello stato di salute delle acque, la Pinna Nobilis - come anzidetto - funge anche da “filtro”, assorbendo dall’acqua sostanze inquinanti e agenti patogeni. Uno dei motivi che dovrebbe indurre a non consumare questo mollusco oltre al non meno importante pericolo di estinzione. é inserita nella lista rossa della direttiva CITES 92/43/CEE dell’Unione Europea e nei successivi aggiornamenti Direttiva 2006/105/CE tra le specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa e perciò ne è vietata la raccolta se non per scopi scientifici. La minaccia più consistente è il prelievo a scopo collezionistico ed alimentareLa specie è inserita nell’allegato II del Protocollo SPA/BIO della Convenzione di Barcellona, nell’allegato II della Convenzione di Berna e nell’allegato IV della Direttiva Habitat. Direttiva Habitat Report Nazionale art. 17 periodo 2007-2012, valutazione complessiva dello stato di conservazione: cattivo, trend stabile.
Esemplare di Nacchera (Pinna nobilis)
La Patella ferruginea è un mollusco gasteropode della famiglia Patellidae. È la più grande invertebrato che si può incontrare lungo le coste del Mediterraneo. Si riconosce facilmente dalla sua taglia, ma anche dal suo guscio, molto spesso e solido e segnato da creste squamose. Questo mollusco mostra una conchiglia molto spessa e di forma conica a base ovoidale. Può formare un cono abbastanza alto, simmetrico o parzialmente asimmetrico, con l’apice spostato su un lato della linea che definisce la lunghezza del guscio. Le dimensioni massime della conchiglia possono raggiungere i 10 centimetri di lunghezza. Generalmente però in natura si osservano esemplari con conchiglie di minori dimensioni. Il bordo della conchiglia è dentellato perché è definito dalla parte terminale di coste evidenti, radiali e rette, che percorrono dorsalmente il guscio sino all’apice, dove si congiungono.
La conchiglia è quasi sempre ricoperta da uno strato di incrostazioni o da altri organismi e quindi non lascia intravedere il colore di fondo, che sarebbe di fatto il colore che da origine al nome, ossia marrone o rosso ruggine. L’interno è madreperlaceo, con sfumature iridescenti negli esemplari più piccoli molluschi
Il mollusco che produce la conchiglia è molto sviluppato ed ha un piede potente per aderire agli scogli. Come le altre patelle, anche la ferruginea vive su substrati rocciosi soggetti a periodiche variazioni della marea (zona interditale). Il piede, aderendo con forza al substrato, trattiene una quantità di acqua sufficiente ad impedire la disidratazione, e consente loro di sopportare lunghi periodi di emersione.
È un organismo brucatore che si ciba di alghe che raschia sulle rocce. Per sopravvivere all’asciutto trattiene una quantità d’acqua sotto il mantello. L’animale produce anche una particolare sostanza vischiosa per far aderire meglio la conchiglia alla roccia.
La riproduzione ha inizio in primavera per proseguire sino all’autunno. La specie ha sessi separati e le larve sono planctoniche per un breve periodo sinché non si fissano ad un substrato per iniziare la vita bentonica. In realtà quest’organismo è ermafrodita proterandrico. Gli individui giovani sono maschi e possono raggiungere la maturità sessuale al raggiungimento della taglia di circa 3 centimetri di lunghezza della conchiglia. Intorno ai 5-6 centimetri di lunghezza della conchiglia generalmente cambiano sesso e diventano femmine. Attualmente questa patella viene considerata l’invertebrato a maggior rischio di estinzione.
L’areale attuale della specie è limitato a poche zone del Bacino Occidentale del Mediterraneo. Le grandi dimensioni, caratteristiche di questa specie, ne hanno fatto una cattura ambita da molti e di fatto ne hanno causato la rarefazione o l’estinzione delle popolazioni a livello locale.
In generale le patelle sono da secoli utilizzate come esca per chi pesca da terra, con canne o lenza, e per questo staccate in gran numero dagli scogli.
Anche l’inquinamento e l’antropizzazione dei litorali in alcune zone può aver influito sulla vita e sull’ecologia di questa specie.
Inoltre, tra i numerosi organismi che colonizzano il suo guscio pare vi siano anche i giovani esemplari. Se quest’abitudine ha un valore ecologico rilevante, appare ovvio come la scomparsa dei grossi esemplari possa influire anche sulla vita e lo sviluppo dei nuovi esemplari.
È il principale invertebrato marino a rischio di estinzione, presente nel Mediterraneo. Il suo habitat è costituito dalle rocce del piano mesolitorale. Decimata dalla pesca a piedi (è utilizzata come esca) e dall'inquinamento, oggi esiste solo in Corsica, Sardegna, Marocco, Algeria e nel sud della Spagna
Esemplare di Patella Ferrosa (Patella ferruginea)
L'Aragosta mediterranea (Palinurus elephas) è un crostaceo dell’ordine Decapoda che vive nei fondali del mar Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico orientale.
È una specie gregaria, vive nei fondali rocciosi dai 15 metri fino ai 200 metri di profondità dove si riunisce in gruppo per colonizzare un’area che non lascerà fino alla fine della sua vita. Ha una taglia medio-grande con una lunghezza media di 20–40 cm e massima di 50 cm ed un peso fino a 8 kg. Il corpo è di forma sub-cilindrica, rivestito da una corazza che durante la crescita cambia diverse volte per ricrearne una nuova. Il carapace è diviso in due parti - il cefalotorace (parte anteriore) e l’addome (parte posteriore) - con una colorazione da rosso-brunastro a viola-brunastro ed è cosparso di spine a forma conica.
L'addome è formato da 6 segmenti mobili, ed è dotato di un minuscolo pungiglione. Anteriormente presenta due antenne più lunghe del corpo, ripiegate all'indietro, gialle e rosse a tratti, che hanno la funzione di organi sensoriali e di difesa; sulla fronte sono anche presenti due spine divergenti a V. L'ultimo segmento del pleon, il telson, assieme ai pleopodi del sesto segmento, forma il ventaglio caudale, utile per il nuoto. Possiede diverse zampe, ma solo una parte viene utilizzata per camminare. Essendo un Palinuro non possiede zampe chelate: l'aragosta viene spesso confusa con l’astice che invece le ha ed assomiglia molto all'aragosta. Si nutre di plancton, alghe, spugne, vermi marini, piccoli crostacei sia vivi che già morti. La riproduzione avviene a fine estate e in inverno nascono le larve, le quali raggiungono subito i fondali che le ospiteranno per il resto della loro vita.
L'alto contenuto di emocianina dà alla loro emolinfa - circolazione comune di sangue e linfa - la colorazione viola, la quale però è mantenuta soltanto quando l'aragosta resta in profondità. Alla luce del sole o in superficie il colorito viola svanisce. Nei mari tropicali dei Caraibi è possibile assistere a vere e proprie migrazioni di questa specie, che si spostano in fila indiana, in branchi molto numerosi. I motivi di questa migrazione sono ancora sconosciuti.
Nel bacino del Mediterraneo si trovano altre due specie simili:
E’ una specie protetta inclusa nell'Appendice III della Convenzione di Berna.
Esemplare di Aragosta mediterranea (Palinurus elephas)
L’astice (Homarus gammarus) (Regolamento (CE) N. 1638/2001 e Regolamento (CE) N. 216/2009 e Regolamento (CE) N. 218/2009 e Decisione di Esecuzione (UE) 2016/1251), conosciuto anche come "astice europeo" e con i nomi locali di Elefante di mare, Lupicante, Lupo di mare, è un crostaceo decapode appartenente alla famiglia Nephropidae. È molto simile all'astice americano (Homarus americanus).
Di colore bluastro, con chiazze gialle sul dorso e ventre chiaro, possiede due paia di antenne, un paio lunghe e uno corte e 8 zampe locomotrici, oltre a 2 chelate, di cui una più grande e una più piccola, per poter svolgere meglio compiti diversi. Il carapace è liscio e incavato, possiede due spine, situate vicino agli occhi. Può raggiungere il mezzo metro di lunghezza, ma gli esemplari comuni misurano dai 30 ai 40 cm. Al contrario di quanto spesso si crede, l'astice non è strettamente imparentato con l’aragosta, che appartiene a un altro genere e anche a una famiglia diversa, quella dei Palinuridi. L'astice è presente nelle zone orientali dell' Oceano Atlantico, dalla Norvegia nord-occidentale fino alle Azzorre e al Marocco. La sua presenza è comune in tutto il Mediterraneo e a nord-ovest del Mar Nero, ma non nel Mar Baltico. Questo crostaceo vive attaccato alle rocce sottomarine, tra i 50 ed i 150 metri di profondità nascosti sotto grossi massi.
Aragosta ed astice hanno caratteristiche simili ed il loro riconoscimento non è per nulla difficile. Sono le chele (o zampe chelate), presenti solamente nell’astice a differenziare i due crostacei. Le chele sono due appendici molto sviluppate che servono all’animale per catturare le sue prede, utilizzate come arma di difesa e addirittura come “apribivalvi”.
Esemplare di astice (Homarus gammarus)
La Cicala di mare o magnosella o batti batti (Scyllarus arctus) è un crostaceo decapodo della famiglia dei Scyllaridae. Da 10 ai 15-16 centimetri di lunghezza, non adatta al nuoto. Corpo appiattito, con antenne piatte a paletta, leggermente violacee sui bordi e frastagliate. Carapace bruno, scaglie e spine gialle.
La magnosella (Scyllarus arcuts) è molto simile alla magnosa, ma le sue dimensioni sono di molto inferiori. Per distinguere gli esemplari delle due specie si può ricorrere all’osservazione delle antenne allargate, il cui margine appare liscio nella magnosa e con lobi leggeri ma visibili nella magnosella. Inoltre la magnosella può abitare le stesse zone e gli stessi fondali della magnosa per cui gli esemplari giovani di magnosa possono creare una certa confusione. D’altro canto gli esemplari giovani di magnosa sono rarissimi ed è, per qualche strano motivo o forse perché probabilmente vivono in acque profonde, che è quasi impossibile incontrarli, per cui non si dovrebbe ingenerare confusione di fronte a piccoli esemplari, con questa logica, praticamente solo magnoselle.
La Magnosa mostra un guscio con granulazioni evidenti e ricco di peluria, colorazione chiara marroncino quasi uniforme sul dorso e giallo sul ventre. Le sue antennule appaiono viola e la parte dorsale del primo somite addominale presenta una macchia rossa ben evidente. La Magnosella è sovente più scura, bruno scuro sino a nerastro, con linee trasversali arancio rosse nei somiti addominali e le zampe anellate di blu. Mostra inoltre tre spine sulla parte anteriore del carapace, mentre la magnosa mostra nella stessa zona alcuni grossi tubercoli rialzati e irregolariComune nel Mar Mediterraneo, nel Mar di Marmara, sulle coste del Marocco, Azzorre, Isole Canarie, segnalata anche sulle rive portoghesi. Dai 5 ai 50 metri di profondità. È una specie rara, protetta in Italia poiché sensibile alla pesca ed all'inquinamento. Molto simile alla Scyllarides latus (magnosa), con cui viene confusa, anche se le dimensioni della S. latus sono decisamente più considerevoli. Altro segno di differenziazione è il margine delle antenne, frastagliato nella S. arctus e liscio nella magnosa.
Esemplare di Cicala di mare o magnosella (Scyllarus arctus)
La cicala grande di mare o magnosa (Scyllarides latus) è un crostaceo decapodo della famiglia dei Scyllaridae. Uno dei crostacei di più grandi dimensioni del Mar Mediterraneo (fino a 45 centimetri per un peso anche superiore ai 2 chilogrammi), Nel Mediterraneo si trova con una certa continuità, ma è abbastanza rara lungo tutte le coste e non è segnalata nell’Adriatico Settentrionale. Si incontra in Libano, Turchia, Grecia, Bosnia, Montenegro, Macedonia , Italia con Sardegna e Sicilia ma non alto adriatico, Albania, Cipro, Malta, Francia e Corsica, Spagna e Baleari, Israele, Palestina, Siria, Gibilterra. La è segnalata anche in Egitto, Libia, Algeria, Marocco e Tunisia.
Ha le antenne anteriori dalla caratteristica forma piatta, con bordi ondulati e lisci. Il carapace è a forma di parallelepipedo, di colore bruno-grigio. È una specie tipicamente notturna. Comune nel Mar Mediterraneo (tranne nord Adriatico), vive su fondali rocciosi dai 10 ai 100 metri di profondità. È una specie rara, protetta in Italia. Molto simile alla Scyllarus arctus (magnosella), con cui viene confusa, anche se le dimensioni della magnosella sono decisamente minori.
La magnosa è un crostaceo che può raggiungere dimensioni notevoli, con esemplari eccezionali che possono superare i 40 centimetri di lunghezza, e per questo, vista anche la bontà delle sue carni, è stato ricercato con frequenza da diverse categorie di pescatori. Più comunemente le grosse magnose raggiungono al massimo i 30 centimetri di lunghezza, con un carapace, che ricopre il cefalotorace, lungo circa 10-12 centimetri. Anche il peso può essere rilevante e incentivante per i pescatori perché la magnosa può superare il chilogrammo e sfiorare il chilo e mezzo e, in alcuni rari esemplari, anche i due chilogrammi. Le antenne sono ampie “palette” ben evidenti e disposte in avanti o appena inclinate verso il basso. Uno dei segmenti antennali (4°) mostra alcuni denti irregolari corti e medi, e una punta abbastanza allungata. La punta o dente si trova esternamente e anteriormente al segmento. Questa è solitamente ripiegata al di sopra del piano del segmento dell’antenna. L’ultimo segmento anteriore mostra invece bordi lisci e arrotondati. Il carapace è massiccio e a forma squadrata e anteriormente mostra il bordo retto, con un rostro poco in rilievo. Ai lati mostra una sorta di carenatura, con tanti dentelli.
La sua superficie è ricca, soprattutto lungo la linea mediana, di granuli e di tubercoli irregolari (alti e bassi) piuttosto grossi e vistosi, con alla base alcuni peli. Anche i segmenti dell’addome sono ricoperti da tubercoli e protuberanze,
appaiono ben arcuati e non mostrano solchi sulla superficie. Questo crostaceo vive anche su substrato sabbioso, ma si incontra più spesso su quello roccioso, ricco di anfratti e spaccature, come quello che ospita il coralligeno.
La notte invece si sposta sul fondale alla ricerca di molluschi, soprattutto patelle, che sembrerebbe possa staccare con le antenne a paletta per poi mangiarle, ma anche mitili, ostriche e gasteropodi. Sembrerebbe che con le antenne possa rilevare ed individuare prede anche sotto strati sottili di sedimenti. Una volta individuata la preda, la magnosa utilizza le punte (dattili) delle zampe per scardinare i gusci, soprattutto dei bivalvi.
Questi crostacei si alimentano soprattutto nelle stagioni favorevoli e calde e molto meno nella stagione invernale. Nelle varie fasi di sviluppo le magnose, come altri crostacei, sono prede ambite di diversi predatori. Tra essi soprattutto alcuni pesci diurni come il pesce balestra (Balistes carolinensis) particolarmente vorace di esemplari di questa specie.
Possono catturare le magnose anche le cernie brune (Epinephelus marginatus) e forse i grossi polpi, capaci di predare le magnose in cattività.
Non avendo chele utili per la difesa, la magnosa potrebbe utilizzare le estremità delle zampe che mostrano una punta robusta. Questo però non avviene e questo crostaceo, una volta aggredito, riesce solo ad ancorarsi proprio con le zampe al substrato oppure prova a nuotare via dall’aggressore con movimenti di addome e coda.
Esemplare di Magnosa (Scyllarides latus)
Decreto N. 1916/Deca/46 del 29.08.2016
(Sintesi)
Oggetto: Disciplina della pesca dell’Aragosta (Palinurus elephas), dell’Aragosta di fondale (Palinurus auritanicus), dell’Astice (Homarus gammarus) e della Granseola (Maja squinado). Disposizioni per la tutela degli stock e per il trasporto, la detenzione e l’immissione sul mercato di prodotti vivi pescati nel mare territoriale della Sardegna – Abrogazione del Decreto dell’Assessore dell’Agricoltura e Riforma Agro-pastorale n. 2102/DecA/87 del 11.08.2010 - Modifiche al Decreto dell’Assessore della Difesa dell’Ambiente n. 412 del 26.05.1995 - Deroga temporanea
DECRETA
Art. 1
1. Nel mare territoriale della Sardegna la pesca dell’Aragosta (Palinurus elephas), dell’Aragosta di fondale (Palinurus mauritanicus), dell’Astice (Hommarus gammarus) e della Granseola o granceola (Maja squinado) è vietata dal 1° Settembre di ogni anno alla fine del mese di Febbraio dell’anno successivo.
2. […]
3. Le femmine delle specie di cui al comma 1 del presente articolo di qualsiasi lunghezza “recanti uova sotto l’addome” devono essere rigettate in mare.
4. In conformità al Reg. (CE) n. 1967/2006 (Allegati III e IV) le taglie minime di riferimento, sono riportate nella Tabella sottostante:
LC = lunghezza del carapace
LT = lunghezza totale
Art. 2
1. Il trasporto, la detenzione, l’immissione sul mercato di esemplari vivi di aragosta (Palinurus elephas), di aragosta di fondale (Palinurus mauritanicus), di astice (Hommarus gammarus) e di granseola o granceola (Maja squinado) pescati nel mare territoriale della Sardegna entro il 31 agosto di ogni anno sono consentiti sino al successivo 30 settembre a condizione che vengano rispettate le ulteriori disposizioni di cui all’articolo 3 del presente decreto.
2. [...]
Art. 3
1. Entro il 1 settembre di ogni anno, gli esemplari vivi di aragosta (Palinurus elephas), aragosta di fondale (Palinurus mauritanicus), astice (Hommarus gammarus) e granseola o granceola (Maja squinado) pescati nel mare territoriale della Sardegna in attesa dell’immissione sul mercato devono essere “marcati” mediante l’applicazione di etichette fisse riportanti un numero progressivo univoco e la data di marcatura.
2. […].
3. L’operazione di marcatura è a cura dell’operatore (persona fisica o giuridica) che detiene gli individui delle specie in oggetto pescati nel mare territoriale della Sardegna per l’immissione sul mercato (detenzione di alimenti a scopo di vendita, comprese l'offerta di vendita o ogni altra forma, gratuita o a pagamento, di cessione, nonché la vendita stessa, la distribuzione e le altre forme di cessione propriamente detta).
4. L’operatore, compila inoltre una scheda, secondo il modello allegato al presente decreto (Allegato A), che riporta un numero progressivo, gli estremi del documento di tracciabilità ai sensi della normativa vigente in materia di tracciabilità dei prodotti della pesca, la data della marcatura e i seguenti elementi identificativi dell’esemplare: sesso, peso, lunghezza totale, lunghezza carapace.
5. La scheda di cui al comma 4 del presente articolo è inviata via fax (al numero 0706062516) o via posta elettronica certificata al Servizio pesca e acquacoltura dell’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma Agro-pastorale entro il primo giorno di divieto di pesca di ogni anno. La scheda ha valore di dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi del DPR n. 445/2000 e ss.mm.ii.; l’operatore è obbligato a tenere a disposizione degli Organi di controllo copia della scheda di cui sopra, trasmessa al Servizio pesca e acquacoltura dell’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma Agro-pastorale. Gli organi di controllo effettuano apposite verifiche delle dichiarazioni contenute nelle schede compilate.
Art. 4
1. Dal 1° al 30 settembre di ogni anno sono vietati il trasporto, la detenzione e la commercializzazione di esemplari vivi di aragosta (Palinurus elephas), di aragosta di fondale (Palinurus mauritanicus), di astice (Hommarus gammarus) e di granseola o granceola (Maja squinado) pescati nel mare territoriale della Sardegna entro il 31 agosto di ogni anno, privi della marcatura di cui all’articolo 3 del presente decreto e per i quali non sia possibile operare il riscontro con le schede trasmesse al Servizio pesca e acquacoltura dell’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma Agro-pastorale entro il 1 settembre di ogni anno.
2. […]
Art. 5
1. È istituito il giornale di pesca dell’aragosta e dell’astice di cui al modello allegato al presente decreto per farne parte integrante (Allegato B), contenente per singola specie i dati relativi alle giornate di prelievo, alle aree di pesca - da indicare utilizzando la codifica riportata nella cartografia allegata (Allegato C) – all’attrezzo di pesca utilizzato e ai dati biometrici e biologici di ogni esemplare (l’allegato D illustra come effettuare la determinazione del sesso); tale giornale non sostituisce il giornale di pesca previsto dal regolamento CE n. 1224/2009 per le unità di LFT ≥a 10 m.
2. Il giornale di pesca dell’aragosta e dell’astice (scaricabile dal sito istituzionale e stampare) deve essere compilato per ogni giornata di pesca prima dello sbarco del prodotto, firmato dal comandante dell’unità da pesca e tenuto a disposizione degli organi di vigilanza.
3. Entro 15 giorni dalla fine della stagione di prelievo, il giornale di pesca dell’aragosta e dell’astice deve essere consegnato o inviato al Servizio pesca e acquacoltura dell’Assessorato dell’Agricoltura e Riforma Agro-pastorale via fax (al numero 0706062516) o via pec (all’indirizzo agricoltura@pec.regione.sardegna.it [99]) 4. […]
Art. 6
1. L’inosservanza delle disposizioni contenute nel presente decreto comporta l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa vigente.
Art. 7
1. Il Decreto dell’Assessore dell’Agricoltura e riforma agro-pastorale n. 2102/DecA/87 del 11 agosto 2010 recante “disciplina della pesca dell’aragosta (Palinurus elephas), dell’aragosta di fondale (Palinurus mauritanicus), dell’astice (Homarus gammarus) e della granseola o granceola (Maja squinado). disposizioni per la tutela degli stock e per il trasporto, la detenzione e l’immissione sul mercato di prodotti vivi pescati nel mare territoriale della Sardegna” è abrogato.
[…]
Aragosta (Palinurus elephas)
Astice (Hommarus gammarus)
Granseola o granceola (Maja squinado)
Decreto N. 344/Deca/8 Del 04.02.2010
Oggetto: Decreto dell’Assessore della Difesa dell’Ambiente n. 412 del 10 maggio 1995 concernente “Disciplina dell’attività di pesca: dimensione dei pesci, molluschi e crostacei” – art. 6 – divieto di pesca, detenzione, trasbordo, sbarco, trasporto e commercializzazione della Cicala di mare o magnosa (Scyllarides latus).
DECRETA
Art. 1
Art. 2
Art. 3
Cicala di mare o magnosa (Scyllarides latus).
Calendario della pesca del Riccio di mare (Paracentrotus lividus) per la stagione 2017/2018 - Decreto nr. 2836/DecA/58 del 14 novembre 2017 come modificato dal Decreto nr. 925/DecA/18 del 11 aprile 2018) del Servizio pesca e acquacoltura dell’Assessorato dell’agricoltura e riforma Agro-Pastorale della Regione Sardegna - stabilisce che:
(Art. 1)
La pesca del riccio di mare è consentita:
a) ai pescatori marittimi professionali, iscritti nel Registro dei pescatori marittimi, esclusivamente da unità da pesca (pescherecci) mediante l’attrezzo denominato “specchio” (o battiscopio) e “asta tradizionale” (chiamata “cannuga”), anche con l’ausilio del coppo;
b) ai pescatori professionali subacquei, in possesso di autorizzazione per la pesca subacquea professionale, in apnea o con l’uso di apparecchi ausiliari per la respirazione, esclusivamente a mano o con l’ausilio di qualsiasi strumento corto atto a staccare il riccio dal substrato;
c) ai Soggetti che esercitano la pesca sportiva o ricreativa, in immersione o in apnea - senza l’uso di apparecchi ausiliari per la respirazione.
(Art. 2).
È vietata la raccolta del riccio di mare mediante attrezzi trainati con unità - tali attrezzi non possono essere utilizzati né detenuti a bordo - o anche a mano mediante mezzi meccanici (strumenti in ferro), ivi compresi i rastrelli
(Art. 3)
1.La taglia minima di cattura è di 50 mm esclusi gli aculei. Ogni esemplare di taglia inferiore prelevato in qualsiasi circostanza, da qualunque tipologia di unità e da qualsiasi categoria autorizzata alla pesca, anche non appartenente a quella dei pescatori professionali, deve essere immediatamente rigettato in mare.
2. È vietata la detenzione, il trasporto e la commercializzazione di esemplari di taglia inferiore a quella prescritta al comma 1.
(Art. 4)
1. Il pescatore professionale subacqueo, se accompagnato da assistente a bordo dell’unità, può raccogliere giornalmente esemplari per 4 ceste (dimensioni: altezza 35 cm, lunghezza 60 cm, larghezza 50 cm) equivalenti, per due unità lavorative, a circa 2000 esemplari. Se il pescatore professionista non è accompagnato da un assistente può raccogliere giornalmente esemplari per 2 ceste pari a circa 1000 ricci.
2. Ciascuna unità d’appoggio, in conformità a quanto previsto nella relativa Licenza di pesca, può essere utilizzata al massimo da due pescatori professionali subacquei; in tal caso i pescatori professionali subacquei, se accompagnati da assistente a bordo dell’unità, possono raccogliere giornalmente esemplari per 7 ceste, equivalenti per tre unità lavorative, a circa 3.500 esemplari.
3. Il pescatore marittimo professionale è tenuto a rispettare gli stessi gli stessi quantitativi massimi prelevabili previsti per il pescatore subacqueo professionale, di cui al comma 1.
4. Il pescatore sportivo o ricreativo può raccogliere un numero massimo di 50 ricci al giorno ed esclusivamente per consumo personale.
(Art. 5)
1. Le prescrizioni di cui al presente decreto devono essere osservate anche all’interno delle Aree Marine Protette, delle aree SIC e delle ZPS[[1]], fermo restando il rispetto delle ulteriori limitazioni contenute nei relativi regolamenti e/o piani di gestione.
(Art. 6)
1. Nell’esercizio dell’attività di prelievo del riccio di mare, i pescatori subacquei professionali e quelli marittimi professionali sono tenuti all’osservanza delle vigenti disposizioni di legge ed amministrative in materia igienico-sanitaria e di tracciabilità sulla detenzione, la conservazione, la commercializzazione e la somministrazione al pubblico dei prodotti della pesca secondo quanto previsto dalla disciplina comunitaria, nazionale e regionale in materia.
2. Nello svolgimento dell’attività di prelievo del riccio di mare i pescatori subacquei professionali e quelli marittimi professionali assicurano il rispetto dell’applicazione del CCNL di riferimento e delle leggi sociali e di sicurezza sul lavoro.
(Art. 7)
1. La pesca del riccio di mare (Paracentrotus lividus) per la stagione 2017/2018 è consentita dal 15 novembre 2017 al 15 aprile 2018.
2. Per l’intera durata della stagione di pesca, è vietato da parte del pescatore marittimo professionale e del pescatore professionale subacqueo il prelievo di esemplari di riccio di mare nel giorno di domenica, ad eccezione dell’area ricompresa nel compartimento marittimo di Porto Torres (ovvero dall’estremità nord esclusa della spiaggia di Rena Majore a Porto Tangone incluso) nella quale il divieto di prelievo è fissato per il giorno di lunedì.
3. Il prelievo degli esemplari di riccio di mare e le operazioni di sbarco sono consentiti esclusivamente dalle ore 6.00 sino alle ore 13.00; l’impossibilità di rispettare l’orario di sbarco, nel caso di comprovato e giustificato motivo di impedimento, deve essere tempestivamente comunicata all’Autorità marittima competente.…;
4. Il pescatore sportivo o ricreativo può raccogliere esemplari solamente nei giorni di sabato, domenica e festivi durante il periodo consentito dal calendario.
5. […]
(Art. 8)
1. Al pescatore subacqueo professionale e marittimo professionale che svolga l’attività di pesca del riccio di mare è fatto obbligo:
a) di comunicare giornalmente, prima dell’inizio delle operazioni di pesca, l’area (zona) di prelievo, l’orario stimato di inizio e di fine delle operazioni di pesca all’Autorità marittima competente…;
b) di compilare giornalmente in tutte le sue parti immediatamente dopo la conclusione delle operazioni di pesca o di sbarco e tenere a disposizione degli Organi di vigilanza il Giornale di pesca del riccio di mare di cui al modello riportato nell’allegato A al Decreto dell’Assessore dell’Agricoltura e riforma agro-pastorale n. 325/DecA/19 del 26 marzo 2014;
c) di ritirare, prima dell’inizio dell’attività di pesca del riccio di mare, il Giornale di pesca del riccio di mare presso il Servizio pesca e acquacoltura dell’Assessorato dell’agricoltura e riforma agro-pastorale o presso gli uffici dell’Agenzia regionale di competenza.d) di restituire il giornale di pesca del riccio di mare al Servizio dell’Amministrazione regionale competente in materia di pesca e acquacoltura (Servizio pesca e acquacoltura dell'Assessorato dell’Agricoltura e riforma agro-pastorale via Pessagno 4, 09126 Cagliari, entro e non oltre 30 giorni dalla data di chiusura della stagione di pesca del riccio di mare anche per il tramite degli uffici dell’Agenzia regionale di competenza.
2. Una copia del giornale di pesca del riccio di mare, relativa a ciascun mese di prelievo, deve essere trasmessa entro la fine del mese di febbraio al Servizio pesca e acquacoltura dell’Assessorato dell’agricoltura e riforma agro-pastorale) via fax (al numero 0706062516) o via posta elettronica certificata (all’indirizzo agricoltura@pec.regione.sardegna.it) e per conoscenza via fax all’Autorità Marittima di competenza (per la Direzione marittima di Cagliari al numero 070 60517218, per quella di Olbia al numero 0789 563639 o via mail (dm.cagliari@pec.mit.gov.it [100] o cagliari@guardiacostiera.it [101] dm.olbia@pec.mit.gov.it [102] o olbia@guardiacostiera.it).
3. Gli adempimenti di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo integrano le ulteriori disposizioni di legge vigenti.
(Art. 9)
1. L’inosservanza delle disposizioni contenute nel presente decreto comporta l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa vigente.
2. L’avvenuta contestazione della violazione delle disposizioni di cui all’art. 7 comma 1 e comma 2 (in merito al periodo di pesca consentito) comporta la sospensione immediata dell’autorizzazione alla pesca subacquea professionale per la durata di un anno a decorrere dalla data del provvedimento di sospensione, ferma restando la previsione di mancato rinnovo dell’autorizzazione, ai sensi dell’art 6 comma 1 del Decreto dell’Assessore dell’agricoltura e riforma agro-pastorale n. 2524/DecA/102 del 07/10/2009 e ss.mm.ii., a seguito del definitivo accertamento della violazione.
3. La violazione delle disposizioni di cui:
- all’art. 3 (in merito alla taglia minima di cattura), nel caso in cui gli esemplari sotto-taglia prelevati siano un quantitativo superiore al 20 % del pescato totale;
- all’art. 4, comma 1 (in merito ai quantitativi massimi prelevabili) nel caso in cui il quantitativo prelevato ecceda del 20% rispetto ala quantità massima consentita;
- all’art. 7, comma 3 (in merito all’orario consentito di prelievo e di sbarco), salvo i casi di comprovato e giustificato motivo di impedimento;
comportano la revoca dell’autorizzazione alla pesca subacquea professionale.
4. Il mancato rispetto di quanto prescritto all’art. 8 comma 1 (in merito all’obbligo di comunicazione dell’attività di prelievo, di compilazione giornaliera, di ritiro e di restituzione del giornale di pesca del riccio di mare) nel caso in cui la violazione riguardi l’intera stagione di prelievo comporta la revoca dell’autorizzazione alla pesca subacquea professionale.
5. I soggetti che sono incorsi nella reiterata violazione delle vigenti disposizioni relative alla pesca del riccio di mare non potranno conseguire l’autorizzazione alla pesca subacquea professionale di cui al decreto dell’Assessore dell’agricoltura e riforma agro-pastorale n. 2524/DecA/102 del 07/10/2009 e ss.mm.ii.
6. Le Autorità preposte vigilano affinché siano osservate le disposizioni contenute nel presente decreto.
Riccio di mare (Paracentrotus lividus)
[[1]] Siti di Importanza Comunitaria (SIC) fanno parte della principale strategia europea per la conservazione della natura, la Direttiva Habitat (CE 1992/43). I SIC sono aree strategiche per la tutela di habitat di importanza europea, cioè quegli habitat naturali e semi-naturali che rischiano di scomparire o che sono legati a specie [103] animali o vegetali minacciate da estinzione. I SIC della Sardegna sono 91, e includono una superficie complessiva di circa 475.000 ettari, pari al 19,7% della superficie regionale. I SIC attendono di essere convertiti in Zone Speciali di Conservazione (ZSC) da parte della Regione.
Le zone di protezione speciale (ZPS), sono zone di protezione poste lungo le rotte di migrazione dell'avifauna [104], finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione di idonei habitat [105] per la conservazione e gestione delle popolazioni di uccelli selvatici migratori [106]. Tali aree sono state individuate dagli stati membri dell'Unione europea [107] (Direttiva 79/409/CEE nota come Direttiva Uccelli [108] e assieme alle zone speciali di conservazione [109] costituiscono la Rete Natura 2000 [110].
Lo svolgimento di attività di pesca a bordo di unità da diporto (navi, imbarcazioni e natanti) è consentito nelle Zone Mb (riserva generale), ai soli Soggetti residenti nel Comune di La Maddalena e ai nativi dello stesso Comune, purché muniti di apposito “contrassegno nominale” (SeaPass) e non cedibile a terzi rilasciato a titolo gratuito dall'Ente gestore. I minori di anni 16 non sono tenuti a munirsi del contrassegno;
Attenzione !
Ai Soggetti non residenti o nativi nel Comune di La Maddalena è vietato lo svolgimento di qualsiasi attività di pesca da unità da diporto, fatte salve le seguenti disposizioni:
E’ consentito lo svolgimento dell’attività di pesca da unità da diporto previa autorizzazione (SeaPass):
Regolamento Parco Nazionale di La Maddalena
Delle attività di pesca “da unità da diporto” nelle Zone Mb
Il singolo pescatore ricreativo può catturare giornalmente da unità da diporto:
a. Pesci
b. Molluschi (cefalopodi, bivalvi e gasteropodi)
c. Crostacei
La quantità complessiva delle “prede” (pesci+molluschi+crostacei)[[1]] NON può superare i 5 (cinque) Kg al giorno per persona, a meno che tale quantitativo non sia superato dalla cattura di un singolo esemplare.
- o 5 Kg di prede (pesci+polipi)
- o un esemplare di 5 Kg (es. dentice)
- oppure 4,99 Kg di prede (pesci+polipi) + un esemplare di 8 Kg (es. spigola)..
d. Faoni (Eriphia verrucosa) il prelievo giornaliero:
- non può eccedere il numero di 3 (tre) esemplari a persona, di dimensioni non inferiori ai 14 centimetri di lunghezza del
carapace.
Il prelievo dei faoni (granchi) è consentito dal 16 novembre (compreso) al 14 settembre (compreso); è vietato dal 15 settembre al 15 novembre.
Attenzione !
Da unità da diporto è vietata la cattura del “Riccio di mare“ (Paracentrotus lividus) [[2]]
Nei periodi di “fermo biologico” stabiliti dalla Regione Sardegna, la pesca ricreativa da unità da diporto può essere ulteriormente disciplinata dalle disposizioni stabilite dall’Ente Parco.
Attenzione !
Per quanto attiene lo svolgimento delle attività di pesca ricreativa a bordo di “Unità da diporto”, non esplicitate all’Articolo 1 dell’Ordinanza 04/2007, nelle Zone Mb (riserva generale) del Parco Nazionale di La Maddalena valgono le disposizioni delle Leggi vigenti in materia pesca ricreativa:
Tali disposizioni riguardano, in particolare le:
Le disposizioni di cui all’articolo 139 del Regolamento di esecuzione n. 1639/68 (Norma di comportamento) stabiliscono, in generale, che lo svolgimento delle attività di pesca a bordo di unità da diporto è vietata:
- a distanza inferiore a 500 metri da unità in attività di pesca professionale (pescherecci).
1. Si possono catturare solo 3 Kg. di mitili (molluschi bivalvi), senza ausilio di attrezzi di sorta e con modalità stabilite con
Ordinanza dal Comandante della Capitaneria di porto di La Maddalena (Decreto 10 aprile 1997);
2. la pesca della “lumachina di mare” è consentita purché non venga utilizzato l’attrezzo denominato “rapido” e “sfogliara”;
3. la pesca della “aragosta“ (e dell’astice)[[3]] è vietata nel periodo dal 1° gennaio al 30 aprile;
4. nell’esercizio della pesca occorre rispettare le “dimensioni minime” dei pesci, dei molluschi e dei crostacei previste dal
Regolamento sulla pesca, di cui al DPR n. 1639/1968, e all’Allegato III Reg. CE 1967/2006.
[[2]] Il prelievo giornaliero del “Riccio di mare“ (Paracentrotus lividus) è consentito esclusivamente in apnea (senza l’uso di apparecchi ausiliari per la respirazione) e solo manualmente Sono vietati i seguenti attrezzi: asta e specchio per ricci” (tradizionalmente chiamato “cannuga”), anche con l’ausilio del coppo.
[3]] Per far fronte a particolari esigenze di tutela ambientale, a seguito di apposito monitoraggio, l’Ente Parco può, con proprio provvedimento (Ordinanza), disciplinare le modalità di prelievo di specie di rilevante interesse naturalistico, come le Aragoste e gli Astici.
Lo svolgimento di attività di pesca da terra è consentito nelle Zone Mb, ai soli Soggetti residenti nel Comune di La Maddalena e ai nativi dello stesso Comune, purché muniti di apposito “contrassegno nominale” e non cedibile a terzi rilasciato a titolo gratuito dall'Ente gestore; i minori di anni 16 non sono tenuti a munirsi del contrassegno.
Attenzione !
Ai Soggetti non residenti o nativi nel Comune di La Maddalena è vietato lo svolgimento di qualsiasi attività di pesca da terra, fatte salve le seguenti disposizioni:
E’ consentito lo svolgimento dell’attività di pesca da terra previa “autorizzazione” (Sea Pass) rilasciata a titolo gratuito dall'Ente gestore, nel limite di 100 permessi mensili:
Il singolo pescatore ricreativo può catturare giornalmente da terra:
1. Pesci
2. Molluschi (cefalopodi, bivalvi e gasteropodi)
3. Crostacei
La quantità complessiva delle “prede” (pesci+molluschi+crostacei) NON può superare i 5 (cinque) Kg al giorno per persona, a meno che tale quantitativo non sia superato dalla cattura di un singolo esemplare.
- o 5 Kg di prede (pesci+polipi);
- o un esemplare di 5 Kg (es. dentice);
- oppure 4,99 Kg di prede (pesci+polipi) + un esemplare di 8 Kg (es. spigola)...
4. Faoni (Eriphia verrucosa) il prelievo giornaliero:
- non può eccedere il numero di 3 (tre) esemplari a persona, di dimensioni non inferiori ai 14 centimetri di lunghezza del
carapace.
Il prelievo dei faoni (granchi) è consentito dal 16 novembre al 14 settembre; è vietato dal è dal 15 settembre al 15 novembre.
Attenzione !
Da terra è vietata la cattura del “Riccio di mare“ (Paracentrotus lividus).
Nei periodi di “fermo biologico” stabiliti dalla Regione Sardegna, la pesca ricreativa da terra può essere ulteriormente disciplinata dalle disposizioni stabilite dall’Ente Parco.
Attenzione !
Per quanto attiene poi lo svolgimento delle attività di pesca ricreativa da “Terra” - non esplicitate all’Articolo 1 dell’Ordinanza 04/2007 nelle Zone Mb (riserva generale) del Parco Nazionale di La Maddalena, valgono le disposizioni delle Leggi vigenti in materia pesca sportiva-ricreativa:
Tali disposizioni riguardano, in particolare le:
Le disposizioni di cui all’articolo 139 del Regolamento di esecuzione n. 1639/68 (Norma di comportamento) stabiliscono, in generale, che lo svolgimento delle attività di pesca a terra è consentito:
- a distanza inferiore a 500 metri da unità in attività di pesca professionale (pescherecci).
E’ vietata la vendita dei prodotti ittici pescati;
[[1]] Per far fronte a particolari esigenze di tutela ambientale, a seguito di apposito monitoraggio, l’Ente Parco può, con proprio provvedimento (Ordinanza), disciplinare le modalità di prelievo di specie di rilevante interesse naturalistico, come le Aragoste e gli Astici.
Lo svolgimento di attività di pesca subacquea nelle Zone Mb è consentito ai soli Soggetti residenti nel Comune di La Maddalena, purché muniti di apposito contrassegno nominale e non cedibile a terzi, nel periodo:
Ai Soggetti non residenti o nativi nel Comune di La Maddalena è vietato lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività di pesca subacquea. Agli stessi è consentita, previa autorizzazione dell’ Ente gestore, la detenzione e il trasporto di attrezzi adibiti alla pesca subacquea all’interno del Parco esclusivamente alloggiando i suddetti attrezzi, smontati, all’interno di appositi contenitori ermeticamente chiusi.
Il singolo pescatore ricreativo subacqueo può catturare giornalmente esclusivamente:
1. pesci
2. molluschi (cefalopodi)
3. ricci di mare (echinodermi)
La quantità complessiva delle “prede” (pesci+molluschi cefalopodi) NON può superare i 5 (cinque) Kg al giorno per pescatore, a meno che tale quantitativo non sia superato dalla cattura di un singolo esemplare.
Il pescatore subacqueo ricreativo può:
La taglia minima di cattura del riccio di mare NON può essere inferiore a 6 centimetri di diametro totale (esclusi gli aculei).
Il prelievo di ricci è consentito nel periodo previsto dalla normativa regionale di cui all’art. 1 lettera c) del Decreto nr. 2836/Dec. A/58 del 14 novembre 2017.
- o 5 Kg di prede (pesci+polipi) + 25 esemplari di riccio di mare;
- o un esemplare di 5 Kg (es. dentice) + 25 esemplari di riccio di mare;
- oppure 4,99 Kg di prede (pesci+polipi) + un esemplare di 8 Kg (es. spigola) + 25 esemplari di riccio di mare...
E’ vietata la vendita dei prodotti ittici pescati.
Anche per il pescatore subacqueo ricreativo valgono le “MISURE MINIME“ delle prede fissate dalla legge nazionale e comunitaria per tutti i tipi di pesca (Vedi più avanti).
E' assolutamente vietata la raccolta di:
Regolamento Parco Nazionale di La Maddalena
Dei “Limiti di cattura pesca subacquea” nelle Zome Mb
La pesca ricreativa subacquea all’interno del Parco con fucile o attrezzi similari può essere esercitata solamente dopo aver compiuto il 18 (diciottesimo) anno di età.
Attenzione !
Anche per quanto attiene lo svolgimento delle attività di pesca ricreativa “Subacquea” all’interno del Parco - non esplicitate all’Articolo 1 dell’Ordinanza 04/2007 - valgono le disposizioni delle Leggi e dei Decreti ministeriali e della normativa regionale vigenti in materia di pesca sportiva-ricreativa, che disciplinano in particolare:
[1] Sono vietati la cattura, la detenzione a bordo del “dattero di mare” (Lithophaga lithophaga) e del dattero bianco (Pholas dactylus).
Ai sensi dell’art. 129 del Regolamento D.P.R. n 1639/68, intitolato "Limitazioni" l’esercizio della pesca subacquea è vietato:
Per lo svolgimento delle attività di pesca subacquea ricreativa nelle Zone Mb del Parco Nazionale di La Maddalena, valgono le disposizione del Dlgs 4/2012 e del Regolamento D.P.R. n 1639/68, per quanto attiene, in particolare:
a. l’esercizio della pesca subacquea ricreativa (articolo 128 bis D.P.R. n 1639/68);
b. gli obblighi di segnalazione (articolo 130 D.P.R. n 1639/68);
c. le norme di comportamento (articolo 139 D.P.R. n 1639/68);
d. le limitazione di uso del fucile subacqueo (articolo 131 D.P.R. n 1639/68);
e. la sicurezza e salvaguardia dei pescatori subacquei ricreativi (articolo 128 ter D.P.R. n 1639/68 e articolo 3 D.M.1/6/1987, n.
7249);
f. l’età minima per praticare la pesca subacquea (Dlgs 4/2012) [1]
[1] L’articolo 6 comma 5 D.lgs. n. 4/12, consente la pesca con il fucile subacqueo o con attrezzi similari unicamente ai maggiori di anni 16. L’articolo 11 comma 4 lettera b) dello stesso Dlgs 4/0212 punisce con la sanzione amministrativa da 1000 a 3000 euro chiunque ceda “un fucile subacqueo o altro attrezzo simile a persona minore degli anni sedici, ovvero affidi un fucile subacqueo o altro attrezzo similare a persona minore degli anni sedici, se questa ne faccia uso.
L’Ordinanza n. 04/2007 dell’Ente Gestore consente tale tipo di pesca esclusivamente ai maggiori di anni 18, in apnea e dall’alba al tramonto.
Il Parco Nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena rappresenta una parte significativa del territorio dello Stato italiano e della Sardegna all'interno del “Parco marino internazionale delle Bocche di Bonifacio”, per la cui realizzazione l'Ente Parco coopera da molti anni (ossia dal 1999, anno di istituzione del Parco marino) con gli Organismi corsi preposti alla tutela dell'ambiente ottenendo significativi risultati nel corso degli anni con l’Office de l'Environnement de la Corse, ente gestore della Riserva Naturale delle Bocche di Bonifacio, area protetta "gemella" del Sud della Corsica , separata dal Parco da poche miglia nautiche.
L’idea di costituire un parco marino internazionale tra la Corsica e la Sardegna, apparsa già all’inizio degli anni Novanta, si è concretizzata grazie a un nuovo strumento giuridico, il “Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale” (GECT). Lo strumento, reso disponibile dall’Unione europea, agevola una stretta collaborazione tra due paesi transfrontalieri, in questo caso la Francia e l’Italia, con lo scopo di attuare una strategia comune in materia di sviluppo sostenibile.
L’Ufficio dell’ambiente della Corsica, che amministra le Aree protette dell’estremo sud dell’isola ed il Parco nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena, in Sardegna, sono responsabili della gestione di questo nuovo Ente.
La Riserva Naturale delle Bocche di Bonifacio è la porzione francese del Parco Marino Internazionale tra Corsica e Sardegna, la cui parte italiana è ricompressa nel Parco di La Maddalena. La riserva è gestita dall’Associazione per la Gestione delle Riserve Naturali delle Isole Cerbicale e Lavezzi.
Delimitazione del “Parco marino internazionale” delle Bocche di Bonifacio
Sulla Carta, la delimitazione del nuovo Parco va dall’Isola di Mortorio, nel Comune di La Maddalena, fino alla costa sud della Corsica.
Obiettivo prioritario del Gruppo europeo è quello di promuovere progetti volti alla valorizzazione e al miglioramento della sicurezza marittima all’interno dello Stretto, un’area già percorsa da oltre 3.500 navi mercantili, con 16.000 ettari di prateria di Posidonia oceanica, 2.000 specie animali e vegetali catalogate, delle quali 400 protette, e ben 1.500.000 di visitatori nel periodo estivo. Ma c’è anche l’ambizione di ottenere la designazione delle Bocche di Bonifacio come “Patrimonio Mondiale dell’Umanità tutelato dall’Unesco”.
La riserva naturale delle Bocche di Bonifacio (in francese [111] réserve naturelle des Bouches de Bonifacio, in corso [112] riserva naturale di i Bucchi di Bunifaziu), classificata come “Area specialmente protetta di interesse mediterraneo [113]”, comprende tre zone:
“Zone di protezione rinforzata” (contrassegnate nelle carta della Riserva dal colore verde), dove ci sono alcuni limiti per la
caccia e la pesca;
“Zone più estesa” (contrassegnate e nelle carta della Riserva dal colore celeste), che comporta l’applicazione delle sole
regole generali;
“Zone di non prelievo” (contrassegnate nelle carta della Riserva dal colore rosso), in qualche modo assimilabili alle nostre
Zone A (zona integrale) .
Riserva naturale delle Bocche di Bonifacio
Nelle Zone a protezione rinforzata (circa 12.000 ettari) sono vietate la caccia e la pesca subacquea.
Lo sbarco di persone è consentito solo nell’Arcipelago di Lavezzi (Lavezzu, isolotto della Piramide e Piana). La circolazione delle persone è consentita solo sui sentieri segnati.
Nelle Zone di non prelievo (1200 ettari) sono vietate tutte le forme di caccia e di pesca e di immersione subacquea;
sono invece consentite la balneazione e l’apnea.
Nell’intero perimetro della Riserva (80.000 ettari) la frequentazione è libera e autorizzata nel rispetto della tranquillità dei luoghi (divieto di nuocere a fauna e flora, sbarcare con veicoli a motore e lasciare immondizia).
Sono vietati: l’introduzione di specie non domestiche, la caccia nello stagno e nel golfo di Ventilegne.
La pesca sportiva-ricreativa e la pesca professionale sono sottoposte alla regolamentazione
Non è consentita la pesca subacquea.
E’ vietato lo sbarco, anche a piedi, sulle isole Piana, Ratino, Porraggia, Sperduti e sugli isolotti annessi all’isola di Lavezzi.
N.B.: L’Isola di Cavallo è privata, è controllata da vigilanza privata e non è possibile recarvisi o sbarcare liberamente .
Le nuove misure sulla pesca sportiva e ricreativa, introdotte con Ordinanza del Prefetto della Corsica, rispondono sostanzialmente alle necessità di garantire una maggiore tutela per la pesca e di evitare, per le specie ittiche, effetti negativi derivanti da un prelievo che negli ultimi anni si è fatto sempre più massiccio a causa dell’evoluzione delle tecniche di questo genere di pesca.
Tra le nuove disposizioni, sono da segnalare in particolare:
Altrettanto importante è la norma che comporta l’obbligo di presentare all’Office de l’environnement de la Corse (OEC), ente gestore della Riserva naturale delle Bocche di Bonifacio, un’apposita “dichiarazione” per la pesca sportiva e ricreativa: chiunque desideri dedicarsi a questo tipo di attività ricreativa all’interno dell’Area protetta corsa dovrà perciò essere munito dell’attestazione rilasciata dall’OEC.
Attenzione !
Per non incorrere in possibili sanzioni la “dichiarazione” dovrà essere conservata da ogni pescatore ricreativo e presentata, a richiesta, al personale della Riserva o alle Forze dell’ordine francesi.
Isola di Cavallo - Spiaggia "Zeri"
[1] Il vincolo dei 5 chilogrammi massimo di pescato per pescatore – sono del tutto identiche a quelle già in vigore sin dal 2007 nel Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena, giacché obiettivo per il medio e lungo periodo è infatti l’armonizzazione delle regole per la fruizione delle due aree protette gemelle, divise da poche miglia nautiche.
Unione Europea:
Italia:
Regione Sardegna:
Ente Parco Nazionale - Arcipelago di La Maddalena:
La capacità di pesca è stata finora quantificata sulla base delle caratteristiche del peschereccio. Gli indicatori attualmente applicati sono la stazza del natante, che indica il suo volume interno, e la sua potenza motrice. Esistono inoltre altri indicatori della capacità di pesca che derivano dalle caratteristiche del peschereccio (quali il volume delle stive per il pesce, la capacità di congelamento, la potenza di traino usata come indicatore nel caso dei pescherecci da traino) ma che non presentano un valore aggiunto rispetto ai due indicatori di base. Oltre alla stazza e alla potenza motrice, come indicatori alternativi della capacità di pesca possono essere prese in considerazione le caratteristiche degli attrezzi da pesca. Al fine di misurare la capacità di pesca sulla base degli attrezzi da pesca, è preferibile ripartire questi ultimi in due gruppi. Il primo comprende gli attrezzi che restano attaccati al peschereccio, in particolare:
Il secondo gruppo comprende gli attrezzi che non sono attaccati al peschereccio, in particolare:
Links:
[1] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%2322
[2] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%231
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Popolazione_biologica
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Pesce
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Pesca_commerciale
[6] https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Biologia_della_pesca&action=edit&redlink=1
[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Benthos
[8] https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_greca
[9] https://it.wikipedia.org/wiki/Pelagico
[10] https://it.wikipedia.org/wiki/Sessile
[11] http://www.rivamar.it/pescapedia/tonno.html
[12] http://www.rivamar.it/pescapedia/pesce-spada.html
[13] http://www.rivamar.it/pescapedia/sardina.html
[14] https://it.wikipedia.org/wiki/Animali
[15] https://it.wikipedia.org/wiki/Substrato_(ecologia)
[16] https://it.wikipedia.org/wiki/Rocce
[17] https://it.wikipedia.org/wiki/Scafo
[18] https://it.wikipedia.org/wiki/Imbarcazione
[19] https://it.wikipedia.org/wiki/Alghe
[20] https://it.wikipedia.org/wiki/Spugne
[21] https://it.wikipedia.org/wiki/Corallo
[22] https://it.wikipedia.org/wiki/Briozoi
[23] https://it.wikipedia.org/wiki/Crostacei
[24] https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Balanidae&action=edit&redlink=1
[25] https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Chthamalidae&action=edit&redlink=1
[26] https://it.wikipedia.org/wiki/Ascidiacea
[27] https://it.wikipedia.org/wiki/Gravidanza_maschile
[28] https://it.wikipedia.org/wiki/Avannotto
[29] https://it.wikipedia.org/wiki/Parto
[30] https://it.wikipedia.org/wiki/Barriera_corallina
[31] https://it.wikipedia.org/wiki/Fanerogama
[32] https://it.wikipedia.org/wiki/Posidonia_oceanica
[33] https://it.wikipedia.org/wiki/Convenzione_sul_commercio_internazionale_delle_specie_minacciate_di_estinzione
[34] https://it.wikipedia.org/wiki/Sashimi
[35] https://it.wikipedia.org/wiki/Sushi
[36] https://it.wikipedia.org/wiki/Ventresca
[37] https://it.wikipedia.org/wiki/Mattanza
[38] https://it.wikipedia.org/wiki/Tonnara
[39] https://it.wikipedia.org/wiki/Reti_da_circuizione
[40] https://it.wikipedia.org/wiki/Palamito
[41] https://it.wikipedia.org/wiki/Fiocina
[42] https://it.wikipedia.org/wiki/Pesca_sportiva
[43] https://it.wikipedia.org/wiki/Traina
[44] https://it.wikipedia.org/wiki/Drifting
[45] https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_inglese
[46] https://it.wikipedia.org/wiki/Pesca_(attivit%C3%A0)
[47] https://it.wikipedia.org/wiki/USA
[48] https://it.wikipedia.org/wiki/Pesca_con_la_mosca
[49] https://it.wikipedia.org/wiki/Pesca_a_spinning
[50] https://it.wikipedia.org/wiki/Micropterus_salmoides
[51] https://it.wikipedia.org/wiki/Esca
[52] https://it.wikipedia.org/wiki/Cucchiaino_(pesca)
[53] https://it.wikipedia.org/wiki/Silicone
[54] https://it.wikipedia.org/wiki/Osteichthyes
[55] https://it.wikipedia.org/wiki/Specie
[56] https://it.wikipedia.org/wiki/Famiglia_(tassonomia)
[57] https://it.wikipedia.org/wiki/Mar_Mediterraneo
[58] https://it.wikipedia.org/wiki/Dominio_pelagico
[59] https://it.wikipedia.org/wiki/Rete_da_circuizione
[60] https://it.wikipedia.org/wiki/Bycatch
[61] https://it.wikipedia.org/wiki/Thunnus
[62] http://www.politicheagricole.gov.it/
[63] http://www.nonnodondolo.it/edit%23_ftnref1
[64] http://www.nonnodondolo.it/edit%23_ftn1
[65] http://www.nonnodondolo.it/edit%23_ftnref2
[66] http://www.controllopesca.politicheagricole.it/
[67] http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/normativa/legge_04_01_1994_10.pdf
[68] http://www.lamaddalenapark.it/download/documenti/dpr17maggio1996.pdf
[69] http://www.lamaddalenapark.it/ambiente/misure-di-salvaguardia/misure-diporto
[70] http://www.lamaddalenapark.it/ambiente/misure-di-salvaguardia/misure-spiaggia-rosa
[71] http://www.lamaddalenapark.it/documenti/18
[72] http://www.lamaddalenapark.it/ambiente/misure-di-salvaguardia/misure-pesca
[73] http://www.lamaddalenapark.it/ambiente/misure-di-salvaguardia/siti-di-immersione
[74] http://www.lamaddalenapark.it/ambiente/misure-di-salvaguardia/circolazione-motore-sentieri-spiagge
[75] https://it.wikipedia.org/wiki/La_Maddalena_(isola)
[76] https://it.wikipedia.org/wiki/Caprera
[77] https://it.wikipedia.org/wiki/Isola_Santo_Stefano_(Sardegna)
[78] https://it.wikipedia.org/wiki/Budelli
[79] https://it.wikipedia.org/wiki/Isola_Santa_Maria_(Sardegna)
[80] https://it.wikipedia.org/wiki/Razzoli
[81] https://it.wikipedia.org/wiki/Spargi
[82] https://it.wikipedia.org/wiki/Isolotto_Roma
[83] https://it.wikipedia.org/wiki/Isolotti_di_Cala_Lunga
[84] http://www.parks.it/parco.nazionale.arcip.maddalena/par.php
[85] http://www.parks.it/federparchi/leggi/394.html
[86] http://portale.provincia.ms.it/allegato.asp?ID=276475
[87] http://www.fog.it/legislaz/cn-indice.htm
[88] http://www.minambiente.it/pagina/aree-marine-protette
[89] https://it.wikipedia.org/wiki/Navigazione_costiera
[90] https://it.wikipedia.org/wiki/Punto_cospicuo
[91] https://it.wikipedia.org/wiki/Porto
[92] https://it.wikipedia.org/wiki/Diga_foranea
[93] https://it.wikipedia.org/wiki/Carta_nautica
[94] https://it.wikipedia.org/wiki/Radar
[95] https://it.wikipedia.org/wiki/Faro#Caratteristica_della_luce
[96] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&ved=0ahUKEwj9rYDN7unbAhUhI8AKHX5jDQ4QFgg6MAE&url=http%3A%2F%2Fwww.biologiamarina.org%2Fcategory%2Fregno-animale%2Fcordati%2Fvertebrati%2Fpesci%2Fosteitti%2Fperciformi%2Fserranidi%2F&usg=AOvVaw0sCLiAcUEEdNGB-dp5J8Oo
[97] https://it.wikipedia.org/wiki/Epinephelus_marginatus#cite_note-11
[98] http://www.biologiamarina.eu/Ermafroditismo_pesci.html
[99] mailto:agricoltura@pec.regione.sardegna.it
[100] mailto:dm.cagliari@pec.mit.gov.it
[101] mailto:cagliari@guardiacostiera.it
[102] mailto:dm.olbia@pec.mit.gov.it
[103] http://www.sardegnanatura.com/educazione-ambientale/ecologia-biodiversita-capire-sistemi-naturali/16-specie.html
[104] https://it.wikipedia.org/wiki/Avifauna
[105] https://it.wikipedia.org/wiki/Habitat
[106] https://it.wikipedia.org/wiki/Uccelli_migratori
[107] https://it.wikipedia.org/wiki/Unione_europea
[108] https://it.wikipedia.org/wiki/Direttiva_Uccelli
[109] https://it.wikipedia.org/wiki/Zona_speciale_di_conservazione
[110] https://it.wikipedia.org/wiki/Rete_Natura_2000
[111] https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_francese
[112] https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_corsa
[113] https://it.wikipedia.org/wiki/Area_specialmente_protetta_di_interesse_mediterraneo
[114] http://WWW.nonndondolo.it