Il reato militare può essere qualificato, rispetto al reato comune, come «reato proprio», in virtù della particolare posizione che in esso assume il «soggetto attivo» nei confronti dell’interessepenalmente protetto.
Ma la nozione di reato proprio è una nozione che ha un valore essenzialmente relativo; infatti il carattere speciale del reato proprio si ricava soltanto rapportando la disciplina del reato stesso alla disciplina di tutti gli altri reati appartenenti all’ordinamento di cui esso fa parte. Così, sono propri, rispetto alla massa dei reati comuni, i reati per i quali il Codice penale richiede, ad esempio, la qualifica di «Pubblico Ufficiale» (art. 357 c.p) da parte del soggetto attivo. E, in certo senso, potrebbero considerarsi propri, rispetto ai reati comuni, anche i reati militari.
Anzitutto, non sempre il reato militare esige nel “soggetto attivo” la qualifica di «militare»: vi sono reati militari (seppure in numero relativamente esiguo) che possono venir commessi da «terzi estranei» alle Forze Armate.
In secondo luogo, la qualifica militare del soggetto attivo non è di per sé sufficiente, come abbiamo già detto, ad attribuire al reato la qualità di reato militare: occorre infatti che la fattispecie sia lesiva di un «interesse militare» e sia prevista da una «legge penale militare».
In terzo luogo, soprattutto, occorre tener presente che la particolare posizione giuridica del soggetto attivo costituisce, nell’ordinamento militare, la normalità dei casi, sia dal punto di vista concettuale, sia dal punto di vista statistico. Quindi, rapportando il reato militare alla generale disciplina dell’ordinamento penale militare, non si può parlare di reato proprio.
Nell’ambito dei reati militari sarà “proprio” quel reato che richiederà nel militare una particolare «posizione giuridica», quale ad esempio quella di «Comandante» (artt.111, 121, 124, 146, ecc. c.p.m.p.).