Alla commissione di un reato consegue, quale effetto tipico, la punibilità del suo autore: vale a dire l’applicabilità a suo carico, delle sanzioni penali stabilite dalla legge in relazione al fatto criminoso verificatosi. Tale effetto tipico può peraltro venir meno quando sopravvengono determinate situazioni che, senza cancellare il reato, estinguono però la potestà punitiva (o diritto di punire) dello Stato oppure incidono sulla esecuzione della pena.
Le situazioni di cui si parla sono le cause di estinzione degli effetti del reato e della pena, che il codice distingue in:
Le prime estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato. Le seconde, invece, estinguono la punibilità in concreto; si caratterizzano perché operano su una pena concretamente inflitta ad un soggetto con sentenza passata in giudicato, senza incidere sul reato (e su i suoi effetti) in alcun modo, e senza intaccare il potere punitivo dello Stato.
Le disposizioni del Codice penale comune sulla estinzione del reato e della pena si osservano anche per il reato e per le pene militari (art. 66 c.p.m.p.), con talune precisazioni e deroghe che vengono a modificare la struttura di taluni istituti, e in particolare della:
Nell’analisi delle linee derogative dei predetti istituti seguiremo, di massima, l’ordine seguito dal legislatore militare.
La Prescrizione consiste nella rinuncia dello Stato a far valere la sua pretesa punitiva, in considerazione del lasso di tempo trascorso dalla commissione di un reato, venendo meno l’esigenza di prevenzione generale (intimidazione) che giustifica la repressione dei reati e l’irrogazione di una pena per un fatto commesso molto tempo prima e caduto nel dimenticatoio.
In tema di prescrizione, la legge penale militare prevede disposizioni speciali sulla prescrizione del reato e della pena nelle fattispecie di «diserzione» e di «mancanza alla chiamata». L’art. 158 c.p. stabilisce il termine di decorrenza della prescrizione, indicando all’uopo il giorno della consumazione per il reato consumato, il giorno della cessazione dell’attività del colpevole per il reato tentato, il giorno della cessazione della permanenza e della continuazione del reato per il reato permanente o continuato, ecc.
L’art. 68 c.p.m.p. dispone che per i reati di diserzione e di mancanza alla chiamata il termine decorre, se l’assenza perduri, «dal giorno in cui il militare ha compiuto l’età con la quale cessa in modo assoluto l’obbligo del servizio militare, a norma delle leggi sul reclutamento» [1] [1] [1].
Si tratta dunque d’una vera e propria deroga che investe in ogni caso la disciplina prescrizionale dei due reati in questione, poiché essi, sia che vengano definiti come istantanei sia che vengano definiti come permanenti, si sottraggono in ogni caso alla regolamentazione comune.
Quindi, se l’assenza ha termine prima del compimento della suindicata età, trova applicazione l’art. 158 c.p. e la prescrizione decorre dalla cessazione dell’assenza; se invece l’assenza perdura oltre il limite di tale età, trova applicazione l’art. 68 c.p.m.p. e la prescrizione decorre in ogni caso da tale termine.
La deroga prevista dall’art. 68 c.pm.p. ha dunque carattere parziale ed eventuale. Essa vige anche in materia di prescrizione della pena. Ciò significa che quando l’imputato sia stato condannato in contumacia con sentenza divenuta irrevocabile e l’assenza perduri, il termine prescrizionale decorre, anziché dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (come dispone l’art. 172, 4° comma c.p.), dalla data in cui il condannato compie l’età che lo libera dall’obbligo del servizio militare.
Da quanto detto risulta che lo stesso principio derogatorio produce conseguenze diverse, ed anzi antitetiche, a seconda che venga applicato ad una causa di estinzione del reato o ad una causa di estinzione della pena: poiché nel primo caso opera a favore del reo, ponendo un termine di decorrenza prescrizionale che altrimenti potrebbe restare perennemente sospeso ed impedire il compiersi del fatto estintivo; nel secondo caso opera invece, in linea di massima, a favore del reo poiché sposta il termine di decorrenza dalla data del passaggio in giudicato della sentenza alla data del 31 dicembre dell’anno di cessazione egli obblighi militari.
[1] [2] [2] Età che l’art. 9 D.P.R. 15 febbraio 1964, n. 237 sulla leva e il reclutamento obbligatorio, non modificato da successivi interventi legislativi, fissa al 31 dicembre del 45° anno di età per i militari dell’esercito e dell’aeronautica, e al 31 dicembre del 39° anno per i militari della marina; e che per gliufficiali e per i sottufficiali è variamente determinata dall’art. 63 della legge 10 aprile 1954 n. 113 sullo stato degli ufficiali e dall’art. 55 legge 31 luglio 1954 n. 599 sullo stato dei sottufficiali.
La Sospensione condizionale della pena (detta comunemente «condizionale») e, come noto, un istituto che consente al Giudice – quando condanna per la prima volta a una pena non superiore a 2 anni (o per la seconda volta, a una pena che, addizionata alla precedente, non superi quel limite) un soggetto nei cui confronti sia formulabile una prognosi di astensione dal commettere ulteriori reati – di ordinare che l’esecuzione resti sospesa per il termine di anni 5 (se si tratta di condanna per contravvenzione, il termine è di anni 2): scaduto quel termine, il reato si estingue se il condannato non ha commesso altri reati.
La Non menzione della condanna è un istituto, in certo senso, gemello della condizionale, poiché anch’esso presuppone una prognosi favorevole, una condanna che intervenga per la prima volta e una pena inflitta che non superi un certo limite (2 anni di pena detentiva) [1] [1] [1]. I suoi effetti sono più limitati perché riguardano soltanto le conseguenze che derivano dalla menzione della di agevolare il reinserimento sociale del condannato. Normalmente viene applicato insieme con la condizionale.
In ordine a questi due istituti il Diritto penale militare presentava alcune rilevanti differenze rispetto al Diritto penale comune. Per la sospensione condizionale, ne estendeva gli effetti alle pene accessorie della sospensione dall’impiego e della sospensione del grado, mentre il codice penale non prevedeva l’estensione della condizionale alle pene accessorie. Per la non menzione, prevedeva la elevazione del limite massimo della pena principale inflitta e la compatibilità del beneficio con la presenza di pene accessorie (compatibilità invece non ammessa dal codice penale comune).
La legge 7 febbraio 1990, n.19, che ha introdotto varie modifiche al Codice penale, ha eliminato una parte delle differenze predette, introducendo nel diritto penale comune gli stessi principi che già vigevano nel diritto penale militare. Precisamente: ha disposto che la sospensione condizionale della pena si estenda anche alle pene accessorie ed ha abrogato l’ultimo comma dell’art. 175 c.p., relativo alla non applicabilità della non menzione quando la condanna conseguono pene accessorie. A seguito di tale riforma, resta in piedi comunque una sola differenza, riguardante il tetto di pena entro cui è consentita la concessione della non menzione. Mentre l’art. 175 c.p. indica il massimo della pena detentiva nella misura di 2 anni, negando l’applicabilità del beneficio quando la pena inflitta superi tale entità, l’art. 70 c.p.m.p. indica il massimo nella misura di 3 anni di reclusione militare, rendendo così più ampia la sfera di applicazione del beneficio.
[1] [2] In seguito alla sentenza n. 225/75 della Corte costituzionale il beneficio può essere concesso più d’una volta.
Anche in tema di Liberazione condizionale l’ordinamento penale militare conosce qualche deroga. E’ noto che l’art. 176 c.p. (modificato per quanto attiene all’entità della pena complessiva dalla legge 25 novembre 1962 n. 1634) esige quali requisiti per l’applicazione del beneficio:
Di contro, l’art. 71 c.p.m.p. (non toccato dalla legge 25 novembre 1962 n. 1634) contiene una variante ai primi tre requisiti. Esige, infatti:
La prima deroga è a favore del condannato, la seconda e la terza, invece, palesemente sfavorevoli.
Non è facile individuare con esattezza il motivo che ha indotto il legislatore militare a predisporre un simile trattamento; così come non è facile spiegare perché la legge 25 novembre 1962 n. 1634 non sia stata estesa alla liberazione condizionale prevista dal codice penale militare.
Come è noto, la Riabilitazione è causa di estinzione delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna (quale, ad esempio, la recidiva). Essa presuppone che siano decorsi 5 anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta, e che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (nei casi di recidiva o di altre forme qualificate di pericolosità sociale il termine è di 10 anni).
Si aggiunge alla riabilitazione comune (artt. 178-181 c.p.), se si vogliono estinguere le pene accessorie e gli altri effetti penali militari, conseguenti a condanne sia per reati militari, sia per reati comuni. Per chiedere la riabilitazione militare, bisogna avere ottenuto la riabilitazione comune.
Anche quando Amnistia, Indulto e Grazia estinguono la pena accessoria della «rimozione», non restituiscono il grado perduto per effetto della condanna; salvo che il decreto disponga altrimenti. Nemmeno la Riabilitazione militare restituisce il grado, salvo che la legge disponga diversamente (art. 73). Il grado può essere riacquistato solo con le normali procedure di avanzamento o con il particolare procedimento di reintegrazione.
Decorsi 5 anni dalla sentenza definitiva che ha applicato la pena su richiesta delle parti il c.d. patteggiamento, il reato è estinto se il militare non commette un delitto della stessa indole.
Links:
[1] http://www.nonnodondolo.it/node/add/book?parent=3930#_ftn1
[2] http://www.nonnodondolo.it/node/add/book?parent=3930#_ftnref1