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La Polizia Giudiziaria

Il Codice di rito colloca la “Polizia Giudiziaria” tra i soggetti del procedimento penale (artt. 55-59 c.p.p.). Si tratta di una scelta sistematica che sottolinea lo stretto rapporto della Polizia Giudiziaria con l’Ufficio del Pubblico Ministero e la centralità dei compiti a essa affidati nelle delicate fasi di avvio del procedimento penale.

  • Il Codice dedica alla Polizia Giudiziaria un duplice gruppo di norme:
  1. il primo ne definisce le funzioni (artt. 55-59 c.p.p.) e ne delinea i profili strutturali e organizzativi analiticamente regolati nelle disposizioni di attuazione (artt. 5-20 att. c.p.p.);
  2. il secondo ne disciplina il profilo dinamico: vale a dire, l’attività di indagine che la Polizia Giudiziaria svolge a iniziativa autonoma (artt. 347-357 c.p.p.), oppure su “delega” o sulla base di “direttive” del Pubblico Ministero (artt. 348 comma 3 e 370 c.p.p.)

Approfondendo ulteriormente le nozioni generali sopra esposte, può dunque notarsi che per «attività di polizia giudiziaria» si intende solo quella, svolta dai relativi Ufficiali ed Agenti, dopo che si è verificato un reato, per reprimerlo, prendendone notizia, impedendo che venga portato a conseguenze ulteriori, ricercandone gli autori, compiendo gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliendo quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale (art. 55 c.p.p.).
L’attività di polizia giudiziaria, proprio perché collegata all’accertamento ed alla repressione di un reato già commesso, si colloca all’interno del procedimento penale.
Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte dai relativi Uifficiali ed Agenti. La distinzione tra Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria è rilevante sia per quanto riguarda la organizzazione interna delle varie “unità” di polizia giudiziaria (art. 56 c.p.p. e art. 5 e ss. att.) sia per quanto riguarda la competenza a compiere determinati atti.
A quest’ultimo proposito, le disposizioni dettate dal Codice di rito e dalle norme di attuazione (D.lgs. n. 271/89) stabiliscono che, in via generale, gli atti di polizia giudiziaria possono essere compiuti, indistintamente, dagli Ufficiali e dagli Agenti e che alla regola si fa eccezione solo per quegli atti di cui il compimento è espressamente “riservato” agli Ufficiali di polizia giudiziaria in via “
assoluta” o “relativa”.
La riserva è «assoluta» quando l’atto, per la sua complessità e delicatezza, può essere compiuto esclusivamente dagli Ufficiali di polizia giudiziaria e cioè dai soggetti che, per la qualifica rivestita, sono titolari di più collaudate capacità tecnico-professionali.
E «relativa» quando l’atto può essere compiuto anche dagli Agenti di polizia giudiziaria nei casi di particolare necessità e urgenza (=nei casi che esigono l’immediato svolgimento di attività operativa)

  • Ad esempio, sono riservati in via “assoluta” agli Ufficiali di polizia giudiziaria, la ricezione e la redazione di denunce, querele e referti (art. 331, 333, 334 e 337 c.p.p.); l’assunzione di sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini o dalla persona imputata in reato connesso (art. 350 commi 1 e 5; art 351 comma 1 bis c.p.p.); l’acquisizione di plichi o di corrispondenza (art. 353 c.p.p.); l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato (art. 389 comma 2 c.p.p.).
  • Ad esempio, sono riservati in via solo “relativa” agli Ufficiali di polizia giudiziaria (=possono essere compiuti anche dagli Agenti di polizia giudiziaria solo nei casi di particolare necessità e urgenza, le perquisizioni, i sequestri, gli accertamenti urgenti sui luoghi, cose e persone (artt. 352 e 353 e art. 113 att. c.p.p.)

Nelle ipotesi di riserva relativa, la necessità e urgenza che legittimano l’intervento degli Agenti di polizia giudiziaria non devono essere espressamente motivate, ma possono essere desunte anche da elementi collegati alla concreta situazione di indagine.

  • E’ il caso ad esempio, della perquisizione personale che l’Agente di polizia giudiziaria compie nei confronti di un soggetto appena sorpreso nella flagranza di un grave reato (Cass. 2091/99).

L’Agente di polizia giudiziaria che compie un atto in assenza di una situazione di necessità e urgenza può risponderne disciplinarmente

  • Costituisce illecito disciplinare, ad esempio, il compimento di una perquisizione locale che l’Agente di polizia giudiziaria compie allorché non sussistano situazioni di urgenza (che sono però presunte in caso di flagranza

Nella ipotesi di riserva assoluta, l’atto compiuto da Agenti di polizia giudiziaria è invece considerato illeggittimo (Cass. 4408/98).

 

 

Gli ausiliari della P.G.

La Polizia Giudiziaria nell’ambito della loro competenza può trovarsi, quando agisce o di iniziativa o su delega del Pubblico Ministero, nella necessità di compiere atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche che essa non possiede.

  • Si pensi, ad esempio, all’analisi di un campione di sostanza per stabilire se si tratta o meno di materiale infiammabile o esplosivo; all’esecuzione di rilievi; all’apertura di una cassaforte o di una porta, blindata o meno.

Fra gli “ausiliari” di polizia giudiziaria rientrano, ad esempio, il funzionario ASL, il Chimico di porto o il veterinario a cui la Capitaneria di Porto deve spesso ricorrere per far certificare, rispettivamente, l’entità, le caratteristiche e la natura di un “agente” inquinante ovvero per le opportune verifiche nei mercati ittici, ecc.

In questi casi la polizia giudiziaria può avvalersi di «persone idonee» e cioè di persone in possesso delle competenze tecniche necessarie ad operare in quel determinato settore che forma oggetto dell’attività di polizia giudiziaria (art. 348, 4° comma c.p.p.)

â–º Tali soggetti:

  1. non possono rifiutare la propria opera e devono, quindi, presentarsi e svolgere l’incarico ricevuto, potendo, altrimenti, incorrere nel reato previsto dall’art. 328 c.p. (Rifiuto di atti di ufficio – Omissione);
  2. devono mantenere il segreto, secondo quanto prevede l’art. 329, in ordine all’attività svolta, potendo, altrimenti, incorrere nel reato previsto dall’art. 326 c.p. (Rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio).

Fra le persone idonee di cui si tratta va compreso anche l’interprete del quale la polizia giudiziaria deve necessariamente avvalersi per:

  1. tradurre uno scritto redatto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile;
  2. assumere le dichiarazioni di un indagato o di altra persona che non conosce la lingua italiana.
  • Ad esempio, in caso di sinistro marittimo dove sia coinvolta una nave straniera, l’organo che esperisce l’inchiesta sommaria si avvarrà dell’interprete per verbalizzare le dichiarazioni rilasciate dai membri dell’equipaggio coinvolti.

L’obbligo di avvalersi dell’interprete sorge anche quando l’Ufficiale di polizia giudiziaria ha personalmente conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
Anche quando si avvale di persona idonea a norma dell’art. 348, 1° comma c.p.p., l’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria continua pur sempre ad assumere la «paternità dell’atto»: spetta a lui formulare i quesiti necessari, controllare l’attività del tecnico, consacrare in Verbale o (annotazione) le operazioni effettuate e i risultati conseguiti allegando, quando sia il caso, gli elaborati tecnici redatti.
Ciò vuol dire che, sotto il profilo formale, gli atti compiuti dall’ausiliare hanno la stessa natura ed efficacia degli atti compiuti dall’autorità che si è avvalsa dell’opera dell’ausiliare.

I «compensi» agli ausiliari saranno liquidati a norma dell’art. 11 legge 8.7.1980, n. 319 come modif. dal D.M. 30.5.2002 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’Autorità Giudiziaria).

 

 

 

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