Quando un "Ufficiale" o "Agente" di polizia giudiziaria interviene nei confronti di un soggetto sospettato di un reato o nel momento in cui sta commettendo un reato:
Attenzione !
L’art. 349 c.p.p. sancisce che di questo accompagnamento coattivo ai fini identificativi deve essere subito notiziato il Procuratore della Repubblica del posto.
Se la persona si oppone con la forza all’accompagnamento, commette il reato di resistenza a Pubblico Ufficiale (art. 337 c.p.) per il quale è possibile l’arresto in flagranza.
Qualora l’U.P.G. non voglia, per motivi di opportunità o per altro, ricorrere all’uso della forza per l’accompagnamento coattivo, cercherà di identificare, attraverso altri mezzi (ad esempio: targa dell’autovettura, informazioni, testimonianze, ecc.) la persona, trasmettendo l’informativa di reato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente al quale illustrerà dettagliatamente l’evoluzione dei fatti.
In nessun caso è possibile far uso delle eventuali armi in tali circostanze, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria integrità fisica da un pericolo attuale ed inevitabile, e sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa e non sussista l’alternativa di un comportamento diverso oppure qualora il militare operante sia costoro all’uso delle armi per respingere una violenza o vincere una resistenza.
Attenzione !
la cosiddetta “resistenza passiva” (rifiuto senza minacce o violenza ed atteggiamento passivo ed inerte) non integra il reato di resistenza ma soltanto il reato di cui all’art. 650 e/o 61 c.p.
In uno Stato democratico, ove massima tutela viene riconosciuta ai diritti del cittadino ed i limiti alla libertà costituzionali sono oggetto di precise garanzie, i compiti degli Organi preposti alle funzioni di polizia devono essere svolti mantenendo, sempre, il “giusto equilibrio” tra l’esplicazione di un «atto autoritativo» qual è normalmente l’atto posto in essere dal Pubblico Ufficiale, ed il rispetto dei diritti della persona che ne subisce gli effetti.
L’identificazione di una persona rappresenta, ad esempio, più che un invito a declinare le proprie generalità personali e quant’altro possa valere ad identificarla compiutamente, un ordine dell’Autorità che, nel quadro dei principi anzidetti, va considerato un potere da esercitare, non solo con la puntuale osservanza delle norme che la regolano, ma anche con atteggiamenti e comportamenti improntati alla buona educazione, al rispetto della persona ed alla salvaguardia dell’immagine dell’Amministrazione di appartenenza.
Alla necessaria fermezza nell’intervento deve, pertanto, coniugarsi la cortesia nei modi e nel linguaggio, qualunque sia o appaia il soggetto destinatario del controllo d’identità; in tal modo, non solo si rappresenta la funzione esercitata con adeguato livello di professionalità, ma, contestualmente, si evita una giusta rimostranza o addirittura, il tentativo di far passare per arbitrario l’atto medesimo.
Allo scopo di scongiurare possibili malintesi o incertezze, la richiesta dei documenti identificativi è opportuno che sia effettuata comunque da personale in “uniforme”.
Qualora gli operatori siano in abiti civili e sia necessario ed improrogabile procedere al controllo, devono essere attuate tutte le possibili cautele per consentire al cittadino un inequivocabile riconoscimento.
Proprio la necessità di garantire la sicurezza della collettività e degli operanti rappresenta l’ulteriore criterio cui uniformare alcune elementari regole di condotta nel corso degli interventi da parte del personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera.
E’ necessario, quindi, in presenza dell’utente, mantenere costante un atteggiamento fermo e prudente: pur nel rispetto delle libertà del cittadino, è importante adottare ogni accorgimento teso a garantire la propria e altrui incolumità.
Anche quando le persone fermate, oggetto dell’attività di identificazione, mostrano tranquillità e disponibilità agli accertamenti di polizia, deve essere tenuta sempre elevata e vigile la concentrazione operativa, al fine di scongiurare ogni reazione ed essere pronti a fronteggiare inattese situazioni d’emergenza.
Quando decide di procedere al controllo di una o più persone, e qualora non sia necessario attivarsi presso il proprio Comando, il militare del Corpo deve ponderare, oltre alla tecnica di avvicinamento e di approccio, il luogo più idoneo all’intervento stesso.
L’approccio con le persone deve, possibilmente, avvenire con l’utilizzo della «tecnica di protezione ravvicinata», che consiste nell’operare sempre con il sostegno, a distanza, di uno o più collaboratori in posizione reattiva, ossia pronti a fronteggiare l’eventuale reazione del fermato ovvero di terze persone presenti nelle vicinanze.
Non tutti gli operatori, quindi, devono trovarsi contemporaneamente impegnati nel controllo: mentre uno procede alla identificazione ed agli accertamenti conseguenti, l’altro o gli altri devono tenersi a distanza pronti ad intervenire.
Giova sottolineare che una procedura operativa adeguata rappresenta un valido deterrente nei confronti dell’utente reticente o malintenzionato, il quale, al contrario, in presenza di atteggiamenti rilassati ed eccessivamente fiduciosi dei tutori dell’ordine, potrebbero approfittare di un momento opportuno per sottrarsi con forza al controllo.
Dell’avvio dell’attività di controllo, nonché del luogo in cui il personale del Corpo opera, è opportuno informare via radio/telefonino la Centrale Operativa del proprio Ufficio che, in caso di emergenza, sarà in condizione di attivare tempestivamente le misure di conseguenza.