Il Codice di procedura penale richiede una particolare professionalità da parte del personale di Polizia Giudiziaria non solo durante le indagini preliminari, ma anche nella successiva fase dibattimentale, tanto in relazione agli atti compiuti che vengono, almeno in parte, valutati ai fini della decisione e contribuiscono così alla formazione della prova, quanto in sede di testimonianza, al cospetto di un Giudice pressoché ignaro dei fatti.
Tale stato di cose appare maggiormente accentuato nei procedimenti che riguardano i reati commessi con violazione delle norme poste a «tutela dell’ambiente». Invero, da una quasi totale assenza di leggi, che costringeva gli operatori ad applicare in maniera talora impropria le norme del Codice penale, si è passati ad una situazione in cui norme numerose, ma spesso di difficile interpretazione, regolano i diversi e talora anche gli stessi aspetti di una medesima materia. Altre norme, inoltre, prevedono generalmente una suddivisione di competenze tra Stato, Regioni, Province e Comuni e così contribuiscono a rendere ancora più ardua l’opera dell’interprete.
Peraltro la Polizia Giudiziaria, nell’espletare le attività di istituto dovrà tenere conto di tutto ciò, considerando inoltre che, a fronte di pene a volte irrisorie, i processi riguardanti la materia in esame incidono su interessi economici e politici di notevole rilievo. Ne consegue che chi opera in tale campo sovente troverà, nello svolgimento delle indagini, maggiori difficoltà rispetto a quelle incontrate per i più comuni reati previsti dal Codice penale.
Un ulteriore problema consiste nel fatto che la maggior parte degli atti di indagine compiuti, o per lo meno i più importanti tra essi, assumono la veste di ‘‘atti irripetibili’’ i quali giocano un ruolo importante ai fini della decisione, avendo ingresso nel dibattimento come fonti di prova.
Parimenti importante è l’acquisizione di documenti (autorizzazioni ed altri atti amministrativi) che consentono al Pubblico Ministero e, successivamente, al Giudice, di ricostruire l’intero iter seguito nei procedimenti amministrativi che precedono il rilascio dei predetti atti o che comunque illustrano quale sia stata la posizione assunta dalle parti private e dagli enti pubblici preposti alla tutela dell’ambiente nell’ambito dei fatti oggetto di indagine.
La rilevanza della prova documentale non fa tuttavia venir meno l’importanza della prova testimoniale: la complessità delle pratiche amministrative o di alcune indagini compiute, rende pressoché indispensabile la presenza dell’Ufficiale o Agente di Polizia Giudiziaria che le ha svolte, quantomeno per illustrare quei particolari che non vengono immediatamente posti in evidenza dal contenuto dei documenti prodotti.
Non va poi sottaciuto che, nonostante il risalto che attualmente viene dato ai problemi connessi con la tutela dell’ambiente, quasi mai si dà seguito concreto alle frequenti dichiarazioni di intenti, specie dei soggetti pubblici, cosicché la Polizia Giudiziaria si troverà qualche volta ad operare senza il sostegno o, peggio, con l’opposizione esplicita o implicita, di quanti, preposti a detta tutela, esercitano con scarsa attenzione le funzioni loro attribuite, rendendo più difficoltosa l’attività di indagine.
Le circostanze sopra indicate rendono dunque necessaria la massima attenzione ed un costante contatto con l’ufficio del Pubblico Ministero, con il quale saranno concordate le modalità di esecuzione dei singoli atti di indagine.
Al pari di quanto accade per un qualsiasi reato, anche in relazione ai reati ambientali l’accertamento si snoda attraverso le scansioni procedimentali classiche ed i consueti strumenti configurati normativamente, sia in sede di indagini che nell’ambito del processo. Questo significa che in questa materia, almeno tendenzialmente, possono richiamarsi tutti i principi e le soluzioni suggerite dalla dottrina e fatte proprie dalla giurisprudenza in altri campi
I reati in materia ambientale sono, al pari di tutti gli altri reati inerenti ogni altro settore, di competenza generica di tutta la Polizia Giudiziaria. Non esiste, quindi, alcuna competenza selettiva specifica che determini una esclusività operativa di un Organo di polizia giudiziaria verso questi reati o addirittura verso alcuni di questi reati. In altre parole, nessun Organo di polizia giudiziaria può essere considerato competente in via esclusiva per alcuni reati ambientali (con esclusione di altri Organi) né, al contrario, nessun Organo di polizia può ritenersi esonerato parzialmente o totalmente dalla competenza verso questi reati (con rinvio ad altri Organi).
Indubbiamente esiste una specializzazione di fatto che fa si che alcuni Organi siano istituzionalmente preposti e preparati in particolare verso determinate tipologie di illeciti, ma questo non esime gli stessi Organi dalla competenza verso gli altri reati ed in particolare, per quanto attiene al settore in esame, non li esime dal potere-dovere di intervento verso illeciti di diversa tipologia nel campo ambientale.
Tale concetto è autorevolmente ripreso e ribadito fin dagli anni ’90 dalla Suprema Corte di Cassazione la quale fin da allora ha espressamente sancito che «i reati in materia ambientale sono di competenza di tutta la Polizia Giudiziaria, senza distinzione di competenze selettive o esclusive per settori, anche se di fatto esistono delle specializzazioni» (Cass. Pen., Sez. III, 27 settembre 1991, n. 1872 – Prs. Gambino, Est. Postiglione).
La Suprema Corte, per ovviare a realistiche problematiche derivanti da una mancata qualificazione professionale su specifici e particolari punti tecnici da parte della Polizia Giudiziaria in generale, aggiunge che «naturalmente la Polizia Giudiziaria potrà avvalersi di “persone idonee” nella qualità di “ausiliari” e l’accertamento tecnico che ne consegue deve considerarsi atto della stessa Polizia Giudiziaria». Questo, dunque, è un principio basilare che riguarda i rapporti tra Polizia Giudiziaria e reati in generale.
Tutti gli Organi di polizia, su iniziativa o su segnalazione, devono comunque sempre intervenire in ordine ad un reato ambientale. E non possono rifiutare il loro operato (sotto pena di integrazione del reato di omissione di atti di ufficio ex art. 328 c.p.) qualora un privato si rivolga a loro sostenendo, e ciò è frequente, che non è di loro competenza ma che bisogna rivolgersi ad un Organo specializzato.
Il fondamento di quanto asserito lo troviamo nell’art. 55 c.p.p. che nell’individuare i compiti della polizia giudiziaria, stabilisce che «la stessa deve prendere notizia dei reati impedendo che vengano portati a conseguenze ulteriori, e compiere, fra l’altro, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova» non distingue poi affatto competenze selettive per genere di reati ma crea un connubio generale polizia giudiziaria (generica) – reati (generici).
L’articolo 347 del Codice di procedura penale disciplina l’obbligo da parte della Polizia Giudiziaria di riferire “senza ritardo” e “per iscritto” al Pubblico Ministero competente; tale comunicazione deve contenere secondo il disposto della norma:
La predetta disposizione fa obbligo inoltre di comunicare, quando sia possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti ed, inoltre, qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l’assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal compimento dell’atto, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari.
È opportuno sottolineare che l’obbligo di riferire “senza ritardo” deve essere inteso non come un obbligo di comunicare immediatamente qualsiasi notizia acquisita e che prima facie abbia la parvenza di un reato, ma deve essere interpretata nel senso che il fatto, che si ritiene possa integrare una notitia criminis, deve essere attentamente verificato ed, in ogni caso, supportato da una minima attività di indagine che possa dare al Pubblico Ministero, che riceve la comunicazione, un’idea alquanto precisa sul fatto e sulla responsabilità penale di chi si ritiene autore dello stesso.
In merito alla locuzione “senza ritardo” o all’avverbio “immediatamente” utilizzati rispettivamente nei commi primo e terzo dell’articolo 347 c.p.p., la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che essi, ai fini della valutazione di tempestivo adempimento dell’obbligo della Polizia Giudiziaria di riferire la notizia di reato al Pubblico Ministero le espressioni adoperate dalla legge (e precisamente “senza ritardo” o “immediatamente”), pur se non impongono termini precisi e determinati, indicano attività da compiere in un margine ristretto di tempo, e cioè non appena possibile, tenuto conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio carico di lavoro.
La stessa Corte ha aggiunto che, dinanzi alla mancata previsione di un termine per l’adempimento dell’obbligo di denuncia di cui all’art. 361 Codice penale, vi sia ritardo nella trasmissione della denuncia (ritardo equiparato alla omissione, con le conseguenze previste dalla norma de qua), allorché il rapporto venga presentato con una dilazione tale da incidere negativamente sulla pronta persecuzione del reato, che è il fine tutelato dalla norma stessa.
Ciò è indispensabile per consentire all’Autorità inquirente di poter assumere la direzione delle indagini e continuare ad indagare in modo efficace e proficuo.
Con particolare riferimento alla «materia ambientale», va detto che si rivela di fondamentale importanza, ai fini del prosieguo delle indagini da parte dell’Autorità inquirente, che la Polizia Giudiziaria non si limiti a comunicare sic ed simpliciter i fatti, ma proceda altresì allo svolgimento delle indagini necessarie per ricostruire il fatto costituente reato (ipotizzando la fattispecie violata), sia sotto l’aspetto materiale ed oggettivo che, soprattutto, sotto l’aspetto psicologico, acquisendo tutte quelle fonti di prova che costituiranno poi l’impalcatura probatoria per consentire la formazione della prova in sede penale ed addivenire così alla condanna dei responsabili.
Molto spesso, infatti, sono le stesse Autorità inquirenti che dettano precise direttive in tal senso e chiedono alla Polizia Giudiziaria di acquisire, nell’immediatezza dei fatti, le fonti di prova che, altrimenti, andrebbero perdute, congelando così il teatro degli avvenimenti. Così come si è già puntualizzato, la Polizia Giudiziaria deve procedere in modo particolare ad effettuare dei rilievi fotografici dei luoghi in cui è stato accertato un reato ambientale, in modo tale da far conoscere, anche sul piano visivo, al Pubblico Ministero ciò che è oggetto di descrizione sia nell’annotazione di polizia giudiziaria che nel corpo della notizia di reato. In ogni caso, trattandosi di atto irripetibile, è necessario che venga redatto un apposito verbale dei rilievi fotografici che, pur allegato alla comunicazione di reato, potrà trasmigrare dal fascicolo del Pubblico Ministero a quello del dibattimento, costituendo prova in senso tecnico del giudizio.
È appena il caso di aggiungere che si rivela spesso di fondamentale importanza procedere agli accertamenti urgenti sui luoghi di cui all’articolo 354 c.p.p. e, se del caso, al contestuale sequestro probatorio, chiedendone nei termini la convalida all’Autorità giudiziaria competente.
L’attività della Polizia Giudiziaria deve essere scevra da condizionamenti; deve essere improntata alla massima serenità nell’accertare i fatti e le eventuali responsabilità. Sarà poi il Pubblico Ministero a decidere sulla rilevanza o meno di quanto accertato dalla Polizia Giudiziaria e procedere alla richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione. È comunque necessario che vi sia un continuo collegamento fra Polizia Giudiziaria e Pubblico Ministero, in modo tale che l’attività investigativa fin da subito segua un percorso lineare e teso alla ricerca di tutte le fonti di prova anche quelle volte a escludere la responsabilità di chi di primo acchito possa apparire l’unico responsabile di un determinato fatto reato.
È chiaro che, nell’attesa che il Pubblico Ministero assuma la direzione delle indagini, la Polizia Giudiziaria potrà espletare, dopo aver dato la comunicazione di reato, ulteriore indagini, e dovrà darne tempestiva comunicazione all’Autorità giudiziaria procedente.
La Suprema Corte ha chiarito, infatti, che, nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, la Polizia Giudiziaria dispone di un margine di autonoma operatività non solo prima della comunicazione al Pubblico Ministero della notizia di reato di cui all’articolo 347 c.p.p., ma anche dopo tale comunicazione, così come previsto dall’articolo 348 c.p.p., giacché essa - oltre a dareesecuzione alle specifiche direttive impartite dal Pubblico Ministero - ben può compiere ulteriori attività investigative, a condizione che tali attività non siano incompatibili (o comunque in contrasto) con le specifiche direttive impartite dal Pubblico Ministero stesso e, di conseguenza, nessun limite investigativo è ravvisabile nei casi in cui, nonostante l’avvenuta comunicazione al Pubblico Ministero della notizia di reato, questi non abbia in concreto emanato direttiva alcuna, non potendosi nemmeno astrattamente prospettarsi (in tali casi) problemi di incompatibilità o contrasti; si deve ritenere, pertanto, l’esclusiva operatività, nei casi in questione, del disposto di cui all’art. 348 comma 1 c.p.p.
Prima di concludere questa parte dedicata all’attività di polizia, va sottolineato che lo svolgimento delle relative indagini presenta, come è ovvio, una maggiore complessità allorquando non ricorra la flagranza del reato nè si abbiano fondati sospetti sull’unità che abbia potuto causare l’inquinamento.
Tutti gli Stati si sono dati norme interne in materia di inquinamento marino causato dalle navi, soprattutto tese a regolamentare ciò che la Marpol non voleva e non poteva fare, cioè stabilire norme sanzionatorie per i trasgressori, sia di carattere amministrativo che penale.
Come è noto l’Italia ha provveduto ad emenare le prime vere norme antinquinamento negli anni ’80 con la Legge 31/12/1982 n. 979, detta “Difesa del Mare”. Fra l’altro detta normativa ebbe due indiscussi meriti per incentivare e rendere più efficace l’attività di controllo e polizia:
La suddetta normativa è stata recentemente modificata ed aggiornata con l’emanazione del Decreto Legislativo 06/11/2007 n. 202, in attuazione della Direttiva 2005/35/CE che non solo ribadisce i divieti di scarico delle sostanze inquinanti anche nell’alto mare, ma stabilisce l’obbligo per l’Autorità Marittima di accertare le eventuali irregolarità di carattere tecnico (ad esempio, un separatore acque oleose di bordo manomesso) od amministrativo (ad esempio, un Registro del Carico di idrocarburi non conforme o palesemente non veritiero) delle navi in porto, nonché detta misure di controllo delle navi in transito nei mari limitrofi alle coste degli Stati comunitari stabilendo un sistema di fattiva collaborazione fra gli stessi nel perseguire, anche con il loro “fermo”[ [1]1] [1], le navi responsabili di inquinamento. Altro fatto da evidenziare è che il Decreto va a sanare un grave difetto intrinseco della precedente Legge 979/1982, che prevedeva solo il reato di inquinamento nella sua attuazione “dolosa”[ [1]2] [1] e ne perseguiva, inoltre, la sola persona del Comandante della nave. Con quest’ultima normativa possono essere, infatti, adeguatamente perseguiti anche i reati di inquinamento “colposo”[ [1]3] [1]con la possibilità di sanzionare chiunque del bordo li abbia commessi.
Alla Legge 979/1982, poi emendata come sopra specificato, seguì tutta una serie di interventi legislativi, sempre inerenti, più o meno direttamente, all’attività di controllo e vigilanza delle navi, di cui si citano in sintesi di seguito gli effetti normativi:
VTSL - Forte di "San Vittorio" Guardia Vecchia - Isola di La Maddalena
Sala Operativa del ”Bonifacio Traffic”
[ [1]1] [1]L’art. 7, comma 2 (Fermo della nave), dispone che se esistono elementi di prova certi ed obiettivi che una nave che naviga nelle acque territoriali, negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, nella zona economica esclusiva (ZEE) o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale del mare, nell’alto mare abbia effettuato uno scarico che provoca o minaccia di provocare un grave danno al litorale o agli interessi collegati allo Stato italiano o alle altre risorse delle acque territoriali o della zona economica esclusiva o di una zona equivalente (articolo 7), l’Autorità Marittima, qualora gli elementi di prova lo giustificano e fatto salvo quanto previsto nella parte XII, sezione 7, della Montego Bay 1982, procede, sulla base di apposite direttive indicate dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a sottoporre a “fermo” la nave, ad informare le Autorità dello Stato di bandiera della nave e ad adottare le misure necessarie (articolo 6) allo scopo di prevenire od eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risultasse tecnicamente impossibile eliminarli
[2 [1]] [1]L’articolo 8, comma 1 D.lgs. 202/07 (inquinamento doloso) dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento volontario in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e con l’ammenda da € 10.000 ad € 50.000. Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 1 (uno) a 3 (tre) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 80.000. Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
L’articolo 10, comma 1 D.lgs. 202/07 prevede a seguito di condanna per il reato di cui all’art. 8 la pena accessoria della «sospensione del titolo professionale» per il Comandante della nave e per le persone dell’equipaggio fornite dei titoli di cui all’art. 123 cod. nav., nonché la «sospensione dalla professione marittima» per i restanti membri dell’equipaggio, rispettivamente di durata non inferiore ad 1 (uno) anno, ai sensi dell’art. 1083 cod. nav.
[3 [1]] [1]L’articolo 9, comma 1 D.lgs. 202/07 (Inquinamento colpso) dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento colposo in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000. Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000. Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).
[ [1]4] [1]Il VTS è un sistema complesso di mezzi di rilevazione (radar, radiogoniometri, comunicazioni di riporto in radiofonia/radiotelex nelle bande di frequenza del servizio mobile marittimo) della posizione delle unità navali in transito in una zona di mare, tra loro combinati, i cui dati vengono analizzati e integrati da un software di gestione che rappresenta in’immagine delo traffico complessivo su cartografia elettronica, in una data area.Il sitema ha lo scopo di fornire i dati che permettono la gestione completa del traffico marittimo, attraverso un’interfaccia sviluppata ad hoc, al fine di costituire un fondamentale ed efficace ausilio al processo decisionale degli moperatori in materia di sicurezza della navigazione, salvaguardia della vita in mare, prevenzione degli inquinamenti delle zone marine e costiere causati da incidenti ed infine sicurezza (security) a bordo delle unità navali, nei terminali marittimi e nelle infrastrutture portuali. Il VTS è composto da un sistema centrale (VTSC) presso il Comando Generale delle Capitanerie di Porto; 15 sistemi regionali (VTSA) localizzati presso le Direzioni Marittime con compiti di supervisione coordinamento del centri locali (VTSL) presenti nell’area di propria giurisdizione e distribuiti lungo le coste nazionali ed equipaggiati di tutte le componenti sensoristiche per l’interazione operativa col mondo navigante.
Il ruolo da sempre ricoperto dalle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera in materia di «sicurezza e prevenzione ambientale» è sempre stato considerato dal legislatore, almeno dal 1982, come un ruolo di primo piano nella tutela dagli inquinamenti marini e di intervento per fronteggiare i danni provocati all’ambiente marino. Tale centralità, peraltro, è dimostrata dalla legge sulla difesa del mare, la quale con l’attribuzione di ulteriori uomini e mezzi, con l’istituzione di "Centri Operativi" e con la figura dell’Ispettorato Centrale Difesa Mare, ha individuato nel Ministero dell’Ambiente l’organo propulsivo e direttivo nella tutela del mare e, nelle Capitanerie di Porto, l’organo esecutivo di tale pianificazione. L’articolo 23 della citata legge 979/82, che delega espressamente ai Comandanti di porto i compiti di vigilanza antinquinamento sul mare, ne è dimostrazione.[1] [2]
Attraverso la propria organizzazione centrale, ovvero il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera -, e più precisamente la “Centrale Operativa” del 3° Reparto “piani ed Operazioni”, e periferica, le Capitanerie assolvono compiti relativamente alla sorveglianza antinquinamento in mare, di pattugliamento per mezzo di unità navali dei reparti “Guardia Costiera”, al fine di prevenire, reprimere e sorvegliare quanto possa costituire pericolo o minaccia per gli ecosistemi marini. A quest’importante attività, prevalentemente navale, si affianca, il «Servizio di Telerilevamento Ambientale e Istituzionale della G.C.» (S.T.A.I), con il compito di predisporre e pianificare missioni di telerilevamento ambientale avvalendosi dei mezzi della componente aerea. Allo stato attuale, essa è costituita da 9 elicotteri AB412 (“Koala”), 6 bimotori turboelica Piaggio P-166DL3 (“Orca”) e 2 bimotore turboelica a lunga autonomia ATR – 42MP (“Manta”).
Né poteva mancare, anche in tale contesto operativo del Corpo, un impegno propulsivo dal punto di vista "tecnologico" finalizzato all’individuazione di sempre migliori soluzioni tecniche volte a prevenire il fenomeno dell’inquinamento marino ed a contrastarne con efficacia gli effetti.
Il sistema N.I.S.A.T. (Navigation Information System in Advanced Technology) ha consentito un notevole passo in avanti nella gestione dei compiti della Centrale Operativa nei settori della sicurezza della navigazione, salvaguardia della vita umana in mare e lotta agli inquinamenti marini. Infatti, un’informatizzazione avanzata permette di avere a disposizione, in tempo reale, i dati necessari agli operatori per poter intervenire efficacemente nei casi di emergenza.
Il sistema è sostanzialmente un data-base contenente tutte le informazioni relative alle risorse esistenti sul territorio nazionale per la lotta agli inquinamenti marini, tenuto conto che la legge 31.12.1982, n.979 attribuisce alle Autorità marittime competenze operative in tale settore.
In particolare, relativamente alla lotta agli inquinamenti, con l’introduzione del «Sistema HAZMAT» (Hazardous Materials), già previsto dalle direttive 93/75 e 96/39 della Comunità Europea, è stato possibile monitorare il movimento delle navi che trasportano carichi pericolosi o inquinanti in arrivo o in partenza dai porti comunitari, al fine di prevenire, nei limiti del possibile, gli incidenti in mare, ridurre gli eventuali danni e individuare i responsabili nei casi di inquinamento doloso del mare. Le segnalazioni riguardanti i movimenti delle navi e la natura dei carichi trasportati, originate dal comandi di bordo, sono inviate all’IMRCC (Italian Maritime Rescue and Coordination Center) dalle Autorità Marittime a cui prevengono tramite gli Agenti Marittimi. I messaggi, di tipo formattato, contengono una serie di informazioni standard necessarie per il riporto dei dati riguardanti la navigazione e quelli relativi al carico trasportato. Vengono inviati all'IMRCC tramite posta elettronica, per essere automaticamente inseriti nel sistema grazie ad un apposito software. L'HAZMAT è in grado di interfacciarsi con l'ARES e con gli altri sottosistemi di elaborazione dati. Al momento le informazioni sono messe a disposizione dei Paesi comunitari o di altri che ne facciano richiesta con sistemi di telecomunicazione convenzionali (fax, E Mail). Recentemente l'Italia ha aderito ad un protocollo d'intesa tra alcuni Paesi dell'Unione Europea per la realizzazione dell' EU EDI HAZMAT (Sistema di scambio dati elettronico - Electronic Data Interchange) per la connessione in rete delle banche dati HAZMAT.
Il «Sistema MAREM» (Maritime emergency), inoltre, quale sottosistema del N.I.S.A.T. (Sistema informativo per la Navigazione ad Avanzata tecnologia), gestisce un data–base contenente tutte le informazioni relative al naviglio italiano, sue caratteristiche e dotazioni di bordo e di tutte le risorse esistenti sul territorio nazionale per la lotta agli inquinamenti marini, evidenziando pertanto le attribuzioni conferite alle Capitanerie in tali settori. Tale sottosistema è anche equipaggiato con uno specifico software adatto proprio alla gestione delle emergenze ambientali e recentemente interfacciato, a livello del tutto sperimentale, con il server RAMSES, sistema in rete per la trasmissione di informazioni satellitari afferenti l’avvistamento di sversamenti di idrocarburi in mare.
Nel contesto della protezione dell’ecosistema marino non è da dimenticare - in applicazione del Memorandum di Parigi del 26 gennaio 1982 (Paris MOU – Paris Memorandum of Understanding on the Port State Control), stipulata tra gli Stati Europei ed alcuni Stati extraeuropei, per arminizzare i controlli a bordo delle navi che approdano nei porti dei paesi aderenti - l’attività di Port State Control (PSC) e tutte le analoghe azioni mirate a riconoscere, in anticipo rispetto al danno ambientale consumato, l’incidenza di rischio connesso con le carenti condizioni delle navi straniere che approdino nei porti degli stati firmatari. L’attività che riguarda il Port State Control è rivolta principalmente a contrastare il fenomeno delle c.d. navi sub-standards ed è strumentale allo svolgimento di quell’attività di controllo e vigilanza tesa a salvaguardare la salute del nostro mare. L’accordo di Parigi prevede tra l’altro che ogni Stato firmatario ispezioni almeno il 25% delle navi straniere in arrivo nei propri porti, al fine di verificare le condizioni di adeguatezza e di conformità alle norme internazionali di sicurezza, fra cui spicca anche la Marpol 73/78.
Esiste, inoltre, un ulteriore e non ultimo servizio svolto a terra dalle Capitanerie che investe due livelli organizzativi, centrale e periferico; il primo facente capo al Ministero dell’Ambiente, ove è stata istituita, a mezzo apposita convenzione, stipulata in data 06 Agosto 1999 tra detto dicastero e quello delle infrastrutture e dei trasporti, l’ Unità Organizzativa del Corpo delle Capitanerie di Porto, composta da 10 elementi tra Ufficiali, Sottufficiali e marinai con l’obiettivo primario di avvalersi da tale personale specializzato per il miglior perseguimento dei fini individuati non soltanto dalle leggi 979/82, 349/86 e 394/91, modificata dalla 426/98 ed istitutiva delle riserve marine protette, ma anche delle convenzioni internazionali ed accordi comunitari. Il secondo, invece, facente capo ad ogni singolo ente periferico del Corpo, individuabile come sede compartimentale – capitaneria di porto, ove sono stati appositamente istituiti i “Nuclei per la Difesa del Mare” (N.O.D.M.), composti da personale in forza a codesti enti. La relativa organizzazione funzionale è disciplinata con apposito ordine di servizio sulla base della circolare 1/1997 in data 31/01/1987 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al cui servizio devono ricondursi tutte le attività svolte da altri nuclei operativi quali il “Nucleo Operativo Intervento Portuale" (N.O.I.P.), “Nucleo Operativo Ambiente” (N.O.A.) ed il personale addetto ai controlli sulla pesca, secondo quanto disposto dalla Circolare n° 82/35668/II in data 30/05/2000, del Comando Generale.
In ogni compartimento marittimo, infine, esiste un “Piano Locale di Pronto intervento”, che è attuato dal Capo del Compartimento in caso di inquinamento o di imminente pericolo di inquinamento, il quale, inoltre, provvede a disporre le misure necessarie per prevenire o eliminare gli effetti inquinanti ovvero attenuarli qualora risulti tecnicamente impossibile eliminarli mettendosi in contatto con la Direzione Generale per la protezione della natura ( ex Servizio Difesa Mare) del Ministero dell’Ambiente.
Tutte queste attività, naturalmente, trovano il loro centro nevralgico nelle varie Centrali Operative presenti sul territorio nazionale che fanno riferimento, per ogni attività di coordinamento, ai 15 centri M.R.S.C. (Marittime Rescue Sub Center) costituiti presso le Direzioni Marittime della Guardia Costiera ed istituiti in attuazione della Convenzione di Amburgo del 1979 che ha introdotto, su scala Europea, sostanziali innovazioni nel campo dell’organizzazione e nel coordinamento delle attività di ricerca e soccorso e, comunque, di pronto intervento in mare.
E’ infatti in questo settore che, a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. 28/09/1994, n. 662, si sono notati i più grandi elementi di innovazione che hanno consentito di creare un più rapido e coordinato assetto organizzativo delle varie attività operative sotto la guida, a livello nazionale, del Centro Italiano di Coordinamento del Soccorso Marittimo (I.M.R.C.C.) che fa capo, attualmente, alla Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto di Roma.
Ciò premesso dal punto di vista della sicurezza e della tutela dell’ambiente marino dagli inquinamenti, bisogna fare alcune considerazioni che riguardano direttamente, per ciò che concerne le attività portuali e non solo, l’attività di polizia latu sensu. L’attività di controllo e vigilanza, nonché di polizia preventiva e giudiziaria inerente il fenomeno dell’inquinamento marino proveniente dalle navi può estrinsecarsi in:
[1] [2] Le attribuzioni in materia di tutela ambientale demandate al Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera –, derivano ad hoc dall’art. 23 della Legge 979/82, che così recita “la sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti delle acque marine da idrocarburi e dalle altre sostanze nocive nell’ambiente marino e l’accertamento delle infrazioni alle norme relative, sono affidati agli Ufficiali ed Agenti di P.G. di cui all’art. 57 del Codice di procedura penale e all’articolo 1235 del Codice della navigazione nonché al personale civile dell’ Amministrazione dell’ambiente, agli Ufficiali e Sottufficiali e Sottocapi della Marina Militare”.
Prima di parlare dell’attività di controllo tecnico/amministrativo, non si può evitare di fare un cenno a quella che è l’azione normativa e regolamentatrice dell’Autorità Marittima locale svolta dalle Capitanerie di Porto competenti per territorio.
Forti delle competenze che la vigente legislazione affida alle predette Autorità in materia di inquinamento del mare e delle acque portuali di giurisdizione, nonché della sicurezza delle operazioni commerciali delle merci pericolose, le stesse hanno provveduto ad emanare, senza eccezioni, apposite Ordinanze, aventi valore di legge giusta art. 59 del Regolamento di esecuzione al Codice della Navigazione, al fine di regolamentare, fra l’altro, le procedure di attuazione dei controlli relativi alla movimentazione delle merci inquinanti liquide alla rinfusa, di cui agli Allegati I e II della Marpol ed alla raccolta e smaltimento dei rifiuti liquidi e solidi di bordo, di cui agli Allegati III, IV e V della suddetta Marpol, nonché al D.lgs. 24/06/2003 n. 182.
Per poter svelare, l’intreccio dei molteplici controlli e verifiche a cui devono sottoporsi le navi durante la loro navigazione e la loro sosta nei porti nazionali, si ritiene più semplice ed efficace prendere un esempio e spiegarlo.
Una volta accertata, diciamo, la non pericolosità ambientale della nave in questione la stessa verrà fatta accedere in porto. Qualora dovesse trattarsi di nave petroliera o chimichiera l’attività di controllo e vigilanza ai fini dell’antinquinamento, non si fermerà certo qui. Naturalmente è verso queste navi che dovrebbe concentrarsi lo sforzo maggiore di tutta l’attività in questione, sia essa di fonte privatistica che pubblica.
Tutte le navi, a prescindere dalle dimensioni e dalla stazza, approssimandosi alla zona delle Bocche, prima di entrare nel canale di transito, per quanto possibile, devono mantenersi all’interno delle due «aree precauzionali» poste alle due estremità del predetto canale di transito, così individuate:
Tutte le navi di lunghezza fuori tutto superiore ai 20 metri che transitano nelle Bocche di Bonifacio in direzione Est-Ovest e viceversa debbono, per quanto possibile, procedere mantenendosi all’interno del canale di transito delimitato dai seguenti punti geografici:
navigando sulla destra della linea mediana.
È fatto obbligo a tutte le navi che intendano transitare nelle Bocche di Bonifaacio in direzione Est-Ovest e viceversa, di comunicare tale loro intenzione con la seguente procedura:
Il rapporto è reso nel rispetto del formato riportato in annesso;
Fermo restando tutti gli altri obblighi previsti dalla legge, è fatto obbligo a tutte le navi che navighino nelle Bocche di Bonifacio di osservare durante la navigazione le seguenti prescrizioni:
L’ossevanza delle prescrizioni e procedure dettate nei punti che precedono non esime la nave in navigazione nelle Bocche di Bonifacio dal conformarsi alle norme del COLREG.
[1] [2] Il sistema di terra A.I.S. (Automatic Identification Sistem) è stato attivato con il Decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 196 che ha recepito la Direttiva 2002/59/CE relativa all’istituzione di un sistema di monitoraggio del traffico navale e di informazione. Il sietma consente di realizzare una corrispondenza tra il bersaglio monitorato e gli elementi reali identificativi della nave e, quindi, necessario anche per garantire la security marittima nazionale e la port security . Il sistema è costituito attualmente di n. 46 stazioni installate presso siti remoti che garantiscono la copertura delle acque nazionali fino a 50/70 miglia dalla costa e da trasponder installati a bordo delle navi. Le informazioni AIS vengono inviate tramite segnali radio in banda VHF, con la centralizzazione presso il Server nazionale presente presso la Centrale operativa del Comandoi generale e da questi, trasmesse ad altri utenti istituzionali nazionali ed internazionali.
Sulla nave petroliera l’Autorità Marittima, dopo aver provveduto a verificare la citata “Lista di Controllo” e la regolarità della Certificazione di bandiera, allo scopo di verificare l’idoneità generale della nave ad entrare in porto, accerterà, al fine del rilascio dell’autorizzazione ad eseguire le operazioni commerciali, la regolarità della relativa istanza, la “Scheda di sicurezza” del prodotto fornita dal caricatore e l’avvenuta redazione congiunta della “Chek-list” di sicurezza da parte del Terminal e della nave .
Qualora la nave debba scaricare greggio col sistema “Crude Oil Washing”, di elevata importanza al fine di ridurre il più possibile i residui impompabili del carico e di conseguenza le emissioni inquinanti, si provvederà a continui controlli, da parte del Chimico di Porto e del Registro Navale, dell’efficienza del sistema di inertizzazione delle cisterne del carico.
Terminate le operazioni commerciali sarà sufficiente all’Autorità Marittima accertarsi che il Bordo abbia redatto il messaggio HAZMAT di partenza ed, eventualmente, verificare le avvenute registrazioni obbligatorie sul “Registro del Carico” dei residui rimasti, per autorizzarne la partenza.
Qualora trattasi di nave chimichiera le operazioni di controllo dovranno addentrarsi maggiormente sulla tipologia del carico da movimentare. Infatti, con la recente entrata in vigore del nuovo Allegato II della Marpol che ha, fra l’altro:
L’Autorità Marittima dovrà approfondire i propri controlli, anche tramite i Consulenti Chimici di Porto specie a riguardo dei residui di lavaggio dei prodotti più pericolosi di Categoria X di cui è fatto obbligo del conferimento presso le Port-facilities, al fine di accertarsi che vengano rispettate le procedure di smaltimento dei residui di lavaggio del carico prescritte dalla Marpol per ognuna delle Categorie di pericolosità da questa previste (X, Y, Z) e che siano state eseguite le prescritte trascrizioni del Registro del Carico.
Per quanto riguarda tutte le altre navi in generale i controlli di rito, come già accennato, si limitano solitamente alla verifica del rispetto delle procedure di custodia e conferimento dei rifiuti vari di bordo, di cui agli Allegati III, IV e V della Marpol, alle norme emanate con il D.Lgs 182/2003. Per lo svolgimento di detti controlli l’Autorità Marittima può avvalersi dei richiamati Chimici di Porto nonché del personale degli Uffici di Sanità Marittima.
Le principali linee di attività del Corpo in materia di polizia sono indirizzate principalmente nell’attività di prevenzione, accertamento e repressione di tutti quei comportamenti illeciti o comunque sanzionabili che hanno come presupposto giuridico la violazione di norme non solo previste dal Codice della navigazione ma anche in materia di «tutela ambientale», per assicurare la prevenzione degli inquinamenti del mare e dirigere le operazioni di disinquinamento.
L’attività in questione è fondamentale per la salvaguardia dei nostri mari dall’inquinamento navale. Per quanto attiene la «polizia preventiva» dobbiamo subito premettere che questa, per essere correttamente svolta e per divenire non una “persecuzione del cittadino” bensì un prezioso servizio alla collettività, necessita di personale ben addestrato e preparato. A tal fine, è stato dato notevole impulso alla formazione con l’obiettivo di specializzare sempre più il personale della Guardia Costiera e, nel contempo, corrispondere alle aspettative di crescita professionale dei singoli interessati.
L’attività in questione dovrà essere portata “dal mare al porto”. Dal mare con mezzi aerei e navali adeguati al fine di prevenire gli scarichi abusivi dalle navi in alto mare. In porto, sia tramite i cosiddetti Ispettori PSC che il normale personale della Guardia Costiera, al fine di accertarsi, fra l’altro, del regolare funzionamento di tutti i sistemi antinquinamento di bordo, come gli “Oil Water Separator”, obbligatori per tutte le navi, o gli “Oil Dicharge Monitoring Equipment”, presenti sulle navi petroliere, delle corrette trascrizioni sui Registri sia del Carico che dei Residui oleosi di bordo, al fine di verificare, confrontandole con le ricevute delle Port-facilities, che i residui del carico o delle sentine di bordo siano stati regolarmente smaltiti.
Per quanto riguarda la «polizia giudiziaria» questa, pur non necessitando di personale fornito di un altissimo grado di addestramento specifico nella materia, è chiaro che non può essere svolta efficacemente senza un minimo di conoscenza nel campo dell’inquinamento marino dalle navi. Se non altro poiché diviene fondamentale nelle indagini che l’investigatore sia nelle condizioni di sapere dove e come individuare e raccogliere gli indispensabili reperti probatori.
Ma ancora più importante si ritiene sia la possibilità per le Forze di Polizia di cogliere il reato d’inquinamento in flagranza o quasi flagranza oppure, quanto meno, nell’immediatezza della sua consumazione. Le note difficoltà di reperire campioni di prodotto inquinante e di eseguire confronti di questi in laboratorio, molto tempo dopo che l’inquinamento sia avvenuto, fanno divenire essenziale l’esigenza della prontezza dell’intervento d’indagine sopra esposta.
Trattandosi l’inquinamento marino dalle navi un reato molto spesso compiuto da stranieri, è di gran lunga preferibile che il legislatore, nell’emanare la normativa di riferimento, propenda più nel comminare sanzioni amministrative, eventualmente correlate ad una semplice procedura di fermo nave, che sanzioni penali, che spesso finiscono senza un vero esito punitivo per il responsabile straniero.
All'attività, prevalentemente navale della Guardia Costiera, si affianca, il «Servizio di Telerilevamento Ambientale e Istituzionale della G.C.» (S.T.A.I), con il compito di predisporre e pianificare missioni di telerilevamento ambientale avvalendosi dei mezzi della componente aerea. Tali missioni, che sfruttano avanzate tecnologie come i «sistemi aerofotografici Vinten» e i «sensori multispettrali Daedalus all’infrarosso/ultravioletto», consentono sostanzialmente di monitorare la superficie delle acque marine rilevando, con precisione elevatissima, eventuali mutamenti delle caratteristiche cromatiche e fisiche delle acque allo scopo di accertare la presenza di inquinamenti e provvedere, con una notevole riduzione dei tempi di intervento, alla loro bonifica. Allo stato attuale, essa è costituita da 9 elicotteri AB412 (“Koala”), 6 bimotori turboelica Piaggio P-166DL3 (“Orca”) e 2 bimotore turboelica a lunga autonomia ATR – 42MP (“Manta”).
Tali mezzi hanno in dotazione vari tipi di sensori e sistemi ad alta tecnologia aerofotografica per ottimizzare la sorveglianza sul mare territoriale e sulle zone demaniali di giurisdizione; in primis per rilevare gli inquinamenti e controllare gli ecosistemi marini ed in secundis per scopi prettamente geologici, che riguardano l’erosione delle coste, l’assetto del territorio nonché il controllo degli scarichi abusivi, assolvendo, in tal modo, compiti rientranti nell’ambito applicativo dei decreti legislativi 152/99 e 22/97, sugli scarichi e rifiuti in genere, prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio, e quindi attività di P.G. in senso stretto, non trascurando ovviamente l’attività di ricerca e soccorso..
Servizio di Telerilevamento Ambientale e Istituzionale della G.C. (S.T.A.I),
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[1] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%2311
[2] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%2322