Alla commissione di un reato consegue, quale effetto tipico, la «punibilità» del suo autore: vale a dire l’applicabilità a suo carico, delle sanzioni penali stabilite dalla legge in relazione al fatto criminoso verificatosi.
Tale effetto tipico può peraltro venir meno quando sopravvengono determinate situazioni che, senza cancellare il reato, estinguono però la potestà punitiva (o diritto di punire) dello Stato oppure incidono sulla esecuzione della pena.
Le situazioni di cui si parla sono le cause di estinzione degli effetti del reato e della pena, che il codice distingue in:
Le prime estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato.
Le seconde, invece, estinguono la punibilità in concreto; si caratterizzano perché operano su una pena concretamente inflitta ad un soggetto con sentenza passata in giudicato, senza incidere sul reato (e su i suoi effetti) in alcun modo, e senza intaccare il potere punitivo dello Stato
[1] Come è noto, alcuni reati sono perseguibile ad «azione pubblica»; altri ad «azione privata», ossia solo quando ricorrono determinate condizioni di procedibilità. In assenza di queste, l’azione penale non può essere esercitata e il procedimento penale non può essere neppure iniziato. La remissione di querela è ritenuta, dalla prevalente dottrina, un istituto di diritto processuale, e perciò non viene trattata in questa sede.
Sono previste dal codice penale dagli artt. 150-169 c.p.: estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato.
► La morte del reo prima della condanna
L’art. 150 c.p., stabilisce che «la morte del reo avvenuta prima della condanna estingue il reato». Poiché la responsabilità penale è personale (art. 27 Cost.), la morte di colui al quale il fatto è addebitato estingue tutti gli effetti penali del reato (incluse le pene principali e accessorie); ad essa, sopravvivono, unicamente:
Si tratta di tutte le obbligazioni inerenti al patrimonio del defunto. Agli eredi passeranno esclusivamente gli obblighi civili dipendenti dal reato nonché il carico delle spese giudiziali.
► L’amnistia propria (art. 150)
E’ un atto di clemenza con cui lo Stato rinuncia a punire, in via generale e astratta, determinate categorie di reati[1], commessi entro un termine espressamente fissato.
L’amnistia impedisce che vengano inflitte le pene principali, le pene accessorie e le misure di sicurezza; non estingue gli obblighi civili e non si applica a soggetti ritenuti pericolosi salvo che il decreto non disponga diversamente.
E’ possibile rinunciare all’amnistia, in quanto la legge deve consentire all’imputato, che lo chieda, di dimostrare la propria innocenza.
Il legislatore italiano ha fatto spesso ricorso alla amnistia specie per consentire un facile smaltimento delle pendenze processuali ed evitare il sovraffollamento degli istituti carcerari. Tale prassi legislativa è stata molto criticata sia perché tendente a vanificare gli sforzi di indagine delle forze di polizia e dell’autorità giudiziaria sia perché idonea ad accrescere nel cittadino la convinzione della inefficienza del sistema giudiziario e della impunità di chi delinque.
Proprio per queste ragioni l’amnistia può essere concessa solo con una legge deliberata da ciascuna delle Camere con una maggioranza particolarmente qualificata (2/3 dei componenti di ciascuna Assemblea) addirittura superiore a quella fissata per l’approvazione delle leggi costituzionali.
[1] L’ultima amnistia è stata concessa con D.P.R. 12 Aprile 1990, n. 75 e ha riguardato, in via generale, i reati (non finanziari) commessi a tutto il 24 Ottobre 1989, per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore a 4 anni.
Sono previste dal codice penale dagli artt. 150-169: estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato.
► La prescrizione (art. 157-171)
Consiste nella rinuncia dello Stato a far valere la sua pretesa punitiva, in considerazione del lasso di tempo trascorso dalla commissione di un reato, venendo meno l’esigenza di prevenzione generale (intimidazione) che giustifica la repressione dei reati e l’irrogazione di una pena per un fatto commesso molto tempo prima e caduto nel dimenticatoio.
Tale esigenza permane solo per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo: tali delitti sono imprescrittibili.
Per gli altri reati vigono i termini di prescrizione fissati dall’art. 157 c.p. e che sono collegati alla gravità del reato. Si va da un minimo di 2 anni (per le contravvenzioni punite con la sola ammenda) ad un massimo di 20 anni (per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena....
Per determinare il tempo necessario alla prescrizione si ha riguardo al massimo della pena stabilita per il reato, consumato o tentato, con l’aumento massimo stabilito per le eventuali aggravanti, e la diminuzione minima per le eventuali attenuanti (art. 152, comma 2).
Trascorsi i tempi previsti dall’art. 157 c.p. senza che sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna, il reato deve essere dichiarato estinto per prescrizione.
► L'oblazione nelle contravvenzioni (art. 162-162 bis c.p.)
Consiste nel pagamento, a domanda dell’interessato, di una somma in denaro (che ha l’effetto di degradare il reato in illecito amministrativo e, quindi, di estinguerlo) prima dell’apertura del dibattimento o prima del decreto di condanna. Si distingue in «oblazione automatica» e «oblazione discrezionale».
Nelle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda (art. 162 c.p.), l’oblazione ha luogo a richiesta dell’interessato (il quale ha un vero e proprio diritto ad esservi ammesso), e consiste nel pagamento di una somma in denaro corrispondente alla terza parte del massimo della pena edittale.
Nelle contravvenzioni punite con pene alternative (art. 162 bis) è invece facoltà del Giudice ammettervi o meno l’imputato che ne abbia fatto domanda: il Giudice, infatti, può sempre respingere con ordinanza la domanda quando ritenga il fatto «grave». L’oblazione, se l’imputato vi è ammesso, ha luogo mediante il pagamento di una somma di denaro corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilità dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.
La metà del massimo dell’ammenda deve essere depositata insieme alla domanda di oblazione. L’interessato può riproporla fino all’inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado.
Sono previste dal codice penale dagli artt. 150-169: estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato.
► Il perdono giudiziale (art. 169 c.p.)
Consiste nella rinuncia dello Stato a condannare il colpevole di un reato in considerazione della sua età e per consentirgli un più facile recupero sociale.
Al fine della concessione del beneficio occorre che:
Il perdono giudiziale non può essere concesso più di una volta ed è rimesso al prudente apprezzamento del Giudice, il quale perdona il minore quando presume che si asterrà dal commettere ulteriori reati.
► La sospensione condizionale della pena (art. 163-168 c.p.)
Questo istituto opera quando l’Autorità Giudiziaria, inflitta una certa pena, ne sospende l’esecuzione a condizione che, entro un certo periodo di tempo (periodo di prova), il condannato non commetta un nuovo reato: se ciò si verifica, egli sconterà insieme la vecchia e la nuova pena.
La ratio dell’istituto è duplice:
La sospensione condizionale della pena è ordinata per 5 anni per i delitti, 2 anni per le contravvenzioni (termine che decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che concede il beneficio): se, nei termini indicati (periodo di prova) il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto e non ha luogo l’esecuzione delle pene (art. 167 c.p.). L’effetto sospensivo si estende alle pene principali ed a quelle accessorie. Non si estende invece alle obbligazioni civili derivanti dal reato.
Trattandosi di sospensione condizionale, l’effetto sospensivo della esecuzione della pena cessa e la sospensione viene sottoposta a revoca se, nei termini fissati (5 anni per i delitti e 2 per le contravvenzioni), il condannato subisce altra condanna.
La remissione è la "dichiarazione" (scritta o orale) con la quale la persona offesa dal reato (= querelante) o chi la rappresenta propone la revoca della querela precedentemente proposta.
Per essere efficace (e produrre la estinzione del reato), la remissione deve essere "accettata" dal querelato. Poiché la persona querelata (= autore del reato) ha interesse, se innocente, a dimostrare, attraverso il processo, la sua completa estraneità al fatto-reato che le è stato addebitato nella querela, la remissione di questa non produce effetto se il querelato la ha tacitamente od espressamente ricusata: vale a dire se alla remissione non è seguita la sua accettazione.
Le spese del procedimento sono a carico al querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (art. 13 Legge 25.6.1999, n. 205)
Anche per la querela non è richiesta l’adozione di alcuna formula sacramentale purché in essa risulti con sufficienza chiarezza la volontà del querelante.
Estinguono la punibilità in concreto; si caratterizzano perché operano su una pena concretamente inflitta ad un soggetto con sentenza passata in giudicato, senza incidere sul reato (e su i suoi effetti) in alcun modo, e senza intaccare il potere punitivo dello Stato.
► La morte del reo dopo la condanna
L’art. 171 c.p. stabilisce che: “la morte del reo, avvenuta dopo la condanna, estingue il reato”.
Per gli effetti della morte sulle conseguenze penali e civili del reato si richiama quanto già rilevato all’art. 150 c.p.
► L’amnistia impropria (art. 171 c.p.)
Interviene dopo una sentenza irrevocabile di condanna. Fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie, ma lascia sussistere quegli effetti penali che non rientrano tra le pene accessorie (recidiva, abitualità, professionalità).
► L’indulto (o condono)
E’ un atto di clemenza generale indirizzato cioè alla generalità dei condannati e non al singolo condannato come le grazia.
L’indulto non opera sul reato, ma esclusivamente sulla pena principale che viene in tutto o in parte condonata o commutata in altra specie di pena dello stesso genere (art. 174 c.p.).
Estingue la pena ma non le pene accessorie a meno di diversa previsione di legge. Non estingue gli effetti penali della condanna. Non presuppone una condanna irrevocabile; la sua efficacia è circoscritta ai reati commessi fino al giorno precedente all’emanazione del decreto, salvo che il decreto stabilisca una diversa data (com’è più frequente nella pratica). Nel concorso di più reati l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene.
► La grazia (art. 174 c.p.)
E’ un atto di clemenza particolare (cioè individuale e non generale come l’indulto) che presuppone una sentenza irrevocabile di condanna. La concessione dell’indulto è rimessa (art. 87 Cost.) al potere discrezionale del Presidente della Repubblica.
La grazia opera solo sulla pena principale, condonandola in tutto o in parte.
► La prescrizione della pena (ovvero estinzione delle pene per decorso del tempo)
Estingue la punibilità in concreto; può aver luogo solo dopo una sentenza o decreto irrevocabile di condanna non eseguiti. Ha per oggetto le pene principali, mentre è sempre esclusa per l’ergastolo.
Sono esclusi dal beneficio i recidivi reiterati, i delinquenti abituali, professionali e per tendenza.
► La liberazione condizionale
Rientra tra le misure alternative alla detenzione e rappresenta un premio concesso al condannato che durante il periodo di detenzione abbia dato prova costante di buona condotta. (art. 176 c.p.).
La liberazione condizionale sospende l’esecuzione della parte di pena che rimane da scontare.
► La riabilitazione
Ha la finalità di sottrarre il condannato, che si sia ravveduto, a quegli effetti penali che ne potrebbero pregiudicare il normale reinserimento nella società (artt. 178-181 c.p.).
La riabilitazione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna ed è concessa quando il condannato::
E’ prevista la possibilità di una revoca della riabilitazione (art. 180 c.p.).
► La non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale
Consiste nella possibilità di non fare menzione della condanna (se detentiva, non superiore a 2 anni; se pecuniaria non superiore a € 516) nel certificato del Casellario Giudiziale spedito a richiesta di privati (art. 689 c.p.).
La non menzione della condanna è rimessa all’apprezzamento discrezionale del Giudice, che la concederà avuto riguardo alle circostanze indicate all’art. 133 c.p.
Il beneficio non può essere concesso se alla condanna conseguono pene accessorie e se il condannato ha già subito altre condanne in precedenza.
L’ordine della non menzione della condanna è revocato se il condannato commette successivamente un delitto.
La non menzione può essere considerata una causa di estinzione della pena in senso improprio.
Essa impedisce, piuttosto, un particolare effetto della condanna: quello della sua “pubblicizzazione”. In quest’ottica, la non menzione esercita l’effetto analogo a quello della riabilitazione in quanto elimina eventuali ostacoli alla risocializzazione del condannato il quale potrebbe vedersi compromesso il reinserimento nel mondo del lavoro e nella società in genere se costretto ad essere perennemente inseguito dai suoi “precedenti”.