Ogni reato ha un «soggetto attivo» (=autore del reato) e un «soggetto passivo» (=il titolare dell’interesse protetto dalla norma penale).
In particolare, il «soggetto attivo» è colui (o coloro, nel caso di concorso) che ha posto in essere il comportamento vietato dalla norma incriminatrice e che nel procedimento penale assume, a seconda delle fasi o dei momenti, la qualità di indagato, di imputato, di reo o condannato e di internato.
Tutte le persone fisiche (art. 27 Cost.) possono essere soggetti attivi del reato, hanno cioè l’attitudine a porre in essere comportamenti penalmente rilevanti, senza distinzione di età, sesso od altre condizioni soggettive essendo tutte dotate di capacità penale.
Ne consegue che l’età, le situazioni di anormalità psico-fisica e le immunità non escludono il reato, ma sono rilevanti solo ai fini della concreta applicabilità della pena.
In relazione al «soggetto attivo», distinguiamo:
I reati «comuni», sono quelli posti in essere da qualunque soggetto, indipendentemente da particolari caratteristiche soggettive. In tale ipotesi la norma, generalmente, fa riferimento a «chiunque.....».
I reati «propri», sono quei reati che, a causa della particolare natura del bene giuridico protetto, che si presta ad essere offeso soltanto da soggetti particolari, possono essere commessi da chi rivesta determinate «qualifiche» o «condizioni».
Per stabilire se il reato sia comune o proprio, non è sufficiente, quindi, verificare se la norma incriminatrice usi o meno l’espressione «chiunque...», bensì occorre esaminare con attenzione la norma nel suo complesso. Un reato può essere commesso da una o più persone fisiche. Nel primo caso si è in presenza di un reato «monosoggettivo»; nel secondo di un reato «plurisoggettivo». Il fenomeno dei reati c.d. plurisoggettivi o del concorso necessario di persone si realizza quando è la stessa norma incriminatrice a richiedere per la sussistenza del reato, una pluralità di soggetti attivi. Vi sono, infatti, beni giuridici che possono essere lesi soltanto dall’azione di più soggetti. Il concorso di persone nel reato costituisce invece una forma eventuale di manifestazione del reato (come si vedrà in seguito) che si realizza allorquando più persone pongono in essere un reato che, astrattamente considerato, avrebbe potuto essere realizzato anche da una sola persona.
Non tutti gli autori di un reato ne subiscono però le conseguenze giuridiche. Le persone immuni ad esempio, non sono assoggettate a conseguenze penali; quelle socialmente non pericolose non possono essere sottoposte a misure di sicurezza; quelle incapaci di intendere e volere (=non imputabili) non possono essere condannate alla pena prevista per il reato da esse commesso.
L’art. 85 c.p. stabilisce che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”. Al secondo comma poi precisa che “E’ imputabile chi ha la capacità di intendere e volere”. Non tutti gli autori di un reato ne subiscono, quindi, le conseguenze giuridiche.
La "responsabilità penale" (cioè la possibilità di essere punito per la commissione di un reato) è collegata ad un normale stato di maturità, sanità ed equilibrio dell'individuo, che, il Codice penale definisce come «imputabilità». Questa imputabilità consiste essenzialmente nella «....Capacità di intendere e di volere».
Presupposto per la punibilità dell’autore di un reato è la «sussistenza della capacità di intendere e di volere» al momento della commissione del fatto, ossia, seguendo la terminologia del codice, delle «condizioni di imputabilità» (art. 85 c.p.). L’assenza dell’una o dell’altra, pur sussistendo il reato, consente infatti al soggetto di andare esente da pena (causa soggettiva di esenzione da pena).
Per «capacità di intendere e volere» si intende sia la capacità di ogni persona di rendersi conto del valore sociale del proprio comportamento e di valutarne le ripercussioni sugli altri (intendere) sia l’idoneità della persona a determinarsi in modo autonomo, resistendo agli impulsi che gli derivano dal mondo esterno (volere).
Comunemente, sia la capacità di intendere che quella di volere si raggiungono con una completa maturità psico-fisica (sviluppo corporeo ed intellettivo sufficiente) e si mantengono con l'equilibrio e la sanità mentale.
La ragione per cui si richiede la imputabilità per l'irrogazione della pena risiede in un profondo senso di giustizia nella nostra coscienza. Ripugna, infatti, infliggere castighi a soggetti non in grado di rendersi conto di ciò che fanno e trattare conseguentemente come adulti responsabili i malati di mente ed i bambini.
La pena è un castigo per una disobbedienza e si richiede, pertanto, che chi la subisce l'avverte e la sente come il giusto corrispettivo per un comportamento riprovevole. Il requisito della imputabilità è condizione per l'irrogazione della pena. Ciò significa che la mancanza di imputabilità costituisce una causa personale di esenzione della pena (analoga alle immunità). Segue da questa impostazione che anche il bambino o il pazzo possono violare i precetti della legge penale (sono anche loro soggetti attivi di diritto penale), ma non possono poi essere puniti, per una condizione attinente alla loro persona.
La imputabilità è legata tanto al raggiungimento di un sufficiente grado di sviluppo dell'individuo quanto al permanere di un suo equilibrio psico-fisico. Infatti, anche dopo la raggiunta maturità, varie situazioni estreme possono influire su questo equilibrio eliminando del tutto o facendo diminuire sia la capacità di intendere, sia la capacità di volere, sia l'una e l'altra insieme.
L’Ordinamento giuridico prevede alcune ipotesi che "escludono" o comunque "diminuiscono" la imputabilità. Non si tratta di un numero chiuso di cause nel senso che tale capacità potrebbe essere esclusa anche in presenza di cause non espressamente previste dal Codice.
Quelle previste dal nostro Ordinamento sono:
Per ognuna di esse il Codice detta una specifica disciplina. Può dirsi, al riguardo, che le norme sulla imputabilità non si applicano quando la privazione della capacità di intendere e di volere è stata "preordinata" e cioè quando l’autore del reato si è messo in stato di incapacità proprio al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa (art. 87 c.p.).
Gli articoli 97 e 98 c.p. prevedono rispettivamente che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni” e che “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e volere; ma la pena è diminuita”.
La non punibilità è determinata dalla condizione di immaturità che caratterizza i soggetti minori. Al riguardo il nostro diritto distingue due diverse «fasce di età» del minore:
Le nuove disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni, dettate dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 488 «Nuove disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni», hanno accentuato notevolmente la funzione di prevenzione e rieducazione sociale del processo penale relativo ai minori. In particolare, è stata prevista una nuova causa di non punibilità che è data dalla «irrilevanza del fatto». Afferma, infatti, l’art. 27 del D.P.R. citato che... durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento, il Pubblico Ministero può chiedere al Giudice[1] una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minore.
Il minore riconosciuto non imputabile viene prosciolto, tuttavia, se risulta socialmente pericoloso sono applicabili nei suoi confronti le "misure di sicurezza" del riformatorio giudiziario e della libertà vigilata.
[1] E’ prevista, la possibilità per il Giudice di sospendere il processo e affidare in prova il minore ai Servizi minorili; decorso il periodo di prova, il Giudice se ritiene che quest’ultima abbia avuto esito positivo, dichiara con sentenza estinto il reato (artt. 28 e 29 del D.P.R 22.9.1988, n. 488).
Fra le cause che incidono sulla imputabilità, ha particolare rilievo il vizio di mente. L’art. 88 c.p. stabilisce che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere e volere”.
Il successivo articolo 89 prevede poi “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere e volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”.
Non basta accertare l’esistenza di una malattia mentale per escludere l’imputabilità: occorre appurare in concreto caso per caso, se, e in quale misura, tale malattia abbia effettivamente compromesso la capacità del soggetto di intendere e volere.
Per infermità deve intendersi un concetto molto più ampio rispetto a quello di malattia giungendo a comprendere anche i "disturbi psichici" di carattere non strettamente patologico. Rientra tra le infermità anche la malattia fisica (anche quelle a carattere transitorio) da cui derivi un vizio di mente.
L'incapacità di intendere e di volere può essere "totalmente esclusa" o "grandemente ridotta" da condizioni di infermità mentale. In questi casi l'imputato è esente da pena o assoggettato a pena ridotta. Pertanto, a seconda del suo grado, l’infermità può essere:
Il vizio di mente è totale (art. 88 c.p.) se al momento della commissione del fatto, l’infermità è tale da escludere del tutto la capacità di intende e volere. In tal caso il soggetto sarà dichiarato non imputabile perché totalmente infermo di mente (art. 88 c.p.); ma se riconosciuto socialmente pericoloso gli si applica la misura di sicurezza del "ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario".
E’ invece parziale (art. 89 c.p.) se la capacità di intendere e volere non è esclusa ma solo diminuita in presenza di un vizio di mente. La pena è diminuita in caso di infermità parziale.
L’art. 90 c.p. stabilisce che “gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità”. La rilevanza scusante degli stati emotivi o passionali è comunque ammessa in presenza di due condizioni essenziali:
Per il fenomeno dell’etilismo e per quello dell’intossicazione da stupefacenti, l’Ordinamento prevede trattamenti diversi a seconda delle circostanze[1] [1].
L’intossicazione da alcool o da sostanza stupefacente deriva dall’uso eccessivo di bevande alcoliche o di droga. può essere:
Il Codice prevede l’esclusione dell’imputabilità se l’ubriachezza (o la intossicazione da sostanze stupefacenti) è dovuta a «caso fortuito» o «forza maggiore» (art. 91 c.p.). Si tratta della cd. ubriachezza accidentale e cioè non dipendente da colpa del soggetto.
Gli artt. 92 e 93 c.p. prevedono invece una disciplina più rigorosa per le ipotesi in cui ubriachezza (il primo) e la intossicazione da sostanze stupefacenti (il secondo) sia derivata da un "fatto proprio e volontario" del soggetto agente (il soggetto si è ubriacato o drogato volontariamente o per imprudenza). In tali ipotesi è quindi previsto che chi commette il fatto ne risponde come se fosse pienamente capace di intendere e volere. Non è quindi prevista né l’esclusione né tanto meno la diminuzione della imputabilità.
Il secondo comma dell’art. 92 c.p. prevede poi un aumento di pena se lo stato di ubriachezza è preordinato al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusante. Si tratta di una ipotesi di actio libera in causa che non fa venir meno la colpevolezza.
L’art. 94 c.p. “ubriachezza abituale” stabilisce un aumento della pena nel caso in cui il reato viene commesso da un soggetto agente il cui stato di ubriachezza (o di intossicazione da stupefacenti) è abituale. Per ubriaco abituale è da intendersi la persona dedita all’uso di bevande alcoliche che si trova in stato frequente di ubriachezza.
L’ubriachezza abituale e la intossicazione abituale di sostanze stupefacenti, non esclude o diminuisce l’imputabilità ma addirittura prevede un aumento della pena.
L'imputabilità non è esclusa né diminuita quando l’intossicazione è "preordinata" (il soggetto si è ubriacato o drogato allo scopo di commettere il reato o per prepararsi una scusa). In questa seconda ipotesi, si dà luogo ad un aumento di pena.
L’articolo 95 c.p. “cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti” stabilisce espressamente che “per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89”.
La cronica intossicazione potrebbe giungere a far scemare fortemente la capacità di intendere e volere del soggetto agente. In tali ipotesi, secondo l’Ordinamento, il soggetto non sarebbe imputabile.
L’intossicazione «cronica» da alcool o da sostanze stupefacenti si verifica quando per effetto dell’abuso prolungato di droga o di sostanze alcoliche, si produce una alterazione psichica del soggetto tipica del vizio di mente.
Tale situazione va distinta dall’ipotesi in cui il soggetto versi in stato di ubriachezza «abituale» (ubriachezza consuetudinaria e frequente o da chi è abitualmente dedito all’uso di droghe). In tal caso il soggetto subisce un aumento di pena e l’applicazione di una "misura di sicurezza" del «ricovero in casa di cura e custodia», poiché si ritiene che per costui lo stato di incapacità sia meramente transuente e non stabile come in caso di cronica intossicazione.
Le conseguenze della «intossicazione cronica» sono opposte rispetto a quelle della «intossicazione abituale». La prima esclude la imputabilità; la seconda, invece, non solo non la esclude, ma comporta addirittura un aumento di pena a carico dell’autore del reato. Da qui l’importanza di avere ben chiara la distinzione tra le due ipotesi.
E’intossicato abituale colui che è dedito all’alcool o alla droga e che, pur trovandosi frequentemente in stato di ubriachezza o di intossicazione da stupefacenti, attraversa, tra un periodo e l’altro, periodi di normale (o quasi normale) lucidità.
L’intossicato cronico, invece, è colui che versa in modo duraturo e continuo in stato di intossicazione: nel senso che questa non è più un effetto della assunzione dell’alcool o della droga (un effetto, cioè, che dopo essere cessato, si rinnova a seguito di ogni nuova assunzione), ma è uno stato irreversibile e permanente che non viene mai meno e che, comunque, non scompare del tutto neppure quando il soggetto non fa più uso di alcool o di droga ovvero ne fa uso limitato.
[1] [1] Ipotesi di reato:
Links:
[1] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%2322