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Tecniche antinquinamento del mare

Quando un prodotto (petrolifero o chimico) più leggero dell’acqua e immiscibile con questa viene versato in mare, per diffusione si spanderà sotto forma di un «film» più o meno spesso, in relazione alle sue proprietà fisiche (densità, viscosità) ed alla temperatura ambiente.  Durante il fenomeno della diffusione, avverranno anche dei processi fisici e chimici che modificheranno profondamente le sue caratteristiche originarie. Se si tratta di una miscela a più componenti, come lo sono tutti i prodotti petroliferi, quelli più leggeri evaporeranno mentre, per effetto della luce solare, dei microrganismi dell’habitat marino e dello stesso ossigeno dell’aria, avverranno processi di trasformazione tali da favorire la formazione di soluzioni ed emulsioni con l’acqua di mare. Infine, per raffreddamento, le frazioni più pesanti, come le paraffine, gli asfalti e i bitumi presenti nei prodotti petroliferi, tenderanno a solidificare.

A seguito di tutti questi fenomeni si potrà formare una «macchia» più o meno densa, viscosa ed oleosa che, una volta stabilizzata, per azione delle correnti e dei venti, se non verrà aggredita ed eliminata, prima o dopo raggiungerà la costa.

Poiché la bonifica delle zone costiere è sempre più difficoltosa e costosa degli interventi che si possono attuare in mare aperto, si deve intervenire prima che la macchia raggiunga la costa predisponendo i «mezzi antinquinamento» ritenuti necessari.

► Le principali tecniche da impiegare per combattere un inquinamento sono le seguenti:

  • confinamento: per intercettare e bloccare all’origine il versamento:
  • contenimento: per impedire la diffusione dello spandimento oleoso;
  • riduzione: per eliminare completamente lo spandimento e le macchie oleose.

E’ superfluo fare rilevare che le operazioni di cui sopra saranno subordinate alle azioni da intraprendere per evitare incendi ed esplosioni e comunque intese al salvataggio delle vite umane.

Le procedure operative per il prelevamento di campioni di acque inquinate

Allo scopo di stabilire la natura e la concentrazione degli «agenti inquinanti» presenti in un versamento occorre prelevare dei campioni dallo scarico o dallo specchio acqueo inquinato per sottoporli ad analisi.

Il «campionamento» è l’operazione che si esegue per ottenere un’aliquota dello scarico o dello specchio acqueo sotto indagine che rappresenti, con la maggiore corrispondenza possibile, le sue caratteristiche chimiche, fisiche e batteriologiche. E’ evidente che tutta l’attenzione e la cura poste nell’ effettuare le analisi sono vane se il campione inviato al laboratorio non è testimone attendibile.

Mentre non si incontrano difficoltà per il prelievo di campioni da scarichi o da corpi idrici in cui gli agenti inquinanti si trovano in soluzione o allo stato di dispersione omogenea, il campionamento di specchi marini inquinati da prodotti petroliferi diventa un’operazione tecnicamente difficile.

Il sistema acqua olio è per sua natura eterogeneo e di composizione incerta e variabile per il moto ondoso e per le correnti; inoltre, non è facile prelevare un campione rappresentativo a livello della superficie del mare. Proprio per questi motivi per effettuare un campionamento di uno spandimento oleoso si deve fare affidamento sulla capacità e sulla esperienza del personale incaricato ad eseguirlo.

I criteri di massima ai quali ci si può attenere per avere un campione legalmente valido sono i seguenti:

  • disporre di un campionatore costituito da un recipiente zavorrato (se di vetro, ingabbiato) della capacità di almeno 1 litro, a collo largo;
  • immergere il campionatore, lentamente, sotto vento, fino all’altezza della apertura del collo; tirare via il tappo, fare entrare per sfioramento lo strato superficiale dell’acqua commista all’olio;
  • ripetere l’operazione in punti diversi dello spandimento in modo da prelevare almeno 5 litri di acqua inquinata, raccogliendola e miscelandola in apposito recipiente;
  • ripartire la miscela oleosa in quattro flaconi di vetro, a collo largo, di circa 1 litro ciascuono, controllando visivamente che la ripartizione avvenga nel modo più uniforme possibile, altrimenti è consigliabile ripetere l’operazione;
  • finalizzare i 4 campioni sigillandoli e munendoli di etichetta sulla quale dovranno essere indicati tutti i dati utili per la loro identificazione; luogo, ora e data del prelievo, posizione e firma dei partecipanti agli accertamenti.

Tutte le operazioni di cui sopra saranno descritte in un «Verbale di campionamento» che dovrà essere controfirmato dalle persone che vi hanno partecipato.

 

Procedure operative dettate dal D.P.R. n. 470 del 8 giugno 1982

Nell’effettuazione del repertamento di sostanze inquinanti dei corpi idrici la Polizia Giudiziaria (U.P.G ed A.P.G.) deve assolutamente rispettare le procedure operative dettate dal D.P.R. 8 giugno 1982, n. 470[1] [1] e che qui di seguito si elencano, a pena di  nullità di tutti gli atti compiuti.

Di norma la distanza tra due punti di prelievo adiacenti non dovrà superare i 2 Km. salvo a ridurla opportunamente nelle zone ad alta densità di balneazione. Per ogni singolo punto di campionamento i prelievi dovranno essere, durante il mese, opportunamente distanziati nel tempo.

I prelievi dovranno essere effettuati ad una profondità di circa 30 cm. sotto il pelo libero dell’acqua ad una distanza dalla battigia tale che il fondale abbia una profondità di 80 o 120 cm.; in corrispondenza di scogliere a picco o di fondali rapidamente degradanti i prelievi dovranno essere effettuati in punti distanti non più di 5 metri dalla scogliera o dalla battigia; per gli olii minerali i prelievi vanno effettuati in superficie.

I prelievi dovranno essere effettuati dalle ore 09.00 alle ore 15.00. Non dovranno essere effettuati durante e nei due giorni successivi all’ultima precipitazione atmosferica di rilievo ed all’ultima burrasca.

I campioni per le analisi microbiologiche dovranno essere prelevati con le comuni bottiglie sterili in uso per i campioni di acque, incartate e successivamente sterilizzate. La bottiglia dovrà essere immersa aperta e trattenuta tramite una pinza o altro idoneo sistema.

I campioni dovranno essere trasportati in idoneo contenitore frigorifero e sottoposti ad esame al più presto e comunque entro le 24 ore.

Nella pratica è comunque possibile effettuare un singolo prelevamento (ad esempio: in caso di sversamento a mare da parte di nave cisterna), dinanzi alle parti (ad esempio: comandante il quale può farsi assistere da un proprio perito) e utilizzarlo quale atto irripetibile (cd. atto probatorio). Del fatto verrà, naturalmente, redatto apposito Verbale.

  • Per ogni prelievo dovranno essere rilevati:
  1. la posizione del punto di prelievo;
  2. la data e ora di prelievo;
  3. la temperatura dell’aria e dell’acqua;
  4. il vento: direzione (provenienza in funzione dei punti cardinali) e intensità (debole, medio, forte);
  5. lo stato del mare o del lago (calmo o mosso);
  6. la corrente superficiale: direzione ed intensità.

Atteso i che non esiste al momento una metodologia codificata ed uniforme, gli Organismi preposti redigono dei protocolli di intervento che tentino almeno di rispettare i seguenti principi fondamentali:

  1. la rappresentatività del campione rispetto alla matrice da esaminare;
  2. la prevenzione delle contestazioni e delle riserve della controparte rispetto all’attività di campionamento effettuata.

La prima cosa importante da chiarire è che, in generale, le Forze o gli Organi di polizia ben difficilmente potranno effettuare autonomamente il prelievo di campioni, posto che è necessario disporre di un’attrezzatura particolare e che bisogna spesso seguire regole di comportamento alquanto complesse, che presuppongono nozioni altamente tecniche e specialistiche.
Tuttavia campionamenti irregolari o d’emergenza, ed è il caso più volte citato di una petroliera che ha sversato una certa quantità di idrocarburi in mare, da attuarsi in situazioni di assoluta necessità che non consentono nemmeno l’attesa dell’arrivo di eventuali tecnici ed eseguiti dal personale imbarcato a bordo delle unità navali (Motovedette della Guardia Costiera, CC, G.d.F., ecc.) avranno un valore di assoluta inutilizzabilità in sede processuale, potendo non di più costituire una possibile fonte di informazioni in sede di indagine e supportare altri atti aventi maggiore rilevanza probatoria.

► E’ opportuno definire i seguenti caratteri, essenziali durante il prelievo:

  1. matrice da campionare: è la massa, cioè l’insieme, del materiale che deve essere sottoposto a campionatura;
  2. campione elementare: è il prelevamento singolo effettuato nella massa del rifiuto, ad una data profondità ed in una data localizzazione;
  3. campione globale: è il campione ottenuto a seguito della miscelazione dei campioni elementari prelevati;
  4. aliquota (è quella parte del campione globale destinato all’analisi).

Altro aspetto importante è costituito dall’identificazione del campione. In effetti ogni campione deve essere idoneamente identificato tramite un “cartellino” indicativo dei seguenti elementi:

  1. numero di verbale di prelievo;
  2. data del prelevamento;
  3. eventuale sigla identificativa del campione;
  4. lettera identificativa dell’aliquota;
  5. natura del materiale campionato;
  6. indicazione del sito o dell’impianto di prelievo;
  7. comune;
  8. eventuali modalità particolari di trasporto;
  9. firma del personale operante.

E’ fondamentale che ogni operazione di campionamento sia accompagnata dalla redazione di un apposito verbale detto per l’appunto “verbale di prelievo”.
Esso, in sostanza, non presenta particolari peculiarità nella sua composizione, dovendo però necessariamente riportare una descrizione accurata della metodologia di intervento seguita (numero dei campioni prelevati, criteri di mappatura, profondità dei prelievi, ecc).

► Il documento dovrà in ogni caso contenere:

  1. il numero d’ordine del prelievo;
  2. a data, l’ora ed il luogo del prelievo;
  3. le generalità e la qualifica del personale che esegue il prelievo;
  4. il nominativo del titolare o del rappresentante legale dell’impresa o dell’ente gestore dell’attività nonché le generalità del responsabile dello stabilimento, impianto locale o mezzo tecnico campionati;
  5. le generalità delle persone che assistono alle operazioni di prelievo per conto dell’impresa o dell’ente;
  6. le modalità seguite nel prelievo dei campioni;
  7. le eventuali dichiarazioni delle persone che hanno assistito alle operazioni di prelievo per conto dell’impresa o ente;
  8. l’indicazione che il verbale è stato letto alla presenza degli interessati e che a questi viene consegnata una copia assieme ad un’aliquota dei campioni;
  9. la sottoscrizione di tutte le persone intervenute alle operazioni e di quelle che vi hanno assistito.

Infine non è infrequente che l’attività di campionamento possa costituire una situazione di pericolo per il personale che vi concorre: questa è la ragione per la quale vanno seguite alcune norme di precauzione che la medicina del lavoro ha individuato come le più idonee a prevenire infortuni.

In sostanza, a seconda dei casi è necessario far uso di dispositivi di protezione tendenti ad impedire:

  1. il contatto diretto del materiale da campionare con la cute;
  2. l’insudiciamento degli abiti degli operatori;

Dovranno, allora e se necessario, indossarsi elmetti, indumenti e calzature protettivi, maschere, occhiali particolari ecc.  

 


[1] [1] Pubblicato sulla G.U. 26.7.1983, n.203 in attuazione della direttiva CEE n. 76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione (acque correnti o di lago e le acque marine nelle quali la balneazione è espressamente autorizzata ovvero vietata ). Il decreto non si applica, alle acque destinate ad usi terapeutici ed a quella di piscina.

  

Strategie di intervento e bonifica di aree inquinate da idrocarburi

Per la buona riuscita delle operazioni da intraprendere per combattere un inquinamento bisogna conoscere le caratteristiche del prodotto versato, la sua quantità, la velocità con la quale potrà diffondersi e l’area di mare che potrà essere investita.

► Le principali tecniche antinquinamento sono:

  1. confinamento
  2. contenimento
  3. riduzione
  • Confinamento

L’eliminazione della causa del versamento spesso coincide con il salvataggio della nave e del carico; operazione tra le più complesse non solo per la necessità di disporre di mezzi idonei di vario genere ma anche per le condizioni in cui si dovrà operare, molto diverse a seconda del sinistro e delle condizioni meteo marine. Il confinamento si attua per intercettare e bloccare il versamento e lo spandimento e per la buona riuscita dell’intervento è predominante il fattore tempo, la immediata reperibilità dei mezzi e delle attrezzature necessarie che dovranno trovarsi in prossimità delle zone di maggiore rischio di sinistro.

I materiali necessari possono essere così raggruppati:

  1. mezzi per l’ormeggio della nave sinistrata e della nave allibante;
  2. parabordi e distanziatori;
  3. pompe e manichette per il trasferimento del carico;
  4. attrezzature per il tamponamento falle e per assicurare la galleggiabilità della nave dopo il trasferimento del carico.

In caso di incendio, si dovrà valutare se convenga o meno estinguerlo, tenendo conto delle conseguenze dell’inquinamento e dei rischi in cui si potrebbe incorrere nel caso di affondamento della nave.

  • Una situazione del genere, ad esempio, si è presentata ai soccorritori accorsi in occasione del sinistro della n/c BELLO, avvenuto il 16 dicembre 1972 nelle acque tra la Corsica e la Capraia, mentre era in navigazione verso Genova con un carico di circa 50.000 tonnellate di petrolio grezzo. Alla violenta esplosione verificatasi nei locali di prora (gavone e cofferdam), che provocò grossi squarci alle strutture delle cisterne della sezione n. 1 ed in parte della n. 2, fece seguito un incendio di grandi proporzioni che, alimentato dal grezzo riversatosi fuori dalle cisterne danneggiate, in breve tempo coinvolse tutta la nave. Nelle condizioni contingenti in cui si doveva operare fu arduo decidere se intervenire in forze per combattere ed estinguere l’incendio, e quindi ridurre il rischio dell’affondamento della nave, oppure lasciare che l’incendio seguisse il suo naturale decorso con la distruzione di buona parte del grezzo che altrimenti, fuoriuscendo in grande quantità dalle cisterne squarciate dall’esplosione, avrebbe potuto inquinare le vaste zone di mare e di coste, provocando così danni incalcolabili. Si convenne di non intervenire sull’incendio e ciò si dimostrò una decisione giusta in quanto si riuscì a salvare la nave ed avere un tasso di inquinamento molto limitato.
  • Contenimento

Una volta confinato e messo sotto controllo il versamento, o in concomitanza con queste operazioni, si dovrà procedere al contenimento dello spandimento oleoso sfruttando al massimo le sue peculiari proprietà: il galleggiamento. E’ un processo indirizzato ad ostacolare il progredire dello spargimento degli idrocarburi stessi confinandoli nella zona più vicina alla sorgente di sversamento. Il contenimento si effettua in genere per mezzo di «barriere galleggianti», che in una strategia di bonifica, sono generalmente il primo strumento ad essere utilizzato e l’ultimo ad essere rimosso. L’importanza di un corretto contenimento deriva dalla conoscenza che gli sversamenti di idrocarburi hanno la tendenza a spargersi in strati sempre più sottili e a frazionarsi in aree più piccole che vanno a interessare zone sempre più estese (o migrazione verso la costa). Man mano che l’area ricoperta dalla mappa di idrocarburi aumenta è evidente che la strategia di un intervento diventa più difficile, e, di conseguenza, più costosa.

Barriere galleggianti

A tutt’oggi sono stati studiati e allestiti diversi tipi di barriere di contenimento; tali mezzi comprendono:

  1. barriere fisiche, quando il loro funzionamento è basato essenzialmente su principi fisici e meccanici;
  2. barriere chimiche, quando la loro azione è basata essenzialmente sul comportamento di certe sostanze immerse nel mare.

► Le barriere fisiche (=panne) sono le più usate e possono essere raggruppate in tre categorie:

  1. panne meccaniche;
  2. panne pneumatiche o deformabili;
  3. panne assorbenti.

Il buon funzionamento delle panne è subordinato, oltre che dalle loro caratteristiche tecniche, anche dalle condizioni di mare e di vento nel luogo in cui esse vengono impiegate. Le panne meccaniche, essendo quasi tutte costruite con componenti galleggianti e fluttuanti (schiume plastiche espanse di polietilene o poliuretano), vengono comunemente chiamate «panne galleggianti». Questo tipo di panna è considerata la più pratica per il maggior numero di soluzioni e situazioni che consente di affrontare e, se opportunamente dimensionate, è idoneo a proteggere specchi d’acqua molto grandi.

Panne assorbenti

Le panne pneumatiche (o idro-pneumatiche) consistono in una tubazione (tubo perforato), posizionata sul fondo marino, in acque relativamente basse, in cui viene insufflata, attraverso una serie di ugelli calibrati, dell’aria che raggiunge la superficie generando una fitta barriera di bolle le quali creano una turbolenza tale da impedire lo spandimento dell’olio minerale. Il principio su cui si basano tali barriere è che gli idrocarburi in acque calme non tendono ad attraversare la corrente determinata dal flusso d’aria che raggiunge la superficie. L’unico svantaggio di questo tipo di panna è il fatto che non può essere usata in presenza di moto ondoso e in postazioni mobili; preferibilmente si utilizza con acque molto calme come quelle portuali.

Le panne assorbenti, infine, costituiscono una particolare versione della panne meccaniche; vengono impiegate per eliminare piccoli spandimenti e per la protezione delle spiagge. Tali panne le cui proprietà essenziali sono analoghe a quelle dei “fogli assorbenti” risultano notevolmente utili allorché il film di idrocarburi sia estremamente sottile e di recente produzione. Sono fabbricate con materiale sintetico ad alto coefficiente di assorbimento trattenuto all’interno di un involucro a forma di rete, realizzato in fibra  e fabbricato con lo stesso materiale di riempimento.

► Le barriere chimiche sono ottenute con prodotti biodegradabili e di bassa tossicità che, immersi in mare, lungo il perimetro della macchia oleosa, agiscono modificando la tensione superficiale dell’olio  (l’equilibrio delle cariche superficiali) inibendone l’ulteriore spargimento e compattandolo (effetto coagulante)[1] [1], in modo da facilitarne il recupero che deve essere, visto che l’effetto di tali barriere non è duraturo, iniziato dopo l’applicazione delle barriere chimiche. a loro azione è esattamente contraria a quella dei disperdenti (hanno gli stessi effetti dei detergenti); vengono praticamente usati nebulizzati e distribuiti con un mezzo nautico e con elicotteri.

L’uso di tali barriere è subordinato all’autorizzazione della competente Autorità perché trattasi di sostanze chimiche che, in definitiva, si aggiungono quale eventuale componente peggiorativa all’inquinamento già prodotto dagli idrocarburi.

Barriere chimiche

 

  • Riduzione

Le operazioni poste in essere per combattere l'inquinamento hanno come obiettivo l’eliminazione totale dello spandimento, dopo averlo contenuto e, per quanto possibile, concentrato manovrando le panne galleggianti in modo da dislocarle nelle posizioni più favorevoli di vento e di corrente.

Le principali metodologie su cui si basano le tecniche di riduzione sono:

  1. rimozione meccanica
  2. assorbimento su sostanza galleggiante
  3. dispersione
  4. combustione

 


[1] [1] L’unico prodotto italiano che possieda questi requisiti è quello brevettato dalla Snam Progetti (Pollustrop) prodotto commercializzato in Italia ed in molti Paesi esteri dalla Prodeco S.p.A. con il nome di “PRODENTENSER”

 

Metodi di rimozione degli idrocarburi dalla superficie del mare

Le operazioni di riduzione hanno come obiettivo l'eliminazione totale dello spandimento, dopo averlo contenuto e, per quanto possibile, concentrato manovrando le panne galleggianti in modo da dislocare nelle posizioini più favorevoli di vento e di corrente.

  • Le principali metodologie su cui si basano le tecniche di riduzione sono:
  1. rimozione meccanica
  2. assorbimento su sostanza galleggiante o autoaffondanti
  3. dispersione
  4. combustione

Sistemi più soffisticati sono attualmente allo studio, come la coagulazione e la gelificazione dell'olio, ma si ritiene che queste metodologie avranno scarse possibilità di applicazione sia per le dificoltà operative che presentano, sia per l'elevato costo dei prodotti.

Le apparecchiatrure da impiegare dovranno possedere le seguenti caratteristiche:

  1. applicabilità in condizioni meteomarine più avverse di quelle previste;
  2. semplicità di funzionamento e di manutenzione, in relazione al livello di addestramento dgli operatori;
  3. affidabilità elevate in caso di emergenza.

Inoltre, dovranno essere antideflagranti nell'eventualità della presenza di gas e vapori di idrocarburi nelle zone nelle quali dovranno operare.
La scelta della tecnica più idonea per ottenere i migliori risultati nelle condizioni contingenti in cui si dovrà
intervenire, dipende dall'entità dello spandimento, dalle caratteristiche chimiche e fisiche del prodotto versato e, in particolare, dalle condizioni meteomarine. E' evidente che in condizioni di moto ondoso accentuato sarà pressoché impossibile la rimozione diretta dell'olio come del resto risulterà estremamente difficoltoso il suo assorbimento in caso di vento.

 

Rimozione meccanica

Questo metodo di disinquinamento, è messo in atto servendosi di particolari “apparecchi succhiatori” identificabili con il termine di «skimmers», ideati per rimuovere dalla superficie dell’acqua gli idrocarburi senza causare notevoli cambiamenti delle loro proprietà chimico fisiche sia per l’eventuale riutilizzo del prodotto recuperato.

  • Esistono vari tipi di skimmers ma sostanzialmente le modalità operative di tali mezzi sono tre:
  1. sistema centrifugo;
  2. sistema per sommersione;
  3. sistema di assorbimento in superficie.

Esistono in commercio vari tipi di skimmers:

  1. il tipo a nastro (belt skimmer) che convoglia gli idrocarburi dalla superficie dell’acqua per adesione verso un sistema rotante con una spazzola di raschiamento che fa cadere la componente oleosa in un serbatoio di stoccaggio;
  2. un altro tipo di skimmers segue il concetto del nastro oleofilico che una volta raccolti gli idrocarburi li spreme attraverso due rulli in un contenitore;
  3. un altro tipo di skimmer è a dischiche ruotando contro coltelli laterali, dopo aver ritenuto adesi gli idrocarburi, fanno si che questi vengano raschiati via dai coltelli cadendo in un apposito contenitore collegato a pompe di recupero.

Belt Skimmer: tipo a nastro

Vengono usati in genere insieme alle “panne galleggianti” di contenimento e posizionate nell’angolo chiuso dello sbarramento a “V” oppure nella concavità dello sbarramento a “U” o nei siti ove, per corrente, vento e interventi programmati, gli idrocarburi si raccolgono in maggior quantità. Nei casi di utilizzazione è necessario il collegamento con mezzi di appoggio e di stoccaggio, per poter effettuare il successivo trasporto del prodotto oleoso raccolto presso i depositi costieri opportunamente adibiti.

Schema a  "U" 

 

  • I vantaggi:

•  l’olio può essere contenuto presso la fonte inquinante

•  si riduce la possibilità di contaminazione costiera

•  la sostanza oleosa viene rimossa dal mare

  • Gli svantaggi:

•  considerevole tempo per il trasporto e la dislocazione

•  costi di impiego

•  logistica

•  eliminazione delle sostanze rimosse

•  possibile inefficacia in relazione alle situazioni meteo-marine

Assorbimento su sostanze galleggianti o autoaffondanti

Il disinquinamento basato sulle tecniche dell’assorbimento richiede dei particolari materiali che abbiano una grande affinità verso i prodotti oleosi e, una notevole repellenza verso l’acqua. Possono quindi assorbire l’olio versato assorbendo contemporaneamente solo modeste quantità d’acqua.

  • Le sostanze suddette sono classificabili in due categorie:
  1. assorbenti galleggianti
  2. assorbenti autoaffondanti

Gli assorbenti galleggianti, in particolare, sono prodotti in grado, grazie anche al loro peso specifico molto basso, di galleggiare a lungo consentendo (a differenza degli affondanti) il recupero meccanico della miscela olio-assorbente.

  • I materiali usati per la produzione degli assorbenti sono sostanzialmente di tre tipi:
  1. materiali organici naturali (vegetali di paglia, trucioli di legno, scarti celluloidi e segatura, trattati soprattutto per aumentare la porosità);
  2. materiali inorganici (minerali, sostanzialmente, pomice espansa e trattata per renderla idrorepellente ed oleofila, fibra di vetro, ecc.);
  3. materiali sintetici (polimeri porosi, quali il poliuretano, nylon, polietilene, ecc.)

Le principali limitazioni all’uso di questi prodotti sono la loro voluminosità che ovviamente gioca inerte che fa raggiungere al petrolio un ruolo sfavorevole nel trasporto e nella manipolazione, ma soprattutto il fatto che quelli di origine vegetale tendono in un tempo più o meno breve ad affondare e quindi il recupero deve, ma non sempre può, essere rapido. Quelli di origine minerale galleggiano per un tempo più lungo ma creano problemi di smaltimento in quanto l’estrazione dell’olio dall’assorbente risulta non economica. Inoltre, presentano alcuni inconvenienti in fase di spargimento sulla chiazza oleosa. Infatti, in condizioni, di vento e di moto ondoso accentuati, il tempo di permanenza del materiale assorbente non risulterebbe sufficiente per consentire tale meccanismo. Queste sostanze al termine del processo di assorbimento devono essere rimosse meccanicamente e distrutte, per incenerimento o per combustione, oppure interrati in zone di non facile individuazione.

Gli assorbenti autoaffondanti, sono aditivi chimici (c.d gelificanti, in quanto riducono allo stato di gel gli oli minerali), che tendono a prevenire lo spargimento rapido degli idrocarburi flottanti sull’acqua formando come un tappeto che talvolta, rimosso, permette il riutilizzo degli idrocarburi stessi. Il loro uso presenta, peraltro, l’inconveniente di trasferire l’inquinamento dalla superficie al fondo marino con conseguenze gravi per l’ecosistema. Inoltre, se la sostanza impiegata non possiede una elevata capacità di ritenzione, tale da mantenere inalterata la proprietà di autoaffondamento, potrebbe avvenire la risalita del prodotto rendendo indispensabile un nuovo intervento. Tale tecnica non è più in uso.

Assorbenti galleggianti

Dispersione

La tecnica operativa del metodo della «dispersione» consiste nell’irrogare il disperdente sulla macchia oleosa mentre il mezzo navale avanza, a velocità adeguata, lungo il perimetro della macchia ovvero a rastrello, tenendo conto della direzione del vento e della corrente.

Tali prodotti agiscono quindi per riduzione dell’inquinamento. A questo proposito è da osservare che in effetti i disperdenti di 1^ generazione, utilizzati fino alla fine degli anni '60 (vedasi Torrey Canyon 1967), presentavano un’alta percentuale di componenti aromatici (benzene, tluene, xylene), alquanto tossici che, additivati con agenti tensio-attivi, esercitavano soprattutto un’azione solvente delle macchie di idrocarburo irrorate.

I disperdenti successivamente prodotti, ed oggi disponibili per l’uso, sono di concezione e composizione diversa. Essi si dividono in 3 categorie con riferimento al modo d’impiego e al tipo di agente che espleta funzioni di supporto meccanico del tensio-attivo destinato ad abbassare la tensione superficiale dell’idrocarburo trattato, causandone la dispersione nella colonna d’acqua. Trattasi in effetti di un processo fisico-meccanico che consiste nel provocare il frazionamento della massa di petrolio, provocandone la rottura della forza di coesione molecolare e agevolando così il processo di metabolizzazione (biodegradazione) dell’idrocarburo da parte dell’ambiente marino.

 

  • I vantaggi:

• hanno efficacia immediata

• riducono il rischio di incendio e di compromissione delle coste

• riducono la contaminazione densa degli uccelli marini

• evitano la formazione delle emulsioni

• il loro uso costa meno dell’intervento meccanico

• migliorano la biodegradazione

  • Gli svantaggi:

• l’olio non viene rimosso, ma soltanto spostato

• procurano nuovi e diversi effetti inquinanti

• possono sfavorire le altre strategie di intervento

Combustione

L’eliminazione della macchia oleosa per combustione (incendio) non è facilmente attuabile poiché il prodotto versato in mare tende rapidamente ad evaporare. Inoltre, distribuendosi su strati sottili, risente dell’azione raffreddante dell’acqua; azione che impedisce il raggiungimento della temperatura di accensione dell’olio minerale. Vi è inoltre da considerare che la fase di incendio non sarebbe sufficientemente controllabile e porterebbe come conseguenza l’inquinamento atmosferico. In conclusione tale metodo è una alternativa solo quando non esistano altre tecniche per fronteggiare una grave situazione di inquinamento marino (per una caduta di residui combusti sottovento e un residuo carbonioso in mare difficilmente degradabile).

  •  I  vantaggi:

                •  l’incendio  elimina dall’ambiente parte dell’inquinante

  • Gli svantaggi:

•  pericoli per la sicurezza del personale

•  possibile inefficacia in relazione alle situazioni meteo-marine

•  produzione di inquinamento atmosferico

•  problemi di gestione dell’incendio

•  deposito dei residui della combustione sul fondo del mare

 

Smaltimento e bonifica

Particolare importanza, nell’ambito delle operazioni di disinquinamento, assume la fase di smaltimento dei materiali recuperati in mare e dalla costa, intendendosi per “smaltimento” il complesso delle operazioni intese a consentire, attraverso vari processi, la totale o parziale riutilizzazione dell’idrocarburo recuperato, oltre che il ricondizionamento e l’inertizzazione o la distruzione dei residui o di altri materiali contaminati o contaminanti e la sistemazione dei residui in condizioni di sicurezza.

Tra l’attività del recupero degli oli, o di altri materiali inquinati o inquinanti, e lo smaltimento vero e proprio, esiste una fase intermedia che è quella del deposito e dello stoccaggio provvisorio della massa recuperata.

Operazioni di smaltimento/bonifica

Intervento dei Pattugliatori d’Altura della Classe Cassiopea nell’ambito di operazioni antinquinamento

I pattugliatori della classe «Cassiopea» (o Costellazioni) sono stati finanziati dal Ministero della Marina Mercantile (oggi Ministero delle Infrastrtutture e dei Trasporti) e gestite operativamente dalla Marina Militare al fine di svolgere gli specifici compiti di pattugliamento dei bacini costieri ed in particolare il controllo del traffico mercantile, la sorveglianza e controllo anti-immigrazione.

Le unità hanno la capacità di operare autonomamente e di cooperare con altri mezzi aerei o navali, per assicurare nell'ambito della "Zona Economica Esclusiva" interventi relativi a:

  1. salvaguardia in generale degli interessi economici nazionali;
  2. difesa dele piattaforme marine e di Unità impegnate in prospezioni/sfruttamento del fondo marino;
  3. operazioni di vigilanza pesca sia sotto forma di contestazione e documentazione delle violazioni che di salvaguardia dei diritti dei pescherecci nazionali sottoposti a contestazione da parte di Autorità straniere;
  4. vigilanza e tutela delle norme sulla salvaguardia dell'ambiente marino (incluso l'inquinamento) sia ai fini di contestare e documentare le violazioni, che di intervenire per limitare i danni;
  5. operazioni di ricerca e soccorso per la salvaguardia della vita umana in mare;
  6. assistenza di primo intervento, sia medica che tecnica, in caso di incendio, esplosione o avaria a bordo o su piattaforme marine.

I Cassiopea sono stati impiegati, altresì, in varie operazioni internazionali come la missione ONU per il pattugliamento delle acque del Libano.

Il coinvolgimento dei Pattugliatori d’Altura della Classe «Cassiopea» nell’ambito di operazioni antinquinamento può avvenire solo previa formale e motivata richiesta avanzata a Maristat dal C.O.A. di Difmar o, nel  caso di emergenza nazionale, dal Dipartimento della Protezione Civile. In tal caso, quindi, alla luce di quanto si è detto in precedenza a proposito dell’organizzazione del “pronto intervento”, le suddette Unità potranno  trovarsi ad operare sotto la direzione ed il coordinamento di una delle seguenti Autorità:

  • Capo del Compartimento Marittimo competente per territorio, in stretto contatto con il relativo Centro Operativo Periferico e con il C.O.A. di Difmar, nel caso di “emergenza locale”;
  • Dipartimento della Protezione Civile  presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri,  nel caso di “emergenza nazionale”;
  • Direttore Generale di Difmar (supportato, nei casi più gravi, dal Comitato Permanente Interministeriale di Pronto Intervento), nel caso in cui l’intervento abbia come teatro l’alto mare.

Di conseguenza, nell’ambito di tale struttura organizzativa le decisioni circa l’impiego delle dotazioni antinquinamento in possesso dei Pattugliatori, non saranno adottate autonomamente dal Comandante dell’unità stessa ma saranno frutto di valutazioni operate dalle suddette competenti Autorità in relazione all’estensione dell’area interessata dallo sversamento, alle condimeteo in atto ed al numero e alle caratteristiche dei  mezzi antinquinamento intervenuti. Ciò vale in particolar modo per l’impiego del “disperdente”: la decisione circa l’utilizzo di questo prodotto presuppone, infatti, delle delicate quanto complesse valutazioni legate, in particolare, alla natura della sostanza inquinante, al processo di invecchiamento della stessa (con possibile aumento della viscosità ed insorgenza del fenomeno dell’emulsione acqua in olio)  nonchè all’impatto ambientale che ne deriverebbe, considerando, sotto quest’ultimo aspetto,  che l’uso di disperdenti costituisce pur sempre un’immissione di per sé  inquinante. Va sottolineato, fra l’altro, che l’impiego di tali prodotti può essere disposto dall’Autorità coordinatrice del pronto intervento solo previa espressa autorizzazione accordata da Difmar per il tramite del suo C.O.A..

E’ evidente che quanto si è detto sinora nulla toglie al ruolo del Comandante dell’unità quale responsabile della condotta della navigazione. In virtù dei poteri/doveri che discendono da tale ruolo il Comandante deve infatti valutare se le disposizioni impartite dalle Autorità che dirigono le operazioni antinquinamento siano  concretamente attuabili senza comportare rischi per l’unità stessa e/o per l’equipaggio. E’ altrettanto evidente, inoltre, che la direzione delle operazioni antinquinamento è cosa diversa dal controllo operativo (Opcon) delle unità, che, come è noto, spetta a Cincnav. In particolare, l’Autorità che esercita l’Opcon dovrà curare nel corso dell’emergenza antinquinamento gli opportuni collegamenti fra Maristat (Rep.P.O.) e il Centro Operativo del Centro Nazionale di coordinamento e raccolta dati operante presso  Difmar.

In definitiva, occorre tenere ben distinte le decisioni inerenti le modalità di attuazione dell’intervento antinquinamento (spettanti, a seconda dei casi, ad una delle Autorità coordinatrici sopra menzionate) dalle decisioni che riguardano, invece, il controllo operativo delle unità e la condotta della navigazione (spettanti, rispettivamente, a Cincnav ed al Comando di bordo).

Va rilevato, ancora, che nel caso di intervento dei  Pattugliatori d’Altura in operazioni antinquinamento, il Comando di Bordo degli stessi può essere designato dall’Autorità coordinatrice quale OSC (On Scene Commander) venendo così ad assumere, nel quadro operativo del “pronto intervento antinquinamento”, un ruolo di fondamentale importanza. Infatti, è l’O.S.C. che, di fatto, coordina in oparea le azioni di tutti i mezzi cooperanti fornendo, altresì, all’Autorità coordinatrice dell’intervento gli elementi ed i dati indispensabili per un’efficace direzione delle relative operazioni.

 

Cassiopea P-401                                                             Libra P-402

 

  • Attività di sorveglianza e repressione negli illeciti in materia di inquinamento

L’attività dei Pattugliatori nel campo dell’antinquinamento non si limita all’ipotesi sopra esaminata di un loro coinvolgimento nella struttura organizzativa del “pronto intervento” ma si estrinseca anche nella sorveglianza a fini preventivi, nell’accertamento e nella repressione degli illeciti derivanti dalla violazione della  normativa vigente in tale campo.

Infatti, l’art. 23 della Legge 979/82 affida lo svolgimento delle attività di sorveglianza per la prevenzione degli  inquinamenti delle acque marine e di accertamento delle relative infrazioni,  agli “Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria di cui all’art. 57 c.p.p. e 1235 del Cod. nav., nonchè al personale civile dell’amministrazione dell’Ambiente, agli Ufficiali, Sottufficiali e Sottocapi della Marina Militare”, sotto la direzione dei Comadanti dei porti.

Per il corretto svolgimento di tale delicato compito, di fondamentale rilievo è la conoscenza sia delle norme che regolamentano la discarica  di  sostanze nocive ed il loro trasporto via mare, sia delle norme che sanzionano la violazione di tale normativa.

Spica P-403                                                                  Vega P-404

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