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L'Attività di Polizia Marittima e Giudiziaria

Fra i "compiti di istituto" espletati dalle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera [1] rientrano le funzioni ed i compiti di polizia (latu sensu), intendendo con essa sia l’attività di polizia amministrativa, sia l’attività di pubblica sicurezza, sia di polizia militare, sia di polizia stradale, sia, infine, di polizia giudiziaria.

L’attribuzione delle funzioni di polizia giudiziaria va ricercata nel combinato disposto dell' articolo 57 n. 3 [ [2]1] [2]del  Codice di Procedura Penale [3]con l' articolo 1235 del Codice della navigazione [4][2] [5], laddove questi recitano che «...rivestono la qualifica di Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria ...» sebbene «...nei limiti del servizio cui sono destinati e secondo le relative attribuzioni…» rispettivamente gli Ufficiali, i Marescialli e i Sergenti, nonché tutti i Volontari di truppa in s.p.e. ed in ferma prefissata del Corpo delle Capitanerie di Porto.  Dette funzioni sono state poi riprese da leggi speciali, quali, ad esempio l' art. 22 del Decreto Legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 [6] [3] [7], l' art. 23 della Legge 31 dicembre 1982, n. 979 [8]   [9](disposizioni per la difesa del mare da inquinamento da navi), e gli artt. 132 n°. 2 e 195 n°. 5 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [10] (in materia di ambiente), ecc.

Al personale in parola viene corrisposta la relativa indennità c.d. “indennità di polizia”.

Per comprendere compiutamente in cosa consistono tali attribuzioni e quale svolgimento di funzioni esse consentano, è però indispensabile premettere alcune nozioni di "carattere generale" volte a delimitare con chiarezza gli ambiti effettivi entro i quali si muove l’intera problematica.

 

 


[1]  Sono altresì Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le «persone» alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’art. 55 c.p.p. (vedasi al riguardo Cass. Pen. – Sez. VI^- Sent. n° 1169 del 01.02.06).

[2]  Agli effetti dell’art. 57 c.p.p. sono Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria: i Comandanti, gli Ufficiali del Corpo delle Capitanerie di Porto, gli Ufficiali del Corpo equipaggi militari marittimi appartenenti al ruolo servizi portuali, i Sottufficiali del Corpo equipaggi militari marittimi appartenenti alla categoria servizi portuali riguardo ai reati previsti dal presente Codice, nonché riguardo ai "reati comuni" commessi nei porti, se in tali luoghi manchino Uffici di pubblica sicurezza […].

[3] [7] L'art. 27 del Decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4 (Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96. (GU n. 26 del 1-2-2012) ha abrogato la Legge 14 luglio 1965, n. 963 e l'articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639 (Regolamento di esecuzione per la pesca marittima)

 

L' attività di Polizia Marittima

L’attività di «Polizia Marittima» è una materia tanto complessa nel suo profilo generale quanto articolata relativamente ai molteplici ambiti in cui vi si opera. Occorre premettere che per Polizia Marittima (strictu sensu) s’intende quell’attività volta a garantire un pacifico e ordinato, nonché sicuro, svolgimento delle attività nell’ambito portuale, demaniale e del mare territoriale (art. 524 Reg. cod. nav.); si sostanzia in una funzione a carattere "preventivo" ed una "repressiva". Nella seconda emergono le attività connesse all’attribuzione di poteri di polizia giudiziaria agli operatori del settore.

Le “fonti” da cui attingere ciò sono il Codice della Navigazione all’art.1235 e dalle leggi speciali per la pesca (D.lgs. n. 4/2012), diporto (D.lgs. 171/200 e successive modific.), inquinamento marino da navi (legge 979/82 e successive modific.), difesa del mare (ad es. il tema dei rifiuti connesso all’ecomafia) ed il Codice della Strada (per quanto attiene l’ambito portuale).

La competenza attribuita agli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria del settore è piena per i reati previsti dal Codice della Navigazione e dalle succitate leggi speciali. E’ pur vero che la qualifica di "Pubblico Ufficiale", impone a questi ultimi l’obbligo di denuncia in caso si venisse a conoscenza di reati comuni (ex artr. 361, comma 1 c.p.).

L’attività delle Capitanerie di Porto è precipua nell’esercizio della Polizia Marittima assieme alla collaborazione delle altre Forze dell’ordine e corpi dello Stato competenti. L’opera di polizia giudiziaria (accertamento e repressione) si esplica in ambito penale (ad es. con “informativa di reato”) e amministrativo, limitata per materia (art. 13 L. 689/81: una sorta di codice di procedura per gli illeciti amministrativi.). Nell’ambito portuale ove spesso si riscontra un complesso riparto di competenze con l’Autorità portuale, da cui scaturiscono responsabilità, la figura del Comandante del porto esplica anche un’attività di normazione (nell’accezione specifica), soprattutto per quelle attività legate alla quotidiana pratica marittima non contemplate da leggi vigenti.

Il Capo del Circondario marittimo può emanare regolamenti e ordinanze (art. 59 Reg, cod. nav.), escluso per quanto concerne i limiti di navigazione dalla costa di competenza del Capo del Compartimento. Questi succitati sono atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi (erga omnes); il regolamento è impiegato per attività a carattere continuativo mentre l’ordinanza regola fatti occasionali.

Tra le attività che il Comandante del porto può regolamentare vi sono quelle portuali: manovra delle navi (art.62, 63 Cod nav.), movimentazione merci (art. 65 Cod. nav.), guardiania (art. 74 Cod. nav.), uso fiamma, ecc., solitamente norme condensate nel Regolamento di Sicurezza Generale.

Per la rimozione di relitti (art. 72, 73 Cod. nav.) l’Autorità Marittima sensibilizza gli enti con risorse economiche mentre dell’escavazione dei fondali (art. 76, 78 Cod. nav.) se ne occupa l’Autorità Portuale. Inoltre il Comandante può disporre per le attività in caso di pericolo (ad es. uso di unità per soccorso; art. 69, 70 Cod. nav.) e l’accensione di fuochi (art. 80 Cod. nav.). Poiché trattasi, quest’ultima, di attività autorizzata dalla P.S., dal Comune per l’uso dell’area designata e verso persona abilitata da licenza, l’Autorità Marittima si limita all’aspetto attinente la sicurezza della navigazione per quanto concerne il servizio di segnalamento, l’interdizione e la sicurezza dell’area.

Il Comandante del porto può vigilare sui soggetti che operano nell’ambito portuale e che il Capo del Compartimento può sottoporre ad iscrizione in appositi Registri (art. 68 Cod. nav.); in effetti si tratta oggi di una comunicazione di “inizio attività”.

Per concludere il profilo di Polizia Marittima è opportuno dare un cenno ai c.d. “punitivi”: art.1174 Cod. nav. (inosservanza di provvedimenti), art.1231 Cod. nav. (inosservanza di norme di sicurezza della navigazione), art.1164 Cod. nav. (demanio).

 

 

Il Corpo delle Capitanerie di porto: compiti di istituto e di polizia

Il «Corpo delle Capitanerie di porto», storicamente è l’erede delle antiche magistrature del mare, alle quali erano state affidate molteplici attività, dalla regolamentazione delle attività marittime, l'amministrazione e la cura dei porti a funzioni meno mercantili quali gli arruolamenti militari marittimi. E' stato istituito nella sede di palazzo Pitti, nell'allora capitale del Regno d'Italia, Firenze, con la firma del Regio Decreto n. 2438 del 20 luglio 1865 [11]da parte di Vittorio Emanuele II.

Il sempre crescente intervento del nostro Paese in tutte le manifestazioni della vita economica nazionale e l’evoluzione della navigazione marittima latu sensu hanno determinato un ampliamento delle funzioni del Corpo, e da qui la necessità - nel breve volgere di mezzo secolo - della istituzione di un Organo con compiti di direzione e coordinamento su tutti i Comandi e gli Uffici periferici. Fù istituito, con R.D. 8 dicembre 1910 n. 857 [12], l'Ispettorato Generale del Corpo delle Capitanerie di porto.

L’efficienza del personale del Corpo venne duramente collaudata nei momenti più decisivi della vita nazionale e nei conflitti bellici che videro impegnato il nostro Paese. Il conflitto italo-turco prima e l’epopea del colonialismo africano poi, non risparmiarono certamente il Corpo delle Capitanerie di porto in quegli anni, sia per l’impegno nella organizzazione dell’imbarco e sbarco di uomini e vettovaglie di guerra, che per il mantenimento della disciplina dei porti occupati e delle linee di collegamento.

Nel maggio del 1915, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, per il riconoscimento militare del servizio compiuto nel Corpo delle Capitanerie di porto, al personale fu concesso di portare le «stellette», simbolo dei militari. Artefice di questo traguardo fu l’ Ammiraglio Francesco Mazzinghi, divenendo di fatto il fondatore della moderna istituzione delle Capitanerie di porto.

 

Generale di Porto Ispettore Francesco MAZZINGHI

La prima guerra mondiale portò un grande impegno alle Capitanerie di porto: il servizio di mobilitazione, la requisizione del naviglio mercantile per uso bellico, la difesa costiera, la polizia militare, senza mancare all’organizzazione e l'attività portuale volta ad assicurare la continuità dei rifornimenti alle prime linee.

Nel mese di febbraio 1918 il Governo gravò il Corpo di ulteriori compiti di carattere militare, tutti gli uomini furono militarizzati per tutto il periodo guerreggiato. Il Corpo venne definitivamente inquadrato militarmente nel mese di novembre 1919 ed infine entrava a far parte dei Corpi della Regia Marina nel settembre del 1923. Questo ultimo provvedimento, consacrò la reale vocazione militare del Corpo, conducendolo fino all’attuale assetto organizzativo.

Attualmente, la "struttura" del Corpo prevede una «organizzazione centrale» ed una «periferica», deputata al conseguimento degli interessi pubblici inerenti alla navigazione. In particolare, esplica le proprie funzioni nei riguardi del naviglio, del traffico, del personale marittimo, della pesca, del demanio pubblico marittimo e dei porti, della sanità marittima, ecc.
In quanto Organo periferico dell’Amministrazione Marittima dello Stato dipende dal "
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti [13]" (istituito dall’art. 2 del Dlgs 30 luglio 1999, n. 300) per quanto riguarda i «Servizi di Istituto» di competenza di tale amministrazione, ma dipende dal "Ministero Difesa-Marina [14]" per quanto riguarda lo «stato giuridico, il reclutamento, l'avanzamento e la disciplina» degli appartenenti al Corpo nonché per lo svolgimento dei compiti esclusivamente militari ad esso affidati.
Un posto "particolare" nell'amministrazione diretta occupa il «
Comando Generale delle Capitanerie di Porto [15]», istituito con Legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale). È questo l'Organo di comando delle Capitanerie di Porto, retto attualmente da un «Comandante Generale», che provvede all’organizzazione ed al funzionamento delle Capitanerie di Porto, alla disciplina del personale e alla sorveglianza sui servizi periferici disimpegnati dalle stesse e dagli altri Uffici minori, con particolare riferimento alla funzione “esclusiva” della «ricerca e soccorso», gestita dalla dipendente Centrale Operativa.

  • Il Comando generale, ai sensi del Decreto 20 novembre 2009, n. 1211, è così strutturato:
  1. Comandante generale;
  2. Vice Comandante generale
  3. Nr. 7 reparti (reparto personale; reparto affari giuridici e servizi d'istituto; reparto piani e operazioni; reparto mezzi e materiali; reparto amministrazione e logistica; reparto sicurezza della navigazione; reparto informatica, sistemi di monitoraggio del traffico e comunicazioni);
  4. Uffici di supporto al Comandante generale e al Vice Comandante generale.

Nell'ambito dell'organizzazione centrale sono stati, inoltre, istituti il «Reparto Ambientale Marino [16]» (RAM) e il «Reparto Pesca Marittima [17]» (RPM) del Corpo posti alle rispettive dipendenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

Con Decreto Ministeriale 8 giugno 1989 [18], i reparti del Corpo delle Capitanerie di Porto che svolgono compiti di natura “tecnico-operativa”, sono stati costituiti in «Guardia Costiera» che, pertanto, rappresenta un’articolazione del Corpo medesimo ed è costituita da unità navali ed aeree.. Tale provvedimento, che istituisce formalmente anche in Italia la “Guardia Costiera”, in verità non ha fatto altro che riconoscere come tale il servizio da sempre espletato, lungo le coste e in mare, dagli uomini delle Capitanerie di Porto.

Con D.P.R. 28 settembre 1994 n. 662 [19], con il quale l'Italia rende esecutiva la "Convenzione di Amburgo" del 27 aprile 1979 (sulla ricerca e salvataggio in mare), è stato istituito, presso il Comando generale delle Capitanerie di porto-Guardia Costiera, il «Centro nazionale di coordinamneto del soccorso marittimo [20]» (I.M.R.C.C.). Trattasi di una struttura altamente specializzata in grado di esercitare le proprie funzioni nei molteplici settori di competenza che spaziano dal soccorso marittimo al telerilevamento ambientale, al monitoraggio delle unità da pesca e da traffico, grazie anche alle apparecchiature ad alta tecnologia che consentono una efficace comunicazione tra il bordo e la sala operativa medesima.

Le Capitanerie di porto espletano sia funzioni "prettamente amministrative" (in forma normativa), sia funzioni di "polizia marittima" che di specifici compiti di "polizia di sicurezza" (effettuate in forma operativa e limitatamente alle attività di istituto), sia, infine, funzioni di "polizia giudiziaria" per le violazioni previste dal Codice della navigazione e delle altre leggi speciali (pesca, demanio marittimo, diporto nautico, ambiente, ecc.) ed attraverso l'articolazione operativa di Guardia Costiera, opera in mare, nei porti e sulle pertinenze marittime, principalmente per la «salvaguardia della vita umana in mare» ed in genere tutte le attività marittime connesse alla fruizione del mare nella più ampia accezione del termine.
Le principali linee di attività del Corpo delle Capitanerie-Guardia Costiera in materia di “polizia marittima”, comprendono la disciplina della navigazione marittima, la regolamentazione di eventi che si svolgono negli spazi marittimi soggetti alla sovranità dello Stato; il controllo del traffico navale e la prevenzione di sinistri marittimi attraverso il "
Sistema VTS" [21] (Vessel Traffic Service) e l’esperimento delle relative inchieste; il controllo sulla sicurezza della navigazione svolto sempre più intensamente dagli ispettori PSC (Port State Control) per prevenire infortuni ai marittimi e incidenti in mare; la manovra delle navi in sicurezza nei porti; il controllo del demanio pubblico marittimo; i collaudi e le ispezioni periodiche di depositi costieri e di altri impianti pericolosi.
Bisogna ricordare però che anche quelle che, da sempre, sono state le attività principali del Corpo hanno subito varie evoluzione e modificazioni e tra queste ricade appunto l’attività di “polizia giudiziaria”, che si sta spingendo ad abbracciare numerose materie legate sempre e comunque al mare, rivestendo un’importanza fondamentale a livello nazionale per la difesa dell’ambiente marino e la prevenzione di attività illecite che possano arrecargli danno.
L’impegno quotidiano del Corpo delle Capitanerie in tema di polizia giudiziaria è pertanto da inquadrarsi nel complesso delle attività operative svolte in mare, nei porti e lungo la fascia costiera nazionale dalle unità navali e dal personale a terra.
L’intensa azione di accertamento che caratterizza tali attività ha assunto, nel tempo, proporzioni sempre più ampie in relazione alla crescita esponenziale degli interessi della collettività sul mare e lungo la fascia costiera e della conseguente attività normativa svolta dallo Stato con numerosi atti legislativi e regolamentari.
Non è più solo il Codice della Navigazione del 1942 l’unica fonte normativa a cui gli operatori di polizia nel campo marittimo devono fare riferimento, ma una serie di leggi e decreti che spaziano dalla pesca alla salvaguardia dell’ambiente marino, dal controllo e repressione dell’immigrazione clandestina alla tutela dei beni archeologici sommersi.
Quelli indicati sono, pur nelle linee generali, i compiti d’istituto del Corpo delle Capitanerie di porto. E’ proprio nello svolgimento di quei compiti, che il personale del Corpo può «imbattersi» in fatti concreti costituenti reato e trovarsi, di conseguenza, costretto ad esercitare funzioni di polizia giudiziaria. Peraltro, il personale del Corpo, può legittimamente svolgere dette funzioni solo “entro gli ambiti“ per esso rispettivamente determinati dal Codice di procedura penale e dalle numerose leggi speciali (o dai provvedimenti a esse equiparati) che si interessano della materia. Per questo motivo, si dice solitamente che la legge stabilisce la “
competenza” degli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria indicando non solo quali atti possono essere compiuti dall’una o dall’altra categoria di soggetti (c.d. competenza agli atti), ma anche i limiti (di tempo, spazio e materia) entro i quali quegli atti possono esere compiuti dai vari Organi e persone cui essa attribuisce la qualifica di Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria.
Per il personale del Corpo l’attività di polizia giudiziaria è generalmente un’attività “
residuale” che viene svolta esclusivamente quando la normale attività amministrativa (di controllo, ispezione e vigilanza) affidata dai Comandi di appartenenza progredisce nell’accertamento di un reato e impone perciò il compimento di attività dirette ad assicurare le fonti di prova e a raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale.
Nel carattere residuale dell’attività di polizia giudiziaria degli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria a "
competenza limitata" va individuata la ragione per la quale gli appartenenti al Corpo delle Capitanerie, a differenza della gran parte degli Ufficiali e degli Agenti di polizia giudiziaria a competenza generale, possono esercitare la loro funzione solo entro definiti limiti temporali e spaziali.

 

 

Il Comandante Generale

L'Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Nicola CARLONE è nato a Minervino Murge (BT) il 23/09/1960. Ha trascorso l'adolescenza a Losanna (Svizzera), dove ha frequentato le scuole medie e superiori diplomandosi presso il Liceo scientifico "Vilfredo Pareto".

  • Nel 1978 è stato ammesso all'Accademia Navale di Livorno, dove ha frequentato il corso normale di stato maggiore della Marina Militare. E' stato imbarcato otto anni a bordo di unità M.M., come responsabile dei sistemi di armi e missili, partecipando ad operazioni navali in Mediterraneo orientale (Libano), Golfo Persico ed Oceano Indiano (tutela della libertà di navigazione a seguito del conflitto Iran-Iraq) e Mediterraneo centrale (vigilanza pesca ed antinquinamento). Ha frequentato il corso di specializzazione in artiglieria navale, conseguendo l'abilitazione ai servizi del tiro, e il corso di specializzazione per Ufficiali M.M.
  • Nel 1990 è transitato nel Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera.
  • Nel 1990/91 è stato Capo dell'Ufficio Circondariale marittimo e Comandante del porto di Riposto (CT).
  • Nel 1991/96 ha prestato servizio presso la Direzione Marittima di Pescara (capo sezioni tecnica - operativa - sicurezza della navigazione - pesca e contenzioso - proprietà navale), partecipando all'operazione NATO "Sharp Guard" per l'attività di embargo navale ONU alla ex Jugoslavia. Nel 1996/99 ha prestato servizio presso la Direzione Marittima di Bari (coordinatore regionale Port State Control - comandante operativo di zona marittima e capo sezione operativa del 6° Maritime Rescue Sub Centre), responsabile del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in mare connesse ai flussi migratori da Albania e Kosovo.
  • Nel 1999/2001 è stato Capo del Compartimento marittimo e Comandante del porto di San Benedetto del Tronto (AP).
  • Dal 2001 è stato destinato a Roma presso il Comando Generale del Corpo dove ha ricoperto, nel 2001/05, l'incarico di Capo 1° Ufficio ("Piani") del 3° Reparto ("Piani e operazioni"), partecipando regolarmente quale delegato nazionale a comitati tecnici dell'International Maritime Organization (Londra) e, nel 2005/07, l'incarico di Capo 3° Ufficio ("Affari internazionali e politiche di sviluppo") del 7° Reparto ("Ricerca e sviluppo"), dove ha gestito le relazioni del Corpo con istituzioni internazionali ed UE e servizi di Guardia Costiera di paesi esteri.
  • Nel 2008/11 è stato International Policy Advisor del Comandante Generale, ha pianificato e coordinato i lavori della 1^ edizione del Mediterranean Coast Guard Functions Forum (Genova 2009) e, come Project Leader, ha diretto la partecipazione del Corpo a tre progetti UE di gemellaggio ("Twinning"), per attività di formazione e capacity building in favore della Croazia, e due progetti UE di assistenza ("Taiex"), per attività di formazione in favore della Turchia. Nel 2010 ha ricoperto altresì l'incarico di Assistente del Comandante Generale.
  • Nel 2011/15, promosso Contrammiraglio (CP), è stato Capo del 6° Reparto ("Sicurezza della navigazione") del Comando Generale, responsabile del coordinamento nazionale Port State Control, e come Project Leader ha diretto la partecipazione del Corpo a due progetti UE di gemellaggio ("Twinning") per attività di formazione in favore della Turchia ed un progetto UE/IMO per attività di capacity building per il rafforzamento della sicurezza marittima in Mar Rosso, Golfo di Aden e Oceano Indiano. Nel 2013/14 è stato altresì Chairman del European Coast Guard Functions Forum.
  • Nel 2015/18 è stato Capo del 3° Reparto ("Piani e Operazioni") del Comando Generale, alle cui dipendenze opera l'Italian Maritime Rescue Coordination Centre - IMRCC, responsabile del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in mare nell'area SAR di responsabilità italiana (comprese le attività correlate ai flussi migratori nel Mediterraneo centrale).
  • Nel 2018/21 è stato Direttore Marittimo della Liguria, Capo del Compartimento marittimo e Comandante del porto di Genova, responsabile del coordinamento di personale e mezzi della Guardia Costiera nell'intera regione.

Con Decreto del Presidente della Repubblica in corso di emanazione, vista la delibera del Consiglio dei Ministri del 15/07/2021, è stato nominato, a decorrere dal 25/07/2021, Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera, con il contestuale conferimento del grado di Ammiraglio Ispettore Capo (CP).

Ha conseguito la laurea in Scienze marittime e navali presso l'Università degli studi di Pisa e la laurea in Scienze internazionali e diplomatiche presso l'Università degli studi di Trieste, e due Master universitari di II livello in e-Health (presso l'Università degli studi di Camerino) e in Intelligence e Security (presso la Link Campus University of Malta).

Ha frequentato, tra l'altro, i seguenti corsi: 1st Port State Control Officer certification course (1996, Centro di formazione specialistica del Corpo "A. De Rubertis" di Genova); Helicopter underwater escape specialization course (basic and advanced) - Firefighting training specialization - Survival and rescue training specialization course (1996, Centro Formazione ENI); Information technology specialization course (1996, Comando Generale del Corpo); Police specialization course (1999, Comando Carabinieri di Bari).

Ha conseguito l'abilitazione ad Ispettore Port State Control (1996) e il brevetto di specializzazione M.M. in diritto internazionale marittimo (2011).

Nel corso della carriera ha svolto attività di docenza presso le seguenti istituzioni: Scuola Sottufficiali M.M. di Taranto (artiglieria navale); Università degli studi di Perugia (investigations and security sciences); Link Campus University of Malta (intelligence e security); Centro di formazione specialistica del Corpo "A. De Rubertis" di Genova (sicurezza della navigazione e port/ship security); Università Campus Bio-Medico di Roma (homeland security).

  • Dal 2011 è rappresentante nazionale nel consiglio di amministrazione della European Maritime Safety Agency (EMSA), di cui dal 2017 ricopre la carica di Deputy Chairman (rinnovata per un secondo triennio nel 2020).

E' insignito di numerose onorificenze, tra cui: Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana; Medaglia Mauriziana per anzianità di servizio militare; Medaglia commemorativa per le operazioni NATO in ex Jugoslavia; Croce commemorativa per la missione militare di pace della Forza Multinazionale in Libano; Medaglia commemorativa per la protezione del naviglio mercantile nazionale e salvaguardia della libertà di navigazione in Golfo Persico.

E' sposato con la sig.ra Nunzia ed ha due figli. Parla correntemente le lingue inglese e francese ed ha una conoscenza di base della lingua tedesca.

 

L'Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Nicola CARLONE

 

Albo Storico

Il Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera è l'Organo posto al vertice del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia costiera [22] della Repubblica Italiana [23]. 

Il Comando generale è retto da un "Ammiraglio Ispettore Capo [24]" e ha la sua sede in viale dell'Arte a Roma [25] nel quartiere dell'EUR [26] presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti [27], ed è coadiuvato dalla figura dell'Ammiraglio Ispettore [28], che ricopre la carica di Vice Comandante Generale del Corpo.

Funzioni del Comandante Generale del Corpo:

  • è responsabile del coordinamento e del controllo di tutte le attività svolte dalle Capitanerie di Porto
  • è responsabile del coordinamento generale delle attività di ricerca e soccorso
  • cura i rapporti istituzionali rappresentandolo ufficialmente
  • è custode della Bandiera di guerra e delle tradizioni dell'Istituzione.

Il Comandante Generale del Corpo viene nominato con decreto del Presidente della Repubblica [29]. In seguito ad una della norme del decreto 11 novembre 1938 [30] al vertice del Corpo della Capitanerie di porto veniva posto un Ammiraglio di squadra [31] appartenente al Corpo di stato maggiore [32] della Regia Marina [33], tale situazione perdurò fino al gennaio 1946 quando al vertice del Corpo tornò un Ammiraglio Ispettore proveniente dal Corpo delle Capitanerie.

L'attuale Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto è l'Ammiraglio Ispettore (CP) Nicola Nicola CARLONE (25/07/2021  al .... oggi). 

 

 

Il «Corpo delle Capitanerie di porto», storicamente è l’erede delle antiche magistrature del mare, alle quali erano state affidate molteplici attività, dalla regolamentazione delle attività marittime, l'amministrazione e la cura dei porti a funzioni meno mercantili quali gli arruolamenti militari marittimi. E' stato istituito nella sede di palazzo Pitti, nell'allora capitale del Regno d'Italia, Firenze, con la firma del Regio Decreto n. 2438 del 20 luglio 1865 da parte di Vittorio Emanuele II.

 

 

 

...dal 2021 al 2004

 

Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Giovanni PETTORINO

L'Ammiraglio Ispettore Capo Giovanni PETTORINO è nato a Roma il 24 luglio 1956. Sposato con due figli, si è laureato in Scienze Politiche presso l'università "La Sapienza" di Roma.

Dopo aver prestato servizio nel gruppo sportivo militare delle "Fiamme Gialle" per oltre quattro anni, ha frequentato il corso a nomina diretta presso l'Accademia Navale di Livorno nel 1981.

Successivamente ha prestato servizio presso le Capitanerie di Porto di Napoli e Viareggio ed ha effettuato imbarchi di addestramento a bordo della fregata Alpino e del dragamine Larice.

Ha frequentato il 13° corso di abilitazione al Comando di motovedette d'altura nel 1986, il 14° corso Normale di Stato Maggiore presso l'Istituto di Guerra Marittima di Livorno nel 1994/1995 ed il 1° corso dell'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze nel 1998/1999.

Nel 1982 è transitato nel Corpo delle Capitanerie di porto, ricoprendo, tra gli altri, incarichi di comando presso i seguenti uffici:

  • Ufficio Circondariale Marittimo di La Maddalena, dal 1986 al 1987; 
  • Nel 1988 ha conseguito la specializzazione in "Diritto internazionale marittimo" presso la IIª Università degli Studi di Roma.
  • Nel 1989/1990 è stato Capo dell'ufficio circondariale marittimo e Comandante del porto di Sanremo, successivamente è stato  trasferito a Roma presso il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto.
  • Nel 1991/1992 ha partecipato, con il 22° Gruppo Navale, alla prima missione in Albania.
  • Dal luglio 1995 all'agosto 1999 è stato Comandante in IIa della Capitaneria di Porto di Pescara.
  • Nel 1999/2001 è stato Capo del Compartimento marittimo e Comandante del porto di Gioia Tauro. Dal febbraio 2000 al febbraio 2001 ha, inoltre svolto la funzione di Commissario aggiunto dell'Autorità Portuale di Gioia Tauro.
  • Dal 10 febbraio 2001 al 18 ottobre 2004 è stato destinato presso il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto dove ha rivestito gli incarichi di Capo Ufficio Servizi d'Istituto e di Ufficiale superiore addetto ai rapporti con il Parlamento.
  • Dall'ottobre 2004 all'ottobre 2005 è stato designato, presso l'ufficio di Gabinetto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti quale Ufficiale Superiore addetto al Ministro.
  • Nel 2005/2007 è stato Capo del Compartimento Marittimo e Comandante del porto di La Spezia.
  • Dal 2007 al 2010 ha rivestito l'incarico di Assistente del Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera e dal settembre 2008 al settembre 2009 anche quello di Capo Ufficio Relazioni Esterne.
  • Dal 18 settembre 2010 al 28 ottobre 2013 ha ricoperto l'incarico di Direttore Marittimo delle Marche, di Capo del Compartimento Marittimo e Comandante del porto di Ancona. Nello stesso periodo ha assunto anche la Presidenza del Circolo Ufficiali della Marina Militare di Ancona.
  • Dal 29 ottobre 2013 al 2 ottobre 2015 è stato nuovamente destinato presso il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto con l'incarico di Capo del 3° Reparto Piani e Operazioni alle cui dipendenze opera il Centro Nazionale di Coordinamento di Soccorso Marittimo (IMRCC).
  • Dal 3 ottobre 2015 ha assunto l'incarico di Direttore Marittimo della Liguria e Comandante del porto di Genova. Dal 23 novembre 2015 fino al 1 dicembre 2016 ha assunto altresì l'incarico di Commissario Straordinario dell'Autorità Portuale di Genova.
  • Con Decreto del Presidente della Repubblica in data 8 gennaio 2018, vista la delibera del consiglio dei Ministri del 29 dicembre 2017, è stato nominato, a decorrere dal 10 febbraio 2018 al 24 luglio 2021, Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto con contestuale conferimento del grado di Ammiraglio Ispettore Capo.
  • E' insignito dell'onorificenza di Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, della medaglia Mauriziana, della Croce d'oro per anzianità di servizio militare, Croce Commemorativa per attività di soccorso internazionale in Albania svolta dalle Forze Armate Italiane e di Croce di Cavaliere con Spade dell'Ordine al Merito Melitense.- E' insignito, inoltre, dell' onorificenza  di Cavaliere di merito con placca del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.

 

 

Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Vincenzo MELONE

L’ Ammiraglio Ispettore (CP) Comandante Generale Vincenzo MELONE è nato a Roma (RM) il 9 febbraio 1953. Dopo aver conseguito il diploma di maturità scientifica ha frequentato i corsi normali di S. M. dell’Accademia Navale di Livorno dal 1972 al 1976, laureandosi in scienze marittime e navali. Quale ufficiale di Stato Maggiore della Marina Militare è stato imbarcato su diverse unità della Squadra Navale tra cui Nave Etna, Nave Doria, Nave Impavido, Nave S. Giorgio, Nave Centauro e Nave Canopo, conseguendo l’abilitazione as/sioc e il comando di guardia in plancia.

Nel 1982 è transitato nel Corpo delle Capitanerie di porto, ricoprendo, tra gli altri, incarichi di comando presso i seguenti uffici:

  • Ufficio Circondariale Marittimo di La Maddalena, dal 1986 al 1987; 
  • Capitaneria di porto di Viareggio, dal 1995 al 1998; 
  • Capitaneria di porto di Pescara, dal 2002 al 2004; 

Ne​l 1987 ha conseguito la specializzazione “ordinamento servizio sicurezza della navigazione e difesa "NBC”. 

​Nel periodo dal 1989 al 1991 l’Ammiraglio ha ricoperto l’incarico di Ufficiale Superiore addetto al Ministro della Marina Mercantile, dal 1992 al 1995 è stato Assistente del Comandante Generale e dal 1999 al 2002 ha curato i rapporti con il Parlamento per i provvedimenti di interesse del Corpo delle Capitanerie di porto. 

E’ stato insignito delle seguenti decorazioni e onorificenze: 

  • Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana; 
  • Croce d’oro per anzianità di servizio militare; 
  • Diploma di Benemerenza con Medaglia per le operazioni di soccorso pubbliche calamità; 
  • Croce di Ufficiale con spade dell’Ordine al merito melitense dello SMOM​; 
  • Medaglia Mauriziana al merito di dieci lustri di carriera militare; 
  • Commendatore di merito con placca del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. 

​Il 31 maggio 2005 ha assunto l’incarico di Capo del III Reparto Piani e Operazioni del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera ed in tale incarico è stato responsabile nazionale dell’impiego operativo della componente aeronavale e subacquea del Corpo, della predisposizione dei documenti di pianificazione e soprattutto delle emergenze in mare sia per quanto riguarda la salvaguardia della vita umana che della tutela dell’ambiente marino. 

Il 15 novembre 2010 ha assunto l’incarico di Capo del I Reparto Personale del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera. 

  • Il 6 gennaio 2013 ha assunto l’incarico di Vice Comandante Generale. 
  • Il 16 maggio 2013 ha assunto l’incarico di Direttore Marittimo della Liguria – Comandante del porto di Genova. 
  • Dal 2 novembre 2015 al 09 febbraio 2018 ha assunto l’incarico di Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto. ​

 

Il Comandante Generale delle Capitanerie di Porto

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Felicio ANGRISANO

L' Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Felicio Angrisano è nato a Torre Annunziata (NA) il 1° novembre 1950. Ha conseguito, con il massimo dei voti, la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli ''Federico II'' e dopo un anno di tirocinio legale presso il foro di Milano, è entrato nel Corpo delle Capitanerie di porto nell’ottobre del 1975, quale Ufficiale a Nomina Diretta, con il grado di Sottotenente di Vascello (CP) del ruolo normale.

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 17 maggio 2013, ha deliberato la promozione al grado di Ammiraglio Ispettore Capo, perfezionata con Decreto del Presidente della Repubblica del 21 maggio 2013 e decorrenza amministrativa 2 giugno 2013.
Con Decreto del Presidente della Repubblica del 27 maggio 2013, all’Ammiraglio Angrisano è stato conferito l’incarico di Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera a decorrere dal 2 giugno 2013.

Tra i numerosi incarichi assunti nel corso della sua carriera figurano:

  • Capo delle Sezioni Demanio e Inquinamento marino presso la Capitaneria di porto di Castellammare di Stabia (1976-1985);
  • Capo del Circondario Marittimo Termoli (1985-1987) nel grado di Tenente di Vascello;
  • Capo delle Sezioni Tecnica ed Operativa, presso la Capitaneria di porto di Brindisi (1987-1996), nei gradi di Capitano di Corvetta e Capitano di Fregata;
  • Capo del Compartimento Marittimo e Comandante del Porto di Termoli (1996-1999), nel grado di Capitano di Fregata;
  • Capo area Amministrativa e Polizia giudiziaria presso la Capitaneria di porto di Napoli (1998-2001), nei gradi di Capitano di Fregata e Capitano di Vascello;
  • Capo del Compartimento Marittimo e Comandante del porto di Savona (2001-2004), nel grado di Capitano di Vascello;
  • Capo del Reparto 2°- Affari giuridici e Servizi d’istituto - presso il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto (2004-2010), nel grado di Contrammiraglio;
  • Direttore Marittimo della Liguria e Comandante del porto di Genova (2010-2013), nel grado di Ammiraglio Ispettore. In tale veste ha ricoperto anche la carica di Vice Presidente del Comitato Portuale dell’Autorità Portuale di Genova;
  • Commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Bari su nomina del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

L’Ammiraglio Ispettore Capo Felicio Angrisano ha portato a termine anche varie iniziative nel campo del sociale:

  • ha dato attuazione alla collaborazione tra il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto ed il Dipartimento della giustizia minorile, con l’avvio del progetto denominato ''Marinando'', di recupero e inserimento nella vita lavorativa marittima di giovani in situazioni di disagio sociale;
  • ha contribuito a rendere operativo un protocollo d’intesa con il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta (CISOM) per l’imbarco su motovedette del Corpo di personale medico e paramedico per assistenza ai migranti.

Autore di diverse pubblicazioni sui servizi d’istituto del Corpo, membro permanente del CISM (Comitato Interministeriale Sicurezza Marittima) e del COCIST (Comitato di Coordinamento Interministeriale per la Sicurezza dei Trasporti e delle Infrastrutture), è docente di:

  • diritto della navigazione presso la facoltà di Economia e commercio dell’università del Molise;
  • sinistri marittimi presso l’Accademia navale di Livorno;
  • materie professionali presso i centri studi di Napoli e di Livorno nei corsi precomando per ufficiali del Corpo.

È stato insignito delle seguenti decorazioni ed onorificenze:

  • Commendatore dell’ordine al merito della Repubblica italiana;
  • Medaglia Mauriziana al merito di 10 lustri di carriera militare;
  • Medaglia di bronzo per lungo comando;
  • Croce d’oro per anzianità di servizio militare;
  • Medaglia NATO per operazione ''Sharp guard'';
  • Medaglia di benemerenza per i paesi colpiti dal sisma del 1980;
  • Croce d’oro per benemerenza della Croce Rossa Italiana;
  • Croce commemorativa mantenimento di pace;
  • Commendatore dell’Ordine equestre di Sant’Agata - Repubblica di San Marino;
  • Cavaliere dell’ordine equestre di San Silvestro Papa;
  • Ufficiale con spade dell’Ordine al Merito Melitense;
  • Commendatore di Merito con placca del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio di Napoli;
  • Croce di Grand'Ufficiale con spade al Merito Melitense del Sovrano Ordine di Malta.

È stato, inoltre, insignito del Premio alla carriera ''Ad Haustum Doctrinarum''.
È coniugato con la Sig.ra Anna Maria Saracino ed ha due figli, Alfredo e Alessandro.

 

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 02.06.2013 al 01.11.2015 

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Pierluigi CACIOPPO

L' Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Pierluigi CACIOPPO è nato a Roma il 1° giugno 1948, laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, è entrato in Accademia Navale nel 1974/75 con il grado di Sottotenente di Vascello della Marina Militare (Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera). Terminato il ciclo di studi è stato destinato presso la Capitaneria di Porto di Gaeta.

Ha successivamente assolto una serie di prestigiosi incarichi, tra cui:

  • Capo dell'Ufficio Circondariale Marittimo e Comandante del Porto di Ortona (dal 18.08.1983 al 04.09.1985);
  • Capo del Compartimento Marittimo e Comandante del Porto di Gaeta (14.09.1992 - 26.08.1994);
  • Capo dell'Ufficio Programmazione e Bilancio e dell'Ufficio Controllo Gestione del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera (01.06.1997 - 02.10.2002);
  • Direttore Marittimo e Comandante del Porto di Napoli (dal 21.10.2003 al 11.02.2007).

Promosso Ammiraglio Ispettore (CP) il 1° gennaio 2008, dal 12.02.2007 è in servizio a Roma presso il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera, dove ha ricoperto l’incarico di Capo del 7° Reparto Ricerca e Sviluppo fino al 14 ottobre 2008 e successivamente Capo del 5° Reparto Amministrazione e Contabilità fino al 7 ottobre 2010.

Ha ricoperto l’incarico di Vice Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto dall'8 ottobre 2010 al 24 febbraio 2012.

Ha frequentato, tra l'altro, il 20° corso superiore di stato maggiore presso l'Istituto di Guerra Marittima di Livorno, e la 54^ sessione ordinaria dell’Istituto Alti Studi della Difesa (CASD) di Roma.

E' inoltre insignito delle seguenti onorificenze e decorazioni:

  • Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana
  • Medaglia Mauriziana al Merito per dieci lustri di carriera militare
  • Medaglia Militare di Bronzo al merito di lungo comando
  • Croce d’Oro con stelletta per anzianità di servizio militare (40 anni)
  • Pubblica Benemerenza di 3° classe 1^ Fascia della Protezione Civile
  • Grand'Ufficiale con spade dell’ordine equestre al Merito Militense
  • Commendatore con Placca dell'Ordine Equestre del S. Sepolcro di Gerusalemme
  • Cavaliere di Gran Croce di merito del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio
  • Nastrino di merito Stato Maggiore Marina (oltre 10 anni)

E' stato Responsabile Unico del Procedimento per l’attuazione del “Grande Progetto Nazionale VTS” cofinanziato con fondi P.O.N. Trasporti 2000/06.

E’ stato Responsabile d’Azione per diversi progetti cofinanziati dal P.O.N. Sicurezza 2007/15 e dal Fondo Europeo per le Frontiere Esterne.

E’ attualmente rappresentante Italiano presso il Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Marittima (EMSA) e rappresentate italiano presso l’High Level Steering Group on SafeSeaNet presso la D.G. MOVE - Unità G.1 della Commissione Europea di Bruxelles.

Nel corso della carriera ha diretto o coordinato molteplici operazioni di ricerca e soccorso in mare, salvando numerose persone disperse o naufragate a seguito di incidenti.

E' stato Commissario Straordinario per la bonifica dell'Area Marina Protetta di Baia.

E' autore di numerosi studi e pubblicazioni sul controllo di gestione del Corpo delle Capitanerie di p​orto - Guardia Costiera.

Ha ricevuto il premio Cosimo FANZAGO 2006 di Napoli con la seguente motivazione: "Per il suo impegno nel rilancio e nella valorizzazione della risorsa mare e delle coste per aver stabilito un proficuo rapporto con la città ed i beni culturali".

L'Ammiraglio CACIOPPO abita a Roma. E' coniugato con la signora Maria Stella BARTOLI ed ha due figli.​

 

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 25.02.2012 al 01.06.2013

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Marco LOLLI

L' Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Marco LOLLI è n​ato a Montefiascone (VT) il 7 ottobre 1945, laureato in Giurisprudenza nel 1969 presso l'Università degli Studi di Genova, con discussione di una tesi in Diritto della Navigazione, è entrato nel Corpo delle Capitanerie di porto nel 1970 frequentando, presso l'Accademia Navale di Livorno, il corso di Istruzione per ufficiali a nomina diretta.

Nel corso della carriera ha ricoperto praticamente la totalità degli incarichi dell'Amministrazione marittima, sia di natura amministrativa sia tecnico/operativa, prestando servizio presso importanti Capitanerie di porto e presso il Comando Generale.

Ha frequentato numerosi corsi di formazione in materia di sicurezza, difesa e soccorso aereo ed ha conseguito:​​

  • ​​​l'a​bilitazione al Comando di Unità Navali del Corpo;
  • il Brevetto di Pilota di aeroplani;
  • l'abilitazione ad incarichi di Stato Maggiore dopo la frequenza del corso superiore di Stato Maggiore presso l'Accademia Navale di Livorno;
  • la specializzazione ordinaria in trasporti marittimi presso l'Università La Sapienza di Roma;
  • la specializzazione superiore in Tecnica dei trasporti marittimi (Ttm);

Tra le iniziative poste in essere ha:

  • ​istituito, ex novo, la componente aerea del Corpo delle Capitanerie di porto (sia ad ala fissa sia ad ala rotante) risolvendone i connessi aspetti normativi, contrattuali, organizzativi, ordinativi e tecnico-operativi;
  • partecipato, fin dal 1985, in sede di Commissione UE a Bruxelles, al progetto di direttiva comunitaria COST 301 afferente i sistemi di controllo del traffico marittimo (VTS);​
  • riorganizzato totalmente e ristrutturato la Centrale Operativa dell'allora Ispettorato Generale delle Capitanerie di porto;
  • diretto la suddetta Centrale Operativa in importanti operazioni di soccorso alla bandiera nazionale (fra cui spicca, fra tutte, l'operazione di soccorso di 750 persone tra passeggeri ed equipaggio della M/N Achille Lauro affondata al largo del Corno d'Africa);
  • operato, fin dal 1991, nel responsabile e continuo confronto con il fenomeno dell'immigrazione clandestina;
  • redatto la normativa attuativa della Convenzione internazionale sulla salvaguardia della vita umana in mare (Amburgo '79) che ha portato all'emanazione del D.P.R. n. 662 del 28 settembre 1994;
  • presieduto la Commissione incaricata di redigere il piano nazionale per il soccorso in mare, oggi vigente ed emanato ai sensi del DPR 662/94;
  • redatto, in Commissione, il 1°, 2°, 3°, 4° e 5° "Piano Triennale per l'Informatizzazione dell' Amministrazione Marittima" nel cui ambito assume particolare rilievo lo sviluppo del sistema VTS Nazionale;
  • presieduto la Commissione di Collaudo della informatizzazione del pubblico registro navale;
  • presieduto la Commissione valutatrice per l'affidamento di un servizio per la definizione e redazione di un Piano Esecutivo di Sperimentazione Intersettoriale per il Telelavoro;
  • collaudato, come membro di Commissione, la "Realizzazione del Sistema Informativo Direzionale e della Rete Telematica del Ministero dei Trasporti e della Navigazione;
  • presieduto la Commissione di prequalifica delle industrie da immettere ad una gara per la progettazione esecutiva per il controllo del traffico marittimo lungo le coste nazionali;
  • formulato accordi internazionali concernenti soprattutto la sicurezza della navigazione e l'implementazione degli schemi di separazione e controllo del traffico marittimo in acque internazionali con, Slovenia, Croazia, Serbia/Montenegro, Albania, Grecia e Francia;
  • redatto tutti i requisiti operativi posti alla base della gare espletate dall'Amministrazione per l'acquisizione di unità navali da destinare ad un radicale rinnovamento della flotta (circa 100 unità);
  • rinnovato totalmente, ampliandola e configurandola come nuovo sistema integrato, l'intera rete di telecomunicazioni radio e satellitari del Corpo;
  • condotto l'attività preparatoria all'aggiudicazione contrattuale all'industria di consistenti commesse da parte della competente Direzione Generale per la realizzazione del sistema di controllo del traffico marittimo vigilando, in veste di Esecutore Contrattuale per conto dell'Amministrazione, sulla corretta esecuzione di tutte le attività relative al contratto divenuto esecutivo nell'anno 2000;
  • fornito un fondamentale contributo, in ambito di Protezione Civile, all'istituzione del segmento terrestre del sistema satellitare preposto alla ricezione di segnali d'allarme (Cospas/Sarsat) e istituito il relativo centro di gestione delle Capitanerie di porto sito in Bari con competenze territoriali fino al Corno d'Africa (13 Stati serviti).​

Durante l'ultimo incarico alla Direzione Marittima della Liguria ha perseguito gli obiettivi tesi allo snellimento dei procedimenti amministrativi legati all'arrivo e alla permanenza delle navi in porto in un'ottica di maggiore efficienza e sicurezza dei traffici marittimi e dei servizi anche attraverso l'implementazione dell'informatizzazione della gestione portuale (PMIS-port management information system) e del controllo del traffico marittimo (VTS-Vessel Traffic Services).

In ambito internazionale l'Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Ferdinando Lolli è stato:

  • prescelto per compiere, in un delicato contesto operativo, la prima missione all'estero del Corpo delle Capitanerie di porto/Guardia Costiera in Albania (1991);
  • inviato in Somalia nel 1993 con incarico di ricostruirne l'amministrazione portuale e di verificare la possibilità di intervenire sulle infrastrutture portuali di Mogadiscio e Mombasa;
  • prescelto, in ragione della sua esperienza e competenza in materia, durante la frequenza della 50^ sessione IASD, nel quadro degli scambi internazionali dell'Istituto, quale Presidente del gruppo di lavoro quadrilaterale (Italia, Francia, Spagna e Portogallo) sulle tematiche legate ai flussi migratori nell'ottica di esigenze di stabilità e sicurezza nell'area mediterranea;
  • nominato dall'allora Ministro dei Trasporti e Navigazione, con delega su tutti i settori del Ministero (marittimi-terrestri-aerei), nell'apposita commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio per far fronte alle possibili problematiche connesse con l'emergenza informatica Millenium Bug (anno 2000).

E' stato insignito delle seguenti onorificenze:

  • Medaglia Mauriziana al merito di dieci lustri di carriera militare;
  • Croce d'oro con stelletta per anzianità di servizio (40 anni);
  • Medaglia di bronzo al merito della Croce Rossa Italiana;
  • Medaglia al merito di lungo Comando;
  • Commendatore dell'ordine al merito della Repubblica Italiana;
  • Croce di Ufficiale con spade del Sovrano Militare Ordine di Malta;
  • Onorificenza di Commendatore dell'Ordine di S. Agata (San Marino);
  • Croce Commemorativa per la partecipazione alle operazioni in Albania;
  • Croce commemorativa per la partecipazione alle operazioni in Somalia;
  • Medaglia NATO per le operazioni di embargo alla ex Jugoslavia (SHARPE GUARD);
  • Croce commemorativa per la missione militare di pace relativa alla crisi ex Jugoslavia;
  • Distintivo tradizionale "Argentato" per il personale del Servizio Aereo del Corpo delle Capitanerie di porto;
  • Distintivo tradizionale per il personale imbarcato sulle unità navali delle Capitanerie di porto;
  • Distintivo di lungo servizio presso organi centrali dello Stato (10 anni);
  • Attestato di Pubblica Benemerenza del Dipartimento della protezione civile a testimonianza dell'opera e dell'impegno prestati nello svolgimento di attività connesse ad eventi di protezione civile.

All'Ammiraglio Ispettore Lolli sono stati a tutt'oggi tributati per specifici interventi connessi con gli incarichi ricoperti e per i risultati conseguiti, fra cui spiccano quelli correlati all'effettivo salvataggio di vite umane, 2 encomi solenni, 12 encomi semplici e ​10 elogi, nonché numerosissime attestazioni di vivo compiacimento e apprezzamento.

 

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 19.06.2010 al 07.10.2010 

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Marco BRUSCO

L' Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Marco Brusco è nato il 24 Febbraio 1947 a Civitavecchia, è entrato nel Corpo delle Capitanerie di Porto nell’Ottobre 1971, dopo essersi laureato a Roma in Giurisprudenza discutendo una tesi sui poteri del Comandante del Porto (tesi discussa con il Chiar.mo Prof. Antonio Lefebvre D’Ovidio).​

Dopo il corso in Accademia Navale, gli imbarchi sull’incrociatore Vittorio Veneto e su unità della marina mercantile ed una breve permanenza di servizio a Genova, è stato destinato nell’anno 1973 a Cagliari.

Nel capoluogo sardo, fra gli innumerevoli incarichi, in particolare ha retto la Sezione Demanio Marittimo ed ha impostato il nascente Ufficio Ecologia presso quella Capitaneria di Porto.

L’Ufficiale, dopo aver svolto il periodo di Comando nel grado di Tenente di Vascello presso il Circondario Marittimo di Porto S.Stefano (Luglio 1980 – Settembre 1982), è stato destinato a Livorno per svolgere prevalentemente l’incarico di insegnante di materie giuridiche, ambientali ed economiche ai giovani Ufficiali delle Capitanerie di Porto e della Guardia di Finanza che seguono i vari corsi presso l’Accademia Navale. 

Dall’anno 1985, pur continuando a svolgere saltuarie conferenze in Accademia, è rientrato a tempo pieno in Capitaneria dove ha esplicato la propria attività quale Capo delle Sezioni Tecnica ed Ecologia.

Durante lo svolgimento di tali ultimi incarichi, è stato componente degli staff del "Commissario ad acta" per lo smaltimento dei rifiuti transfrontalieri sia della Motonave "Karin B" che della Motonave "Deep sea carrier" ed in qualità di Ufficiale all'Ecologia, ha collaborato con il Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Chimica Analitica Strumentale presso il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell'Università di Pisa, sui problemi eco-ambientali della zona marittima di bocca d'Arno - tenuta S. Rossore. 

Dal 1990 al 1994 è stato Comandante della Capitaneria di porto di Viareggio. 

Dal 6 luglio 1994 al 30 Settembre 1995, con il grado di Capitano di Vascello, ha svolto l'incarico di Assistente del Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto presso il Comando Generale. 

Il 1° Ottobre 1995 è stato nominato Comandante della Capitaneria di Porto di La Spezia e, conseguentemente alla legge 84/94 anche Commissario Aggiunto per l'organizzazione portuale di La Spezia, nelle more della nomina del Presidente dell'Autorità Portuale. 

Dal 1997 al 1999, ritornato al Comando Generale, ha svolto l'incarico di Capo del 2° Reparto - Affari Giuridici e Servizi d'Istituto. 

Dal 1999 al 2001 ha assunto l'incarico di Capo dell'Unità Organizzativa del Corpo delle Capitanerie di Porto per la protezione dell'Ambiente Marino e Costiero presso il Gabinetto del Ministro dell'Ambiente; durante questo periodo è stato nominato Presidente del Comitato Tecnico di vigilanza e consulenza sull'Accordo di Programma tra Ministero dell'Ambiente ed ENEA, con riferimento al Progetto " Il Mediterraneo, difesa del mare e delle coste" e nel 2000 è stato nominato Consulente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse della XIII legislatura. 

Con il grado di Contrammiraglio, dal 2001 ha assunto l'incarico di Direttore Marittimo della Toscana e Comandante della Capitaneria di Porto di Livorno fino al 2004; nello stesso periodo, nel 2003, con Ordinanza 7 novembre n. 3324 del Presidente del Consiglio dei Ministri, è stato nominato Commissario delegato per la demolizione e la rimozione della motonave da carico libanese VENUS, incagliatasi per naufragio nella notte tra il 23 ed il 24 Ottobre 2002 sulla scogliera di Castiglioncello (l’emergenza si è conclusa, come previsto, nel Luglio 2004). 

Dal 2004 al Gennaio 2007 ha ricoperto l'incarico di Direttore Marittimo della Liguria e Comandante della Capitaneria di Porto di Genova. 

Promosso Ammiraglio Ispettore con decorrenza 22 Gennaio 2007, è divenuto Capo del 1° Reparto Personale del Comando Generale a Roma. 

Le attribuzioni proprie del Reparto cui è preposto, l’Ammiraglio ha lo speciale incarico di continuare a formare e realizzare i programmi di reclutamento, formazione e addestramento professionale del personale militare in servizio, assunto e da assumere, ai sensi della Legge 31 Agosto 2004, n° 226. 

Il 15 Ottobre 2008 è stato nominato Vice Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto. 

Dall'8 ottobre 2010, con il grado di Ammiraglio Ispettore Capo, è stato nominato Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera; incarico ricoperto fino al collocamento in ausiliaria in data 24 Febbraio 2012. 

Durante questo stesso ultimo periodo è stato Presidente del Comitato Nazionale del Welfare della Gente di Mare. 

Fra le diverse specializzazioni conseguite, vi è quella in "Diritto umanitario internazionale in guerra".

Nel periodo Novembre 1997 - Febbraio 1998 ha frequentato un corso di Management tenuto presso il Centro Alti Studi per la Difesa con la collaborazione della Scuola di Management della LUISS di Roma e della Scuola di Direzione Aziendale della BOCCONI di Milano. 

Ha rappresentato il Corpo delle Capitanerie di Porto nella " Iª Conferenza Internazionale sulle ustioni ed incendi ", svoltasi a Palermo dal 25 al 28 Settembre 1990, tenendo una relazione sul tema "Incendio in porto", pubblicata nel volume "The management of mass burn casualties and fire disasters" edito nel 1992 da Kluwer Academic Publishers. 

E’ membro del Comitato della “Rivista del Diritto della Navigazione”. 

Oltre a vari encomi, elogi ed apprezzamenti, si fregia delle Onorificenze di "Commendatore", "Ufficiale" e "Cavaliere" dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana, della Medaglia Mauriziana al merito per 10 lustri di carriera militare, del Diploma di benemerenza di seconda classe e relativa Medaglia d'Argento al merito dell'Ambiente, della Medaglia d'argento al merito della Croce Rossa Italiana, della Medaglia di bronzo al merito di lungo comando, della Croce d'oro con stelletta per anzianità di servizio (40 anni), della Croce di Grande Ufficiale con spade dell'Ordine al merito Militense del Sovrano Militare Ordine di Malta, dell'Onorificenza Pontificia di "Cavaliere di San Silvestro Papa", delle Onorificenze di Commendatore e di Cavaliere di Merito con placca d'argento del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e dell’Onoreficienza dell’Ordine di San Giorgio (IV grado) dell’Accademia Internazionale delle Tecnologie di Rating e della Sociologia “Golden Fortune”. ​

Per la Sua carriera al servizio delle Istituzioni e della collettività, l’Ammiraglio Brusco è stato insignito dalla Città di Viareggio, luogo di residenza, di un attestato di riconoscimento e benemerenza; inoltre ha ricevuto la cittadinanza onoraria dai Comuni di Fagnano Castello (CS), Forte dei Marmi (LU) e Pietrasanta (LU). 

Coniugato con la signora Vivalda, ha due figli ed una nipotina. 

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 08.10.2010 al 24.02.2012  

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Raimondo POLLASTRINI

​L' Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Raimondo Pollastrini è n​​ato a Milano il 17 giugno 1945, è entrato nel Corpo delle Capitanerie di porto, prima come Ufficiale di Complemento e poi quale vincitore del Concorso a nomina diretta; ha prestato servizio presso importanti Capitanerie quali Genova, Trieste, Savona, Viareggio e Livorno. 

Nel 1985 è stato destinato all'Accademia Navale di Livorno per svolgere le funzioni di insegnante di diritto della navigazione e diritto marittimo internazionale in diversi Corsi ai quali partecipano prevalentemente laureati in Giurisprudenza, Scienze Politiche e Economia e Commercio. 

Dal 1986 al 1989 è stato Direttore dell'Ufficio del Lavoro Portuale di Livorno (anche durante il Commissariamento della Locale Compagnia Portuale). 

Tra il 1989 e il 1991 è stato responsabile e coordinatore del Dipartimento di Scienze Giuridiche all'Istituto di Guerra Marittima di Livorno, che da anni prepara gli Ufficiali Superiori della Marina Militare al futuro ruolo di Dirigenti della Forza Armata. 

Ha ricoperto l'incarico di vice Comandante del porto di Livorno dal 1991 al 1995 ed è stato da settembre 1994 a maggio 1995 Commissario aggiunto della neo istituita Autorità Portuale di Livorno. 

Ha partecipato al 30° Corso di diritto dei conflitti armati (in lingua francese) dal 3 al 15 giugno 1990 a Sanremo. 

Ha rappresentato l'Italia al 3° "Meeting of Madrid Plan of Action" sul diritto dei conflitti armati che si è svolto a Bergen nel settembre 1991 ed ha anche preso parte al 6° meeting tenutosi sullo stesso argomento a Livorno nel giugno del 1994. 

In due diverse occasioni, nel 1997 e nel 1998, ha fatto parte della Delegazione italiana di esperti operante a Tirana quale consulente giuridico per l'elaborazione di un Codice della Navigazione albanese e per la predisposizione di un disegno di legge relativo alla istituzione di una Guardia Costiera Albanese. 

E' stato per due anni Direttore responsabile del Bollettino dell'istituto di Guerra Marittima, di scienze militari e cultura varia a larga diffusione nell'ambito della Marina Militare, cui ha collaborato anche con la stesura di articoli di diritto internazionale marittimo.

Nel periodo in cui è stato destinato in Accademia e all'Istituto di Guerra Marittima ha elaborato le seguenti dispense utilizzate come libri di testo:

  • Lezioni di Diritto Marittimo Amministrativo. L'Ordinamento Amministrativo della Marina Mercantile e dei porti e l'organizzazione amministrativa dal personale addetto alla navigazione marittima;
  • Cenni di diritto internazionale e appunti di diritto internazionale marittimo;
  • Il Capo Ufficio statale e la responsabilità del pubblico funzionario;
  • Capo di Corpo Militare e l'attività di Polizia Giudiziaria militare.

Ha collaborato inoltre al periodico dell'Istituto di Guerra Marittima per la quale ha scritto i seguenti articoli:

  • l'inquinamento delle acque del Golfo Persico: un crimine internazionale;
  • il problema della nazionalità della nave nel diritto internazionale umanitario applicabile ai conflitti armati sul mare.

Un suo intervento ad un incontro del Propeller​ Club di Genova sui Porti di Rifugio è stato pubblicato sulla Rivista "Il Diritto Marittimo". Un suo articolo dal Titolo "Le bandiere ombre come minaccia alla Security" è stato altresì pubblicato nel volume "Sicurezza Marittima: un impegno comune" edito a cura della Fondazione Marittima Ammiraglio Michelagnoli. 

Un articolo in tema di Port State Control è stato pubblicato sulla rivista "Il diritto Marittimo" Fascicolo IV - 2005.

Un ulteriore articolo: "Il controllo dello stato di approdo: un utile strumento. Breve analisi dei principali aspetti giuridici" è stato pubblicato sulla rivista "Il Diritto Marittimo" Fascicolo III - 2009.

Ha rivestito dal 1995 a dicembre 1999 l'incarico di Capo Ufficio Coordinamento del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera - con sede a Roma ed è stato Assistente del Comandante Generale.

Ha frequentato l'Istituto Alti Studi della Difesa nell'anno 2000. 

L'Ammiraglio POLLASTRINI, Contrammiraglio (CP) dal 1° gennaio 1999 e promosso Ammiraglio Ispettore (CP) il 1° gennaio 2003, dal 1° agosto del 2000 ha assunto gli incarichi di Direttore Marittimo della Liguria e di Comandante della Capitaneria di porto di Genova. Dal 30 ottobre 2004 al 4 marzo 2007 ha espletato l'incarico di Capo del Reparto 1° (Ordinamento e impiego del personale) del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto.

Dal 5 marzo 2007 al 3 luglio dello stesso anno ha ricoperto l'incarico di Vice Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera.

Professore a contratto presso:

  • l'Università di Genova - Facoltà di Giurisprudenza - per l'insegnamento di Diritto della Navigazione nell'anno accademico 2004/2005;
  • l'Università di Napoli per l'insegnamento in seno al Master Universitario in Economia Politica e Diritto del Mare per l'A.A. 2005/2006;
  • l'Università di Cassino per l'insegnamento al Corso di economia e gestione delle imprese di trasporto per l'A.A. 2006/2007;
  • l'Università di Tor Vergata per un corso di "diritto internazionale del mare" - integrativo del corso di diritto internazionale - Facoltà di Giurisprudenza" - per l'anno 2006/2007.

É laureato in Lettere all'Università di Firenze e in Giurisprudenza all'Università di Genova, discutendo una tesi in Diritto della Navigazione dal titolo "Tutela dell'equipaggio e responsabilità dei raccomandatari marittimi".

É insignito delle seguenti decorazioni:

  • Commendatore dell'Ordine "al Merito della Repubblica Italiana";
  • Medaglia Mauriziana al Merito di dieci lustri di carriera militare;
  • Medaglia d'oro al Merito dell'ambiente;
  • Medaglia d'Argento al Merito della Croce Rossa Italiana;
  • Medaglia Militare d'Argento al Merito di lungo Comando;
  • Croce d'oro con stelletta per anzianità di servizio militare (40 anni);
  • Croce Commemorativa per attività di soccorso Internazionale in Albania;
  • Attestato di pubblica benemerenza di terza classe del Dipartimento della Protezione Civile;
  • Grande Ufficiale con spade al Merito melitense del Sovrano Militare Ordine di Malta;
  •  Cavaliere dell'ordine di San Gregorio Magno;
  • Commendatore con placca dell'Ordine di "Sant'Agata" della Repubblica di San Marino;
  • Commendatore con placca del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio.

Il 20 giugno 2008 è stato nominato Socio Onorario dell'Associazione Italiana di Diritto Marittimo.

In data 11 luglio 2008 la Fondazione "Centro Internazionale Radio Medico" (CIRM) gli ha conferito l'Attestato di Benemerenza.

Dal 4 Luglio 2007 al 18 giugno 2010 è stato il Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera.

Si è spento a Livorno il 15 agosto 2013.

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal dal 05/07/2007 al 18/06/2010 

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Luciano DASSATTI

L' Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Luciano Dassatti è n​​ato a Riva del Garda (TN) il 28 giugno 1942. Dopo aver conseguito il diploma di maturità classica ha frequentato i corsi normali dell’Accademia Navale d​​i Livorno dal 1961 al 1965, laureandosi in scienze marittime e navali. Quale ufficiale di Stato Maggiore della Marina Militare è stato imbarcato su diverse unità della Squadra Navale tra cui Nave Duilio, Nave Centauro, Nave Intrepido e Nave Veneto, conseguendo l’abilitazione as/sioc e di controllore di aeromobili di II livello. Nel 1972 è transitato nel Corpo delle Capitanerie di porto, ricoprendo, tra gli altri, incarichi di comando presso i seguenti uffici: Ufficio Circondariale Marittimo di Riposto, dal 1973 al 1975; Capitaneria di porto di Viareggio, dal 1984 al 1986; Capitaneria di porto di Roma, dal 1989 al 1990; Direzione Marittima di Civitavecchia, dal 1991 al 1992; Direzione Marittima di Livorno, dal 1992 al 1995; Direzione Marittima di Napoli, dal 1995 al 1998. Nel periodo dal 1986 al 1989 l’Ammiraglio ha svolto presso l’Accademia Navale l’incarico di docente di materie giuridiche, diritto marittimo internazionale, diritto umanitario e logistica, nonché quello di coadiutore del Corso Superiore di Stato Maggiore presso l’Istituto di Guerra Marittima, incarico per il quale è stato autorizzato a fregiarsi del distintivo IGM.

Dal 1998 al 2004 ha rivestito l’incarico di Capo del 1° Reparto personale, formazione e ordinamento del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto.

Durante la carriera ha svolto periodicamente l’incarico di Professore a contratto in seno al corso di Economia e Gestione delle Imprese di Trasporto presso l​’Università di Cassino, nonché la funzione di Commissario straordinario dell’Autorità Portuale di Livorno.

E’ autore di diverse pubblicazioni sui servizi di istituto del Corpo delle Capitanerie di porto.

E’ stato insignito delle seguenti decorazioni e onorificenze:

  • Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana;
  • Medaglia Mauriziana al merito di dieci lustri di carriera militare;
  • Medaglia militare di bronzo al merito di lungo Comando;
  • Croce d’oro con stelletta per anzianità di servizio militare;
  • Diploma di Benemerenza di 1° classe con Medaglia d'oro al Merito dell'ambiente;
  • NATO Medal for Kosovo per il supporto fornito alla NATO per le operazioni in Kosovo;
  • Cavaliere di Grazia Magistrale del Sovrano Militare Ordine di Malta;
  • Croce di Commendatore con spade dell’Ordine al Merito Melitense;
  • Commendatore di merito dell’Ordine Militare Costantiniano di S. Giorgio;
  • Cavaliere Grand'Ufficiale dell'Ordine di Sant’Agata della Serenissima Repubblica di San Marino.​

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 26/11/2004 al 04/07/2007 

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Eugenio SICUREZZA

L' Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Eugenio Sicurezza è nato a Formia in provincia di Latina il 25 novembre 1939, è sposato con la Sig.ra Marvi Amici Cavallo ed ha due figli. Dopo la maturità classica ha frequentato l’Accademia Navale di Livorno nel Corpo di Stato Maggiore negli anni tra il 1958 ed il 1962. E’ stato imbarcato per oltre sei anni su varie unità della Squadra Navale, fra cui l’Incrociatore lanciamissili “Caio Duilio” ove ha ricoperto l’incarico di Ufficiale di Rotta. Si è specializzato in Idrografica presso l’Istituto Idrografico della Marina a Genova. Transitato nel Corpo delle Capitanerie di porto ha avuto come prima destinazione la Capitaneria di porto di Genova, dove ha operato negli anni 1970-71 quale addetto alla sezione Tecnica ed alla sezione Sicurezza della Navigazione. Successivamente è stato titolare dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Grado e quindi Comandante in II^ della Capitaneria di porto di Olbia. Ha poi alternato destinazioni presso Uffici Centrali del Corpo e Comandi periferici, dal 1981 al 1983 è stato comandante della Capitaneria di porto di Imperia, dal 1986 al 1989 Direttore Marittimo del Lazio e Comandante del porto di Civitavecchia, dal 1996 al 1999 Direttore Marittimo della Liguria e Comandante del porto di Genova. Dal 15 dicembre 1999 ha assunto l’incarico di Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto. E’ laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Genova e in Scienze Marittime e Navali presso l’Università di Pisa. Ha frequentato a Roma tre corsi di specializzazione post-universitaria presso la sede distaccata dell’Università di Bologna. Ha frequentato l’Istituto di Guerra Marittima nel grado di Capitano di Fregata,​ ed il Centro Alti Studi per la Difesa nel grado di Contrammiraglio.

​ONORIFICENZE:

  • Medaglia mauriziana per dieci lustri di servizio militare.
  • Croce d’oro con stelletta (40 anni) di servizio militare.
  • Medaglia di lungo comando.
  • Commendatore al merito della Repubblica Italiana.
  • Commendatore dell’Ordine Pontificio di San Silvestro Papa.
  • Commendatore dell’Ordine di Malta.​​

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 15/12/1999 al 25/11/2004 

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...dal 1999 al 1973

Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Renato Ferraro Di Silvi e CASTIGLIONE

L' Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Renato Ferraro Di Silvi e Castiglione è nato a Napoli nel 1934, dopo il conseguimento della maturità classica nel 1952 e, nel 1957, della laurea in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli, entra nelle Corpo delle Capitanerie di porto a seguito di concorso. Nel 1958 frequenta presso l'Accademia Navale, quale capocorso, il corso a nomina diretta per sottotenente di porto, per essere poi destinato alla Capitaneria di porto di Siracusa. Successivamente, nel 1975, conseguirà anche la laurea in scienze politiche presso l’Università di Napoli, e più tardi, in qualità di professore a contratto, insegnerà per tre anni economia marittima presso l’Università di Cassino. Nel 1968, con il grado di capitano di porto, comanda il Circondario Marittimo di Anzio. Successivamente frequenta l'Istituto di Guerra Marittima di Livorno prima, e l'Istituto Stati Maggiori Interforze di Roma, poi. Dal 1978 al 1980 comanda il Compartimento Marittimo di Monfalcone, e successivamente è addetto all’Ufficio I del gabinetto del Ministro della Difesa (on. Lagorio, poi sen. Spadolini) fino al 1984. Promosso capitano di vascello, assume il comando del Compartimento Marittimo di Roma prima e di quello di Civitavecchia dopo, contemporaneamente alla connessa carica di Direttore Marittimo del Lazio. Dal 1986 ritorna ad incombenze ministeriali, ricoprendo l'incarico di Vice-capo di Gabinetto di vari Ministri della Marina mercantile succedutisi nel tempo e di Capo dell’ufficio Patto Atlantico dello stesso Ministero. Effettua numerose missioni anche all’estero, è commissario governativo alla compagnia portuale di Livorno e partecipa ai primi studi di fattibilità dell’istituendo VTS (Vessel Traffic System) nazionale. Nel 1991 frequenta il Centro Alti Studi per la Difesa. Promosso contrammiraglio, comanda il porto di Genova come Direttore Marittimo della Liguria e vice-presidente del Consorzio autonomo del porto della città della Lanterna. Durante il suo comando si ritrova a gestire la fase finale delle operazioni conseguenti all’incendio della petroliera HAVEN. Promuove inoltre la costituzione di un “Santuario internazionale dei cetacei” nel Mar Ligure. Dal 1996 al 1999, nel grado di ammiraglio ispettore, riveste la carica di Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto/Guardia Costiera. Gli anni del suo comando sono anni di rinnovamento per il Corpo, che ottiene dal Governo un cospicuo finanziamento per il potenziamento della flotta navale ed aerea, fortemente usurata per il notevole impegno profuso dagli uomini della Guardia Costiera nel fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, ambito in cui lo stesso ammiraglio Ferraro ha collaborato intensamente con il Ministero degli Affari esteri nella promozione delle Interim Measures for Combating Unsafe Practices Associated with the Trafficking or Transport of Migrants by Sea (Circ. 896 dell’IMO) e nella sede ONU di Vienna per la produzione del Protocollo contro il traffico illecito di migranti, annesso alla Convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale (Palermo 2000). Il 15 dicembre 1999 è collocato in congedo per raggiunti limiti di età. Tuttavia non rinuncia a continuare a servire lo Stato, infatti viene invitato a collaborare quale esperto per gli affari marittimi presso il Ministero degli Affari E​steri, in particolare con il Servizio del contenzioso diplomatico e dei trattati e con la Direzione generale della cooperazione economica multilaterale. In tale qualità, tra l’altro, ha partecipato regolarmente per alcuni anni ai lavori del Legal Committee dell’International Maritime Organization (Agenzia dell’ONU per gli affari marittimi) e degli organi dell’International Oil Pollution Compensation Fund. Dopo il congedo ha ripreso gli studi, conseguendo tre master di II grado in Peace Building Management e un diploma di perfezionamento in filosofia contemporanea. Ha al suo attivo alcune centinaia di articoli e recensioni su varie pubblicazioni, in particolare sulla Rivista Marittima. Nel dicembre 2009 ha pubblicato un suo corposo studio sui rapporti tra l’Egitto nasseriano e l’Unione Sovietica. Tuttora svolge un’intensa attività pubblicistica. Appassionato di musica, suona il flicorno basso in SI bemolle in due complessi amatoriali.

DECORAZIONI ED ONORIFICENZE

  • Grand’Ufficiale nell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana;
  • Medaglia mauriziana per i dieci lustri di servizio;
  • Medaglia di bronzo di lungo comando;
  • Croce d’oro con stelletta (40 anni) di anzianità di servizio;
  • Medaglia NATO per operazioni contro l’ex Jugoslavia;
  • Cavaliere di Onore e Devozione SMOM;
  • Grand’Ufficiale (con Spade) al merito melitense;
  • Cavaliere Grand’Ufficiale nell’Ordine Equestre di Sant’Agata della Serenissima Repubblica di San Marino;
  • Cavaliere di Giustizia nell’Ordine Costantiniano di San Giorgio.​

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 05/05/1996 al 14/12/1999

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Mario DE PALO

L'Ammiraglio Ispetore Capo (CP) Comandante Generale Mario De Palo è nato a Brindisi il 5 maggio 1931, Mario De Palo entra in Accademia come allievo del Corpo di Stato Maggiore nel 1950. Compie diversi imbarchi su unità della Marina Militare fino al 1964. Transitato nel Corpo delle Capitanerie di porto, assume il comando del Circondario Marittimo di Grado e successivamente presta servizio presso la Capitaneria di Ancona. Comandante in II del Compartimento Marittimo di Torre del Greco dal 1969 al 1971, viene trasferito alla Capitaneria di Genova. Trascorre nel capoluogo ligure cinque anni ricoprendo diversi incarichi. Comanda la Capitaneria di porto di Manfredonia dal 1976 al 1979. Con il grado di Capitano di Vascello è comandante in II della Direzione Marittima​ di Venezia. Dal 1982 al 1986 ricopre l’incarico di Direttore Marittimo delle Marche e Comandante del Porto di Ancona. Nell’autunno di quell’anno frequenta la 38^ sessione del C.A.S.D. (Centro Alti Studi Difesa). Nominato Contrammiraglio, comanda la Direzione Marittima di Venezia dal 1987 al 1995, anno in cui diviene Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto. Il 5 maggio 1996 viene posto in ausiliaria.

ONORIFICENZE

  • Grande Ufficiale al merito della Repubblica Italiana.
  • Croce dʼoro con stelletta per 40 anni di anzianità di servizio.
  • Medaglia Mauriziana.

​

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 07/09/1995 al 04/05/1996

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Franco MARZIO

​​​​​L'Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Franco Marzio è nato a Roma il 1 Febbraio 1925 e laureatosi in giurisprudenza presso l’Università degli studi “La Sapienza”, Franco Marzio si arruola nel Corpo delle Capitanerie di porto nel 1949. Terminato il corso in Accademia, il Sottotenente Marzio imbarca sulla corazzata Caio Duilio per completare il tirocinio di formazione. Dal 1950 al 1954 presta servizio presso la Capitaneria di porto di Olbia; successivamente, dal 1960 al 1962, comanda il Circondario Marittimo di Ortona. Dal 1963 ritorna nella capitale, dove ricopre l’incarico di Addetto al Sottosegretario di Stato alla Marina Mercantile e, indossato il Grado di Tenente Colonnello, quello di Comandante in II della Capitaneria di porto di Roma. Dal 1968 al settembre 1971 è l’Ufficiale Superiore Addetto al Ministro e successivamente, per tre anni, comanda la Capitaneria di porto di Gaeta. Nel 1974 viene impiegato alla sezione Traffico Marittimo dello Stato Maggiore Marina. Nominato Capitano di Vascello, comanda prima la Direzione Marittima di Reggio Calabria, dall’ottobre 1974 al settembre 1976, poi la Direzione Marittima di Cagliari da quel settembre sino allo stesso mese del 1979. Rientrato al Ministero, viene nominato ufficiale addetto al Ministro della Marina Mercantile, incarico ricoperto sino all’agosto del 1983. La nomina a Contrammiraglio scandisce il suo nuovo impegno in periferia dirigendo la Direzione Marittima di Venezia e quella di Napoli fino al dicembre 1987, anno in cui ritorna all’Ispettorato Generale come Capo Reparto del Personale. Ricopre l’incarico di Ispettore del Corpo delle Capitanerie di porto dall’agosto 1989 all’aprile 1990.

ONORIFICENZE​

  • Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
  • Croce d’oro con stelletta per 40 anni di anzianità di servizio.
  • Medaglia Mauriziana.​

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto  dal 27/08/1989 al 03/04/1990

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Giuseppe FRANCESE

L'Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Comandante Generale Giuseppe Francese è nato a Taranto l’11 novembre 1932, entra in Accademia giovanissimo, appena conseguita la maturità scientifica, nel 1950. Dal 1950 al 1962 effettua numerosi imbarchi su Navi e sommergibili della Marina Militare. In quell’anno transita nel Corpo delle Capitanerie di porto. Comanda il Circondario Marittimo di Porto Santo Stefano dall’ottobre 1963 al 1965. Successivamente viene impiegato presso il gruppo insegnamento delle Capitanerie di porto in Accademia. Con il grado di Capitano di Corvetta ricopre la mansione di comandante in II del Compartimento di Viareggio sino al 1971. Da quell’anno viene trasferito in Liguria presso l’ente autonomo portuale di Savona. Qui rimane fino al 1975. Nominato Capitano di Fregata comanda la Capitaneria di porto di Trapani. Dopo un biennio in Liguria negli uffici del Compartimento di Genova, presta servizio come comandante in II della Direzione Marittima di Napoli. Frequenta la 36^ sessione del Centro Alti studi difesa e, appena indossato il grado di Contrammiraglio, assume il Comando della Direzione Marittima della Toscana e Comandante del Porto di Livorno dal 1985 al 1987, e dal 1987 al 1990, dirige la Direzione Marittima della Liguria. Promosso Ammiraglio Ispettore, viene trasferito a Roma per dirigere il Corpo delle Capitanerie di porto, assumendo il 4 aprile 1990 l’incarico di Ispettore Generale. Sotto la sua guida vengono potenziati gli organici del Corpo (Legge 255/91), viene acquisita l’autonomia amministrativa, costituito il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto e stabilite solide regole per la gestione del Corpo. Muore a S. Giovanni alla Vena l’8 ottobre 1995, pochi giorni dopo aver lasciato il Comando del Corpo., 

ONORIFICENZE

  • Distintivo per pilota di aeroplano.
  • Commendatore dellʼordine della Repubblica Italiana.
  • Croce dʼoro con stelletta per 40 di anzianità di servizio.
  • Medaglia Mauriziana.
  • Croce al merito militense del Sovrano Ordine di Malta.​​​​​

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 04/04/1990 al 06/09/1995

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Francesco CERENZA

​​​​​​​L'Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Francesco Cerenza è nato il 26 Agosto 1924 a Salerno, Francesco Cerenza entra nelle Capitanerie di porto a seguito di concorso nel 1948, dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Al termine del corso viene impiegato nel Servizio Direzione Marittima di Palermo sino al 1952. Dirige l’allora Ufficio locale marittimo di Mazara del Vallo, porto di importanza fondamentale per il settore della pesca italiana, dal 1952 al 1955. In quest’anno viene promosso Capitano di Porto e trasferito presso la Capitaneria di porto di Gaeta, dove ricopre dapprima l’incarico di Capo sezione Gente di Mare, Mobilitazione e Leva, ed infine di Ufficiale in II. Dal 1957 lavora nella sua città natale, Salerno, sino al 1964, come Comandante in II. Alla nomina a Maggiore corrisponde il trasferimento presso la Capitaneria di porto di Civitavecchia fino al 1966, e successivamente all’impiego come Ufficiale Superiore Addetto al Sottosegretario del Ministero della Marina Mercantile. Dal 1968 al 1970 è impiegato allo Stato Maggiore Difesa. Ritorna a Salerno al termine di quell’anno. Dirige la Capitaneria di porto campana sino al 1972, anno in cui promosso Tenente Colonnello, viene trasferito a Napoli. Nel capoluogo rimane per cinque anni, dal 1972 al 1977, come Comandante in II. Dal 1977 al 1983 dirige le Direzioni Marittimi di Toscana, del Veneto e della Liguria per rientrare all’Ispettorato Generale alla fine di quell’anno, come Capo del I Reparto Personale. Dal 1 Gennaio 1987 al 26 agosto 1989 guida il Corpo delle Capitanerie di p​orto con il grado di Ammiraglio Ispettore. Muore a Roma il 26 ottobre 2006.

È stato insignito delle seguenti decorazione/onorificenze:

  • Croce d’oro con stelletta per 40 anni di servizio militare
  • Commendatore dell’ordine al Merito della Repubblica Italiana
  • Medaglia Mauriziana al merito dei dieci lustri di carriera militare​

 

Comandante Generale delle Capitaneri di Porto dal 01/01/1987 al 26/08/1989

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Ammiraglio Ispeftore Capo (CP) Luigi ROMANI

L'Ammiraglio Ispetore Capo (CP) Luigi Romani è nato a Lerici (SP) il 26 febbraio 1922. Ha conseguito la maturità classica a La Spezia nel 1941 e nello stesso anno è entrato nell’Accademia Navale come allievo di Stato Maggiore (Corso “Le Raffiche”, 1941-44).

Quale ufficiale subalterno è imbarcato sull’incrociatore Duca degli Abruzzi per quasi due anni; un altro anno lo trascorre sul Dragamine 212 per dragaggio effettivo nelle acque di Livorno. Sulle navi scuola, Colombo (dove già aveva effettuato la campagna navale come allievo) e Vespucci, è insegnante ai corsi Nocchieri ed Infermieri. 

Dopo il Corso Superiore e due anni trascorsi a Maridepo Taranto, è imbarcato da tenente di vascello quale ufficiale al dettaglio e di rotta su navi Carabiniere e Grecale. E’trasferito nel Corpo delle Capitanerie di Porto, nel 1953.

Col grado di Capitano di Porto e la stessa anzianità che aveva da tenente di vascello, presta servizio a compamare La Spezia.

Effettua il primo comando a Circomare Riposto (CT) e successivamente frequenta a Livorno l’Istituto di Guerra Marittima. Al termine del Corso è destinato all’Ispettorato Generale delle Capitanerie dove rimane, con gradi diversi, fino al termine della carriera, conclusasi con l’incarico di Ispettore Generale (oggi Comandante Generale) per oltre quattro anni. Nel frattempo aveva comandato i porti di Viareggio, La Spezia e Genova.

Durante la sua carriera imbarca dodici volte quale Commissario governativo su navi in servizio di emigrazione e su nave da carico quale istruttore di giovani laureati appena nominati ufficiali. Fra i tanti incarichi avuti all’Ispettorato in sezioni e reparti diversi, è stato ufficiale superiore addetto al Sottosegretario di Stato della Marina Mercantile On. Amm. Luigi Durand de La Penne (1972/1973).

Al vertice del Corpo, nel 1985, vent’anni dopo la ricorrenza centenaria, fa allestire a Civitavecchia una mostra per ricordare l’istituzione del Corpo delle Capitanerie.

E’ stato il primo Capo di Corpo ad aver visitato tutte le Capitanerie e gli Uffici circondariali, nonché gli Uffici locali di Lampedusa e Pantelleria. Prima di lasciare il servizio invia tre ufficiali a frequentare il corso di pilotaggio negli U.S.A., mentre si stava realizzando la componente aerea. Congedato per sopraggiunti limiti d’età (1987), ha potuto dedicarsi con passione a studi storici e musicali, per i quali aveva sempre nutrito particolare inclinazione.

Ha continuato a collaborare con varie riviste e continua a tenere conferenze su argomenti storici e musicali.

E’ stato per oltre due anni presidente della Società dei Concerti de La Spezia e dal 1992 è presidente dell’Accademia di Marina dei Cavalieri di Santo Stefano con sede a Pisa.​​

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 29/08/1982 al 31/12/1986

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Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Ugo BALDUCCI RICCITELLI

L'Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Ugo Balducci Riccitelli è nato in Puglia, a Trani, il 28 Agosto 1917, Ugo Balducci Riccitelli dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Bari nel 1939, entra nel Corpo delle Capitanerie di porto nell’aprile del 1940, tramite concorso. Al termine del corso presso la Regia Accademia Navale, viene trasferito alla Capitaneria di porto di Palermo, per effettuare il tirocinio pratico. Appena nominato T​enente lascia l’Italia, dopo alcuni mesi trascorsi nella Capitaneria di Civitavecchia, per recarsi a Tripoli. Durante il viaggio a bordo del Cacciatorpedieniere Libeccio il 9 Novembre 1941 naufraga in mare aperto, a causa dello scontro a fuoco che coinvolge l’Unità con una squadra navale inglese. Il Tenente Balducci trascorre due anni della sue carriera in Africa: prima a Tripoli, come sottordine alla Sezione Tecnica e Armamento e Spedizioni, e successivamente all’Ufficio Circondariale di Tobruk, come sottordine al Comandante. A seguito della sconfitta in Africa Settentrionale, rientra in Italia nell’Aprile del 1943, a capo della sezione Leva e Mobilitazione della Capitaneria di porto di Chioggia. Ritorna a Roma a fine 1944 e nel 1945, al termine della Seconda Guerra mondiale, presta servizio presso il Compartimento marittimo di Reggio Calabria come Capo sezione economato e cassa. Nominato Capitano di Porto, dirige l’Ufficio circondariale di Sanremo. Dal 1948 al 1957 è alla Direzione Marittima di Venezia assolvendo diversi incarichi: dal Commissario Governativo a Bordo di Unità Mercantili destinate al servizio emigrazione, a quello di giudice del Tribunale Militare di Udine, dal Capo sezione Mobilitazione e Leva ad addetto al Direttore Marittimo. Durante l’alluvione del Polesine si segnala per l’attività svolta in aiuto delle popolazioni vittime del disastro ambientale. Nominato Maggiore di Porto si trasferisce a Roma dal 1957, con l’incarico​ di Capo Segreteria Generale e Ufficiale Addetto all’Ispettore Generale. Nel 1963 comanda per due anni il Compartimento marittimo di Castellamare di Stabia. Rientrato nella Capitale, il neopromosso Tenente Colonnello di Porto Balducci Riccitelli dirige il 1° Ufficio del Gabinetto del Ministro delle Difesa sino al 1970. Direttore Marittimo di Ancona durante il sisma del 1972, si prodiga attivamente nell’attività di soccorso alle popolazioni colpite dal tremendo terremoto, guadagnandosi la stima degli alti vertici dello Stato. Rientrato in quell’anno a Roma all’Ispettorato Generale è a capo prima del Secondo Reparto – Servizi d’Istituto e poi del 1° Reparto Personale. Viene chiamato a dirigere la Direzione Marittima della Liguria dall’agosto 1975 al luglio del 1977. E’ nominato Ammiraglio Ispettore del Corpo delle Capitanerie di porto dall’agosto 1977 al 28 agosto del 1982. Muore a Foggia il 20 aprile 2004​.

È stato insignito delle seguenti decorazioni ed onorificenze:

  • Campagna di guerra 1940 – 1943 con due stellette per gli anni 1941 - 1942
  • Campagna di guerra 1943 – 1945 con due stellette per gli anni 1944 - 1945
  • Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana
  • Croce d’oro con stelletta per 40 anni di servizio militare
  • Medaglia Mauriziana al merito dei dieci lustri di carriera militare​

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 10/09/1977 al 28/08/1982

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Ammiraglio Ispettore (CP) Alfredo GIFUNI

L'Ammiraglio Ispettore (CP) Alfredo Gifuni  nacce il 9 settembre 1912 a Lucera in provincia di Foggia. Dopo essersi laureato in giurisprudenza nel 1935, si arruola come Ufficiale di Complemento nel Regio Esercito.

Nel 1937 vince il concorso per Sottotenenti di Porto e al termine del corso all’Accademia Navale viene trasferito alla Capitaneria di Portoferraio per completare l’iter formativo. Dopo tre anni ad Ancona, passa a Roma, presso il Ministero della Comunicazioni – Direzione Generale della Marina Mercantile alle dirette dipendenze di Giulio Ingianni. Trascorre un breve periodo a Bari tra il 1942 e il 1943 alla sezione Gente di Mare. Durante la liberazione di Napoli da parte alleata avvenuta a cavallo tra il settembre e l’ottobre 1943, il Capitano di Porto Gifuni è nella città partenopea. Svolge il periodo di Comando presso il Circondario marittimo di Molfetta dal 1946 al 1948.

Rientrato nella Capitale viene impiegato nella Direzione Generale del Naviglio presso il Ministero della Marina Mercantile. Durante i quasi tre anni alla Direzione Generale si prodiga attivamente per tutelare, sostenere e favorire l’industria navale italiana, uscita completamente distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale. Tale notevole impegno è riconosciuto dal Ministro Tambroni che lo vuole a capo della sua Segreteria Particolare fino al 1959.

Il Maggiore Gifuni viene premiato con l’avanzamento per meriti eccezionali a Tenente Colonnello nel 1958, a motivo della tempestiva applicazione dei primi solleciti provvedimenti per il recupero e la rimessa in efficienza del naviglio sinistrato o rimasto sugli scali durante il conflitto, dall’altra per lo studio, la preparazione e l’applicazione della nuova legislazione. Nel 1959 è a capo della Segreteria particolare del Ministro Tambroni nel suo nuovo incarico al dicastero del Bilancio. Dal 1960 al 1961 comanda la Capitaneria di porto di Roma, mentre dal 1961 al 1965 è a capo dell’Ufficio Studi dell’Ispettorato delle Capitanerie di porto. Nominato Colonnello di Porto, è Ufficiale Addetto al Ministro della Marina Mercantile Jervolino.

Ritorna a capo della Capitaneria di Roma prima e della Direzione Marittima del Lazio poi, nel 1966 e dal 1967 al 1968 rispettivamente. Nominato Maggiore Generale di Porto nel 1969, Ufficiale Superiore Addetto del Ministro Natali nello stesso anno, dirige, poi la Direzione Generale della Navigazione e Traffico Marittimo sino al 1971. Da quell’anno comanda il 1°Reparto dell’Ispettorato Generale sino al 1974, anno in cui nominato Ammiraglio Ispettore assume la direzione del Corpo delle Capitanerie di p​orto. E’ collocato in ausiliaria nel settembre del 1977.

È stato insignito delle seguenti onorificenze/decorazioni

  • Croce al merito di guerra
  • Campagna di guerra per gli anni 1943 – 1944 e 1945
  • Nastrino della guerra 1940/1943 con 1 stelletta
  • Nastrino della guerra 1944/1945 con 2 stellette
  • Croce d’oro di anzianità per aver compiuto 40 anni di servizio militare
  • Commendatore dell’Ordine di Sant’Agata, conferitagli dai Capitani Reggenti della Serenissima Repubblica di San Marino
  • Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.​

Muore a Roma il 25 maggio 1984.

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 02/04/1974 al 09/09/1977

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Ammiraglio Ispettore (CP) Demetrio RANDO

L'Ammiraglio Ispettore (CP) Demetrio Rando è na​​to a Messina il 17 giugno 1911, appena conseguita la laurea in giurisprudenza si arruola dapprima nel Regio Esercito come Ufficiale di Complemento e successivamente nel Corpo delle Capitanerie di porto nel 1935, com​e vincitore di concorso. Compie la sua prima esperienza lavorativa presso la Capitaneria di Catani​​​a, per poi essere trasferito a Messina nel 1938. Nominato Capitano di porto nel 1939 affronta il comando dell’Ufficio circondariale di Tobruk, per poi essere impiegato nella vicina Tripoli. Dal 1941, rientrato in Italia, assume la direzione della sezione Armamento e Spedizioni della Capitaneria di porto di Bari per poco tempo, rientrando in Sicilia, a Catania nel 1943. Dalla fine del 1943 al 1946 è il Reggente della Capitaneria di Messina, dove rimane sino al 1951, alternando all’incarico di Capo Sezione Armamento e Spedizioni quello di Commissario Governativo su navi adibite al trasporto di emigranti, mantenendo inoltre l’incarico di Giudice del Tribunale Militare di Catania. Promosso Maggiore nel 1952, trasferito a Catania, assume la direzione dell’Ufficio Lavori Portuali. Dal 1954 è impiegato nella Capitaneria di porto di Reggio Calabria, ricoprendo prima l’incarico di Comandante in II e poi quello di Direttore Marittimo. Nominato Colonnello dirige la Direzione Marittima di Palermo e successivamente quella di Genova dal 1970 al gennaio 1973. Da sempre impegnato in prima linea, Demetrio Rando è protagonista di un soccorso ad una nave in bacino nel capoluogo siciliano, meritandosi la Medaglia di Bronzo al Valor di Marina. Appena nominato Ammiraglio Ispettore, il 29 gennaio 1973 assume la guida del Corpo delle Capitanerie di porto, incarico mantenuto sino al marzo 1974. 

È stato insignito delle seguenti decorazioni onorificenze:

  • Croce al merito di Guerra – 1^ concessione
  • Croce al merito di Guerra – 2^ ​concessione
  • Campagna di guerra per gli anni 1940-1943-1944 e 1945
  • Nastrino della guerra 1940/43 con due stellette
  • Nastrino della guerra 1944/45 con due stellette
  • Cavaliere dell’Ordine coloniale della Stella d’Italia
  • Medaglia di Bronzo al Valor di Marina​

Muore a Messina nell’agosto del 1997.

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 29/01/1973 al 01/04/1974

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Tenente Generale di Porto Francesco GARFI

Il Tenente Generale di Porto Francesco Garfi  nasce a Firenze il 29 Gennaio 1908. Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Economiche e Commerciali a Firenze, presta servizio prima nel Regio Esercito nell’arma di Artiglieria, poi tramite concorso come Ufficiale del Corpo delle Capitanerie di porto. Da Sottotenente viene impiegato presso le Capitanerie di Genova e Viareggio. Promosso Capitano guida l’Ufficio circondariale marittimo di Ortona, per esser poi trasferito, come Addetto al Traffico Marittimo, nella Commissione Italiana di Armistizio con la Francia, nelle sedi di Orano e Algeri. Sarà proprio nella capitale algerina che è fatto prigioniero dagli alleati il giorno del loro sbarco in terra africana (8 novembre 1942). Imprigionato dagli alleati fino al termine della guerra, dal 1 Agosto 1945, promosso Maggiore di Porto, dirige l’Ufficio Mobilitazione e Leva della Capitaneria di Livorno, dove rimane sino al 1954 ricoprendo svariati incarichi. Dal 1954 sino al 1958, viene impiegato come insegnante ai corsi per le Capitanerie di porto presso l’Accademia Navale, per poi ricoprire, con il grado di Colonnello, prima l’incarico di Comandante in II e poi quello di Direttore Marittimo della Toscana sino al 1965, mantenendo, tra le altre incombenze, anche quella di giudice del Tribunale Militare di Firenze. Il Maggiore Generale Carfì, dopo una piccola parentesi all’Ispettorato Generale, torna in periferia al comando della Direzione Marittima della Liguria dal 1966 al 1970. Dirige il Corpo delle Capitanerie di porto con il grado di Tenente Generale di Porto Ispettore dall’ottobre 1970. Cessa dall’incarico il 28 Gennaio 1973, collocato in ausiliaria per limiti di età subito dopo. 

È stato insignito delle seguenti decorazioni/onorificenze:

  • Croce al merito di Guerra – 1^ concessione
  • Croce al merito di Guerra – 2^ ​concessione
  • Campagna di guerra 1940-1941-1942
  • Nastrino della guerra 1940/43 con tre stellette
  • Grande Ufficiale dell’Ordine “al merito della Repubblica Italiana”
  • Croce d’oro per aver compiuto 40 anni di servizio militare.

Scompare a Livorno il 7 Aprile 1997.

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 28/10/1970 al 28/01/1973

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...dal 1967 al 1940

Tenente Generale di Porto Mario BATTAGLIERI

​​​​Il Tenente Generale di Porto Mario Battaglieri è nato nella provincia torinese il 27 ottobre 1905, Mario Battaglieri dimostra da subito il suo attaccamento al mare, diplomandosi al’Istituto Nautico di Genova. Entra in Accademia Navale quale Sottotenente di Porto nel 1933. Dal febbraio dell’anno successivo viene impiegato nella Capitaneria di La Spezia e in quella di Genova alla sezione Tecnica. Promosso capitano di porto nel 1937 dirige la seconda sezione della Capitaneria di Porto di Tripoli, da dove presta un'​​ efficace opera durante il famoso sbarco dei “Ventimila” (esodo in massa verso le coste Libiche da parte di coloni italiani) e collabora fattivamente alla riorganizzazione del porto locale. Data la sua attitudine alla comunicazione e alla didattica, dal 1940 al 1942 è insegnante di Servizi Portuali e Marittimi presso l’Accademia Navale di Livorno. In quell’anno abbandona l’ambito didattico per quello operativo, impiegato come Comandante del porto di Tunisi durante la ritirata italiana dall’Africa. Nel porto africano dà prova sul campo delle sue qualità, guadagnandosi una croce al merito di guerra, ottenendo “il massimo rendimento nello scarico dei piroscafi e nei servizi del porto”, assicurando così rifornimenti e forniture per il fronte. Al termine della prigionia – viene fatto prigioniero dagli alleati nel maggio del 1943 - ormai finita la Seconda Guerra Mondiale, viene destinato alla Capitaneria di Porto di La Spezia. Dal settembre 1950, ormai promosso Tenente Colonnello di Porto viene trasferito a Genova a capo dell’ufficio servizi Portuali. Dal 1955 al 1958 è il Comandante in II della Capitaneria di Trieste. Dopo un breve periodo all’Ispettorato delle Capitanerie di porto, ritorna in periferia per dirigere prima la Direzione Marittima del Lazio, a Civitavecchia e poi quella del Friuli a Trieste (rispettivamente dal 1960 al 1962 e dal 1962 al 1966). Nel capoluogo giuliano ricopre, tra l’altro, anche il delicato incarico di Commissario Straordinario dell’Azienda Portuale dei Magazzini Generali di Trieste. Dal 12 Febbraio 1967 dirige l’Ispettorato Generale del Corpo delle Capitanerie di porto sino al 27 Ottobre 1970.

È stato insignito delle seguenti decorazioni/onorificenze

  • Croce al merito di guerra: Comandante di porto in zona oltremare,​ contribuiva validamente ad ottenere il massimo rendimento nello scarico dei piroscafi e nei servizi del porto, superando con grande spirito di sacrificio e sprezzo del pericolo il contrasto di persistenti e violenti attacchi aerei;
  • Campagna di guerra per l’anno 1943”
  • Nastrino della guerra 1940 – 1943 con 1 stelletta
  • Croce d’ora d’anzianità, per aver compiuto 40 anni di servizio militare
  • Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana.​

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 12/02/1967 al 27/10/1970

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Tenente Generale di Porto Domenico MODICA

Il Tenente Generale di Porto Domenico MODICA n​​asce a Trapani il 12 Febbraio 1902. Dopo aver concluso gli studi in giurisprudenza nel 1924, entra per concorso nel Corpo delle Capitanerie di Porto. Al termine del corso presso l’Accademia Navale di Livorno viene destinato a Trapani, dove ricopre tutti gli incarichi possibili, sino al 1932. Con il grado di Capitano di porto viene trasferito prima a Castellammare di Stabia e poi, con l’incarico di Comandante, all’Ufficio circondariale marittimo di Milazzo, sino al 1941. Dopo l’esperienza nella regione natia, il Maggiore di Porto Modica dirige il Regio Ufficio Portuale Fluviale di Ferrara e successivamente la sezione Armamento e Spedizioni della Capitaneria di porto di Trieste. Al termine della guerra, impiegato nella Direzione Marittima di Palermo, con il grado di Tenente Colonnello, riveste diversi incarichi, quale anche quello di Giudice del Tribunale Militare locale e di reggente. Dal 1953 a Roma, a capo della 1^ sezione della divisione generale del Naviglio del Ministero della Marina Mercantile, si segnala per l’impegno e la dedizione profusa, guadagnandosi la stima del Ministro Fernando Tambroni. Promosso Maggiore Generale di Porto dirige prima la Direzione Marittima di Catania e successivamente quella di Venezia, per sei anni dal 1959 al 1965. Dall’Ottobre 1965 al 11 febbraio 1967 ricopre l’incarico di Tenente Generale Ispettore del Corpo delle Capitanerie di porto. 

È stato insignito delle seguenti decorazioni ed onorificenze:

  • Croce al merito di guerra​
  • Campagna di guerra per gli anni: 1943-44 e 1945
  • Nastrino della guerra 1940/43 con 1 stelletta
  • Nastrino della guerra 1943/45 con 2 stellette
  • Cavaliere nell’ordine della “Corona d’Italia”
  • Distintivo onorifico per i patrioti “volontari della libertà”
  • Croce d’oro di anzianità per aver compiuto 40 anni di servizio militare
  • Grand’Ufficiale dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”.

Muore a Venezia il 21 Novembre 1992.

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 18/10/1965 al 11/02/1967

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Il Tenente Generale di Porto Michele CARNINO

Il Tenente Generale di Porto Michele Carnino p​​​​​​​iemontese di nascita, Michele Carnino vede i natali a Cuneo il 17 ottobre 1900. Giovanissimo entra nella Regia Accademia Navale, frequentando i corsi per gli Ufficiali dello Stato Maggiore nel 1914. Partecipa sia alle operazioni navali della Prima Guerra Mondiale sia a quelle in Africa sino al 1920. Terminato il ciclo di studi e raggiunto il grado di Guardiamarina nel 1920, Carnino effettua numerosi imbarchi su altrettante Navi della Regia Marina, prediligendo però l'arma subacquea, per la quale nel 1928 ottiene l'abilitazione. In quegli anni infatti, comanda prima il sommergibile Narvalo della classe squalo e successivamente il Tazzoli. Trasferito nel 1931 nel Corpo delle Capitanerie di porto, sino al 1934 presta servizio presso la Capitaneria di Genova, mentre successivamente, con il grado di Maggiore, assume l'incarico di Comandante in II del Compartimento Marittimo di Imperia fino al 1938. Raggiunto il grado di Tenente Colonnello viene impiego allo Stato Maggiore Marina, poi al Comando della Capitaneria di porto di Gaeta, e tra il 1942 e il 1943 ricopre l'incarico di Capo Servizio Marina Mercantile nel Comando Superiore delle Forze Subacquee Italiane in Atlantico a Bordeaux (BETASOM). Dopo aver comandato la Capitaneria di porto di Viareggio, diventa Direttore Marittimo della Toscana e Comandante del porto di Livorno. Nei primi anni '50 viene destinato all'Ente Autonomo Porto di Genova, e dal 1951 al 1954, con il grado di Generale di Porto assume la guida della Direzione Marittima di Venezia. Al termine del comando veneto, con il grado di Maggiore Generale ricopre l'incarico di Direttore Marittimo della Liguria e Comandante del Porto di Genova dal 1954 al 1961. Nominato Tenente Generale di Porto dirige il Corpo delle Capitanerie sino al 17 ottobre 1965, giorno in cui, raggiunti i limiti di età, lascia il servizio attivo. 

ONORIFICENZE

  • Campagna di guerra 1916-17-18
  • Medaglia commemorativa della guerra 1915-18
  • Medaglia a ricordo dellʼUnità dʼItalia.
  • Medaglia a ricordo della Campagna dʼAfrica.
  • Campagna di guerra 1940-1941-1942-1944.
  • Autorizzato a fregiarsi del nastrino della guerra 1940-43 con tre stellette.
  • Autorizzato a fregiarsi del nastrino della guerra1944-45 con una stelletta.
  • Croce al m​erito di guerra.
  • Croce dʼoro dʼanzianità per aver compiuto 40 anni di s​ervizio.​
  • Cavaliere Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana.
  • Riconosciuta la qualifica di Patriota.​

Scompare il 18 Gennaio 1978 a Livorno.

 

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 03/02/1961 al 17/10/1965

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Tenente Generale di Porto Alfonso FEDERICI

Il Tenente Generale di Porto Alfonso Federici nasce a Civitavecchia nel 1896. Entrato tramite concorso nel Corpo delle Capitanerie di porto, con il grado di Applicato di porto di 3^ classe nel 1914, viene destinato alla Capitaneria di Pizzo Calabro. In Calabria rimane per poco tempo, subito trasferito prima a Genova e poi a Civitavecchia fino al 1916. Militarizzato in seguito alla Prima Guerra Mondiale con il grado di Tenente e spedito prima nei Circondari di Gallipoli e Barletta durante gli anni del conflitto, con incarichi di comando, si trasferisce a Venezia, da dove è mandato in missione per la reggenza del Compartimento Marittimo di Rimini.

Al termine della grande guerra, promosso Tenente di Porto di 3^ ​classe viene trasferito a Trieste e di lì inviato in missione, per conto del governo italiano, nell’ isola di Curzola, a capo dell’ufficio di Porto di Vallegrande (Vela Luka), per ritornare poi in Italia nel Compartimento di Civitavecchia.

Nel 1923 viene promosso, in seguito all’ingresso del Corpo nei quadri della Marina Militare, Capitano di Porto. Sarà a capo dell’ufficio circondariale marittimo di Porto S. Stefano dal 1927 al 1930. Nella località toscana è il protagonista principale di un’azione eroica di soccorso a favore di un equipaggio di un bastimento.

Dal 1931, il Maggiore di Porto Federici è a Roma all’Ispettorato Generale dove, nella sua lunga permanenza – rimane nella Capitale sino al 1945 – riveste diversi ruoli. Fa parte prima dell’Ufficio della Marina Mercantile del Ministero delle Colonie e successivamente della commissione per la stesura del nuovo codice della Navigazione e del regolamento di attuazione. Assume, poi, il comando del 1° ufficio dell’Ispettorato. Colonnello di porto dal 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, è il comandante in II della Direzione Marittima del Lazio, con sede a Roma dopo i bombardamenti di Civitavecchia.

Dal 1945 al 1947 è Direttore Marittimo del Lazio, Riveste l’incarico di Direttore Marittimo della Liguria per circa un anno quando, promosso Tenente Generale nel 1955, assume la direzione del Corpo delle Capitanerie di porto.​

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 01/01/1955 al 02/02/1961

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Tenente Generale di Porto Francesco SERRA MANINCHEDDA

Il Tenente Generale di Porto Francesco Serra Maninchedda n​​asce in Sardegna il 5 marzo 1892 a Porto Torres in provincia di Sassari. Dopo aver completato gli studi liceali entra nel 1911 nell’amministrazione delle Capitanerie di porto con il grado di Applicato di porto di 2^classe. La sua prima destinazione sarà Genova. Già in questa sede dà prova di coraggio ed ardimento – tratti costanti del suo carattere – riuscendo a trarre in salvo un barcaiolo in pericolo di vita. Attende nella sede ligure sino al 1914 per esser poi trasferito a Taranto. Trascorre gli anni della Prima Guerra Mondiale in Libia quando, militarizzato con il grado di Tenente, ha la reggenza della Capitaneria di Bengasi. Anche nella città libica si segnala per il suo spirito di sacrificio. Infatti, durante una tempesta, recupera ventidue naufraghi del piroscafo “Alba M.” meritandosi una Medaglia di Argento al Valor di Marina. Merita un’altra decorazione, questa volta di Bronzo, per aver salvato un passeggero caduto in mare da un piroscafo. Promosso Capitano dal 1920, rientra in Italia nel 1921 dopo un breve periodo a Tripoli, dove si segnala per la personale opera di soccorso nei confronti di un bagnante e di due improvvisati soccorritori. Problemi fisici, dovuti a causa di servizio, lo mantengono fuori dalle attività per ben due anni. Tornato nel 1923 a Genova, rientra in quella che sarà la sua sede fino alla Seconda Guerra Mondiale: l’Africa. Dopo un breve periodo nel 1924 a Tripoli, trascorre quasi due anni al comando degli Uffici Circondariali di Misurata e della Sirte. Rientra alla Capitaneria di Tripoli con l’incarico di Comandante in II e Vice Direttore Marittimo, con il grado di Maggiore di Porto. Anche nella sede di Tripoli Serra Maninchedda darà prova di coraggio e ardimento nelle operazioni di soccorso, guadagnandosi la stima dei collaboratori e quella dei superiori. Dal 1929 al 1941 l’ormai Colonnello Maninchedda alterna periodi a Genova a lunghi anni di comando nell’Africa Orientale, nelle sedi di Massaua e nella Direzione Marittima di Mogadiscio. Nella capitale somala viene catturato e fatto prigioniero dagli Inglesi, che lo trattengono fino al 1944. Viene riammesso al servizio solo nel 1945, e impiegato al comando della Direzione Marittima di Ancona prima e Venezia poi. Nominato Tenente Generale, dal 1951 siede al vertice dell’Ispettorato Generale del Corpo sino al 31 dicembre 1954, giorno del congedo. Muore a Roma il 14 Aprile 1959.

È stato insignito delle seguenti onorificienze:

  • Autorizzato a f​​regiarsi del distintivo con il motto “Libia” Attestato ufficiale di benemerenza “per avere, mentre si trovava su una barca a vapore, il 27 gennaio 1914, tratto in salvo un barcaiolo che stava per essere travolto dalle eliche in moto di un piroscafo, nel porto di Genova, riportando, per non abbandonare il pericolante, che sorreggeva, varie contusioni in seguito ai ripetuti urti della pirobarca contro il piroscafo”.
  • Medaglia d’Argento al Valor di Marina: “Durante la notte dal 20 al 21 gennaio 1917, affrontando nella più profonda oscurità in mare tempestoso, si avventurò per ben tre volte, dapprima con un rimorchiatore e successivamente con un’imbarcazione a remi, tra i frangenti della secca Diamante Petro nella Rada di Bengasi, e con calma perizia ed ardimento, seppe, fra i continui rischi, compiere felicemente il salvataggio di 22 naufraghi componenti l’equipaggio del p.fo “Alba M.” andato in secco in quella costa e traversatosi al mare con grave pericolo di perdersi totalmente”.
  • Campagna di guerra 1915-17-18 “per il servizio prestato in occasione di fatto d’arme e missioni speciali compiuti a bordo di RR.NN. in Cirenaica”.
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa della guerra 1915-1918.
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia a ricordo della Unità d’Italia.
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa della vittoria Interalleata. Campagna di guerra in dipendenza della guerra italo turca 1916-1919-20-21. Croce al merito di guerra in dipendenza di ferita riportata in guerra.
  • Medaglia di Bronzo al Valor di Marina: “con rara perizia e sprezzo del pericolo, armato un pattino di sua proprietà, correva, malgrado la violenza delle onde, in aiuto di un bagnante che, allontanatosi imprudentemente dalla riva era stato trascinato dalla corrente e, posto nell’impossibilità di far ritorno a terra, riuscendo a trarlo in salvo assieme ad altri due animosi, che gettandosi a nuoto per soccorrere il pericolante, correvano a loro volta pericolo di rimanere vittima del loro generoso tentativo” (Tripoli, spiaggia dei dirigibili, 21 agosto 1921).
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia con il motto “Campagna d’Africa”.
  • Medaglia di bronzo al Valor di Marina: “nel dirigere, durante una mareggiata, una difficile manovra per lo sbarco di passeggeri di un piroscafo, scorto uno di questi che, caduto in mare, versava in grave pericolo, si lanciò vestito in suo soccorso riuscendo con abilità ad evitare di essere schiacciato tra il piroscafo e la maona dalla quale si era lanciato” (Rada di Bengasi, 31 dicembre 1917).
  • Campagna d’africa Orientale 1935-1936. Autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa per le operazioni in Africa Orientale Medaglia di Bronzo al valor di Marina “in occasione di un incendio manifestatosi a bordo di un piroscafo carico di benzina, si recava – non senza rischi - sulla nave e dando immediata disposizione per il suo allontanamento da altro naviglio carico di infiammabili ed esplosivi, riusciva ad evitare un pericolo di gran lunga maggiore”. Mogadiscio, 27 aprile 1936.
  • Medaglia di Bronzo al V​alor di Marina “in occasione del sinistro, causato dallo scoppio delle caldaie, del p.fo “Cesare Battisti” sul quale si trovava per ragioni di servizio, assumeva, sebbene in minorate condizioni di salute, la direzione e lo sgombero dei feriti e del personale imbarcato, dando prova di perizia e di sereno coraggio” (Massaua, 23 dicembre 1936).
  • Commendatore nell’ordine coloniale della Stella d’Italia.
  • Cavaliere nell’ordine di Ss. Maurizio e Lazzaro.
  • Ufficiale nell’ordine della Corona d’Italia.
  • Croce d’oro sormontata dalla corona Reale per 40 anni di servizio.
  • Campagna di guerra 1940-1941.
  • Commendatore nell’ordine “al merito della Repubblica Italiana”.
  • Medaglia Mauriziana al merito per dieci lustri di carriera.
  • Autorizzato a fregiarsi del nastrino di guerra 1940-1943.
  • Autorizzato a fregiarsi del nastrino di guerra 1944-1945.​

 

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 01/02/1951 al 31/12/1954

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Tenente Generale di Porto Alberto PACE

Il Tenente Generale di Porto Alberto Pace n​​​​​​​​​​asce a Vasto il 1 luglio 1889. Entra a far parte del Corpo delle Capitanerie di porto tramite concorso nel 1908 e, dopo aver frequentato il corso presso l’Accademia Navale, viene impiegato a Salerno prima e Genova poi. Nel capoluogo ligure rimane sino al 1913, anno in cui, promosso Ufficiale di Porto di 3^classe, viene impiegato presso la Capitaneria di Porto di Venezia dove vi rimane sino al 1919. Militarizzato durante il conflitto con il grado di Capitano, nel 1920 si trasferisce nella Capitaneria di Porto di Rimini. Dopo una parentesi all’Ispettorato Generale dal 1923 al 1925, trascorre quattro anni, dal 1925 al 1929, al Comando di Zara con il grado di Tenente Colonnello di Porto. Dal 1932 al 1936 guida la Capitaneria di porto di Bengasi. Dopo un breve periodo in Italia, presso il Consorzio Autonomo del Porto di Genova, va alla Direzione Marittima di Napoli, dove riveste l’incarico di Comandante in II, distinguendosi nelle operazioni di soccorso ad una nave incendiata in porto. Nel 1938, ormai Colonnello di Porto, comanda il Porto di Massaua, e successivamente, nel 1941, farà parte della Commissione d’Armistizio Italo-Francese a Gibuti del giugno 1940. Proprio a Gibuti viene fatto prigioniero dall’avanzata inglese in Africa Orientale nel dicembre 1942. Trascorre nei campi di prigionia alleati quasi tre anni, rientrando in Italia solo a guerra conclusa, nel maggio 1945. Viene impiegato al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto, fino al 1948 quando, promosso Tenente Generale di Porto, assume l’incarico di Ispettore Generale del Corpo. Al vertice rimane solo per due anni, per essere poi trasferito alla presidenza dell’Ente Autonomo Porto di Napoli. Cessa dal servizio nel 1952. 

È stato insignito delle seguenti onorificenze:

  • Campagna di guerra 1915-16-17-18
  • Autorizzato a f​regiarsi della Medaglia commemorativa della Guerra
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia della vittoria interalleata
  • Ufficiale nell’ordine di SS.Maurizio e Lazzaro
  • Cavaliere nell’ordine coloniale della Stella d’Italia
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia con il motto “Libia”
  • Commendatore nell’ordine della Corona d’Italia
  • Croce d’oro sormontata dalla Corona Reale per oltre quaranta anni di servizio
  • Croce al merito di guerra (1° concessione)
  • Croce al merito di guerra (2° concessione)
  • Medaglia di Bronzo al Valor Civile con la seguente motivazione “in seguito a violenta esplosione, essendosi incendiata una petroliera con grave pericolo delle navi e delle zone adiacenti accorreva prontamente e, salito a bordo con il Comandante del Porto, si prodigava nelle operazioni dirette a circoscrivere e domare l’incendio, concorreva con il suo efficace intervento a limitare i danni e ad evitare un grave disastro” (Napoli, 13 ottobre 1937).
  • Campagna di guerra 1940-41-42
  • Nastrino della guerra con tre stellette

Muore a Roma il 19 Novembre 1959.

 

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 01/01/1948 al 31/01/1951

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Tenente Generale di Porto (FF. Comandante Generale) Antonio BISCONTI

Il Tenente Generale di Porto Antonio Bisconti è stato il primo Ispettore Generale del Corpo delle Capitanerie di porto del secondo dopoguerra: Ebbe i natali a Santa Maria Capua Vetere, il 22 marzo 1885. Diplomato presso il locale Istituto Tecnico, sezione commercio e ragioneria, entrò nel Corpo con il grado di Applicato di Porto di 2^classe nell’ottobre del 1904, dopo aver superato brillantemente il concorso. La sua prima esperienza lavorativa fu a Chioggia, dove rimase sino al 1906, anno del suo primo comando al Lido di Venezia. Nel 1908 durante il maremoto a Messina, fu in servizio presso la Capitaneria di porto dello Stretto, dove, per il soccorso prestato alla popolazione, ottenne una menzione onorevole. Al passaggio di grado ad Ufficiale di Porto di 3^classe, venne trasferito a Napoli, dove si trattenne sino al 1914, anno in cui, subito dopo la militarizzazione, con il grado di Capitano, prestò servizio a Trapani. Nel 1917, nel pieno della Prima Guerra Mondiale, fu mandato al fronte, al comando della Capitaneria di porto di Grado, città austroungarica conquistata dall’esercito italiano nel 1915, persa con la rotta di Caporetto e definitivamente annessa all’Italia nel 1918. A seguito della rotta di Caporetto, fu integrato nei quadri del Reggimento Marina e per tutto il 1918 operò per la liberazione delle terre orientali sul fronte lagunare del basso Piave. Alla fine della guerra trascorse un periodo a Trieste, addetto al Governo Marittimo ex-austriaco (al capo del quale era stato designato il Generale Mazzinghi). Nel 1919 andò destinato a Fiume come capo del Governo marittimo ex-ungherese. Il Governo Marittimo, diviso nella monarchia bicefala nella sua parte austriaca, con sede a Trieste e nella parte ungherese con sede a Fiume, era l’istituzione imperiale cui era devoluto il governo di tutte le faccende marittime dello Stato, compresa l’edificazione e il mantenimento dei porti e dei fari. L’istituzione fu abolita con l’applicazione della legislazione italiana alle nuove provincie redente agli inizi degli anni venti. La permanenza di Bisconti a Fiume si prolungò per ben otto anni, essendo nominato, con l’annessione all’Italia nel 1924 e l’affermarsi delle istituzioni italiane, primo Direttore Marittimo di Fiume, con il grado di Tenente di Porto di 1^classe. Nella città quarnerina sposò, nell’ottobre del 1920, la signorina Elena His. Si laureò in scienze economiche e marittime presso l’Istituto Navale Superiore di Napoli il 23 novembre 1925. Dopo Fiume successero diversi comandi, dal 1928 al 1930 a Genova come Comandante in II, poi a Palermo e Venezia, come Direttore Marittimo. Infine ritornò in Campania, dove resse la Capitaneria partenopea dal 1937 al 1940, ed inoltre al già Maggiore Generale di Porto Antonino Bisconti fu affidato l’incarico di Commissario dell’ente autonomo del medesimo porto sino al 1943. La promozione a Generale Ispettore, alla fine di quell’anno, lo portò alla reggenza dell’Ispettorato Generale del Corpo delle Capitanerie di porto (facente funzioni di Comandante in II e a disposizione del segretariato generale del Ministero) fino al 1946. Diventò Ispettore Generale dal gennaio 1946 al 31 dicembre 1947. Collocato a disposizione dal 1 gennaio 1948, rimase in ausiliaria fino al 1958, anno in cui andò in congedo assoluto. 

E’ stato insignito delle seguenti decorazioni e onorificenze:

  • Menzione onorevole per l’opera di soccorso prestata ai danneggiati del terremoto di Messina, 28 dicembre 1908
  • Campagna di guerra 1917 e 1918
  • Medaglia commemorativa di guerra 1915 - 1918
  • Croce al merito di guerra Destinato in località battuta dal tiro nemico, assolveva lodevolmente gli i propri incarichi - Grado Gennaio/Novembre 1917 e 1918
  • Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
  • Medaglia di benemerenza per i volontari della guerra 15 -18
  • Commendatore dell’Ordine Coloniale della Stella d’Italia
  • Medaglia commemorativa della spedizione di Fiume
  • Grand’Ufficiale della Corona d’Italia 1943
  • Medaglia di Bronzo al Valor di Marina: per aver coraggiosamente portato soccorso con una barca a remi ad un veliero pericolante nell'avamporto di Marsala durante l'imperversare di un fortunale (Marsala, 25 Novembre 1916).
  • Medaglia d’Argento al Valor di Marina: in seguito a violentissimo incendio manifestatosi con ripetute esplosioni, sulla nave petroliera Pagao e che, per la vicinanza di altre navi cariche di liquidi infiammabili, costituiva una grave minaccia alla sicurezza del porto, egli saliva a bordo della nave stessa, dando esempio di assoluto sprezzo del pericolo e assumeva, come Comandante del porto di Napoli, la direzione delle operazioni di soccorso, che condotte con grande energia e perizia marinara, portavano al salvataggio della nave e del carico. In occasione di un altro incendio sulla nave petroliera inglese Voreda, con pronta decisione, salito a bordo, organizzava e dirigeva le operazioni di salvataggio, dando ulteriore prova di grande perizia e coraggio (Napoli 2 marzo 1939).
  • Medaglia di Bronzo al Valor Militare Presidente di un Ente portuale, trovandosi presso un piroscafo sul quale si stavano caricando munizioni e si erano verificati scoppi di bombe, accorreva immediatamente a bordo per ordinare nel modo più efficace i provvedimenti atti a contenere il pericolo ed allontanare danni maggiori. Assunta la direzione del personale antincendio e dei militari accorsi, riusciva a contenere le fiamme e l’estensione del pericolo, disponendo la rimozione e la distruzione del materiale più instabile, facendo rimorchiare il piroscafo lontano dalle banchine (Tirreno aprile 1941).​

Morì a Napoli il 26 Maggio 1974. 

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 15/01/1946 al 31/12/1947 

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Ammiraglio di Divisione (FF. Comandante Generale) Aldo ASCOLI

L'Ammiraglio di Divisione (FF. Comandante Generale) Aldo Ascoli ​​​​nato ad Ancona il 14 settembre 1882, entra nella Regia Marina, frequentando l’Accademia Navale dal 1900 al 1904 nel Corpo dello Stato Maggiore. Nel 1906 la nomina a Sottotenente di Vascello. Durante questi anni comincia una diuturna esperienza di bordo che finirà temporaneamente durante gli anni della Grande Guerra, prendendo parte sia all’opera di soccorso ai territori devastati dal maremoto di Messina, sia alla guerra italo/turca, distinguendosi durante lo sbarco effettuato sulle coste libiche il 10 ottobre 1911 da bordo dell’Incrociatore Re Umberto. Nominato Tenente di Vascello dal luglio 1912, acquisisce la specializzazione in artiglieria durante gli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale. Destinato presso il Comando in Capo di Venezia, dà prova di grande acume tattico durante le operazioni sul fronte del Piave. Per questi meriti otterrà l’avanzamento a Capitano di Corvetta dal 16 settembre 1918. Sposa la Signorina Adele Beer il 29 maggio 1919. Dalla conclusione della Guerra riprende il suo imbarco, sino al 1923, quando assume l’incarico di Capo sezione Artiglieria presso il Comando Militare Marittimo di Venezia, mantenuto sino al 1925, anno in cui consegue il grado di Capitano di Fregata. Successivamente ricopre incarichi di comando su diverse Unità della Regia Marina. Capitano di Vascello nel 1930 comanda per i primi anni dal varo l’Incrociatore Giovanni Delle Bande Nere, dal 1932 al 1934, divenendo anche Capo di Stato Maggiore della 2° Squadra Navale. Questo il suo ultimo incarico a bordo. Per tutto il 1935 sarà il Capo di Stato Maggiore del Comando in Capo del Dipartimento Marittimo di Taranto. Nominato Contrammiraglio nel 1936, comanda il Distaccamento della Regia Marina di Massaua, in Africa Orientale, poi, rientrato in patria, il Regio Arsenale di Taranto. Transita nel grado Ammiraglio di Divisione dal 1 gennaio 1938, assumendo il Comando Militare Marittimo delle Isole dell’Egeo. E’ congedato il 31 dicembre di quell’anno, a causa della sua origine ebraica, ai sensi e per gli effetti del Regio Decreto del dicembre 1938, riguardante le “Disposizioni relative al collocamento in congedo assoluto ed al trattamento di quiescenza del personale militare delle Forze armate dello Stato di razza ebraica”. Ritiratosi a vita privata, dopo l’armistizio fuggì, nel novembre del 1943, con la famiglia a bordo di un peschereccio e dopo varie peripezie, arrivò a Bari, presentandosi al governo Badoglio. Recatosi a Taranto, si mise a disposizione della Marina e fu nominato Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di p​orto dell’Italia liberata. Ricollocato in ausiliaria, cessa dal servizio nel 1952. 

È stato insignito delle seguenti decorazioni/onorificenze:

  • Medaglia Commemorativa per l’opera soccorritrice prestata nei luoghi devastati dal terremoto del 28.12.1908.
  • Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Alla testa del suo reparto sotto il fuoco nemico, dimostrò serenità e coraggio e originò al suo esempio il magnifico contegno dei suoi dipendenti”. (Tripoli, Ottobre 1911).
  • Campagna di guerra italo turca 1911/1912.
  • Medaglia commemorativa guerra italo-turca 1911/1912.
  • Medaglia di Bronzo al valor Militare: “Comandante di un gruppo di artiglieria sotto intenso tiro avversario ne assicurava il funzionamento, conservando calma esemplare e non comune serenità sapendola infondere nei propri dipendenti”. (Sobbo, 22.8.1917).
  • Medaglia d’Argento al Valor Militare: “ Con calma, energia e valore, seppe, in critiche contingenze assolvere pienamente l’arduo compito affidatogli dimostrando di possedere belle virtù militari”. (Basso Isonzo, 27-28.8.1918).
  • Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Organizzatore infaticabile, seppe in breve tempo, portare le sue numerose batterie al massimo grado di rendimento ed esercitò il comando di zona battuta con estrema violenza, da intenso tiro nemico, dando prova di strenuo valore in ogni circostanza ammirevole esempio ai propri dipendenti”. (Taglio Sile 15-20 giugno 1918).
  • Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Preposto al comando delle artiglierie di Marina nel settore di Capo Sile, l’opera sua è stata in ogni momento saggia, oculata, veramente fattiva. Nelle giornate del 13 e 14 novembre 1917 per mettere in assetto difensivo di nuova linea Piave – Vecchio Sile, ove già si aveva sentore di infiltrazioni di grosse batterie nemiche su motoscafo non armato, e nel far prendere il nuovo assetto difensivo alle batterie dava mirabile esempio di ardimento, di sprezzo del pericolo e di attaccamento al dovere. (Capo Sile 13/14 Novembre 1917).
  • Croce al merito di Guerra: “Ha lodevolmente partecipato ai fatti d’arme di maggio e agosto 1917. Trovandosi in osservatorio avanzato sottoposto ad intenso fuoco nemico si è recato nella località ”Stallone” per dare ordini al personale dipendente meritandosi una ricompensa al valore”.
  • Campagna di Guerra 1915-1916-1917-1918.
  • Distintivo speciale per promozione per meriti di guerra.
  • Medaglia Commemorativa della guerra 1915-1918.
  • Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia.
  • Medaglia Interalleata della Vittoria.
  • Commendatore dell’ordine coloniale della Stella d’Italia.
  • Grande Ufficiale dell’ordine della Corona d’Italia.
  • Campagna d’Africa 1935/1936.
  • Medaglia Commemorativa con gladio romano, per le operazioni militare in Africa Orientale Italiana.
  • Commendatore dell’Ordine di SS. Maurizio e Lazzaro.
  • Medaglia di Benemerenza per volontari di guerra per essersi trasferito dopo l’8.9.1943 dai territori controllati dai tedeschi a quelli liberati, per porsi agli ordine del governo Nazionale.
  • Medaglia Mauriziana al merito dei dieci lustri di carriera militare.
  • Medaglia d’onore di 1° grado per aver compiuto 20 anni di navigazione.​

Muore a Roma il 9 giugno 1959.

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 08/09/1943 al 14/01/1946

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Ammiraglio di Squadra Silvio SALZA

L'Ammiragflip di Squadra Silvio Salza ​​​​​​​nato il 12 gennaio 1879 a Torino, entra nella Regia Accademia Navale il 1° agosto 1897, per la frequenza del corso normale del Corpo dello Stato Maggiore. Appena terminato l’iter formativo viene imbarcato su nave Elba partecipando alla spedizione internazionale per la Rivolta dei Boxer nel 1901, per la quale fu garantita all'Italia una concessione commerciale nell'area della città di Tientsin (l'odierna Tianjin) in Cina. Nominato Sottotenente di Vascello il 1° luglio 1901, prosegue la sua carriera compiendo imbarchi su diverse unità della Regia Marina, partecipando a tutte le più grandi operazioni di quegli anni, dall’opera di soccorso alle popolazioni di Messina e Reggio Calabria per il terremoto del dicembre 1908, al conflitto italo – turco, sfruttando la sua abilità d’artigliere. La prima guerra mondiale lo sorprende a bordo della Regia nave da battaglia Leonardo da Vinci. Durante gli anni della Grande Guerra è anche al Comando dei Treni Armati, incarico che ricopre dando prova “in ogni circostanza di salde virtù militari”. Nel 1918 rientra a bordo della torpediniera Alcione come comandante e capo squadriglia. Sbarcherà solamente nel 1920 quando, nominato Capitano di Fregata, verrà destinato presso la Commissione Interalleata di controllo a Berlino sino al 1921, e all’Istituto di Guerra Marittima di Livorno, sino al 1923. Consegue il brevetto di specializzazione superiore tecnico-scientifica nel servizio di artiglieria, balistica e chimica degli esplosivi. Dopo due anni di imbarco sul Cavour (dove assume anche l’incarico di Sottocapo di Stato Maggiore delle Forza navale del Mediterraneo) e sul Confienza, il Capitano di Vascello Salza presta servizio presso lo Stato Maggiore Marina a Roma, per poi assumere i comandi delle Regie Navi Ferruccio, Giulio Cesare, Taranto, Doria e Duilio. Nel 1931 è nominato Direttore dell’Istituto di Guerra Marittima, guadagnando la libera docenza in Storia e Politica Navale. Contrammiraglio nel 1933 diviene Aiutante di Campo Generale di Sua Maestà il Re. Comanda nel 1935 il Duca d’Aosta e nel 1936 il Delle Bande Nere. Successivamente comanda il Dipartimento Marina Militare Autonomo dell’Alto Adriatico di Venezia. Nominato Ammiraglio di Squadra nel 1938 assume l’incarico di Comandante del Corpo delle Capitanerie di Porto dal 1939 sino al 1941. In questo periodo ha anche altri incarichi quali presidente del Comitato Superiore di Coordinamento di Progetti Tecnici e fa parte della Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (CIAF), nella delegazione di Biserta. Nel novembre 1941 lascia il Comando Generale per sedersi a capo della Delegazione Generale della CIAF, con sede ad Algeri, sino a fine 1942, quando, sebbene collocato in ausiliaria per limiti d’età, sarà richiamato per ricoprire il medesimo incarico. Richiamato per altre due volte assumerà gli incarichi di Presidente della Commissione d’inchiesta sui sinistri marittimi e di membro della Commissione d’inchiesta speciale. Cessa dal servizio nel settembre 1946. Collocato in congedo assoluto nel 1954. 

È stato insignito delle seguenti onorificienze:

  • Campagna Estremo Oriente 1900 -1901
  • Medaglia Commemorativa col motto : “CINA”
  • Medaglia a ricordo delle Campagne d’Africa
  • Encomiato in modo speciale per l’ottima preparazione dei puntatori della R.N. Napoli
  • Medaglia commemorativa per l’opera soccorritrice prestata nei luoghi devastati dal terremoto del 28 dicembre 1908.
  • Medaglia di bronzo per essersi segnalato nel prestare soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto del 28 dicembre 1908.
  • Campagna di guerra italo-turca 1911-1912
  • Medaglia commemorativo della guerra italo-turca 1911-1912
  • Cavaliere delle Corona d’Italia per R.D. del 3 aprile 1913: Con la buona organizzazione delle artiglierie a lui affidate e per l’efficace direzione del tiro contribuì al buon successo dell’azione contro le opere dei Dardanelli (Egeo, 1912).
  • Croce d’oro per anzianità di servizio
  • Medaglia di bronzo al valore militare: “Per aver efficacemente coadiuvato il proprio Capo Squadriglia in una difficile operazione presso una base navale nemica e per aver tenuto molto lodevolmente il comando di una torpediniera costiera dando prova di ottime qualità militari e marinaresche” (Alto Adriatico, 26 marzo 1917).
  • Croce di guerra (I concessione) “Comandante di treno armato in occasione di un attacco di unità nemiche alla nostra costa, col tiro rapidamente aggiustato dei cannoni da lui diretti, riusciva subito a far desistere dal loro compito le siluranti avversarie ed a colpirne ripetutamente una. Prestava inoltre la sua opera efficace ed intelligente nelle operazioni di disincaglio di due nostre unità ed in ogni circo costanza dava prova di salde virtù militari” (OdG comando in Capo delle Forze Navali del 19 Febbraio 1919).
  • Croce di guerra (II concessione) “Comandante di torpediniera ed in seguito di squadriglia Torpediniere, eseguiva numerosissime missioni di guerra dando prova di in ogni circostanza di abilità e belle virtù militari” (OdG del Comando in Capo Forze Navali del 6 giugno 1919).
  • Campagna di guerra: 1915 – 1916 – 1917 – 1918
  • Medaglia commemorativa della guerra 1915 – 1918
  • Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia
  • Medaglia interealleata della Vittoria
  • Brevetto di direttore superiore di tiro
  • Brevetto di specializzazione superiore scientifica nel servizio delle artiglierie, balistica e chimica degli esplosivi.
  • Libera docenza in storia e politica navale.
  • Grande Ufficiale dell’ordine di SS. Maurizio e Lazzaro
  • Grande Ufficiale dell’Ordine Coloniale della Stella d’Italia
  • Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia
  • Medaglia d’onore di lunga navigazione per aver compiuto venti anni di navigazione.
  • Medaglia Mauriziana al merito di 10 lustri di servizio
  • Croce d’oro per anzianità di servizio, sormontata dalla Corona d’Italia
  • Nastrino commemorativo dell’operazioni militari in Spagna.​

 

  Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 10/07/1939 al 30/06/1940

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...dal 1939 al 1910

Ammiraglio di Squadra Mario FALANGOLA

L'Ammiraglio di Squadra Mario Falangola ​​​​​nato a Roma il 9 agosto 1880, entra in Accademia nel 1899. Nominato guardiamarina dello Stato Maggiore nel 1902, compie il suo primo periodo di imbarco sulla Corazzata Sardegna, a cui seguirà quello sulla gemella Calabria. Il 1 settembre 1906 viene promosso Sottotenente e nel 1911 Tenente di Vascello partecipando con l’incrociatore Garibaldi alla guerra italo-turca. Con questo grado contrae matrimonio con la Sig. Borg Wanda Caterina, da cui si separerà nel 1928. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale non lo coglie impreparato durante il suo imbarco sul sommergibile Salpa, e successivamente assumerà il comando dell’Orop. Durante l’intero arco del conflitto, si distingue in numerosi azioni di guerra, come testimoniato dalle diverse medaglie al valore a lui conferite, ma anche in studi tecnici per miglioramenti sugli apparati dei sommergibili. Per meriti di guerra viene anche promosso Capitano di Corvetta dal 1 aprile 1918. Sempre per meriti di guerra transita nel grado di Capitano di Fregata dal 16 settembre 1918, essendo al comando dei sommergibili F.7 prima e Marcello poi. All’indomani delle sue epiche gesta durante la Grande Guerra è impiegato come comandante di Regie Navi utilizzate per il trasporto costiero di gasolio e acqua come la Bronte e la Brennero. Nel 1924 è Capo Ufficio nella Base Navale di Pola e poi Addetto al Commissariato dell’Oltregiuba somalo. Dalla Somalia, dal 1925 interamente italiana, ritorna a metà di quell’anno. Il 1 maggio 1925, nominato Capitano di Vascello comanda alcune Unità navali, nell’ordine si susseguono Tigre, Leone, Volta, Mirabello e Giulio Cesare. L’imbarco è intervallato solamente da una destinazione a terra come Capo di Stato Maggiore del Comando Marina Militare di Sicilia e comandante del Difesa Marittima di Messina. Nominato Contrammiraglio dal 16 agosto 1932 assume il comando Marina in Sicilia sino al settembre 1933, passando in seguito al comando del Regio Arsenale di La Spezia. Ammiraglio di divisione dal 1 dicembre 1935, dirige l’Ispettore per la costruzione, l’allestimento e il collaudo di nuove navi fino al 1939, quando con il grado di ammiraglio di Squadra passa al Comando del Corpo delle Capitanerie di porto, in ottemperanza a quanto prescritto dal decreto del 11 novembre 1938, che prevedeva, tra le tante norme, un Ammiraglio di Squadra della Marina Militare al vertice delle Capitanerie di p​orto. Regge il Corpo sino al luglio del 1939, quando diviene Comandante in Capo della Squadra Sommergibili. Ritornerà al Comando delle Capitanerie dal gennaio 1942 al 8 settembre 1943, data dell’armistizio con gli alleati. Collocato in ausiliaria per età, viene posto in congedo assoluto nel 1945. 

Gli sono state concesse le seguenti decorazioni/onorificenze:

  • Medaglia a ricordo della Campagna d’Africa.
  • Campagna di guerra italo-turca 1911/1912.
  • Medaglia di Bronzo al Valor Militare: ”In acque nemiche attaccava un convoglio che procedeva ad un importante azione di recupero ed obbligava il nemico a rinunciare alla sua impresa” (Alto Adriatico, 27.8.1916).
  • Medaglia d’Argento di I classe per i benemeriti delle Scienze Navali, per l’apparecchio da lui ideato destinato a determinare le variazioni di rilevamento di un bersaglio dal periscopio di un Sommergibile.
  • Distintivo speciale per promozione per merito di guerra.
  • Medaglia d’Argento al Valor Militare. “Per l’ardimento, la tenacia combattiva dimostrati nell’attaccare e silurare un piroscafo armato nemico, in zona probabilmente minata, sfuggendo poi abilmente alla strenua caccia di aeroplani e siluranti” (Alto Adriatico, 12.1.1918).
  • Medaglia d’Argento al Valor Militare: “ Imbarcato su sommergibile ha compiuto 20 missioni di guerra sulla costa nemica, dimostrando alto spirito combattivo, disprezzo del pericolo, non comuni qualità militari e marinaresche”. (Alto Adriatico Maggio 1915 – Febbraio 1918).
  • Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
  • Medaglia di Argento al Valor Militare: “per eseguire una difficile perlustrazione in un porto nemico, superando due volte zone minate, dando prova di grande abilità tecnica e di sereno sprezzo del pericolo. In altra occasione, nonostante difficili condizioni idrografiche e di tempo, oltrepassava sbarramenti di mine, e nell’interno del Quarnaro, riusciva a colpire con un siluro un piroscafo. Tentava più tardi di attaccare un gruppo di siluranti dislocate per dargli caccia, ed abilmente sfuggiva al loro inseguimento”. (Acque Dalmate 12/7 – 10.11.29/8 – 1/9/1918).
  • Campagna di Guerra 1915,1916,1917,1918.
  • Medaglia commemorativa della guerra 1915 – 1918.
  • Medaglia a ricordo dell’Unità Nazionale.
  • Medaglia della Vittoria Interealleata.
  • Croce d’oro per anzianità di servizio, sormontata dalla Corona d’Italia.
  • Medaglia d’Argento di 2^classe per la sua pubblicazione : “I sommergibili F.7”.
  • Ufficiale dell’ordine Coloniale della Stella d’Italia.
  • Grande Ufficiale dell’Ordine di SS. Maurizio e Lazzaro.
  • Cavaliere di Gran croce dell’ordine della Corona d’Italia.
  • Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia: “Comandante in Capo in della Squadra Sommergibili, nel difficile e silenzioso periodo di preparazione alla guerra diede la sua fede animatrice, la sua pronta intelligenza, la sua pronta competenza in ogni ramo per fondere in un blocco unico macchine, armi ed uomini. In diciotto mesi di guerra, sotto il suo Comando, l’arma subacquea inflisse al nemico la perdita e la inutilizzazione di un rilevante tonnellaggio, assicurò l’uso di rotte vitali, apportò validi aiuti alle altre Forze Armate, operò con freddo eroismo contro le più munite basi navali avversarie” ( 10 Giugno 1940 – 31 Dicembre 1941).
  • Conferitogli dal Governo Tedesco la Gran Croce al Merito con spada dell’Ordine dell’Aquila Tedesca.
  • Medaglia mauriziana per 10 lustri di servizio.​

Muore a Roma il 14 luglio 1967. 

 

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 03/01/1939 al 09/07/1939

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Tenente Generale di Porto Armando GAETA

Il Tenente Generale di Porto Armando Gaeta nasce il giorno​ 11 febbraio 1879 a Castellamare di Stabia. Superato il concorso per Applicato di Portto di 2^ classe il 1 aprile 1899, presta servizio nella Capitaneria della propria città. Qui vi rimane per due anni, prima di essere trasferito prima a Brindisi poi a Palermo. Appena ottenuto il passaggio per concorso ad Ufficiale di Porto di 3^ classe, comanda l’Ufficio di Porto di Termini Imerese, dalla fine del 1903 a tutto il 1904. Ritorna nella Capitaneria di Castellamare in quell’anno, dove sposa la Signorina Emma Sinigagliere il 27 giugno 1909. Nel 1913, con il grado di Ufficiale di Porto di 1^ classe viene trasferito nella vicina Capitaneria di Pizzo Calabro. Durante gli anni della Grande Guerra viene militarizzato con il grado di Capitano, e successivamente transita nei quadri della Regia Marina con quello di Tenente Colonnello. Lasciata Pizzo Calabro, ritorna per poco tempo a Castellamare per poi essere destinato ad Antivari (odierna Bar), tra il 1919 e il 1920, prima degli accordi di Tirana. Rientrato in Italia gli vengono affidati diversi incarichi di prestigio nelle diverse regioni italiane, dapprima nella sua città natale, Castellamare di Stabia, dal 1920 al 1923, come Comandante della locale Capitaneria, poi come Direttore Marittimo della Sardegna dal 1923 al 1928 ed infine Direttore Marittimo del Veneto dal 1928 al 1932. Il Maggiore Generale Gaeta, da quest’anno sino al 1936, è impiegato come Regio Commissario dei Magazzini Generali di Trieste, l’ente gestore dello scalo marittimo giuliano. Al suo rientro nella Capitale lo attende la nomina a Tenente Generale di Porto Ispettore del Corpo delle Capitanerie, dal 1 gennaio 1937 al 2 gennaio 1939​, in virtù del decreto del 11 novembre del 1938, che stabiliva nuove attribuzioni ed ordinamento al Comando Generale (il quale doveva essere retto da un Ammiraglio di Squadra facente parte della Regia Marina), del personale militare e civile delle Capitanerie di p​orto, nonché l'organizzazione interna delle stesse. Dal 2 gennaio 1939 il Tenente Generale Ispettore Gaeta è impiegato come Comandante in II del Corpo nonché come reggente dello stesso durante le assenze dei Comandanti Generali a lui successivi. Collocato in ausiliaria dal 12 febbraio 1944, viene posto in congedo assoluto dal 1 maggio 1954. 

È stato insignito delle seguenti decorazioni/onorificenze:

  • Elogio per il modo diligente e zelante con il quale disimpegna il lavoro affidatigli.
  • Campagna di Guerra 1919 (Albania)
  • Campagna di Guerra 1920 (Albania) – “Per essere stato destinato ad Antivari e confine albanese anteriormente all’accordo di Tirana”.
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa della guerra 1915-1918
  • Autorizzato a fregiarsi della medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia.
  • Grand’Ufficiale dell’ordine della corona d’Italia
  • Grande Ufficiale dell’ordine coloniale della Stella d’Italia
  • Grande Ufficiale dell’ordine di SS. Maurizio e Lazzaro
  • Croce d’oro sormontata dalla Corona d’Italia (40 anni di servizio)

Deceduto a Roma il 14 dicembre 1963. 

 

 

​ Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 01/01/1937 al 02/01/1939

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Tenente Generale di Porto Francesco PASCIUTO

Il Tenente Generale di Porto Francesco Pasciuto nasce a Gaeta nel 1876, e dopo aver concluso gli studi liceali, supera il concorso per Applicato di Porto di 2^classe il 16 aprile 1897. Agli albori del XX secolo è nominato applicato di 1^classe, e si trasferisce da Napoli, a Porto Empedocle e a Reggio Calabria. Ufficiale di 3^classe nel 1904, dopo aver affrontato con successo il concorso, ha la sua prima esperienza di Comando presso l’Ufficio di Porto di Termini Imerese. Al termine di questa, è trasferito nella Capitaneria di Genova, dove rimane per quattro anni sino al 1907, anno in cui comincia la sua attività al centro dell’Amministrazione delle Capitanerie di Porto. Per dieci anni (dal 1907 al 1917) l’Ufficiale di 2^classe Pasciuto presta servizio all’Ispettorato. Successivamente lavora anche direttamente a contatto con la politica, sedendo nel Gabinetto del Ministro della Marina, Del Bono, per due anni sino al 1920. Durante gli anni della Grande Guerra, viene militarizzato con il grado di Capitano. Al transito delle Capitanerie nei quadri della Regia Marina, assume la denominazione di Tenente Colonnello. Dirige la quinta sezione della Direzione Generale della Marina Mercantile dal marzo di quell’anno all’aprile 1924. A questa prolungata esperienza a livello ministeriale, s’aggiunge anche quella in periferia. Infatti ad un breve comando presso la Capitaneria di Bari nel 1924, segue un biennio a capo della Direzione Marittima della Campania. Regge contemporaneamente il Commissariato del Porto di Napoli. Già Colonnello di Porto, Pasciuto dal 15 febbraio 1928 al 29 gennaio 1931 comanda la Direzione Marittima di Genova. Ritorna a Roma in quell’anno e con il grado di Maggiore Generale di Porto dirige l’Ispettorato del Lavoro Marittimo e Portuale, divisione della Direzione Generale della Marina Mercantile, per cinque anni, dal 1931 al 1936. Alla nomina a Tenente Generale, conseguita il 1 luglio 1936, assume il Comando dell’Ispettorato delle Capitanerie di porto, incarico mantenuto sino al dicembre di quell’anno. Posto a disposizione dal 1 gennaio 1937, per limiti d’età, è richiamato in servizio, durante la Seconda Guerra Mondiale, al Comando della Capitaneria di porto di Spalato dal 29 giugno 1941 al 30 aprile 1942. Sino al 1944 opera come Presidente del Commissariato Autonomo del Porto di Genova. Congedato dal richiamo, viene posto in congedo assoluto dal 1 gennaio 1949. 

Onorificenze e Decorazioni

  • Encomiato con dispaccio n.1605 del marzo 1898: In lodevole opera prestata nel salvamento degli equipaggi dei brigantini goletta “Genitore S” e “Stella d’Italia” naufragati a Porto Empedocle il 4 e 5 dicembre 1897. Il ministro dell’Agricoltura Industria e Commercio, ha partecipato che avendo frequentato nei mesi di maggio e giugno 1909 i corsi di lezioni teorico – pratiche sulla pesca e sull’acquacoltura , ha seguito le lezioni con gran diligenza e alla fine del corso ha felicemente sostenuto gli esami, segnalandosi come uno dei migliori allievi e meritando uno dei quattro premi di Lire 300 stabiliti dall’amministrazione;
  • Nominato giudice supplente del Tribunale Supremo Militare dal 1 gennaio 1937;
  • Commendatore dell’ordine Coloniale della Stella d’Italia;
  • Croce d’oro sormontata dalla Corona d’Italia, per anzianità di servizio;
  • Cavaliere di Gran croce dell’ordine della Corona d’Italia;
  • Grande ufficiale dell’ordine di SS. Maurizio e Lazzaro Campagna di guerra del 1941 - 1942.​

Muore a Roma il 30 dicembre 1971.​

 

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​Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 01/07/1936 al 31/12/1936

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Tenente Generale di Porto Carlo VERGARA CAFFARELLI Di CRACO

Il Tenente Generale di Porto Carlo Vergara Caffarelli Di Craco, a​​​ppartenente alla nobile famiglia dei Duchi di Craco, Marchesi di Savochetta e Marchesi di Comignano, nasce a Portici, nei pressi di Napoli, il 12 Febbraio 1877. Sin da piccolo dimostra grande interesse per il mare, entrando in Accademia Navale con il grado di Guardiamarina del Corpo dello Stato Maggiore. Presta servizio su numerose unità della Regia Marina, tra queste la Vittorio Emanuele, la Vespucci, la Trinacria, il Terribile e il Dandolo, sino al settembre 1905, quando con il grado di Tenente di Vascello transita nel Corpo delle Capitanerie come Ufficiale di Porto di 3^ classe. Le sue prime esperienze saranno all’interno delle strutture di Castellamare di Stabia e Napoli. Lascia la regione campana per trasferirsi prima a Civitavecchia dove contrae matrimonio con la signorina Ada Ronchey, nel 1906 e poi a Rodi, nelle locali Capitanerie di Porto. Questi erano i primi anni di governo italiano sulle isole del Dodecanneso, conquistate, insieme alla Libia, durante la guerra italo turca del 1911 - 12. Rientrerà in Italia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando militarizzato con il grado di Capitano, assume il comando del Circondario Marittimo di Pozzuoli mantenuto sino al 1918, anno in cui si trasferisce per servizio nella Capitaneria istriana di Pola. Trascorre circa dieci anni a Roma al Ministero della Marina, in seguito delle Comunicazioni, a capo della Direzione Generale Marina Mercantile, e al Ministero delle Colonie, Ufficio della Marina Mercantile. Con il grado di Colonnello di Porto nel 1928 torna nella sua regione come Direttore Marittimo di Napoli. Due anni più tardi, ottiene il trasferimento per il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di p​orto di cui diventerà Tenente Generale Ispettore nel 1936, seppur per pochi mesi, perché colpito da limiti di età e collocato in ausiliaria.  Per esigenze straordinarie durante la Seconda Guerra Mondiale, viene richiamato per dirigere gli uffici del Comando del Corpo delle Capitanerie di porto a Roma dal maggio 1943 al giugno 1944, ma dopo l'8 settembre 1943 non aderì alla Repubblica Sociale Italiana, rimanendo a Roma per otto mesi in un rifugio sicuro.​ Posto in riserva al termine del 1944. 

E’ stato insignito delle seguenti decorazioni e onorificenze:

  • Medaglia commemorativa con il Motto Libia Campagna di guerra per l’anno 1915 e 1918
  • Medaglia Commemorativa per la guerra del 1915-18
  • Croce d’oro per 25 anni di Servizio Medaglia Interalleata della Vittoria
  • Commendatore dell’ordine di SS. Maurizio e Lazzaro
  • Commendatore dell’ordine coloniale della Stella d’Italia
  • Cavaliere di Gran Croce dell’ordine della Corona di Italia
  • Campagna di guerra del 1943
  • Medaglia mauriziana al merito dei dieci lustri di carriera militare.​

Scompare a Roma il 7 marzo 1966.

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 01/01/1936 al 30/06/1936 

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Tenenete Generale di Porto Francesco MARENA

Il Tenenete Generale di Porto Francesco Marena n​​​asce a Bari nel 1868. Dopo aver trascorso i suoi primi anni di servizio come fuciliere telegrafista nei quadri della Regia Marina, transita nel Corpo delle Capitanerie il 12 marzo 1899 con il grado di Applicato di Porto di 2^classe. Presta servizio nella sua città natale, dove sposerà la signorina Amina Vanalesti. Dopo solo cinque anni nel grado, nel 1904, supera l’esame per diventare Ufficiale di Porto di 3^classe, trasferendosi dalla Capitaneria di Bari, che aveva a capo il futuro primo Comandante Generale del Corpo Francesco Mazzinghi, all’Ufficio di Porto di Barletta, come titolare. Dal 1908 ritorna a Bari sino al 1915, anno in cui si trasferisce nel vicino ufficio di Porto di Molfetta, come Comandante, per tutta la durata della Prima Guerra Mondiale. Nel porto pugliese si segnala per la fattiva collaborazione fornita alle varie autorità militari operanti sul territorio, essendo zona battuta da pesanti bombardamenti nemici. Per la temporanea militarizzazione del Corpo assume il grado di Capitano e successivamente, con il riconoscimento delle Capitanerie nei quadri della Regia Marina, quello di Tenente Colonnello. Poco dopo il termine della Grande Guerra lascia la regione natia per giungere in Liguria, dove ricopre l’incarico di Comandante del Porto di Genova e Direttore Marittimo della regione, ininterrottamente per nove anni dal 1919 al 1928, con il grado di Maggiore Generale di Porto. Giunto, in quell’anno, nella capitale italiana all’Ispettorato Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, attende poco più di un anno per assumere il comando del Corpo con il grado di Tenente Generale. Durante la sua reggenza, durata un quinquennio, le Capitanerie di Porto rispondono prontamente alla chiamata del conflitto italo-etiopico, concretizzando le spedizioni, mantenendo un constante afflusso di quanto richiesto dalla condotta delle azioni militari e controllando le navi addette al trasporto di uomini e mezzi per il fronte. Raggiunti i limiti di età, viene collocato a disposizione il 1 gennaio 1936. 

Decorazioni:

  • Corona di Prussia di 3^classe;
  • Campagna di guerra 1915,1916,1917,1918;
  • Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia;
  • Medaglia commemorativa della guerra 1915 -1918;
  • Croce di guerra al valor militare “ Comandante del Porto di Molfetta durante tutto il periodo della guerra coadiuvò in modo altamente encomiabile nei vari servizi bellici le autorità militari. Provvide personalmente al recupero ed alla disattivazione di numerose mine nemiche in condizioni spesse volte difficilissime e con gravi rischi personali”.
  • Croce d’Oro per anzianità di servizio;
  • Attestato Ufficiale di Benemerenza “per aver, con alto spirito di dovere e sagace competenza, diretto le operazioni di spegnimento del motoveliero americano City of Pascagoula, avvenute nel porto di Genova, la notte del 15 maggio 1921”.
  • ​Ufficiale dell’ordine olandese di Orange Nassau;
  • Medaglia della vittoria Interalleata;
  • Croce di 3^classe dal governo spagnolo dell’ordine del Merito Navale;
  • Commendatore dell’ordine della Corona d’Italia;
  • Cavaliere di Gran croce dell’ordine della Stella d’Italia;
  • Medaglia Commemorativa della Marcia su Roma;
  • Gran Ufficiale dell’ordine di SS. Maurizio e Lazzaro;
  • Attestato di benemerenza per lavori utili alla Regia Marina in applicazione delle norme contenute nel Decreto Ministeriale del 2 luglio 1924, per alcuni studi riguardanti i servizi della Marina Mercantile.

Muore a Genova il 15 ottobre 1945.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 09/09/1930 al 31/12/1935

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Tenente Generale di Porto Pirro ALFERI OSORIO

Il Tenente Gnenerale di Porto Pirro Alferi Osorio è n​​​​​​​​​​​ato a Torino da nobile famiglia. Il giovane Pirro Alferi Osorio entra nel Corpo delle Capitanerie tramite concorso per Applicato di Porto di 2^ classe, il 12 febbraio 1883. Nei primi anni della sua carriera svolge servizio in Sicilia nella sede di Porto Empedocle. Dal 1885, invece ritorna sulla penisola nella capitaneria di Porto di Civitavecchia da dove si trasferirà con il grado di Ufficiale di 3^ classe a Genova. Intervallati da due anni presso la sede di Napoli, l’esperienza genovese porta al giovane Pirro utili insegnamenti e tanta esperienza nell’amministrazione marittima. Dal 1895 al 1902 è a capo dell’ufficio di Porto di Pozzuoli con il grado di Ufficiale di 2^ classe. Nello scalo campano sarà l’artefice di una valente opera di salvataggio nei confronti di numerosi equipaggi che naufragarono il giorno 9 dicembre 1897, sforzo che gli vale la nomina a Cavaliere nell’ordine della Corona d’Italia.  Da quel 1902 l’Ufficiale di 1^classe Pirro Alferi Osorio si trasferirà nella capitaneria di Porto di Livorno dove nel 1904 si distingue per il suo zelo ed impegno nella direzione della stessa durante l’assenza del titolare. Nel 1909 viene promosso a Capitano di Porto. Si trasferisce poi a Venezia durante i difficili anni della Prima Guerra Mondiale. Militarizzato con il grado di Maggiore, eccelle nel Comando di questo territorio sottoposto a pesanti attacchi nemici ed a ridosso della linea del fronte di guerra per la liberazione delle terre giuliane. La Croce al merito di guerra appuntata sul suo petto è la testimonianza di questa sua attitudine al Comando. Al termine della Prima Guerra Mondiale, per effetto del transito del Corpo nei quadri della Regia Marina, è promosso al grado di Colonnello. 

Dopo la permanenza veneta, torna a Livorno come Comandante del Porto e Direttore Marittimo della Toscana dal 1918 con il grado di Generale. Arriva nella sede dell’Ispettorato Centrale delle Capitanerie di Porto nel 1925. Viene nominato Tenente Generale di Porto dal 21 dicembre 1927, assumendo la nomina di Ispettore del Corpo delle Capitanerie di Porto solamente nel 1928. Colpito dai limiti di età viene posto in ausiliaria l’8 settembre 1930.    

Richiamato in servizio dal 8 settembre 1930 al 30 settembre 1931, viene posto in congedo assoluto nel 1940. 

​E’ stato insignito delle seguenti onorificenze:

  • Cavaliere dell’ordine della Corona d’Italia “ per avere egregiamente diretto con intelligenza e zelo i soccorsi per gli equipaggi di numerose navi incidentate il 9 dicembre 1897 nelle acque di Baia prendendo parte in darsena alle operazioni di salvataggio senza però astenersi a rischio di vita.”
  • Encomiato dal Ministero delle Comunicazioni per il modo lodevole con cui resse nel luglio-agosto 1904 il compartimento Marittimo di Livorno, durante l’assenza del titolare;
  • Encomiato dal Ministero delle Comunicazioni per l’opera intelligente e zelante spiegata in momenti difficili come reggente la Capitaneria di Porto di Livorno;
  • Cavaliere dell’Ordine di SS. Maurizio e Lazzaro;
  • Campagna di Guerra del 1915, 1916, 1917, 1918;
  • Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia;
  • Medaglia Commemorativa della Guerra 1915 – 1918;
  • Croce al Merito di Guerra “per quasi tre anni, durante la guerra tenne in modo altamente encomiabile il Comando del Compartimento Marittimo di Venezia in cupi circostanze dimostrando, e specialmente durante i numerosi attacchi alla Piazza, elevato spirito di energia, prontezza di decisione e noncuranza dei rischi”
  • Commendatore dell’ordine di SS. Maurizio e Lazzaro;
  • Grande ufficiale dell’ordine della Corona d’Italia;
  • Croce d’oro sormontata dalla Corona d’Italia per 40 anni di servizio.​

Si spegne a Livorno il 19 aprile 1941.

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 21/12/1927 al 08/09/1930

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Tenente Generale di Porto Giulio INGIANNI

Il Tenente Generale di Porto Giulio Ingianni n​​​ato a Marsala il 18 dicembre 1876, diplomato presso l‘Istituto Tecnico Nautico di Trapani, Giulio Ingianni viene iscritto nella terza categoria della leva obbligatoria di Porto Empedocle. Entra nell’amministrazione delle Capitanerie di Porto tramite concorso nel gennaio del 1896, con la qualifica di Applicato di Porto di 2^classe, destinato presso la Capitaneria di Porto di Porto Empedocle. Dopo la promozione ad Applicato di Porto di 1^classe, conseguita nel 1898, viene trasferito nella sede di Palermo e l’anno dopo contrae matrimonio con la signorina Giulia Fodale, da cui avrà tre figlie. In questa sede permane sino al 1904, anno in cui, passato Ufficiale di Porto di 3^classe, Giulio Ingianni viene trasferito presso l’Ispettorato del Corpo delle Capitanerie di Porto a Roma. Nella capitale trascorre gran parte della sua carriera, con l’eccezione dei periodi successivi all’entrata in guerra dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, consumati con il grado di Capitano di Porto al seguito di Francesco Mazzinghi, primo Comandante Generale del C​orpo delle Capitanerie di porto, negli scenari di conflitto del versante adriatico della penisola. Al termine della Grande Guerra partecipa a Parigi alla “Commissione delle Riparazioni di Guerra”, in cui si adopera attivamente affinché il patrimonio navale della Venezia Giulia, in particolare triestino, non sia diviso tra le potenze vincitrici del conflitto, scoraggiando, nella fattispecie, le mire inglesi sulla flotta navale ex-austriaca e quelle jugoslave. Rientra in Italia nel 1921, venendo nominato Colonnello di Porto a scelta per meriti eccezionali. Successivamente ricopre gli incarichi di Commissario Straordinario del Consorzio Autonomo del Porto di Genova e Reggente della Direzione Generale della Marina Mercantile. E’ nominato Generale Capo, Ispettore del Corpo delle Capitanerie di Porto il 19 aprile del 1925, incarico mantenuto sino al ​1927, detenendo tuttavia, anche quello di Direttore Generale della Marina Mercantile, che coprirà sino al giugno/luglio 1944. Fa parte della delegazione italiana, come esperto navale, alla conferenza di Londra per la riduzione degli armamenti nell’inverno del 1930. Cessa dal servizio nel 1939, entrando a far parte del Senato del Regno di Italia con Regio Decreto del 12 ottobre 1939 ma subito richiamato in servizio durante la Seconda Guerra Mondiale fino al 1944. Nel secondo dopoguerra, ormai ritirato dalla vita pubblica, viene investito del titolo di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana nel 1953, in tal maniera vengono riconosciuti a Giulio Ingianni l’impegno e la dedizione che per una vita ha dedicato alla marineria Italiana e al Corpo delle Capitanerie di Porto. 

Medaglie, decorazioni e riconoscenze:

  • Insegna dell’Aquila Imperiale , concessa da sua Maestà l’Imperatore di Germania Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia 6 dicembre 1923
  • Grande ufficiale dell’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro 3 giugno 1932
  • Grande ufficiale dell’Ordine coloniale della Stella d’Italia 30 giugno 1937 
  • Medaglia commemorativa della guerra 1915-18 
  • Medaglia a ricordo dell’unità d’Italia Croce d’onore per anzianità di servizio 
  • Croce al merito di guerra 
  • Medaglia mauriziana al merito di dieci lustri di servizio militare

Muore a Roma il 10 luglio 1958. 

 

 Comandante Generale delle Capitanerie di Porto 19/04/1925 al 21/12/1927

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Generale di Porto Ispettore Federico MANDILLO

Il Generale di Porto Ispettore Federico Mandillo è nato a Torino il 22 febbraio 1865: Diplomato all’Istituto tecnico sezione Commercio e Ragioneria, appena ventenne, entra nelle Capitanerie di Porto tramite concorso per Applicato di Porto il 22 febbraio 1885. Destinato presso la Capitaneria di Palermo, dal 1885 al 1896, lì ottiene le varie promozioni ai gradi superiori, Applicato di1^classe nel 1887, ufficiale di Porto di 3^classe nel 1889 per concorso interno, Ufficiale di 2^ classe nel 1890. Successivamente presta servizio a Civitavecchia sino al 1899. A cavallo del secolo, dopo pochi mesi in servizio presso l’Ispettorato delle Capitanerie di Porto a Roma, Federico Mandillo viene trasferito ad Ancona, dove rimarrà sino al 1904. Alle pendici del monte Conero, dimostra tutto il suo valore, guadagnandosi una gratificazione pecuniaria per le azioni svolte a soccorso del piroscafo di nuova costruzione “Regina Elena”, incagliatosi sullo scalo di un cantiere ad Ancona durante il dicembre 1902. Ed è sempre qui che effettua la sua prima esperienza di comando per alcuni mesi, dall’agosto al dicembre 1904. Ritornato all’Ispettorato del Corpo per quattro anni, ricopre poi i ruoli di Comandante della Capitaneria di Siracusa, e di Comandante in II di quella di Napoli, dove viene elogiato per l’organizzazione degli aiuti alla popolazioni colpite da un epidemia colerica. Già Capitano di Porto, rientra a Roma solo per alcuni mesi, a Capo del 2° Reparto del Comando Generale del Corpo. Il 10 ottobre del 1911 sarà imbarcato per Tripoli, in qualità di primo Comandante della futura Capitaneria di Porto libica. Il lavoro da lui svolto sui territori della quarta sponda, sono i primi esempi di ausilio del Corpo in operazioni tipicamente militari, e gli valgono la nomina a Cavaliere nell’Ordine di SS. Maurizio e Lazzaro. Il Corpo durante gli anni del conflitto italo-turco si occupa dell’organizzazione dell'imbarco di uomini e di materiali nonché degli sbarchi sulla costa africana. Al successo delle operazioni, dovuto altresì all'efficiente funzionamento dei servizi portuali, seguì l'organizzazione dei porti nei territori occupati, in modo da assicurare il costante collegamento dell'Italia con le sponde africane. Nel 1913 rientra dall’Africa, diretto al comando del Reparto Tecnico dell’Ispettorato del Corpo delle Capitanerie, incarico mantenuto sino al 1914. Militarizzato con il grado di Tenente Colonnello, durante tutto il primo conflitto mondiale comanda il porto di Ancona, quello stesso porto dal quale partivano le gloriose azioni dei MAS del Capitano di Corvetta Luigi Rizzo. Per l’eccelsa opera d’amministrazione del porto, si guadagna una Croce al merito di Guerra. Transita nei quadri della Regia Marina con il grado di Colonnello. Dopo la Grande Guerra dirige la Direzione Marittima della Campania sino al 1920. Promosso prima Brigadiere Generale di Porto e poi Maggiore Generale di Porto in soprannumero, dal 15 marzo 1923 è a Roma, all’Ispettorato Generale, prima come Capo Divisione e poi come Sottocapo Ispettore del Corpo rispettivamente. Ne assume il Comando solo dal gennaio all’aprile 1925, prima di essere posto in ausiliaria per raggiunti limiti di età. 

È stato insignito delle seguenti onorificenze/decorazioni:

  • Con dispaccio del 19 febbraio 1902 gli è stata concessa una gratificazione pecuniaria, per l’energia dimostrata e per le pronte e sagge disposizioni date nella notte dall’11 al 12 dicembre, nella grave circostanza del disincaglio del piroscafo di nuova costruzione “Regina Elena” che era rimasto sullo scalo del cantiere di Ancona. 
  • Elogiato per le prove di intelligenza ed operosità dimostrate durante l’epidemia colerica del 1910 a Napoli.
  • ​​​Cavaliere dell’ordine di SS. Maurizio e Lazzaro “ inviato a Tripoli nei primi giorni dell’ottobre 1911, impiantò ed organizzò i servizi della Capitaneria di Porto, coadiuvando le operazioni di sbarco e dando prova di grande attività, intelligenza ed abnegazione.
  • Medaglia Commemorativa della Guerra Italo Turca 1911-1912.
  • Medaglia commemorativa della guerra 1915 – 1918
  • Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia Croce d’oro sormontata dalla Corona d’Italia per 40 anni di servizio. Encomiato dal Capo delle Capitanerie di Porto, per aver prontamente ed efficacemente organizzato e diretto, partecipando personalmente alle operazioni di salvataggio, i soccorsi ai naufraghi del cutter “Francesco M.”, naufragato il 3 dicembre 1912, sotto l’imperversare di un violento fortunale, sulla spiaggia di levante del porto di Tripoli. 
  • ​Autorizzato a fregiarsi del distintivo in ricordo della guerra contro gli austriaci “Fatiche di Guerra”
  • Ufficiale dell’ordine della Corona di Italia Campagna di guerra 1915 -16 -17 -18
  • ​Ufficiale dell’ordine di SS. Maurizio e Lazzaro
  • ​Croce al Merito di Guerra:​ “​Durante tutta la guerra tenne in modo altamente encomiabile il Comando del Compartimento Marittimo di Ancona, dando prova in ogni circostanza e specialmente in occasione del bombardamento del 24 maggio 1915, e durante le diverse incursioni aree, di elevato spirito di energia, prontezza di decisione e non curanza dei rischi."

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 01/01/1925 al 18/04/1925

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Generale Capo di Porto Ernesto POLICASTRO

Il Generale Capo di Porto Ernesto Policastro, nasce in un piccolo centro della Lucania, Trivigno, l’11 gennaio 1862. Spinto dal suo amore per il mare, entra nel Corpo delle Capitanerie di Porto il 1 febbraio 1883, dopo aver superato il concorso. Nell’arco dei suoi primi anni lavorativi presta servizio a Castellamare di Stabia, La Maddalena, Catania e Castellamare del Golfo, nelle cui sedi ricopre incarichi minori. Nel 1887, con il grado di Applicato di Porto di 1^ classe viene trasferito all’Ufficio Marittimo di Sciacca, dove rimane per tredici lunghi anni. All’inizio del nuovo secolo da Ufficiale di Porto di 1^ ritorna nella penisola a Napoli. Dalla città partenopea andrà via solamente otto anni più tardi per la sua prima esperienza di comando a Pizzo Calabro prima e Messina poi, per il complessivo periodo tra il 1908 e il 1914. 

Alla vigilia della P​rima Guerra Mondiale viene mandato nell’isola italiana di Rodi al comando della locale Capitaneria, con il grado di Tenente Colonnello, per gli effetti della temporanea militarizzazione del Corpo avvenuta a seguito del primo conflitto mondiale. Dopo un anno, rientra in Italia, prendendo il Comando della Direzione Marittima di Livorno dal 1915 al 1918, e successivamente di Palermo per tutto il 1918. Infine presiede il Governo Marittimo di Trieste, ente asburgico con parziali omologhi compiti delle Capitanerie di Porto, dal 12 novembre 1918. Assume la denominazione di Maggiore Generale allorquando il Corpo transiterà definitivamente nei quadri della Regia Marina nel 1919 (Regio Decreto n. 2142 del 2 novembre 1919). Rimane nella città giuliana sino al 1920, anno in cui viene nominato Ispettore del Corpo delle Capitanerie, con il grado di Generale di Porto. Incarico questo che manterrà sino al 1925, quando per raggiunti limiti di età cesserà dal servizio attivo. Nominato Tenente Generale Ispettore in ausiliaria, è richiamato in servizio dal 1 giugno 1927 al 1 marzo 1929. 

È stato insignito delle seguenti decorazioni ed onorificenze:

  • Distintivo con il Motto “Libia”;
  • Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia;
  • Commendatore dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro;
  • Medaglia commemorativa della guerra 1915 – 1918;
  • Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia;
  • Campagna di guerra 1915;
  • Croce d’oro per anzianità di servizio (25 anni);
  • Croce d’oro sormontata dalla Corona d’Italia per 40 anni di servizio.

Muore a Roma il 11 gennaio 1933. 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 01/05/1919 al 31/12/1924

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Generale di Porto Ispettore Francesco MAZZINGHI

Il Generale di Porto Ispettore Francesco Mazzinghi, nato a Livorno il 18 dicembre 1852, compie l’anno di volontariato nel 1871-72 alle dipendenze del 27° distretto del Regio Esercito, nella sede genovese del Segretariato Generale dell’Ufficio Operazioni Militari, con il grado di caporale. Entra, nel 1874, a far parte del Corpo delle Capitanerie di Porto, fondato da poco con il R.D. n. 2438 del 1865, tramite concorso pubblico, con il grado di Applicato di Porto di 2^classe. Viene destinato nelle sedi di Livorno e Genova. Qui incontra la sua futura moglie, Maria Caterina Bersani, sposata nel 1876, Da quest’ultima sede viene trasferito a Meta di Sorrento, dove farà la sua prima esperienza di comando, con il grado appena conseguito di Ufficiale di Porto di 3^classe. Ritorna a Livorno il 1 gennaio 1882. Lascerà di nuovo la sua città solo nel 1891, dopo esser stato promosso ad Ufficiale di Porto di 1^classe, chiamato a Genova e poi a La Spezia. Dal 1899 viene impiegato presso la Divisione Porti e Spiagge del Ministero della Marina Mercantile a Roma. Viene destinato successivamente a Bari nel 1905 con il grado di Capitano di porto di 2^ classe. Con la promozione a scelta al grado di Capitano di porto di 1^Classe rientra nella sede di Livorno. Nel 1910 prende il Comando del Corpo delle Capitanerie di porto, con il grado di Generale di Porto Ispettore, divenendo il primo Comandante Generale del Corpo, che proprio in quell’anno con il R.D. n 857 vedeva sancita la nascita dell’Ispettorato Generale, con sede a Roma. Francesco Mazzinghi traghetta il Corpo durante i difficili anni a cavallo della Prima Guerra Mondiale, anni in cui le Capitanerie partecipano con i loro uomini e mezzi allo sbarco in Africa nel conflitto Italo-Turco del 1911 e successivamente si ritrovano a fronteggiare la Grande Guerra Mondiale, aiutando la Marina Militare nella mobilitazione del personale militare, nella difesa delle coste e nella requisizione di naviglio mercantile per fini bellici. Mazzinghi era al comando del Corpo durante l’opera di salvataggio dell’esercito serbo, bell’esempio di solerzia e dedizione alla nobile causa della salvaguardia della vita umana in mare. Nel 1919 viene riconosciuta la militarizzazione del Corpo, contemporaneamente quasi all’uscita di scena di Francesco Mazzinghi, colpito dai limiti di età. Nel periodo dell’occupazione militare della Venezia Giulia sarà richiamato a presiedere il Governo Marittimo di Trieste, istituzione cui era devoluto il governo di tutte le faccende marittime del litorale austriaco, poi scomparsa per l’assorbimento di questa nelle subentranti istituzioni italiane. 

Medaglie, decorazioni e riconoscenze 

  • Corona di Prussia di 3^ classe nel 1905. 
  • Medaglia commemorativa nazionale della guerra 15 -18. 
  • Croce al merito di guerra, con la seguente motivazione: Con chiara intelligenza e grande attività diresse durante tutta la guerra l’importante servizio delle capitanerie di porto recandosi in luoghi della​ costiera adriatica mentre erano sottoposti ad offesa dal mare e dal cielo, dando prova di elevato spirito di energia e noncuranza dei rischi
  • Medaglia a ricordo dell’Unità Nazionale. 
  • Medaglia interalleata della Vittoria. 
  • ​​Cavaliere di Gran Croce decorato del Gran cordone dell’Ordine di SS. Maurizio e Lazzaro 
  • ​​​Commendatore dell’Ordine Generale della Stella d’Italia con sovrano motu proprio.

Muore a Roma il 12 Gennaio 1938. 

 

Comandante Generale delle Capitanerie di Porto dal 1910 al 30/04/1919

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Dipendenze funzionali

Il Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera è un Corpo della Marina Militare [34] che svolge compiti e funzioni collegate in prevalenza con l'uso del mare per i fini civili e con dipendenza funzionale da vari ministeri che si avvalgono della loro opera: primo fra tutti il «Ministero delle infrastrutture e dei trasporti» che ha "ereditato", dal Ministero della marina mercantile, la maggior parte delle funzioni collegate all'uso del mare per attività connesse con la navigazione commerciale e da diporto e sul cui bilancio gravano le spese di funzionamento. Il Corpo dispone di un organico complessivo di circa 11.000 persone tra Ufficiali, Sottufficiali e Truppa.

I servizi d'istituto sono effettuati con dipendenza da diversi Organi dello Stato, dei quali il «Comando Generale del Corpo delle Capitanerie» è l'interfaccia naturale. A tale immediata e diretta dipendenza funzionale, se ne aggiungono altre che parimenti il Corpo esercita per conto di altre Amministrazioni dello Stato - tutte aventi come denominatore comune il mare e la navigazione - sia nella veste di "Organo periferico" della rispettiva Amministrazione centrale, sia quale "Organo di polizia marittima” per quanto concerne gli aspetti di tutela, di vigilanza e repressivi.
Fra queste, l’attività più importante è la gestione della “pesca marittima”, espletata per conto del Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali – Dir. Generale Pesca ed Acquacoltura, che si esplica ai sensi della Legge n. 491/93 sia quale Organo amministrativo periferico del Ministero (tramite rilascio licenze ministeriali, attestazioni provvisorie, istruttoria pratiche concernenti benefici contributivi, ecc.) sia quale Organo di polizia marittima sulla intera filiera della pesca, dalla cattura alla successiva commercializzazione, tramite il "Centro Controllo Nazionale Pesca" (C.C.N.P.) del Comando Generale del Corpo ubicato direttamente presso detto Ministero, e tramite i "Centri Controllo Area Pesca" (C.C.A.P.), esistenti presso le Direzioni Marittime, applicando altresì in tale specifica attività anche direttive comunitarie.

Altra dipendenza funzionale del Corpo si ha col “Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare [35]”, per conto del quale le Capitanerie di Porto curano tutta l’attività connessa alla tutela dell’ambiente marino ai sensi della Legge 31 dicembre 1982, n. 979 (Disposizioni per la difesa del mare .. [36]come modif. dal D.lgs. n. 202/2007) e successiva Legge 28 gennaio 1994, n. 84 [37]e successive modificazioni [37] (Riordino della legislazione in materia portuale), nonché, per quanto applicabile, della Direttiva CE 2008/99 sulla tutela penale dell’ambiente sia intesa quale attività di prevenzione, di bonifica e repressione dell’inquinamento marino, sia quale tutela dell’ecosistema e delle specie marine protette, sia come gestione e tutela delle Riserve Marine giusta Legge 6.12.1991, n. 394 [38], attività queste che sono gestite per il tramite del "Reparto Ambientale Marino" (R.A.M.) del Corpo delle Capitanerie di Porto istituito presso il Ministero dell’Ambiente.

Naturalmente il Corpo delle Capitanerie di Porto, quale Corpo della Marina Militare, svolge anche compiti e funzioni quale Organo periferico del “Ministero della Difesa”, fra i quali vanno annoverati:

  1. "operazioni di leva di mare" (attualmente sospese);
  2. "reclutamento volontari";
  3. "mobilitazione M.M." (su dipendenza dei Dipartimenti Militari Marittimi);
  4. "documentazione matricolare" (per il personale in congedo):
  5. "difesa instaIlazioni e strutture portuali";
  6. "polizia militare" (art. 32 L. 1178/1926);
  7. "organizzazione e la partecipazione a cerimonie militari e civili";
  8. "attività di peacekeeping all’estero" (Albania, Balcani, Libano, ecc.).

Oltre a queste attività, ricomprese fra i principali compiti d’istituto svolti dal Corpo, ve ne sono altre, svolte essenzialmente in funzione di “ Polizia Marittima ”, anche in via sussidiaria ed ancillare, in concorso con altre Forze di Polizia, per conto di altre Amministrazioni, fra le quali possono menzionarsi:

  1. Direzione centrale per le politiche dell'Immigrazione e dell'Asilo... [39](T.U. antimmigrazione: Legge n. 286/98 – art. 12 comma 9 bis-ter-quater Legge n . 106/02), concorso ad attività di Ordine Pubblico svolte sul Demanio marittimo e portuale, vigilanza e coordinamento per attività connesse alle procedure di “security” portuale, partecipazione a Commissioni locali (Comitato Provinciale Ordine e Sicurezza Pubblica – art. 16 L. 26.03.01, n° 128; Commissione Tecnica Provinciale Materie Esplodenti – art. 89 R.D. 18.06.31, n° 773 – T.U.L.P.S.); compiti e funzioni quale Autorità di P.S. (art. 82, comma 2° Cod nav.); servizi di Polizia Stradale (art. 12 C.d.S. e art. 22 Reg. di esecuzione C.d.S.), supporto alle attività di Protezione Civile (art. 11 L. 24.02.92, n° 225 );
  2. Ministero della giustizia [40]: l’attività svolta per tale Dicastero si concretizza fondamentalmente nell’attività repressiva ed investigativa svolta, ex artt. 1235 e 1236 Cod. nav. e art. 57 c.p.p., dal personale del Corpo sia d’iniziativa che su delega delle locali Procure della Repubblica; a questa si possono aggiungere altre attività, quali le funzioni di coordinamento marittimo per l’attività antimmigrazione espletate su direttive delle Procure Distrettuali presso le Corti d’Appello (c.d. ”Direttiva Vigna”), e le attività di collaborazione coi Centri di Giustizia Minorile per il recupero dei minori entrati nel circuito penale attraverso l’inserimento degli stessi nelle attività lavorative marittime;
  3. Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo [41]: l’attività svolta per tale Dicastero si estrinseca in compiti di vigilanza a mare sui siti archeologici marini, controllo dei relitti sommersi, ed attività di assistenza alle operazioni di ricerca e recupero (artt. 94, comma 1^ e 142, comma 1^ lett.a) “Codice dei Beni Culturali” - D.lgs. 22.01.04, n° 41).
  4. Dipartimento Protezione Civile [42]: attività svolta per la gestione delle emergenze di protezione civile lungo le coste e in mare ai sensi della Legge n. 979 del 1982 (inquinamento delle coste);
  5. Regioni ed Enti locali: in materia di amministrazione del Demanio Marittimo destinato ad uso turistico ricreativo ai sensi del D.P.R. n. 684 del 1997 (per la Regione Sicilia) e del D.L. n. 559 del 1995 (per le restanti regioni costiere).

Infine, con l’entrata in vigore della Legge n. 559/95 che ha disposto il passaggio alle "Regioni" dell’amministrazione del Demanio Marittimo, ramo turistico-balneare, le Capitanerie di Porto esplicano anche "funzioni amministrative" (laddove esiste una convenzione in tale senso) e di "polizia" per conto delle Regioni.

Tali peculiari attività, svolte alle dipendenze dei suddetti Dicasteri, andranno quindi ad esplicitarsi, rispettivamente, attraverso le seguenti funzioni:

  1. attività di polizia amministrativa , risolventesi nell’esercizio, in via esclusiva, di un peculiare potere normativo e regolamentare in materia di navigazione, demanio marittimo e portuale;
  2. attività esercitata quale “amministrazione attiva” , svolta quale Amministrazione statale periferica, su alcuni specifici settori istituzionali alla stessa demandate, ed esplicitatesi principalmente nel rilascio di concessioni, autorizzazioni, abilitazioni;
  3. attività di polizia marittima , svolta sia propriamente quale Organo di Polizia Giudiziaria, sia nell’esercizio di specifici compiti di Polizia di Sicurezza, limitatamente tuttavia alle attività d’istituto.

 

 

Esercizio dei compiti militari e relativo quadro delle dipendenze

Per le linee di attività richiamate dall'art. 137 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66 - Codice dell'ordinamento militare (C.O.M.)

Art. 132  - Istituzione e funzioni militari del Corpo delle Capitanerie di porto

​1.  Il ​​Corpo​ delle C​apitanerie di porto dipende dalla Marina Militare, ai sensi dell' articolo 118 ed esercita, in tale ambito, le seguenti competenze:​

  • concorre alla difesa marittima e costiera, ai servizi ausiliari e logistici della Forza armata, all'applicazione delle norme del diritto internazionale marittimo e all'esercizio della polizia militare;
  • presiede i consigli di leva marittima e ne fa parte; adempie alle operazioni per la formazione del contingente di leva; arruola e avvia gli iscritti sotto le armi; tiene i ruoli e le matricole degli uomini in congedo illimitato; compie le operazioni inerenti alla mobilitazione della Forza armata;
  • adempie ogni altra attività a supporto della Forza armata in coerenza con le disposizioni del presente codice e della normativa in esso richiamata.

2.  Il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera concorre, in particolare, nell’ambito della Forza armata, allo svolgimento delle seguenti attività: ​​​

​​​a)  assicurare la difesa dello Stato mediante:​

  • la protezione delle unità navali e delle installazioni di interesse militare;
  • il pattugliamento e la sorveglianza della fascia costiera;
  • il supporto logistico alle forze navali nazionali e Nato nei sorgitori dove non è presente un'Autorità della Marina militare;
  • l'esercizio della funzione di presidio militare su delega degli Alti comandi periferici della Marina militare;
  • la partecipazione di uomini e mezzi sia alle attività presso i centri di addestramento della Marina militare sia alle esercitazioni aeronavali;
  • il supporto ai nuclei operatori subacquei, compatibilmente con le primarie esigenze di servizio;

b​)  realizzare la pace e la sicurezza internazionale mediante:

  • la partecipazione alle missioni di embargo disposte dagli organismi internazionali preposti, attraverso il controllo e le ispezioni di unità mercantili;
  • la partecipazione al dispositivo navale di sorveglianza delle coste e delle acque interne di Paesi terzi a seguito di accordi internazionali;
  • lo svolgimento di operazioni di interdizione di carattere internazionale e di peace building nel settore della riorganizzazione dei servizi portuali e dei trasporti marittimi;
  • l'attività di formazione e di addestramento degli equipaggi appartenenti a marine estere;

c)  supportare l'organo cartografico di Stato (IIMM) per quanto concerne la documentazione nautica;

​d) svolgere i servizi militari attinenti al personale marittimo, alla difesa dei porti, delle installazioni militari e del naviglio mercantile indicati nel Regolamento, nonché gli altri compiti assegnati alla Marina militare.

​3.  Gli uffici periferici del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera dipendono, quanto ai servizi attinenti alla Marina militare, dai Comandi in capo​​ di dipartimento militare marittimo e dai Comandi m​ilitari marittimi autonomi di zona.​​​​

 

Dipendenza funzionale e organizzativa

► Per i compiti e le funzioni previste dal Codice della Navigazione e dalle leggi speciali marittime​​ elencate in via compilativa da Codice dell'Ordinamento Militare (C.O.M.)

Art. 134 - Esercizio di funzioni dipendenti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti​

1.  Il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera:​

  • esercita le ​competenze relative alle materie del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per cui la legge e altre disposizioni normative prevedono la diretta attribuzione allo stesso;
  • svolge, in regime di avvalimento, le attività a esso conferite nei settori riconducibili al competente Dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi e statistici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

2.  Nell'ambito delle funzioni di cui al comma 1, il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera, attraverso le proprie articolazioni periferiche:

  • svolge la funzione generale di Autorità marittima ai sensi del codice della navigazione;
  • ferme restando le attribuzioni in materia di coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo, di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 662, è competente per l'esercizio delle funzioni di ricerca e salvataggio in mare, ai sensi degli articoli 69, 70 e 830 del codice della navigazione, di disciplina, monitoraggio e controllo del traffico navale, di sicurezza della navigazione e del trasporto marittimo, nonché delle relative attività di vigilanza e controllo, ai sensi del codice della navigazione, della legge 28 dicembre 1989, n. 422 e delle altre leggi speciali.

3.  Il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera esercita ulteriori funzioni relativamente alle seguenti materie:

  • comando dei porti ed esercizio delle funzioni di Autorità di sicurezza in materia di prevenzione da minacce, ai sensi del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 203;
  • polizia nei porti e in corso di navigazione;
  • sicurezza generale nei porti e nelle relative adiacenze, ai sensi dell'articolo 81 del codice della navigazione e, nei termini previsti dall'articolo 82 del predetto codice, sulle navi in porto e in corso di navigazione nel mare territoriale;
  • polizia marittima;
  • demanio marittimo ed esercizio dei relativi poteri di polizia amministrativa;
  • personale marittimo;
  • regime amministrativo della nave;
  • diporto nautico;
  • soccorso e polizia di sicurezza della navigazione nei laghi e nelle acque interne;
  • autorità portuale nei porti in cui non è istituita un'Autorità portuale;
  • servizi tecnico-nautici;
  • sicurezza delle attività lavorative nei porti e a bordo di navi, ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
  • attività ispettiva in funzione di Port State Control Flag State, rispettivamente ai sensi delle direttive 2009/16/CE, 2009/15/CE e 106/2001/CE e successive modifiche;
  • indagini e inchieste sui sinistri marittimi al fine di individuarne cause, circostanze e responsabilità in linea con la previsione del codice della navigazione e del relativo regolamento di esecuzione, nonché ai sensi del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 28;
  • responsabilità civile per i danni dovuti a inquinamenti da combustibile delle navi;
  • altre materie previste dal codice della navigazione e dalle altre leggi speciali che demandano al Corpo specifiche funzioni.

► Per le linee di attività richiamate dall'art. 135 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n​. 66 - Codice dell'ordinamento militare

Art. 135  Esercizio di funzioni dipendenti dal Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare

1. Il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera dipende funzionalmente dal Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell' articolo 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e dell' articolo 3 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, esercitando funzioni di vigilanza e controllo in materia di tutela dell'ambiente marino e costiero.

2.  In dipendenza delle ​​attribuzioni di cui al comma 1, e fermo restando quanto previsto dall' articolo 12 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera esercita, in particolare, le sottoelencate funzioni:

  • nelle zone sottoposte alla giurisdizione nazionale svolge, in via prevalente, le attività di controllo relative all'esatta applicazione delle norme del diritto italiano, del diritto dell'Unione europea e dei trattati internazionali in vigore per l'Italia in materia di prevenzione e repressione di tutti i tipi di inquinamento marino, ivi compresi l'inquinamento da navi e da acque di zavorra, l'inquinamento da immersione di rifiuti, l'inquinamento da attività di esplorazione e di sfruttamento dei fondi marini e l'inquinamento di origine atmosferica, nonché in materia di protezione dei mammiferi e della biodiversità;
  • nelle acque di giurisdizione e di interesse nazionale esercita, per fini di tutela ambientale e di sicurezza della navigazione, ai sensi della legge 7 marzo 2001, n. 51, il controllo del traffico marittimo;
  • c)  provvede, ai sensi degli articoli 135, 2° comma, e 195, 5° comma, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, alla sorveglianza e all'accertamento delle violazioni in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche se dalle stesse possono derivare danni o situazioni di pericolo per l'ambiente marino e costiero, nonché alla sorveglianza e all'accertamento degli illeciti in violazione della normativa in materia di rifiuti e alla repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti;
  • esercita, ai sensi dell' articolo 19 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, la sorveglianza nelle aree marine protette e sulle aree di reperimento;
  • ai sensi dell' articolo 296, comma 9, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo, accerta le violazione e irroga le sanzioni di cui ai commi da 5 a 8 del predetto articolo;
  • per le attività di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 dicembre 1982, n. 979, attraverso la sua organizzazione periferica a livello di compartimento marittimo, opera, ai sensi della legge 16 luglio 1998, n. 239, articolo 7, sulla base di direttive vincolanti, generali e specifiche, del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare; in forza della medesima disposizione normativa per altri interventi e attività in materia di tutela e difesa del mare, il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare può avvalersi anche del Corpo delle capitanerie di porto, sulla base di specifiche convenzioni.​

► Per le linee di attività richiamate dall'art. 136 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66 - Codice dell'ordinamento militare

Art. 136  Esercizio di funzioni dipendenti dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali

1.  Il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera dipende funzionalmente dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ai sensi del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 153, per l'esercizio delle funzioni delegate in materia di pesca marittima.

2.  In dipendenza delle attribuzioni ​​di cui al comma 1, il Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera esercita, in particolare, le sott​o elencate funzioni:​

  • direzione, vigilanza e controllo sulla filiera della pesca, ai sensi dell' articolo 21 della legge 14 luglio 1965, n. 963;
  • attività amministrativa in materia di pesca marittima sulla base di direttive impartite dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ai sensi dell' articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 153;
  • in base a quanto disposto dall' articolo 7, comma 2, del citato decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 153, centro di controllo nazionale della pesca, sulla base degli indirizzi concertati con le Regioni e in aderenza ai principi generali di cui all' articolo 118 della Costituzione;
  • vigilanza e controllo sull'esatto adempimento delle norme relative alle provvidenze in materia di pesca previste dalla normativa nazionale e comunitaria;
  • verifica della corretta applicazione delle norme sul commercio di prodotti ittici e biologici marini;
  • partecipazione, mediante personale specializzato, alle attività di verifica sull'esatto adempimento della normativa comunitaria in materia di pesca, in base alla pianificazione, e alle discendenti fasi operative, disposte dai competenti organi comunitari.

► Per le linee di attività richiamate dall'art. 137 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66 - Codice dell'ordinamento militare

​Art. 137  Esercizio di funzioni dipendenti da altri Ministeri

1.  Il Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera svolge, nell'ambito delle attribuzioni di polizia giudiziaria previste dall'articolo 1235 del codice della navigazione e da altre leggi speciali, nonché ai sensi dell'articolo 57, comma 3, del codice di procedura​​​​ penale, le sottoelencate funzioni, riconducibili nelle più general​​i competenze di altri ministeri:

  • esercita l'attività di polizia stradale, ai sensi dell' articolo 12, comma 3, lettera f), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;
  • presta, ai sensi dell' articolo 11 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nell'ambito della struttura permanente presso il Dipartimento della protezione civile, la necessaria collaborazione operativa per la pianificazione e la gestione delle emergenze in mare;
  • concorre nell'attività di contrasto al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, nei termini stabiliti dagli articoli 5 e 99 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;
  • d) concorre nell'attività di contrasto all'immigrazione illegale, ai sensi dell' articolo 11, comma 1, lettera d), della legge 30 luglio 2002, n. 189;
  • concorre alla vigilanza finalizzata all'individuazione e alla salvaguardia dei beni del patrimonio storico, artistico e archeologico, con particolare riguardo ai reperti archeologici sommersi;
  • attua le competenze a esso demandate in materia di disciplina del collocamento della gente di mare.​

 

Le principali linee di attività del Corpo

L’ampiezza e la varietà delle attività svolte pongono le Capitanerie di porto come Organo di riferimento per le «attività marittime» e ne fanno un vero e proprio “sportello unico” nei rapporti con l’utenza del mare.

Il Corpo si configura come una struttura altamente specialistica, sia sotto il profilo amministrativo che tecnico-operativo, per l’espletamento di funzioni pubbliche statali che si svolgono negli spazi marittimi di interesse nazionale. Tali spazi comprendono 155.000 Kmq di acque marittime interne e territoriali, che sono a tutti gli effetti parte del territorio dello Stato, nonchè ulteriori 350.000 Kmq di acque sulle quali l'Italia ha diritti eslusivi (sfruttamento delle risorse dei fondali) o doveri (soccorso in mare e protezione dell'ambiente marino): un complesso di aree marine di estensione quasi doppia rispetto all'intero territorio nazionale che, com'è ben noto ammonta a 301.000 Kmq.

Secondo le linee di tendenza che si stanno affermando in Europa, l’Autorità marittima – Guardia costiera deve esercitare un effettivo controllo sui mari per la "salvaguardia della vita umana", per la "sicurezza della navigazione", per il "corretto svolgimento delle attività economiche" (pesca e sfruttamento della piattaforma continentale) e per la "tutela dell’ambiente marino".

► Le principali linee di attività del Corpo sono le seguenti:

  • ricerca e soccorso in mare (SAR), con tutta l’organizzazione di coordinamento, controllo, scoperta e comunicazioni attiva nelle 24 ore che tale attività comporta;
  • sicurezza della navigazione, con controlli ispettivi sistematici su tutto il naviglio nazionale mercantile, da pesca e da diporto e, attraverso l’attività di Port State Control, anche sul naviglio mercantile estero che scala nei porti nazionali;
  • protezione dell’ambiente marino, in rapporto di dipendenza funzionale dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare, utilizzando sinergicamente a tal fine anche risorse (centrali operative, mezzi aereonavali, sistemi di controllo del traffico navale) già attivati per compiti di soccorso, sicurezza della navigazione e di polizia marittima;
  • controllo sulla pesca marittima, in rapporto di dipendenza funzionale con il Ministero per le politiche agricole e forestali: a tal fine il Comando generale è l’Autorità responsabile del "Centro Nazionale di Controllo Pesca" e le Capitanerie effettuano i controlli previsti dalla normativa nazionale e comunitaria sull’intera filiera di pesca;
  • aministrazione periferica delle funzioni statali in materia di formazione del personale marittimo, di iscrizione del naviglio mercantile e da pesca, di diporto nautico, di contenzioso per i reati marittimi depenalizzati;
  • polizia marittima (cioè polizia tecnico-amministrativa marittima), comprendente la disciplina della navigazione marittima e la regolamentazione di «eventi» che si svolgono negli spazi marittimi soggetti alla sovranità nazionale, il controllo del traffico marittimo, la manovra delle navi e la sicurezza nei porti, le inchieste sui sinistri marittimi, il controllo del demanio marittimo, i collaudi e le ispezioni periodiche di depositi costieri e di altri impianti pericolosi.

 

 

La struttura periferica del Corpo delle Capitanerie di porto

Per il necessario decentramento, e per l'applicazione delle norme emanate dall'Amministrazione attiva centrale sono stati istituiti Organi posti nelle località più adatte del territorio dello Stato, che rappresentano l'espressione funzionale periferica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Questi organi periferici, o locali, costituiscono, nel loro insieme, la «Amministrazione diretta attiva periferica» della navigazione marittima. e ciascun organo ha giurisdizione solo su una parte del territorio stesso.
A livello periferico, il litorale dello Stato è suddiviso in circoscrizioni marittime . Queste sono le “
Zone marittime”, divise in “Compartimenti marittimi”, a loro volta suddivisi in “Circondari marittimi”.
In ogni Zona esiste un "Ufficio" della zona marittima (Direzione marittima); in ogni Compartimento una "Capitaneria di porto", in ogni Circondario un "Ufficio Circondariale marittimo" (D.P.R. 699/1944).

I rispettivi responsabili (Direttori Marittimi, Capi del Compartimento e Capi del Circondario) sono definiti "Autorità marittime" (art. 2 Legge n. 84/94). Il Direttore marittimo è anche Capo del compartimento in cui ha sede l’ufficio della Direzione marittima e il Capo del compartimento è anche Capo del Circondario in cui ha sede l’ufficio compartimentale.
Il Capo del Compartimento, il Capo del Circondario e i Capi degli altri Uffici Marittimi di pendenti sono "
Comandanti del Porto o dell'approdo", in cui hanno sede (art. 16 Cod. nav.).

  • Nella normativa e nella prassi si usano promiscuamente i termini di «Capo del circondario» e «Comandante di porto». Ai comandanti di porto competono le attribuzioni amministrative di maggior rilevanza inerenti alla navigazione e al traffico marittimo.

Operano a livello locale in autonomia dai predetti organi anche le “Autorità portuali” istituite con la Legge n. 84/94 nei principali porti del Paese, con compiti di indirizzo, coordinamento e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività esercitate in ambito portuale.

La "struttura periferica" del Corpo delle Capitanerie di porto (organizzzaione territoriale), distribuita lungo gli 8.000 chilometri dello sviluppo costiero nazionale, prevede attualmente:

  • 15 Direzioni Marittime, cui fanno capo altrettanti Comandi Operativi di Zona Marittima (COZOMA);
  • 1 Autorità dello Stretto di Messina (AMS);
  • 55 Capitanerie di Porto;
  • 51 Uffici Circondariali Marittimi;
  • 128 Uffici Locali Marittimi;
  • 61 Delegazioni di spiaggia;
  • 3 Nuclei Aerei, con aerei ad ala fissa con sede a Sarzana (La Spezia), Catania e Pescara;
  • 1 Sezione Elicotteri dislocata a Sarzana;
  • 1 Stazione satellitare Cospas/Sarsat di Bari (in sinergia con la Protezione Civile) ;
  • 2 Stazioni Loran-C (Sellia Marina e Lampedusa);
  • 5 Nuclei Operativi Subacquei (San Benedetto del Tronto, Napoli, Messina, Cagliari e Genova);
  • 1 Reparto Ambientale Marino, presso il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio;
  • 1 Reparto Pesca, presso la Direzione Generale della Pesca del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali;·
  • 2 Nuclee Unità Navali (lago di Garda e lago Maggiore);
  • 1 Reparto Supporto Navale di Messina;
  • 1 Centro di formazione specialistica VTMIS

 

VTSL -  "Bonifacio Traffic" - Forte di San Vittorio
di Guardia Vecchia
 


"Il FORTE SAN VITTORIO", risale al XIX° secolo, si trova nell’Italia insulare, in Sardegna, in provincia di Olbia-Tempio, nel Comune di La Maddalena (Arcipelago di La Maddalena), a 159 metri s.l.m. e alle coordinate geografiche 41°13’N9°24’E. Il suo scopo era la protezione di forti e batterie dell’isola, nonché prigioni.

 

Attribuzioni delle Direzioni Marittime

Le Direzioni marittime1 sono state istituite col compito di decentrare e sveltire l'Amministrazione attiva centrale. Attualmente, come anzi detto, sono 15 e hanno sede a Genova (Liguria), Livorno (Toscana), Roma (Lazio), Napoli (Campania), Reggio Calabria (Calabria), Bari (Puglia), Ancona (Marche), Pescara (Abruzzo), Ravenna (Emilia Romagna) Venezia (Veneto), Trieste (Friuli), Palermo e Catania (Sicilia), Cagliari e Olbia (Sardegna).

Le Direzioni Marittime (indirizzo telegrafico - Direziomare) non hanno attribuzioni di diretto ordine militare e, pertanto possono essere considerate «Organi esclusivi» dell'Amministrazione della Navigazione Marittima.

 

 

  • Oltre che esercitare la sorveglianza sui servizi e sul personale delle Capitanerie di Porto, comprese nella propria giurisdizione, alle Direzioni Marittime compete, ad esempio:
  1. indire esami per il conseguimento di alcuni Titoli professionali marittimi e rilascio dei Titoli stessi;
  2. rilasciare gli Atti di Nazionalità alle navi maggiori;
  3. revisionare i certificati di stazza delle navi che effettuano navigazione nazionale;
  4. approvare i regolamenti particolari dei porti e le tariffe per imbarco, sbarco e movimento in genere delle merci; approvare i regolamenti speciali di pilotaggio, di rimorchio, per i porti dipendenti;
  5. approvare concessioni per contratto (atto formale) di aree demaniali marittime di durata non inferiore ai quattro anni e non superiore a quindici; approvazione concessioni demaniali marittime di durata inferiore ai quattro anni che comportino impianti di difficile sgombero;
  6. esperire le inchieste formali sui sinistri marittimi;
  7. autorizzare le delegazioni di Spiaggia alla tenuta del Registro Navi Minori e galleggianti (mod. 34);
  8. altre attribuzioni minori

 


1 La Direzione marittima è una suddivisione amministrativa del litorale dello Stato.

 

 

Attribuzioni delle Capitanerie di Porto

Le Capitanerie di porto hanno sede nei principali porti dello Stato. Contrariamente alle Direzioni Marittime, le Capitanerie (indirizzo telegrafico - Compamare) sono anche "Organi periferici della Marina Militare".

Per i compiti loro affidati sotto tale veste, sono alle dirette dipendenze dello Stato Maggiore della Marina, dei Comandi in Capo di Dipartimento e dei Comandi Militari Marittimi Autonomi, per quanto attiene al concorso nella difesa marittima e costiera, all'esercizio della polizia militare, alla requisizione e noleggio delle navi, ecc.

Per quanto riguarda i "servizi di leva" (attualmente sospesi) e di "mobilitazione" dipendono dalla Direzione Generale della Leva (LEVADIFE).

Inoltre, per ciò che si riferisce alla "sanità marittima", le Capitanerie di Porto ricevono istruzioni dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociale, mentre per la "pesca" hanno rapporti col Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, relativamente alle "opere portuali" ed alla "conservazione dei porti" sono collegate con i competenti Uffici del genio Civile Opere Marittime (OO.PP.) ed hanno infine, rapporti col Ministero degli Affari Esteri, per il "servizio di emigrazione" nonché con altri "Ministeri ed Enti pubblici" per i numerosi rimanenti settori della loro competenza.

Il Corpo delle Capitanerie di porto svolge compiti funzionali nell'Amministrazione dei trasporti con adeguata presenza lungo il territorio rivierasco nazionale.  L'attuazione di importanti riforme che hanno riconosciuto competenze amministrative diffuse alle Regioni (art. 105 del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 e art. 118, comma 1, della legge 18 ottobre 2001) hanno nel tempo modificato in parte le attribuzioni del Corpo delle Capitanerie di porto. Tuttavia, rimangono ancora presenti rilevanti funzioni amministrative, previste dal Codice della navigazione nonchè in leggi speciali.

  • Sono di competenza delle Capitanerie di porto i servizi riguardanti:
  1. la Gente di Mare ed il rimanente personale marittimo, le inchieste sulla condotta degli equipaggi delle navi mercantili; le azioni generose compiute in mare; le altre azioni di merito;
  2. il potere di ordinanza per la disciplina di attività marittime portuali e sul demanio marittimo (art. 59 reg. Cod. nav.);
  3. il naviglio mercantile (iscrizione e atti relativi ai diritti reali);
  4. l'arrivo e la partenza delle navi (art. 179 Cod. nav.);
  5. la sanità marittima;
  6. l'assistenza ed il salvataggio in mare;
  7. le indagini sommarie sui sinistri marittimi e sulle eventuali responsabilità relative;
  8. la vigilanza sulle linee di navigazione;
  9. la verifica dell'armamento e della idoneità delle navi mercantili ai servizi cui sono adibite;
  10. la tassa di ancoraggio e gli altri diritti marittimi e sanitari;
  11. la polizia portuale, marittima e sanitaria;
  12. il pilotaggio;
  13. il rimorchio, l'ormeggio e gli altri servizi portuali;
  14. la leva (sospesa) e la mobilitazione;
  15. la pesca marittima;
  16. il concorso ai servizi di difesa marittima e costiera;
  17. la requisizione ed il noleggio delle navi;
  18. la vigilanza sui segnalamenti marittimi diurni e notturni, sulla conservazione dei fondali, delle opere e degli arredamenti portuali;
  19. incendi in porto;
  20. esami per il conseguimento di alcuni Titoli professionali marittimi e rilascio dei Titoli stessi;
  21. collocamento della gente di mare;
  22. vigilanza sui cantieri navali;
  23. le visite e le ispezioni a bordo delle navi finalizzate al rilascio di certificati e documenti in materia di sicurezza della navigazione (sdafety e security) nonché di igiene e sicurezza del lavoro a bordo e nelle aree portuali;
  24. altre minori competenze.


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Attribuzioni degli Uffici Circondariali marittimi e Uffici dipendenti

Gli Uffici Circondariali Marittimi (indirizzo telegrafico - Circomare) hanno attribuzioni più ristrette delle Capitanerie di Porto. Identica, però, è la natura delle funzioni.

Tali Uffici esercitano la vigilanza sul servizio degli Uffici Minori dipendenti: Ufficio Locale Marittimo (indirizzo telegrafico - Locamare) e Delegazione di Spiaggia (indirizzo telegrafico - Delemare). Provvedono per quanto riguarda l'esecuzione del servizio militare marittimo secondo le istruzioni delle Capitanerie di Porto.
Le rimanenti attribuzioni sono identiche a quelle delle Capitanerie di Porto, ma ridotte nella estensione

  • Ad esempio, non tengono - salvo quelli autorizzati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - le Matricole della Gente di Mare di 1^ e 2^ categoria.

► Uffici dipendenti

Nei porti e negli approdi che abbiano una certa importanza e non siano sedi di Compamare e di Circomare sono istituiti:

  • Uffici Locali di porto
  • Delegazioni di Spiaggia

Questi Uffici hanno funzioni ancora più ridotte rispetto agli Uffici Circondariali marittimi da cui dipendono. Provvedono per l'esecuzione del servizio militare secondo le istruzioni dell'Ufficio Circondariale Marittimo; esercitano la vigilanza sul demanio marittimo.
In particolare, le Delegazioni di Spiaggia devono essere autorizzate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per tenere le «Matricole» della Gente di Mare di III^ categoria e dalla Direzione Marittima per tenere il «Registro delle Navi Minori e Galleggianti» (mod. 34).
Non tengono sessioni di esami per il conseguimento dei Titoli professionali marittimi e non rilasciano, quindi, nessun titolo.

 

 

 

Componente Navale della Guardia Costiera

La Componente Navale della Guardia Costiera trae origine dall'attuazione della Legge 979/82 "Disposizioni per la difesa del mare" (DIFMAR). Infatti tale legge ha previsto, tra l'altro, l'istituzione:

  1. di un servizio di protezione dell'ambiente marino, nonchè di vigilanza costiera e di intervento per impedire e controllare gli inquinamenti in mare;
  2. di un servizio di vigilanza sulle attività marittime ed economiche nelle aree di giurisdizione nazionale;
  3. il potenziamento del servizio di vigilanza e soccorso mediante l'acquisizione di aereomobili.

Il Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia Costiera, dispone di una "flotta" composta da unità navali di vario tipo (costiere, d’altura), dislocate fra porti e approdi della penisola italiana e delle sue isole.

  • Questi Mezzi, interamente dedicati ai compiti istituzionali del Corpo, possono essere suddivisi in tre settori:
  1. la salvaguardia della vita umana in mare e le conseguenti attività di soccorso;
  2. la polizia marittima;
  3. la sicurezza marittima.

Per il «soccorso in mare» la componente navale opera in “attività costiera” svolta entro le 40 miglia dalla costa e in “attività d’altura” condotta oltre tale limite. Ciò senza porre in secondo ordine i rapporti funzionali che il Corpo intrattiene con diversi Dicasteri, per "l'esercizio del controllo sulla pesca marittima" o "la protezione dell'ambiente marino".  

Il potenziamento dei Mezzi navali del Corpo delle Capitanerie di porto ha origine con la promulgazione della Legge n. 413/1998, con la quale sono stati messi in cantiere e realizzati, presso la Fincantieri di la Spezia, 6 pattugliatori della Classe 900 “Saettia/Diciotti” nonchè 28 unità d'altura a grande autonomia (AGA) della Classe 200/S, dei Cantieri Navali Rodriguez di Messina, che attualmente rappresentano i segmenti della flotta dedicati alle attività “alturiere”.  

Nel febbraio 2008, è stato inoltre avviato il programma “Classe 300”, unità di circa 20 metri  che rappresentano l’evoluzione della collaudata "Classe 800" da impiegarsi in attività SAR (Search Rescue) alturiero e di cui si prevede l’acquisizione nel breve termine di 9 unità delle quali 2 già consegnate e in servizio operativo.

 

Per quanto invece attiene la flotta del segmento “medio”, procede il completamento della messa in linea delle unità "Classe 800 SAR" per un totale di 88 unità, a cui vanno aggiunte 6 motovedette specificamente studiate "per il soccorso aereo" , e delle "Classi 2000, 500 e 700", rispettivamente in numero di 54, 76 e 12 unità, impegnate principalmente nei "servizi di istuituto" del Corpo. 

Esistono inoltre, 3 unità della "Classe 450" dedicate esclusivamente al "servizio di idrambulanza" con le isole minori. 

Per quanto riguarda le peculiari attività connesse al "soccorso ad aeromobili incidentati in mare" e "polizia marittima" costiera, in aderenza al documento programmatico del Corpo, sono stati avviati studi specifici per la realizzazioine di una nuova tipologia di unità navale dalle elevate caratteristiche prestazionali, flesibilità di impiego operativo, nonché, perfettamente coniugate a contenuti costi di esercizio, denominata "Classe 600", di cui si debbano considerare ulteriori 10 già in linea, di ulteriori 2 unità.
Per gli stessi compiti previsti per la Classe 600 si debbano considerare ulteriori 26 mezzi nautici di varie tipologie. 

Il parco "mezzi minori", anch’esso in continua evoluzione, molto sensibile alle innovazioni tecnologiche connesse agli scafi e relative motorizzazioni, ha raggiunto la consistenza di 290 unità di svariate tipologie ed attualmente identificate con i distintivi alfanumerici: GC A – B – L.
Nel "segmento A" trovano allocazione 36 battelli serie "Hurricane" (Società Zodiac) dalle innovative caratteristiche e prestazioni, con uno scafo di circa 10 metri dotati di motorizzazione entrofuoribordo e apparati radar/tic che ne consentono l’inserimento nei più disparati contesti operativi.

 

Con l’aggiornamento della flotta per effetto di nuove acquisizioni e programmate radiazioni, la componente navale della Guardia Costiera appare, attualmente, un moderno e sofisticato strumento operativo. Il ricorso alle attuali tendenze costruttive degli scafi, relativamente all’utilizzo di materiali quali acciaio, leghe di alluminio e vetroresina, coniugati ad affidabili motorizzazioni ed evoluti impianti di scoperta/TLC, ha consentito la realizzazione di piattaforme navali sempre più adeguate ad assicurare una idonea copertura tecnico-operativa di tutto il territorio marittimo di giurisdizione e oltre.

 

Componente Aerea della Guardia Costiera

La Componente di Volo del Corpo delle Capitanerie di porto è stata istituita alla fine degli anni ‘80 a seguito della Legge 31 dicembre 1982, n. 979 (DIFMAR) recante “disposizioni sulla difesa del mare”.

Il programma di sviluppo allora definito prevedeva una linea ad “ala fissa” costituita da 12 aerei di pattugliamento a medio raggio ed una linea ad “ala rotante” costituita da 24 elicotteri medi, dei quali sono stati acquisiti di fatto solo 10.
In relazione agli impegni derivanti dalla Legge 3 aprile 1994 n. 622, attuativi della convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (Amburgo 1979), che prevedono l'impiego di mezzi idonei ad un adeguato controllo e intervento su vaste aree, si è cominciata a valutare la possibilità di acquisire velivoli long range per missioni tipiche di protezione civile (grandi soccorsi, antinquinamento, ecc.). Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha convenuto sulla necesità, per l’ala fissa, di transitare sulla linea dei più moderni ATR42MP, pattugliatori marittimi a lungo raggio, confacenti alle suddette specifiche, e per l’ala rotante, sulla linea AW139.

 

  • La componente attualmente dispone dei seguenti aeromobili:
  1. 9 elicotteri Agusta AB412CP, dislocati presso le basi di Sarzana e Catania;
  2. 6 Piaggio P166 DL3 SEM, dislocati presso la base di Catania;
  3. 2 ATR42MP (un velivolo dislocato a Pescara ed un velivolo dislocato a Catania);
  • Fondamentali sono le funzioni svolte dalla componente aerea quali:
  1. Ricerca di naufraghi e di unità navali ed aeree in difficoltà in mare;
  2. Soccorso a naufraghi ed a traumatizzati e ammalati a bordo di navi (tramite recupero con il vericello o aviolancio di battellini);
  3. Tutela dell’ambiente marino e delle aree marine protette anche a mezzo di telerilevamento (monitoraggio periodoco e sistematico ed interventi in caso di emergenze ambientali);
  4. Attività di vigilanza sulla pesca marittima e sull’acquacoltura ai fini della normativa nazionale e comunitaria;
  5. Attività di vigilanza sulle attività marittime che si svolgono nelle acque territoriali ed in quelle di interesse nazionale allo scopo di garantire il rispetto delle norme sugli usi leciti del mare, con particolare riguardo alla sicurezza della navigazione in termini globali.

Tutti gli aeromobili in dotazione sono attrezzati con "sensori" di elevata capacità, in grado di assolvere alle funzioni sopra citate.

  • Le basi principali della componente aerea sono tre:
  1. Sarzana (in provincia di La Spezia);
  2. Catania
  3. Pescara

La loro scelta ha consentito di coniugare in maniera efficace il numero di aeromobili di cui il Corpo dispone con le preminenti esigenze di carattere operativo. E’ stato delineato negli ultimi anni, ed è in corso di esecuzione, il piano di sviluppo della componente aerea, realizzato per soddisfare al meglio le nuove esigenze operative. Tale piano interessa tanto la logistica con l’apertura di nuove basi (in particolare Cagliari (Sardegna), Pontecagnano ( ) e Grottaglie (Puglia), quanto i velivoli, con l’acquisizione di nuovi mezzi.
Nel corso dell’anno 2007 sono stati formalizzati i contratti per l’acquisizione di un terzo velivolo ATR42MP e di 2 elicotteri AW139. Tali nuovi mezzi entreranno in servizio entro il 2010, in concomitanza all’avvenuta "radiazione" dei rimanenti velivoli Piaggio P166DL3SEM.

E’ allo studio, inoltre, l’acquisizione di un velivolo da trasporto tattico-veloce, per l’assolvimento di specifiche missioni istituzionali.

 

 

 Elicottero Agusta-BELL
AB412CP, dislocato presso le basi di Sarzana

 

Componente Subacquea della Guardia Costiera

Le attività del Corpo delle Capitaneria di porto non si limitano soltanto alla superficie del mare ed al sovrastante spazio aereo, ma si estendono anche al settore subacqueo.
Avendo oramai consolidata l’esperienza nelle attività subacquee e riconoscendo, nel contempo, la necessità di procedere ad una diffusione dei "
Reparti operativi subacquei" stessi, sono stati istituiti, in ordine di tempo, 5 Nuclei Operatori Subacquei delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera nelle sedi di

  1. San Benedetto del Tronto (1° Nucleo Operativo Subacquei - gennaio del 1995);
  2. Napoli (2° Nucleo Operativo Subacqueo con sede presso la Direzione Marittima - dicembre d 1998);
  3. Messina (3° Nucleo Operativo Subacquei presso il Reparto supporto navale - luglio 2005).
  4. Cagliari (4° Nucleo Operativo Subacquei - giugno 2008)
  5. Genova (5 Nucleo Operativo Subacquei - luglio 2009).

 

 

Attualmente la componente subacquea si avvale di 37 operatori di ogni ruolo e grado, ai quali si aggiungono 5 infermieri specializzati in fisiopatologie subacquee. Tali operatori sono in possesso del “brevetto militare per sommozatori” rilasciato dal Comando Subacquei ed Incursori della Marina Militare. Il brevetto abilita gli operatori ad effettuare "immersioni ad aria entro i 40 metri" e "ad ossigeno entro i 12 metri" di profondità

  • La componente subacquea assolve diverse funzioni che possono raggrupparsi, sinteticamente, nelle seguenti:
  1. Vigilanza sulle aree marine protette di interesse storico, artistico o archeologico;
  2. Vigilanza e controllo delle riserve marine protette;
  3. Ricerca e soccorso della vita umana;
  4. Vigilanza e controllo sull’esercizio della pesca marittima con particolare riferimento alla miticoltura e della pesca subacquea professionale e sportiva/ricreativa;;
  5. Rilevamento e monitoraggio del grado di inquinamento delle acque marine,
  6. Prelevamento di campioni biologici e concorso nelle ricerche subacquee di interesse scientifico connesse con lo studio dei fondali, della fauna e della flora marine;
  7. Controlli ed ispezioni di navi, piattaforme, cavi e condotte sottomarine;
  8. Lavori e piccoli interventi alle carene delle Unità navali del Corpo;
  9. Sistemazione nonché rimozione di corpi morti, catenarie, boe e gavitelli in ambito portuale;
  10. Concorso in campagne di ricerca, localizzazione, recupero di materiale sommerso di interesse archeologico;
  11. Azioni di polizia giudiziaria e marittima autonoma o in concorso di altri Corpi di Polizia intese alla prevenzione e repressione di attività illecite svolte nel mare territoriale;
  12. Ispezioni e rilevamenti fotografici di infrastrutture subacquee;
  13. Assistenza a gare e campionati sportivi.

I Nuclei operativi subacquei sono dotati di attrezzature individuali e di reparto di ultima generazione tra cui il veicolo subacqueo a controllo remoto, il «ROV» (Remote Operate Vehicle)[ [2]1] [2], denominato “Prometeo”, con finalità principalmente investigative.
Il “Prometeo” è un vettore di telecamere con capacità secondarie di prelievo di campioni. La struttura è in acciaio inox, con 4 motori elettrici, molto leggero e di piccole dimensioni. Tali caratteristiche permettono al ROV di operare fino a 300 metri di profondità e consentono agli operatori di condurre indagini “mirate” che non comportano la necessità di eseguire lunghi percorsi di ricerca in un’ampia area, quali verifiche su relitti ed ispezioni in ambienti altrimenti non accessibili.
I Nuclei sommozzatori hanno in dotazione mezzi idonei al trasporto di personale e materiali e di battelli pneumatici che li rendono completamente indipendenti ed in grado di operare in autonomia in ogni parte del territorio nazionale.

 

 

 


[1] I ROV  sono sistemi completamente mobili di telecamere subacquee che sono controllate dalla superficie e capace di rimanere sommersi a tempo indeterminato. Queste ROV sono ideali per una varietà di applicazioni, tra cui ispezioni condotte, fiume e le ricerche in oceano, indagini diga, piattaforme del petrolio e del gas e piattaforma di lavoro, l'allevamento ittico, e le operazioni di sicurezza interna, in caso di incidenti in mare, naufraghi, maremoti, inondazioni, ecc Essi possono ridurre drasticamente i tempi di ricerca, così come i rischi e i costi elevati associati alle operazioni subacquee. Equipaggiato con il RMD-1 metal detector telecomando del ROV diventa un sistema di ricerca di alta tecnologia in grado di localizzare armi, ordigni inesplosi, oleodotti, tesori sepolti, e altri oggetti metallici.

 

 

L'attività di polizia

L’articolo 16 [43] della [43]Legge 1 aprile 1981, n. 121 [43] e succ. modif., espressamente prevede le varie componenti delle “Forze di Polizia” cui spetta lo svolgimento delle funzioni di polizia, ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Rientrano pertanto nella categoria di «Forze di polizia interforze», oltre alla Polizia di Stato quale primaria tipica struttura funzionale di polizia, anche tutti gli organismi istituzionali che, pure essendo sottoposti ad autonomi ordinamenti (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato), svolgono o sono chiamati a svolgere funzioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Non è ricompreso, nella categoria, il Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera.
Tuttavia, di fatto, le Capitanerie di Porto esplicano "funzioni di polizia" analogamente alle Forze di polizia o Corpi di Polizia ad ordinamento militare e civile, in ragione delle specifiche funzioni di Polizia Giudiziaria esercitate nei settori d’istituto, sia pur limitati ai particolari compiti di sicurezza pubblica esercitati in ambito portuale, delle funzioni residuali di Polizia Militare, della specifica ed esclusiva competenza esercitata in alcune materie, con consequenziale potestà sanzionatoria e di accertamento delle relative violazioni, e considerando altresì le attività di indagini di Polizia Giudiziaria, anche per reati comuni, che sempre più spesso le locali Procure delegano alle Capitanerie di Porto delle rispettive giurisdizioni, oltre ai servizi di vigilanza e controllo sul demanio effettuati autonomamente o in concorso con le Forze di Polizia, della partecipazione ai Comitati prefettizi di Ordine e Sicurezza Pubblica.
Fra i compiti di istituto espletati dal Corpo delle Capitanerie di Porto rientrano quindi, come sopra meglio specificato, anche le funzioni ed i compiti di polizia, intendendo con essa sia di «polizia amministrativa», sia di «attività di pubblica sicurezza», sia di «polizia militare», sia di «polizia stradale», sia, infine, di «polizia giudiziaria».

L’attribuzione di tali funzioni di polizia va ricercata nel combinato disposto dell’art. 57 comma 3 c.p.p. con l’art. 1235 Cod. nav., laddove questi recitano che “sono Ufficiali di P.G. gli Ufficiali ...ed i Sottuffìciali del Corpo delle Capitanerie di Porto...” sebbene “..nei limiti del servizio cui sono destinati e secondo le relative attribuzioni”. Dette funzioni sono state poi riprese da leggi speciali, quali, ad esempio l'art. 22, comma 3 (Persone incaricate della vigilanza) del Decreto Legislativo 9 Gennaio 2012, n. 4 recante “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96", l’art. 23 della Legge 31 dicembre 982, n° 979 e succ. modifiche (disposizioni per la difesa del mare), e gli artt. 135 comma 2° e 195 comma 5° del D.lgs. 03 aprile 2006, n° 152 in materia di ambiente, ecc.
Compiti infine di vigilanza e ronda in ambito portuale e sul demanio sono inoltre attribuiti, dall’art. 499 Reg. Cod. nav.[1] (Libro V - Disposizioni penali e disciplinari – Titolo I - Disposizioni in materia di polizia), a tutto il personale della M.M. che presta servizio nelle Capitanerie di Porto, indipendentemente quindi dalla categoria di appartenenza.
Tali attribuzioni di polizia sono limitate, tuttavia, ratione materiae, ai “reati previsti dal Codice della Navigazione” nonché “ai reati comuni commessi nel porto, qualora manchino in tale luogo Uffici di pubblica sicurezza” (art. 1235, comma 2° Cod. nav.)[2]

Detti limiti territoriali non vengono posti tuttavia per la repressione delle violazioni alle leggi sulla pesca penalmente perseguibili (L. 963/65), nonché per l’attività di prevenzione ed accertamento dei reati concernenti l’inquinamento marittimo (L. 979/82 e D.lgs. 152/2006 e successive modif.).

 

 


[1] Art. 499 Reg. Cod. nav. (Servizio di ronda) - Ai fini della sorveglianza sulla regolarità dei servizi l’Autorità marittima mercantile ha facoltà di disporre servizi di ronda. Gli Agenti in servizio di ronda possono visitare, in qualunque momento, le navi, i galleggianti e gli aeromobili nonché gli stabilimenti e le altre opere nell’ambito del demanio marittimo e del mare territoriale.
Il servizio di ronda è eseguito per mezzo di marinai o sottufficiali di porto e, ove occorra, dai carabinieri e dagli agenti di pubblica sicurezza, previa richiesta alle autorità da cui questi agenti della forza pubblica dipendono ovvero da militari del corpo equipaggi della marina militare o di altre categorie destinati presso gli uffici di porto.
[2] La nozione di “Reato Marittimo” di cui al citato art. 1235 appare troppo restrittiva, in quanto, cosi formulata, verrebbe ad escludere alcuni gravissimi reati contro la sicurezza della navigazione, quali il reato di naufragio, di danneggiamento seguito da naufragio, o di un delitto colposo di danno per naufragio o sommersione, che verrebbero pertanto con tale limitazione sottratti alla competenza dell’Autorità Marittima, che pure è il principale se non l’unico Organo dello Stato competente ex lege per tale materia.
Deve rilevarsi tuttavia come la Suprema Corte abbia confermato l’esclusione dalle funzioni piene di Polizia Giudiziaria anche per i reati comuni in capo al personale del Corpo, limitando detta qualifica in relazione al servizio affidatogli in connessione con l’attività istituzionale espletata dal Corpo delle Capitanerie di Porto ex art. 1235 Cod. nav., con esclusione quindi sia di quelle di cui all’art. 57, comma 1° c.p.p.. sia di quelle di Polizia Giudiziaria Militare di cui all’art. 301 c.p.m.p. (Cass. Pen., Sez. VI^, Sent. n° 1169 del 01.02.96 ).

 

Attività di polizia di frontiera

Il Regolamento CE n° 562/2006 [44] emanato in data 15.03.06 prevede alcuni compiti di "Polizia di Frontiera" in capo all’Autorità Marittima, laddove non vi sia la c.d. “Guardia di Frontiera” (cioè Ufficio di Polizia di Frontiera per l’Italia).
Tali attività, classificabili quali attività di Polizia Amministrativa connesse alle operazioni di ingresso di stranieri nel territorio nazionale, sono specificate in alcune disposizioni del suddetto Regolamento, e precisamente:

  1. Il paragrafo 3.1.2. stabilisce che il Comandante della nave (ovvero l’agente marittimo raccomandatario) stili in duplice copia l’elenco passeggeri ed equipaggio da consegnare all’arrivo alla Guardia di Frontiera o, per motivi di forza maggiore, all’Autorità Marittima competente, che a sua volta la consegnerà alla Polizia di Frontiera;
  2. Il paragrafo 3.1.5. prevede che il comandante della nave comunichi la partenza della stessa all’Autorità Marittima, qualora non sia possibile avvertire la Guardia di Frontiera;
  3. Il paragrafo 3.2.6. dispone che le persone a bordo di unità da diporto provenienti da un paese terzo ed approdate in un porto non classificato quale “valico di frontiera” debbano avvisare l’Autorità Portuale, che provvede ad infornate il più vicino posto di Polizia di Frontiera ed al quale consegnerà l’elenco dell’equipaggio;
  4. Il paragrafo 3.2.7. decreta infine che all’atto delle verifiche debba essere consegnato all’Autorità Marittima del porto di ingresso e di uscita un documento contenente le caratteristiche tecniche dell’imbarcazione, nonché l’elenco delle persone a bordo della stessa.

Si rammenta infine l’onere posto a carico del vettore marittimo dall’art.10 comma 3° del T.U. 286/98 che dispone come “ il vettore aereo o marittimo è tenuto ad accertarsi che lo straniero trasportato sia in possesso dei documenti richiesti per l’ingresso nello Stato, riferendo alla Polizia di frontiera dell’eventuale presenza di stranieri irregolari a bordo dei mezzi di trasporto”
Analoga disposizione è disposta a carico di chi “assume lo straniero alle proprie dipendenze” senza darne conoscenza entro 24 ore all’Autorità di P.S. (art. 7 T.U. 286/98).
Al riguardo, la Suprema Corte ha statuito come costituisce comunque reato agevolare il transito dei clandestini nel territorio nazionale,anche se gli stessi siano solo di passaggio perché diretti in altri paesi UE, così sanzionando penalmente anche il semplice valico di frontiera anche se non finalizzato alla permanenza dello straniero nel territorio nazionale (Cass. Pen. – Sent. n° 6398 del 08.02.08).

 

 

Attività di pubblica sicurezza

L’Amministrazione della Pubblica Sicurezza e le relative attività d’istituto sono disciplinate dalla Legge 1 aprile 1981, n. 121 [43], nonché dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza ( [45]T.U.L.P.S), che ne pone al vertice il Ministro dell’Interno e, a livello periferico, rispettivamente:

  1. il Prefetto (Organo di Governo – D.P.R. 287/01 nonché Autorità Provinciale di P.S.- art. 24, L. 121/81 – art. 1 T.U.L.P.S.), che ha il potere di adottare i provvedimenti di urgenza a mezzo Ordinanza;
  2. il Questore è Autorità Provinciale di P.S. con compiti di direzione e coordinamento tecnico-operativo dei servizi di Ordine e Sicurezza Pubblica (art. 14 L. 121/81);
  3. il Sindaco, ove non esista Commissariato di P.S., è Autorità locale di P.S. (quale Ufficiale di Governo) avendo lo stesso, giusta art. 54, L. 18.08.2000, n° 267, competenza in materia di Sicurezza Pubblica, acquisendo anche qualifica di Ufficiale di P.S. solo qualora manchi in loco anche un Comando Compagnia Carabinieri o altro Comando retto da Ufficiale dell’Arma.
  4. Autorità Locale di P.S. è altresì ogni Comando territoriale dell’Arma dei Carabinieri, laddove non esiste una Questura o un Commissariato di P.S. Rivestono invece la qualifica di “Ufficiali di P.S.” esclusivamente:
  5. Dirigenti e Funzionari della Polizia di Stato;
  6. Ufficiali dei Carabinieri;
  7. Sindaco (nei Comuni ove manchi un Commissariato di P.S.),
  8. Sostituti Ufficiali di P.S. (limitatamente ai Sottufficiali dell’Arma dei C.C. o della P.S. rivestenti tale qualifica (Luogotenenti, Ispettori Superiori o Sostituti Commissari).

L’impiego delle FF.AA. da parte del Prefetto è disciplinato dall’art. 13 della L. 121/81, che consente al Prefetto di ”disporre della Forza Pubblica....e delle altre Forze….. eventualmente poste dalla legge a sua disposizione,….e di coordinarne l’attività”.

Quanto sopra premesso, deve rilevarsi come i militari del C.E.M.M. appartenenti al Corpo delle Capitanerie di Porto rivestono la qualifica di Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria ex art. 1235 Cod. nav., nei limiti di competenza per materie d’istituto, ma non rivestono tuttavia specifica qualifica in materia di Pubblica Sicurezza, non rientrando formalmente il Corpo fra le c.d. “Forze di Polizia” di cui all’art. 16 della L. 121/81, se non limitatamente ad alcuni aspetti che di seguito saranno meglio esaminati.
Alcuni compiti e funzioni di Pubblica Sicurezza sono tuttavia specificatamente attribuiti all’Autorità Marittima e, segnatamente, al Comandante del Porto, dagli artt. 81 e 82, comma 2 del Codice della Navigazione, in aggiunta a quelli che, in via concorsuale, anche se non certamente ancillari, sono ormai permanentemente espletati in materia di “antimmigrazione clandestina”, “traffici illeciti di armi” (embargo ex Jugoslavia) e “lotta al narcotraffico via mare” (questi ultimi su espressa disposizione dell’Autorità Giudiziaria).

A tale contesto, pertanto, appare riconducibile la ratio che ha comportato l’inserimento del personale del Corpo delle Capitanerie di Porto fra le categorie di dipendenti dell’Amministrazione che, a causa della esposizione a rischio dipendente dall’attività svolta nell’ambito delle Amministrazioni della giustizia e della difesa, o nell’esercizio di compiti di pubblica sicurezza, sono esonerate dall’obbligo del pagamento della tassa di concessione governativa prevista per il rilascio della Licenza di porto d’armi di cui al D.M. 24/03/94, n° 371 (Regolamento di attuazione dell’art. 7, comma 2° e 3° della L. 21.02.90 , n° 36).

  • Fermo restando le suddette qualifiche, competenze e funzioni, anche l’Autorità Marittima può assumere tuttavia, limitatamente a determinate circostanze ed a determinate funzioni, compiti e mansioni di "Pubblica Sicurezza", nei casi di seguito specificati:
  1. Il Comandante del Porto agisce quale Autorità di P.S. ristabilendo l’ordine pubblico anche con l’ausilio della Forza Pubblica o delle FF.AA., qualora non possa intervenire l’Autorità locale di P.S. (artt. 81 – 82, comma.2 Cod. nav.)[1].
  2. Il Comandante della Capitaneria di Porto può partecipare al Comitato Provinciale Ordine e Sicurezza Pubblica (art. 16, L. 26.03.01, n° 128 – art. 20, L.121/81 mod. D.lgs. 279/99).
  3. L’Autorità Marittima adotta le procedure iniziali di Polizia di Frontiera in assenza di questa, ovvero per motivi di forza maggiore, all’atto dell’arrivo o della partenza di unità provenienti da paesi extra Schengen (Regolamento CE n° 562/2006 – artt. 3.1.2.- 3.1.5.- 3.2.6.-3.2.7).
  4. Il personale militare del Corpo svolge Polizia Antimmigrazione (L. 189/2002) potendo le Unità Navali M.M. (e quindi anche del Corpo) effettuare il fermo, l’ispezione ed il sequestro di navi sospette di coinvolgimento nel traffico di immigranti (art. 12, comma 9 bis T.U. 286/98), anche in concorso con altre Forze dell’Ordine (art.12, comma 9 ter).
  5. Il personale militare del Corpo delle Capitanerie di Porto può avere l’accesso alla Banca Dati S.D.I. del Ministero dell’Interno per finalità di sicurezza portuale e dei trasporti marittimi (art. 8 bis L. 24.07.08, n° 125).
  6. Il personale delle FF.AA. (quindi anche del Corpo) può essere chiamato per espletamento di attività di Protezione Civile – giusta art. 11 lett. b) e c) L. 24.02.92 n° 225.
  7. Il personale del Corpo partecipa ad attività di contrasto al commercio abusivo ed alla commercializzazione di prodotti contraffatti (Circolare n° 123/C2/130/A.389 del 29.12.04 del Ministero dell’Interno).
  8. Il personale militare, quale appartenente alle FF.AA., può inoltre essere impiegato alle dipendenze dei locali Prefetti, in Sicilia, in Calabria ed in provincia di Napoli, per operazioni di contrasto alla criminalità organizzata, agendo in tale veste con qualifica e funzioni di Agenti di Pubblica Sicurezza (D.L. 25.07.92, n° 349 e D.L. 29.08.94, n° 521); L. 27.10.94, n° 599), con esclusione tuttavia dei compiti di Polizia Giudiziaria (artt.18 e 19 L. 26.03.01, n° 18).
  9. Il personale M.M. può essere posto a disposizione del Prefetto (art. 13. L. 121/81) , anche per servizi di vigilanza elettorale.
  10. Il personale militare può assumere qualifica di Agente di P.S. (L. 27.10.94, n° 599).
  11. E’ prevista la partecipazione di un Ufficiale delle FF.AA. (e quindi anche del Corpo) alla Commissione Tecnica Provinciale Materie Esplodenti di cui all’art. 89 T.U.L.P.S.
  12. Infine, il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto è ricompreso fra le Forze di Polizia e non fra le FF.AA. nell’elenco delle Autorità previsto dal Cerimoniale di Stato (art. 6, comma 22 D.P.C.M. 14.04.06 “Disposizioni generali in materia di Cerimoniale").

 


[1] Più specificamente, l’art. 82 cod. nav. dispone che in occasione di avvenimenti che possono turbare l’ordine nei porti, nelle altre zone del demanio marittimo, ovvero sulle navi mercantili che si trovano in porto o in corso di navigazione nel mare territoriale, qualora l’Autorità di pubblica sicurezza non possa tempestivamente intervenire, l’Autorità Marittima del luogo provvede, nei casi di urgenza, a ristabilire l’ordine, richiedendo, ove sia necessario, l’intervento della forza pubblica o, in mancanza, delle Forze Armate. In forza del previsto coinvolgimento delle Forze Armate non è escluso che gli equipaggi delle Unità M.M. presenti nei porti o nell’ambito delle acque territoriali possano essere chiamati a prestare il proprio concorso in materia di ordine pubblico, nei casi in cui al citato art. 82 cod. nav., compatibilmente con l’assolvimento dei prioritari compiti di istituto e fermo restando la salvaguardia della sicurezza delle unità.

Attività di polizia giudiziaria

Nello svolgimento dei compiti di istituto, il personale del Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia Costiera può «imbattersi» in fatti concreti costituenti reato e trovarsi, di conseguenza, costretto ad esercitare "funzioni di polizia giudiziaria" (art. 55 c.p.p.).

Tuttavia, il personale del Corpo, può legittimamente svolgere dette funzioni solo “entro gli ambiti“ per esso rispettivamente determinati dal Codice di procedura penale e dalle numerose leggi speciali (o dai provvedimenti a esse equiparati) che si interessano della materia. Per questo motivo, si dice solitamente che la legge stabilisce la “competenza” degli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria indicando non solo quali atti possono essere compiuti dall’una o dall’altra categoria di soggetti (c.d. competenza agli atti), ma anche i limiti (di tempo, spazio e materia) entro i quali quegli atti possono esere compiuti dai vari Organi e persone cui essa attribuisce la qualifica di Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria.

Il personale delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, pur avendo quasi sempre una “competenza piena“ quanto alle funzioni che possono svolgere, vedono tuttavia “limitata” la sfera di svolgimento di tali funzioni all’accertamento di alcune determinate categorie di reati (e non, invece, di qualunque reato) che attengono all’assolvimento dei compiti di istituto.
Per il personale del Corpo l’attività di polizia giudiziaria è generalmente un’attività “
residuale” che viene svolta esclusivamente quando la normale attività amministrativa (di controllo, ispezione e vigilanza) affidata dai Comandi di appartenenza progredisce nell’accertamento di un reato e impone perciò il compimento di attività dirette ad assicurare le fonti di prova e a raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale.
Nel carattere residuale dell’attività di polizia giudiziaria degli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria a «
competenza limitata» va individuata la ragione per la quale gli appartenenti al Corpo delle Capitanerie, a differenza della gran parte degli Ufficiali e degli Agenti di polizia giudiziaria a «competenza generale», possono esercitare la loro funzione solo entro definiti limiti temporali e spaziali. 

E’ bene chiarire che il riferimento all’«esercizio delle funzioni» ed «ai limiti del servizio» non serve a restringere l’ambito temporale e territoriale entro il quale il personale del Corpo delle Capitanerie può e deve esercitare le sue funzioni di polizia giudiziaria.
Pur se non con qualche approssimazione, può infatti dirsi che, con riguardo ai compiti di istituto, il personale del Corpo riveste «in servizio» e «senza limiti spaziali» la qualità di Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria a seconda, ovviamente, che si tratti di Ufficiali, Sottufficiali ovvero Sottocapi e Volontari di truppa in s.p.e. ed in ferma prefissata.

  • Va ancora precisato che la competenza dei militari del Corpo, in ordine alla qualifica di Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria, non è “limitata territorialmente” e cioè nel senso che:
  1. non esiste limite di territorio, entro i confini della Repubblica, all’attività di polizia giudiziaria;
  2. tale attività può esplicarsi sul mare territoriale (12 miglia dalle linee di base) e sulle navi battenti bandiera nazionale anche in alto mare essendo le unità delle Capitanerie, a tutti gli effetti, navi da guerra (art. 200 Cod. nav.);
  3. le attività di informazione, di investigazione e di assicurazione, possono esercitarsi anche «al di fuori del teatro d’azione» tipico tradizionale, per l’attività del Corpo, per estendersi anche nelle zone interne del territorio, sempre, beninteso, con la limitazione della competenza specifica per materia (come ad esempio, le ispezioni presso mercati ittici ex art. 22, comma 7 D.lgs. n. 4/2012).

Il settore d’indagine non può prescindere da fare riferimento, in primo luogo, al predetto Codice della Navigazione, che contiene i fondamenti del “diritto penale marittimo”.  

  • Si può, comunque, tentare una catalogazione che permetta di esaminare nel dettaglio le competenze di “polizia giudiziaria” del Corpo in materia di:
  1. reati marittimi previsti dal Codice della Navigazione;
  2. pesca marittima;
  3. tutela dell’ambiente marino;
  4. tutela del personale marittimo;
  5. contrasto all’immigrazione clandestina;
  6. contrasto al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope;
  7. circolazione stradale in ambito portuale, ecc.

In tale ambito di competenza detto personale è investito di tutti i «poteri» propri della Polizia Giudiziaria e necessari per l’espletamento delle funzioni, non esclusa quindi neppure la possibilità di adottare misure di coercizione quali il fermo o l’arresto, per evitare che un reato venga portato a ulteriori, estreme conseguenze.

 

 

Elementi di diritto penale

 "Società e Diritto"

L’uomo è un essere sociale. Per soddisfare le sue esigenze fondamentali [1] si aggrega ad altri costituendo gruppi più o meno stabili e organizzati. Possono farsi l’esempio della famiglia, che è la prima e naturale forma di aggregazione ma anche, a seconda dei tipi di esigenze da soddisfare o finalità da raggiungere, della collettività religiosa, dei partiti politici, dei sindacati, delle associazioni culturali.

Né le forme di cooperazione occasionali né quelle organizzate sarebbero però possibili e potrebbero effettivamente funzionare se la coesistenza fra gli appartenenti al gruppo sociale restasse senza una "disciplina" e tutto fosse lasciato alla spontanea iniziativa dei singoli, alla loro buona volontà o alle loro spinte egoistiche.

Da sempre, perciò, l’uomo ha compreso che le esigenze della coesistenza impongono invece un ordine nei rapporti fra i membri del gruppo e una Autorità in grado di farsi obbedire e di assicurare il rispetto delle regole di condotta che lo stesso gruppo si è posto. Ha cioè avvertito l’esigenza di dare alla collettività sociale una "organizzazione politica"; vale a dire una organizzazione cui tutte le altre fossero subordinate e che non avesse finalità specifiche (culturali, economiche, religiose come quelle dei gruppi organizzati di cui si è detto in precedenza) ma una finalità generale che precedesse tutte le altre: quella di consentire la pacifica coesistenza e lo sviluppo dei soggetti appartenenti al gruppo e di assicurare le condizioni per l’ordinato esercizio delle attività dei soggetti e per il benessere dell’intera collettività.

Nel tempo, le organizzazioni politiche hanno assunto forme diverse: dapprima appena abbozzate e poi sempre più complesse e perfezionate; dalle comunità primitive e dalle tribù nomadi (che si limitavano, per lo più, a riconoscere tutti i poteri a un capo), agli imperi, ai regni, alle signorie, fino allo stato moderno e a quello contemporaneo.

Tra le varie forme di aggregazione, lo Stato è quella che detiene i massimi poteri autoritari e che è preminente rispetto alle altre operanti nel suo ambito territoriale.

Lo Stato è dunque l’ente originario (il suo potere non deriva da nessuno) e sovrano, destinato a garantire le condizioni fondamentali e indispensabili perché, sul suo territorio, i rapporti tra i singoli si svolgano in modo ordinato e si dirigano allo sviluppo ed al benessere dell’intera collettività.

Lo Stato assicura lo svolgimento ordinato e pacifico della vita sociale mediante la predisposizione di “regole di condotta” (= norme) che vietino atti socialmente dannosi e spronino invece ad operare in modo socialmente utile.

Naturalmente lo Stato non può limitarsi a fissare delle regole di condotta; deve assicurarne l’osservanza prevedendo “conseguenze sfavorevoli“ (= sanzioni) a carico di chi trasgredisce quelle regole e creando appositi “Organi” (= Giudici, componenti delle forze di polizia, funzionari dell’ordine amministrativo) aventi la specifica funzione di prevenire e reprimere coattivamente (e cioè ricorrendo anche all’uso della forza) la loro violazione.

Il complesso delle norme emanate per il raggiungimento delle finalità dello Stato ne costituisce il “Diritto”. Tutte le norme che costituiscono il diritto dello Stato si denominano "norme giuridiche [46]"(da jus=diritto). Lo Stato ne assicura l'osservanza consentendone l'attuazione anche coattiva e prevedendo sanzioni a carico di chi ne trasgredisce il precetto e cioè il comando o il divieto in esse contenuto.

 


[1] L'uomo sceglie di vivere in un gruppo organizzato (società) soprattutto per motivi di:

  1. Convivenza, la natura umana, infatti, è per sè stessa socievole
  2. Convenienza, in quanto vivendo in un gruppo organizzato, attraverso la cooperazione, l'uomo meglio soddisfa i propri bisogni ed interessi.

 L'esistenza di problemi di convivenza e di cooperazione, dunque, favorisce il fenomeno associativo che, per poter funzionare correttamente, deve essere;

  1. stabile, cioè duraturo e dar vita ad una aggragazione umana della "societas";
  2. disciplinato da particolari regole di condotta (giuridiche, morali, religiose, ecc.) ed una proficua collaborazione tra i membri del gruppo.

 

Diritto penale e processual penale

Il «Diritto penale» è quel complesso di norme con cui lo Stato vieta determinati comportamenti, ritenuti antisociali, minacciando ai trasgressori una sanzione penale.
La funzione del diritto penale è dunque la difesa della società contro il reato per assicurare le condizioni essenziali della convivenza, predisponendo le sanzioni penali a difesa di «beni giuridici o valori ritenuti in un dato periodo storico socialmente più rilevanti».

Il «Diritto Processual Penale» è l’insieme delle norme attraverso le quali lo Stato, per mezzo dell’Autorità Giudiziaria, applica al caso concreto la norma penale e astratta. Tale diritto riguarda l’ordinamento ed il funzionamento dei Tribunali giudiziari.

Il Diritto penale si distingue, dunque, da quello processuale, perché il primo fissa quali sono i fatti illeciti e stabilisce le sanzioni d’applicare ai trasgressori, il secondo indica il rito da seguire per accertare il reato ed applicare le sanzioni.
 

Costituiscono il Diritto penale, però, non solamente quelle norme che prevedono i comportamenti illeciti e le rispettive sanzioni, bensì anche quelle norme che, ad esempio, stabiliscono cause di non punibilità (es. legittima difesa); quelle che prevedono forme particolari di manifestazione del reato, quali il reato commesso in concorso con altri ed ipotesi di aggravamento od attenuazione.

Codice penale: leggi speciali e complementari

Le norme penali sono contenute principalmente nel «Codice Penale Rocco [47]», emanato con R.D. 19/10/1930, n. 1398 ed entrato in vigore il 17 Luglio 1931.
Il codice, che pure per oltre un cinquantennio, è rimasto immutato nella sua struttura generale, ha subito, nel corso di questo lungo periodo, numerose modifiche, soprattutto dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana.
Attraverso l’intervento della Costituzionale e norme modificatrici, si è cercato di coordinare l’originario impianto normativo, modellato su una ideologia totalitaria (di ispirazione fascista), con i principi informatori dell’ordinamento democratico (ad esempio: il D.lgs. 10/8/1944 che ha abolito la pena di morte).

Pertanto la complessità del sistema delle fonti e il sovrapporsi talvolta a ritmo incessante di leggi disciplinanti la stessa materia (si pensi al diritto tributario), hanno fatto si che da più parti si auspichi una riforma totale del Codice penale.

Il codice penale si divide in tre libri:

-  Libro I, che contiene la parte generale comune a tutti i reati;
-  Libro II, che elenca partitamente i singoli delitti;
-  Libro III, che elenca le contravvenzioni

Al Codice penale si affiancano però numerose leggi «speciali e complementari» che contengono anch’esse norme penali e che hanno reso frammentaria e particolarmente complessa la conoscenza, l’interpretazione e l’applicazione della disciplina penale vigente.

Ai fini del nostro studio possiamo ricordare alcune tra le più importanti normative succedutesi nel corso del tempo, che disciplinano, almeno nelle linee fondamentali, i compiti del Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera:

  • R.D. 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della Navigazione);
  • D.lgs. n. 4/2012 (Pesca marittima);
  • Legge n. 979/82 (Difesa del mare da inquinamento da navi);
  • D.lgs. n. 286/1998 (Testo unico sull’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
  • D.P.R. n. 309/90 (Stupefacenti)
  • Legge n. 394/91 (Legge quadro sulle aree protette);
  • D.lgs. n. 285/92 (Nuovo Codice della strada)
  • D.lgs. n. 758/94 (Modificazione alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro)
  • D.lgs. n. 22/97 e succ. modifiche (Rifiuti);
  • Legge n. 152/99, modif. con D.lgs. 258/2000 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento.... smaltimento delle  acque reflue);
  • D.lgs. n. 271/99 (Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi mercantili, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485);
  • Legge n. 51/2001 (Disposizioni per la prevenzione dell’ìnquinamento derivante dal trasporto marittimo di idrocarburi e per il controllo del traffico marittimo);
  • Decreto Ministro degli interni 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina)
  • Legge 152/99, modif. con D.lgs. 258/2000 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento.... smaltimento delle acque reflue); 
  • D.lgs. 271/99 (Sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi…)
  • D.lgs. 231/2001 (I nuovi reati ambientali);
  • D.lgs 182/2003 (Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta rifiuti prodotti dalle navi e residui del carico);
  • Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42  (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 Legge 6 luglio 2002, n. 137);
  • Legge n. 61/2006 (Protezione del patrimonio archeologico e storico sommerso nelle zone di protezione ecologica)
  • D.lgs. 152/2006 (in materia di danno ambientale)
  • D.lgs. n. 202/2007 (Attuazione della direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni);
  • Dlgs. n. 203/2007 (Attuazione della direttiva  2005/65/CE relativa al miglioramento della sicurezza nei porti):
  • D.lgs. 6 settembre 2011, n. 165 (Attuazione della direttiva 2009/18/CE che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica le direttive 1999/35/CE e 2002/59/CE);
  • D.lgs. 9 gennaio 2012, n. 4 (Pesca marittima);
  • D.lgs n. 7 e n. 8 del 2016 (Abrogazione di reati….);
  • Legge 28 luglio 2016, n. 154 - Capo VIII (Disposizioni in materia di pesca e acquacoltura - Art. 39, n. 1 (Modificazioni al decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4, recante misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura);
  • ecc. ecc.

 

Le legge penale militare

Con l’espressione di «Legge penale militare [48]» si indica un complesso di norme penali che hanno come destinatari essenzialmente, ma non unicamente, i militari, per la tutela della efficienza delle Forze Armate dello Stato.

Cardine di ogni legge ordinaria, e quindi anche della legge penale militare, è la Costituzione Repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Quest’ultima contiene poche norme riguardanti l’ordinamento militare ed i problemi ad esso connessi.

La legislazione penale militare si affianca alla legislazione penale comune e si presenta (almeno, all’origine) come espressione di un vero e proprio ordinamento, dotato di una sua spiccata ed unitaria fisionomia: l’ordinamento militare. Il quale vive e opera nello Stato con una propria struttura fortemente individuata, con una propria gerarchia, con un proprio «mondo» di soggetti e di interessi giuridici: quasi una piccola e caratterizzata società (il consorzio militare, per l’appunto) operante nell’ambito della più ampia società statuale.
Questa piccola e caratterizzata società ha il suo corpus di leggi e di regolamenti (di produzione statuale, naturalmente): il quale corpus, si badi, non è diretto a garantire l’esistenza e il funzionamento della società militare come realtà autonoma e fine a se stessa, bensì è ordinato a soddisfare, attraverso il regolare funzionamento dell’organizzazione militare, le più elementari e delicate esigenze di conservazione dell’intera comunità statuale.
L’ordinamento militare ha appunto una funzione strumentale nei confronti di quest’ultima: le norme che lo reggono sono poste dallo Stato proprio in vista di tale funzione strumentale. Il perno di questa impostazione è l’art. 52 Cost., che stabilisce un diretto collegamento tra l’ordinamento delle Forze Armate e l’ordinamento della Repubblica , esplicitamente ribadito, poi, dalla legge 11 luglio 1978 n. 382 e succ. modif. , la quale, delineando le «norme di principio sulla disciplina militari», ha affermato testualmente: «le Forze Armate sono al servizio della Repubblica; il loro ordinamento e la loro attività si informano ai principi costituzionali (artt. 11 e 52); loro compito è di operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte; concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni e svolgere compiti specifici in circostanze di pubblici».
Se proprio le Forze Armate, preposte per definizione alla difesa della Patria, hanno tra i loro compiti l’intervenire in emergenze che sono tipicamente non belliche, ciò conferma che la difesa della Patria non si collega soltanto all’impegno armato e che, sul piano della promozione del bene della collettività nazionale ed internazionale, ci sono settori di impegno che non sono bellici e che tuttavia sono qualificabili come «difesa della Patria».
In effetti l’azione contro le calamità naturali (terremoti, alluvioni, eruzioni, frane, ecc.) che così spesso colpiscono il territorio nazionale e contro le piaghe sociali (come, ad esempio, la tossicodipendenza) che affliggono vasti strati della collettività nazionale causando morti a migliaia, costituisce anch’essa un’importante aspetto dell’attività di difesa: una difesa non rientrante nello schema tipico tradizionale, ma pur sempre riconducibile a una nozione lata e validissima di «difesa».

 

Caratteri della legge penale militare

Ai fini del nostro studio, ha importanza rilevante il carattere di «specialità» della legge penale militare. Occorre tener presente che tale termine speciale è usato nella dottrina del diritto con accezioni svariate.
In una prima accezione, l’aggettivo “speciale“ sta ad indicare una legge che non è contenuta nel codice comune, ma che è di esso integrativa. In questa accezione, speciale significa, in sostanza, “
complementare”.
Il carattere della “complementarità”, è il principio per il quale il sistema penale militare è integrato, nelle parti in cui manca una specifica previsione, dalle disposizioni della legge penale comune. Il principio è enunciato dall’art. 16 c.p. ed è un corollario della specialità.

  • Esemplificando: in questo senso, è legge speciale il D.L.L. 14 settembre 1944, n. 288, contenente modificazioni al codice penale comune; sono speciali le legge tributarie, anch’esse contenenti norme penali.

In un secondo significato, il termine “speciale” viene usato ad indicare una legge che si rivolge ad una determinata categoria di soggetti (quella dei militari), a motivo della loro qualità o della speciale condizione giuridica in cui essi vengono a trovarsi (carattere della «personalità»). Soprattutto ma non unicamente: vedremo come tra le persone soggette alla legge penale militare figurano anche i non appartenenti alle Forze Armate.
La qualità di militare[1] , è un elemento della specialità che non è riferito unicamente al soggetto attivo (= autore del reato), ma anche, in combinazioni variabili, al soggetto passivo (=persona offesa dal reato), al luogo, all’interesse leso.

  • Ad esempio, sono qualificati come leggi speciali, nel senso predetto, il Codice della navigazione, la Legge quadro sulle aree marine protette, la Legge sulla pesca marittima, la Legge sull’inquinamento del marre da navi, la Legge sulla caccia o, illo tempore, le leggi penali coloniali, ecc.

Infine, la legge penale militare è «speciale» perché, per una cerchia limitata di rapporti, detta una disciplina diversa da quella contenuta dalla legge penale generale. Dalla specialità della legge penale militare deriva per essa l’applicazione dell’art. 15 c.p., per il quale quando più leggi penali regolano la stessa materia, la legge speciale deroga alla legge generale, salvo che non sia altrimenti stabilito.
La legge penale militare è speciale, perché molte sue norme incriminatrici contengono degli “elementi specializzanti“ rispetto alle norme incriminatrici comuni senza i quali si applicherebbe la norma generale.

  • Esemplificando: in questo senso, è speciale la norma che prevede il peculato rispetto a quella che prevede l’appropriazione indebita; è speciale la norma che prevede l’insolvenza fraudolenta rispetto a quella che prevede la truffa, ecc.

La legge penale militare di guerra è speciale rispetto alla legge penale militare di pace: la prima è caratterizzata da un intenso carattere di “eccezionalità“ (presupposto per l’applicazione della legge penale militare di guerra è l’esistenza dello stato di guerra), rispetto alla seconda che costituisce invece l’aspetto normale della legislazione militare.

Delle tre accezioni elencate, di solito ci si riferisce alla prima quando si parla di legge speciale; ci si riferisce alla seconda quando si parla di diritto penale speciale; ci riferisce alla terza quando si parla di norma speciale.

Quest’ultima sembra, fra le tre, l’accezione più precisa del termine speciale: ed è in sostanza quella a cui il legislatore comune si riferisce nel testo dell’art. 15 («la legge o la disposizione di legge speciale deroga dalla legge o dalla disposizione di legge generale…»
Si ritiene che a definire la specialità della legge penale militare debbano appunto concorrere tutte e tre le accezioni predette.
Tali caratteristiche di specialità provengono dal fatto che la legge penale militare è ordinata al raggiungimento di finalità particolari e alla tutela di interessi giuridici speciali, che avremo occasione di ricordare e, a tutela dei quali le norme speciali creano un’area normativa in cui vige una disciplina derogante alle norme penali comuni .
Occorre qui ribadire che la specialità, comunque, non sottrae la legge penale militare all’impero dei principi costituzionali né produce una sorta di «separatezza» di tale legge rispetto alla legge penale comune.

 


[1] Per "militare" il codice intende in generale la persona che presta servizio con tale qualità presso una delle forze armate o dei corpi armati dello Stato. L’art. 15 c.p.m.p. statuisce l’ovvia rilevanza del possesso di tale qualità al momento del commesso reato. Attualmente risultano far parte delle forze armate in senso lato, oltrre a quelle tradizionalmente ritenute tali per essere principali garanti della difesa dello Stato (esercito, marina, aeronautica), l’Arma dei carabinieri (prima inquadrata nell’esercito, ma oggi qualificata autonoma forza armata dalla legge 31 marzo 200, n. 78) e la Guardia di Finanza (qualificata corpo militare dello Stato dalla legge 23 aprile 1959, n. 180), dopo l’avvenuta “smilitarizzazione” degli altri c.d. corpi armati dello Stato (Corpo degli agenti di custodia: Legge 15 dicembre 1990, n. 395; Corpo delle guardie di pubblica sicurezza: Legge 1° aprile 1981, n. 121). Ancora risultano avere la qualità di militari gli iscritti, chiamati in servizio, nei ruoli del Corpo speciale volontariato (ausiliario delle Forze armate dello Stato) della Associazione della Croce rossa italiana, in base all’art. 29, r.d. 10 febbraio 1936, n. 484 e gli iscritti, chiamati in servizio, nei ruoli dell’Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare ordine di Malta, in base all’art. 4 Legge 4 gennaio 1938, n. 23.

 

Codice della Navigazione e Regolamento di esecuzione

Il «Diritto della navigazione» è l’insiene delle norme regolanto la materia della navigazione – sia marittima, interna (cioè quella esercitata su fiumi, canali e laghi) od aerea – intesa come complesso unitario dei rapporti attinenti alla navigazione.
La navigazione è qualificata dai «mezzi» con i quali si attua (nave, aeromobile, veicolo spaziale); dall’ «ambiente» nel quale si svolge (mare, acque interne, spazio aereo, spazio extra-atmosferico); dalle «finalità» che con essa si perseguono (private o pubbliche; commerciali, di ricerca, di diporto, ecc.).

Il «Codice della navigazione [49]» vigente viene approvato, nel testo definitivo, con R.D. 30 marzo 1942, n. 327 ed entrò in vigore il 21 aprile dello stesso anno.  La realizzazione di esso si deve al genio di Antonio SCIALOJA (in figura), che aveva sempre sosten uto l’unità e l’autonomi del diritto della navigazione, affermando che tale diritto non doveva limitarsi alla sola discoplina della navigazione marittima ed ai suoi rapporti commerciali, bensì estendersi a tutti i rami, sia di diritto pubblico che di diritto privato. Il Codice, infatti, dà una organica e completa sistemazione a tutti i rapporti attinenti alla navigazione marittima, interna ed aerea, prescincendo dagli scopi per i quali la stessa venga esercitata e componendo istituti privatistici e pubblicistici in un sistema rigorosamente unitario. I cinquantanni del Codice della navigazione sono stati celebrati nel 1992 con un convegno svoltosi a Cagliari il 28-30 marzo, in cui è stata valutata la tenuta del Codice con riguardo ai singoli istituti disciplinati. Nel 1995 è stata istituita invece, una commissione preesieduta dal professor Gabriele PESCATORE al fine di celebrare una riforma del Codice della navigazione, ormai richiesta da più parti.

  • Esso consta di alcune "disposizioni preliminari" (artt. 1-14) e di "quattro parti":

-  la prima: dedicata alla navigazione marittima ed interna (artt. 15-686);
-  la seconda: dedicata alla navigazione aerea (artt. 687-1079);
-  la terza: dedicata alle disposizioni penali e disciplinari (artt. 1080-1265);
-  la quarta: dedicata alle disposizioni transitorie e complementari (artt. 1266-

  1331).

Per l'esecuzione del Codice della Navigazione e in attuazione dell’art. 1331, il Governo ha poi emanato un apposito Regolamento: il «Regolamento per la navigazione interna» (D.P.R. 28 giugno 1949, n. 631) ed il «Regolamento per la navigazione marittima» (D.P.R. 12 febbraio 1952, n. 238).

Quanto alla parte aerea, il Codice è stato ampiamente rivisitato dal D.Lgs. 9 maggio 2005, n. 96, corretto ed integrato dal D.Lgs. 15 marzo 2006, n. 151, allo scopo di migliorare il livello di tutela dei diritti del passeggero e di sicurezza del trasporto aereo, nonché di razionalizzare e semplificare l’assetto normativo e regolamentare nel settore dell’aviazione civile e delle gestioni aeroportuali.

Il Regolamento consta di "543 articoli" ed è suddiviso in "sei libri". Ogni libro è suddiviso in Titoli, Capi e Articoli, ecc.

Il primo libro riguarda gli Organi amministrativi della navigazione, il demanio marittimo, l'attività amministrativa dei porti, la polizia ed i servizi portuali, il personale marittimo, il regime amministrativo delle navi, la polizia della navigazione, gli atti di stato civile in corso di navigazione, gli oggetti appartenenti a persone morte o scomparse in viaggio ed alcune disposizioni speciali relative al diporto ed alla pesca. Tale libro corrisponde alle norme contenute nel libro primo - parte prima del Codice.

Il libro secondo, intitolato alla proprietà della nave ed all'esercizio della navigazione, tratta della costruzione della nave, delle formalità relative alla pubblicità navale, dell'esercizio della navigazione e del contratto di arruolamento. Corrisponde al libro secondo - parte prima del Codice.

Il libro terzo, è dedicato alle obbligazioni relative all'esercizio della navigazione e riguarda, in particolare, il recupero ed il ritrovamento dei relitti. Corrisponde al libro terzo - parte prima del Codice.

Il libro quarto, intestato alle disposizioni processuali, tratta dell'Istruzione preventiva, delle cause marittime, dell'attuazione della limitazione del debito dell'armatore, dell'esecuzione forzata e delle misure cautelari. Corrisponde al libro quarto - parte prima del Codice.

Il libro quinto, intitolato alle disposizioni penali e disciplinari, riguarda le disposizioni in materia di polizia, quelle processuali ed il procedimento disciplinare. Corrisponde alla parte terza del Codice.

Il libro sesto, infine, si occupa delle disposizioni transitorie e complementari.

La sistemazione della materia nel Regolamento segue, fin dove possibile, la sistematica del Codice allo scopo di rendere agevole il rintraccio delle norme regolamentari per tutti coloro che sono chiamati ad applicare le norme del Codice, ciò giustifica la frequente esistenza di Capi formati da appena uno o due articoli.

Oltre che nel Codice e relativo Regolamento, le disposizioni in materia marittima sono contenute in altri "testi legislativi" (leggi, regolamenti speciali, testi unici). Tali testi legislativi della navigazione sono, per la quasi totalità, relativi alla materia del Diritto Pubblico Amministrativo.

 

Le Norme giuridiche

Il complesso delle norme emanate per il raggiungimento delle finalità dello Stato ne costituiscono il «Diritto». Tutte le norme che costituiscono il diritto dello Stato si denominano «norme giuridiche» (da jus=diritto) fra loro coordinate (ordinamento). che danno un ordine alle attività umane. Tali norme si distinguono dalle altre (morali, religiose, etiche) perché sono socialmente garantite: lo Stato cioè, ne assicura l’osservanza consentendone l’attuazione anche contro la volontà dei soggetti cui esse si rivolgono e prevedendo «conseguenze sfavorevoli» (=sanzioni) a carico di chi ne trasgredisce il precetto e cioè il comando o il divieto in esse contenuto. La norma giuridica è un «precetto» imposto e fatto valere dall’Autorità dello Stato. Essa è costituita (elementi costitutivi) sostanzialmente da un comando, di contenuto positivo o negativo, rivolto a tutti gli individui e la cui applicazione è assicurata dall’ordinamento con una sanzione o, più generale, con la forza della legge.

 

 

Caratteristiche della norma giuridica sono la generalità e l’astrattezza e, per quanto riguarda il loro valore obbligatorio, dalla forza di “coazione” a mezzo della pubblica Autorità.

  • Ad esempio, nel campo del diritto penale, detta coazione si identifica con la minaccia della pena: “Chiunque, nelle condizioni previste negli artt. 70 e 107 [1] Cod. nav., richiesto dall’Autorità competente (U.C.G.), omette di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave o di un galleggiante, o di una persona in pericolo ovvero all’estinzione di un incendio, è punito con la reclusione da 1 a 3 anni” (art. 1113 Cod. nav. – Omissione di soccorso).

Per l’inosservanza di norme non giuridiche (come quelle morali e quelle di etichetta) lo Stato non prevede invece alcuna sanzione esterna. La loro trasgressione può comportare infatti solo effetti sulla coscienza del trasgressore oppure giudizi di disapprovazione del suo operato.

Chi trasgredisce il comando («paga il tuo debito…», «soccorri il naufrago...» ) o il divieto («non inquinare...», «non occupare arbitrariamente spazio demaniale...») commette un «iIllecito» ed è dunque assoggettato ad una «sanzione» che può essere di tipo diverso a seconda della norma violata, della gravità della violazione oltreché dei beni e degli interessi che la norma tutela. Fra i tipi sanzione di si distinguono, in specie, quelle "civili", quelle "amministrative" e quelle "penali".

Le sanzioni penali sono le più drastiche e le più infamanti perché possono consistere nella punizione personale del trasgressore.

  • Ad esempio, perciò, sono norme giuridiche quelle che vietano di uccidere (art. 575 c.p. e art. 1150 Cod. nav.) o impongono di pagare i creditori (art. 1218 cod. civ.). Di esse, lo Stato assicura l’osservanza stabilendo, rispettivamente, che una sanzione penale (ergastolo o reclusione) sia inflitta a chi uccide e che sanzioni civili (pignoramento, vendita e rilascio forzato dei beni) siano inflitte al debitore che non adempie la sua obbligazione.

 


[1] Art. 70 Cod. nav. (Impiego di navi per il soccorso) – L’Autorità marittima o, in mancanza, quella comunale (art. 69 Cod. nav.) possono ordinare che le navi che si trovano nel porto o nelle vicinanze siano messe a loro disposizione con i relativi equipaggi. […] Art. 107 Cod. nav. (Servizi per l’ordine e la sicurezza del porto) – Oltre che nei casi previsti dall’art. 70 Cod. nav., i rimorchiatori devono essere messi a disposizione delle Autorità portuali che lo richiedono per qualsiasi servizio necessario all’ordine e alla sicurezza del porto.

 

Le Norme penali

Il Diritto costituisce quel complesso di norme giuridiche con cui lo Stato, mediante la minaccia di una sanzione, proibisce determinati comportamenti umani che considera contrari ai fini che esso persegue. Quando alla trasgressione di una norma giuridica consegue una «sanzione penale», la norma appartiene alla categoria delle «norme penali» e il fatto illecito che essa punisce si denomina «reato».
Il reato è qualsiasi fatto illecito per il quale è prevista una sanzione penale. Pertanto per stabilire se un fatto illecito è un reato o una infrazione amministrativa o un semplice illecito civile occorre guardare al "tipo di sanzione" per esso prevista. Si potrà dire che un fatto è reato solo se è punito con una sanzione penale. Le sanzioni penali sono le più drastiche e le più infamanti perché possono consistere nella punizione personale del trasgressore.

  • Si pensi, ad esempio, all'ergastolo o alla reclusione; tali sanzioni limitano i diritti di libertà ed altri diritti della persona.

Per «norma penale» si intende ogni disposizione di legge che vieta o impone un determinato comportamento, prevedendo, in caso di trasgressione, la irrogazione di una sanzione penale.
Le norme penali sono contenute principalmente nel "Codice Penale" (approvato con R.D. 19.01.1930, n. 1398 ed entrato in vigore il 1 .7.1931).
In effetti norme penali sono sparse e disseminate ovunque nell'ordinamento, in numero ben superiore a quelle contenute nel Codice penale, nel quale sono (o dovrebbero essere) ricomprese le incriminazioni di maggiore significato sociale, quelle in cui si identifica l'area, per così dire, «tradizionale» del Diritto penale (ad esempio, omicidio, rapina. furto, falsi, e così via dicendo).
La norma penale è quella che "comanda" o "vieta" un determinato comportamento con la "minaccia della pena". La norma, dunque, consta di due parti: precetto e sanzione.

Il «precetto» pone un comando o divieto (ad esempio, ...non uccidere), la «sanzione» stabilisce le conseguenze che seguono la trasgressione del precetto (ad esempio, ...se uccidi sarai punito).
Lo scopo del Diritto penale è "repressivo" (cioè ha lo scopo di punire le manifestazioni anti-giuridiche più gravi) ed in via subordinata "preventivo", perché la minaccia di punizione serve a scoraggiare il comportamento criminoso.
Per questo carattere il Diritto penale si distingue dal «diritto di polizia» che ha lo scopo di prevenire le manifestazioni criminose.
Infine, il Diritto penale si distingue da "diritto processuale penale", perché il primo fissa quali sono gli illeciti e stabilisce le sanzioni di applicare ai trasgressori, il secondo indica il rito da seguire per accertare il reato ed applicarne la pena.

 

La norma giuridica: caratteri

Il diritto oggettivo[1] è costituito da un «sistema di comandi», detti norme giuridiche fra loro coordinate (ordinamento) che danno un ordine alle attività umane.

Le norme giuridiche, secondo la dottrina prevalente, presentano i seguenti "caratteri":

  1. generalità: esse, poiché abbracciano una generalità di casi (es. art. 575 c.p.: "Chiunque cagiona la morte di un uomo.....")  si rivolgono alla generalità dei consociati e di quanti, cittadini stranieri, si trovano a soggiornare nel nostro Paese;
  2. astrattezza: esse prendono in considerazione dei casi astratti ("fattispecie astratte"), a cui dovranno ricondursi tutti i casi concreti che presentino gli stessi caratteri previsti dalle fattispecie astratte;
  3. novità: ogni norma regola una situazione o un comportamento non disciplinati precedentemente, o disciplinati in modo diverso;
  4. coercibilità: le norme giuridiche possono essere applicate anche contro la volontà del soggetto che dovrebbe osservarle; si dice che sono «indefettibili» (questa caratteristica la distingue dalle norme morali, religiose, di cortesia, ecc. che non sono coercibili);
  5. positività: le norme giuridiche, per operare, devono essere state poste in essere espressamente dal legislatore.

Le norme positive (o il c.d. diritto positivo) sono, appunto, le norme create dal legislatore secondo le regole stabilite dallo stesso ordinamento per la loro emanazione.

 


[1] Secondo la definizione dello Scuto è il complesso delle norme che regolano, insiene all'organizzazione della società umana, le azioni dell'uomo nella vita sociale e che sono imposte dall'autorità dello Stato per garantire i singoli individui e la collettività nel raggiungimento dei loro fini. Esso, in termini più semplici, è "norma agendi", cioè norma dei rapporti sociali da uomo a uomo imposta e fatta valere dall'autorità dell Stato come regola di vita.

 

I fatti illeciti e le sanzioni

Sono così chiamati tutti quei fatti o comportamenti umani riprovati dal diritto poiché contrari ad un “precetto” dell’ordinamento giuridico. I fatti-illeciti, rilevanti nel campo del diritto, che comportano l’applicazione di sanzioni, si dividono in:

-  illecito civile
-  illecito amministrativo
-  illecito penale
-  illecito penale militare

Si ha «illecito civile», allorché il privato con il proprio comportamento contrario alla norma lesiva di un diritto (assoluto come la proprietà o relativo come il diritto di un credito), procura all’individuo un «danno patrimoniale» con il conseguente obbligo giuridico di «risarcire il danno» stesso (responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 c.c.). La sanzione civile è inflitta dal Giudice in sede civile.

  • Si pensi, a titolo esemplificativo, alla responsabilità di chi danneggia un bene. Ai sensi dell’art. 2043 Cod. civ. (Risarcimento per fatto illecito) qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Si ha «illecito amministrativo» allorché la trasgressione commessa da un privato, violando un «dovere generale» posto dallo Stato a presidio e tutela di interessi di rilevanza generale, per scelta del legislatore, è sottoposta a quella particolare "sanzione" chiamata appunto «amministrativa» (normalmente pecuniaria oppure di altro tipo). La sanzione amministrativa è inflitta di norma dall’Autorità amministrativa[1].

  • Ad esempio, chiunque esercita la pesca in zone e tempi vietati dalla normativa comunitaria e nazionale (riconosciute come aree di riproduzione e accrescimento)… (art. 10, comma 1 lett. b, D.lgs. n. 4/2012 – art. 98 D.P.R. 1639/68) è punito è punito con la sanzione amministrativa (art. 11, comma 1 D.lgs. n. 4/2012) del pagamento di una somma da 2.000 euro a 12.000 euro (pagamento in misura ridotta pari a 4.000 €).

L’art. 12, commi 1 e 2 D.lgs. n. 4/2012, prevede la confisca del pescato e degli attrezzi da pesca. Colui che accerta l’infrazione deve pertanto sequestrare pescato e attrezzi redigendo apposito P.V. (si tratta di sequestro cautelare ex art. 13 Legge n. 689/81).

  • Ad esempio, chiunque viola i divieti e i vincoli contenuti nei decreti di costituzione delle riserve marine (art. 25 e ss. legge n. 979/82) è punito con la sanzione amministrativa (art. 30, comma 2, Legge n. 979/82) da 103 € a 2.852 € (pagamento in misura ridotta pari a 206 €). La Capitaneria di Porto, ai sensi dell’art. 30 della Legge n. 979/82,procede alla confisca amministrativa di cose, strumenti e attrezzi attraverso i quali è stata commessa la violazione.
  • Ad esempio, chiunque viola il divieto di navigare a motore al comando o alla conduzione di un'unità da diporto, che comunque non sia a conoscenza dei vincoli relativi a tale area, qualora l'area protetta marina non sia segnalata con mezzi adeguati (art. 19, 3° comma, lettera e), della Legge 06/12/1991 n. 394) è punito con la sanzione amministrativa (art. 30, comma 1-bis, della Legge 06/12/1991 n. 394, aggiunto dall'art. 4, 2° comma, della Legge 08/07/2003 n. 172) del pagamento di una somma da 200 € a 1.000 € (pagamento in misura ridotta pari a 333 €). “I limiti geografici delle aree protette marine entro i quali è vietata la navigazione senza la prescritta autorizzazione sono definiti secondo le indicazioni dell'Istituto idrografico della Marina e individuati sul territorio con mezzi e strumenti di segnalazione conformi alla normativa emanata dall'Association Internationale de Signalisation Maritime-International Association of Marine Aids to Navigation and Lighthouse Authorities (AISM-IALA)" - (art. 2, comma 9-bis, della Legge 394/91)
  • Ad esempio, chiunque assume o ritiene il comando o la condotta ovvero la direzione nautica di una unità da diporto "senza avere conseguito la prescritta abilitazione" è soggetto alla sanzione amministrativa (art. 53, comma 1 D.lgs, n. 171/2005 del pagamento di una somma da 2.066 € a 8.263 € (pagamento in misura ridotta pari a 2.754,33 €). La stessa sanzione si applica a chi assume ovvero ritiene il comando o la condotta ovvero la direzione nautica di una unità da diporto "senza la prescritta abilitazione perché revocata o non rinnovata per mancanza dei requisiti". La sanzione è raddoppiata nel caso di comando o condotta di nave da diporto.

Si ha «illecito penale» (= reato), allorché il comportamento contrario alla norma (azione od omissione), viene punito con una «sanzione penale» (pena e misura di sicurezza).
Siccome il reato danneggia o mette in pericolo «interessi di una suprema dignità» come la vita, la libertà individuale e interessi altresì rilevanti come il patrimonio, gli interessi della pubblica amministrazione, ecc. per questo motivo il legislatore ha previsto per chi viola le norme penali sanzioni più afflittive perché tali da creare un vulnus (buco, danno) alla collettività.

  • Ad esempio, è punito con l’ergastolo o la reclusione chi è riconosciuto responsabile di un omicidio (artt. 575 c.p. e 1150 Cod. nav..) ovvero è punito con l’internamento in un riformatorio giudiziario il minore riconosciuto responsabile di un omicidio (art. 575 c.p.).

Si definisce «illecito penale militare» o semplicemente reato militare, qualunque violazione della "legge penale militare", a cui è collegata l’irrogazione di una «sanzione penale militare»: ergastolo, reclusione comune e reclusione militare.

  • Ad esempio, è punito con la reclusione il militare riconosciuto responsabile del reato di omicidio nei confronti di un superiore (artt. 186, comma 2 e 187 c.p.m.p. – insubordinazione con violenza)[2], o è punito con l’ergastolo o la reclusione il militare riconosciuto responsabile del reato di omicidio nei confronti di un inferiore (art. 195, co.2 c.p.m.p. – violenza contro un inferiore) ovvero è punito la reclusione il militare riconosciuto responsabile del reato di furto (art. 230 e 231 c.p.m.p. – furto militare).

 

 

Le «sanzioni penali» sono dunque le più drastiche: possono consistere anche nella privazione della libertà personale del trasgressore (pene detentive: ergastolo, reclusione e arresto) e hanno un significato particolarmente infamante.

E in particolare, le sanzioni penali si "distinguono" da quelle amministrative perché:

  1. possono essere introdotte solo da leggi statali, e non anche da leggi regionali;
  2. incidono sulla libertà personale;
  3. producono le conseguenze delle sanzioni penali (vengono ad esempio registrate nel casellario giudiziale);
  4. implicano un giudizio di disvalore etico-sociale nei confronti di coloro cui vengono applicate;
  5. sono inflitte dal Giudice.

 


[1] Esistono, tuttavia, casi rarissimi di sanzioni amministrative di competenza dell’Autorità Giudiziaria. Si pensi all’ipotesi prevista dall’art. 24 della Legge 689/81 (Connessione obiettiva con un reato)

[2] Agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione di “violenza” si comprendono l’omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti e qualsiasi tentativo di offendere con armi (art. 43 c.p.m.p.).

 

Sanzioni amministrative

Sono inflitte (di norma) dall’Autorità amministrativa (es. Capo del Compartimento marittimo, Prefetto, Sindaco del Comune).
Esistono, tuttavia, casi rarissimi di sanzioni amministrative di competenza dell’Autorità Giudiziaria. Si pensi all’ipotesi prevista dall’
art. 24 della Legge 689/81 (Connessione obiettiva con un reato):
La connessione di cui parliamo si verifica, in genere, nei casi in cui coincidono parzialmente o totalmente i comportamenti ritenuti illeciti nell’ambito del diritto penale e in quello del diritto amministrativo.

  • Come è il caso, ad esempio, di “lesioni colpose” commesse per violazione di una norma del Codice della strada: eccesso di velocità, inosservanza di segnalazioni semaforiche, mancata precedenza, mancato arresto allo stop; ovvero del Codice della navigazione o del Codice della Nautica da diporto: omesso rispetto di distanze di sicurezza, e simili.

Peraltro le sanzioni amministrative possono essere:

- disciplinari (se incidono sullo status)

  • Ad esempio, la censura, la sospensione dall’impiego a carico degli Ufficiali di polizia giudiziaria (art. 16 e ss. norme di att. c.p.p.).
  • Si pensi, ad esempio, agli articoli del Codice della Navigazione:

    - art. 1249 (Potere disciplinare nella navigazione marittima….);- art. 1251 (Infrazioni disciplinari);
    - art. 1252 (Pene disciplinari per l’equipaggio della navigazione marittima….);
    - art. 1254 (Pene disciplinari per gli atri appartenenti al personale marittimo….);
    - art. 1255 (Pene disciplinari per le persone che esercitano una attività professionale all’interno dei porti - art. 68 C. N.);
    - art. 1256 (Infrazioni disciplinari del passeggero);
    - art. 1257 (Pene disciplinari per i passeggeri), ecc.

- patrimoniali (se incidono sul patrimonio)

  • Ad esempio le sanzioni pecuniarie, le confische, ecc.

- interdittive (se incidono sull’attività)

  • Ad esempio, quelle previste dall’art. 1252, n. 2 Cod. nav. (l’inosservanza delle disposizioni che disciplinano l’esercizio dell’attività dei porti) ovvero il ritiro e la sospensione di una licenza, autorizzazioni e concessioni per l’uso dei beni pubblici, ecc.

Le sanzioni amministrative si "distinguono" da quelle penali perché:

  1. possono essere introdotte non solo da leggi statali, ma anche da leggi regionali;
  2. non incidono sulla libertà personale;
  3. non producono le conseguenze delle sanzioni penali (non vengono ad esempio registrate nel casellario giudiziale;
  4. non implicano un giudizio di disvalore etico-sociale nei confronti di coloro cui vengono applicate;
  5. non sono inflitte (di norma) dall’Autorità Giudiziaria, ma dall’Autorità amministrativa (Prefetto, Sindaco del Comune, Capo del Compartimento marittimo).

 

art. 24 Legge 689/81 (Connessione obiettiva con un reato)

L’ipotesi dell’art. 24 della Legge 689/81 (Connessione obiettiva con un reato) prevede che: "...qualora l’esistenza di un reato dipenda dall’accertamento di una violazione non costituente reato, e per questa non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il Giudice penale competente a conoscere del reato è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di condanna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa".
Se ricorre tale ipotesi, il Verbale di cui all’art. 17 cit. legge è trasmesso, anche senza che si sia proceduto alla notificazione prevista dal secondo comma dell’art. 14, all’Autorità Giudiziaria competente per il reato, la quale, quando invia la comunicazione giudiziaria, dispone la notifica degli estremi della violazione amministrativa agli obbligati per i quali essa non è avvenuta. Dalla notifica decorre il termine per il pagamento in misura ridotta […]".

La connessione di cui parliamo si verifica, in genere, nei casi in cui coincidono parzialmente o totalmente i comportamenti ritenuti illeciti nell’ambito del diritto penale e in quello del diritto amministrativo.

  • Come è il caso, ad esempio, di “lesioni colpose” commesse per violazione di una norma del Codice della strada: eccesso di velocità, inosservanza di segnalazioni semaforiche, mancata precedenza, mancato arresto allo stop; ovvero del Codice della navigazione o del Codice della Nautica da diporto: omesso rispetto di distanze di sicurezza, e simili.

La connessione sopra descritta vale a spostare la competenza a favore del «Giudice penale» solo nel caso in cui non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta previsto dall’art. 16 della L. 689/81.
Esiste, in genere, la fattispecie contemplata dall'art. 24 della legge n. 689/81, qualora la cognizione di un illecito influisce sulla cognizione e prova di un altro illecito entrambi commessi in occasione di una infrazione attuata da un singolo soggetto attivo.
Quando si verifica tale connessione in quanto l'esistenza di un reato dipende dall'accertamento di una violazione non costituente reato (per esempio, illecito amministrativo), e per questa non sia effettuato il pagamento in misura ridotta, la competenza a decidere sulla violazione amministrativa, è attribuita al Giudice penale competente a conoscere del reato commesso.
Ovviamente non è possibile indicare anticipatamente tutti i casi nei quali detta connessione potrà esistere

  • A titolo di esempio, ci si potrà trovare in presenza di connessione allorquando l '«accertamento della misura delle maglie delle reti da pesca (=illecito amministrativo)» sia collegato alla concomitante circostanza dell'«uso di dette reti per la pesca di frodo (=illecito penale)».

In tale ipotesi il Giudice penale è competente a decidere anche sulla «violazione amministrativa connessa». Non è, pertanto, necessario che, al ricorrere di tale ipotesi, l'accertatore provveda ad eseguire nei modi rituali la contestazione o notifica dell'illecito amministrativo, il quale per effetto del richiamato art. 24, andrà segnalato unitamente al fatto penale, alla competente "Procura della Repubblica presso il Tribunale".
Non appare poi possano sorgere particolari difficoltà attuative nel caso si debba operare contestualmente all'accertamento dell'illecito, anche il "sequestro" che, per effetto della connessione, dovrebbe riguardare esclusivamente l'aspetto penale piuttosto che quello amministrativo.

 

 

Elementi costitutivi delle norme giuridiche

Le «norme giuridiche» sono quel complesso di statuizioni attraverso le quali lo Stato, mediante la minaccia di una «sanzione», proibisce determinati comportamenti umani che considera contrari ai fini che esso persegue.

Ogni norma, per forza di cose, è composta da due «elementi costitutivi»:

  1. precetto
  2. sanzione

Il «precetto» è rappresentato dalla «prescrizione» e cioè dal comando o dal divieto (impliciti o espliciti) di compiere una determinata azione.

La «sanzione» è rappresentata, invece, dalla «conseguenza giuridica» che deriva dalla inosservanza del precetto.
Una norma di puro precetto senza sanzione sarebbe destinata ad avere uno scarso se non nullo effetto deterrente ed impositivo atteso che mancherebbe la possibilità per l'ordinamento giuridico di imporre l'osservanza nel caso in cui questa non si realizzi volontariamente da parte dei destinatari della norma stessa.
Se all'inosservanza delle prescrizioni contenute in una norma giuridica consegue l'applicazione di una «sanzione penale», la norma giuridica appartiene alla categoria delle «norme penali».

  • Ad esempio: l’art. 593 c.p. che prevede il delitto di omissione di soccorso dispone che «Chiunque, trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all’Autorità, è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309 .
  • Ad esempio: l’art. 1158 Cod. nav. che prevede il delitto di omissione di assistenza a navi o persone im pericolo dispone che «Il comandante di nave, di galleggiante o di aeromobile nazionale o straniero che ometta di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne ha l’obbligo…, è punito con la reclusione fino a 2 anni». La pena è della reclusione da 1 a 6 anni, se dal fatto deriva una lesione personale, da 3 a 8 anni, se ne deriva la morte. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a 6 mesi….. La prima parte della norma, che impone l’obbligo del soccorso, è il precetto, mentre la seconda parte di essa, che prevede la pena che dovrà essere applicata nel caso di inosservanza di questo obbligo, costituisce, invece, la sanzione.

Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediato avviso all’Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale (582), la pena è aumentata (64); se ne deriva la morte, la pena è raddoppiata. La prima parte della norma, che impone l’obbligo del soccorso, è il precetto, mentre la seconda parte di essa, che prevede la pena che dovrà essere applicata nel caso di inosservanza di questo obbligo, costituisce, invece, la sanzione».

  • Ad esempio: l’art. 1113 Cod. nav. che prevede il delitto di omissione di soccorso dispone che «Chiunque, richiesto dall’Autorità competente (art. 70 e 107 Cod. nav.), omette di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave e o di un galleggiante, o di una persona in pericolo ovvero all’estinzione di un incendio, è punito con la reclusione da 1 a 3 anni» (artt. 1121 e 1124 Cod. nav.). La prima parte della norma, che impone l’obbligo del soccorso, è il precetto, mentre la seconda parte di essa, che prevede la pena che dovrà essere applicata nel caso di inosservanza di questo obbligo, costituisce, invece, la sanzione.

Di contro, se all'inosservanza delle prescrizioni contenute nella norma giuridica consegue l'applicazione di una «sanzione amministrativa», la norma giuridica appartiene alla categoria delle «norme amministrative».

  • Ad esempio: l’art. 1193 comma 1 Cod. nav. che prevede l'illecito amministrativo per l' inosservanza delle disposizioni sui documenti di bordo dispone che «Il comandante di nave mercantile che naviga senza avere a bordo i documenti prescritti (art. 299 Cod. nav.), è punito la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.549 € a 9.296 €» . La prima parte della norma, che impone il divieto di occupazione di spazio demaniale per mezzo di un veicolo, è il precetto, mentre la seconda parte di essa, che prevede la sanzione amministrativa che dovrà essere applicata nel caso di inosservanza di questo divieto, costituisce, invece, la sanzione.
  • Ad esempio: l’art. 1161 comma 2 Cod. nav. che prevede l'illecito amministrativo di abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata dispone che «Se l'occupazione di cui al primo comma è effettuata con un veicolo, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 103 ad € 619; in tal caso si può procedere alla immediata rimozione forzata del veicolo in deroga alla procedura di cui all'art. 54» . La prima parte della norma, che impone il divieto di occupazione di spazio demaniale per mezzo di un veicolo, è il precetto, mentre la seconda parte di essa, che prevede la sanzione amministrativa che dovrà essere applicata nel caso di inosservanza di questo divieto, costituisce, invece, la sanzione.

 

 

Rispetto agli «elementi costitutivi» le norme giuridiche si distinguono in norme:

  1. perfette
  2. imperfette
  3. in bianco

 

Norme perfette o complete

Sono «perfette» le norme penali vere e proprie (c.d. norme incriminatrici) che contengono «sia il precetto che la sanzione»: determinano gli estremi di un fatto vietato dalla legge (reato) e fissano la relativa sanzione.

Al fine del nostro studio, per chiarire, può ricorrersi ai seguenti esempi:

♦ Codice della Navigazione

  • Ad esempio l’art. 1114 Cod. nav. (Rifiuto di servizio da parte di pilota) è norma perfetta perché contiene l’obbligo (precetto) da parte del Pilota di rispondere al segnale di chiamata di una nave ovvero si rifiuta di prestare la sua opera e ne fissa la sanzione per l’inosservanza del precetto (reclusione fino a 1 anno ovvero multa fino 516 €. Se la nave è in pericolo la pena è della reclusione da 1 a 3 anni).
  • Ad esempio l’art. 1161, comma 1 (Abusiva occupazione di spazio demaniale e inossservanza di limiti alla proprietà privata) Cod. nav. è norma perfetta perché contiene il divieto (precetto) di occupare arbitrariamente spazio demaniale, di impedirne l’uso o di eseguire innovazioni non autorizzate (art. 36 cod. nav.) ovvero il divieto di eseguire nuove opere entro una zona di 30 metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare (art. 55 cod nav.) e ne fissa la sanzione per l’inosservanza del precetto (arresto fino a 6 mesi ovvero ammenda fino a 516 €, sempreché il fatto non costituisca più grave reato).

♦ Inquinamento

  • Ad esempio l’art. 59, comma 11° bis del D.lgs 11.05.1999 n° 152 come modif. dal D.lgs. 258/2000 è norma perfetta perché contiene il divieto (precetto) di smaltire i fanghi nelle acque marine mediante immersione da nave, scarico attraverso condotte o comunque effettuare smaltimento dei rifiuti nelle acque marine senza autorizzazione, e ne fissa la sanzione (art. 59, comma11°bis, del D.lgs.11.05.1999 n° 152) per l’inosservanza del precetto (arresto fino a 2 anni)
  • Ad esempio , l’art. 58 del D.lgs 11.05.1999 n° 152 come modif. dal D.lgs. 258/2000 è norma perfetta perché contiene l’obbligo (precetto) di ottemperare alle prescrizioni relative alla bonifica e ripristino ambientale, e ne fissa la sanzione (art. 58 del D.lgs.11.05.1999 n° 152) per l’inosservanza del precetto (arresto da 6 mesi ad 1 anno e ammenda da 2.582 € a 25.822 €).

♦ Immigrazione

  • Ad esempio l’art. 12 del D.lgs. n. 286/98 è norma perfetta perché contiene il divieto (precetto) di favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato e ne fissa la sanzione (art. 12, D.lgs. n. 286/98) per l’inosservanza del precetto (reclusione fino a 3 anni e multa sino a 15.493 €).
    Obbligatorio l’arresto in flagranza.
  • Ad esempio l’art. 12 del D.lgs. n. 286/98 è norma perfetta perché contiene il divieto (precetto) di favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato, per fine di lucro o da 3 o più persone in concorso tra loro, ovvero di favorire l’ingresso di 5 o più persone e nei casi in cui il fatto è commesso mediante l’utilizzazione di servizi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti, e ne fissa la sanzione (art. 12, D.lgs. n. 286/98) per l’inosservanza del precetto (reclusione da 4 a 12 anni e multa di 15.493 € per ogni straniero di cui è stato favorito l’ingresso).
    Obbligatorio l’arresto in flagranza. E’ prevista la confisca del mezzo e pertanto si deve procedere al sequestro dello stesso mezzo.

 

Norme imperfette o incomplete

Sono «imperfette o incomplete» le norme che contengono direttamente «il solo precetto o la sola sanzione». 

Ad adiuvandum:

♦ Decretro legislativo 18.07.2007. n. 202 (Attuazione della direttiva 2005/35/CE)

  • L’articolo 4, comma 1 del D.lgs 202/07 (Attuazione della direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni) è norma imperfetta perché vieta (=precetto) a tutte le navi, senza alcuna discriminazione di nazionalità, di versare in mare le “sostanze inquinanti” inserite nell’Allegato I (idrocarburi) e nell’Allegato II (sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla Convenzione MARPOL 73/78 Idrocarburi (ratificata con Legge 29 settembre 1980, n. 662), come richiamate nell’elenco di cui all’Allegato A alla Legge 31 dicembre 1982, n. 979 (DIFMAR), nelle acque marittime interne, compresi i porti, nelle acque territoriali, in alto mare, negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale e soggetti al regime di passaggio di transito, nella zona economica esclusiva (ZEE) o in una zona equivalente istituita ai sensi del diritto internazionale e nazionale del mare…..., ma non fissa la sanzione per l’inosservanza del divieto.
  • La sanzione è stata stabilita nell’articolo 8, comma 1[1] [50] dello stesso decreto per gli “sversamenti volontari” in mare delle sostanze suindicate che è, a sua volta, una norma imperfetta perché non contiene alcun precetto, ma solo la sanzione (dispone infatti che, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento volontario in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e con l’ammenda da € 10.000 ad € 50.000. Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 1 (uno) a 3 (tre) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 80.000. Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).

La sanzione è stabilita altresì nell’art. 9, comma 1 del medesimo decreto per gli “versamanti colposi” in mare delle sostanze inquinanti suindicate che è, a sua volta, una norma imperfetta perché non contiene alcun precetto, ma solo la sanzione (dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento colposo in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000.
Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 30.000.
Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3). 

♦ Decretro legislativo 18.07.2005. n. 171 (Nuovo Codice della nautica da diporto):

Il comma 4 del D.lgs. n. 171/2005 (=norma imperfetta), prevede sanzioni amministrative più lievi (misura ridotta pari a 100 €) a carico di chi non osserva una “disposizione” del D.lgs. 171/2005 o un provvedimento legalmente dato dall’Autorità competente in base al predetto decreto.

  • Si pensi, ad esempio, al diportista che navigare senza avere a bordo la dichiarazione di potenza del motore, in originale o in copia autenticata

♦ Pesca marittima D.lgs. n. 4/2012

L’articolo 7, comma 1 lettera b) del D.lgs. n. 4/2012 è norma imperfetta perché contiene il divieto (precetto) di danneggiare le risorse biologiche delle acque marine con l’uso di materie esplodenti, di energia elettrica o di sostanze tossiche atte ad intorpidire, stordire o uccidere i pesci e gli altri organismi acquatici.

La sanzione è fissata all'art. 8, comma 1  per l’inosservanza del precetto (…. salvo che il fatto non costituisca più grave reato, l’arresto da 2 mesi a 2 anni o l’ammenda da 2.000 € a 12.000 €).

N.B.

L’art. 9, comma 1, prevede l’applicazione delle pene accessorie della confisca del pescato, degli attrezzi,, degli strumenti e degli apparecchi usati in contrasto con le norme stabilite dalla Legge sulla pesca.

L'articolo 7, comma 1 lettera f) del D.lgs. n. 4/2012 è norma imperfetta perché contiene il divieto (precetto) di sottrarre o asportare, senza il consenso degli aventi diritto, gli organismi acquatici oggetto dell’altrui attività di pesca, esercitata mediante attrezzi o strumenti fissi o mobili […], e ne fissa la sanzione (art. 8, 2° comma) per l’inosservanza del precetto (arresto da 1 mese a 1 anno o ammenda da 1.000 € a 6.000 €).

L’art. 9 , comma 1 lettera a) prevede l’applicazione delle pene accessorie della confisca del pescato, salvo che sia richiesto dagli aventi diritto, degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchi usati in contrasto con le norme stabilite dalla Legge sulla pesca nonché la sospensione della licenza di pesca

 


[1] [50]Concorso formale del delitto di cui all'art. 635, comma 2  n. 3 del c.p. (Danneggiamento aggravato...) nel "mare territoriale"  o aree demanali in quanto bene pubblico esposto alla pubblica fede e destinato a pubblica utilità (Cass. Sez. I 20.02. 1987 n. 287).

 

Norme in bianco

Sono «norme in bianco» quelle che contengono una sanzione ben determinata, mentre il precetto ha carattere generico, destinato cioè ad essere specificato da elementi futuri (determinati non dalla legge, ma dall’Autorità amministrativa).
Le norme in bianco quindi sono tali in quanto prevedono soltanto la sanzione amministrativa, lasciando alla “fonte sussidiaria” (=disposizione di legge o di regolamento o provvedimento legalmente emanato dall’Autorità competente come, ad esempio, un’Ordinanza della Capitaneria di porto) la descrizione del fatto tipico.

  • Si pensi, ad esempio alle Ordinanze, regolamenti, decreti o ordini che vengono emanati dal Capo del Compartimento o del Circondario, dal Prefetto, dal Sindaco del Comune.
  • Si pensi, ad esempio, all’art. 1231 Cod. nav.: la norma sanzione con l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda fino a 206 €, salvo che il fatto non costituisca più grave reato , l’inosservanza di un provvedimento dato dall’Autorità Marittima (emanato legalmente per ragioni di sicurezza della navigazione…) ma non individua specificamente quale è il provvedimento che bisogna osservare. Il precetto, cioè, rimane in bianco finché l’Autorità amministrativa non lo concretizza emanando l’ordine ed accertandone poi la violazione
  • Si pensi, ad esempio, all’art. 650 c.p.: la norma sanzione con l’arresto o con l’ammenda l’inosservanza di un provvedimento dato dall’Autorità (emanato legalmente per ragioni di sicurezza, di giustizia, di ordine, d’igiene) ma non individua specificamente quale è il provvedimento che bisogna osservare. Il precetto, cioè, rimane in bianco finché l’Autorità amministrativa non lo concretizza emanando l’ordine ed accertandone poi la violazione

Sono, dunque, norme penali anche le norme contenute in leggi extra penali o provvedimenti amministrativi che funzionano da precetto di norme penali in bianco.

Ai fini del nostro studio è opportuno soffermarsi sull’art. 650 c.p., i cui presupoposti sono:

  1. che l’Autorità (Capo del Circondario Marittimo, Prefetto, Sindaco del Comune, ecc.), allo scopo di provvedere alle «esigenze della giustizia» (inerenti all’opera del Giudice o del Pubblico Ministero o della Polizia Giudiziaria) o del la «sicurezza pubblica» (inerenti alla incolumità di persone o cose) o dell’«ordine pubblico» (inerenti alla quiete e all’armonia sociale) abbia legalmente impartito comandi (ordini o divieti) a una o più determinate persone;
  2. che il soggetto abbia commesso l’azione vietatagli o abbia omesso di fare l’azione impostagli dal provvedimento dell’Autorità;
  3. che il soggetto abbia commesso il fatto con dolo o per colpa.

Oggetto specifico della norma è quindi la «tutela dell’interesse all’osservanza individuale dei provvedimenti dati per il mantenimento dell’ordine pubblico genericamente considerato».
Si tratta di una norma penale in bianco ed a carattere ausiliario (opera cioè solo se l’inosservanza del provvedimento dell’Autorità non è punita da un’altra norma penale).

  • Si pensi, ad esempio, alle disposizioni di cui agli artt. 270 comma 2, 271 comma 3, 328, 336,337,338. 389, 450, 509 ovvero agli artt. 652, 659 comma 2, 665, 666 comma 2, 668 comma 4, 677, 679 comma 3, 680, 681, 686 comma 2, 689, 705, 706 c.p.

La condotta consiste nel non osservare un provvedimento (dell’Autorità amministrativa o dell’Autorità giudiziaria) dato legalmente (=provvedimento legittimo: vale a dire emesso dall’Autorità competente e con forme – anche orali – previsti dalle leggi) per una delle seguenti "tassative" ragioni:

  1. ragioni di giustizia (=per agevolare le funzioni della magistratura anche civile e della polizia giudiziaria).
  • Sono provvedimenti emanati per tale ragione, ad esempio, l’invito rivolto dalla polizia giudiziaria, a seguito dell’accertamento di un reato sulla pesca (art. 55 lettera d – danneggiare le risorse biologiche delle acque del mare con l’uso di materie esplodenti) a presentarsi in Capitaneria di Porto, sia al titolare dell’unità da pesca (=indagato) sia alle persone informate sui fatti (=membri dell’equipaggio ovvero altri pescatori).
  1. ragioni di sicurezza pubblica (=per una delle finalità indicate nell’art. 1 del T.U.L.P.S.: mantenimento dell’ordine pubblico, sicurezza dei cittadini e loro incolumità, tutela della proprietà, prestazione di soccorso in caso di pubblici o privati infortuni e prevenzione dei reati).
  • Rientrano, ad esempio, fra i provvedimenti emanati per ragioni di sicurezza pubblica, l’invito al conducente di un veicolo di mostrare il “triangolo” o di rimuovere l’auto lasciata in divieto di sosta.
  1. ragioni di ordine pubblico (=per la tutela della tranquillità pubblica e dell’armonia sociale).
  • Possono ritenersi emessi per tale ragione, ad esempio, i provvedimenti con i quali il Sindaco ordina di sospendere un lavoro notturno eccessivamente rumoroso oppure provvedimenti con i quali personale delle Forze di polizia ingiunge ad alcuni ubriachi di lasciare il bar.
  1. ragioni di igiene (=per la sanità pubblica).
  • Possono ritenersi tali, ad esempio, i provvedimenti con i quali il medico provinciale invita a far recintare la discarica dei rifiuti ovvero i provvedimenti emessi dall’ Ufficiale sanitario comunale in materia di sanità e di igiene.

Il reato di cui all’art. 650 c.p. non sussiste se il provvedimento non è congruamente "motivato". In particolare, nel caso dei «biglietti di convocazione» utilizzati dalle Forze di polizia (ed anche dalla Capitaneria di Porto), la persona convocata deve essere posta in condizione di conoscere quantomeno le ragioni generali per le quali è stata chiamata.

  • Non è da ritenersi congruamente motivato, ad esempio, il provvedimento con il quale si invita una persona in un Ufficio di polizia per…. «affari che la riguardano».

E’ stato invece ritenuto congruamente motivato il biglietto di invito contenente la dizione per…«motivi di polizia giudiziaria».

L’art. 650 c.p., non entra in gioco quando la violazione del provvedimento dell’Autorità commessa dal soggetto costituisce un reato più grave [artt. 328 (Omissione- Rifiuto di atti di ufficio), 336 (Minaccia o violenza a P.U), 337 (Resistenza a Pubblico Ufficiale), ecc.].
Così nel caso di colui che , invitato dall’Autorità di P.S. a comparire davanti ad essa, non si presenta nel termine prescritto senza giustificato motivo, troverà applicazione l’art. 15 T.U.L.P.S, che è norma specifica rispetto a quella in esame (in quanto ha un campo d’azione specializzato rispetto a quello contenuto nell’art. 650 c.p. perché sanziona l’inosservanza di provvedimenti dell’Autorità di Pubblica Sicurezza).

 

Norme in bianco del Codice della navigazione

Attraverso un tipico atto come la «Ordinanza di polizia marittima» il Comandante del Porto-Capo del Circondario Marittimo, regola, integrando il corpo normativo in relazione alla necessità emergenti della situazione locale, le attività che si esercitano nei porti e nelle altre zone di sua competenza. Dà così attuazione a un “potere normativo” (art. 59 Reg. Cod. nav.), a carattere generale, nell’ambito della propria circoscrizione marittima, disciplinando l’uso degli spazi portuali, del demanio marittimo e del mare territoriale
Spesso si tratta di disposizioni legate a fatti limitati nel tempo o contingibili ed urgenti. Altre volte si stabiliscono regole destinate a durare, quali ad esempio la destinazione di accosti a banchine e calate, in questo caso l’Ordinanza può prendere la forma di approvazione di un regolamento ad essa legato come parte integrante dell’ordinanza stessa.

L’inosservanza delle disposizioni dell’Autorità Marittima e, quindi, anche il mancato rispetto delle suddette Ordinanze, costituisce, salvo che il fatto non sia perseguibile a titolo di reato, «illecito amministrativo» (ex. artt. 1164 e 1174 Cod. nav.) punito con sanzioni principali a carattere pecuniario e sanzioni accessorie di vario tipo; o sicuramente «illecito penale» nel caso di norme attinenti la sicurezza della navigazione (ex art. 1231 Cod. nav.).

Nell’ambito del concetto di "polizia marittima" le suddette disposizioni punitive, previste:

  • dall’ art. 1164 Cod. nav. per i beni pubblici marittimi,
  • dall’ art. 1174 Cod. nav. per la polizia dei porti
  • dall’ art. 1231 Cod. nav. per quanto attiene la sicurezza della navigazione....

....assurgono al rango di «norme in bianco» e, quindi, adattabili alle situazioni concretamente verificatesi.

Art. 1164 Cod. nav.

Nell’ambito del concetto di "polizia marittima" le disposizioni punitive, previste dall’art. 1164 Cod. nav. per i " Beni pubblici marittimi ", assurgono al rango di « norme in bianco » e, quindi adattabili alle situazioni concretamente verificatesi.

L’art. 1164 Cod. nav. è una tipica norma in bianco (amministrativa) poiché non contiene la parte precettiva, che viene rimandata a provvedimenti legalmente dati dall’Autorità competente [1] in materia di “uso del demanio marittimo” come fonti primarie (leggi) e fonti secondarie (decreti emanati dall’Ente primario ovvero organi centrali dello Stato, Ordinanze del Capo del Circondario Marittimo ossia da Enti della Pubblica Amministrazione indiretta.
In essa è invece rintracciabile la norma configurata dal legislatore come sanzionatoria di un illecito amministrativo, il quale prescrive il pagamento di una somma in euro.

L’art. 1164, comma 1 del Codice della navigazione (Inosservanza di norme sui beni pubblici), punisce, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.032 € a 3.098 €, chiunque non osserva una disposizione di legge o regolamento, ovvero un provvedimento legalmente dato dall’Autorità competente [1] relativamente all’uso del demanio marittimo (artt. 28 cod. nav. e 822 cod. civ.).
Detta norma, al comma 2, punisce, salvo che il fatto costituisca reato o violazione della normativa sulle aree marine protette, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100 e a 1.000 €, chi non osserva i divieti fissati con Ordinanza[2], della pubblica autorità in materia di “uso del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative", dalle quali esuli lo scopo di lucro (Legge 8 luglio 2003, n. 172 “ Modifiche alla legge 11 febbraio 1971, n. 50”)

Corre l’obbligo di sottolineare che, a causa del vasto ambito al quale la norma si riferisce, il legislatore ha voluto rafforzare la “tutela degli interessi pubblici” con la “clausola della salvaguardia penale ( […] salvo che il fatto non costituisca reato).

  • Esemplificando:

Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 1.032 €
Infrazione: Inottemperanza all’ordine di ingiunzione di sgombero qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate (art. 54 Cod. nav.).
Norma violata: Ordinanza N°24 del 2 maggio 2006 Capitaneria di Porto di Taranto;
Sanzione: Sanzione amministrativa da 1.032 € a 3.098 € (Art. 1164 1° comma del Cod. nav., mod. art. 10, 3° comma,  D.lgs.507/1999)
Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 1.032 €


Infrazione: Utilizzazione del bene in difformità del contenuto concessorio.
Norma violata: Art. 36 Cod. nav. e art. 24 Reg. Cod. nav.
Sanzione: Sanzione amministrativa da 1.032 € a 3.098 € (art. 1164, comma 1 Cod. nav., mod. art. 10, comma 3, D.lgs. n. 507/1999)
Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 1.032 €


Infrazione: Noleggiare ombrelloni, seggiole a sdraio senza concessione
Norma violata: Ordinanza N° 24 del 2 maggio 2006 Capitaneria di Porto di Taranto;
Sanzione: Sanzione amministrativa da 1.032 € a 3.098 € (Art. 1164 1° comma del Cod. nav., mod. art. 10, comma 3, D.lgs. 507/1999)
Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 1.032 €


Detta norma, al comma 2, punisce, salvo che il fatto costituisca reato o violazione della normativa sulle aree marine protette, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100 e a 1.000 €, chi non osserva i divieti fissati con Ordinanza, della pubblica autorità in materia di “uso del demanio marittimo per finalità turistico-ricreative", dalle quali esuli lo scopo di lucro (Legge 8 luglio 2003, n. 172 “ Modifiche alla legge 11 febbraio 1971, n. 50” )

  • Esemplificando:

Infrazione: occupare o, in qualsiasi modo, ingombrare, la fascia di 5 metri dalla battigia che deve essere destinata esclusivamente al libero transito ed alla sosta dei mezzi di soccorso;
Norma violata: Ordinanza N°21 del 29 maggio 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100 € a 1.000 € (art. 1164 2° comma del Cod. nav., mod. art. 10, 3° comma, Legge 171/2004);
Definizione: pagamento in misura ridotta pari a 200 €


Infrazione: Tenere alto il volume di apparecchi di diffusione sonora da ore 14.00 a ore 16.00 (ad esempio, stabilimenti balneari pubblici, centri di ristoro)
Norma violata: Ordinanza N°29 del 29 maggio 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione:Sanzione amministrativa da 100 € a 1.000 € (art. 1164 2° comma del Cod. nav., mod. art. 5, comma 2, Legge 172/2003);
Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 200 €


Infrazione: Praticare in acqua qualsiasi gioco o attività che possa arrecare pericolo o molestia ad altri bagnanti;
Norma violata: Ordinanza N°21 del 29 maggio 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena ;
Sanzione: Sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100 € a 1.000 € (art. 1164, comma 2°, Cod. nav., mod. art. 5, 2° comma, Legge 172/2003);
Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 200 €

 

 

 


[1] Le funzioni amministrative aventi finalità turistiche e ricreative, concernenti l’utilizzazione a tali scopi del demanio marittimo, sono state demandate alle Regioni a statuto ordinario dall’art. 30 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

[2] Ordinanza che regola l’uso del demanio marittimo è l’Ordinanza balneare
 

Ordine di ingiunzione di sgombero - Schema

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO GUARDIA COSTIERA
______________________

INGIUNZIONE DI SGOMBERO N° _________

IL COMANDANTE DEL PORTO E CAPO DEL COMPARTIMENTO MARITTIMO DI _____________________________

VISTO: il sopralluogo effettuato in località _____________ del Comune di ________, fg. N. ___ P.lla, N.C.T. _____, in data _________________ nel corso del quale è emersa un’occupazione abusiva tramite (ad esempio pontile di mq. 15) come di seguito descritto, così come si evince dal R.S. n. _________ del _________________;
VISTO: l’accertamento tecnico effettuato dall’Agenzia del Demanio di _________________________________ e comunicato in data________________________________ con fg. __________________________________ del ___________________;
VISTA: l’informativa di reato inviata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di _____________________ con fg. n° ________________ del ______________ (R.GN.R. ________ ), a carico, tra gli altri, del Sig. __________________, nato a _________________________ il _______________________, ed ivi residente in ___________;
VISTA: la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo avvenuta cn.fg. ___________ in data e notificata in data _______________________;

VISTO: che l’accertamento effettuato e dalle indagini svolte le opere abusive risultano mantenute ed utilizzate dal Sig._____ ___________, come sopra generalizzato, e risultano eseguite abusivamente in violazione degli artt. 36, 54 e 1161 cod. nav.;
ACCERTATO: che le opere abusive risultano così composte:
1) Occupazione di ______________ mq. _________________ di suolo Demaniale marittimo (p.lla ______, del fg. _____ del N.C.T.__________ ) in violazione dell’art. 36 Cod. nav., in tutto così distinto e utilizzato (ad esempio: pontile costruito in tubi innocenti e camminamenti in legno, che dal suolo demaniale marittimo si dipana sullo specchio acqueo antistante.
ACCERTATO: il mantenimento dell’opera in violazione degli artt. 36, 54 e 1161 del cod. nav.;
VISTI: gli artt. 54 ed 84 cod. nav.

INGIUNGE

Al Sig. __________________ nato a _____________ il _____________, e residente in _________________ di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi, relativamente alle opere di cui sopra, entro 90 (novanta) giorni dalla notifica della presente, con l’avvertenza che – in difetto – l’Amministrazione provvederà d’ufficio ed a spese dell’interessato, secondo le modalità prescritte dal Codice della Navigazione.
Avverso il presente atto è ammesso ricorso Giurisdizionale al T.A.R. entro 60 (sessanta) giorni dalla notifica o, in alternativa, ricorso Amministrativo tramite questo Comando indirizzato all’Assessorato Territorio ed Ambiente – SERVIZIO V – Demanio Marittimo - ____________________ (ad esempio, CAGLIARI), dentro e non oltre giorni 30 (trenta) dalla data di notifica della presente.


La Maddalena, lì _______________.-

 

IL COMANDANTE
_____________________


 

 

 

 

Art. 1174 Cod. nav.

Nell’ambito del concetto di "polizia marittima" le disposizioni punitive, previste dall’art. 1174 Cod. nav. per la "Polizia dei porti", assurgono al rango di «norme in bianco» e, quindi, adattabili alle situazioni concretamente verificatesi.

L’art. 1174 Cod. nav. (Inosservanza di norme di polizia) trova largo utilizzo e abbraccia un’infinità di situazioni all’interno delle attività che si esercitano nei porti.
Da questo punto di vista, di particolare rilievo sono il complesso dei poteri dell’Autorità marittima volti ad assicurare l’ordinata vita del porto nei suoi vari "aspetti" riguardanti:

  1. i movimenti delle navi, con possibilità di disporre manovre d’ufficio;
  2. l’imbarco e lo sbarco dei passeggerei e delle merci; il deposito delle merci;
  3. la sicurezza dei fondali con rimozione di navi e mercantili sommersi;
  4. l’uso di armi e l’accensione di fuochi;
  5. lo sbarco e l’imbarco di merci pericolose, la circolazione di autoveicoli o di persone, ecc.  

Tale complessa funzione di polizia dei porti copre, con i limiti che più avanti verranno evidenziati (art. 82 Cod. nav.), la turbativa di ordine , con previsione di titolarità d’intervento in capo all’Autorità di pubblica sicurezza, che informa immediatamente l’Autorità Marittima, cui è riservato il compito di provvedere direttamente solo nei casi d’urgenza, informando, comunque, l’Autorità competente impossibilitata ad intervenire con tempestività.
L’
art. 1174, comma 1 del Codice della navigazione, punisce, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.032 € a 6.197 €, chiunque non osserva una disposizione di legge o regolamento, ovvero un provvedimento legalmente dato dall’autorità competente in materia di “polizia dei porti”….

  • Esemplificando:

Infrazione: esecuzioni di lavori nell’ambito del porto e a bordo delle navi senza l’autorizzazione o al di fuori delle prescrizioni
Norma violata: Ordinanza N° 01 del 10 settembre 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: sanzione amministrativa da 1.032 € a 6.197 €  (Art. 1174 1° comma del Cod. nav., mod. art. 11, 4° comma,  Legge 507/1999); 
Definizione: pagamento in misura ridotta pari a 2.064 €. 


Infrazione: non ottemperare alle prescrizioni per il bunkeraggio previste da regolamento del porto o dalle singole autorizzazioni;
Norma violata: Ordinanza N°01 del 10  settembre 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: sanzione amministrativa da 1.032 € a 6.197 € (Art. 1174 1° comma del Cod. nav., mod. art. 11, 4°comma, Legge 507/1999);
Definizione: pagamento in misura ridotta pari a 2.064 €.


Infrazione: nave che si ormeggia senza la preventiva autorizzazione o assegnazione di accosto;
Norma violata: Ordinanza N°01 del 10 settembre 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: sanzione amministrativa da 1.032 € a 6.197 € (Art. 1174 1° comma del Cod. nav., mod. art. 11, 4° comma, Legge 507/1999);
Definizione: pagamento in misura ridotta pari a 2.064 €.


Detta norma, al comma 2, punisce con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 51 € a 309 €, chi non osserva un provvedimento dell’Autorità in materia di “circolazione nell’ambito del demanio marittimo”.

  • Esemplificando:

Infrazione: inosservanza di un provvedimento dell’ Autorità (es. Capo del Circondario) in materia di circolazione in ambito del demanio marittimo (ad esempio, in porto nelle zone operative);
Norma violata: Ordinanza N°01 del 10 settembre 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: sanzione amministrativa da 51 € a 309 € (Art. 1174, 2° comma, Cod. nav.);
Definizione: pagamento in misura ridotta pari a 102 €. 


L’art. 1174, al comma 3 (modificato dall’art. 14 del D.lgs. 6 novembre 2007, n. 203 - Attuazione della direttiva 2005/65/CE relativa al miglioramento della sicurezza nei porti), punisce, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.032 € a 6.197 €, chiunque non osserva una disposizione di legge o di regolamento, ovvero un provvedimento legalmente dato dall’Autorità competente in materia di "sicurezza marittima (=security)", quale definita dall’articolo 2, n. 5 del Regolamento (CE) n. 725/2004 del parlamento europeo

  • Esemplificando:

Infrazione: comandante della nave che non ottempera all’obbligo della presentazione della scheda informativa di arrivo in porto (ship pre-arrival security information form) come previsto dalla SOLAS e dal Regolamento europeo 725/2004;
Norma violata: Ordinanza N° 21 del 10 settembre 2007 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: sanzione amministrativa da 1.032 € a 6.197 € (Art. 1174 3° comma del Cod. nav., mod. art. 14, 1° comma, D.lgs. 203/2007);
Definizione: pagamento in misura ridotta pari a 2.064 €.

 

Art. 1231 Cod. nav.

Nell’ambito del concetto di "polizia marittima" le disposizioni punitive, previste dall’art. 1231 Cod. nav. per la "Sicurezza della navigazione", assurgono al rango di «norme in bianco» e, quindi, adattabili alle situazioni concretamente verificatesi.
L’art. 1231 Cod. nav. (Inosservanza di norme sulla sicurezza della navigazione) trova largo utilizzo e abbraccia un’infinità di situazioni all’interno delle attività marittime. Per il carattere generale ed astratto, la vastità del campo di applicazione ed i contenuti, essa è riconducibile all’art. 650. (Inosservanza di provvedimenti dell’Autorità), la cui violazione costituisce anch’essa contravvenzione punibile con l’arresto fino a 3 mesi ovvero con l’ammenda fino a 206 €.
L’importanza che tale articolo riveste nel campo della “salvaguardia della sicurezza in mare” è vivo nell’interesse dello Stato il quale, malgrado abbia nel corso degli anni depenalizzato svariate norme sia all’interno del Codice penale sia all’interno del Codice della Navigazione (esempio, artt. 1164 e 1174), ha mantenuto l’art. 1231 come norma incriminatrice.

Tra le violazioni più comuni e frequenti costituenti trasgressione all’art. 1231 Cod. nav., rientrano quelle relative alle Ordinanze di polizia marittima per quanto attiene ai limiti delle acque destinate alla balneazione.

  • Ad esempio, sovente, durante la stagione balneare, si assiste a comportamenti sconsiderati da parte di conduttori di unità navali, sia esse adibite al traffico ad altri usi come ad esempio motobarche da traffico passeggeri e motopesca che, non curanti del divieto stabilito dall’Autorità Marittima in merito alla navigazione entro il limite delle acque destinate alla balneazione, entrano pericolosamente a motore acceso all’interno di tali aree navigando tranquillamente tra i bagnanti.
  •  

La norma trova altresì applicabilità in materia di “abbordi in mare”. La legge 27 dicembre 1977, n. 1085 prevede diverse casistiche che concretizzano la fattispecie riconducibile alla violazione dell’art. 1231, in particolare quelle contenute nella Parte B  “Regole di governo e di manovra” (ad esempio: velocità di sicurezza – Reg. 6, 1° comma; rischio di abbordaggio – Reg. 7; manovra per evitare l’abbordaggio – Reg. 8; situazione di rotte opposte – Reg. 14, ecc.).
L’art. 1231 non è applicabile nel caso in cui dal fatto derivi “un più grave reato” (ad esempio, la pura e semplice violazione della Regola 7, 8 e 14 sul rischio di abbordaggio e relative manovre per evitarlo, sarà assorbita dal reato attraente ex art. 81 c.p.).

  • Si pensi, ad esempio, all’ipotesi del comandante di una unità da traffico, appena varata, che per fare bella figura con alcuni amici imbarcati, inizia a compiere evoluzioni sconsiderate, contravvenendo alle regole sugli abbordaggi, e cosi facendo finisce per entrare in collisione con una piccola unità da diporto in vetroresina. L’unità gravemente danneggiata affonda e il conducente affoga (omicidio colposo).

Un’altra particolare configurazione di reato punibile ex art. 1231 Cod. nav. è senz’altro la violazione delle prescrizioni previste dagli articoli 4, 5 e 6 della Legge n. 616 del 5 giugno 1962 “Sicurezza della navigazione e della vita umana in mare”, relativamente ai “Documenti relativi alla sicurezza della navigazione ” (art. 4), ai “Certificati di sicurezza” (art. 5) e al “Rilascio e validità dei certificati di sicurezza e di navigabilità” (art. 6) previsti per le navi mercantili nazionali e straniere che toccano i porti italiani.

  • Ad esempio, a seguito di controllo da parte della motovedetta della Guardia Costiera dei documenti di una nave mercantile in navigazione nelle acque territoriali, risulta che alcuni certificati sono scaduti ed altri non sono stati rinnovati. Dopo aver contestato il fatto al comandante della nave ex. artt. 1193, 1194 e 1231 Cod. nav. (connessione obiettiva di reato ex art. 24 Legge 689/81) e aver sottoposto la nave in stato di fermo, la stessa viene scortata in porto. In Capitaneria si provvederà poi a redigere il Processo Verbale di contestazione ex art. 1193 Cod. nav. (Inosservanza delle disposizioni sui documenti di bordo) ed ex art. 1194 (Mancata rinnovazione di documenti di bordo) nei confronti del Comandante/Armatore della nave mercantile ed a inoltrare successivamente la N.d.R. (unitamente al Verbale di accertamento) alla Procura della Repubblica competente.

E ancora, è configurabile l’ipotesi di reato punibile ex art. 1231, la violazione delle prescrizioni previste dalla legge 7 marzo 2001, n. 51 “Disposizioni per la prevenzione dell’inquinamento derivante dal trasporto marittimo di idrocarburi e per il controllo del traffico marittimo”, che prevede all’art. 5, n. 3 (Controllo degli spazi marittimi di interesse nazionale) per il comandante di nave mercantile nazionale che non osservi gli “schemi di separazione delle rotte”, relativamente al transito nell’ambito delle acque marittime interne e territoriali, l’arresto fino a 3 mesi ovvero l’ ammenda fino a 206 €.
In tal caso la stessa norma prevede a carico dell’armatore della nave, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.066 € a 12.394 €, maggiorata, nel caso di nave da carico o da navi passeggeri, dell’importo di 2,58 € per ogni tonnellata di stazza lorda della nave. Tale sanzione è irrogata dal Capo del Compartimento marittimo competente per territorio
L’art. 1231, del codice della navigazione, punisce, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a 3 mesi ovvero l’ammenda fino a 206 €, chiunque non osserva una disposizione di legge o regolamento, ovvero un provvedimento legalmente dato dall’autorità competente in materia di “sicurezza della navigazione”….

  • Esemplificando:  

Infrazione: navigare ad una distanza dalla costa inferiore a quella imposta dall'Autorità Marittima;
Norma violata: Ordinanza di polizia marittima N°21 del 1 settembre 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: arresto sino a 3 mesi o Ammenda sino a 206 € (Art. 1231 del Cod. nav.);
Definizione: oblazione ex art. 162-bis c.p pari a 103 €.


Infrazione: inosservanza dei divieti segnalati di interdizione alla navigazione;
Norma violata: Ordinanza di polizia marittima N°21 del 1 settembre 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: arresto sino a 3 mesi o ammenda sino a 206 € (Art. 1231 del Cod. nav.);
Definizione: oblazione ex art. 162-bis c.p. pari a 103 €:


Infrazione: navigare ad una distanza dalla costa superiore alla propria abilitazione;
Norma violata: Ordinanza di polizia marittima N°21 del 1 settembre 2005 Capitaneria di Porto di La Maddalena;
Sanzione: arresto sino a 3 mesi o ammenda sino a 206 €  (Art. 1231 del Cod. nav.);
Definizione: oblazione ex art. 162-bis c.p. pari a 103 €:

 

Norme in bianco del Codice della nautica da diporto

L’articolo 53 del D.lgs. n. 171/2005 – nell’ambito del Titolo V che tratta delle norme sanzionatorie in materia di navigazione da diporto – indica le sanzioni previste per le violazioni commesse con unità da diporto.  

In particolare:

Art. 53, n. 3: salvo che il fatto costituisca violazione della normativa sulle aree marine protette chi nell’utilizzo di un’unità da diporto non osserva una disposizione di legge o di regolamento o un provvedimento legalmente emanato dall’Autorità competente in materia di “uso del demanio marittimo”, del “mare territoriale” (art. 524 disposizioni transitorie e complementari Cod. nav.) e delle “acque interne”, ivi comprese i porti, ovvero non osserva una disposizione di legge o di regolamento in materia di “sicurezza della navigazione”, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 207 a 1.033 €.
Se il fatto è commesso con l’impiego di un «natante da diporto» la sanzione è ridotta della metà.

Il comma 3 è «norma in bianco», in quanto prevede soltanto la sanzione amministrativa, lasciando alla fonte sussidiaria la descrizione del fatto tipico (disposizione di legge o di regolamento o provvedimento legalmente emanato dall’Autorità competente come, ad esempio, un’Ordinanza della Capitaneria di porto).
Così sarà soggetto alla sanzione amministrativa di € 344 (pari al terzo della cifra massima di € 1.033, in applicazione dell’articolo 16 «pagamento in misura ridotta», della legge 689/81 chi non ottemperi ai regolamenti in materia di sicurezza della navigazione (D.M. 232/1994 per le navi da diporto e D.M. 478/1999 per le imbarcazioni e i natanti da diporto), ovvero chi contravvenga a normative riguardanti l’uso del mare territoriale – il quale si estende per una profondità di 12 miglia calcolate dalle linee di base – ovvero del demanio marittimo o delle acque interne, fatto salvo che il fatto non costituisca violazione alla normativa sulle aree protette.

  • Esemplificando:

Infrazione: Navigazione con jole, pattini, sandolini, mosconi, tavole a vela, e natanti a vela vela con superficie velica non superiore a 4 metri quadrati ad una distanza superiore ad 1 miglio dalla costa.
Norma violata: Art. 27, 3° comma, lettera b), del D.lgs 18/07/2005 n. 171
Sanzione: Sanzione amministrativa da 207 €  a 1.033 €  (Art. 53, 3° comma, del D.lgs 18/07/2005 n. 171
Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 172 €  (=sanzione ridotta della metà per i natanti)  


Infrazione: Navigazione con imbarcazione da diporto con marcatura CE al di fuori dei limiti consentiti dalla propria categoria di progettazione A, B C e D)
Norma violata: Art. 22, 3° comma, lettera b), del D.lgs 18/07/2005 n. 171
Sanzione: Sanzione amministrativa da 207 € a 1.033 € (Art. 53, 3° comma, del D.lgs 18/07/2005 n. 171
Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 344 €.  


Infrazione: Navigazione con natanti senza marcatura CE ad una distanza superiore alle 6 miglia dalla costa
Norma violata: Art. 27, 3° comma, lettera a), del D.lgs 18/07/2005 n. 171
Sanzione: Sanzione amministrativa da 207 € a 1.033 €  (Art. 53, 3° comma, del D.lgs 18/07/2005 n. 171
Definizione: Pagamento in misura ridotta pari a 172 €  (=sanzione ridotta della metà per i natanti)


L’articolo 53, n. 3 del D.lgs. n. 171/2005, non trova applicazione se il fatto costituisce violazione della normativa sulle "aree marine protette" (Legge 6 dicembre 1991, n. 394).
I limiti geografici delle aree protette marine entro i quali è vietata la navigazione senza la prescritta autorizzazione sono definiti secondo le indicazioni dell'Istituto idrografico della Marina e individuati sul territorio con mezzi e strumenti di segnalazione conformi alla normativa emanata dall'Association Internationale de Signalisation Maritime-International Association of Marine Aids to Navigation and Lighthouse Authorities (AISM-IALA)"(Art. 2, comma 9-bis, della Legge 394/91).

  • Si pensi, ad esempio, al diportista che naviga con una unità da diporto a motore nell'area marina protetta dell'Arcipelago di La Maddalena , senza essere a conoscenza dei vincoli relativi a tale area, e qualora tale area non sia segnalata adeguatamente.
  • Esemplificando:    

Infrazione: violazione al divieto di navigare a motore al comando o alla conduzione di un'unità da diporto, che comunque non sia a conoscenza dei vincoli relativi a tale area, qualora l'area protetta marina non sia segnalata con mezzi adeguati.
Norma violata: art. 19, 3° comma, lettera e), della Legge 06/12/1991 n. 394
Sanzione: sanzione amministrativa da 200 € a 1.000 € (Art. 30, comma 1-bis, della Legge 06/12/1991 n. 394, aggiunto dall'Art. 4, 2° comma, della Legge 08/07/2003 n. 172)
Definizione: pagamento in misura ridotta pari a 333,33 €

 

 

 

Il Reato: concetti generali

Quando alla trasgressione di una norma giuridica consegue una «sanzione penale», la norma appartiene alla categoria delle «norme penali» e il fatto illecito che essa punisce si denomina «reato».
Da un punto di vista giuridico è reato quel comportamento umano o volontario (azione od omissione) che il legislatore ritiene contrario ai fini dello Stato ed al quale ricollega, come conseguenza, l’applicazione di una sanzione penale.

E’ proprio il tipo di sanzione ad esso ricollegata che caratterizza il reato e lo distingue da altri comportamenti umani parimenti illeciti, ma non qualificabili come reati.

  • Ad esempio: l’illecito civile e l’illecito amministrativo, sanzionato con pene disciplinari, fiscali e di polizia.

A seconda della diversa pena per essi rispettivamente stabilita, i reati si suddividono in:

  1. delitti
  2. contravvenzioni

Dibattuta é tra gli studiosi la distinzione fra tali categorie di reati. Il Codice penale comune ha risolto in radice il problema ed all’art. 39 stabilisce che il criterio di distinzione è costituito dal diverso tipo di sanzione per essi previsto, anche se in linea di massima può dirsi che i delitti sono fattispecie criminose obiettivamente più gravi delle contravvenzioni (taluni hanno infatti definito queste ultime «delitti nani»)

Sono reati-delitti, pertanto, i reati puniti con l’ergastolo, la reclusione e/o la multa; sono reati-contravvenzioni quelli per i quali sono stabilite le pene dell’arresto e/o dell’ammenda (art. 17 c.p.).
L’ergastolo (previsto per i soli delitti) é pena detentiva «perpetua». La reclusione e l’arresto sono pene detentive «temporanee».
Queste ultime si differenziano perché vengono espiate in Istituti diversi, denominati, rispettivamente, “case di reclusione” e “case di arresto” (art. 61 legge 26/7/1975, n. 354).
La multa e l’ammenda sono invece pene «pecuniarie».

I delitti si distinguono poi in dolosi, colposi e preterintenzionali. Sono  «dolosi», quando l'agente ha voluto l'evento dannoso; «colposi» quando, l'agente ha commesso il fatto a causa di imprudenza, negligenza, imperizia o inosservanza di regolamenti, ordini e discipline;  «preterintenzionali», quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente (art. 43 c.p.). Di tale specie è previsto però solo l'omicidio preterintenzionale.

Si distinguono ancora in  «consumati» e «tentati», a seconda che l'evento dannoso si sia verificato o no.
Infine il reato può essere continuato o complesso. Il reato è «continuato», quando con successive azioni od omissioni vengono commesse più violazioni di una medesima disposizione di legge; è «complesso», quando i fatti commessi, che da soli costituirebbero autonomi, sono indicati dalla legge come elementi costitutivi o come circostanze aggravanti di un altro reato (es. rapina, in cui l'elemento violenza potrebbe costituire il reato di violenza privata).

Infine è necessario ricordare che la legge prevede reati di «azione pubblica» e di «azione privata». Quelli di azione privata sono reati perseguibili a querela della persona offesa, come l'ingiuria, la diffamazione, ecc.

  

Conseguenze giuridiche del reato

Alla inosservanza del «precetto» contenuto nella norma penale, consegue a carico dell'autore del fatto, l'applicazione di una "sanzione penale".

Le conseguenza giuridiche del reato sono pertanto le sanzioni che il diritto prevede vengano inflitte a colui che è dichiarato colpevole di un illecito configurante un delitto o una contravvenzione.

Le sanzioni penali sono: le «pene» e le «misure di sicurezza». La duplicità dei tipi di sanzioni si spiega con l’accoglimento, da parte del Codice Penale del 1930, del «Sistema del doppio binario». In base a tale sistema, le pene avrebbero una funzione di castigo e intimidazione; le misure di sicurezza, la funzione di neutralizzare la pericolosità sociale del reo e di «risocializzarlo» all’esito del processo rieducativo che le stesse misure di sicurezza dovrebbero attuare.

 

 

► Peculiarità:

Accanto alla pena, il nostro diritto prevede, come sanzione penale, la misura di sicurezza.

  • La pena è inflitta all'autore del reato se questi è "imputabile o semimputabile" e come "castigo" per il reato commesso.
  • La misura di sicurezza è inflitta all'autore di un reato se si tratta di un "soggetto pericoloso" e per prevenire quindi la futura commissione di ulteriori reati.
  • La misura di sicurezza può essere inflitta sia al soggetto "non imputabile", ma pericoloso sia al soggetto "imputabile o semimputabile" che sia anche pericoloso. In tal caso, l'autore del fatto è sottoposto prima alla pena e poi alla successiva misura di sicurezza.
  • La pena è inflitta in una "quantità fissa"; la misura di sicurezza non ha durata determinata perché si protrae una durata minima e finché dura la pericolosità. 

► Distinzione delle pene

Il Codice penale comune suddivide le pene in due grandi categorie:

  1. pene principali
  2. pene accessorie 

► Distinzione delle misure di sicurezza

Il Codice penale comune suddivide le misure di sicurezza in due categorie (artt. 199-240):

  1. personali
  2. patrimoniali

 

Le pene

Sono le «conseguenze giuridiche» che l'ordinamento commina, a mezzo dell’Autorità Giudiziaria, per la violazione della legge penale. Esse incidono sulla "libertà" personale di una persona fisica o sul suo "patrimonio" e si distinguono da altre forme di reazione giuridica (sanzioni amministrative, disciplinari) per il fatto di essere applicate dal "Giudice" in sede penale.

La pena svolge diverse funzioni: da un lato quella di "punire" il colpevole per il reato commesso mentre dall’altro lato ha "funzione rieducativa" che mira alla riabilitazione del reo e al suo reinserimento in società. Il cd. doppio binario della pena previsto dal Codice, risponde al principio previsto dalla Costituzione che, all’art. 27, 3 comma, stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti disumani e che debbono tendere alla rieducazione del condannato in modo da consentirgli il reinserimento nella società una volta scontata la pena.
La prevenzione generale viene affidata alla pena mentre la prevenzione speciale è affidata alle misure di sicurezza.

Il Codice distingue le pene in:

  1. principali
  2. accessorie

► Le «pene principali» (artt.17, 21-27 c.p.) sono quelle che nella norma penale accompagnano necessariamente la previsione del reato e che sono inflitte dal Giudice con sentenza di condanna. Possono essere:

  1. detentive: comportano, cioè, una restrizione della libertà personale;
  2. pecuniarie: consistono nel pagamento di una somma di danaro.

E' prevista in astratto, entro minimi e massimi prestabiliti. ll legislatore fissa i limiti edittali della pena (c.d. fase edittale), ma spetta al Giudice determinare la misura e la qualità della pena da infliggere in concreto (c.d. fase giudiziale), in relazione a ciscun caso specifico.
Il potere del Giudice è un potere discrezionale. Egli non può infatti determinare la pena a suo piacimento (=arbitrio), ma non è neppure vincolato a infiggere una “pena fissa” prestabilita in astratto dal legislatore.

♦ Nell’esercizio del suo "potere discrezionale"(art. 132 c.p.), il Giudice deve:

  1. determinare la pena nell’ambito dei limiti (minimo e massimo) fissati dal legislatore;
  2. indicare, nella sentenza di condanna i motivi che lo hanno indotto ad infliggere la pena in una data misura e qualità
  3. tenere conto dei criteri (o parametri) di determinazione della pena indicati nell’art. 133 c.p

♦ Nella determinazione della pena, il Giudice deve dunque tenere conto dei "criteri" fissati nell’art. 133 c.p., e cioè:

  1. gravità del reato;
  2. capacità a delinquere del colpevole (possibilità che il colpevole commetta in futuro altri reati).

Tali criteri servono a consentire l’adeguamento della pena al fatto concreto e alla personalità del suo autore.

La gravità del reato può essere dedotta: dalla modalità della condotta, dalla gravità del danno o del pericolo cagionato e dalla intensità del dolo o del grado della colpa.

  • Ad esempio, è certamente più grave il furto di vele in un caveau di una imbarcazione da diporto rispetto al furto di un salvagente anulare; il furto di un gommone appena acquistato rispetto ad uno vecchio; un furto ben organizzato rispetto ad uno occasionale.

La capacità a delinquere del colpevole va invece dedotta: dai motivi che lo hanno indotto al reato; dai precedenti penali e giudiziari; dalla condotta di vita (individuale, familiare e sociale) e dalla condotta precedente e successiva al reato.

  • Ad esempio, dimostra certamente maggiore attitudine criminale l’imprenditore di un’impresa di pesca che commette un omicidio per eliminare un “concorrente” rispetto ad un altro che commette lo stesso reato per motivi di gelosia o perché si trova in uno stato d’ira provocato dal comportamento della vittima; oppure il ladro con precedenti specifici rispetto al giovane incensurato, ecc.

In base a quanto disposto dall’art. 17 c.p., le pene previste per i «delitti» sono l’ergastolo, la reclusione e la multa mentre per le «contravvenzioni» sono l'arresto e l'ammenda. Il successivo articolo 18 prevede poi che le pene detentive sono quelle dell’ergastolo, della reclusione e dell’arresto mentre quelle pecuniarie sono la multa e l’ammenda.
Sulla base di quanto disposto dall’art. 27 della Costituzione, la pena è «personale» (principio della personalità della pena) e pertanto potrà essere inflitta solo all’autore del reato.
La pena può essere inflitta solo dall’Autorità Giudiziaria (che la infligge con la garanzia del procedimento penale) e nei soli casi espressamente stabiliti dalla legge (principio della legalità della pena) che stabilisce poi anche i casi per cui la pena può essere revocata.
La pena è inderogabile e proporzionata al reato.

Il legislatore, in relazione alle più recenti esperienze tendenti al recupero del condannato, con la Legge 24 novembre 1981, n. 689 ha realizzato importanti modifiche al sistema penale. Hanno infatti introdotto le cosiddette «sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi» e la «conversione di pene pecuniarie», allorché viene accertata l'insolvibilità del condannato.

► Le pene accessorie, generalmente vengono applicate automaticamente e costituiscono uno degli effetti della condanna. Ci sono però dei casi in cui l’Ordinamento vincola l’applicazione di tali pene alla libera discrezionalità del Giudice. In tal caso, ai fini della loro applicabilità, è necessaria una dichiarazione diretta da parte del Giudice in sentenza che ne determinerà anche la durata.

 

 

 

     

Pene principali

Le «pene principali» (artt. 17, 21-27 c.p.) sono quelle che nella norma penale accompagnano necessariamente la previsione del reato e che sono inflitte dal Giudice con sentenza di condanna. Possono essere "detentive" (esse comportano la restrizione della libertà personale) e "pecuniarie" ( esse consistono nel pagamento di una somma di denaro).

  • Pene detentive

► Ergastolo

Prevede l’obbligo del lavoro e l’isolamento notturno. Trascorsi 26 anni di pena e tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il ravvedimento, il condannato all’ergastolo può beneficiare della «Liberazione condizionale»[1] (art. 176, comma 3 c.p.). E’ disposta dal Tribunale di Sorveglianza e consiste nella possibilità per il condannato che ha dato prova di sicuro ravvedimento di espiare l’ultima parte della pena in regime di “libertà vigilata” La misura sospende l’esecuzione della parte della pena che rimane ancora da scontare.
Ricorrendone le condizioni, il condannato all’ergastolo può anche essere ammesso al regime di «Semilibertà» dopo aver espiato almeno 20 anni di pena (art. 50 L. 26/7/1975, n. 354). E’ disposta dal Tribunale di Sorveglianza e consiste nella concessione di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto penitenziario per partecipare ad attività di lavoro, di istruzione o comunque utili al reinserimento sociale. Nell’ambiente esterno, l’attività di vigilanza sui “semiliberi” è esercitata in via principale dal Centro di Servizio sociale. Ad esso spetta informare il Giudice di Sorveglianza in ordine alla evoluzione del trattamento e al conseguente reinserimento dei condannati.

► Reclusione

La pena consiste nella privazione della libertà personale per un periodo che si estende da un minimo di 15 giorni a un massimo di 24 anni. Per taluni reati (ad esempio: attentato per finalità terroristiche o di eversione - art. 280 c.p.; sequestro di persona - art. 630 c.p.; oppure quando ricorrono più circostanze aggravanti, ecc.), il limite massimo di tale pena può estendersi sino a 30 anni. Anche il condannato alla reclusione che ha dato prova di sicuro ravvedimento può essere ammesso dal Tribunale di Sorveglianza al beneficio della liberazione condizionale (artt. 176-177 c.p. e art. 70 legge 353/1975) che consiste nell’espiare l’ultima parte della pena in regime di libertà vigilata e di ottenere, all’esito, che la sua pena venga dichiarata estinta) e al regime di semilibertà (art. 48-51 legge 354/1975).

► Arresto

La pena consiste nella privazione della libertà personale da 5 giorni a 3 anni. Anche per l’arresto, la ricorrenza di circostanze aggravanti (art. 66 c.p.) o di talune ipotesi di  concorso di reati (art. 78 c.p.) può determinare l’elevazione del limite massimo.

  • Pene pecuniarie

► Multa e ammenda

Le pene della multa e dell’ammenda, consistenti, entrambe, nell’obbligo di pagare una somma di denaro, si differenziano, invece, fra di loro perché la prima (multa) consiste nel pagamento, allo Stato, di una somma da 50 a 50.000 €; mentre per la seconda (ammenda) i limiti sono da 20 a 10.000 €.
Per le pene pecuniarie, come per le pene detentive, la ricorrenza di talune «aggravanti» (art. 66 c.p.) o di talune ipotesi di «concorso di reati» (art. 78 c.p.), può determinare la elevazione dei limiti massimi (per la multa, ad esempio e a seconda dei casi, fino a 10.329, 15.493, 30.987 o 64.557 €).
L’elevazione dei limiti massimi (sino al triplo) delle pene pecuniarie può dipendere anche dalle condizioni economiche del colpevole (art. 133 bis c.p.). Dalle condizioni economiche del colpevole, può dipendere anche la diminuzione delle pene medesime (sino a 1/3) ovvero la possibilità di un loro pagamento rateale (art. 133 ter)[1].

 

 

Partendo dalle considerazioni appena fatte, è opportuno puntualizzare che nella pratica dei “non addetti ai lavori“ si riscontrano improprietà terminologiche che è bene evitare, anche, e specialmente, al fine di non confondere i limiti entro i quali effettivamente deve essere collocata l’attività di polizia giudiziaria.
E’ comune l’uso del termine «contravvenzione» per indicare le semplici infrazioni amministrative e del termine «multa» per indicare la sanzione pecuniaria imposta a seguito di infrazioni amministrative.

  • Ad esempio, si parla erroneamente, in tema di circolazione stradale, di contravvenzioni e multe per divieto di sosta o divieto di sorpasso.

Allo stesso modo, anche il termine «delitto» è talora usato in senso improprio, come sinonimo di omicidio. L’omicidio (artt. 575-577 c.p.) è invece solo uno dei delitti previsti dalle leggi penali anche se, forse, è il delitto per eccellenza, quello che, oltretutto, più colpisce ed allarma la coscienza sociale.
Di fatto, e pur nella consapevolezza della approssimazione, può dirsi, allora, che le contravvenzioni sono reati meno gravi dei delitti ed ai quali conseguono conseguenze meno afflittive (il condannato per un reato-contravvenzione, non può ad esempio, perdere la potestà di genitore o essere interdetto alla possibilità di ricoprire un ufficio: pene accessorie che, invece possono conseguire a carico di un condannato per delitto - artt. 34 - 28 c.p.).
E’ poi da notare che mentre le contravvenzioni sono tutte perseguibili d’ufficio, per la perseguibilità di alcuni delitti è necessaria la querela della persona offesa.

Nel nostro sistema penale è stato introdotto (articoli 53-76 della legge 24 novembre 1981, n. 689 modificata dalla legge n. 134/2003), l'istituto giuridico delle "sanzioni sostitutive", in virtù del quale il Giudice penale, anziché emettere sentenza di condanna ad una pena detentiva vera e propria può ordinare l’applicazione di una sanzione di natura diversa, «sostitutiva» della pena.
Quando non possono essere eseguite per l’impossibilità (insolvenza) del condannato di effettuare il pagamento, le pene pecuniarie (multa o ammenda) si convertono, a seconda dei casi, nelle “misure restrittive” della libertà previste dagli articoli 102, 103 e 105 della Legge 24 novembre 1981, n. 689. e cioè nella libertà controllata o nella sanzione sussidiaria del lavoro sostitutivo.

La Legge 274/2000 (attributiva al Giudice di Pace della competenza penale) ha previsto, per i casi di competenza del "Giudice di Pace", una sostituzione delle pene sanzionatorie: le pene privative della libertà sono quindi state sostituite con delle sanzioni alternative che sono:

  1. obbligo di permanenza domiciliare (da eseguirsi, salve specifiche esigenze del condannato, nei giorni di sabato e domenica per un periodo di tempo non inferiore a 6 giorni né superiore a giorni 45);
  2. prestazioni di lavoro di pubblica utilità  (non retribuito, per un periodo non inferiore a 10 giorni e non superiore a sei mesi).

 


[1] Sempre con riferimento alle condizioni economiche del condannato l’art. 133 ter, introdotto nel codice penale dalla Legge 689/81, ha previsto la possibilità per il Giudice, con sentenza di condanna o con il decreto penale, di disporre che la multa o l’ammenda venga pagata in rate mensili da un minimo di tre a un massimo di trenta rate, ciascuna delle quali, tuttavia, non può essere inferiore a € 15 (30.000 delle vecchie lire). Tale disposizione va incontro ai soggetti in stato di difficoltà economica, e capovolge i principi della precedente disciplina sanciti dal R.D. n. 207 del 1865) che favoriva, invece, i soggetti più abbienti, consentendo la rateizzazione solo a chi fornisse idonee garanzie reali o personali.

 

 

Conversione delle pene pecuniarie

Quando non possono essere eseguite per l’impossibilità (insolvibilità) del condannato di effettuare il pagamento, le pene pecuniarie (multa o ammenda) si convertono, a seconda dei casi, nelle “misure restrittive” della libertà previste dagli articoli 102, 103 e 105 della Legge 24 novembre 1981, n. 689. e cioè:

  1. libertà controllata
  2. sanzione sussidiaria del lavoro sostituivo

Per effetto di detta legge, giova precisare che la durata della «libertà controllata» non può essere superiore ad 1 anno se la pena da convertire è la multa; e non può essere superiore a 6 mesi se la pena da convertire è l’ammenda. Essa comporta gli obblighi previsti all’art. 57 della Legge 689/81 e il criterio di ragguaglio ha luogo calcolando € 38 per ogni giorno di libertà controllata.

La conversione della pena pecuniaria nella sanzione sussidiaria del «lavoro sostitutivo» può avvenire solo a richiesta del condannato e quando la pena pecuniaria non è superiore a di € 520. Il criterio di ragguaglio è pari a di € 25 per ogni giorno di lavoro sostitutivo. Esso consiste in una attività non retributiva a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti di assistenza o protezione civile.

 

 

La Polizia Giudiziaria informa il "Magistrato di Sorveglianza" della eventuale inosservanza delle prescrizioni imposte al condannato e inerenti alla libertà controllata o al lavoro sostitutivo. In queste ipotesi, la parte di libertà controllata o di lavoro sostitutivo non ancora eseguita si converte in un uguale periodo di reclusione o di arresto, a seconda della specie della pena pecuniaria originariamente inflitta (art. 108 L. 689/81).

 

 

Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi

Con questa espressione si fa riferimento all’istituto giuridico introdotto nel nostro sistema penale dagli articoli 53-76 della Legge 24 novembre 1981, n. 689 modificata dalla legge n. 134/2003, in virtù della quale il Giudice penale, anziché emettere sentenza di condanna ad una pena vera e propria può ordinare l’applicazione di una sanzione di natura diversa, «sostitutiva» della pena.

Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi consistono nella:

  1. semidetenzione
  2. libertà controllata
  3. pena pecuniaria

La loro applicazione è subordinata ad alcune "condizioni"; possono intervenire solo quando l’autore del reato è stato condannato:

  1. a una pena che non supera in concreto certi limiti espressamente fissati (art. 4 L. 134/2003);
  2. il reato per il quale è intervenuta la condanna non deve rientrare fra quelli per i quali l’applicazione della sanzione sostitutiva è espressamente esclusa (come l’usura, l’evasione, le lesioni colpose, la corruzione
  3. il condannato non deve trovarsi in una delle condizioni soggettive che fanno ritenere improbabile che egli si asterrà in futuro dal compiere altri reati, ecc..

Accertata la sussistenza di tali condizioni, il Giudice può applicare la sanzione sostitutiva se ritiene che la personalità del condannato potrà essere danneggiata dall’esecuzione della pena detentiva ovvero presume che il condannato non si sottrarrà alle prescrizioni contenute nelle misure sostitutive.
Alla luce della legge 689/81, le sanzioni sostitutive hanno pertanto la funzione di consentire il reinserimento sociale di un condannato che il Giudice presume dotato di una capacità a delinquere quasi inesistente e in via subordinata perseguono anche lo scopo di rendere meno drammatici i problemi, non soltanto di sicurezza, collegati al sovraffollamento degli istituti carcerari (D.L. 187/1993).

In particolare, la pena detentiva (reclusione o arresto) "sino a 2 anni" può essere sostituita con la «semidetenzione». Essa comporta l’obbligo di trascorrere in uno specifico istituto di custodia, situato nel comune di residenza del condannato, almeno 10 ore al giorno, tenuto conto delle esigenze di lavoro e di studio. Comporta poi vari obblighi accessori previsti dall’art. 55 L. 689/81, quali, per esempio: il divieto di detenere armi, la sospensione della patente di guida, il ritiro del passaporto o di altro documento valido per l’espatrio, ecc. Circa la durata della pena sostitutiva il Giudice deve applicare i criteri di ragguaglio previsti dall’art. 57 della legge medesima, secondo i quali un giorno di di pena detentiva equivale ad un giorno di semidetenzione.

Quando la pena detentiva inflitta raggiunge "1 anno" può essere sostituita con la «libertà controllata». Essa obbliga a non allontanarsi dal comune di residenza ed a presentarsi almeno una volta al giorno, nelle ore fissate compatibilmente con gli impegni di lavoro e di studio presso il locale ufficio di pubblica sicurezza, o in mancanza presso il comando dei carabinieri territorialmente competente. Comporta gli obblighi accessori previsti per la semidetenzione (art. 56 L. 689/81). Circa la durata della pena sostitutiva il Giudice deve applicare i criteri di ragguaglio previsti dall’art. 57 della legge citata, secondo i quali un giorno di detenzione equivale a due giorni di libertà controllata.

Infine, se la pena detentiva inflitta raggiunge i "6 mesi" può essere sostituita con la «pena pecuniaria» della specie corrispondente. La pena pecuniaria sarà pertanto quella della multa o dell’ammenda a seconda che la pena detentiva inflitta sia quella della reclusione o dell’arresto e sarà ragguagliata al tasso di € 38 (75.000 delle vecchie lire) per ogni giorno di pena detentiva (tasso eventualmente maggiorato o diminuito e rateizzato a seconda delle condizioni economiche del condannato (artt. 133-bis e 133 ter c.p.).

Quando l’entità della pena inflitta lo consente, il Giudice sceglie fra le sanzioni sostitutive quella più idonea al reinserimento sociale del condannato (art. 50 L. 689/81)
Quando la misura sostitutiva consiste nella semidetenzione o nella libertà controllata, le modalità della sua esecuzione sono fissate dal Magistrato di Sorveglianza e trasmette all’ufficio di pubblica sicurezza del comune ove il condannato risiede ovvero, in mancanza, al comando dell’arma dei carabinieri territorialmente competente.
Ovviamente l’inosservanza degli obblighi imposti può comportare la revoca della sanzione sostitutiva (art. 66 L. 689/81)

 

 

  • Riassumendo:
  1. la pena detentiva sino a 2 anni può essere sostituita con la semidetenzione;
  2. la pena detentiva fino a 1 anno può essere sostituita oltre che con la semidetenzione, anche con la libertà controllata;
  3. la pena detentiva fino a 6 mesi può essere sostituita oltre che con la semidetenzione e con la libertà controllata, anche con la pena pecuniaria della specie corrispondente.

 

Misure alternative alla detenzione

Sono state introdotte dalla Legge 354/1975 di riforma dell’Ordinamento Penitenziario. Con l’introduzione di tali misure, l’Ordinamento ha inteso valorizzare la funzione "rieducativa" della pena (art. 27 Cost.) agevolando le cd. misure alternative che si prefiggono lo scopo della risocializzazione del reo in società.

  • Le misure alternative sono:
  1. affidamento in prova al servizio sociale (art. 47: il condannato a pena detentiva non superiore a tre anni può essere affidato in prova al Servizio sociale fuori dall’Istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare. Una particolare forma di tale misura è l’affidamento in prova per tossicodipendenti o alcooldipendenti. Se quindi, la pena detentiva viene inflitta nel limite di quattro anni e deve essere eseguita nei confronti di soggetti dipendenti da sostanze alcoliche e/o stupefacenti, che abbiano in corso un programma di recupero o che hanno intenzione di prendervi parte, gli interessati possono chiedere, in qualsiasi momento, l’applicazione di tale misura). La misura è revocata se il comportamento del soggetto appare incompatibile con la prosecuzione della prova);
  2. semilibertà (art. 48: il detenuto condannato a pena detentiva non superiore a 6 mesi o che abbia scontato almeno la metà della pena, può trascorre parte del giorno fuori dal carcere e partecipare alle attività lavorative e istruttive. E’ prevista la revoca della misura se il soggetto si dimostra non idoneo alla misura o se il soggetto si assenta dall’Istituto senza un giustificato motivo per non più di 12 ore;
  3. liberazione anticipata (art. 54: il detenuto che prova di aver partecipato attivamente nell’opera di rieducazione, può ottenere la riduzione di gg. 45 per ogni semestre di pena detentiva effettivamente scontata);
  4. detenzione domiciliare (art. 47 ter: il detenuto condannato alla pena della reclusione non superiore a 4 anni e all’arresto, può ottenere di scontare la pena nella propria abitazione o in un altro luogo di privata dimora, se si tratta: - di donna incinta o che allatti o che abbia una prole di età inferiore a 5 anni; - di persona in gravi condizioni di salute; - di persona di età superiore a 60 anni se inabile anche parzialmente; - di minore degli anni 21 per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.

E’ prevista la revoca di tale misura sia quando il comportamento del soggetto ne rende impossibile la prosecuzione sia quando vengono a cessare le condizioni previste dalla norma (art. 47 ter).
Dopo la Sentenza della Corte Cost.le 350/1993, la detenzione domiciliare può essere concessa al padre condannato, in caso di morte della madre condannata, che conviva con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante).
La Legge n. 251/2005 (ex Cirielli) ha apportato modifiche alla misura alternativa della "detenzione domiciliare" prevedendone l’applicazione per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di una pena maggiore e ciò quando non ricorrono i presupposti per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea a evitare il pericolo che il reo commetta nuovamente altri reati. La modifica introdotta dalla Legge Cirielli non si applica ai condannati a cui sia stata applicata la recidiva reiterata e ai condannati di cui all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario (Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti).
La detenzione domiciliare sostituisce la pena detentiva per quanti abbiano compiuto i settanti anni e non siano stati giudicati delinquenti abituali, di professione o per tendenza e che non siano stati mai condannati con l’aggravante di cui all’art. 99 c.p. (recidiva).
La Legge n. 4/2001 (di versione del DL 341/2000) ha stabilito che il Tribunale di Sorveglianza, nel prevedere l’applicazione di tali pene, ai fini della verifica dell’osservanza delle prescrizione imposte, può consentire l’utilizzo di strumenti tecnici rinviando alla disciplina prevista dall’art. 275 bis c.p.p. relativa alla misura cautelare degli arresti domiciliari.

 

Pene accessorie

La seconda categoria di pene prevista dal Codice penale comune è rappresentata dalle «pene accessorie». A differenza delle pene principali, le pene accessorie si riferiscono solo ad alcuni reati e «conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa». In altre parole, rappresentano un effetto automatico della condanna inflitta per taluni reati (artt.19-20 c.p.). Hanno un carattere affittivo e fortemente limitativo dei diritti costituzionalmente garantiti.

  • Ad esempio, perciò, se il viene condannato per il reato di corruzione (artt. 318-319-ter c.p.), alla condanna consegue, come effetto automatico, la pena accessoria della “incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione“(artt. 32-ter e 32-quater c.p.). Consegue altresì la pena accessoria della “interdizione (perpetua o temporanea, a seconda della entità della condanna, art. 29 c.p.) dai pubblici uffici” (artt. 28 e 31 c.p.).
  • Ad esempio, ancora, se tizio viene condannato all’ergastolo, egli subisce automaticamente e, in particolare, le seguenti pene accessorie:
    -  interdizione perpetua dai pubblici uffici (artt. 28 e 29 c.p.);
    -  interdizione legale e decadenza della potestà dei genitori (art. 32 c.p.);
    -  pubblicazione della sentenza di condanna (art. 36 c.p.). 

Gli esempi fatti in precedenza chiariscono che le pene accessorie sono:

  1. aggiuntive rispetto a quelle principali e ne accrescono la afflittività;
  2. interdittive (=impeditive) o sospensive dall’esercizio di diritti, potestà, uffici;
  3. permanenti (o temporanee): la durata delle pene accessorie temporanee è determinata dalla legge. Quando mancano espresse previsioni legislative, le pene accessorie hanno la stessa durata delle pena principale inflitta (art. 37 c.p.).;
  4. hanno una finalità di prevenzione speciale: mirano, cioè, attraverso la interdizione o la sospensione, a impedire che il colpevole possa ricadere in reati della stessa specie di quello per il quale è stato condannato. E’ per questo motivo che i termini di durata della pena accessoria decorrono da quando il condannato non è più sottoposto a pena detentiva o a misura di sicurezza detentiva (art. 139 c.p.)
  • Ad esempio, mentre la durata della interdizione dai pubblici uffici è fissata dalla legge (in 5 anni: art. 29 comma 1 c.p.), mancano espresse previsioni legislative in tema di durata della interdizione dagli uffici direttivi delle imprese (art. 32-bis c.p.). Di conseguenza, a norma dell’art. 37 c.p., quest’ultima pena accessoria avrà la stessa durata della pena principale inflitta.

 

 

► Le principali pene accessorie previste dalla legge penale comune per i «delitti»:

  1. interdizione dai pubblici uffici (art. 28, 29, 31 e 38 c.p.): perpetua o temporanea;
  2. interdizione da una professione o da un’arte (artt. 30 e 34 c.p.): temporanea;
  3. interdizione legale (art. 32 c.p.): perpetua o temporanea;
  4. interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32-bis c.p.): temporanea;   impossibilità di contrarre con la pubblica amministrazione (artt. 32-ter e 32-quater c.p.).
  5. decadenza della potestà dei genitori (art. 34 c.p.) e sospensione dal suo esercizio.

► Principali pene accessorie previste dalla legge penale comune per le «contravvenzioni»:

  1. sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte (art. 35 c.p.);
  2. sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 35-bis c.p.).

► Pena accessoria «comune» per i delitti e le contravvenzioni:

  1. pubblicazione della sentenza di condanna (art. 36 c.p.).

Ci sono però dei casi in cui l’Ordinamento vincola l’applicazione di tali pene alla libera discrezionalità del Giudice. In tal caso, ai fini della loro applicabilità, è necessaria una dichiarazione diretta da parte del Giudice in sentenza che ne determinerà anche la durata. Esempi di pene accessorie ulteriori rispetto a quelle previste dal Codice penale si rinvengono in numerose "leggi speciali".

 

 

Le principali pene accessorie

  • L’art. 19 del c.p. prevede n. 7 pene accessorie che si comminano ai soli "delitti" e sono:
  1. interdizione dai pubblici uffici (art. 28 c.p.): il condannato viene privato del diritto di elettorato attivo e passivo e di ogni altro diritto politico, da ogni pubblico ufficio e di ogni incarico. Può essere temporanea (ha una durata non inferiore a un anno né superiore a cinque anni) o perpetua (consegue alla pena dell’ergastolo e alla reclusione non inferiore a cinque anni);
  2. interdizione da una professione o da un’arte (art. 30 c.p.): consiste nella perdita della capacità di esercitare, per tutto il tempo dell’interdizione, una professione o un’arte per cui è necessario uno speciale permesso o abilitazione. Non può avere una durata inferiore a un mese né superiore a cinque anni. Decorso il periodo di interdizione, le licenze e/o i permessi possono essere dal soggetto riottenuti;
  3. interdizione legale (art. 32 c.p.): è la pena accessoria per i delitti di maggiore gravità che priva il condannato della capacità di agire. Salvo che il Giudice disponga diversamente, tale misura priva anche della capacità genitoriale. E’ automatica con la condanna alla pena dell’ergastolo e della reclusione non inferiore a cinque anni.
  4. interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32 bis c.p.): la sanzione è stata introdotta al fine di aumentare il peso sanzionatorio a quei reati tipici dei cd. colletti bianchi ovvero quei reati strettamente legati all’esercizio di un’attività imprenditoriale. La sua durata è connessa alla durata della pena principale;
  5. incapacità di contrattare con le Pubbliche amministrazioni (art. 32 ter c.p.): comporta l’incapacità di concludere contratti con la PA salvo che per ottenere servizi di pubblica utilità;
  6. decadenza dalla potestà genitoriale (art. 34 c.p.): comporta la decadenza dalla potestà dei genitori nonché di ogni altro diritto sui figli che spetta al genitore. Viene prevista automaticamente con la pena dell’ergastolo e con quella della reclusione per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni.

 

 

  • Per le "contravvenzioni" sono invece state previste n. 2 pene accessorie:
  1. sospensione dall’esercizio di una professione o un’arte (art. 35 c.p.): contrariamente alla interdizione dall’esercizio di una professione la misura si limita alla sospensione della capacità di esercitare una professione. Non può avere una durata inferiore a quindici giorni e superiore a due anni.
  2. sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 35 bis c.p.): è stata introdotta nel sistema penale con la L. 689/81 ed ha contenuto identico a quello previsto per la interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche. Non può avere una durata inferiore a quindici giorni e superiore a due anni.

 

 

La pena accessoria comune sia ai delitti che alle contravvenzioni, è quella relativa alla "pubblicazione della sentenza di condanna" (art. 36 c.p.). La misura viene disposta dal Giudice in sentenza che può ordinare la pubblicazione in uno o più giornali a spese del condannato.
In caso di ergastolo la sentenza viene pubblicata mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello in cui fu commesso il delitto e in quello in cui il condannato aveva l’ultima residenza.
Non è previsto un numero chiuso di pene accessorie per cui queste possono essere individuate anche se non espressamente codificate. Tipico esempio di misure non codificate sono la cancellazione dall’albo dei costruttori e dei fornitori, il divieto di espatrio ecc.
Le pene accessorie possono essere perpetue e temporanee (hanno la stessa durata della pe
na principale) e in nessun caso possono avere una durata superiore al limite minimo e massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria.

 

Pene accessorie: leggi speciali

Specifiche «pene accessorie» sono previste da leggi speciali, e, in specie dalle leggi in materia di:

  1. stupefacenti
  2. truffe sportive e scommesse clandestine
  3. reati finalizzati alla discriminazione e all'odio razziale o religioso

Sono inflitte solo quando il Giudice ritiene che esse (per la personalità del condannato, per il tipo e le modalità del fatto addebitatogli) possano scoraggiare il condannato dal ripetere la sua condotta criminosa.

  • Si pensi, ad esempio, al caso di chi viene trovato alla frontiera con droga sull’auto o su una nave mercantile

► Possono ricordarsi:

  1. divieto di espatrio e ritiro della patente di guida (art. 85 T.U. in materia di stupefacenti, approvato con D.P.R. 309/1990): temporanea (durata non oltre 3 anni);
  2. divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche (art. 5 Legge13/12/1989, n. 401 – truffe sportive, scommesse clandestine). Il divieto di accesso opera anche nei confronti di persone condannate per reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso (art. 2, comma 3, D.L. 26/4/1993, n. 122 come
    modificato nella Legge 25/6/1993, n. 205);
  3. obbligo di rientrare in casa non oltre una certa ora e di uscirne prima di un’altra (D.L. 122/93;
  4. sospensione della patente di guida e di documenti validi per l’espatrio (D.L. 122/1993);
  5. divieto di partecipazione ad attività di propaganda elettorale (D.L. 122/1993);
  6. obbligo di prestare un’attività non retributiva a favore della collettività (D.L. 122/1993)

 

 

Specifiche pene accessorie sono previste altresì dal "Codice della Navigazione", dalla "Legge sulla pesca marittima" (D.lgs. n. 4/2012) e in materia di "Inquinamento"  (D.lgs. n. 202/2007). 

  

Pene accessorie: Codice della navigazione

Il Codice della Navigazione prevede agli articoli 1082 e ss., pene accessorie a carico di tutto il «personale marittimo» di cui all'art. 144:

  1. Gente di mare
  2. Personale addetto ai servizi dei porti
  3. Personale tecnico delle costruzioni navali
  • Per i reati delitti:
  1. interdizione perpetua dai titoli professionali (art. 1082 n. 1 Cod. nav. e ss.): se si tratta di delitti commessi da persone fornite dei Titoli Professionali; essa priva il condannato della capacità di esercitare qualunque funzione o servizio per i quali è richiesto uno dei Titoli indicati nell’art. 123 cod. nav. e Convenzione STCW 78;
  2. interdizione temporanea dai titoli professionali (art. 1082 n. 2 Cod. nav. e ss.): priva della capacità per un tempo non inferiore a 1 mese e non superiore a 5 anni;
  3. interdizione perpetua dalla professione marittima (art. 1082 n. 2 Cod. nav.): se si tratta di delitti commessi dagli altri appartenenti al personale marittimo; essa priva il condannato di esercitare la professione marittima (art. 114 Cod. nav.);
  4. interdizione temporanea dalla professione marittima (art. 1082 n. 2 Cod. nav.): priva della capacità per un tempo non inferiore a 1 mese e non superiore a 5 anni.
  5.  

  • Per i reati contravvenzione:
  1. sospensione dai titoli professionali (art. 1082 n. 1 Cod. nav. e ss.): se si tratta di delitti commessi da persone fornite dei Titoli Professionali; essa priva il condannato della capacità di esercitare qualunque funzione o servizio per i quali è richiesto uno dei Titoli indicati nell’art. 123 Cod. nav.. per un tempo non inferiore a 15 giorni e non superiore a 2 anni;
  2. sospensione dalla professione marittima (art. 1082 n. 2 Cod. nav.): se si tratta di delitti commessi dagli altri appartenenti al personale marittimo; essa priva il condannato del diritto di esercitare la professione per un tempo non inferiore a 15 giorni e non superiore a 2 anni.

 

 

Pene accessorie: pesca marittima

Al fine di tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonchè di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, l'art. 7, comma 1 del D.lgs. n. 4/2012, fa divieto di:

  • lettera a), detenere, sbarcare e trasbordare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in   violazione della normativa in vigore;
  • lettera b), trasportare e commercializzare esemplari di specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore;
  • lettera c), detenere, sbarcare, trasportare e commercializzare le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, in violazione della normativa in vigore;
  • lettera d), danneggiare le risorse biologiche delle acque marine con l'uso di materie esplodenti, dell'energia elettrica o di sostanze tossiche atte ad intorpidire, stordire o uccidere i pesci e gli altri organismi acquatici[1] [50];
  • lettera e), raccogliere, trasportare o mettere in commercio pesci ed altri organismi acquatici intorpiditi, storditi o uccisi secondo le modalità di cui alla lettera d);
  • lettera f), pescare in acque sottoposte alla sovranità di altri Stati, salvo che nelle zone, nei tempi e nei modi previsti dagli accordi internazionali, ovvero sulla base delle autorizzazioni rilasciate dagli Stati interessati;
  • lettera g), esercitare la pesca in acque sottoposte alla competenza di un'organizzazione regionale per la pesca, violandone le misure di conservazione o gestione e senza avere la bandiera di uno degli Stati membri di detta organizzazione;
  • lettera h), sottrarre od asportare, senza il consenso dell'avente diritto, gli organismi acquatici oggetto della altrui attività di pesca, esercitata mediante attrezzi o strumenti fissi o mobili, sia quando il fatto si commetta con azione diretta su tali attrezzi o strumenti, sia esercitando la pesca con violazione delle distanze di rispetto stabilite dalla normativa vigente;
  • lettera i), sottrarre od asportare, senza il consenso dell'avente diritto, gli organismi acquatici che si trovano in spazi acquei sottratti al libero uso e riservati agli stabilimenti di pesca e, comunque detenere, trasportare e fare commercio dei detti organismi, senza il suddetto consenso.

In caso di cattura accessoria o accidentale di esemplari di dimensioni inferiori alla taglia minima, questi devono essere rigettati in mare.

I divieti di cui alle lettere a) e c) del comma 1 non riguardano la «pesca scientifica», nonché le altre attività espressamente autorizzate ai sensi della vigente normativa comunitaria e nazionale. Resta esclusa qualsiasi forma di commercializzazione per i prodotti di tale tipo di pesca ed è consentito detenere e trasportare le specie pescate per soli fini scientifici.

Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai prodotti dell'acquacoltura e a quelli ad essa destinati, fermo restando quanto previsto dall'articolo 16 del regolamento (CE) 1967/06.

La condanna per le contravvenzioni suindicate comporta l'applicazione - ai sensi dell'art. 9, comma 1 del D.lgs. n. 4/2012 - delle seguenti «pene accessorie»:

  • lettera a) la confisca del pescato, salvo che esso sia richiesto dagli aventi diritto nelle ipotesi previste dalle lettere h)ed i) dell'articolo 7, comma 1…
  • lettera b) la confisca degli attrezzi, degli strumenti e degli apparecchicon i quali è stato commesso il reato;
  • lettera c) l'obbligo di rimettere in pristino lo stato dei luoghi nei casi contemplati dalle lettere d), h)ed i)dell'articolo 7, comma 1, qualora siano stati arrecati danni ad opere o impianti ivi presenti…
  • lettera d) la sospensione dell'esercizio commercialeda 5 (cinque)a 10 (dieci) giorni, in caso di commercializzazione o somministrazione di esemplari di specie ittiche al di sotto della taglia minima prevista dai regolamenti comunitari e dalle norme nazionali applicabili ovvero di cui è vietata la cattura.

Qualora il pescato sia stato sequestrato l'interessato può ottenerne la restituzione previo deposito di una somma di denaro di importo equivalente al suo valore commerciale. Il tal caso oggetto della confisca è la somma depositata.

Quando sia possibile ed utile per l'ulteriore corso del procedimento si effettua, prima della restituzione, il prelievo di campioni del pescato o la sua "fotografia".

 


[1] [50]Concorso formale del delitto di cui all'art. 635, comma 2  n. 3 del c.p. (Danneggiamento aggravato...) nel "mare territoriale"  o aree demanali in quanto bene pubblico esposto alla pubblica fede e destinato a pubblica utilità (Cass. Sez. I 20.02. 1987 n. 287).

 

Pene accessorie inquinamento

L’articolo 10, comma 1 del D.lgs. 6 novembre 2007, n. 202 (Attuazione della direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni) prevede, a seguito di condanna per il reato di cui all’art. 8[1], la «pena accessoria»:

  • della «sospensione del titolo professionale», per il Comandante della nave e per le persone dell’equipaggio fornite dei titoli di cui all’art. 123 Cod. nav.(Vedasi STCW 78),
  • nonché la «sospensione dalla professione marittima» per i restanti membri dell’equipaggio, rispettivamente di durata non inferiore ad 1 (uno) anno, ai sensi dell’art. 1083 Cod. nav.

 


[1] L’articolo 8, comma 1 D.lgs. 202/07 dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il Comandante di una nave mercantile, senza discriminazione di bandiera, nonché i membri dell’equipaggio, il proprietario e il suo armatore, nel caso in cui la violazione sia avvenuta con il loro concorso, che violano le disposizioni di cui all’art. 4, n. 1 D.lgs. 202/07, con conseguente sversamento volontario in mare delle sostanze inquinanti di cui all’Allegato I (=idrocarburi) e all’Allegato II (=sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa) alla MARPOL 73/78, sono puniti con l’arresto da 6 (sei) mesi a 2 (due) anni e con l’ammenda da € 10.000 ad € 50.000.
Il predetto articolo al comma 2 stabilisce che, se la violazione di cui al 1 comma causa danni permanenti o, comunque, di particolare gravità, alla qualità delle acque, alle specie animali o vegetali o a parti di queste, si applica l’arresto da 1 (uno) a 3 (tre) anni e l’ammenda da € 10.000 ad € 80.000.

Il danno si considera di particolare gravità quando l’eliminazione delle sue conseguenze risulta di particolare complessità sotto il profilo tecnico, ovvero particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (comma 3).

Le misure di sicurezza

Sono state definite quali mezzi di «prevenzione individuale» della delinquenza aventi carattere educativo o curativo ovvero cautelativo, applicabili dall’Autorità Giudiziaria, in sostituzione oppure in aggiunta alla pena, nei confronti dell’autore di un reato ritenuto «socialmente pericoloso».

  • I presupposti per la loro applicazione sono:
  1. la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato o di un quasi reato (artt. 49 e 115 c.p.);
  2. la pericolosità criminale del reo 
  • Le misure di sicurezza si differenziano dalla pena in ordine ai seguenti aspetti:
  1. funzione: la pena ha anche, e soprattutto, una funzione retributiva; le misure di sicurezza ha esclusivamente funzione di emenda del colpevole;
  2. destinatari: la pena si applica solo ai soggetti imputabili; la misura di sicurezza si applica anche ai non imputabili;
  3. durata: la pena è fissa, avendo una durata determinata, stabilita nella sentenza di condanna; la misura di sicurezza ha una durata indeterminata, dovendo, per sua natura, cessare solo col venire meno dello stato di pericolosità del soggetto.

La pena è inflitta all'autore del reato. L'applicazione delle misure di sicurezza avviene solitamente con la sentenza; talvolta può avvenire anche con provvedimento successivo del "Magistrato di Sorveglianza" (art. 205 c.p.; att. 679 c.p.p.). Può anche essere disposta in via provvisoria prima della sentenza definitiva (quando si tratta di soggetto non imputabile) (applicazione provvisoria delle misure di sicurezza (art. 206 c.p.; artt. 312, 313 c.p.p.).
La revoca della misura di sicurezza può essere disposta dal "Magistrato di Sorveglianza", a seguito del riesame della pericolosità (art. 208 c.p. e art. 69 legge n. 354/1975) solo se la persona ad essa sottoposta ha cessato di essere socialmente pericolosa (art. 207 c.p.).

 

 

  • Le misure di sicurezza si distinguono in:
  1. personali, che limitano la libertà personale del soggetto;
  2. patrimoniali, che incidono soltanto sul patrimonio del soggetto.

 

Misure di sicurezza: personali

Le misure di sicurezza «personali» si distinguono, a loro volta, in "detentive" (la persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva si denomina internato) e "non detentive".

  • Le misure di sicurezza detentive sono:
  1. assegnazione ad una colonia agricola ovvero casa di lavoro (per i delinquenti abituali, professionali e per tendenza);
  2. assegnazione ad una casa di cura e di custodia (per i condannati a pena diminuita per infermità psichica, intossicazione cronica da alcool o sostanze stupefacenti);
  3. ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (per gli imputati prosciolti per le stesse cause di cui sopra);
  4. riformatorio giudiziario (per i minori non imputabili o condannati a pena diminuita).
  •  Le misure di sicurezza non detentive sono:
  1. libertà vigilata (artt. 228 – 232 c.p.)[1], consiste nell’affidamento del soggetto all’Autorità di Pubblica Sicurezza (che deve operare la sorveglianza in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento alla vita sociale) e nella fissazione di alcune prescrizioni e limitazioni imposte per evitare nuove occasioni di reato (ad esempio, l’obbligo di dedicarsi una stabile attività lavorativa, l ’obbligo di non ritirarsi la sera dopo una certa ora, l’obbligo di non accompagnarsi a pregiudicati, ecc.). E’ la misura di sicurezza che si applica quando la legge ne prescrive una senza specificare ulteriormente; vi sono però dei casi in cui la sua applicazione è espressamente prevista dalla legge. Il Giudice la può sempre ordinare nel caso
    di condanna alla reclusione per un tempo superiore ad 1 anno e nelle ipotesi di quasi reato;
  2. divieto di soggiorno (233 c.p.), consiste nel divieto di soggiornare in uno o più comuni ovvero in una o più province (principalmente per i condannati per delitto contro l’ordine o per motivi politici);
  3. divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche (234 c.p.), per reati commessi in uno stato di ubriachezza abituale;
  4. espulsione dello straniero dallo Stato (a pena espiata, deve essere espulso, se pericoloso, lo straniero condannato ad esempio, a una pena non inferiore a 10 anni di reclusione; per un delitto contro la personalità dello Stato; per gravi reati in tema di stupefacenti, ecc.).

 


[1] Va ricordato che al regime di libertà vigilata è sottoposto anche il condannato ammesso alla liberazione condizionale. In questo caso, però, la libertà vigilata non ha la funzione di misura di sicurezza, ma di “sostituzione” di pena.

 

Misure di sicurezza: patrimoniali

Le misure di sicurezza «patrimoniali» sono:

  1. la cauzione di buona condotta, (art. 237-239 c.p.), consiste nel deposito di una somma di denaro presso la Cassa delle Ammende, variabile da lire 103 a 2065 €. La somma è mantenuta in deposito per un periodo minimo di 1 anno e massimo di 5. Viene incamerata dalla Cassa delle Ammende se il soggetto commette nel periodo fissato un reato punito con pena detentiva. E’ restituita, decorso il termine, se il reato non viene commesso;
  2. la confisca (art. 240 c.p. modificato dall’art. 6 L. 22 maggio 1975, n. 152), consiste nella espropriazione a favore dello Stato di cose che servirono a commettere il reato (gli arnesi da scasso, le reti da pesca, ecc.) o che sono il prodotto o il profitto, oppure di cose la cui fabbricazione, uso, detenzione o alienazione costituisce reato (armi, materie esplodenti, prodotti della pesca, monete false, ecc.).

► Mediante la «confisca», si evita che una cosa, attinente a un reato o di per sé criminosa, possa costituire, se lasciata nella disponibilità dell’autore del reato, un incentivo a commettere altri illeciti.

  • Ad esempio, sono soggetti a confisca (art. 25 legge 963/65 come sostituito dall’art. 7 legge 381/1988) tanto il pescato quanto gli attrezzi da pesca per l’esercizio della pesca mediante l’uso di energia elettrica o sostanze tossiche o materiale esplodente
  • Ad esempio, può essere confiscato il mezzo usato dallo spacciatore per detenervi droga: il suo uso può rendere più facile e insidioso l’esercizio dell’attività delittuosa; oppure possono essere confiscati gli arnesi da scasso usati dal ladro o l’appartamento servito da covo al gruppo terroristico.

La confisca è «obbligatoria» o « facoltativa» e riguarda:

• le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato (confisca facoltativa);

  • Ad esempio, sono soggetti a confisca facoltativa gli arnesi da sca ss

• le cose che rappresentarono il profitto (vantaggio economico) o il prodotto (risultato) del reato (confisca facoltativa);

  • Ad esempio, sono soggetti a confisca facoltativa gli arnesi da scasso

• le cose che rappresentarono il profitto (vantaggio economico) o il prodotto (risultato) del reato (confisca facoltativa);

  • Ad esempio, sono soggetti a confisca facoltativa le cose rubate (profitto) ovvero la banconota contraffatta o il prezzo conseguito alla vendita della cosa rubata (risultato)

• le cose che costituiscono il prezzo (corrispettivo) del reato (confisca obbligatoria)

  • Ad esempio, sono soggetti a confisca obbligatoria il premio ottenuto dal colpevole per commettere il reato

• le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato (confisca obbligatoria anche se non è stata pronunciata condanna)

  • Ad esempio, sono soggetti a confisca obbligatoria le armi di qualsiasi genere e parti di esse, materie esplodenti, le monete false, gli atti falsi, ecc.

La confisca è perciò obbligatoria per i reati "concernenti le armi, le munizioni e gli esplosivi" (art. 6 legge 22 maggio 1975, n. 152). Le armi, le munizioni e gli esplosivi confiscati sono versati alla competente Direzione di Artiglieria per la distruzione o la rottamazione
La confisca non può pregiudicare i diritti di persone estranee al reato. Non è pertanto attuabile quando si tratta di cose che appartengono a terzi estranei od ai quali le cose siano lecitamente pervenute dopo la commissione del reato.

 

Indici di pericolosità sociale

Dinanzi all’autore di qualsiasi reato, imputabile o non, lo Stato non può porsi solo la domanda se quel soggetto è responsabile penalmente di un certo reato, ma anche la domanda se quel soggetto è «pericoloso socialmente».
L’art. 133 c.p. dispone che, nella determinazione della pena da infliggere all’autore di un reato, il Giudice deve tener conto oltre che della gravità del reato commesso, altresì della «capacità a delinquere» del reo. Essa consiste nella tendenza o inclinazione dell’individuo a commettere fatti in contrasto con la legge penale.
Mentre l’imputabilità costituisce il presupposto necessario della responsabilità, per cui è penalmente responsabile (e perciò punibile) solo il soggetto che al momento del fatto era capace di intendere e di volere, la capacità a delinquere (capacità criminale) serve invece a «
graduare la responsabilità» e, quindi, la pena da applicare per il reato commesso.
Tale capacità, che implica un vero e proprio giudizio prognostico sulla possibilità maggiore o minore che il soggetto compia nel futuro ulteriori reati , va desunta ad esempio: dai precedenti del reo e, in genere, dalla sua vita trascorsa; dal carattere, dalle sue condizioni familiari, sociali ed individuali di vita (c.d. ambiente del reo), ecc.

Un grado particolarmente intenso di capacità a delinquere è la «pericolosità sociale», cioè la elevata probabilità che il soggetto commetterà altri reati.
La pericolosità criminale influisce sulla misura della pena, preclude la concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e del perdono giudiziale della liberazione condizionale, come anche sulla applicazione di misure alternative alla detenzione, ed è il presupposto per l’applicazione di una misura di sicurezza.
Dinanzi alla accertata probabilità che l’autore del reato ne commetta altri in futuro, il legislatore corre ai ripari applicandogli allora una misura di sicurezza e cioè una sanzione penale che nelle intenzioni, dovrebbe neutralizzare la pericolosità del soggetto e risocializzarlo.
La misura di sicurezza può essere applicata congiuntamente alla pena (dopo che questa è stata scontata) o in alternativa alla pena stessa (quando si tratta di soggetto non imputabile, ma socialmente pericoloso).
La duplicità di sanzione si spiega con l’accoglimento, da parte del codice penale del 1930, del «sistema del doppio binario». In base a tale sistema, come già visto in precedenza, le pene avrebbero funzione di «castigo» e di intimidazione, le misure di sicurezza, la funzione di «neutralizzare la pericolosità sociale» del reo e di risocializzarlo all’esito del processo rieducativo che le stesse misure di sicurezza dovrebbero attuare.
La misura di sicurezza ha funzioni diverse della pena e non rappresenta il «castigo» inflitto per il reato commesso, ma il modo per evitare che continui a creare allarme sociale un soggetto ritenuto pericoloso.
Di conseguenza: se l’autore del reato non è imputabile, va esente da pena. Nei suoi confronti, però può essere disposta una misura di sicurezza se, malgrado la non imputabilità, il soggetto è socialmente pericoloso.

  • Ad esempio, se il demente uccide e viene riconosciuto socialmente pericoloso, andrà anch’egli esente da pena, ma potrà essere ricoverato in un “ospedale psichiatrico giudiziario”. Se commette un reato, ma non é socialmente pericoloso sarebbe assurdo punirlo od applicargli una misura di sicurezza. La malattia dovrà trovare cura adeguata presso strutture psichiatriche che non appartengano agli apparati repressivi.

Il Codice penale esalta il rilievo della pericolosità sociale prevedendo quattro forme specifiche di «pericolosità criminale» che delineano predeterminate figure di «delinquenti pericolosi»:

  1. recidivo
  2. delinquente abituale
  3. delinquente professionale
  4. delinquenti per tendenza

   

Figure di pericolosi sociali

Il Codice penale esalta il rilievo della pericolosità sociale prevedendo quattro forme specifiche di «pericolosità criminale» che delineano predeterminate figure di «delinquenti pericolosi»:

  1. recidivo
  2. delinquente abituale
  3. delinquente professionale
  4. delinquenti per tendenza

La «recidiva» (art. 99-101 c.p.) è la condizione personale di chi dopo essere stato precedentemente condannato (con sentenza passata in giudicato) per un reato, ne commette un altro. La recidiva può essere:

  1. semplice
  2. aggravata
  3. reiterata

La «recidiva semplice», ricorre se un soggetto commette un reato dopo una condanna per un altro reato di diversa indole. La pena può essere aumentata fino al sesto.

  • Ad esempio, è recidivo l’autore di un furto che è stato già condannato, con sentenza passata in giudicato, per oltraggio a (=recidivo semplice: è ricaduto in altro reato, di diversa indole).

La «recidiva aggravata», ricorre se un soggetto commette un nuovo reato della stessa indole (cioè denota identica tendenza a delinquere) del precedente e si distingue a sua volta in: recidiva specifica e infraquinquennale. A seconda dei casi la pena può essere aumentata fino a 1/3 o fino a 1/6
La recidiva aggravata «specifica» ricorre, quando il nuovo reato è della stessa indole del precedente.

  • Ad esempio, è recidivo specifico chi è ricaduto in un reato (furto) della stessa indole del primo reato (rapina).

La recidiva aggravata «infraquinquennale» ricorre, quando il nuovo reato è stato commesso nei 5 anni dalla condanna precedente.

  • Ad esempio, è recidivo infraquinquennale chi ricade nel secondo reato (rapina) nei cinque anni successivi alla prima condanna (per furto)

La «recidiva reiterata», infine, ricorre quando il nuovo reato è stato commesso da chi è già recidivo (durante o dopo l’esecuzione della pena, o durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente alla esecuzione della pena). Aumento della pena dalla metà fino a 2/3.

  • Ad esempio, è recidivo reiterato chi commette il reato di furto dopo aver già riportato due condanne: la ricaduta è duplice.

Le conseguenze della recidiva sono principalmente un aumento di pena, variabile a seconda del tipo di recidiva. Le ipotesi di recidiva possono cumularsi fra loro:

  • Ad esempio, è recidivo specifico reiterato e infraquinquennale chi commette un furto (art. 624 c.p.) nei 5 anni successivi ad una condanna per rapina (art. 628 c.p.) ed una per ingiuria (art. 594 c.p)

 

 

La «abitualità criminale» (artt.102-104 e 109 c.p.): è la condizione di chi con la sua persistente attività criminosa dimostra di avere acquistato una notevole attitudine a commettere reati. E’ delinquente abituale: un soggetto reiteratamente recidivo per il quale, per presunzione di legge o convinzione del Giudice, sussistono apprezzabili probabilità che commetta in futuro ancora altri fatti costituenti reato.

La «professionalità nel reato» (art. 105 c.p.): oltre alle condizioni richieste per l’abitualità la legge richiede che si accerti che il reo viva abitualmente, anche se solo in parte, dei proventi del reato, secondo un vero e proprio sistema di vita. E’ delinquente professionale: un delinquente abituale che vive abitualmente del provento dei reati commessi.

La «tendenza a delinquere» (art. 108 c.p.): si ha quando il reo riveli una speciale inclinazione al delitto che trovi la sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole. E’ delinquente per tendenza: l’autore di un delitto contro la vita o l’incolumità personale che, per la sua indole particolarmente malvagia, rivela speciale inclinazione al delitto (cc.dd. delitti di sangue).

Le dichiarazioni di abitualità, professionalità o tendenza per delinquere importano l'applicazione di misure di sicurezza e possono escludere la concessione della sospensione condizionale della pena.

   

Conseguenze civili del reato

Dal reato possono derivare conseguenze non solo penali ma anche civili, disciplinari, amministrative, ecc.
Generalmente, infatti, la maggior parte dei reati (delitti) determina anche delle conseguenze sul piano civilistico e, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2043 c.c. “Risarcimento per fatto illecito: Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

  • Le conseguenze di natura civilistica sono previste nel Libro I°, Titolo VII del Codice penale e sono: 
  1. Restituzioni (art. 185 c.p.): “Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili”.
    La norma prevede, quando questa sia possibile, la reintegrazione dello stato di fatto preesistente alla commissione del reato. Può avere ad oggetto sia cose mobili sia cose immobili di cui si sia venuti in possesso. Secondo il disposto dell’art. 187, comma 1° c.p., l’obbligo alle restituzioni è indivisibile.
  1. Risarcimento del danno (art. 185 c.p.): il secondo comma dell’articolo 185 c.p. stabilisce che “Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”. Per danno patrimoniale si intende quindi l’offesa di un interesse patrimoniale nei suoi due aspetti del danno emergente e del lucro cessante mentre per danno non patrimoniale si intende il patimento morale che deriva dalla commissione del fatto illecito. Il risarcimento del danno morale non ha funzione di reintegra ma di soddisfazione per il male sofferto. Obbligato al risarcimento del danno è il colpevole e, in via solidale, anche il responsabile civile. La sanzione consiste nel versamento di una somma di denaro equivalente al pregiudizio arrecato con il reato. Si ricorre al risarcimento quando la restituzione non è possibile o quando non sia sufficiente a riparare il danno cagionato.
    Il titolare del diritto al risarcimento è il danneggiato mentre in caso di omicidio, beneficiari sono gli eredi.
    Una particolare forma di risarcimento del danno di natura non patrimoniale è la "pubblicazione della sentenza di condanna". Ai sensi dell’art. 186 c.p. “ogni reato obbliga il colpevole alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza di condanna, qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato”. Si tratta di un istituto diverso rispetto a quello della pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna;
  1. Rimborso delle spese allo Stato per il mantenimento del condannato (art. 188 c.p.): ai sensi dell’art. 188 c.p., il colpevole è obbligato a rimborsare all’erario dello Stato le spese per il suo mantenimento negli stabilimenti di pena. Il condannato risponde di tale obbligazione con tutti i suoi beni (mobili e immobili), presenti e futuri. L’ultimo comma dell’art. 186 stabilisce che “l’obbligazione non si estende alla persona civilmente responsabile, e non si trasmette agli eredi del condannato”;
  1. Obbligazione civile per le multe e le ammende inflitte a persona dipendente (artt. 196 e 197 c.p.): l’articolo 196 c.p. dispone che “nei reati commessi da chi è soggetto all’altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell’autorità, o incaricata della direzione o vigilanza, è obbligata, in caso d’insolvibilità del condannato, al pagamento di una somma pari all’ammontare della multa o dell’ammenda inflitta al colpevole, se si tratta di violazioni di disposizioni che essa era tenuta a far osservare e delle quali non debba rispondere penalmente”. L’Ordinamento prevede dunque alcune ipotesi di responsabilità civile quale garanzia dell’adempimento delle sanzione della multa e dell’ammenda. L’obbligazione ha natura sussidiaria e sorge nel caso di violazione di una norma che la persona preposta doveva far osservare e quando questa non ne deve rispondere penalmente.
    L’art. 197 c.p. dispone invece che “gli enti forniti di personalità giuridica eccettuati lo Stato, le regioni, le province ed i comuni, qualora sia pronunciata condanna per reato contro chi ne abbia la rappresentanza o l’amministrazione, o che sia con essi in rapporto di dipendenza, e si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso nell’interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento, in caso di insolvibilità del condannato, di una somma pari all’ammontare della multa o dell’ammenda inflitta”.
    Anche questa obbligazione ha carattere sussidiario e trova applicazione solo in caso di insolvibilità del condannato;
  1. Effetti dell’estinzione del reato o della pena sulle obbligazioni civili (art. 198 c.p.): la norma stabilisce che “l’estinzione del reato o della pena non importa la estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si tratti delle obbligazioni indicate nei due articoli precedenti”. Con questa norma, l’Ordinamento, ha chiarito che l’estinzione del reato o della pena fa venir meno l’illecito penale ma non può escludere da esso quei caratteri di illiceità diversa da quella penale, che esso rivesta.
  1. Garanzie per le obbligazioni civili (artt. 189 – 195 c.p.): le due disposizioni del codice penale contengono due strumenti tesi a garantire l’adempimento delle obbligazioni civili da parte dell’imputato e sono: il sequestro conservativo (art. 189 c.p.), la cauzione e l’ azione revocatoria penale (artt. 192-194 c.p.). Il "sequestro conservativo penale" dei beni mobili e immobili dell’imputato o delle somme o cose a lui dovute nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento può essere chiesto dal Pubblico Ministero (in ogni stato e grado del processo) quando vi è fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese per il procedimento e di ogni altra somma dovuta all’Erario dello Stato.
    Sono soggetti ad azione revocatoria gli atti fraudolenti compiuti dal condannato sia anteriormente sia posteriormente al reato, sia a titolo gratuito sia a titolo oneroso.

 

I soggetti del reato: il soggetto attivo

Ogni reato ha un «soggetto attivo» (=autore del reato) e un «soggetto passivo» (=il titolare dell’interesse protetto dalla norma penale).

In particolare, il «soggetto attivo» è colui (o coloro, nel caso di concorso) che ha posto in essere il comportamento vietato dalla norma incriminatrice e che nel procedimento penale assume, a seconda delle fasi o dei momenti, la qualità di indagato, di imputato, di reo o condannato e di internato.

Tutte le persone fisiche (art. 27 Cost.) possono essere soggetti attivi del reato, hanno cioè l’attitudine a porre in essere comportamenti penalmente rilevanti, senza distinzione di età, sesso od altre condizioni soggettive essendo tutte dotate di capacità penale.

Ne consegue che l’età, le situazioni di anormalità psico-fisica e le immunità non escludono il reato, ma sono rilevanti solo ai fini della concreta applicabilità della pena.

  • Ad esempio, nel caso di furto commesso da una persona incapace di intendere e di volere, il reato sussiste, ma non è applicabile la pena.

In relazione al «soggetto attivo», distinguiamo:

  1. reati comuni
  2. reati propri

I reati «comuni», sono quelli posti in essere da qualunque soggetto, indipendentemente da particolari caratteristiche soggettive. In tale ipotesi la norma, generalmente, fa riferimento a «chiunque.....». 

  • Ad esempio, sono reati comuni, il furto (art. 624 c.p. e art. 1148 Cod. nav.)..«Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui...» e l’omicidio (art. 575 c.p. e art. 1150 Cod. nav.) ... «Chiunque cagiona la morte di un uomo...».

I reati «propri», sono quei reati che, a causa della particolare natura del bene giuridico protetto, che si presta ad essere offeso soltanto da soggetti particolari, possono essere commessi da chi rivesta determinate «qualifiche» o «condizioni».

  • Ad esempio, sono reati propri, il peculato (art. 314 c.p.), la concussione (art. 317 c.p.) che possono essere commessi da Pubblici Ufficiali o da incaricati di un pubblico servizio (delitti contro la pubblica amministrazione) nonché l’arresto illegale (art. 606 c.p.), la perquisizione e la ispezione personale arbitraria (art. 609 c.p.) ovvero il reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) che può essere commesso solo da chi è testimone in un processo.
  • Ad esempio, sono reati propri, nel campo marittimo, l’ubriachezza (art. 1120, comma 1, Cod. nav.), la falsità ideologica nel ruolo di equipaggio, nel giornale o nelle relazioni (art. 1127 Cod. nav), l’omissione di assistenza a navi o persone in pericolo (art. 1158 cod. nav.) ovvero il rifiuto di servizio da parte del pilota (art. 1114 Cod. nav.), che possono essere commessi dal comandante di nave mercantile ovvero dal pilota.

 

Per stabilire se il reato sia comune o proprio, non è sufficiente, quindi, verificare se la norma incriminatrice usi o meno l’espressione «chiunque...», bensì occorre esaminare con attenzione la norma nel suo complesso. Un reato può essere commesso da una o più persone fisiche. Nel primo caso si è in presenza di un reato «monosoggettivo»; nel secondo di un reato «plurisoggettivo». Il fenomeno dei reati c.d. plurisoggettivi o del concorso necessario di persone si realizza quando è la stessa norma incriminatrice a richiedere per la sussistenza del reato, una pluralità di soggetti attivi. Vi sono, infatti, beni giuridici che possono essere lesi soltanto dall’azione di più soggetti. Il concorso di persone nel reato costituisce invece una forma eventuale di manifestazione del reato (come si vedrà in seguito) che si realizza allorquando più persone pongono in essere un reato che, astrattamente considerato, avrebbe potuto essere realizzato anche da una sola persona.

  • Così ad esempio, l’ incesto (art. 564 c.p.) che offende la morale della famiglia ha per soggetti attivi due persone (delitto bilaterale) di sesso diverso, che devono essere ascendenti o discendenti o affini in linea retta (suocero e nuora, suocera e genero) o fratello e sorella; la rissa (art. 588 c.p.) ha per soggetti attivi almeno tre persone che abbiano commesso una serie di atti illegittimi contestuali, reciproci, idonei a offendere la incolumità fisica della persona.

Non tutti gli autori di un reato ne subiscono però le conseguenze giuridiche. Le persone immuni ad esempio, non sono assoggettate a conseguenze penali; quelle socialmente non pericolose non possono essere sottoposte a misure di sicurezza; quelle incapaci di intendere e volere (=non imputabili) non possono essere condannate alla pena prevista per il reato da esse commesso.

 

L'imputabilità e le cause che la escludono

L’art. 85 c.p. stabilisce che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”. Al secondo comma poi precisa che “E’ imputabile chi ha la capacità di intendere e volere”. Non tutti gli autori di un reato ne subiscono, quindi, le conseguenze giuridiche.

  • Le persone immuni, ad esempio, non sono assoggettate a conseguenze penale; quelle socialmente non pericolose non possono essere sottoposte a misure di sicurezza; quelle incapaci di intendere e di volere (non imputabili) non possono essere condannate alla pena prevista per il reato da esse commesso.

La "responsabilità penale" (cioè la possibilità di essere punito per la commissione di un reato) è collegata ad un normale stato di maturità, sanità ed equilibrio dell'individuo, che, il Codice penale definisce come «imputabilità». Questa imputabilità consiste essenzialmente nella «....Capacità di intendere e di volere».

Presupposto per la punibilità dell’autore di un reato è la «sussistenza della capacità di intendere e di volere» al momento della commissione del fatto, ossia, seguendo la terminologia del codice, delle «condizioni di imputabilità» (art. 85 c.p.). L’assenza dell’una o dell’altra, pur sussistendo il reato, consente infatti al soggetto di andare esente da pena (causa soggettiva di esenzione da pena).

Per «capacità di intendere e volere» si intende sia la capacità di ogni persona di rendersi conto del valore sociale del proprio comportamento e di valutarne le ripercussioni sugli altri (intendere) sia l’idoneità della persona a determinarsi in modo autonomo, resistendo agli impulsi che gli derivano dal mondo esterno (volere).

Comunemente, sia la capacità di intendere che quella di volere si raggiungono con una completa maturità psico-fisica (sviluppo corporeo ed intellettivo sufficiente) e si mantengono con l'equilibrio e la sanità mentale.
La ragione per cui si richiede la imputabilità per l'irrogazione della pena risiede in un profondo senso di giustizia nella nostra coscienza. Ripugna, infatti, infliggere castighi a soggetti non in grado di rendersi conto di ciò che fanno e trattare conseguentemente come adulti responsabili i malati di mente ed i bambini.

  • Ad esempio, il bambino o il pazzo che uccidono una persona, pur commettendo il delitto di omicidio, non sono punibili perché la legge li considera incapaci di rendersi conto di ciò che fanno.

La pena è un castigo per una disobbedienza e si richiede, pertanto, che chi la subisce l'avverte e la sente come il giusto corrispettivo per un comportamento riprovevole. Il requisito della imputabilità è condizione per l'irrogazione della pena. Ciò significa che la mancanza di imputabilità costituisce una causa personale di esenzione della pena (analoga alle immunità). Segue da questa impostazione che anche il bambino o il pazzo possono violare i precetti della legge penale (sono anche loro soggetti attivi di diritto penale), ma non possono poi essere puniti, per una condizione attinente alla loro persona.
La imputabilità è legata tanto al raggiungimento di un sufficiente grado di sviluppo dell'individuo quanto al permanere di un suo equilibrio psico-fisico. Infatti, anche dopo la raggiunta maturità, varie situazioni estreme possono influire su questo equilibrio eliminando del tutto o facendo diminuire sia la capacità di intendere, sia la capacità di volere, sia l'una e l'altra insieme.

L’Ordinamento giuridico prevede alcune ipotesi che "escludono" o comunque "diminuiscono" la imputabilità. Non si tratta di un numero chiuso di cause nel senso che tale capacità potrebbe essere esclusa anche in presenza di cause non espressamente previste dal Codice.

Quelle previste dal nostro Ordinamento sono:

  1. minore età
  2. vizio di mente
  3. azione dell’alcool
  4. azione degli stupefacenti

Per ognuna di esse il Codice detta una specifica disciplina. Può dirsi, al riguardo, che le norme sulla imputabilità non si applicano quando la privazione della capacità di intendere e di volere è stata "preordinata" e cioè quando l’autore del reato si è messo in stato di incapacità proprio al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa (art. 87 c.p.).

 

 

     

 

La minore età

Gli articoli 97 e 98 c.p. prevedono rispettivamente che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni” e che “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e volere; ma la pena è diminuita”.

La non punibilità è determinata dalla condizione di immaturità che caratterizza i soggetti minori. Al riguardo il nostro diritto distingue due diverse «fasce di età» del minore:

  1. il minore dei 14 anni, non è imputabile (art. 97 c.p.): la sua capacità, per presunzione di legge, è categoricamente esclusa.
  • Ad esempio, non valgono neppure prove contrarie come quella che al momento del fatto il minore era pienamente capace.
  1. il minore di 18 anni (= infradiciottenne), ma che ha compiuto i 14 anni è imputabile se il Giudice accerta la sua capacità di intendere e di volere (art. 98 c.p.). Il legislatore impone al Giudice di accertare, caso per caso, la capacità del minore; Se la capacità è accertata , il minore è assoggettato a pena anche se diminuita fino a un terzo. In caso contrario, il minore
    è dichiarato non imputabile per "immaturità".

 

 

Le nuove disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni, dettate dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 488 «Nuove disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni», hanno accentuato notevolmente la funzione di prevenzione e rieducazione sociale del processo penale relativo ai minori. In particolare, è stata prevista una nuova causa di non punibilità che è data dalla «irrilevanza del fatto». Afferma, infatti, l’art. 27 del D.P.R. citato che... durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento, il Pubblico Ministero può chiedere al Giudice[1] una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minore.
Il minore riconosciuto non imputabile viene prosciolto, tuttavia, se risulta socialmente pericoloso sono applicabili nei suoi confronti le "misure di sicurezza" del riformatorio giudiziario e della libertà vigilata.

  1. il soggetto adulto (= ultradiciottenne) è invece imputabile “salvo prova contraria” (artt. 85,88-95 c.p.). Il legislatore quindi, presume la capacità di intendere e di volere dell’adulto, ma consente di provare (prova contraria) che al momento del fatto tale capacità era esclusa o diminuita a causa di un vizio di mente totale o parziale

 


[1] E’ prevista, la possibilità per il Giudice di sospendere il processo e affidare in prova il minore ai Servizi minorili; decorso il periodo di prova, il Giudice se ritiene che quest’ultima abbia avuto esito positivo, dichiara con sentenza estinto il reato (artt. 28 e 29 del D.P.R 22.9.1988, n. 488).

 

L'infermità mentale

Fra le cause che incidono sulla imputabilità, ha particolare rilievo il vizio di mente. L’art. 88 c.p. stabilisce che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere e volere”.
Il successivo articolo
89 prevede poi “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere e volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita”.
Non basta accertare l’esistenza di una malattia mentale per escludere l’imputabilità: occorre appurare in concreto caso per caso, se, e in quale misura, tale malattia abbia effettivamente compromesso la capacità del soggetto di intendere e volere.

 

Per infermità deve intendersi un concetto molto più ampio rispetto a quello di malattia giungendo a comprendere anche i "disturbi psichici" di carattere non strettamente patologico. Rientra tra le infermità anche la malattia fisica (anche quelle a carattere transitorio) da cui derivi un vizio di mente.

L'incapacità di intendere e di volere può essere "totalmente esclusa" o "grandemente ridotta" da condizioni di infermità mentale. In questi casi l'imputato è esente da pena o assoggettato a pena ridotta. Pertanto, a seconda del suo grado, l’infermità può essere:

  1. totale
  2. parziale

Il vizio di mente è totale (art. 88 c.p.) se al momento della commissione del fatto, l’infermità è tale da escludere del tutto la capacità di intende e volere. In tal caso il soggetto sarà dichiarato non imputabile perché totalmente infermo di mente (art. 88 c.p.); ma se riconosciuto socialmente pericoloso gli si applica la misura di sicurezza del "ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario".

  • Si pensi ad esempio, all’ipotesi in cui l’autore del reato è un demente, un paranoico, un nevrotico, o comunque, a tutte le ipotesi in cui l’autore del reato ha una malattia che provoca disturbi più o meno intensi alle sue capacità mentali.
  • Si pensi ad esempio, all’ipotesi in cui l’autore del reato è un cleptomane o un piromane che sono capaci di intendere in quanto comprendono perfettamente il valore sociale della norma che impone loro di non rubare o di non appiccare incendi; sono però incapaci di volere perché la loro malattia è più forte della loro volontà e le loro forze sono soggette alle spinte della malattia.

E’ invece parziale (art. 89 c.p.) se la capacità di intendere e volere non è esclusa ma solo diminuita in presenza di un vizio di mente. La pena è diminuita in caso di infermità parziale.

  • Ad esempio, se un epilettico compie il reato fuori delle fasi di attacco della malattia egli è, perciò, imputabile (fruirà di una diminuzione di pena in quanto, comunque, affetto da epilessia).

 

 

L’art. 90 c.p. stabilisce che “gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità”. La rilevanza scusante degli stati emotivi o passionali è comunque ammessa in presenza di due condizioni essenziali:

  1. lo stato di coinvolgimento emozionale si manifesti in una personalità già debole;
  2. lo stato emotivo o passionale assuma, per particolari caratteristiche, significato e valore di infermità, sia pure a carattere transitorio.
  • Ad esempio, il marito che uccide la moglie in un attacco d’ira o di gelosia, e colui che, in stato di agitazione, ingiuria il , saranno normalmente imputabili perché il loro turbamento psichico non dipende da una malattia. Per essi potranno, se del caso, operare talune circostanze attenuanti (artt. 69 e 62 n. 2 c.p.).

     

L'intossicazione da alcol o da stupefacenti

Per il fenomeno dell’etilismo e per quello dell’intossicazione da stupefacenti, l’Ordinamento prevede trattamenti diversi a seconda delle circostanze[1] [50].

L’intossicazione da alcool o da sostanza stupefacente deriva dall’uso eccessivo di bevande alcoliche o di droga. può essere:

  1. accidentale
  2. volontaria (abituale o preordinata)
  3. cronica

Il Codice prevede l’esclusione dell’imputabilità se l’ubriachezza (o la intossicazione da sostanze stupefacenti) è dovuta a «caso fortuito» o «forza maggiore» (art. 91 c.p.).  Si tratta della cd. ubriachezza accidentale  e cioè non dipendente da colpa del soggetto.

  • Si verifica, ad esempio, quando un lavoratore che presta la sua attività lavorativa in ambiente saturo di vapori alcolici e si ubriaca a causa di un guasto dell’impianto.
    Se l’ubriachezza (o la intossicazione) ha solo diminuito (e non escluso) la capacità di intendere e volere del soggetto, la pena è solo diminuita (secondo comma dell’art. 91 c.p.).

Gli artt. 92 e 93 c.p. prevedono invece una disciplina più rigorosa per le ipotesi in cui ubriachezza (il primo) e la intossicazione da sostanze stupefacenti (il secondo) sia derivata da un "fatto proprio e volontario" del soggetto agente (il soggetto si è ubriacato o drogato volontariamente o per imprudenza). In tali ipotesi è quindi previsto che chi commette il fatto ne risponde come se fosse pienamente capace di intendere e volere. Non è quindi prevista né l’esclusione né tanto meno la diminuzione della imputabilità.

Il secondo comma dell’art. 92 c.p. prevede poi un aumento di pena se lo stato di ubriachezza è preordinato al fine di commettere un reato o di prepararsi una scusante. Si tratta di una ipotesi di actio libera in causa che non fa venir meno la colpevolezza.

 

 

L’art. 94 c.p. “ubriachezza abituale” stabilisce un aumento della pena nel caso in cui il reato viene commesso da un soggetto agente il cui stato di ubriachezza (o di intossicazione da stupefacenti) è abituale. Per ubriaco abituale è da intendersi la persona dedita all’uso di bevande alcoliche che si trova in stato frequente di ubriachezza.
L’ubriachezza abituale e la intossicazione abituale di sostanze stupefacenti, non esclude o diminuisce l’imputabilità ma addirittura prevede un aumento della pena.

  • Ad esempio, è imputabile chi decide di ubriacarsi per festeggiare la vittoria della propria squadra o chi, pur senza volerlo, finisce per ubriacarsi bevendo per imprudenza più del consentito o chi per superare una crisi di astinenza, si inietta una dose di eroina (casi di intossicazione volontaria).

L'imputabilità non è esclusa né diminuita quando l’intossicazione è "preordinata" (il soggetto si è ubriacato o drogato allo scopo di commettere il reato o per prepararsi una scusa). In questa seconda ipotesi, si dà luogo ad un aumento di pena.

  • Ad esempio, subisce un aumento di pena trattandosi di intossicazione preordinata chi si ubriaca o si droga per essere in grado di partecipare attivamente alle manifestazioni criminose che si dovessero verificare prima o dopo un incontro di calcio (è tipico il caso di quei tifosi che si ubriacano o si drogano per danneggiare negozi e impianti sportivi oppure azzuffarsi con esponenti dei clans avversari (casi di intossicazione preordinata)

L’articolo 95 c.p. “cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti” stabilisce espressamente che “per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli artt. 88 e 89”.
La cronica intossicazione potrebbe giungere a far scemare fortemente la capacità di intendere e volere del soggetto agente. In tali ipotesi, secondo l’Ordinamento, il soggetto non sarebbe imputabile.

L’intossicazione «cronica» da alcool o da sostanze stupefacenti si verifica quando per effetto dell’abuso prolungato di droga o di sostanze alcoliche, si produce una alterazione psichica del soggetto tipica del vizio di mente.

  • Ad esempio, non è imputabile, trattandosi di intossicazione cronica, il demente alcolico. Egli, infatti, non è altro che un infermo di mente e deve perciò valere per lui la stessa disciplina prevista per chi è affetto da un vizio di mente.

Tale situazione va distinta dall’ipotesi in cui il soggetto versi in stato di ubriachezza «abituale» (ubriachezza consuetudinaria e frequente o da chi è abitualmente dedito all’uso di droghe). In tal caso il soggetto subisce un aumento di pena e l’applicazione di una "misura di sicurezza" del «ricovero in casa di cura e custodia», poiché si ritiene che per costui lo stato di incapacità sia meramente transuente e non stabile come in caso di cronica intossicazione.

Le conseguenze della «intossicazione cronica» sono opposte rispetto a quelle della «intossicazione abituale». La prima esclude la imputabilità; la seconda, invece, non solo non la esclude, ma comporta addirittura un aumento di pena a carico dell’autore del reato. Da qui l’importanza di avere ben chiara la distinzione tra le due ipotesi.

E’intossicato abituale colui che è dedito all’alcool o alla droga e che, pur trovandosi frequentemente in stato di ubriachezza o di intossicazione da stupefacenti, attraversa, tra un periodo e l’altro, periodi di normale (o quasi normale) lucidità.

L’intossicato cronico, invece, è colui che versa in modo duraturo e continuo in stato di intossicazione: nel senso che questa non è più un effetto della assunzione dell’alcool o della droga (un effetto, cioè, che dopo essere cessato, si rinnova a seguito di ogni nuova assunzione), ma è uno stato irreversibile e permanente che non viene mai meno e che, comunque, non scompare del tutto neppure quando il soggetto non fa più uso di alcool o di droga ovvero ne fa uso limitato.

     


[1] [50] Ipotesi di reato:

  1. art. 688 c.p. (Ubriachezza)
  2. art. 1120 Cod. nav. (Ubriachezza)
  3. art. 53 comma 1-bis ( Conduzione...di unità da diporto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope oppure di sostanze alcoliche) D.lgs. n. 171/2005 (art. 24 della Legge 27 febbraio 2009, n. 14)

 

Il soggetto passivo del reato

Ogni reato offende l’interesse alla "pacifica convivenza". Offende quindi lo Stato che è il titolare di tale interesse. In astratto, perciò, lo Stato è il soggetto passivo di qualsiasi reato.
Siccome il reato danneggia o mette in pericolo «
interessi di una suprema dignità» come la vita, la libertà individuale e «interessi altresì rilevanti» come il patrimonio, gli interessi della pubblica amministrazione, ecc. per questo motivo il legislatore ha previsto per chi viola le norme penali sanzioni più afflittive perché tali da creare un vulnus (buco, danno) alla collettività.

  • Ad esempio, è punito con l’ergastolo o la reclusione chi è riconosciuto responsabile di un omicidio (artt. 575 c.p. e 1150 Cod. nav..).

Da un punto di vista specifico e concreto, il «Soggetto passivo» del reato (nel codice si parla di «persona offesa dal reato») è il titolare del "bene o dell’interesse" (c.d. oggetto giuridico) che la norma giuridica tutela e che è pertanto leso dal comportamento umano costituente reato.
Soggetto passivo può essere un "singolo individuo" oppure una "persona giuridica", ivi compreso lo Stato.

  • Ad esempio, soggetto passivo del delitto di furto è il proprietario della cosa rubata; del delitto di omicidio, chi è stato ucciso; lo Stato nei reati contro la personalità dello Stato (attentato contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato, attentato contro il Presidente della Repubblica, spionaggio, associazione sovversiva, attentato per finalità terroristiche o di eversione, strage, ecc.) o nei reati contro l’amministrazione della giustizia (omessa denuncia di reato, favoreggiamento personale o reale, evasione, ecc.).

Quando un reato "lede" o "pone in pericolo" più beni-interessi, appartenenti a persone distinte, si parla di reato «plurioffensivo».

  • Si pensi ad esempio, al reato di calunnia (art. 368 c.p.), che offende nello stesso tempo lo Stato, nel suo interesse alla regolare amministrazione della giustizia, e la persona falsamente incolpata; l’attentato per finalità terroristiche o eversive (art. 280 c.p.) che, nello stesso tempo, lede o pone in pericolo la sicurezza dello Stato e dell’ordine costituzionale e l’interesse alla vita della persona aggredita; al reato di rapina (art. 628 c.p), che insieme all’interesse relativo al possesso offende anche l’interesse relativo all’integrità fisica e alla libertà morale del soggetto passivo; al reato di estorsione (art. 629 c.p.) che offende la sicurezza e la libertà della persona oltreché la inviolabilità del patrimonio.

Se i titolari degli interessi protetti sono soggetti distinti, il reato plurioffensivo ha più soggetti passivi. Se offende un numero indeterminato di persone si parla di reati "vaghi" o "vaganti".

 

 

Dal soggetto passivo del reato deve essere distinto il «Soggetto passivo della condotta» dovendosi intendere quest’ultimo come colui sul quale “materialmente“ incide la condotta criminosa. Normalmente le due qualifiche coincidono nella stessa persona.

  • Si pensi ad esempio, al reato di omicidio dove la vittima è al tempo stesso soggetto passivo del reato e della condotta; viceversa nel reato di mutilazione fraudolenta della propria persona (art. 642 c.p.) l’autore del reato è soggetto passivo della condotta mentre soggetto passivo del reato è la compagnia di assicurazione (l’interesse relativo alla inviolabilità del patrimonio delle imprese assicuratrici contro gli infortuni) che l’autore del reato intendeva frodare con il proprio comportamento.

Infine occorre distinguere, dai predetti soggetti, il «danneggiato» dal reato, cioè colui che dal reato ha subito un danno civilmente risarcibile ed è il titolare del diritto alla restituzione e al risarcimento del danno. Sebbene frequentemente il soggetto passivo del reato coincide con il danneggiato, è tuttavia possibile che ciò non accada.

  • Ad esempio, nel reato di omicidio, soggetto passivo è la vittima; danneggiati dal reato sono i congiunti superstiti.

 

L'oggetto giuridico del reato

Il soggetto passivo del reato è il titolare del "bene o dell’interesse" che la norma giuridica tutela e che è pertanto leso dal comportamento umano costituente reato. L’«oggetto giuridico» del reato é il bene o l’interesse protetto dalla norma penale.

  • Ad esempio, nel delitto di omicidio l’oggetto giuridico è la vita umana, bene protetto dalla norma penale che punisce chiunque cagiona la morte di un uomo.

Il "danno penale" (o criminale) prodotto dal reato consiste, invece, nell’offesa del bene giuridico tutelato. Tale offesa costituisce il c.d. evento giuridico, che si verifica ogni volta che si commette un reato.

L’oggetto giuridico non va poi confuso con l’«oggetto materiale dell’azione».

  • Così, ad esempio, nel furto di dotazioni di sicurezza oggetto materiale della condotta è, appunto, la dotazione di sicurezza mentre l’oggetto giuridico del reato è il patrimonio.

L’oggetto giuridico, quindi, è una entità concettuale, un valore alla cui tutela è indirizzata la norma; oggetto materiale dell’azione è invece sempre un qualcosa di concreto, di tangibile su cui incide materialmente la condotta tipica.

L’offesa (cioè l’evento giuridico) arrecata dal reato può assumere due forme: lesione o messa in pericolo, a seconda che sia concretamente leso il bene tutelato oppure sia stato soltanto minacciato.

  • Ad esempio, omicidio consumato: la persona è stata uccisa e il bene «vita» è stato leso; omicidio tentato: si è cercato di uccidere una persona senza riuscirvi; il bene «vita» è stato messo solo in pericolo ma non è stato leso.

Pertanto i reati dunque si distinguono in:

  1. reati di danno, per la sussistenza dei quali è necessario che il bene tutelato sia distrutto o diminuito;
  2. reati di pericolo, per i quali basta, invece, che il bene sia stato minacciato.
  • Ad esempio, sono reati di "danno" o di "pericolo" (ipotizzabili in caso di sinistro marittimo) le seguenti fattispecie:
  1. art. 428 c.p. (reato di danno – naufragio, sommersione…) che punisce “chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un edificio natante…di altrui proprietà con la reclusione da 5 a 12 anni (art. 1112 cod. nav.)”.
    La pena è della reclusione da 5 a 15 anni se il fatto è commesso distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti
  2. art. 450 c.p. (reato di pericolo – delitti colposi di pericolo) che punisce “chiunque con la propria azione od omissione colposa, fa sorgere o persistere il pericolo…di un naufragio, o della sommersione di una nave o altro edificio natante” con la reclusione fino a 2 anni”..
  3. art. 451 c.p. (reato di pericolo - omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) che punisce “chi per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, con la reclusione fino a 1 anno o con multa da 103 € a 516 € (artt. 113 e 1124 Cod. .nav.)”
  4. art. 1231 Cod. nav. (reato di pericolo – norma penale ”in bianco”) – che punisce “chiunque, non osserva una disposizione di legge o di regolamento ovvero un provvedimento legalmente dato dall’Autorità marittima…” con l’arresto fino a 3 mesi ovvero con l’ammenda fino a € 206.

La struttura del reato

La dottrina, analizzando le singole figure criminose, ha elaborato una teoria generale del reato, che individua nella struttura dell’illecito penale una serie di elementi «costitutivi» comuni a tutte le fattispecie criminose. 

Nella struttura di ogni reato si distinguono pertanto, due specie di elementi:

  1. elementi essenziali
  2. elementi accidentali (=accessori)

Gli elementi «essenziali», sono quelli senza i quali il reato stesso non può esistere, venendo a mancare uno degli elementi costitutivi indispensabili per la configurazione dell’illecito penale.

Gli elementi «accidentali», sono quelli la cui presenza non influisce sulla esistenza del reato, ma solo sulla entità della pena; si identificano nelle circostanze aggravanti ed attenuanti (artt. 61 e 62 c.p.).

L’analisi della struttura del reato ha condotto alla formazione di due diverse concezioni:

  1. teoria della bipartizione
  2. teoria della tripartizione 

Secondo la teoria tradizionale della c.d. bipartizione si possono individuare due elementi costitutivi fondamentali:

  1. l’elemento oggettivo (o materiale del reato), nel quale è ulteriormente possibile distinguere:
    1. condotta (azione od omissione antigiuridiche) del soggetto agente (=autore del reato);
    2. evento naturalistico (quando esiste) ed il rapporto di causalità che lega la condotta ed evento;
  2. l’elemento soggettivo (=colpevolezza), che esprime il collegamento psicologico che si stabilisce tra il fatto e il soggetto agente (dolo, colpa e preterintenzione).

 

 

 

La teoria c.d. della tripartizione, invece affianca al fatto materiale e alla colpevolezza un terzo elemento, anch’esso oggettivo, l’antigiuridicità.

Secondo la concezione tripartita questa consiste in una valutazione che compie il Giudice circa il carattere lesivo di un comportamento umano, e più precisamente la contraddizione del fatto con la norma penale ovvero la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale che è stata violata.

  • Ad esempio, se noi vediamo Tizio asportare la cosa mobile altrui, immediatamente diciamo che egli ha commesso un’azione «penalmente antigiuridica» (=furto): l’antigiuridicità penale è, dunque, la relazione tra un fatto umano ed una norma penale e, più precisamente, il rapporto di contraddizione tra il fatto (nell’esempio: l’impossessamento della cosa mobile altrui) e una norma penale (nell’esempio: l’art. 624 c.p. e art. 1148 Cod. nav.).

L’antigiuridicità penale consiste, pertanto in un giudizio di relazione: quando definiamo un fatto antigiuridico, non facciamo altro che giudicare quel fatto in relazione alle norme penali, riconoscendo che esso contrasta con tali norme.

Essa manca tutte le volte che la condotta che costituirebbe reato viene posta in essere in presenza di una «causa di giustificazione» (ad esempio: legittima difesa, stato di necessità, uso legittimo delle armi).

  • Ad esempio, la commissione di un omicidio è un fatto antigiuridico; ma se è stato posto in essere per legittima difesa, il fatto non è più antigiuridico.

Per alcuni autori, l’antigiuridicità non é un elemento specifico e separato dagli altri due elementi del reato (oggettivo e soggettivo), ma una qualificazione del fatto considerato nella sua totalità: é l’essenza stessa del reato.

 

Elemento oggettivo: la condotta

Per concretare l'elemento oggettivo del reato occorrono una «condotta», e ove richiesto, un «evento» e un «rapporto di causalità».

  • Ad esempio, in un ipotesi di reato di lesioni volontarie: il pugno è la condotta; la rottura del naso dell’antagonista è l’evento; il fatto che la predetta lesione sia stata cagionata dal pugno, e non da altra causa, è il nesso di causalità.

La «condotta umana», è il comportamento umano che si estrinseca nel mondo esteriore, ed è suscettibile di percezione sensoria (nullum crimen sine actione). Tale definizione dell’azione appare conforme all’esigenza di rispettare il c.d. «principio di materialità», implicitamente accolto dall’art. 25 Cost. laddove parla di «fatto commesso». E’ necessario, infatti, che solo comportamenti materiali risultino passibili di sanzione penale onde impedire che un individuo possa essere colpito da una pena per una mera rappresentazione psichica peraltro non materializzatasi all’esterno (nella realtà fenomenica), almeno in atti idonei in modo non equivoco alla realizzazione di un delitto. Il semplice pensare non può, quindi, costituire reato.

  • Ad esempio, il semplice proposito di rubare senza effettuare materialmente l’asporto della cosa mobile altrui non costituisce reato.

La condotta può essere:

  1. positiva (azione in senso stretto), quando consiste in un comportamento attivo (facere) con il quale il soggetto trasgredisce il divieto contenuto nella norma penale. Quando la condotta si concreta in un movimento muscolare del soggetto il reato dicesi pertanto commissivo
  • Ad esempio: esplodere un colpo di pistola; impossessarsi di un bene altrui. Se un cittadino esplode colpi d’arma da fuoco nei confronti della vittima predestinata cagionandogli la morte, compie un’azione idonea a violare il divieto previsto dall’art. 575 c.p., ecc.
  • Ad esempio, offendere l’onore e il prestigio di un Pubblico Ufficiale. Se un cittadino si rivolge al Pubblico Ufficiale dandogli del corrotto o dello stupido, compie un’azione idonea a violare il divieto previsto dall'art. 341 bis c.p.
  • Ad esempio, sversare in mare idrocarburi o altre sostanze nocive all’ambiente marino. Se il comandante della nave versa (comportamento vietato) tali sostanze nel mare territoriale o in alto mare, compie un’azione idonea a violare il divieto previsto dall’ articolo l’art. 4 del D. Lgs. 6 novembre 2007, n. 202 Attuazione della direttiva 2005/35/Ce relativa all'inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni), punito dall’art. 8 (Inquinamento volontario) oppure art. 9 (inquinamento colposo) cit. D.lgs.).
  1. negativa, quando si concreta in una omissione. In tal caso per aversi il reato, non è sufficiente la semplice inerzia da parte del soggetto, ma è necessario che egli ometta di compiere un’azione che per legge aveva l’obbligo di compiere. In questi casi il reato dicesi pertanto omissivo.
  • Realizza, ad esempio, una omissione il Pubblico Ufficiale che non denuncia il reato di cui ha avuto notizia a causa del suo servizio. Omettendo la denuncia egli tiene infatti un atteggiamento contrario a quello specificamente impostogli dall’art. 361, comma 1 c.p.
  • Realizza, ad esempio, una omissione il comandante di nave nazionale o straniera che omette, avendone l’obbligo, di prestare assistenza oppure di tentare il salvataggio di navi in difficoltà (per naufragio, incendio, arenamento, ecc.). Trasgredendo a tale obbligo egli tiene un atteggiamento contrario a quello specificamente impostogli dagli artt. 489 e 490 Cod. nav. (punito dall’art. 1158 Cod. nav.)

I reati di omissione, per diversità di struttura, si distinguono in:

  1. omissivi propri
  2. omissivi impropri

Sono reati «omissivi propri», quelli per la cui esistenza è necessaria e sufficiente la semplice condotta negativa dell’autore del reato, non essendo richiesto anche un ulteriore effetto di tale condotta.

  • Ad esempio, l’omissione di referto (art. 365 c.p.), di atti di ufficio (art. 328 c.p.) ovvero l’omissione di soccorso (art. 1158 cod. nav.).

Sono reati «omissivi impropri», quelli nei quali il soggetto deve aver causato, con la propria omissione, ai fini della sussistenza del reato, un dato evento.

  • E’ il caso, ad esempio, del cantoniere che, omettendo di manovrare uno scambio, causa un sinistro ferroviario; la madre che, per mancato allettamento, cagiona la morte del figlioletto ovvero il pilota che, rifiutando di prestare la propria opera, causa un sinistro della navigazione.

La distinzione tra reati omissivi propri ed impropri rappresenta la traduzione, nel campo dei reati omissivi, della più ampia distinzione tra reati di «pura condotta» e reati «con evento».
Nel reato omissivo proprio il precetto comanda di fare qualche cosa, impone un obbligo di fare; nel reato omissivo improprio, invece, si ha una duplicità di obblighi: quello di non cagionare un evento e quello di non omettere un dato comportamento.
La condotta dell’autore del reato può esaurirsi in un solo istante o proseguire per un certo tempo determinando il protrarsi della situazione dannosa o pericolosa. A seconda dei casi, si parla, pertanto, rispettivamente di reati «istantanei» e «permanenti».

  • Ad esempio, sono reati istantanei il furto (artt. 624 e 625 c.p. e l’omicidio (art. 575 c.p.) ovvero il furto commesso a bordo da componenti dell’equipaggio (art. 1148 Cod. nav.) e l’omicidio del superiore (art. 1150 Cod. nav.)
  • Ad esempio, sono reati permanenti, il sequestro di persona (artt. 605 e 625 c.p.), l’associazione a delinquere (semplice art. 416 o di tipo mafioso art. 416 bis), la banda armata (art. 306 c.p.), l’invasione di terreni (art. 633 c.p.), riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) ovvero l’ammutinamento (art. 1105 Cod. nav.), il complotto contro il comandante (art. 1108 Cod. nav.), l’impossessamento di nave naufragata (art. 1147 Cod. nav.), l’abusiva occupazione si spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà (art. 1161 Cod. nav.), pirateria (art. 1135 Cod. nav.).

E’ permanente quel reato nel quale l’offesa al bene giuridico si protrae nel tempo per effetti della persistente condotta del soggetto agente.
 
Per la sussistenza di tale reato, occorrono due "presupposti":

  1. che la situazione dannosa o pericolosa derivante dalla condotta dell’agente abbia carattere continuativo;
  2. che il protrarsi di essa sia dovuto alla condotta volontaria dell’agente che quindi può porvi fine
    in ogni tempo.
     
    Nei reati permanenti lo stato di flagranza dura fino a quando la condotta non è cessata.
  • Il che comporta, ad esempio, che il sequestratore (nei casi di sequestro) ovvero i membri dell’equipaggio (nei casi di ammutinamento) possono essere arrestati finché si protrae la situazione dannosa o pericolosa.

 

     

 

Elemento oggettivo: l'evento

L' «Evento», è l’effetto o il risultato della condotta umana che il diritto prende in considerazione per ricollegare al suo verificarsi conseguenze giuridiche (es. la morte di un uomo per effetto dell’azione altrui).

  • Ad esempio, nell’omicidio l’evento è la morte della persona; nel furto è la sottrazione del bene a chi lo detiene; nello sversamento in mare di idrocarburi è l’inquinamento del mare.

Dalla molteplicità degli eventi che possono derivare dal comportamento del soggetto agente rilevante è il solo evento tipico, cioè previsto dalla norma penale; questo, quindi, può essere sia un elemento essenziale del reato che elemento aggravante.
Va anche detto che l’evento, di regola, consiste in un accadimento naturale (evento in senso naturalistico); inteso in tal senso, tuttavia, esso non è un elemento che ricorre sempre nel reato.
Vi sono, infatti, i reati c.d. di pura condotta (o formali) che si perfezionano con il semplice compimento dell’azione od omissione previste dalla norma incriminatrice

  • Ad esempio, sono reati di pura condotta l’evasione (art. 385 c.p.), il rifiuto di atti di ufficio di cui all’art. 328 c.p., l’omissione di referto di cui all’art. 365 c.p., la violazione di domicilio (art. 614 c.p.) per i quali è sufficiente il compimento di una determinata azione od omissione.
    Perché sussista il reato di evasione è sufficiente che il soggetto abbia commesso un’azione con la quale si sia sottratto alla sorveglianza di chi era adibito alla sua custodia.
    Perché sussista il reato di rifiuto di atti di ufficio è sufficiente che il soggetto abbia assunto un atteggiamento diverso e contrario da quello che la sua funzione o il suo pubblico servizio gli comandava di tenere.

 

 

La determinazione del concetto di evento forma oggetto, nella dogmatica del diritto penale, di una tormentata polemica che vede contrapposte due concezioni:

  1. naturalistica
  2. giuridica

Secondo la «concezione naturalistica» l’evento è l’effetto naturale della condotta esteriore dell’uomo, che il diritto prende in considerazione in quanto connette al suo verificarsi conseguenze giuridiche.

Dalla concezione naturalistica derivano le seguenti conseguenze:

  1. l’evento non è un elemento che ricorre sempre nel reato. Esso ricorre solo nei reati di evento, non anche nei reati di pura condotta.
  • Ad esempio, per commettere il reato di evasione è sufficiente la sola azione di fuggire.
  1. esistono reati caratterizzati da una pluralità di eventi, come per esempio, i reati c.d. composti, nei quali vi è la privazione di un bene e la violenza nei confronti del soggetto passivo e risultanti dalla combinazione di due o più reati.
  • Ad esempio, la rapina (art. 628 c.p.) è composta da furto più violenza.

A parere di coloro che accedono alla «concezione giuridica» (o normativa), invece, l’unico tipo di evento che può avere rilievo nel diritto è quello che consiste nella offesa (lesione o messa in pericolo) di un interesse protetto dal diritto.

Talvolta il verificarsi di un determinato evento non incide sulla sussistenza del reato, ma sulla sua gravità. In tali ipotesi parla di “reati aggravati dall’evento”, nei quali, appunto, si verifica un aumento di pena per il verificarsi di un evento ulteriore, rispetto al fatto che già costituisce reato: evento che viene posto a carico del soggetto agente come semplice conseguenza della sua azione od omissione.

  • Sono tali, ad esempio, l’aborto clandestino di cui all’ art. 19 della Legge 22/5/1978, n.194 è punito più gravemente se da esso deriva la morte della donna; la rissa (art. 588 c.p.) è aggravata se i corrissanti riportano lesioni personali; l’attentato eversivo o terroristico (art. 280 c.p.) punito con l’ergastolo (pena perpetua) anziché solo con la reclusione (pena temporanea) quando cagiona la morte della persona contro la quale era diretto; i maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 e la omissione di soccorso (art. 593 c.p. e art. 1113 Cod. nav.) che sono puniti più severamente se da essi derivano lesioni o la morte della persona offesa.     

 

Elemento oggettivo: il rapporto di causalità

Il «rapporto di causalità» (o nesso causale), consiste nella relazione tra la condotta e la conseguenza che essa produce (evento). L’autore di un fatto costituente reato è punibile solo se la condotta da lui tenuta ha causato l’evento (per cui può dirsi che questo é l’effetto della condotta).

  • Ad esempio, la morte della vittima (conseguenza) cagionata da un colpo di pistola (comportamento) esploso dal soggetto agente.

La struttura oggettiva del reato, quindi, si incentra sulla condotta del soggetto agente e sull’evento, ma perché il reato possa dirsi perfetto ed esaurito sotto il profilo obiettivo, occorre necessariamente un “terzo elemento”: un nesso causale fra la condotta posta in essere e la conseguenza cui essa determina.
L’esigenza della presenza di questo terzo elemento è espressa dal legislatore nell’art. 40 c.p. dal quale si ricava che: «nessuno può essere considerato autore del reato, se l’evento dannoso e pericoloso che lo caratterizza, non è in relazione con il suo comportamento».
Tuttavia, di regola, l’uomo con la sua condotta non realizza l’insieme delle condizioni necessarie e sufficienti per il verificarsi dell’evento, ma solo una parte di esse. Di qui l’esigenza di stabilire quando l’uomo, nonostante il concorso di altri fattori, può essere considerato «causa» dell’evento e, quindi, dirsi autore del reato.  


 

Al riguardo né la dottrina né la giurisprudenza offrono criteri di interpretazione certi ed uniformi.  

Semplificando al massimo, si può comunque affermare che:  

  1. Una condotta è causa dell’evento quando senza di essa l’evento stesso non si  sarebbe verificato (artt. 40 e 41, commi 1 e 2 c.p.).
  • Ad esempio, si accerta che l’addetto alle manutenzioni dei fari e fanali, non aveva effettuato le manutenzioni previste art. 1112, commi 2 e 3 Cod. nav.). Per poter attribuire il naufragio a chi era responsabile delle manutenzioni, si deve provare che proprio quella omissione aveva causato il naufragio. Il rapporto di causalità fra la condotta (omesso le manutenzioni) e l’evento (naufragio) non sussisterebbe ove, ad esempio, si dimostrasse che il naufragio è avvenuto per altre cause e che nessun contributo ha quindi apportato al verificarsi del naufragio la mancata manutenzione dei fari e fanali. Resta fermo, ovviamente, che, anche in questo caso, tizio, pur non rispondendo del naufragio, continuerà a rispondere comunque dell’omissione commessa.
  • Ad esempio, se Tizio esplode all’indirizzo di Caio più colpi d’arma da fuoco e Caio muore durante il trasporto all’ospedale, Tizio è responsabile del reato di omicidio volontario di cui all’art. 575 c.p. Senza la sua condotta la morte di Caio non si sarebbe verificata.
  • Diverso è, ad esempio, il caso di Tizio che versa delle dosi di veleno nella bottiglia di acqua che Caio è solito bere ma Caio muore prima di aver bevuto. Tizio non è responsabile del reato di omicidio volontario

Gli esempi chiariscono allora che, in tema di «rapporto di causalità», ogni militare operante deve anzitutto porsi la domanda: senza l’azione o omissione l’evento si sarebbe verificato egualmente ?

     Se la risposta è “Si”, il rapporto di causalità è escluso.
     Se la risposta è “No”, il rapporto di causalità sussiste 

  1. Il rapporto di causalità non è escluso dal fatto che a determinare l’evento abbiano concorso anche altre cause (concause), estranee alla condotta del soggetto agente  (art. 41 commi 1 e 3).

Le altre cause possono essere possono preesistenti, sopravvenute e contemporanee rispetto alla condotta del soggetto agente. Possono consistere in altre condotte umane (lecite o illecite) o in avvenimenti naturali.

  • Ad esempio, se Tizio esplode numerosi colpi di pistola contro Caio con l’intento di ucciderlo e Caio viene condotto all’ospedale, dove muore durante la degenza a seguito delle ferite riportate, Tizio risponde del reato di «omicidio volontario» anche se:
  1. la morte si è verificata per le particolari condizioni di salute della vittima: si pensi al caso in cui Caio aveva una malattia diabetica che ha agevolato l’insorgere di una infezione inarrestabile (concausa preesistente). Tizio risponderà di omicidio volontario perché se è vero che la morte di Caio è determinata dalle particolari condizioni di salute (malattia diabetica) è anche vero che questa non sarebbe avvenuta se Tizio non avesse ferito Caio;
  2. la morte si è verificata per le complicazioni sviluppatesi durante il decorso della malattia: si pensi alla complicazione polmonare conseguente alla grave frattura ossea provocatagli dai colpi di pistola esplosi da Tizio (concausa sopravvenuta);
  3. la morte risulta essersi verificata per grave responsabilità dei sanitari per un errato intervento dei medesimi: si pensi all’ipotesi in cui i sanitari abbiano omesso di applicare il siero antitetanico a Caio e questi sia deceduto per infezione antitetanica (concausa sopravvenuta).

Dagli esempi appena fatti, emerge allora che il nostro diritto penale ha accolto il rigoroso principio della «equivalenza delle cause» o della «conditio sine qua non».
In base ad essa, per rispondere di un reato, infatti, è sufficiente aver posto in essere una «condizione» dell’evento, vale a dire un antecedente qualsiasi senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato.
Per andare esenti da pena, non rileva che a determinare l’evento siano intervenute anche altre condizioni estranee alla condotta del soggetto agente. Tale teoria, in sostanza, considera equivalenti, agli effetti del diritto, tutte le condizioni.
Contro tale teoria si è detto che essa comporta una eccessiva estensione del concetto di causa e arriva a conseguenze assurde.

  • Ad esempio, il feritore di una persona, successivamente deceduta per un incidente fortuito avvenuto durante il tragitto in ospedale, dovrebbe rispondere di omicidio consumato e non soltanto di lesioni, avendo realizzato una condizione, per quanto remota, dell’evento lesivo.

In base al «principio della equivalenza», tutte le cause concorrenti sono causa dell’evento: senza che si possa distinguere tra quelle che hanno operato in via diretta e prossima e quelle che hanno avuto influenza indiretta e remota.
Il rapporto di casualità non è escluso, quindi, dal fatto che l’evento sia stato determinato, oltre che dalla condotta del soggetto attivo, anche da altre cause esterne all’operato del soggetto (siano esse antecedenti, contemporanee o successive), salvo che si tratti di ulteriori cause sopravvenute, di carattere «eccezionale» e «imprevedibile», che per l’esclusiva forza propria, sono state idonee a cagionare l’evento (art. 41 c.p.).

  1. Il rapporto di causalità è escluso (e quindi il principio della equivalenza delle cause non si applica) nei casi in cui, alla condotta del soggetto agente sopravviene una  causa eccezionale ed imprevedibile che, per esclusiva forza propria, è in grado di cagionare da sola l’evento (art. 41 co.2 c.p.).

Hanno carattere eccezionale le cause sopravvenute il cui verificarsi era del tutto imprevedibile (perché rarissimo e anormale) nel momento in cui la condotta fu posta in essere.
In questa ipotesi, il rapporto di causalità è escluso in quanto la condotta del soggetto agente non rappresenta più una causa dell’evento, ma solo la «occasione» che consente alla causa sopravvenuta, eccezionale, di svilupparsi cagionandolo.

  • Ad esempio, nel corso di una lite, Tizio colpisce con un pugno Caio e gli cagiona lievi lesioni, ma muore a seguito di un incendio divampato nell’ospedale dove è stato ricoverato.
  • Ad esempio, dopo essere stato lievemente ferito da Tizio, Caio viene soccorso da un automobilista, ma , durante il trasporto in ospedale si verifica un incidente stradale nel quale Caio trova la morte. 
  • Ad esempio, Caio che ha subito lesioni da Tizio viene portato in ospedale per le necessarie cure, mentre è ricoverato si suicida gettandosi dalla finestra.

L’incendio all’ospedale, il sinistro stradale ed il suicidio all’ospedale rappresentano fatti del tutto imprevedibili ed eccezionali che Tizio non poteva immaginare quando colpì Caio.
Nell’ipotesi in questione il rapporto tra la condotta di Tizio e la morte di Caio fu solo occasionale; quest’ultima dipese infatti da coincidenze dovute al caso e che, al momento della condotta di Tizio, sarebbero apparse inverosimili a chiunque. Ricorrendone le condizioni, Tizio risponderà perciò non di omicidio ma solo del meno grave reato di lesioni.

Per la sussistenza del rapporto di causalità, dunque, sarebbero necessari due «elementi»:

  1. uno positivo, consistente nel fatto che la condotta deve rappresentare una condizione necessaria dell’evento (conditio sine qua non);
  2. uno negativo, nel senso che l’evento non deve essere dovuto al concorso di fattori eccezionali, cioè imprevedibili ed incontrollabili dall’uomo, in presenza dei quali il nesso causale è interrotto.

In via di estrema approssimazione può concludersi che la condotta è causa dell’evento quando:

  1. è conditio sine qua non, in quanto senza di essa l’evento non si sarebbe verificato;
  2. l’evento era prevedibile al momento della condotta come sua verosimile conseguenza e non è stato dovuto al concorso di fattori eccezionali e cioè imprevedibili e incontrollabili dall’uomo.

E’ proprio sotto quest’ultimo profilo che deve escludersi, nel quesito proposto la rilevanza causale della condotta del soggetto agente.     

 

Elemento soggettivo: la colpevolezza

Perché un reato sussista non è sufficiente che sia concretamente realizzato il fatto materiale previsto dalla norma (condotta ed eventualmente l’evento, legati fra loro dal rapporto di causalità), occorre anche il verificarsi di un singolo atto deve necessariamente imputarsi alla "volontà" del soggetto agente.

  • Ad esempio, perché sussista il reato di omicidio non basta che si sia verificata la morte di Caio e che essa sia stata cagionata dalla condotta di Tizio. Occorre anche che Tizio abbia «voluto» il fatto o, quantomeno, lo abbia determinato tenendo un atteggiamento antidoveroso e perciò «colpevole» della sua volontà.

L’art. 42, comma 1 c.p. stabilisce che «Nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” (nesso psichico)».
Per aversi reato, oltre al fatto materiale, occorre un nesso psichico tra il soggetto agente e l’evento lesivo; occorre, cioè, l’«attribuibilità psicologica» del singolo fatto di reato alla volontà del soggetto.
Sussiste tale nesso tutte le volte in cui la coscienza e volontà della condotta è posta in essere volontariamente; inoltre, anche quando, pur sussistendo tale esplicita volontà, con uno sforzo del volere la condotta integrante il reato poteva essere evitata dal soggetto.
In una più ampia accezione è stato sostenuto che, vi é coscienza e volontà quando l’azione od omissione sono sostenute da un «impulso volontario cosciente» (la c.d. suitas)[1] .
Un fatto non può dirsi commesso con coscienza e volontà quando la condotta vietata non può essere concretamente impedita dagli sforzi di volontà dell’agente.

  • Ad esempio, il nesso psichico non sussiste se durante un delirio febbrile, taluno compie un gesto inconsulto e ferisce chi gli sta a canto.

La punibilità non è invece esclusa in tutti quei casi in cui ad evitare il fatto sarebbe bastato uno sforzo di attenzione o l’esercizio dei poteri di controllo presenti in ciascuno di noi.
Pertanto devono attribuirsi alla «suitas» del soggetto agente anche gli atti automatici ed abituali i quali con uno sforzo della volontà potevano essere evitati.
Viceversa gli atti istintivi e quelli riflessi in nessun caso possono essere impediti dall’agente. Questi ultimi debbono considerarsi del tutto fuori della sfera di controllo della volontà dell’agente nei confronti del quale, dunque, è da escludere la responsabilità penale dipendenza di essi.

  • Ad esempio, per non rispondere del reato di incendio (art. 449 c.p.) non basta perciò sostenere di essere un fumatore, di aver acceso la sigaretta e di aver gettato il fiammifero con un gesto «incosciente» ed «automatico»; così come, per non rispondere del reato di lesioni colpose (art. 590 c.p.), non basta sostenere di essere un cacciatore, di aver udito un rumore e di aver sparato «istintivamente» credendo di avere nei pressi l’animale braccato e non il compagno di caccia mossosi poco silenziosamente. In entrambi i casi infatti, gli episodi criminosi («incendio» o «lesioni») sarebbero stati evitati se il soggetto agente avesse fatto gli sforzi di attenzione e di volontà che da ciascun uomo è lecito pretendere.
  • Se, ad esempio, un sinistro della navigazione con conseguenze mortali è cagionato per un colpo di sonno del timoniere della nave, non si esclude la configurabilità del reato se trattasi di «sonno fisiologico» conseguente ad un pasto abbondante (il soggetto, col dominio della volontà poteva evitare di mangiare nel corso di un viaggio o sospenderlo per qualche ora). Non sussisterà reato, invece, se il sonno è dovuto a «cause patologiche» come un improvviso e imprevedibile malore (su cui l’Agente non poteva esercitare alcun dominio della volontà).

Il concetto di colpevolezza comprende in sé l’attribuibilità (o imputazione soggettiva) del fatto illecito penalmente sanzionato.
Principio cardine del nostro sistema penale è quindi quello della «
colpevolezza». Esso è il presupposto necessario del principio costituzionale della “personalità della responsabilità penale” sancito dall’art. 27 co.1 della Carta Costituzionale, e ribadito, quale fondamento e misura della pena, dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 364/88.
La colpevolezza non è solo un elemento del reato, ma è anche criterio di commisurazione della sanzione penale. Dal grado di colpevolezza del reo (oltre al danno arrecato) dipende, infatti, la sanzione da comminarsi al reo.

L’elemento soggettivo (colpevolezza) può assumere diverse forme a seconda di come, nel caso concreto, si atteggia la «volontà» dell’autore del reato. Esso può avere due “forme” fondamentali:

  1. il  dolo
  2. la colpa

L'elemento soggettivo del reato può avere anche la forma della «preterintenzione», oltre che quelle, fondamentali suindicate.

 

 

 


[1] La suitas, è l’esistenza di un nesso psichico tra il soggetto agente e il fatto    

 

Il dolo

Il dolo è la forma più grave e più frequente che assume la «volontà colpevole» del soggetto attivo del reato (art. 42 comma 2 c.p.).
Quando agisce con dolo il soggetto agente «
prevede» e «vuole» sia la condotta che l’evento dai quali la legge fa dipendere l’esistenza del reato stesso. Il che significa che egli si ribella pienamente e completamente al precetto ossia al comando o al divieto contenuto nella norma penale.
In particolare il delitto è doloso (o secondo l’intenzione) "quando l’evento dannoso o pericoloso che è il risultato dell’azione o omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza di un delitto, è dal soggetto agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione (art. 43 c.p.)". Contrariamente a quanto previsto dall’Ordinamento per la colpa e per la preterintenzione (sono punibili solo nei casi espressamente previsti dalla legge), il dolo è l’elemento costitutivo del fatto illecito ed è la forma più grave in cui quest’ultimo può realizzarsi. Il reato è quindi doloso quando il soggetto agente ha piena coscienza e volontà delle proprie azioni (piena consapevolezza dello stesso).

  • Ad esempio, il soggetto vuole uccidere una persona ed esplode, quindi, a tale scopo, un colpo di pistola al suo indirizzo, conseguendo l’evento prefissatosi.

Nella struttura del dolo si individuano, pertanto, due "elementi":

  1. un momento rappresentativo (conoscitivo): in quanto occorre che il soggetto agente si prefiguri anticipatamente la visione del fatto che sta per commettere (=rappresentazione anticipata del fatto costituente reato);
  2. un momento volitivo: occorre che la volontà del soggetto agente sia rivolta alla effettiva ed univoca realizzazione del fatto stesso (=intenzione di conseguire l’evento ponendo in essere tutti gli atti necessari per determinarlo).

L’esistenza del dolo deve essere accertata o provata dall’accusa (Pubblico Ministero) analizzando tutte le circostanze esterne (materiali e psicologiche) nelle quali il soggetto ha tenuto la condotta. L’autore del reato non può essere condannato a titolo di dolo né quando la prova del dolo manca né quando essa è contraddittoria o insufficiente.

  1. Si prenda ad esempio, il caso del diportista che investe volontariamente un sub segnalatosi col palloncino e lo uccide. Egli risponde del delitto di omicidio volontario (art. 575 c.p.) se ha previsto e voluto la sua condotta e l’evento che ne è conseguito. 
    Perché risponda del delitto a "titolo di dolo", il diportista deve aver quindi: 
    a) 
    previsto (ossia visto e immaginato in anticipo) tutti gli elementi significativi del fatto-reato: l’attuazione di una condotta idonea (dirigere la prora per investire il sub), la sua direzione (contro un essere umano e non contro una cosa), l’evento che poteva essere causato dalla condotta stessa (la morte del sub);
    b) 
    voluto la effettiva realizzazione del fatto «visto e immaginato in anticipo» e cioè essersi «intenzionalmente determinato» alla condotta e aver poi compiuto un atto diretto a realizzarla e a cagionare l’evento: dirigendo intenzionalmente la prora del gommone sul sub per investirlo e cagionandogli la morte.

In particolare, si considerano «voluti» tutti i risultati che costituiscono lo scopo (o gli scopi) per cui il soggetto ha operato (dolo diretto), nonché anche tutti quei risultati che sono possibili conseguenze della condotta dell’Agente dal momento che questi (ponendo in essere la condotta criminale) ha accettato implicitamente il rischio che tali risultati si verificassero (dolo indiretto o eventuale).
Nell’esempio fatto in precedenza il diportista era animato da dolo diretto. Egli ha infatti indirizzato la prora dell’unità contro il sub con l’intenzione – realizzata – di ucciderlo.
     

 

Tipologia di dolo: diretto e indiretto

Il dolo si può distinguere in dolo «diretto» (o intenzionale), che è la più grave forma di dolo e si verifica quando il soggetto agente assume un comportamento corrispondente a quello voluto e rappresentatosi; è invece «indiretto» (o enventuale) quando da parte del soggetto agente vi è la consapevolezza che il proprio comportamento potrebbe sfociare in un fatto illecito (cioè a dire allorché il risultato della condotta, pur rappresentato, non è stato dal soggetto agente intenzionalmente o direttamente voluto).

  • Ad esempio, risponde di omicidio volontario, chi esplode colpi di arma da fuoco, all’indirizzo della vittima designata colpendola (dolo diretto); risponde di omicidio volontario anche chi, colloca una carica esplosiva per danneggiare un negozio ed accetta il rischio dell’uccisione di un eventuale ignaro passante (dolo indiretto)

Peraltro, nell’ambito del dolo "indiretto o eventuale" si distingue:

  1. il dolo «alternativo», quando il soggetto agente prevede possibile il verificarsi di due eventi, risultandogli indifferente quale dei due eventi sia prodotto in concreto dalla sua condotta.
  • Ad esempio, il ferimento o la morte della vittima
  1. il dolo «indeterminato», quando il soggetto agente si configura anche la possibilità di realizzare una pluralità di eventi accettando il rischio che si realizzino tutti cumulativamente o alternativamente.
  • Ad esempio, Tizio spara contro due persone con l’intenzione di cagionare indifferentemente la morte o il ferimento di uno od entrambe le vittime

Nella commissione dei reati ricorrono differenti tipologie di dolo oltre a quello diretto e indiretto:

  1. dolo generico e specifico
  2. dolo di danno e di pericolo
  3. dolo di impeto
  4. dolo di proposito
  5. dolo iniziale, concomitante e successivo

Il dolo generico (è il cd. dolo tipico e si ha quando l’agente vuole realizzare la condotta tipica incriminata dalla norma, es. omicidio) e specifico (si ha quando alla previsione e alla volontà si aggiunge il perseguimento di un fine ulteriore, es. arricchimento in caso di furto).
Il
dolo di danno (il soggetto agente provoca un danno a un bene tutelato giuridicamente) e di pericolo (il soggetto ha l’intenzione di danneggiare o minacciare il bene protetto dalla norma);
Il
dolo iniziale (il dolo sussiste solo nel momento iniziale della condotta criminosa), concomitante (il dolo persiste anche durante lo svolgimento della condotta criminosa) e successivo (il dolo si manifesta solo dopo il compimento di una certa condotta non dolosa).
A seconda dell’intensità, del dolo si può distinguere la
premeditazione o reato di proposito (si verifica quando il colpevole cura nei minimi particolari i dettagli dell’esecuzione del reato) e il reato da impeto (si verifica quando la decisione di commettere un reato è del tutto improvvisa).     

 

Dolo generico e specifico

Il dolo é «generico», quando è sufficiente, per la punizione, che l’autore voglia l’evento, senza che abbia alcuna rilevanza il «motivo» per cui compie il fatto.
Da quanto si è esposto emerge che il dolo è generico quando basta che sia voluto il fatto descritto dalla norma incriminatrice e non occorre indagare sul fine perseguito dal soggetto agente.

  • Ad esempio, Tizio, cosparge di benzina una unità da diporto e le da fuoco, prevedendo e volendo l’incendio doloso dell’unità: il dolo è generico e Tizio risponde di incendio doloso (art. 423 c.p.)

Il dolo è «specifico», quando la legge prevede che un fatto possa essere punito solo se è compiuto per un determinato fine o uno scopo particolare (=movente), anche se questo non viene realizzato.

  • Ad esempio, nel reato di furto (art. 624 c.p. e art. 1148 cod. nav.) il dolo consiste nel fine di trarre «profitto» dalla cosa sottratta, ma anche se esso non è concretamente conseguito, il reato sussiste ugualmente.
  • Ad esempio, se Tizio cosparge di benzina una unità da diporto e le da fuoco, il dolo è specifico quando vi è la volontà da parte del soggetto agente di uccidere il rivale in affari che lui sapeva trovarsi sulla stessa unità. Tizio risponde del reato di strage (art. 422 c.p.).

Dal dolo occorre, quindi, tenere nettamente distinto il «movente» del reato, ossia il motivo per cui il soggetto agente compie il fatto criminoso.
Il "dolo" è la volontà dell’autore di un reato di tenere una data condotta e di provocare un dato evento; il "movente", altro non è che la ragione intima o il motivo per cui il soggetto compie il reato, ed è normalmente irrilevante ai fini della sussistenza del reato.

  • Ad esempio, sia la moglie che uccide il marito infedele sia il bandito che uccide la vittima prima rapinata agiscono con dolo: entrambi vogliono la morte delle loro vittime. Ciò che cambia nei due casi non è dunque il dolo, ma il movente: la moglie ha voluto uccidere (dolo) per vendicarsi della propria dignità offesa (movente); il bandito ha voluto uccidere (dolo) per assicurarsi di non essere riconosciuto dalla vittima e cioè per assicurarsi la impunità del delitto di rapina commesso (movente).

Talvolta il movente può essere considerato elemento essenziale del reato. Ciò accade quando la norma prevede che un certo fatto possa essere punito solo se compiuto per un determinato fine.
In tali casi il movente, chiaramente delineato dal legislatore (si pensi all’espressione: «...
al solo scopo di danneggiare la cosa altrui...» nel delitto di danneggiamento seguito da incendio previsto dall’art. 424 c.p.), diviene elemento costitutivo del reato.
Di conseguenza il dolo che sorregge siffatti reati assume, come si è detto, il nome di dolo specifico, perché si arricchisce della particolare suindicata discrezionalità del volere.

Si noti infine, che la nozione di «strage» nell’esempio esposto in precedenza è diversa dalla nozione comune. La strage in senso tecnico non è infatti l’uccisione violenta di un gran numero di persone, ma solo la condotta posta in essere per mettere in pericolo la vita di un numero indeterminato di persone.
Essa sussiste, perciò, anche se la morte delle persone non avviene. Se avviene, il reato è però punito con l’ergastolo anziché con la reclusione: ergastolo se cagiona la morte di una sola persona, reclusione non inferiore ad anni 15 negli altri casi.
Il delitto di strage viene commesso infatti da chi, fuori dei casi previsti dall’art. 285 c.p., al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità.
L’elemento materiale del delitto si concreta nel compimento di atti (violenti) aventi obiettivamente l’idoneità a creare pericolo alla vita ed alla integrità fisica della collettività. Rientrano nell’ampia previsione legislativa le esplosioni, gli spari, le emissioni di gas tossici, ecc.
Nella forma semplice la strage è reato di pericolo, nelle forme aggravate, invece, é reato di danno. Poiché il delitto in esame è il classico delitto di attentato (si consuma, infatti, col semplice compimento degli atti aventi l’idoneità a porre in pericolo la pubblica incolumità e non è richiesto alcun evento ulteriore), esso non ammette il tentativo.

  • Ad esempio, risponderà di strage (consumata) chi ha posto una grossa carica di tritolo in una pubblica piazza gremita di gente e la carica stessa è stata scoperta in tempo e disinnescata ovvero sia rimasta inattiva per cause indipendenti dalla volontà degli Agenti.

Il dolo del delitto in esame è dolo specifico; non basta, cioè, che il soggetto abbia voluto compiere gli atti diretti a porre in pericolo la pubblica incolumità, ma occorre che tali atti siano stati eseguiti al fine di uccidere, ossia con l’intenzione di attentare alla vita di una o più persone.     

 

Altre tipologie di dolo

► Dolo di danno e di pericolo

Il dolo di «danno» si ha se il soggetto agente ha voluto effettivamente ledere il bene protetto dalla norma

  • Ad esempio, omicidio consumato: la persona è stata uccisa e il bene «vita» è stato leso.

Il dolo di «pericolo» si ha se il soggetto agente ha voluto soltanto minacciare il bene.

  • Ad esempio, omicidio tentato: si è cercato di uccidere una persona senza riuscirvi. Il bene «vita» è stato messo in pericolo, ma non è stato leso.

► Dolo di impeto

Ricorre quando il delitto è il risultato di una decisione improvvisa e viene subito eseguito, senza nessun intervallo tra il momento conoscitivo e il momento volitivo.

  • Ad esempio, colluttazione che segue immediatamente alla provocazione.

► Dolo di proposito

Si ha allorché trascorre un certo lasso di tempo tra il sorgere dell’idea criminosa e la sua attuazione concreta.
Una specie del dolo di proposito è, secondo la dottrina prevalente, la «premeditazione», prevista come circostanza aggravante dell’omicidio e delle lesioni personali (artt. 577, n. 3 e 585 c.p.).
Perché questa aggravante sussista si richiede che tra la decisione di uccidere e la sua attuazione sia trascorso un apprezzabile periodo di tempo e che il proposito di uccidere sia perdurato nell’animo del soggetto agente durante tutto tale periodo.

La premeditazione consiste, quindi, in un «proposito omicida costante nel tempo». Essa può essere accertata caso per caso e tenendo conto dei molteplici fattori che hanno caratterizzato o preceduto la condotta criminosa.

Generalmente sono «indice» di premeditazione:

  1. la macchinazione;
  2. la preordinazione dei mezzi;
  3. le modalità di esecuzione del reato: precedenti inchieste dirette a stabilire le consuetudini di vita della vittima; l’agguato ad esso teso, ecc.);
  4. l’anticipata manifestazione del proposito criminoso.
  • Sussiste la premeditazione, ad esempio, se il colpevole assolda un sicario per commettere l’omicidio oppure compie un agguato alla vittima dopo averne studiato le condotte nei giorni precedenti all’omicidio.

► Dolo iniziale, concomitante e successivo

Il dolo «iniziale» è quello che sussiste solo nel momento iniziale dell’azione od omissione.

  • Ad esempio, un coniuge avvelena l’altro, ma poi, pentitosi, accompagna la vittima in ospedale per salvarla.

Il dolo «concomitante» è quello che accompagna lo svolgimento dell’intera condotta.

Il dolo «successivo» è quello che si manifesta dopo il compimento della condotta (non dolosa) idonea a provocare l’evento.

  • Ad esempio, un infermiere somministra accidentalmente una dose letale di medicinale, resosi conto dell’accaduto, decide di lasciare morire il paziente.

 

La colpa

Rispetto al dolo, la colpa è una forma "meno grave" che assume la «volontà colpevole» (art. 43, comma1 c.p.). Essa presuppone, infatti, che nell’autore del reato manchi la volontà di provocare l’evento: volontà che, invece, come si è visto, caratterizza il dolo.
In particolare il
delitto è colposo (o contro l’intenzione) quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dal soggetto agente, ma si verifica a causa di negligenza o imperizia o imprudenza (=colpa generica) oppure per inosservanza di regole di condotta (=colpa specifica).

Si ha colpa in tutti i casi in cui il soggetto ha agito con scarsa attenzione o con leggerezza, senza cioè adottare quelle misure e quelle precauzioni che avrebbero impedito il verificarsi dell’evento.

  • Ad esempio, il diportista che investe un bagnante cagionandone la morte è responsabile del delitto di omicidio colposo (art. 589 c.p.) se l’investimento è stato la conseguenza del suo comportamento imprudente di condotta del mezzo.

Può dirsi, allora, che per la sussistenza della colpa occorrono "due elementi costitutivi":

  1. elemento negativo, che è dato dalla mancanza di volontà dell’evento;
  2. elemento oggettivo, che è dato dalla inosservanza di determinate regole di condotta (scritte o dettate dalla coscienza sociale).

L’inosservanza delle regole di condotta può determinare una responsabilità a titolo di colpa solo se è riferibile alla «coscienza e volontà» dell’autore del fatto: vale a dire, come si è sottolineato più volte, solo se essa era prevedibile ed evitabile usando i poteri di controllo e di attenzione di cui ciascun uomo dispone.
Quell’inosservanza non potrebbe invece determinare alcuna responsabilità a titolo di colpa se fosse stata dovuta a fattori cui il soggetto agente non era in grado di resistere o di sottrarsi.
Le regole di condotta (regole cautelari) che, al riguardo, assumono rilievo sono quelle dirette a prevenire il pericolo di eventi dannosi o a limitare i rischi collegati allo svolgimento di alcune attività umane.
Le regole di cui si è detto possono anche essere non scritte, ma dettate solo dalla coscienza sociale. In tal caso, la colpa che dipende dalla loro inosservanza si denomina «colpa generica».

      
 

Colpa generica e specifica

La colpa consiste nella inosservanza di precauzioni doverose. Quando essa si verifica per omissione di cautele, per violazione di regole di prudenza, di attenzione o diligenza, si denomina «colpa generica»
La colpa generica, pertanto, è connessa alla violazione di generiche regole cautelari (non scritte) e si sostanzia quando l’evento si verifica per:

  1. imprudenza
  2. imperizia
  3. negligenza

Si ha «imprudenza» quando il soggetto agente tiene una determinata condotta con “avventatezza” e “senza ponderazione”.

  • Fra le ipotesi di imprudenza rientra, ad esempio, il caso in cui un sinistro marittimo (collisione) con conseguenze mortali si verifica a causa di un colpo di sonno del timoniere di una delle navi coinvolte.

Dall'esempio appena fatto, il timoniere della nave risponderà del reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.) se si accerta che il sonno fu dovuto a «motivi fisiologici» (come la stanchezza, la precedente ed abbondante consumazione del pasto, ecc.) e, quindi alla “grave imprudenza“ di essersi messo alla condotta dell’unità malgrado le non buone condizioni fisiche.
Il timoniere non risponderà invece del reato suddetto se il sonno fu dovuto a “caso fortuito” e cioè, a «cause patologiche» del tutto improvvise e imprevedibili. 

La «imperizia» è rappresentata dalla “incapacità” o “scarsa abilità” o “insufficiente preparazione” a svolgere determinate attività o professioni che esigono particolari cognizioni tecniche.

  • Fra le ipotesi di imperizia, rientra, ad esempio, quella del membro di equipaggio che si pone al timone della nave senza avere sufficiente dimestichezza con il mezzo e, a causa della limitata abilità, finisce per incagliarsi sugli scogli.

La «negligenza» è l’atteggiamento psichico di chi “manca di attenzione” nel compimento di una attività, di chi agisce con “trascuratezza” e “senza accortezza”.

  • Risponde, ad esempio, del reato di omicidio colposo dovuto a negligenza, il medico che dimentica uno strumento operatorio nel corpo del suo paziente poi deceduto a seguito dell’infezione così procuratagli.

La «colpa specifica», consiste invece nella inosservanza di “regole scritte” e precisamente nella inosservanza di leggi, regolamenti, ordini, discipline, ecc.
Come emerge dalla indicazione fornita, l’origine delle regole scritte è la più varia perché non è solo la legge o il regolamento (ad esempio: le norme del Codice della strada, del Codice della navigazione o del rispettivi Regolamenti di esecuzione) ma può essere un qualsiasi provvedimento amministrativo (ad esempio: un ordine di servizi o di polizia, ecc.) e secondo alcune sentenze, le regole della disciplina sportiva.

 

 

Nell’ambito del concetto di colpa si possono ulteriormente distinguere fra:

  1. colpa incosciente (manca la volontà di cagionare un evento e la previsione dello stesso)
  2. colpa cosciente (manca la volontà ma non anche la previsione)

    

Colpa incosciente e cosciente

Nell’ambito del concetto di colpa si possono ulteriormente distinguere una:

  1. colpa incosciente
  2. colpa cosciente

La «colpa incosciente» (o senza previsione), ricorre quando il soggetto agente non si rende conto che la sua condotta potrebbe provocare eventi dannosi o pericolosi: quando l’evento non è stato voluto, ma non è stato neppure previsto.

  • Ad esempio, il cacciatore che spara dietro il cespuglio credendo vi fosse la lepre cacciata e uccide invece il suo compagno di battuta. E’ evidente che il cacciatore risponderà di omicidio colposo poiché l’evento-morte non è stato né previsto né voluto ma era evitabile usando normale prudenza.

La «colpa cosciente» (o con previsione), ricorre quando il soggetto agente non ha voluto l’evento, ma lo ha previsto come possibile conseguenza della sua condotta ma ha sicura fiducia che esso non si verificherà.

  • Ad esempio, nel caso dell’omicidio colposo verificatosi nel corso della battuta di caccia, l’autore del fatto dovrebbe rispondere a titolo di colpa cosciente se avesse visto il suo compagno nei pressi della siepe ove si era rifugiata la lepre, ma avesse sparato ugualmente fidando sulla bontà della propria mira.
  • L’ esempio più noto di colpa cosciente è quello del giocoliere che in un circo fa l’esercizio del lancio dei coltelli in direzione di una persona. Se la colpisce, ferendola, risponde al reato di lesioni colpose in quanto, pur avendo previsto di poter colpire quella persona, ha agito fidando nella sua abilità e nella convinzione di portare a termine il suo numero senza errori.
  • Esempio di colpa cosciente, nel settore marittimo, può essere quello del conduttore di una moto d'acqua che dopo aver scorto un boa atoll (=galleggiante recante una bandierina rossa con striscia diagonale bianca) che segnala la presenza di un pescatore ricreativo, non si tiene a distanza di sicurezza (100 metri dal segnale) ma attraversa imprudentemente la zona, ferendo il pescasub che nel frattenpo emergeva: Il diportista risponderà del reato di "lesioni colpose" (art. 590 c.p.) in quanto, pur avendo previsto di poter investire il sub, ha agito fidando nella sua abilità e nella convinzione di saper condurre comunque il mezzo senza commettere errori.

La colpa cosciente è una "forma più grave" di colpa che determina un aggravamento del reato (art. 61, n. 3 c.p.) e che presenta aspetti simili al dolo indiretto (o eventuale).

La colpa cosciente si distingue dal "dolo indiretto", in quanto mentre nel "dolo indiretto il soggetto agisce anche a costo di determinare i risultati che ha previsto come probabili o possibili", nella "colpa cosciente il soggetto prevede i risultati della sua condotta, ma agisce nella certezza o la sicura fiducia di non determinarli"-   

 

La preterintenzione

L’elemento soggettivo del reato può avere anche la forma della «preterintenzione», oltre che quelle, fondamentali e già esaminate, del dolo e della colpa.
La preterintenzione consiste nel cagionare un evento più grave di quello voluto intenzionalmente dal soggetto agente.

  • Secondo un noto esempio, ricorre la figura del reato preterintenzionale nel caso di colui che sferra un pugno nei confronti di un avversario volendo percuoterlo o, al massimo, procurargli lievi lesioni e che, invece, ne cagiona la morte perché l’altro, cadendo, batte la testa in malo modo.

La preterintenzione è un "misto" di dolo e di colpa: di dolo per l’evento minore voluto; di colpa per l’evento più grave verificatosi «oltre l’intenzione» del soggetto agente, come evidenzia il fatto che, per le figure di reato preterintenzionale,

il codice penale prevede una pena (reclusione da 10 a 18 anni) che è più severa di quella della corrispondente ipotesi colposa (reclusione da 6 mesi a 5 anni), ma meno severa di quella della corrispondente ipotesi dolosa (reclusione non inferiore nel minimo a 21 anni).
Il codice prevede un unico caso di preterintenzione, l’
omicidio preterintenzionale (art. 584). Esso si verifica in tutti i casi in cui la morte di un uomo è cagionata con atti diretti a commettere il delitto di percosse (art. 581 c.p.) ovvero di lesioni (artt. 582-585 c.p.).
Oltre che nel tipico e noto esempio prima riportato, si è ravvisato l’omicidio preterintenzionale previsto dall’art. 584 c.p. nell’ipotesi in cui la morte di un uomo sia cagionata da una «spinta» del soggetto agente; oppure nell’ipotesi in cui l’atteggiamento minaccioso e aggressivo dell’agente (sempreché tendente a percuotere o ledere) è tale da «terrorizzarlo» a tal punto da cagionarne la morte per arresto cardiaco; oppure ancora, nell’ipotesi in cui il soggetto agente si avventa sull’avversario il quale, mentre indietreggia, cade in un pozzo e muore.
Alcuni Giudici, però, interpretano in modo meno rigoroso la disposizione dell’art. 584 c.p., escludendone l’applicabilità nel caso di morte cagionata con una «spinta» (l’autore di questa non risponderebbe perciò di omicidio preterintenzionale, ma di omicidio colposo, in quanto la spinta in sé non può essere considerato atto diretto a percuotere o cagionare lesioni: i cioè un atto idoneo a determinare il tipo di responsabilità previsto dall’art. 584 c.p.) oppure quando la lesione cagionata dall’autore del fatto è stata molto lieve e la morte si è verificata per le precarie condizioni di salute della vittima.
Un’altra ipotesi di reato preterintenzionale, prevista dall’art. 18, comma 2 della legge 22/571978, n. 194, è l’aborto preterintenzionale, che si verifica quando l’interruzione della gravidanza è provocata da atti diretti a cagionare lesioni alla donna.
Nel delitto preterintenzionale vi è la volontà di un evento minore (percosse o lesioni), che ne rappresenta la base dolosa, e la non volontà di un evento più grave (morte o aborto), che è pur sempre conseguenza della condotta del soggetto agente.

Nel nostro ordinamento penale, vengono assimilati ai reati preterintenzionali:

  1. i reati «aggravati dall’evento», vale a dire quei delitti che subiscono un aumento di pena per il verificarsi di un evento ulteriore, rispetto al fatto che già costituisce reato: evento che viene posto a carico dell’agente come conseguenza della sua azione od omissione. Anche in questi casi, infatti, alla condotta di chi ha compiuto il reato consegue un evento più grave di quello voluto intenzionalmente.
  2. il reato preterintenzionale previsto dalla Legge 194/1978 (legge sull’aborto): tale ipotesi di reato si configura quando il soggetto agente, intendendo provocare delle semplici lesioni a una donna, ne provoca involontariamente l’interruzione della gravidanza.

L’omicidio preterintenzionale è la tipica ipotesi di responsabilità oggettiva prevista dall’Ordinamento penale che espressamente stabilisce che in casi eccezionali (e tassativamente indicati), il soggetto è chiamato a rispondere dei risultati della proprie azioni e ciò anche se di fatto non possono essergli mosse contestazioni in ordine agli stessi, neppure di semplice leggerezza.

     
 

Le cause di esclusione della colpevolezza

Sono cause in presenza delle quali viene meno la colpevolezza (elemento soggettivo) del reato. L'elemento soggettivo manca quando il fatto materiale non può essere attribuito alla «coscienza e volontà» del suo autore. In queste ipotesi l’autore del fatto non può essere punito (art. 42, comma 1 c.p.).

La riferibilità del fatto alla coscienza e volontà del suo autore può essere esclusa quando il fatto è stato commesso per:

  1. forza maggiore
  2. caso fortuito
  3. costringimento fisico e psichico

Si definisce «forza maggiore» (art. 45 c.p.), la forza esterna alla quale l’autore del fatto non era in grado di resistere: la volontà del soggetto viene sempre annullata giacché lo stesso viene costretto da una forza esterna a se stesso che, per il suo potere superiore, inevitabilmente, lo obbliga (contro la sua volontà) a compiere l’azione incriminata dall’Ordinamento.
Si dice allora che l’agente ha incontrato una «Vis maior cui resisti non potest» (=una forza così irresistibile a cui il soggetto agente non potè opporsi) e che quindi il soggetto «agitur se non agiti» (=non ha agito ma è stato fatto agire).

  • Ad esempio, un operaio intento a lavorare su una impalcatura che, sbalzato al suolo da un violentissimo colpo di vento, cadendo cagiona la morte di un passante schiacciato dal peso del suo corpo. Egli non sarà punito perché sebbene la sua azione abbia cagionato l’evento, tale azione è stata determinata da forza maggiore. 
  • Altro esempio, può essere quello del contribuente che non è in grado di presentare tempestivamente la denuncia dei redditi perché nella sua città i servizi pubblici sono stati bloccati per il verificarsi di un alluvione o di un altro disastro.
  • Altro esempio, può essere quello del comandante di nave mercantile che prestando soccorso ad un surfista, in difficoltà tra i marosi, lo investe, cagionadogli ferite mortali, a causa di un’onda anomala sollevata da una tromba d’aria abbattutasi improvvisamente sul tratto di mare interessato. 

Si ha invece il «caso fortuito» (art. 45 c.p.) per il verificarsi di un fatto imprevisto ed imprevedibile alla condotta dell’agente o alla sua coscienza e volontà.
Il caso fortuito determina la mancanza di dolo e di colpa allorché si verifica, per effetto del comportamento del soggetto agente, un evento da lui non voluto, né da lui causato per imprudenza o negligenza.

  • Si ritiene ad esempio, che non sia punibile il soggetto che procedendo nel pieno rispetto delle norme sulla circolazione stradale, investe con l’auto un ciclista che, colpito da un malore, gli taglia improvvisamente la strada senza che lui possa far niente per evitare l’investimento. Le eventuali lesioni patite dal ciclista non potranno essere ricondotte a colpa dell’automobilista, bensì al caso fortuito.
  • Ad esempio, il comandante di nave mercantile che navigando in un canale, per un malore improvviso (fattore patologico), perde il controllo del mezzo e investe una nave sopraggiungente cagionando il ferimento di alcuni passeggeri. Lo stesso è invece responsabile del reato di lesioni (art. 590 c.p.) se si è posto alla condotta pur essendo consapevole del suo precario stato di salute e potendo perciò prevedere quel che poteva accadere.

 

 

Sia la forza maggiore che il caso fortuito escludono, dunque, l’elemento soggettivo del reato, ma mentre nell’ipotesi di caso fortuito avviene l’inserimento, nella condotta del soggetto agente, di un «fattore imprevedibile» che rende fatale il determinarsi dell’evento; invece, nel caso della forza maggiore, l’evento deriva da un «fatto naturale» alla cui azione il soggetto non può sottrarsi.
Sicché, carattere del caso fortuito è la “imprevedibilità”, mentre nella forza maggiore è la “irresistibilità”. 

Si ha «costringimento fisico» (art. 46 c.p.), a seguito di una violenza esercitata da altri e alla quale il soggetto agente non poteva resistere comunque sottrarsi.
E’ la tipica ipotesi di forza maggiore in cui la forza esterna è determinata dalla violenza fisica di un altro soggetto. Il reato quindi non viene commesso da chi agisce materialmente ma da chi ha posto in essere la costrizione.

  • Si pensi ad esempio, al caso in cui Tizio, afferrando la mano di Caio, lo costringe a premere il grilletto di una pistola uccidendo una persona. Chi ha premuto il grilletto non è punibile perché è stato solo lo strumento materialmente usato da Tizio per commettere il reato di cui all’art. 575 c.p. Di questo reato è del tutto logico, invece, che risponda lo stesso Tizio come espressamente prescrive l’art. 46 co.2 c.p.

L’ipotesi vista in precedenza va tenuta distinta da quella del cosiddetto «costringimento psichico» (art. 54, comma 3 c.p.). In questo caso, infatti, nei confronti dell’autore del fatto non viene esercitata una violenza fisica alla quale non è possibile resistere, ma una «minaccia» in grado di generare in lui un vero e proprio stato di necessità e di indurlo a commettere il fatto per salvare sé o gli altri da un pericolo attuale di danno grave alla persona.
Al costringimento psichico conseguono effetti analoghi a quelli del costringimento fisico: del reato risponde, infatti, l’autore della minaccia e cioè colui che ha costretto l’autore «materiale» di questo.

  • Ad esempio, mentre è violenza fisica che concreta il costringimento fisico quella subita dal soggetto nell’ipotesi in cui la sua mano è stata guidata da altri per commettere il reato, è minaccia che concreta il costringimento psichico quella in cui il soggetto è costretto dietro la minaccia di una pistola a commettere un reato.   

 

Cause di estinzione del reato e della pena

Alla commissione di un reato consegue, quale effetto tipico, la «punibilità» del suo autore: vale a dire l’applicabilità a suo carico, delle sanzioni penali stabilite dalla legge in relazione al fatto criminoso verificatosi.
Tale effetto tipico può peraltro venir meno quando sopravvengono determinate situazioni che, senza cancellare il reato, estinguono però la potestà punitiva (o diritto di punire) dello Stato oppure incidono sulla esecuzione della pena.

Le situazioni di cui si parla sono le cause di estinzione degli effetti del reato e della pena, che il codice distingue in:

  1. cause di estinzione del reato
  2. cause di estinzione della pena

Le prime estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato.
Le seconde, invece, estinguono la punibilità in concreto; si caratterizzano perché operano su una pena concretamente inflitta ad un soggetto con sentenza passata in giudicato, senza incidere sul reato (e su i suoi effetti) in alcun modo, e senza intaccare il potere punitivo dello Stato

  • Tra le «cause di estinzione del reato» previste dal codice penale (artt. 150-169) rientrano:
  1. morte del reo avvenuta prima della condanna;
  2. amnistia propria;
  3. prescrizione;
  4. oblazione;
  5. perdono giudiziale;
  6. sospensione condizionale della pena;
  7. remissione di querela[1].
  • Tra le «cause di estinzione della pena» previste dal codice penale (artt. 171-181) rientrano:
  1. morte del reo avvenuta dopo la condanna;
  2. amnistia impropria;
  3. indulto;
  4. grazia;
  5. prescrizione della pena;
  6. liberazione condizionale;
  7. riabilitazione;
  8. non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale;
  9. esito positivo dell’affidamento in prova del minore

 


[1] Come è noto, alcuni reati sono perseguibile ad «azione pubblica»; altri ad «azione privata», ossia solo quando ricorrono determinate condizioni di procedibilità. In assenza di queste, l’azione penale non può essere esercitata e il procedimento penale non può essere neppure iniziato. La remissione di querela è ritenuta, dalla prevalente dottrina, un istituto di diritto processuale, e perciò non viene trattata in questa sede.

 

Cause di estizione del reato: morte del reo prima della condanna e l'amnistia propria

Sono previste dal codice penale dagli artt. 150-169 c.p.: estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato.

► La morte del reo prima della condanna

L’art. 150 c.p., stabilisce che «la morte del reo avvenuta prima della condanna estingue il reato». Poiché la responsabilità penale è personale (art. 27 Cost.), la morte di colui al quale il fatto è addebitato estingue tutti gli effetti penali del reato (incluse le pene principali e accessorie); ad essa, sopravvivono, unicamente:

  1. conseguenze civili del reato;
  2. pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere;
  3. esecuzione della confisca.

Si tratta di tutte le obbligazioni inerenti al patrimonio del defunto. Agli eredi passeranno esclusivamente gli obblighi civili dipendenti dal reato nonché il carico delle spese giudiziali.

  • Se, ad esempio, il reato è addebitato al comandante di nave mercantile e questi, nel corso del procedimento muore, il Pubblico Ministero deve richiedere l’archiviazione (se si è ancora nella fase delle indagini preliminari) oppure una sentenza di non doversi procedere perché il reato è estinto per morte del suo autore (se l’azione penale è stata già esercitata). Il giudice provvede di conseguenza pronunciando un decreto di archiviazione o una sentenza di proscioglimento.

► L’amnistia propria (art. 150)

E’ un atto di clemenza con cui lo Stato rinuncia a punire, in via generale e astratta, determinate categorie di reati[1], commessi entro un termine espressamente fissato.
L’amnistia impedisce che vengano inflitte le pene principali, le pene accessorie e le misure di sicurezza; non estingue gli obblighi civili e non si applica a soggetti ritenuti pericolosi salvo che il decreto non disponga diversamente.
E’ possibile rinunciare all’amnistia, in quanto la legge deve consentire all’imputato, che lo chieda, di dimostrare la propria innocenza.

  • Si pensi, ad esempio, il caso del pilota che non rispose al segnale di chiamata di una nave. Alla commissione del reato (rifiuto di servizio da parte del pilota) consegue la punibilità del pilota al quale, pertanto, diviene applicabile la sanzione prevista dall’art. 1114, comma 2 Cod. nav. (reclusione da 1 a 3 anni). Può accadere, però, che prima della condanna, intervenga una amnistia. In tali casi, il Giudice dovrà allora dichiarare non punibile il pilota perché il reato che gli era stato addebitato è estinto (è venuto meno) per un fatto sopravvenuto e cioè l’amnistia.

Il legislatore italiano ha fatto spesso ricorso alla amnistia specie per consentire un facile smaltimento delle pendenze processuali ed evitare il sovraffollamento degli istituti carcerari. Tale prassi legislativa è stata molto criticata sia perché tendente a vanificare gli sforzi di indagine delle forze di polizia e dell’autorità giudiziaria sia perché idonea ad accrescere nel cittadino la convinzione della inefficienza del sistema giudiziario e della impunità di chi delinque.
Proprio per queste ragioni l’amnistia può essere concessa solo con una legge deliberata da ciascuna delle Camere con una maggioranza particolarmente qualificata (2/3 dei componenti di ciascuna Assemblea) addirittura superiore a quella fissata per l’approvazione delle leggi costituzionali.

 


[1] L’ultima amnistia è stata concessa con D.P.R. 12 Aprile 1990, n. 75 e ha riguardato, in via generale, i reati (non finanziari) commessi a tutto il 24 Ottobre 1989, per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore a 4 anni.   
 

Cause di estinzione del reato: la prescrizione e l'oblazione

Sono previste dal codice penale dagli artt. 150-169: estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato.

► La prescrizione (art. 157-171)

Consiste nella rinuncia dello Stato a far valere la sua pretesa punitiva, in considerazione del lasso di tempo trascorso dalla commissione di un reato, venendo meno l’esigenza di prevenzione generale (intimidazione) che giustifica la repressione dei reati e l’irrogazione di una pena per un fatto commesso molto tempo prima e caduto nel dimenticatoio.
Tale esigenza permane solo per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo: tali delitti sono imprescrittibili.
Per gli altri reati vigono i termini di prescrizione fissati dall’art. 157 c.p. e che sono collegati alla gravità del reato. Si va da un minimo di 2 anni (per le contravvenzioni punite con la sola ammenda) ad un massimo di 20 anni (per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena....

  1. 20 anni, se la pena stabilita dalla legge per il reato è la reclusione non inferiore a 24 anni;
  2. 15 anni, se la pena stabilità dalla legge per il reato è la reclusione superiore a 10 anni;
  3. 10 anni, se la pena stabilita è la reclusione non inferiore a 5 anni;
  4. 5 anni, se la pena stabilita è la reclusione inferiore a 5 anni o la multa;
  5. 3 anni, se la pena è l’arresto;
  6. 2 anni, se la pena è l’ammenda.

Per determinare il tempo necessario alla prescrizione si ha riguardo al massimo della pena stabilita per il reato, consumato o tentato, con l’aumento massimo stabilito per le eventuali aggravanti, e la diminuzione minima per le eventuali attenuanti (art. 152, comma 2).

  • Riguardo al dies a quo:
  1. per il reato consumato, la prescrizione decorre dal giorno della consumazione;
  2. per il reato tentato dal giorno in cui è cessata l’attività criminosa;
  3. per il reato permanente o continuato dal giorno in cui è cessata la permanenza o continuazione.

Trascorsi i tempi previsti dall’art. 157 c.p. senza che sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna, il reato deve essere dichiarato estinto per prescrizione.

► L'oblazione nelle contravvenzioni (art. 162-162 bis c.p.)

Consiste nel pagamento, a domanda dell’interessato, di una somma in denaro (che ha l’effetto di degradare il reato in illecito amministrativo e, quindi, di estinguerlo) prima dell’apertura del dibattimento o prima del decreto di condanna. Si distingue in «oblazione automatica» e  «oblazione discrezionale».

  • Oblazione automatica

Nelle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda (art. 162 c.p.), l’oblazione ha luogo a richiesta dell’interessato (il quale ha un vero e proprio diritto ad esservi ammesso), e consiste nel pagamento di una somma in denaro corrispondente alla terza parte del massimo della pena edittale.

  • Oblazione discrezionale

Nelle contravvenzioni punite con pene alternative (art. 162 bis) è invece facoltà del Giudice ammettervi o meno l’imputato che ne abbia fatto domanda: il Giudice, infatti, può sempre respingere con ordinanza la domanda quando ritenga il fatto «grave». L’oblazione, se l’imputato vi è ammesso, ha luogo mediante il pagamento di una somma di denaro corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilità dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.
La metà del massimo dell’ammenda deve essere depositata insieme alla domanda di oblazione. L’interessato può riproporla fino all’inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado.

  • L’oblazione discrezionale è per legge esclusa:
  1. in caso di recidiva reiterata;
  2. se l’imputato è stato dichiarato contravventore abituale oppure delinquente o contravventore professionale;
  3. quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore.

 

Cause di estinzione del reato: il perdono giudiziale e la sospensione condizionale della pena

Sono previste dal codice penale dagli artt. 150-169: estinguono la punibilità in astratto, cioè escludono l’applicazione della pena all’autore di un reato, antecedente alla sentenza definitiva di condanna e, di conseguenza, limitano la potestà punitiva dello Stato.

► Il perdono giudiziale (art. 169 c.p.)
Consiste nella rinuncia dello Stato a condannare il colpevole di un reato in considerazione della sua età e per consentirgli un più facile recupero sociale.

Al fine della concessione del beneficio occorre che:

  1. il colpevole, all’epoca del commesso reato, non abbia superato gli anni 18 e non sia mai stato precedentemente condannato per un delitto;
  2. il reato commesso non sia grave (cioè per esso debba applicarsi in concreto una pena
  3. detentiva non superiore a 2 anni ovvero una pena pecuniaria non superiore a € 1549).

Il perdono giudiziale non può essere concesso più di una volta ed è rimesso al prudente apprezzamento del Giudice, il quale perdona il minore quando presume che si asterrà dal commettere ulteriori reati.

► La sospensione condizionale della pena (art. 163-168 c.p.)

Questo istituto opera quando l’Autorità Giudiziaria, inflitta una certa pena, ne sospende l’esecuzione a condizione che, entro un certo periodo di tempo (periodo di prova), il condannato non commetta un nuovo reato: se ciò si verifica, egli sconterà insieme la vecchia e la nuova pena.

La ratio dell’istituto è duplice:

  1. da un lato si sottraggono all’ambiente malsano e deleterio delle carceri individui che offrono garanzie di un ravvedimento;
  2. dall’altro si scoraggia il colpevole dal commettere nuovi reati.
  • Sono condizioni per la concessione del beneficio:
  1. che il reo non sia stato già condannato a pena detentiva per un delitto e non sia delinquente abituale, professionale, per tendenza;
  2. che alla pena non debba essere aggiunta una misura di sicurezza e non si tratti di condanna per reato elettorale (art. 102 D.P.R. n. 570/1960);
  3. che la condanna inflitta per il reato commesso non sia superiore a due anni di reclusione o di arresto (per gli ultrasessantenni e per coloro che hanno da 18 a 21 anni, tale limite è portato a 2 anni e 6 mesi, mentre per i minori degli anni 18 deve trattarsi di una pena non superiore a 3 anni);
  4. se si tratta di pena pecuniaria, essa deve essere tale che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata ai sensi dall’art. 135, non priverebbe il condannato della libertà per un periodo superiore, nel complesso, a 2 anni;
  5. la sospensione non può essere concessa più di una volta: Se però per una precedente condanna fu già sospesa l’esecuzione, il Giudice può, nell’infliggere una nuova condanna, disporre la sospensione qualora la pena, cumulata a quella precedentemente sospesa, non superi i limiti innanzi visti (art. 163 c.p.) e fermi restando gli ulteriori presupposti;
  6. il Giudice concede la sospensione condizionale della pena ove ritenga che il reo si asterrà, per il futuro, dal commettere ulteriori reati.

La sospensione condizionale della pena è ordinata per 5 anni per i delitti, 2 anni per le contravvenzioni (termine che decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che concede il beneficio): se, nei termini indicati (periodo di prova) il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto e non ha luogo l’esecuzione delle pene (art. 167 c.p.). L’effetto sospensivo si estende alle pene principali ed a quelle accessorie. Non si estende invece alle obbligazioni civili derivanti dal reato.

Trattandosi di sospensione condizionale, l’effetto sospensivo della esecuzione della pena cessa e la sospensione viene sottoposta a revoca se, nei termini fissati (5 anni per i delitti e 2 per le contravvenzioni), il condannato subisce altra condanna.

 

Cause di estinzione del reato: la remissione di querela

La remissione è la "dichiarazione" (scritta o orale) con la quale la persona offesa dal reato (= querelante) o chi la rappresenta propone la revoca della querela precedentemente proposta.
Per essere efficace (e produrre la estinzione del reato), la remissione deve essere "
accettata" dal querelato. Poiché la persona querelata (= autore del reato) ha interesse, se innocente, a dimostrare, attraverso il processo, la sua completa estraneità al fatto-reato che le è stato addebitato nella querela, la remissione di questa non produce effetto se il querelato la ha tacitamente od espressamente ricusata: vale a dire se alla remissione non è seguita la sua accettazione.
Le spese del procedimento sono a carico al querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (art. 13 Legge 25.6.1999, n. 205)

  • La remissione non è consentita per i delitti contro la libertà sessuale. In tale ipotesi, quindi la querela, una volta proposta, non può essere più revocata.

Anche per la querela non è richiesta l’adozione di alcuna formula sacramentale purché in essa risulti con sufficienza chiarezza la volontà del querelante.

 

Cause di estinzione della pena

Estinguono la punibilità in concreto; si caratterizzano perché operano su una pena concretamente inflitta ad un soggetto con sentenza passata in giudicato, senza incidere sul reato (e su i suoi effetti) in alcun modo, e senza intaccare il potere punitivo dello Stato.

► La morte del reo dopo la condanna

L’art. 171 c.p. stabilisce che: “la morte del reo, avvenuta dopo la condanna, estingue il reato”.
Per gli effetti della morte sulle conseguenze penali e civili del reato si richiama quanto già rilevato all’art. 150 c.p.

► L’amnistia impropria (art. 171 c.p.)
Interviene dopo una sentenza irrevocabile di condanna. Fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie, ma lascia sussistere quegli effetti penali che non rientrano tra le pene accessorie (recidiva, abitualità, professionalità).

► L’indulto (o condono)

E’ un atto di clemenza generale indirizzato cioè alla generalità dei condannati e non al singolo condannato come le grazia.
L’indulto non opera sul reato, ma esclusivamente sulla pena principale che viene in tutto o in parte condonata o commutata in altra specie di pena dello stesso genere (art. 174 c.p.).
Estingue la pena ma non le pene accessorie a meno di diversa previsione di legge. Non estingue gli effetti penali della condanna. Non presuppone una condanna irrevocabile; la sua efficacia è circoscritta ai reati commessi fino al giorno precedente all’emanazione del decreto, salvo che il decreto stabilisca una diversa data (com’è più frequente nella pratica). Nel concorso di più reati l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene.

  • Si distinguono:
  1. indulto proprio (che interviene nella fase esecutiva rispetto ad una sentenza irrevocabile di condanna);
  2. indulto improprio (che è applicato al momento della sentenza dal giudice di primo e secondo grado, ossia della cognizione e, quindi, ben prima della esecuzione della pena).

► La grazia (art. 174 c.p.)

E’ un atto di clemenza particolare (cioè individuale e non generale come l’indulto) che presuppone una sentenza irrevocabile di condanna. La concessione dell’indulto è rimessa (art. 87 Cost.) al potere discrezionale del Presidente della Repubblica.
La grazia opera solo sulla pena principale, condonandola in tutto o in parte.

► La prescrizione della pena (ovvero estinzione delle pene per decorso del tempo)

Estingue la punibilità in concreto; può aver luogo solo dopo una sentenza o decreto irrevocabile di condanna non eseguiti. Ha per oggetto le pene principali, mentre è sempre esclusa per l’ergastolo.

  • Il termine per la prescrizione:
  1. la pena della reclusione si estingue in un tempo pari al doppio della pena inflitta e in ogni caso non superiore a 30 anni e non inferiore a 10 anni;
  2. la pena della multa si estingue dopo il decorso di 10 anni;
  3. la pena dell’arresto o ammenda dopo 5 anni

Sono esclusi dal beneficio i recidivi reiterati, i delinquenti abituali, professionali e per tendenza.

► La liberazione condizionale

Rientra tra le misure alternative alla detenzione e rappresenta un premio concesso al condannato che durante il periodo di detenzione abbia dato prova costante di buona condotta. (art. 176 c.p.).

  • La ratio dell’istituto è duplice:
  1. da un lato premiare il detenuto che ha dato prova di ravvedimento;
  2. dall’altro incitare gli altri detenuti a seguirne l’esempio.
  • Può essere concessa alle seguenti condizioni:
  1. il detenuto deve aver tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento;
  2. deve aver scontato almeno 30 mesi e comunque almeno metà della pena, se la pena residua non superi i 5 anni (prima condanna o recidiva semplice);
  3. deve aver scontato almeno 4 anni e non meno di ¾ della pena (recidiva reiterata);
  4. il condannato all’ergastolo deve aver scontato almeno 26 anni di pena;
  5. per coloro che abbiano commesso il reato in età minore di 18 anni la liberazione è consentita in qualunque momento dell’esecuzione.

La liberazione condizionale sospende l’esecuzione della parte di pena che rimane da scontare.

► La riabilitazione

Ha la finalità di sottrarre il condannato, che si sia ravveduto, a quegli effetti penali che ne potrebbero pregiudicare il normale reinserimento nella società (artt. 178-181 c.p.).
La riabilitazione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna ed è concessa quando il condannato::

  1. deve aver dato prove effettive e costanti di buona condotta;
  2. deve aver adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato;
  3. non deve essere sottoposto a misura di sicurezza diversa dalla espulsione dello Stato o della confisca;
  4. deve essere decorso un termine di 5 anni (10 anni in caso di recidiva reiterata) dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia estinta in altro modo.

E’ prevista la possibilità di una revoca della riabilitazione (art. 180 c.p.).

► La non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale

Consiste nella possibilità di non fare menzione della condanna (se detentiva, non superiore a 2 anni; se pecuniaria non superiore a € 516) nel certificato del Casellario Giudiziale spedito a richiesta di privati (art. 689 c.p.).
La non menzione della condanna è rimessa all’apprezzamento discrezionale del Giudice, che la concederà avuto riguardo alle circostanze indicate all’art. 133 c.p.
Il beneficio non può essere concesso se alla condanna conseguono pene accessorie e se il condannato ha già subito altre condanne in precedenza.
L’ordine della non menzione della condanna è revocato se il condannato commette successivamente un delitto.
La non menzione può essere considerata una causa di estinzione della pena in senso improprio.
Essa impedisce, piuttosto, un particolare effetto della condanna: quello della sua “pubblicizzazione”. In quest’ottica, la non menzione esercita l’effetto analogo a quello della riabilitazione in quanto elimina eventuali ostacoli alla risocializzazione del condannato il quale potrebbe vedersi compromesso il reinserimento nel mondo del lavoro e nella società in genere se costretto ad essere perennemente inseguito dai suoi “precedenti”.

 

Cause di giustificazione del reato: scriminanti

Le «cause di giustificazione» del reato o di leicità  o di esclusione della responsabilità penale (=scriminanti) sono tassativamente individuate dalla legge ed escludono l’antigiuridicità di una condotta che, in loro assenza sarebbe penalmente rilevante e sanzionabile. Sono situazioni normativamente previste in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico.
In presenza di tali circostanze, infatti, una condotta (altrimenti dalla legge punibile), diviene lecita e ciò in quanto una norma, desumibile dall’intero ordinamento giuridico, la ammette e/o la impone.
Le cause di giustificazione sono desumibili dall’intero Ordinamento giuridico e, pertanto, la loro efficacia non è limitata al solo diritto penale ma si estende a tutti i rami del diritto (civile e amministrativo).
Al realizzarsi di una scriminante, il bene giuridico che la norma penale intende preservare, non è più tutelato poiché in concreto vi sono altri interessi di superiore o pari livello che vengono conseguiti attraverso la condotta tenuta.
Le cause di giustificazione trovano la loro applicazione nell’intero ordinamento giuridico (non solo quindi nell’ambito della legge penale), il che comporta l’inapplicabilità anche delle sanzioni civili o amministrative, altrimenti applicabili al fatto criminoso.

  • Pertanto, ad esempio, se un pescatore percuote un ladro per evitare il furto delle reti, non commette il reato di percosse (art. 581 c.p.) o lesioni (art. 582 c.p.), in quanto la sua condotta è scriminata dalla legittima difesa.
    Il ladro che ha lesioni a seguito delle percosse non può chiedere il risarcimento del danno.

Uno dei problemi più avvertiti da chi svolge attività di polizia giudiziaria è quello relativo alla individuazione delle proprie responsabilità penali in caso di interventi che comportino danni (o pericolo di danni) a cose o persone.

  • L’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria che compie una perquisizione e per entrare nel domicilio altrui danneggia la porta di ingresso, ad esempio, commette in astratto i reati di “violazione di domicilio aggravata” e di “danneggiamento aggravato” (art. 614 ultimo comma c.p. e 635 co.2 c.p.).

E’ altrettanto vero, però, che egli non ha compiuto un fatto socialmente dannoso, ma ha agito, anzi, nell’interesse della società. Più precisamente nell’adempimento di un dovere impostogli dall’art. 352 c.p. e ancor prima dall’art. 55 c.p.p. che gli prescrive di impedire che i reati vengano portati a ulteriori conseguenze, ricercare gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova.

La condotta del soggetto agente è perciò lecita perché compiuta in presenza di una «causa di giustificazione» (adempimento di un dovere, art. 51 c.p.) espressamente stabilita.
E’ anzi da dire che, se l’agente si fosse comportato diversamente pur trovandosi di fronte ad una situazione che gli imponeva una perquisizione, egli poteva esser chiamato a rispondere, fra l’altro e quantomeno, del reato di cui all’art. 328 c.p., “rifiuto di atti d’ufficio (omissione)”.
Va detto allora che, in casi come quelli descritti, l’operato apparentemente illecito, della polizia giudiziaria è scusato (o giustificato) ed impedisce che il reato si perfezioni e possa essere addebitato a colui che ha compiuto il fatto.

 

 

  • Le cause di giustificazione che più spesso ricorrono nelle ipotesi che qui interessano, sono:
  1. adempimento di un dovere
  2. legittima difesa
  3. uso legittimo delle armi
  4. stato di necessità

     

Adempimento del dovere

Chi agisce nell’esercizio di un suo diritto, resta immune da colpa anche se commette reato. La norma prevede poi che “l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”.

Secondo la norma quindi non commette reato neanche chi pone in essere una condotta (considerata criminosa dal codice penale), in adempimento di un suo preciso dovere. Secondo tale disposizione quindi, l’agente non commette reato quando non ha alcuna facoltà di scelta e deve porre in essere la condotta “criminosa” in adempimento di un preciso obbligo impartitogli. Del fatto risponderà eventualmente il superiore gerarchico. La norma tende a far prevalere la tutela dell’interesse di chi agisce esercitando un diritto/dovere rispetto alla tutela degli interessi eventualmente configgenti.

Pertanto, nella ipotesi in esame i fatti eventualmente commessi nell’adempimento di un dovere non sono punibili quando il dovere è imposto da una «norma giuridica» o da «un ordine legittimo» (art. 51 c.p.).

► Il dovere può derivare:

  1. da una «norma giuridica», intesa anche in questo caso in maniera ampia, comprensiva di qualsiasi regola di diritto, sia scritta che consuetudinaria, sia del potere legislativo che esecutivo.
  • Ad esempio, il soldato che uccide in guerra non commette il delitto di omicidio
  • Si pensi, ad esempio, al caso dell’Ufficiale di polizia giudiziaria che effettua una ispezione su di un peschereccio a norma dell’art. 22 comma 7 del D.lgs. n. 4/2012 oppure una perquisizione (a norma dell’art. 352 c.p.). Egli agisce nell’adempimento di un dovere impostogli da tali disposizioni: sicché è certo che non potrebbe mai essere chiamato a rispondere del reato di «Violazione di domicilio» (art. 614-615 c.p.) per essersi introdotto in un luogo di dimora privata senza curarsi di ottenere il preventivo consenso di chi ne aveva la disponibilità.
  1. a un «un ordine dall’Autorità competente» (Autorità pubblica), inteso come qualsiasi manifestazione di volontà che il superiore rivolge ad un inferiore gerarchico affinché tenga un determinato comportamento. Presupposto della scriminante è l’esistenza tra il superiore e l’inferire di un rapporto di subordinazione di diritto . Non scrimina, invece, un ordine impartito nell’ambito di un rapporto privato. L’ordine, inoltre, deve essere legittimo, tanto sotto il profilo sostanziale quanto sotto quello formale.

Per il primo tipo di legittimità devono esistere i presupposti richiesti dalla legge, pertanto, non si deve dare esecuzione ad un ordine manifestamente criminoso.

► Per la legittimità formale dell’ordine è invece richiesto che:

  1. il superiore abbia competenza ad emetterlo;
  2. l’inferiore abbia competenza ad eseguirlo (sia attinente al servizio del subordinato, rientri nei compiti d’istituto);
  3. sia dato nelle forme prescritte (siano state rispettate, cioè, le procedure e le formalità di legge previste per la sua emissione.
  • Per fare un esempio: l’ordinanza che dispone la custodia cautelare in carcere è legittima se risulta emessa dal Giudice (prima dell’esercizio dell’azione penale provvede ad esempio il GIP....) e contiene le indicazioni previste dall’art. 292 c.p.p. (indizi, esigenze cautelari, generalità dell’imputato, firme e date..) ed è trasmessa ad un U.P.G. per la esecuzione (art. 92 disp.att.c.p.p.).
  •  

 

Se l’ordinanza contiene i suddetti requisiti, l’U.P.G. andrà comunque esente da pena anche se nell’eseguire l’ordinanza stessa ha commesso fatti che, in astratto, potrebbero costituire reato (come il «sequestro» delle persone nei cui confronti la misura è stata applicata; la «violazione del domicilio» per procedere alla sua cattura; la «violenza privata» per ammanettarla.

L’adempimento di un dovere derivante da un ordine legittimo della Pubblica Autorità presuppone un rapporto di subordinazione nascente dal diritto ed un conseguente dovere di obbedienza.
Dalla dizione della legge appare chiaro che la scriminante in tal caso è ammessa solo se l’ordine è legittimo. Il che implica l’esercizio di una facoltà di sindacato sia pure limitata alla legalità esteriore dell’ordine ricevuto e cioè alla forma, alla competenza dell’autorità da cui promana e alla attinenza o meno alle funzioni del subordinato. Questi, infatti, ha, di regola, tale facoltà e, se non l’esercita, agisce a suo rischio e pericolo, come si ricava dal primo e secondo capoverso dell’art. 51 c.p. dove è stabilito che se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde non solo il che ha dato l’ordine ma anche chi lo ha eseguito, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo.
In via generale, il subordinato può andare esente da pena solo se ha esercitato il potere e il dovere di controllare la legittimità dell’ordine impartitogli.

  • Ad esempio: un Ufficiale di polizia giudiziaria può rifiutarsi di sparare contro gli scioperanti che urlano slogans benché l’ordine gli provenga dal funzionario competente.

Quando l’ordine è illegittimo e, malgrado ciò, viene eseguito, del reato commesso rispondono sia chi ha impartito l’ordine sia chi vi ha dato attuazione.
La scriminante tuttavia è ammessa oltre che nel caso dell’errore di fatto di cui si è detto, anche nel caso del subordinato al quale la legge non consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine come accade per i militari e gli appartenenti alle forze di polizia che sono tenuti per legge a una obbedienza particolarmente pronta e rigorosa, ai sensi del dell’ultimo capoverso dell’art. 51 c.p.
In questi casi il subordinato non può sindacare la legittimità dell’ordine e, pertanto, non è punibile per il reato eventualmente commesso in esecuzione dell’ordine medesimo.
Il subordinato, cioè, può invocare a propria scusa il fatto di avere agito nell’adempimento di un dovere e del reato risponderà solo chi ha impartito l’ordine (salvo che si tratti di un ordine palesemente delittuoso - art. 4 Legge 11/7/1979, n. 382 (sulla disciplina militare) ... «il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e informare al più presto il superiore», e art 66 Legge 1/4/1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza)... «l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza al quale viene impartito un ordine la cui esecuzione costituisce manifestamente reato, non lo esegue e informa immediatamente i superiori».

  • Ad esempio: sarebbe un ordine manifestamente criminoso quello di viaggiare contro mano alla guida della vettura dell’amministrazione. Il subordinato risponderebbe di reati eventualmente conseguenti alla condotta illegittimamente tenuta (lesioni o morte delle persone trasportate sulle auto investite a causa della inosservanza delle norme sulla circolazione stradale).

 

 

     

 

 

La legittima difesa

Questa scriminante rappresenta un residuo di «autotutela» che l’Ordinamento riconosce al cittadino nei soli in casi in cui l’intervento dell’Autorità non può risultare tempestivo. Affinché la condotta non venga punita occorre che vi sia un «pericolo attuale» (per sé stessi o anche per altri) derivante da un’aggressione ingiusta posta in essere da un terzo e che non vi siano altri modi per evitarla, sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa.

In questi casi l’Ordinamento riconosce al soggetto che ha agito una forma di tutela autorizzandolo a reagire nei confronti dell’aggressione con un’azione che normalmente è considerata reato dal Codice Penale. L’azione deve quindi essere necessaria e proporzionata all’offesa. L’Ordinamento precisa che per aggressione si intende qualsiasi offesa di un diritto (personale e/o patrimoniale), ingiusta (contraria al diritto) che si concretizzi in un pericolo attuale. La reazione deve poi essere necessaria (non deve essere possibile un’altra forma alternativa di reazione che sia meno dannosa per l’aggressore) e proporzionata all’offesa (secondo la dottrina più recente la proporzione deve sussistere tra il male minacciato e quello che verrebbe inflitto).

Nei casi previsti dall’art. 614[1], 1° e 2° comma c.p., sussiste il rapporto di proporzione di cui all’art. 52, 1° comma c.p. se taluno legittimamente presente su in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo di coazione, idoneo al fine di difendere:

  1. la propria o l’altrui incolumità;
  2. beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale[2].
Purché vi sia un pericolo attuale per il proprio, ovvero per l’altrui diritto (c.d. soccorso difensivo), il soggetto può agire nei confronti dell’aggressore, con un’azione che normalmente costituisce reato, sempre che tale reazione sia assolutamente necessaria per salvare il diritto minacciato e sia proporzionale all’offesa.

  • Ciò vuol dire, ad esempio, che la difesa è legittima se viene minacciato il diritto alla vita, alla incolumità personale, alla libertà sessuale, alla proprietà, e così via
  • Si pensi ad esempio, al caso dell’autore di un incendio in porto che, per sottrarsi all’identificazione e alla cattura, aggredisce con un coltello e con evidente intenzione omicida un Delegato di Spiaggia che lo ha scoperto. In questa ipotesi, il Delegato che, per bloccarlo, reagisce all’aggressione colpendo a sua volta l’autore del reato, non risponde delle lesioni eventualmente cagionate all’autore del fatto: ciò in quanto la reazione del Delegato di Spiaggia è intervenuta per legittima difesa.

 

 

Perché l’esimente della legittima difesa sia ammissibile occorrono perciò due presupposti essenziali, e cioè:

  1.  l’esistenza di una aggressione ingiusta
  2.  l’esistenza di una reazione legittima.

 


[1] Art. 614 c.p. (Violazione di domicilio) – Chiunque si introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero si introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione fino a 3 (tre) anni. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro la espressa volontà di chi ha diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. Il reato è punibile a querela della persona offesa […]
[2] Questo comma è stato aggiunto dall’art. 1 della legge 13 febbraio 2006, n. 59. 
  

 

Presupposti

Perché l’esimente della legittima difesa sia ammissibile occorrono perciò "due presupposti" essenziali, e cioè:

  1. esistenza di una aggressione ingiusta
  2. esistenza di una reazione legittima.

L’art. 52 c.p. indica in quali casi l’aggressione può definirsi "ingiusta" e la reazione "legittima".

 

 

► Perché l’aggressione possa definirsi "ingiusta" è necessario che:

  1. oggetto dell’offesa sia l’attacco di un diritto di natura personale o patrimoniale[1].
  • Ciò vuol dire, ad esempio, che la difesa è legittima se viene minacciato il diritto alla vita, alla incolumità personale, alla libertà sessuale, alla proprietà, e così via ovvero al passante che interviene per impedire che una ragazza venga sottoposta a violenza (soccorso difensivo).
  1. l’offesa deve essere ingiusta, contraria al diritto.
  • L’offesa è ingiusta quando non è imposta o autorizzata da alcuna norma. Non è ingiusta, ad esempio, l’offesa al bene della libertà personale arrecata dall’U.P.G. che esegue l’ordinanza che dispone la custodia cautelare dell’imputato. Esso agisce infatti nell’adempimento di un dovere. Se l’imputato, per sottrarsi alla cattura, reagisce ferendo l’U.P.G., non può invocare la legittima difesa. La sua reazione, infatti, è posta in essere per difendersi da una aggressione non ingiusta al suo diritto alla libertà.
  1. il pericolo deve essere attuale: il pericolo attuale è solo quello «incombente». non può essere perciò, né quello passato né quello futuro.
  • Ciò vuol dire, ad esempio, che non può sostenere di aver agito per legittima difesa il Comandante di motovedetta della Guardia Costiera che provoca gravi lesioni allo «scafista» dopo che questi si è dato alla fuga abbandonando su di una piattaforma in disuso alcuni profughi albanesi.
    Il comandante della motovedetta, infatti, non reagisce contro un pericolo attuale, ma contro un pericolo «passato» e la sua condotta è assai simile a quella del vendicatore.
  • Non può sostenere di aver agito per legittima difesa, ad esempio, neppure il Pubblico Ufficiale che uccide il pescatore di frode temendo che questi, essendo persona notoriamente pericolosa ed autrice di passate aggressioni nei suoi confronti, possa, da un momento all’atro, mettere nuovamente in pericolo la sua vita. In questo caso, infatti il pericolo è «futuro» e può essere richiesta la protezione dello Stato.
  1. la situazione di pericolo non è stata voluta dall’aggredito: se la situazione di pericolo è stata creata dallo stesso aggredito, egli non può sostenere.
  • Ad esempio, la causa di giustificazione della legittima difesa non spetta né a colui che ha lanciato la sfida né a colui che l’ha accettata. Quest’ultimo, infatti, si è messo volontariamente in una situazione di pericolo nel momento stesso in cui ha accettato la sfida.
    Chi partecipa a una rissa (art. 588 c.p.) lo fa con l’animo di attaccare e non di difendersi. Pertanto, nel caso di una rissa, avvenuta in porto tra passeggeri in attesa di imbarco e i N.O.I.P. della Capitaneria, la legittima difesa può essere invocata solo da chi prova di essersi limitato a parare i colpi degli avversari o di essersi dato alla fuga. Solo in questo caso, infatti, chi ha partecipato alla rissa può dire di non aver voluto la situazione di pericolo.

 

 

► Requisiti della "reazione" perché ricorra tale scriminante, sono:

  1. la reazione legittima: per essere tale la reazione deve cadere sull’aggredito;
  2. la reazione deve presentarsi come necessaria (non poteva essere evitata) ossia il soggetto è nella alternativa tra reagire o subire; occorre inoltre la inevitabilità del pericolo, nel senso che non deve essere possibile evitare altrimenti l’offesa al diritto proprio o altrui;
  3. la difesa deve essere proporzionata all’offesa: proporzione che secondo la dottrina più recente deve sussistere tra il male minacciato e quello inflitto (la giurisprudenza, tra l’altro, suggerisce di tenere conto anche delle condizioni dell’aggredito, ei mezzi di cui disponeva, del tempo e del luogo dell’aggressione, ecc.).
  • Ad esempio, la causa di giustificazione della legittima difesa non può essere invocata dal Comandante di motovedetta della Guardia Costiera che, affrontato e colpito con pugni e schiaffi da uno scafista, pur essendo più forte fisicamente, spara dei colpi di arma da fuco e lo uccide.

 

La reazione è certamente proporzionata e perciò legittima quando il male provocato all’aggressore è inferiore o appena superiore a quello subito.
La proporzione deve sussistere fra il male minacciato e quello inflitto nonché fra i mezzi a disposizione e quelli da lui usati.

  • Nell’ esempio, appena fatto, non vi è proporzione né fra mezzi a disposizione e mezzi usati (mani-arma da fuoco) né fra male minacciato e male inflitto /incolumità-vita).

In via di approssimazione, può dirsi che:

  1. non è consentito aggredire la vita altrui per difendere diritti di natura solo patrimoniale;
  2. la condotta che cagiona la morte di una persona può essere giustificata solo quando è assolutamente imposta dalla necessità di difendersi da una ingiusta violenza.

E’ difficile stabilire in astratto se dall’esempio appena fatto sia o meno applicabile la causa di giustificazione della legittima difesa.

C’è da chiedersi: ma il bene della ”incolumità” del Comandante di motovedetta della Guardia Costiera doveva davvero soccombere rispetto al diritto alla “vita” dello scafista ?
 

A voi la risposta !!

 


[1] E’ un primo elemento che distingue tale scriminante dallo «stato di necessità» che richiede un danno esclusivamente di natura personale.

   
 

Uso legittimo delle armi

Tale scriminante ha natura sussidiaria e si applica solo quando non può trovare applicazione la legittima difesa e l’adempimento di un dovere. Per poter beneficiare della scriminante occorre essere un «Pubblico Ufficiale».

Il Pubblico Ufficiale appartenente alla forza pubblica, è autorizzato a far uso delle armi e degli altri mezzi di coazione fisica (sfollagente, cani, idranti, gas lacrimogeni) quando (art. 53 c.p. e art. 14 Legge 22/5/75, n. 152):

  1. sono in corso una violenza o una resistenza (o comunque impedire la consumazione di uno dei delitti indicati dall’art. 53 c.p.: strage, naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona);
  2. il Pubblico Ufficiale agisce al fine di adempiere un dovere;
  3. l’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica è necessario e proporzionato. 
  • Si pensi ad esempio, al caso del diportista che offende senza alcuna manifestazione di violenza, il comandante della motovedetta della Guardia Costiera che lo ha fermato per il previsto controllo alle dotazioni di bordo. Il comandante non può far uso legittimo di armi, ma non può far uso neppure di altri e meno offensivi strumenti di coazione fisica.

 

 

L’art. 53 c.p., consente infatti l’impiego della forza fisica solo in presenza di alcuni reati ovvero di violenza o resistenza. Il mezzo deve essere, cioè, sempre necessario e proporzionato.

Quella prevista dall’art. 53 c.p. è una causa di giustificazione «propria», nel senso che la possono invocare solo i soggetti da essa stessa indicati.
In primo luogo possono invocarla solo i Pubblici Ufficiali, e neppure tutti: poiché, infatti, come vedremo, la scriminante opera solo quando il  Pubblico Ufficiale fa uso delle armi per adempiere ad un dovere del suo ufficio, in pratica possono invocarla solo quei pubblici Ufficiali che, per motivi di ufficio, possono portare armi senza licenza. E cioè i soggetti indicati nell’art. 73 del Regolamento al T.U.L.P.S. (R.D. 6 maggio 1940, n. 635)[1]

Oltre al Pubblico Ufficiale che può portare armi senza licenza, l’uso legittimo delle armi è applicabile anche a tutti i soggetti che, su legale richiesta del Pubblico Ufficiale, gli prestino assistenza: la richiesta del Pubblico Ufficiale al privato è legale quando è stata fatta nei limiti e nei casi previsti dagli artt. 652 c.p. e 380 c.p.p.
Il legislatore ha, dunque, sancito una «riserva di competenza» a favore del circa le situazioni in cui è legittimo il ricorso all’uso delle armi o da altro mezzo di coazione fisica. In ogni caso la richiesta deve essere formulata espressamente dal Pubblico Ufficiale e deve avvenire prima dell’uso delle armi. Non scrimina, dunque, l’eventuale consenso prestato «a posteriori».
La causa di giustificazione opera sia nel caso in cui il Pubblico Ufficiale abbia personalmente fatto uso delle armi, che nel caso in cui egli abbia ordinato ad altri a far uso delle armi; tuttavia, mentre il Pubblico Ufficiale che fa direttamente uso o ordina di far uso delle armi è scriminato in base all’art. 53 c.p., chi ne fa uso per ordine del superiore è scriminato in base all’adempimento del dovere se ed in quanto ne sussistono i presupposti. 
Condizioni di applicabilità (necessità e resistenza):
La prima condizione richiesta per la sussistenza dell’uso legittimo delle armi è che il soggetto sia determinato dal fine di adempiere un dovere del suo ufficio: l’uso legittimo delle armi deve essere diretto ad eliminare un ostacolo che si è frapposto tra lui e il dovere da adempiere[2].
Inoltre il soggetto deve essere costretto a far uso delle armi dalla «necessità»: con l’espresso richiamo alla necessità il legislatore ha voluto chiarire che, in ogni caso, l’uso delle armi costituisce l’extrema ratio, cui si può fare ricorso soltanto quando il fine non può raggiungersi in altro modo, salvaguardando sempre l’integrità fisica degli individui (ad esempio, ricorrendo all’uso di idranti, lacrimogeni, ecc.). 

► L’uso delle armi viene ritenuto necessario nei casi in cui occorre:

  1. respingere una violenza
  2. vincere una resistenza
  3. impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.

Vi è «violenza» da respingere, quando nei confronti del Pubblico Ufficiale viene impiegata una forza fisica o morale diretta a costringerlo a compiere un atto contrario ai suoi doveri di ufficio o ad omettere il compimento di un atto di ufficio. Non è richiesto che essa configuri il reato previsto dall’art. 336 c.p. (violenza o minaccia a ), essendo sufficiente una qualsiasi violenza, anche fine a se stessa purché si concretizzi in un atteggiamento minaccioso in atto.

  • Ad esempio, si ha «violenza» nel caso in cui alcuni familiari dell’equipaggio di una nave da pesca (sorpresa ad effettuare la pesca mediante materiale esplodente) si introducono negli uffici della Capitaneria di Porto e, sotto la minaccia delle armi, tentano di costringere gli uomini della Guardia Costiera a rilasciare i marittimi appena arrestati: quelle persone, infatti, con il loro atteggiamento intimidatorio, mirano a costringere il Pubblico Ufficiale a commettere un atto contrario ai doveri di ufficio (la liberazione illegittima degli arrestati legalmente).

 

 

Vi è, invece, «resistenza» da vincere, quando da parte di terzi, viene tenuto un atteggiamento diretto ad impedire od ostacolare il Pubblico Ufficiale mentre compie un atto del suo ufficio

  • Si ha, ad esempio, «resistenza» se i membri di equipaggio di altro peschereccio affrontano gli uomini della Guardia Costiera mentre questi effettuano l’arresto dell’equipaggio della motopesca sorpreso nella flagranza dei reato: in questo caso, infatti, l’atteggiamento intimidatorio dei marittimi non mira, come nella violenza, a far assumere ai pubblici Ufficiali una decisione contraria ai doveri di ufficio, ma ad ostacolare l’esecuzione di un atto del loro ufficio (l’esecuzione dell’arresto).

Si discute se nell’ambito della "resistenza" rientri oltre quella «attiva» (che si concreta nell’effettiva opposizione di una forza illegittima) anche quella «passiva» quale l’inerzia o la fuga per impedire al Pubblico Ufficiale di adempiere un dovere di ufficio.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalente la «fuga» costituisce una ipotesi tipica di «resistenza passiva», per cui, in linea generale, si elude il ricorso all’uso delle armi. In tale caso infatti manca un rapporto di proporzione fra l’uso delle armi e il carattere non violento della resistenza opposta.
La giurisprudenza infatti sostiene che l’uso delle armi contro chi si sottrae con la fuga ad una intimidazione o all’arresto non è legittimo, salvo le eccezioni previste da specifiche disposizioni di legge quali quelle in materia di contrabbando, passaggio abusivo delle frontiere, custodia dei detenuti.
L’art. 53 c.p. prende poi in considerazione anche un’altra ipotesi di uso legittimo delle armi. Essa si verifica per impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona (secondo parte della dottrina tale ipotesi ha dato addirittura alla forza pubblica la «licenza di uccidere»).
L’ipotesi è stata introdotta con l’art. 14 della Legge 22 maggio 1975, n. 152 (Legge Reale). Di uso legittimo può parlarsi solo quando tali reati hanno raggiunto la soglia del tentativo e non si è ancora consolidata la lesione degli interessi da essi offesi.

 

 

L’ultimo comma dell’art. 52 c.p. richiama gli altri casi in cui la legge consente l’uso delle armi.

 


[1] I Pubblici Ufficiali appartenenti alla Forza Pubblica: polizia giudiziaria, pubblica sicurezza nonché militari in servizio di pubblica sicurezza.

[2] Vengono esclusi dalla previsione di legge non solo quei casi in cui il soggetto abbia di mira un fine privato (ad esempio, uno scopo di vendetta), ma anche i casi in cui il soggetto abbia per fine l’adempimento di una facoltà e non di un dovere del proprio ufficio.     

 

Uso legittimo delle armi: casi

L’ultimo comma dell’art. 52 c.p. richiama gli altri casi in cui la legge consente l’uso delle armi.
 

  • Rientrano tra essi:
  1. l’uso di armi o di altri strumenti di coazione fisica da parte della forza pubblica per l’esecuzione dei provvedimenti di pubblica sicurezza, quando gli interessati non vi ottemperino (art. 5 T.U.L.P.S.);
  2. l’uso di armi da parte degli Agenti di polizia per impedire i passaggi abusivi delle frontiere dello stato (anche marittime) o per arrestare persone in attitudine di contrabbando (Legge 4.1.1858, n. 100);
  3. l’uso delle armi per impedire le evasioni dei detenuti o la violenza fra i medesimi (art. 41 della Legge 26.7.1975, n. 354).
  4. art. 53 c.p. (Naufragio – Sommersione )

In tali casi, naturalmente, l’uso delle armi è legittimo quando ricorrono le condizioni indicate nelle stesse norme che lo prevedono, senza che siano richieste anche le condizioni di cui all’art. 53 c.p.. In particolare, in materia di contrabbando, passaggio abusivo di frontiere e custodia di detenuti, l’uso delle armi è legittimo anche chi si sottrae con la fuga ad un’intimazione di fermarsi o all’arresto (Cass. 4 febbraio 1982, n. 3722).

 

 

Si rileva come il personale del  Corpo delle Capitanerie di Porto  rientra fra le categorie previste dal D.M. 24.03.94, n° 371, che è esentato – in ragione del rischio professionale cui è esposto - dal pagamento della tassa di concessione governativa per porto d’armi, di cui all’art. 42 del T.U.L.P.S.

  • Impiego ed uso delle armi: casi particolari: detenzione a bordo di navi (art. 170 comma 5° Cod. nav. - art. 10 Legge n. 110/75 - artt. 35 e 38 T.U.L.P.S.)

Il T.U.L.P.S. e le successive disposizioni in materia di armi contemplano alcune ipotesi di esenzione dall’obbligo di denuncia che normalmente grava a carico di chiunque – a qualsiasi titolo – detenga delle armi.
Al riguardo le unità mercantili rientrano fra le “altre istituzioni” che – a norma dell’art.10 della Legge n. 110/75 – sono esentate dall’obbligo di denuncia delle armi di bordo (ivi comprese le pistole Very).
Tale facoltà si evince dal disposto dell’art. 170 comma 6° Cod. nav. laddove riporta che il "Ruolo Equipaggio" (Parte B) deve contenere la descrizione delle armi e munizioni in dotazione alla nave (vedasi altresì Circolare n° 3102710 del 07.09.77 di Maricogecap).
Pertanto tale descrizione dovrebbe essere parimenti riportata nel "Registro Copia Ruoli", ove lo stesso riporta le annotazioni contenute nel Ruolo Equipaggio.
Per quanto concerne invece l’acquisto delle armi medesime, occorre comunque il Nulla-Osta del Questore ai sensi dell’art. 35 T.U.L.P.S.
In ogni caso l’Autorità di P.S. può disporre al riguardo verifiche e controlli nonché le misure cautelari ritenute necessarie a tutela dell’ordine pubblico (art. 38 T.U.L.P.S.).
La detenzione e l’uso in navigazione di pistole lanciarazzi very, i razzi di segnalazione ed altri artifizi usati a bordo per soccorso ed agli stessi assimilabili sono invece disciplinati dall’art. 2 della Legge 18.04.75, n° 110; mentre la vendita degli stessi è sottoposta alle disposizioni di cui all’art. 5 della Legge 08.08.77, n° 533, che pone in carico al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti i criteri per l’abilitazione alla vendita dei suddetti artifizi in ambito portuale.
Quanto sopra oltre alle eventuali norme e disposizioni portuali locali in materia di security.

Per quanto concerne gli "spettacoli pirotecnici" effettuati nell’ambito del demanio pubblico marittimo o all’interno dei bacini portuali, i soggetti che esplicano tale attività devono possedere,rispettivamente: 

  1. autorizzazione di cui all’art. 80 Cod. nav. (se in ambito portuale);
  2. certificato prefettizio di abilitazione tecnica (art.110 Reg. Es. T.U.L.P.S.);
  3. licenza del Questore o dell’Autorità Locale di P.S. (art. 57 T.U.L.P.S.);
  4. autocertificazione attestante il perfetto stato degli artifizi utilizzati (Circ. Min. Interni n° 559/c.25055.XV.A. Mass. del 15.01.01);
  5. utilizzare inoltre artifizi pirotecnici di cui all’Allegato A) (IV° e V° Cat.) del Reg. TULPS;
  6. rispettare le disposizioni di sicurezza su: Area di sparo; Distanza di sicurezza; Zona di sicurezza; Limitazioni di tiro (in caso di vento o condimeteo avverse). Limitazioni di tiro (in caso di vento o condimeteo avverse).

     
 

Stato di necessità

In presenza di un pericolo attuale di un grave danno alla persona, il soggetto interessato può compiere, in danno di un terzo, un fatto previsto dalla legge come reato.

Ai fini della esclusione del reato, occorre che tale comportamento sia necessario per salvarsi, che sia proporzionato al pericolo e che non sia stato posto in essere e/o provocato dal soggetto agente.

Si differenzia dalla legittima difesa per il bene tutelato (solo diritti personali) e per il fatto che il danno non viene provocato all’aggressore ma a un soggetto terzo incolpevole.

L’articolo 2045 c.c. “stato di necessità” stabilisce che “quando chi ha compiuto un fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice”. Il primo comma prevede anche la fattispecie del cd. soccorso di necessità che ricorre quando l’azione lesiva di un interesse protetto proviene non dal soggetto minacciato ma da un terzo soccorritore.

La scriminante consente, quindi, a chi si trova in una situazione di grave pericolo di uscirne, anche e addirittura, commettendo reati a scapito di terzi innocenti (e non aggressori).

  • Si pensi ad esempio, a chi, per mettersi in salvo, spintona e fa cadere (cagionandogli lesioni) un’altra persona che, al pari di lui, sta figgendo da un locale invaso dalle fiamme. 
  • Ad esempio, non è punibile il naufrago che per salvarsi, colpisce un altro individuo che ha tentato di aggrapparsi al suo stesso salvagente capace di sostenere soltanto una persona. L’azione deve essere assolutamente necessaria per salvarsi da un danno grave alla persona e non a qualsiasi diritto altrui.

Ricorrendo il pericolo attuale di un danno grave alla persona (il bene della vita o della incolumità personale) e purché la situazione di pericolo non sia stata causata dallo stesso soggetto (con dolo o colpa), il soggetto può compiere in danno di un terzo un’azione che normalmente costituisce reato, sempre che questa sia assolutamente necessaria per salvarsi e sia proporzionata al pericolo, e sempre che il soggetto non abbia un particolare dovere di esporsi al pericolo stesso (art. 54 c.p.).

  • Non potrebbe, ad esempio, invocare di aver agito in stato di necessità, il comandante di una nave che sacrifica la vita di un passeggero per porsi in salvo sull’unico mezzo di soccorso rimasto ovvero il personale della Guardia Costiera che durante l’opera di salvataggio, si fosse allontanato omettendo così di esporsi a qualsiasi pericolo.

► Perché ricorra lo stato di necessità occorre, dunque:

  1. l’esistenza di una situazione di pericolo attuale, da cui possa derivare un danno grave alla persona la quale non lo abbia causato né sia tenuto ad esporsi;
  2. un’azione lesiva assolutamente necessaria per salvarsi e proporzionata al pericolo.

Come nella legittima difesa anche nell’ipotesi dell’art. 54 c.p. l’azione necessitata può essere determinata dall’esigenza di preservare oltre che un diritto dell’agente un diritto di un terzo.
L’art. 54, 3° comma estende l’ambito della scriminante anche all’ipotesi del costringimento psichico che si ha allorché un soggetto commette un reato perché indotto dalla altrui minaccia.  

 

 

► Tale scriminante si differenzia, però, dalla legittima difesa perché:

  1. lo stato di necessità è previsto solo a salvaguardia di «diritti personali»;
  2. nello stato di necessità la reazione anziché rivolgersi nei confronti dell’aggressore riguarda un «terzo incolpevole»;
  3. infine in tale ipotesi può residuare a carico dell’Agente un «obbligo di indenizare» equamente[1] colui che sia stato danneggiato dalla sua condotta.

L’ultimo comma dell’art. 54 statuisce che, se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.
Tutte le cause di giustificazione hanno perciò limiti di ammissibilità, eccedendo i quali il reato torna a sussistere.
La considerazione introduce ad un tema più generale che è quello del rapporto fra i diritti e i doveri spettanti e incombenti su chiunque svolge funzioni o servizi pubblici.
Lo svolgimento di tali funzioni e servizi dà luogo ad un complesso di «diritti privilegiati», ma, nel contempo, di «obblighi più stringenti».

  • E’ per questo motivo ad esempio, che il codice penale punisce più gravemente chi minaccia un Pubblico Ufficiale (art. 336 c.p.) rispetto a chi minaccia un qualsiasi altro cittadino (art. 612 c.p.) ovvero prevede taluni aggravamenti del reato se il fatto è commesso ai danni di un Pubblico Ufficiale (art. 61, n.9 c.p.).  

Ma è proprio per questo motivo che, all’inverso, il codice punisce più gravemente alcuni fatti se commessi dal anziché dal privato oppure prevede come reati condotte che non sono tali se tenute dal semplice cittadino.

  • Si pensi ad esempio, a quest’ultima ipotesi ai reati di abuso d’ufficio (art. 328 c.p.) ovvero, per la prima al peculato (art. 314 c.p.) e all’appropriazione indebita (art. 646 c.p.): in entrambi i casi può essersi in presenza della stessa condotta di appropriazione di beni della pubblica amministrazione. Ma nel primo caso, poiché la condotta è tenuta dal Pubblico Ufficiale , la legge punisce con una sanzione estremamente più grave.

 


[1] Si parla di «indennizzo» e non di «risarcimento», in quanto l’azione compiuta in stato di necessità è un’azione lecita. L’obbligo di risarcimento, invece, si ricollega al compimento di atti illeciti.

    

Considerazioni finali

Le «cause di giustificazione» (o esimenti) vanno distinte dalle «cause di esclusione della colpevolezza» (o scusanti) e dalle «cause di non punibilità» in senso stretto.

  • Le "cause di giustificazione", infatti, escludono l’antigiuridicità del fatto e rende inapplicabile la sanzione (es. legittima difesa). Tali cause vengono applicate a tutti coloro che hanno preso parte alla realizzazione del fatto.
  • Le "cause di esclusione della colpevolezza", invece, lasciano integra l’antigiuridicità o la illiceità oggettiva del fatto e fanno venir meno solo la possibilità di muovere un rimprovero al soggetto agente. Rientrano in tali cause tutte quelle situazioni in cui il soggetto agente commette un reato in quanto costretto da pressioni psicologiche che gli coartano la volontà. Il soggetto agisce quindi in difetto del richiesto elemento soggettivo. Proprio per tale ragione, tali circostanze operano solo se conosciute dal soggetto e, poiché lasciano integra l’illeceità del fatto, operano solo a vantaggio del soggetto agente e non possono essere applicabili ad altri eventuali soggetti che hanno contribuito alla realizzazione del fatto.
  • Le "cause di esenzione da pena" invece consistono in circostanze che lasciano sussistere sia l’antigiuridicità sia la colpevolezza. La ragione dell’esistenza di tali cause va ricercata nelle ragioni di opportunità circa la necessità o la meritevolezza di pena, avuto anche riguardo all’esigenza di salvaguardare contro-interessi che risulterebbero altrimenti lesi, da un’applicazione ella pena nel caso concreto. Anche tali circostanze non possono essere applicate ai correi.

 

Forme di manifestazione del reato

Il reato può presentarsi in "forme diverse". La più semplice è (e, si potrebbe dire, prototipica) costituita dalla consumazione da parte di un singolo autore: in questo caso il soggetto realizza da solo e compiutamente la fattispecie incriminatrice (ad esempio, cagiona la morte di un uomo), in assenza di cause dei giustificazione e con la colpevolezza necessaria a fondare la responsabilità. Il reato può tuttavia manifestarsi in forme diverse che attengono:

  1. alla sua gravità, per la presenza di circostanze attenuanti o aggravanti, che, attribuendo rilevanza ad elementi diversi od ulteriori rispetto a quelli costitutivi, incidono sul livello (quantitativo) della responsabilità,
  • Così, ad esempio, l'omicidio può essere commesso in risposta ad una provocazione: ricorre in tal caso l'attenuante dell'art. 62, n. 2 c.p.; o per motivi futili: ricorre in tal caso l'aggravante dell'art. 61 n. 1 c.p. 
  1. al grado della sua realizzazione, quando la condotta del reo non abbia realizzatocompiutamente la fattispecie incriminatrice di parte speciale, ma si sia risolta infatti chedeterminano il pericolo di tale realizzazione, e cioè nel tentativo di commettere il reato.
  • Si pensi ad esempio, a Tizio che spara a Caio per ucciderlo, ma Caio resta solo ferito. 
  1. il numero delle persone intervenute nella commissione del reato, quando il soggetto non abbia agito da solo, ma in concorso di persone, e cioè avvalendosi del contributo di altri soggetti.
  • Ad esempio, Tizio fornisce a Caio l'arma per uccidere Sempronio: Tizio e Caio concorrono nell'omicidio.

 

 

In riferimento a queste forme di manifestazione si distingue perciò il reato:

  1. reato semplice dal reato circostanziato;
  2. reato consumato dal reato (rectius: delitto) tentato;
  3. reato monosoggettivo dal concorso di persone nel reato.

 

Reato circostanziato

Il Codice penale utilizza con frequenza l'espressione «circostanza» riferendola indiscriminatamente alle circostanze aggravanti o attenuanti ed alle circostanze di esclusione della pena (art. 59 comma 1 c.p.).

In senso tecnico, il termine «circostanza» è riservato invece alle sole "circostanze aggravanti o attenuanti", che possono essere definite come gli elementi accidentali o accessori del reato, i quali, senza influire sulla sua esistenza giuridica, modificano l'entità della pena, in termini quantitativi ovvero anche qualitativi (comportando, cioè, il passaggio da una specie di pena ad un'altra: ad esempio, art. 703 commi 1 e 2 c.p.).

Le circostanze in quanto "elementi accessori" del reato, a differenza degli elementi essenziali (oggettivo e soggettivo), non sono indispensabili per l'esistenza del reato (che di per sè, nella sua struttura, è perfetto), ma si limitano ad incidere sulla sua gravità. La loro presenza trasforma il reato da «semplice» in «circostanziato», determinando una modificazione della pena, generandone un aggravamento e/o una riduzione.

 

 

Tali circostanze hanno la funzione di ridurre il divario tra l’astrattezza della norma di reato e la varietà delle situazioni in cui la condotta incriminata viene posta in essere.
La loro principale funzione è quella di “
adeguare la pena al caso concreto“ attribuendo rilevanza a fattori e situazioni, diversi dagli elementi essenziali, la cui presenza accresce o diminuisce il disvalore sociale del fatto e giustifica quindi un aggravamento o una attenuazione della sanzione prevista per il reato semplice (non circostanziato).

  • Ad esempio, un furto resta sempre tale, sia che si riferisca ad un'ingente somma o a pochi spiccioli, che sia commesso per donare ai poveri o per finanziare un sequestro di persona. Resta tale sia che determini un danno patrimoniale di speciale tenuità (come il furto di una mela) sia che preveda una rilevante organizzazione e cagioni ingenti danni (come il furto nel caveau di una nave). 

Per adeguare la sanzione penale all’effettiva gravità del fatto, interviene allora la previsione delle circostanze: che saranno «attenuanti», nel caso in cui il furto è stato commesso per finalità umanitarie o quando trattasi del furto di una mela (rispettivamente quelle degli artt. 62 nn.1 e 4 c.p.) e, «aggravanti», allorché il furto è stato commesso per acquisire l’arma o per il furto nel caveau.

Da qui una prima distinzione delle circostanze a seconda che importino un aumento o una diminuzione (di regola fino a un terzo) della pena prevista per il reato:

  1. aggravanti (art. 61 c.p. - determinano una minore gravità del reato comportando una diminuzione della pena);
  2. attenuanti (art. 62 c.p. - determinano una maggiore gravità del reato e, conseguentemente, un aumento della pena).

 

Oltre che in aggravanti e attenuanti (che, cioè, come si è detto, comportano un aumento o una diminuzione della pena prevista per il reato semplice) le circostanze possono distinguersi in:

  1. oggettive  e soggettive
  2. comuni  e speciali
  3. ad effetto comune  o ad effetto speciale

Quando il reato è circostanziato, la pena si applica tenendo conto dei criteri di calcolo e di valutazione espressamente indicati negli artt. 59-60, 63-69 c.p. Le circostanze attenuanti, se esistenti, sono sempre valutate a favore dell’autore del reato anche se egli ne ignorava l’esistenza ed anche se le riteneva insussistenti; quelle aggravanti, sono valutate a carico dell’autore del reato solo quando egli ne conosceva l’esistenza o la ignorava per colpa (art. 59 c.p.).

  • Ad esempio, se un ladro ruba, senza saperlo, un quadro di grande valore non si applica allo stesso l'art. 61 n. 7 c.p. Di contro se sottrae il quadro credendolo di grande valore e che, in realtà è una pessima imitazione dell'originale, al ladro si applica l'attenuante dell'art. 62 n. 4 c.p.

Le osservazioni svolte a proposito delle circostanze del reato, sono importanti anche al fine di determinare la pena in funzione della competenza del Giudice o del Pubblico Ministero (art. 4 e 51 c.p.) ovvero la pena per procedere all’arresto in flagranza e al fermo di indiziato di delitto (artt. 379, 278 c.p.p.).
Quando il reato è circostanziato, la pena si applica tenendo conto di specifici criteri di calcolo e di valutazione. E’ di particolare importanza il potere, attribuito al Giudice, di procedere al «
giudizio di comparazione» fra le circostanze aggravanti ed attenuanti. Si mettono sulla bilancia (art. 113 c.p.) le aggravanti da una parte e le attenuanti dall'altra e se ne pesa la rispettiva rilevanza. Se il giudizio è di “equivalenza”, la pena viene stabilita come se si trattasse di reato semplice. Se è di “prevalenza”, delle aggravanti o delle attenuanti, il calcolo va fatto tenendo conto delle circostanze ritenute prevalenti (le altre vengono praticamente cancellate).

Peraltro il legislatore è incline ad escludere il giudizio di comparazione per i reati di maggiore gravità e in particolare per i reati terroristici e per quelli relativi ad organizzazioni di tipo mafioso e nelle ipotesi di reati a grave allarme sociale come l'omicidio nei confronti di un congiunto (genitore, fratello o sorella).

     
 

Circostanze aggravanti

Sono elementi di fatto o situazioni che possono accompagnare l'azione o l'omissione illecita prevista come reato che il legislatore ha preso in considerazione come motivo di «inasprimento» della pena (aumento della pena o applicazione di una pena di specie diversa e più grave).
Si distinguono in circostanze «
aggravanti comuni» e «aggravanti specifiche o speciali», a seconda che si tratti di circostanze applicabili, in linea di principio, a qualsiasi reato (artt. 61 e 62 c.p.), ovvero riferibili a un singolo reato o gruppi di reati (artt. 576, 577 e 625 c.p.).

L’articolo 61 c.p. “circostanze aggravanti comuni” prevede 11 aggravanti e sono:

  1. aver agito per motivi abietti o futili: è abietto il motivo turpe, ignobile, che rivela nell’agente un tale grado di perversità, da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità. Il motivo è futile allorché sussista una notevole sproporzione tra il movente e l’azione delittuosa. Tale circostanza non è compatibile con l’attenuante della provocazione e con il vizio parziale di mente;
  2. aver commesso il reato per eseguirne un altro o occultarne un altro ovvero conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato: ha natura soggettiva e si giustifica sulla base della maggiore pericolosità evidenziata dal soggetto agente;
  3. avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento: è la tipica ipotesi di colpa cosciente o con previsione;
  4. avere adoperato sevizie o l’aver agito con crudeltà verso le persone: sulla base di quanto disposto dalla giurisprudenza, per sevizie si intendono le inflizioni corporali non necessarie alla realizzazione del reato mentre per crudeltà si intendono le inflizioni morali che oltrepassano il limite del normale sentimento di umanità e che appaiono superflue rispetto ai mezzi necessari per l’esecuzione del reato;
  5. aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolarne la pubblica o privata difesa: ha natura oggettiva e presuppone che la consapevolezza da parte del soggetto agente, della situazione di vulnerabilità in cui versa il soggetto passivo;
  6. aver il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di carcerazione, spedito per un precedente reato: ha natura soggettivo ed è generalmente meglio conosciuta con il termine di latitanza e la giustificazione dell’esistenza della circostanza deve essere ricercata nella accentuata volontà di ribellione da parte del reo che si manifesta nel fatto di commettere un nuovo reato dopo essersi sottratto al potere coercitivo dello Stato;
  7. avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero dei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità; la circostanza ha natura oggettiva.
  8. aver aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso: si tratta di una condotta autonoma rispetto a quella che dà vita al reato. Occorre che ci sia la volontà del reo di aggravare l’evento;
  9. aver commesso il fatto con abuso di poteri, o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto: ha natura soggettiva e per la sussistenza della circostanza è necessario che la qualifica abbia in qualche modo agevolato l’esecuzione del reato. L’aggravante non può trovare applicazione se il reato non è doloso. Si applica solo se la effettivamente conosciuta e voluta;
  10. aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio: la circostanza ha natura oggettiva e prevede una tutela per determinati soggetti e ciò in considerazione dello speciale ruolo rivestito;
  11. aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazione di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità: ha natura soggettiva e consiste nel fatto di aver commesso un reato abusando della fiducia del soggetto passivo. Ai fini dell’applicazione della circostanza, la relazione deve ritenersi presunta e non va di volta in volta provata.

A norma dell’art. 1 DL. 625/79, è prevista un ulteriore aggravante comune per tutti i reati dolosi ovvero quella di "aver commesso il fatto per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico"

► Esemplificando:

  • Agisce, ad esempio, per futili motivi chi uccide per un sorpasso stradale; adopera sevizie chi tortura la vittima del sequestro; è commesso per eseguire un altro reato, il furto di un natante che dovrà essere utilizzato per un traffico illecito si stupefacenti; commette il reato per occultarne un altro chi, dopo aver ucciso, nasconde il cadavere; è aggravato l'omicidio del testimone se il rapinatore lo commette per impedire che il testimone possa riconoscerlo (il rapinatore vuole infatti assicurarsi l'impunità del reato di rapina) ed infine viene danneggiata l'auto di un Pubblico Ufficiale o Ufficiale e Agente di polizia giudiziaria perché questi non prosegua le indagini su un certo reato: il danneggiamento è aggravato perché commesso a causa dell'adempimento delle funzioni esercitate dal Pubblico Ufficiale (art. 61 n. 10).

Possono indicarsi quali esempi di circostanze aggravanti specifiche quelle previste per i delitti contro la vita (aver agito contro il coniuge, i familiari, con premeditazione, ecc.) e la incolumità (aver agito con armi, aver cagionato lesioni gravi o gravissime...) ecc.

  • Tipici esempi di circostanze speciali sono quelli previsti dall'art. 625 c.p. per il reato di furto (furto in abitazione, scippo con destrezza, borseggio, ecc.) o dagli artt. 576 e 577 c.p. per il reato di omicidio (contro il genitore o il figlio; con premeditazione; contro il coniuge; con l'uso di veleni, ecc.) ovvero per il reato di incendio (art. 423 c.p.) che è aggravato se commesso su edifici pubblici o destinati ad uso abitazione, su boschi, su navi o altri edifici natanti o aeromobili, ecc. (art. 425 c.p.)

    

Circostanze attenuanti

Sono elementi di fatto non essenziali per la configurazione del reato e dei quali il Giudice può tenere conto per diminuire la pena o per irrogare una pena di specie meno grave.

La legge prevede tre specie di attenuanti e cioè quelle «comuni» di cui all'art. 62 c.p.; quelle «generiche» di cui all'art. 62 bis c.p. e quelle «speciali», previste cioè per singole figure di reato.

L'articolo 62 c.p. “circostanze attenuanti comuni” prevede 6 attenuanti e sono:

  1. aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale: ha nauta soggettiva e il movente deve essere apprezzabile alla stregua degli atteggiamenti etico - sociali prevalenti;
  2. aver agito in stato d’ira, determinato da un fatto ingiusto altrui: ha natura soggettiva ed è meglio conosciuta come attenuante della provocazione. La circostanza è caratterizzata dall’esistenza del carattere soggettivo (stato d’ira) e da quello oggettivo (fatto ingiusto ovvero contrario alle norme dell’Ordinamento e dall’insieme delle regole sociali vigenti nel contesto sociale di riferimento);
  3. aver agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’Autorità e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale o delinquente per tendenza: ha natura soggettiva. La circostanza risente dell’influsso esercitato da determinate concezioni psicologiche dell’epoca positivistica;
  4. aver, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’aver agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità: ha natura oggettiva ed è stata in parte modificata dalla L. 19/1990;
  5. essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa: ha natura oggettiva. La circostanza prevede due elementi: uno materiale (inserimento dell’azione dell’offeso nella serie delle cause che determinano l’evento) e uno psichico (volontà di concorrere alla produzione dell’evento medesimo);
  6. aver, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’art. 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato: ha natura soggettiva e prevede due diverse ipotesi accomunate dalla circostanza del ravvedimento del reo successivamente alla commissione del reato e comunque prima dell’inizio del giudizio.

Costituiscono le circostanze generiche quelle che il Giudice indipendentemente dalle attenuanti previste nell'art. 62, può prendere in considerazione qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. 

  • Può farsi rientrare fra le circostanze «attenuanti comuni» anche la diminuente della minore età (art. 98 c.p.)
     

     

Circostanze attenuanti generiche

La legge n. 288/1944 ha introdotto l’art. 62 bis c.p. che, nel 2005 è stato sostituito dalla L. 251 (meglio conosciuta come Legge Cirielli) con la attuale disposizione.

Il primo comma di detto articolo, stabilisce che “il Giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, coma una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62”.

La legge Cirielli ha quindi previsto l’applicabilità delle attenuanti generiche (ovvero delle circostanze diverse da quelle previste dall’art. 62 del c.p.) nel caso in cui il Giudice le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Tra gli elementi a disposizione del Giudice ai fini della valutazione vi è la gravità del reato, la capacità di delinquere del reo ecc.

 

Classificazione delle circostanze

► Circostanze oggettive e soggettive

Le circostanze «oggettive» come statuisce l'art. 70 c.p., sono quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione (ad esempio, art. 61 n. 4 c.p.), la gravità dell'offesa (ad esempio, art. 61 n. 7 c.p.) e le condizioni o qualità della persona offesa (ad esempio, art. 61 n. 10 c.p.)

  • Ad esempio, è oggettiva la circostanza che consiste nell'aver agito con sevizie e crudeltà nei confronti della vittima (art. 61 n. 4 c.p.); o nell'aver arrecato un danno patrimoniale ingente (art. 61 n. 7 c.p.) ovvero nell'ave commesso il fatto in danno di in Pubblico Ufficiale (art. 61 n. 10 c.p.).

Sono «soggettive», quelle riferite alla graduazione dell'elemento soggettivo e che concernono cioè l'intensità del dolo o il grado della colpa (ad esempio, art. 61 n. 3 c.p.), le condizioni o qualità del colpevole (ad esempio, art. 61 n. 9 c.p.), i rapporti tra colpevole e offeso (ad esempio, art. 577 n. 1 c.,p.), o inerenti alla persona del colpevole e cioè che riguardano «la imputabilità e la recidiva» (ad esempio, artt. 98 comma 1 e 99 c.p.

  • Ad esempio, è soggettiva la circostanza che consiste nell'aver agito con colpa cosciente (art. 61 n. 3 c.p.); o con abuso dei poteri di un Pubblico Ufficiale (art. 61 n. 9 c.p.); o ai danni del genitore o del figlio (art. 577 n. 1 c.p.. Tra le circostanze inerenti alla persona del colpevole, la più importante è la recidiva (art. 99 c.p.)

Le circostanze soggettive non si estendono ai concorrenti nel reato (artt. 60 e 118 c.p.). 

► Classificazione delle Circostanze: ad effetto comune e ad effetto speciale

Le circostanze possono distinguersi, ancora, in: circostanze ad «effetto comune» e ad «effetto speciale».
Sono «
ad effetto comune», le circostanze che comportano un aumento o una diminuzione non superiore ad un terzo della pena-base indicata dal codice, il che avviene anche quando il legislatore tace sull’efficacia della circostanza (v. ad esempio, artt. 61, 62, 339 n. 1 c.p.).
Ogni qual volta la legge si limita a prescrivere che la pena sia aumentata o diminuita, senza indicarne l'entità, si intende che l'aumento sia fino ad un terzo e si è in presenza quindi di circostanze ad effetto comune.

  • Sono ad esempio, circostanze ad effetto comune quelle di cui agli articoli 61 e 62 c.p. e degli art. 1120, comma 4 (Ubriachezza) e artt. 1148 (Furto commesso a bordo da componente dell’equipaggio) e 1152 (Tratta e commercio di schiavi) del Cod. nav.

Sono «ad effetto speciale», quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo della pena-base (v. ad esempio, artt. 99 n. 3, 424 n. 2, 628 n. 3 c.p.

  • Sono ad esempio, circostanze ad effetto speciale, le aggravanti del furto e della rapina, previste rispettivamente dall’art. 625 e dall’art. 628 comma 3 c.p. In entrambe le situazioni l’aumento della pena è superiore ad un terzo.

L’art. 624 c.p. punisce il furto con la reclusione fino a 3 anni e con la multa da 30 a 516 €.
L’art. 625 c.p. (circostanze aggravanti) punisce il furto se il fatto è commesso con destrezza ovvero strappando di dosso alla persona o di mano la cosa, con la reclusione da 1 anno a 6 anni e la multa da 103 a 1032 €.

  • Ad esempio, l’art. 339 c.p. che riguarda le circostanze aggravanti per i reati di violenza, minaccia e resistenza a un Pubblico Ufficiale prevede sia circostanze ad effetto comune che ad effetto speciale. 
     

    

Valutazione delle circostanze

Nella vecchia formulazione dell’art. 59 c.p. “Circostanze non conosciute o erroneamente supposte” (rimasta in vigore fino al 1990) le circostanze venivano attribuite in base a un criterio obiettivo per cui esse, sostanzialmente, venivano riconosciute e ciò a prescindere dall’effettiva conoscenza (o meno) del soggetto agente e se il soggetto si rappresentava per errore come esistente una circostanza, questa non veniva valutata né a suo carico né a suo favore. Si trattava di una disciplina rigida che prevedeva l’applicazione di tali circostanze per il solo fatto di esistere.
Nel 1990 poi è entrata in vigore la
Legge 7 febbraio 1990 n. 19 “Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale e destituzione dei pubblici dipendenti” che ha riformulato (modificandolo) l’art. 59 del c.p. e ha stabilito che “le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”.
Il legislatore ha quindi previsto un nuovo criterio di imputazione delle circostanze, più precisamente per quelle aggravanti, che da oggettivo è stato modificato in soggettivo. Pertanto, perché tali circostanze possano essere riconosciute, occorre un coefficiente soggettivo rispettivamente costituito o dallo loro effettiva conoscenza o dallo loro colpevole ignoranza. Inalterata è invece rimasta la disciplina per l’applicazione delle circostanze attenuanti (imputazione obiettiva).
Pertanto l’applicazione delle circostanze aggravanti dipende dall’effettiva conoscenza delle stesse da parte del reo al momento della commissione del reato (o comunque dal fatto che le stesse sono state ignorate per colpa o per errore determinato da colpa) mentre l’applicazione delle circostanze attenuanti non dipende dall’effettiva conoscenza del soggetto.
La modifica introdotta trova ispirazione al principio (tutelato dalla Costituzione) della colpevolezza e per la soggettività della responsabilità penale.
Una disciplina particolare è prevista per l’ipotesi di errore sulla persona offesa da un reato. Il primo comma dell’
articolo 60 c.p. “Errore sulla persona dell’offeso” stabilisce infatti che “nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole” e al secondo comma “sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti”.

  • Il tipico caso è quello di un uomo che convinto di uccidere il suo nemico, per un errore di percezione, uccide un uomo che in realtà è il padre. Di certo l’uomo risponderà di omicidio semplice ma non certo di parricidio giacché per la contestazione di tale tipo di reato occorre la effettiva consapevolezza da parte del soggetto agente di uccidere il proprio padre.

 

 

Reato tentato o consumato

A seconda del grado di realizzazione, il reato si distingue in «consumato» o «tentato».

Il reato è «consumato», quando l’autore realizza completamente gli elementi essenziali previsti dalla norma.

  • Ad esempio, un omicidio volontario è consumato quando l’autore di esso cagiona, con la sua condotta, l’evento-morte dell’avversario. Nell’evasione, che è reato di pura condotta, e che prescinde dalla realizzazione dell’evento, la consumazione del delitto coincide con il momento in cui l’autore del fatto si sottrae alla sorveglianza di chi era adibito alla sua custodia. Il naufragio o la sommersione di una nave è consumato quando l’autore di esso compie atti diretti a far naufragare la nave o ne determina la perdita (art. 429 c.p.).

La legge penale punisce non solo chi realizza un delitto completo di tutti i suoi elementi essenziali ma anche chi compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica: in tali casi si parla di delitto tentato (art. 56 c.p.).

Il delitto «tentato» è, quindi, quello che non realizza pienamente il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice e che, per cause indipendenti dalla volontà del suo autore, si «blocca», invece, in una fase precedente a tale realizzazione.

 

 

 

► I presupposti del delitto tentato sono:

  1. il compimento di atti idonei (ossia adeguati rispetto allo scopo che l’autore del reato si era prefissato);
  2. la direzione degli stessi univoca (non equivoca) verso il compimento del delitto (ossia gli atti debbono essere in grado di evidenziare in modo certo, l’intento avuto di mira dall’autore del fatto);
  3. il mancato compimento dell’azione collegata a cause indipendenti (estranee) dalla volontà del soggetto agente.
  • Ad esempio, Tizio cosparge di benzina un' unità da diporto per poi appiccare il fuoco e causare l’incendio, ma è costretto a interrompere l’azione (fugge) perché sopraggiungono i proprietari; oppure, Tizio dà fuoco alla benzina cosparsa, ma l’incendio non si verifica per un improvviso temporale (artt. 56 e 423 c.p.).

I requisiti della idoneità e della univocità degli atti richiesti dalla legge per la configurabilità del tentativo, devono essere necessariamente presenti entrambi e non possono essere alternativi.
Non è sempre facile stabilire quando si è in presenza di un reato tentato (o tentativo). Prima della consumazione (o dell’inizio di essa nei reati permanenti), la commissione del reato (doloso) è infatti normalmente preceduta da una sequenza articolata di atti: tali atti, però, possono dar luogo al tentativo solo quando si collocano in una determinata fase del procedimento criminoso ed hanno determinate caratteristiche.

 

Le fasi del reato doloso

I requisiti della idoneità e della univocità degli atti richiesti dalla legge per la configurabilità del «tentativo», devono essere necessariamente presenti entrambi e non possono essere alternativi. Non è sempre facile stabilire quando si è in presenza di un reato tentato (o tentativo). Prima della consumazione (o dell’inizio di essa nei reati permanenti), la commissione del reato (doloso) è infatti normalmente preceduta da una «sequenza articolata di atti»: tali atti, però, possono dar luogo al tentativo solo quando si collocano in una determinata "fase del procedimento criminoso" ed hanno determinate caratteristiche.

► Tipicamente la commissione di un reato si articola nella:

  1. fase di ideazione (nei reati dolosi)
  2. fase di preparazione
  3. fase di esecuzione

La «fase di ideazione» è quella che si svolge nella mente dell’autore del fatto e consiste nel concepire il proposito criminoso e nel decidere di realizzarlo. E’ riscontrabile solo nei reati dolosi.
Se alla risoluzione di commettere il reato, non segue la sua concreta realizzazione, il soggetto non è punibile. Al più, potrà essere sottoposto ad una misura di sicurezza quando la risoluzione consiste in un accordo con altre persone per commettere un reato (art. 115 c.p.).

La «fase di preparazione» è quella caratterizzata dalla predisposizione dei mezzi e dalla ricerca delle occasioni.

La «fase di esecuzione», infine, è quella della realizzazione del progetto criminoso. Il suo epilogo è rappresentato dalla «consumazione».

Il tentativo si colloca tra la fase della preparazione e quella dell’esecuzione.

Da un punto di vista sostanziale, il delitto tentato ha dunque un più basso livello di offensività rispetto al delitto consumato ed è perciò punito meno severamente.

  • Ad esempio, quando si tratta di un delitto tentato, la pena è: non inferiore a 12 anni di reclusione se, per il delitto consumato, è quella dell’ergastolo; diminuita da un terzo a due terzi se, per il delitto consumato, è prevista una pena diversa da quella dell’ergastolo.

Si pensi, allora, a un delitto punito da 3 a 12 anni di reclusione: se si tratta di delitto solo tentato, la pena potrà variare da 1 anno (massima diminuzione nel minimo) a 8 anni di reclusione (minima diminuzione nel massimo).

 

 

Va ricordato, che il tentativo non è compatibile con tutti i reati. La legge punisce il tentativo solo rispetto ai "delitti dolosi" (non anche rispetto a quelli colposi ed alle contravvenzioni), in quanto richiede il compimento di “atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto” e con pene ovviamente minori rispetto a quelle previste per il delitto consumato.
Il tentativo non è poi compatibile con i delitti di attentato. In questi, infatti, vi è un’anticipazione della soglia della punibilità e gli atti idonei ed univoci che negli altri reati consentono la configurabilità del delitto tentato integrano qui il reato consumato.

► Riassumendo:

Il tentativo non è compatibile:

  1. con le contravvenzioni;
  2. con i delitti colposi (la direzione univoca degli atti è incompatibile con un atteggiamento solo colposo: che prescinde cioè dalla volontà della condotta e dell’evento);
  3. con i delitti di attentato (essendo reati a consumazione anticipata vi è una anticipazione della soglia della punibilità e quindi gli “atti idonei ed univoci” che negli altri reati configurano il delitto tentato integrano qui il reato consumato).

 

Compartecipazione di persone

Un reato può essere commesso da una o più persone. Nel primo caso si è in presenza di un reato "mono-soggettivo"; nel secondo, del cosiddetto "concorso di persone" nel reato (art. 110 c.p. e seguenti) quando esse forniscono consapevolmente un contributo rilevante alla sua realizzazione.

►  I requisiti del concorso di persone si possono così riassumere:
 

  1. una pluralità di soggetti;
  2. la realizzazione degli elementi oggettivi del reato;
  3. il contributo di ciascun concorrente alla realizzazione del reato comune;
  4. la colpevolezza (la consapevolezza e volontà di concorrere con altri alla realizzazione di un fatto criminoso).

► Il concorso può essere:

  1. materiale
  2. morale

Il concorso è «materiale», quando il concorrente compie alcuno od alcuni degli atti che costituiscono l’elemento oggettivo del reato.

  • Si pensi ad esempio, a due persone che incendiano insieme un peschereccio perché una fornisce la benzina e l’altra lo incendia.

 

 

Nell’ambito del concorso materiale e a seconda del «ruolo», ricoperto, si distingue tra: 

  1. autore: è colui che esegue il reato;
  2. coautore: è colui che con altri esegue il reato;
  3. complice: è colui che partecipa al reato fornendo all’autore un aiuto materiale nella fase della preparazione o di esecuzione.
  • Ad esempio, nell’omicidio è autore colui che esplode i colpi all’indirizzo della vittima; è coautore colui che trattiene la vittima, mentre l’autore vibra i colpi di coltello; ed, infine, è complice colui che fornisce il veleno per la commissione del delitto.

Il concorso è, invece, «morale», quando il contributo causale del concorrente consiste nel dare impulso psichico al proposito criminoso di chi materialmente partecipa alla commissione del reato.

  • Si pensi ad esempio, a Tizio che dà incarico a Caio di incendiare un natante: anche Tizio risponde dell’incendio perché ha determinato o istigato Caio alla commissione del fatto.

Nel caso del concorso morale, la partecipazione criminosa assume le forme della «determinazione», e della «istigazione».

  • Tipico esempio, di determinatore è il mandante del reato (colui che, nel furto, individua l’obiettivo e recluta gli autori materiali; oppure, nell’omicidio, colui che reperisce il sicario).

E’, invece, un semplice istigatore colui che con altri partecipa alla decisione di commettere un reato; oppure colui che, prima dell’omicidio, promette all’autore materiale che lo aiuterà ad occultare il cadavere della vittima o colui che, prima della rapina, si accorda con i rapinatori per la consegna o lo smercio del bottino rapinato.

Il concorso di persone è configurabile anche nei reati colposi. Si denomina allora cooperazione nel delitto colposo (art. 113 c.p.), e si verifica quando ciascuno dei soggetti (cooperanti) sono consapevoli di partecipare all’azione od omissione che, assieme alla sua condotta, è causa dell’evento non voluto.

  • Si pensi ad esempio, a Tizio che istiga Caio a violare i limiti di velocità in prossimità di una scogliera frequentata da bagnanti per raggiungere al più presto il luogo di battuta di pesca. Se Caio, cagiona la morte di un sub, Tizio risponde di omicidio colposo a titolo di cooperazione colposa.
  • Analogamente può dirsi per l’ipotesi in cui l’abilitato alla condotta di una imbarcazione da diporto affida ad altra persona, che sa privo di patente, il proprio mezzo. Se questi, a causa della inesperienza nella guida, cagiona la morte di un bagnante, anche l’abilitato risponde di omicidio colposo a titolo di cooperazione colposa.

    

Il concorso di reati

Può dirsi che si ha «concorso di reati» nel caso in cui una persona che ha violato più volte (violazione plurima) la legge penale, deve rispondere nello stesso tempo di più reati.

Non si ha concorso di reati nei casi in cui la legge, nella previsione tipica della singola norma incriminatrice, fa rientrare più fatti che, singolarmente considerati, costituiscono reati diversi.

  • Come ad esempio, la rapina che comprende le fattispecie del furto e della violazione privata.

La violazione plurima della legge penale può peraltro intervenire con forme e modalità diverse e, talvolta, può essere solo apparente (in quanto sostanzialmente si viola un’unica norma).
Il concorso di reati assolve la funzione di limitare l’entità della pena da applicare a chi deve essere giudicato per più reati.

  • Quanto alla disciplina del concorso di reati, sono concepibili in astratto "tre sistemi":
  1. assorbimento, in virtù del quale si applica solo la pena prevista per il reato più grave;
  2. cumulo materiale, per il quale si applicano tante pene quanti sono i reati commessi;
  3. cumulo giuridico, per il quale si applica la pena prevista per il reato più grave, aumentata proporzionalmente alla gravità delle pene previste per gli altri reati: la pena complessiva risulta però inferiore al cumulo materiale.

Quando un soggetto deve rispondere di più reati, si verifica il concorso di reati, che può essere: formale o materiale

  • E' «formale» allorché la pluralità di violazioni corrisponde ad una sola condotta.
  • E' «materiale» (o reale) allorché la pluralità di violazioni della legge penale corrisponde ad una pluralità di condotte.

In entrambe le forme il concorso può può essere «eterogeneo» od «omogeneo», a seconda che si tratti della violazione della stessa disposizione incriminatrice o di disposizioni diverse.

     

Concorso apparente

Si verifica quando più norme appaiono, prima facie, applicabili ad un medesimo fatto avente rilevanza penale, mentre una soltanto di esse risulta applicabile. Ciò avviene o perché è la legge stessa ad escludere l'applicazione di una delle disposizioni concorrenti oppure perché l'applicazione di una soltanto risulta dall'operatività dei principi di specialità, di consunzione o di assorbimento.

Le disposizioni sul concorso di reato e, in particolare, sul concorso formale eterogeneo (art. 81 c.p.) non si applicano quando la pluralità delle violazioni alla legge penale è solo apparente. La circostanza che una sola condotta integri più figure di reato, non importa necessariamente, infatti, una pluralità di violazioni e, quindi, un concorso di reati; ma può importare, anche e soltanto, un semplice concorso apparente di norme che si risolve applicando al fatto concreto, e in base al principio di specialità fissato dall'art. 15 c.p., una soltanto delle figure di reato che la condotta ha concretato.

Per fare un esempio, in ipotesi di delitto di rapina risulterebbero contemporaneamente applicabili altresì le norme sul furto e quelle sulla violenza privata. La specialità della previsione criminosa avente per oggetto la rapina comporta che si applichi, per contro, la sola disposizione che prevede questo delitto.

► Presupposti sono:

  1. una pluralità di norme: può trattarsi di norme incriminatrici, scriminanti, esimenti, circostanzianti, ecc.;
  2. la identità del fatto contemplato da tali norme
  • Si pensi, per esempio, al caso in cui un soggetto compie un sequestro di persona per conseguire un profitto ingiusto come prezzo della liberazione, integra sia il reato di Sequestro di persona (art. 605 c.p.) che di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.). In questo caso non si è in presenza di un concorso di reati, ma solo di un concorso apparente di norme. E' ben vero, che la condotta può riportarsi a più figure di reato, ma di queste, in vero, una soltanto è applicabile in quanto speciale rispetto all'alta. Non vi è che una pluralità di violazioni perché una delle figure di reato è assorbita dall'altra e non ha quindi una sua autonomia. Nell'ipotesi appena fatta, non esisterà concorso di reati e non si applicheranno le norme sul cumulo giuridico (art. 81 c.p.) ma soltanto la disposizione che riguarda il sequestro di persona a scopo di estorsione che contiene un elemento specializzante o aggiuntivo rispetto al sequestro di persona semplice (art. 605 c.p.): quella dello scopo di conseguire un profitto ingiusto come prezzo della liberazione.

Pertanto, in presenza di concorso apparente di norme non si applicherà - per la determinazione della pena - il principio del cumulo delle pene ma l'applicazione della sola norma che è speciale rispetto all'atra (principio di specialità).

In base al «principio di specialità» (art. 15 c.p.)...quando più leggi o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione della legge generale (norma generale), salvo che sia disposto diversamente.
Per norma speciale si intende quella che contiene tutti gli elementi compresi nella fattispecie generale e che in più, presenta elementi "aggiuntivi".
   

 

Concorso formale

Si ha «concorso formale» quando un soggetto con una sola azione od omissione viola più volte la legge penale, commettendo così più reati.

  • Ad esempio, Tizio con un colpo di pistola uccide una persona e ne ferisce un'altra ovvero con una parola ingiuria contemporaneamente più persone

Il concorso formale a sua volta può essere "omogeneo" o "eterogeneo".

E’ «omogeneo», quando con una sola azione od omissione si compiono «più violazioni della medesima disposizione di legge».

E' «eterogeneo», quando con una sola azione od omissione si violano «diverse disposizioni di legge». 

  • Ad esempio, Tizio spara un colpo di fucile ed uccide Caio e Sempronio oppure uccide Caio e ferisce Sempronio. In entrambe le ipotesi, Tizio commette più reati (concorso di reati: due omicidi oppure un omicidio e un reato di lesioni) con una sola condotta (concorso formale: un colpo d’arma da fuoco).

Il concorso formale è omogeneo nella prima ipotesi (duplice omicidio: Tizio viola per due volte la stessa disposizione di legge, l’art. 575 c.p.) ed eterogeneo nella seconda (omicidio e lesioni: Tizio viola sia la disposizione dell’art. 575 c.p. che quella degli artt. 582 e 585 c.p.).
 
Per quanto attiene al "
trattamento sanzionatorio", nel caso di concorso formale di reati, il criterio per la determinazione della pena è quello del c.d «cumulo giuridico»: la pena complessiva da infliggere si determina, cioè, applicando la sola pena relativa al reato più grave aumentata fino al triplo (art. 81 commi 1 e 3 c.p.).
Si tratta di un trattamento meno rigoroso rispetto a quello previsto per il concorso materiale (criterio del «
cumulo materiale»): applicando la sola pena relativa al reato più grave, aumentata tuttavia di una certa aliquota nella quale rifluiscono così le pene degli altri reati concorrenti.

  • Si pensi, ad esempio, al caso in cui Tizio che cagiona lesioni (non aggravate: art. 582 c.p.) a Caio ed a Sempronio.

Se si tratta di concorso materiale egli potrà essere condannato addirittura alla pena di 6 anni di reclusione (essendo di 3 anni la pena massima per ciascun reato di lesioni e dovendosi procedere alla somma aritmetica delle pene per i due reati commessi).
Se si tratta di concorso formale (è l’ipotesi in cui le lesioni vengono cagionate con una sola azione od omissione), egli (avendo riguardo alla pena massima di 3 anni prevista per ciascun reato di lesioni) potrà essere condannato invece alla pena di 3 anni ed un giorno di reclusione (3 anni per il primo reato + 1 giorno per il secondo).
Il principio secondo il quale il cumulo giuridico determina un trattamento di maggior favore rispetto al cumulo materiale può essere dedotto anche dal tenore dell’art. 81 comma 3 c.p. dove si precisa che, nel caso di cumulo giuridico l’aumento applicabile non può mai essere superiore a quello che potrebbe aversi in caso di cumulo materiale.     

 

Concorso materiale

Il «concorso materiale» (o reale) è caratterizzato dal fatto che con più azioni od omissioni un soggetto «viola più volte la stessa legge» ovvero «differenti disposizioni di legge».

  • Ad esempio, Tizio ruba più volte ovvero ruba e poi uccide la vittima.

Il concorso materiale può essere omogeneo o eterogeneo.

E’ «omogeneo», quando le condotte comportano la violazione plurima della stessa disposizione di legge;

E' «eterogeneo», quando le condotte comportano la violazione di differenti disposizioni di legge. 

  • Ad esempio, Tizio ruba un auto e con essa commette una rapina in banca. In questa ipotesi Tizio commette più reati (concorso di reati: prima il furto e poi la rapina) con una pluralità di condotte (concorso materiale: prima quella consistita nell’impossessamento dell’auto e poi quella consistita nell’assalto, armi in pugno, all’istituto di credito con impossessamento del denaro custodito nelle casse della banca.

Il concorso di reati è eterogeneo: l’autore dei fatti ha violato prima la disposizione dell’art. 624 e 625 c.p. (furto aggravato della vettura) e poi quella dell’art. 626 commi 1 e 3 (rapina a mano armata). Sarebbe stato un concorso omogeneo se Tizio avesse prima rapinato l’auto e poi rapinato la banca (due rapine) oppure avesse prima rubato l’auto e poi scippato il portavalori (due furti).

Per quanto attiene al "trattamento sanzionatorio", nel caso di concorso materiale, il criterio per la determinazione della pena è quello del c.d. «cumulo materiale delle pene» (tot crimina, tot poenae): la pena complessiva da infliggere al responsabile si determina, cioè, sommando in modo aritmetico le pene da infliggere per i vari reati in concorso (tante pene quanti sono i reati commessi).
Il principio del cumulo materiale subisce alcuni correttivi in presenza di particolari condanne oppure quando l’incremento della pena, determinato sommando le varie sanzioni, imporrebbe effetti sproporzionati rispetto al fatto compiuto e alla sua gravità. Si tratta di un sistema di cumulo materiale temperato poiché vengono fissati dei limiti insuperabili di pena.

  • Ad esempio, in presenza di più delitti puniti con l’ergastolo (ovvero di un delitto punito con l’ergastolo e di uno o più delitti puniti con la reclusione), non si infliggono due ergastoli (o un ergastolo più la reclusione), ma si infligge un ergastolo con isolamento diurno del condannato (art. 72 c.p.).

Quando si è in presenza di più delitti ciascuno dei quali punito con la reclusione non inferiore a 24 anni, non si sommano i tempi della reclusione (per tre delitti, ad esempio, 24+24+24=72 anni di reclusione), ma si infligge l’ergastolo (art. 73 c.p.).
Quando si è in presenza di più delitti puniti con le pene detentive temporanee (reclusione o arresto), la somma di esse deve fermarsi, per la reclusione, ad un massimo di 30 anni e, per l’arresto, di 6. Si pensi, ad esempio, ad un rapinatore condannato per 5 rapine e, per ognuna di esse, a 10 anni di reclusione; la pena complessiva da infliggere sarà di 340 anni di reclusione e non di 50 come sarebbe se si procedesse alla somma aritmetica (art. 78 c.p.).

La disciplina dettata dal codice penale per il concorso materiale di reati si applica sia nel caso che una stessa persona sia giudicata per più fatti, sia nel caso che contro di essa debbano eseguirsi più condanne (art. 71 e 80 c.p.).
 
I reati commessi da un unico agente possono essere legati da un vincolo (rilevante ai fini della pena: art. 61 n. 2 c.p.):

  1. ideologico (o teleologico): quando un reato è commesso allo scopo di eseguirne un altro...
  • Ad esempio, Tizio uccide Caio per derubarlo...(i reati hanno un vincolo nella finalità cui tendono)
  1. consequenziale: allorché un reato viene commesso per assicurarsi il prezzo, il prodotto, il profitto o l'impunità di un altro reato...
  • Ad esempio, Tizio dopo aver ucciso Caio, ne occulta il cadavere...(in tal caso il reato dipende dall'altro)
  1. occasionale: nei casi in cui la commissione di un reato offre l'occasione per commetterne un altro...
  • Ad esempio, Tizio, entrato in casa per rubare, vede una giovane e la violenta...(in tal caso il vincolo tra i reati è nella contestualità degli eventi)

  

Reato continuato

Il «reato continuato» rappresenta una particolare ipotesi di concorso materiale trattato specificamente in quanto i vari fatti illeciti posti in essere dal reo, fanno parte tutti di un medesimo e unitario disegno criminoso.

Tale peculiarità comporta come conseguenza una minore severità in sede di applicazione della pena rispetto a quella che invece viene prevista per il concorso materiale e ciò in quanto la struttura del reato dimostra una minore riprovevolezza in capo all’agente.
L’articolo
81 del c.p. stabilisce che sussiste reato continuato quando un soggetto, con più di azioni e/o omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette (anche in tempi diversi) diverse violazioni della stessa norma o di diversa disposizione della legge penale.

Alla luce di tale norma i requisiti del reato sono:

  1. pluralità di azioni e/o omissioni
  2. medesimo disegno criminoso
  3. pluralità di violazioni della stessa norma o di diversa disposizione della legge penale.

Per quanto attiene al primo requisito occorre che ci sia una pluralità di condotte autonome che danno luogo ad altrettanti disegni criminosi. Occorre dunque che ogni singola violazione integri tutti gli estremi di quel singolo reato.
Il tempo in cui queste azioni possono essere commesse non rileva giacché tra un’azione e un’altra può intercorrere un notevole lasso di tempo senza per questo venir meno la fattispecie di reato.
La pluralità di azioni non va intesa solo ed esclusivamente in senso naturalistico e ciò in quanto le azioni debbono poter essere unificate all’interno di un’azione giuridicamente unitaria.

  • Per tale ragione il furto di più oggetti della stessa specie (es. furto di più auto in una stessa concessionaria) non può qualificarsi come reato continuato ma esclusivamente un unico reato di furto.

Per pluralità di violazioni, va detto che l’art. 81 c.p. ammette la configurabilità di tale tipo di reato anche in presenza della commissione di illeciti diversi e non ha rilevanza il fatto che gli stessi siano dotati di caratteri fondamentali comuni.

La caratteristica principale della fattispecie è però la univocità del disegno criminoso. La teoria più accreditata vuole che l’univocità del disegno presupponga, oltre all’elemento intellettivo della rappresentazione anticipata, un ulteriore elemento finalistico costituito dall’unicità dello scopo. Il reo pone in essere diversi episodi illeciti tesi alla realizzazione di un unico scopo (progetto unitario).
Per il reato continuato l’Ordinamento prevede l’applicazione della pena prevista per il concorso formale di reati (ovvero pena prevista per il reato più grave con aumento fino a triplo). Il terzo comma dell’art. 81 c.p. stabilisce poi che “nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti”.
Infine, l’ultimo comma prevede che “[…] l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave”.

 

Principali figure di reati

 

  • Delitti contro l'Amministrazione della Giustizia
  • Delitti contro la Pubblica Amministrazione
  • Delitti dei privati contro la Pubblica Amministrazione
  • Delitti contro la Fede Pubblica
  • Delitti contro la Libertà Personale
  • Contravvenzioni concernenti l'ordine e la tranquillità pubblica
  • I Reati tipici connessi alla navigazione marittima

 

Delitti contro l'Amministrazione della Giustizia

E’ facile comprendere che il "regolare e proficuo svolgimento (o meglio, il buon andamento e la imparzialità) delle attività della Pubblica amministrazione" può essere turbato sia dalle condotte di quelle stesse persone che sono chiamate ad esercitare tali funzioni sia dalle condotte dei privati che vengono in contatto con gli organi della Pubblica amministrazione e che tendono a condizionarli.

Nel titolo III del libro II del Codice penale, sono previsti e puniti i «fatti» che impediscono il «regolare e proficuo svolgimento della attività statale (amministrazione della giustizia) diretta ad applicare ai casi concreti le norme del diritto». E’ facile comprendere che l’interesse a iniziare tempestivamente il procedimento penale e pervenire alla punizione degli autori del reato non può essere raggiunto se, chi ha l’obbligo di farlo (Pubblico Ufficiale, incaricato di pubblico servizio, Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria), omette di riferire all’Autorità Giudiziaria la circostanza di avere acquisito una notizia di reato: in questa ipotesi, infatti, l’Autorità Giudiziaria non è in grado di iniziare il procedimento penale.

  1. Omessa denuncia di reato da parte del Pubblico Ufficiale (art. 361, comma 1 c.p.) e da parte della Polizia Giudiziaria (art. 361, comma 2 c.p.).
    L’art. 361 c.p. prevede due distinte figure di reato configurabili come casi di omissione (mancato adempimento dell’obbligo di denuncia) o di ritardo (tale da ostacolare l’applicazione della legge penale):
  • commette il primo reato (art. 361 comma 1) il Pubblico Ufficiale il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorità Giudiziaria, o ad un’altra Autorità che a quella ha l’obbligo  di riferire, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni;
  • commette il secondo reato (art. 361 comma 2) l' Ufficiale o l’Agente di polizia  giudiziaria, che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto  (=relazione).

► Presupposto del fatto:

Occorre accertare innanzitutto che il Pubblico Ufficiale sia venuto a conoscenza di un reato perseguibile di ufficio, o nell’esercizio delle sue funzioni o a causa delle sue funzioni.

  • Si pensi, ad esempio, al caso in cui il personale del Corpo in servizio in porto (N.O.I.P.) assista ad uno «scippo con destrezza» (art. 625, n. 4) da parte di alcuni malavitosi nei confronti di un passeggero presso l’agenzia marittima di Palau.

In questa ipotesi, non rientrando il reato nella sfera di nostra competenza, comunque in qualità di Pubblici Ufficiali, abbiamo l’obbligo di fare denuncia o direttamente all’Autorità giudiziaria o alla Stazione dei Carabinieri di Palau.

Peraltro, se il Pubblico Ufficiale è un Ufficiale o Agente di Polizia Giudiziaria (v. artt. 55 e 57 c.p.p.) basta accertare che abbia avuto notizia del reato: non importa in quale modo abbia avuto la notizia. 

  • Si pensi, ad esempio, al caso in cui il personale del Corpo in servizio in porto (N.O.I.P.) assista ad uno «sversamento (volontario) di morchie» (art. 4 e 8 D.lgs. 202/2007), da parte d una nave mercantile in sosta nel porto di Palau.

In questa ipotesi, rientrando il reato di inquinamento da nave nella sfera di nostra competenza (art. 23 Legge 979/82) in qualità di Ufficiali o Agenti di Polizia Giudiziaria, su di noi incombe istituzionalmente l’obbligo di «prendere notizia di reato» e di fare rapporto (=relazionare) al Dirigente dell’ufficio da cui dipendiamo per la successiva comunicazione della N.d.R. all’Autorità Giudiziaria. 
Oppure, al caso in cui il personale di guardia in Capitaneria, viene a conoscenza, in occasione della procedura di sbarco di un marittimo, del «mancato aggiornamento, da parte dell’armatore, del piano di sicurezza dell’ambiente di lavoro» (artt. 6, comma 2 e 35 D.lgs. 271/99).
In questa ipotesi, rientrando il reato nella sfera di nostra competenza (art. 20 e ss. D.lgs. 271/99) in qualità di Ufficiali o Agenti di Polizia Giudiziaria, su di noi incombe istituzionalmente l’obbligo di «prendere notizia di reato» e di fare rapporto (=relazionare) al Dirigente dell’ufficio da cui dipendiamo per la successiva comunicazione della N.d.R. all’Autorità Giudiziaria.

► Elementi essenziali:

Accertato che il Pubblico Ufficiale sia venuto a conoscenza di un reato nell’esercizio o a causa delle sue funzioni – o semplicemente che sia venuto comunque a conoscenza di un reato, se quel Pubblico Ufficiale è un Ufficiale o un Agente di polizia giudiziaria – occorre accertare:  

  1. che il Pubblico Ufficiale abbia omesso di riferire del reato all’A.G. – o ad una Autorità che a quella abbia l’obbligo di riferire oppure che abbia riferito la notizia con ingiustificato ritardo;
  2. che il Pubblico Ufficiale abbia volontariamente e coscientemente omesso di presentare il
    rapporto o abbia tardato senza plausibile ragione, a presentarlo. 

Qualora l’omissione o il ritardo fosse dipeso da negligenza, imprudenza o imperizia di fatto non costituirebbe reato, ma grave mancanza punibile in sede disciplinare (artt. 16 e 17 disp. Att. c.p.p.).

   

 

Concetto di Pubblico Ufficiale

Ai sensi dell’art. 357 c.p., come novellato dalla Legge 26 aprile 1990, n. 86 e n. 181 del 1992, la "qualità" di Pubblico Ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, quale che sia la loro posizione soggettiva, possono e debbono, nell’ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della Pubblica Amministrazione oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati (Cass. 4.6.1992, n. 6685).

Secondo recente giurisprudenza (Cass. Sez. Un. 11.7.1992, n. 7958), nel concetto di «poteri autoritativi» rientrano non solo quelli "coercitivi", ma anche tutte quelle attività che sono comunque esplicazione di un potere discrezionale nei confronti di un soggetto che si trova su un piano non paritetico rispetto all’Autorità.
Rientrano nel concetto di «
poteri certificativi» tutte quelle attività di documentazione cui l’ordinamento assegna efficacia probatoria, quale che ne sia il grado.
Dalla definizione legislativa si deduce che "l’elemento" che caratterizza il Pubblico Ufficiale è l
’esercizio di una funzione pubblica, intesa come ogni attività che realizza i fini propri dello Stato.
Tuttavia, poiché ancor oggi la dottrina pubblicistica non ha fornito una nozione univoca e sicura di pubblica funzione, vi è in concreto, in dottrina e giurisprudenza, molta incertezza circa l’esatta definizione in astratto del Pubblico Ufficiale , per cui vi sono, al riguardo, molteplici teorie.

Per alcuni autori la qualifica di Pubblico Ufficiale va attribuita a:

      1. soggetti che concorrono a formare o formano la volontà dell’ente pubblico ovvero lo rappresentano all’esterno.

  • Tali sono ad esempio, tutte quelle persone che nell’ente esplicano funzioni direttive a tutti i funzionari di concetto (segretari amministrativi, ragionieri, ecc.) ad esclusione degli impiegati d’ordine.

      2. tutti coloro che sono muniti di poteri autoritativi.

  • Tali sono ad esempio, gli Agenti della forza pubblica, i capitani di navi, le guardie giurate in quanto esplichino funzioni di polizia, il privato cittadino che procede all’arresto in flagranza di reato, i controllori delle ferrovie e delle aziende pubbliche di trasporto, tutti gli impiegati di enti parastatali con potestà di accertare violazioni di legge, ecc.

      3. tutti coloro che sono muniti di poteri di certificazione.

  • Tali sono ad esempio, i notai, i periti, gli interpreti e così via.

► La qualifica di Pubblico Ufficiale è stata riconosciuta ai seguenti soggetti:

  1. Ufficiale giudiziario, testimone, consulente tecnico, che sono ausiliari del Giudice (Cass. 27.6.1968; 11.5.1969; 16.6.1983);
  2. presidi e professori di istituti pubblici di istruzione, quando intervengono alle assemblee studentesche e limitatamente alla loro durata (Cass. 7.2.1973);
  3. portalettere e fattorino postale ( Cass. 15.5.1964);
  4. militari in servizio presso le caserme (Cass. 20.10.1975);
  5. consiglieri comunali (Cass. 18.11.1974);
  6. geometra tecnico dell’ufficio comunale (Cass. 12.12.1969);
  7. messo comunale addetto alla notifica degli atti del Comune (Cass. 25.2.1967);
  8. accalappiacani, poiché esercita funzioni di polizia sanitaria (Cass. 15.12.1964);
  9. controllori delle aziende tranviarie (Cass. 22.10.1963);
  10. Ufficiale sanitario e medico condotto;
  11. sacerdote quando compie l’atto del matrimonio (Cass. 10.5.1967);
  12. guardie giurate, nei soli limiti dell’esercizio delle loro funzioni di prevenzione e repressione dei reati contro beni mobili e immobili affidati alla  loro sorveglianza (Cass. 11.6.1980);
  13. carabinieri e agenti di p.s., anche nei periodi di sospensione dal servizio per ferie, congedi, ecc.;
  14. comandante di nave o aeromobile (Cass. 19.12.1966);
  15. esperti nominati dalla polizia giudiziaria a norma dell’art. 348 c.p.p. (Cass. 23.3.1996).

 

Concetto di incaricato di un pubblico servizio

Sono "incaricati di un pubblico servizio", ai sensi dell’art. 358 c.p., come novellato dall’art. 18 della Legge n. 86 del 1990, coloro i quali, pur agendo nell’ambito di un’attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione, mancano dei poteri tipici di questa, purché non svolgano semplici mansioni di ordine, né prestino opera meramente materiale.

Il pubblico servizio è dunque attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dalla mancanza dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è solo in rapporto di accessorietà o complementarità (Cass. Sez. Un. 11.7.1992, n. 7958).
Peraltro, anche con riferimento alla definizione dell’incaricato di un pubblico servizio non mancano, in dottrina, diversità di opinioni e di teorie per la difficoltà di definire il pubblico servizio.

  • La qualifica di incaricato di un pubblico servizio è stata riconosciuta a:
  1. dattilografo giudiziario nello svolgimento delle sue mansioni (Cass. 21.12.1970);
  2. letturisti dei contatori privati di energia elettrica e del gas (Cass. 12.6.1967);
  3. esattori dell’ENEL (Cass. 28.12.1970);
  4. ormeggiatori portuali (Cass. 14.1.1963);
  5. addetti comunali all’affissione dei manifesti sulle pubbliche vie (Cass. 26.11.1982);
  6. portantini ospedalieri (Cass. 27.1.1967);
  7. guardia particolare giurata che conduca un furgone portavalori (Cass. 16.1.1991).

 

In via di aggiornamenteo "Legge Anticorruzione" - Delitti contro la Pubblica Amministrazione

In via di aggioenamento - Legge Anticorruzione

Nel titolo II del libro II del Codice penale, sono previsti e puniti «i fatti» che impediscono o turbano il regolare svolgimento di ogni attività dello Stato e degli enti pubblici.
E’ facile comprendere che il regolare e proficuo svolgimento (o meglio, il buon andamento e la imparzialità) delle attività della pubblica amministrazione può essere "turbato" sia dalle condotte di quelle stesse persone che sono chiamate ad esercitare tali attività (Pubblici Ufficiali, incaricati di un pubblico servizio che vengono meno ai loro doveri….) sia dalle condotte dei privati che vengono in contatto con gli organi della pubblica amministrazione e che tendono a condizionarli.

  • Si elencano le principali figure:
  1. Peculato (art. 314 c.p.)
  2. Peculato mediante profitto dell’errore altrui  (art. 316 c.p.)
  3. Concussione (art. 317 c.p.)
  4. Corruzione (artt. 318-322)
  5. Istigazione alla corruzione (art. 322)
  6. Abuso di Ufficio (art. 323 c.p.)
  7. Rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.)
  8. Rifiuto di atti d’ufficio – Omissione (art. 328 c.p.)
     

 

 

Peculato

Commette l'ipotesi di reato previta dall'art. 314 c.p., il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria.

  • Ad esempio, il vigile urbano che si appropria delle somme di danaro riscosse in pagamento di illeciti al Codice della Strada; l’esattore delle imposte che si appropria delle somme consegnategli dai contribuenti per il pagamento dei tributi ovvero il comandante di motovedetta della Guardia Costiera che detiene per se il pesce sequestrato a seguito di una operazione di polizia tesa alla prevenzione e repressione di attività illecite in materia di pesca.

Soggetto attivo di un tale reato può essere solo il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (è quindi un reato proprio).
Presupposto del reato è il possesso o comunque la disponibilità della cosa da parte del pubblico funzionario, cioè la possibilità dello stesso di disporre la cosa, al di fuori della sfera altrui di vigilanza, sia in virtù di una situazione di fatto sia in conseguenza della funzione esplicata nell’ambito dell’Amministrazione.

Oggetto materiale del reato è il danaro o altra cosa mobile. La nuova formulazione dell’art. 314 c.p. non prescrive più che il denaro o la cosa mobile, oggetto del delitto, debba appartenere alla Pubblica Amministrazione, ma esige solo che essa si trovi nel possesso o nella disponibilità del soggetto attivo.
Il fatto materiale consiste nella appropriazione del denaro o della cosa mobile posseduti per ragione dell’ufficio o del servizio da parte del Pubblico Ufficiale.

L’art. 1 della Legge 26 aprile 1990, n. 86 recante modifiche in tema di delitti dei Pubblici Ufficiali contro la Pubblica Amministrazione contempla poi l’ipotesi di «peculato d’uso» che si realizza quando il soggetto utilizza temporaneamente, per finalità private, cose fungibili con il proposito di restituirle, proposito che poi effettivamente realizza.

Per "uso temporaneo" non si intende un uso istantaneo, bensì limitato nel tempo, in modo da non compromettere seriamente la funzionalità della pubblica amministrazione (Cass. 16.5.1997, n. 4651).

 

 
 

Peculato mediante il profitto dell'errore altrui

Commette tale reato (art. 316 c.p.), il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell’errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità.

  • Ad esempio, l’esattore delle tasse che trattiene indebitamente per sé la somma eccedente quella risultante dal ruolo, consegnatagli dal contribuente.

L’errore del privato deve essere "spontaneo", ed il funzionario deve essere in buona fede all’atto del ricevimento della cosa; se l’errore è "procurato dolosamente" da quest’ultimo ricorrerà, infatti, una diversa ipotesi criminosa, e cioè la "concussione" di cui all’art. 317 c.p.

 

 

 

Concussione

Commette tale reato (art. 317 c.p.), il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, abusando delle sue qualità e dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare e a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, danaro o altra utilità.

  • Ad esempio, il vigile urbano che avendo accertato una infrazione al codice della strada a carico di un soggetto, gli estorce una somma in danaro con la minaccia di denunciarlo; il Sindaco che si fa consegnare una somma di danaro dal proprietario di un immobile prospettandogli il pericolo di una perquisizione; il funzionario che si fa dare una somma di danaro dal privato per il rilascio di un certificato dichiarando falsamente che il pagamento è dovuto; il comandante di una motovedetta della Guardia Costiera che avendo accertato una infrazione sulla pesca costringe il titolare del motopesca a consegnargli alcune cassette di pesce con la minaccia di denunciarlo all’A.G.

Soggetto attivo può essere sia il Pubblico Ufficiale che l’incaricato di un pubblico servizio, mentre soggetti passivi del reato sono contemporaneamente la Pubblica Amministrazione e la persona che subisce il danno derivante dall’abuso (pertanto il reato è plurioffensivo).

L’elemento oggettivo del reato esige:

  1. abuso della qualità o dei poteri da parte del Pubblico Ufficiale, qualificato genericamente  come abuso d’ufficio (è quindi un reato proprio);
  2. il costringimento o l’induzione della vittima per effetto dell’abuso d’ufficio;
  3. la indebita consegna ovvero la indebita promessa da parte della vittima, di consegnare al Pubblico Ufficiale  danaro o altra utilità, come effetto del costringimento o della induzione.

L’abuso della funzione deve avere come effetto il costringimento o l’induzione della vittima a dare o promettere danaro o altra utilità non dovuta: il fatto costitutivo del reato, quindi, consiste nel «costringere» o nell’«indurre» (personalmente o a mezzo di terzi che operino come semplici nuncii), per il timore derivante dalla qualità o dai poteri dell’Agente, taluno alla promessa alla dazione.
"Costringere" significa usare violenza o minaccia per esercitare una pressione su un soggetto al fine di determinarlo a compiere un atto positivo o negativo che incide sul suo patrimonio. Non è necessaria una coercizione diretta, ma è sufficiente anche una coercizione indiretta ovvero una minaccia esplicita o implicita (Cass. 9.11.1982, n. 10559).

La "induzione", invece, si oggettiva in una attività dialettica dell’Agente che avvalendosi della sua autorità e ricorrendo ad argomentazioni di indole varia, fondate su elementi non privi di obiettiva veridicità, riesce a convincere il soggetto passivo alla datazione o alla promessa (Cass. 14.1.1983, n. 2819.
In questo caso la condotta non è vincolata a forme predeterminate e tassative, ma può estrinsecarsi in qualsiasi modo: è sufficiente che sia in concreto idonea ad influenzare l’intelletto e la volontà della vittima,convincendola della opportunità, per evitare il peggio, di aderire alla richiesta (Cass. 13.1.1968).
Rientra indubbiamente nell’ampio concetto di induzione anche l’attività che comporti un «inganno» della vittima, sia nella forma degli artifici o raggiri che nella forma della semplice menzogna o del finto consiglio.

  • Così, ad esempio, commette il reato di concussione il Sindaco il quale si limita a consigliare il privato a pagare una certa somma se vuole ottenere subito una concessione edilizia; il Pubblico Ufficiale che, falsificando i ruoli di imposta, esige una somma non dovuta dai contribuenti omettendo di versarla; il medico dell’IPSEMA che invita gli aspiranti marittimi a dargli o promettergli denaro; il funzionario il quale, dichiarando falsamente essergli dovuta una somma per un certificato che deve rilasciare, si fa consegnare dal richiedente denaro non dovuto.

 

 


     
 

Corruzione

In linea generale, ricorre il reato di "corruzione" (artt. 318-322) in tutti i casi in cui, per effetto di un accordo intervenuto fra un Pubblico Ufficiale ed un privato cittadino, il primo accetta dal secondo, per un atto relativo all’esercizio delle sue attribuzioni, un «compenso» che non gli sia dovuto.

Oggetto della tutela penale delle norme incriminatici in questione è l’interesse della Pubblica Amministrazione alla imparzialità, onestà e correttezza dei propri funzionari.

Il Codice distingue due forme fondamentali di corruzione:

  1. corruzione impropria: che ricorre quando il compenso è relativo ad un normale atto di ufficio (un atto,cioè, legittimo, di competenza dell’ufficio cui appartiene il funzionario – art.  318 c.p.);
  2. corruzione propria: che si ha quando il compenso è relativo ad un atto contrario ai doveri d’ufficio (un atto,cioè, illegittimo perché in contrasto con norme giuridiche o con istruzioni di servizio – art. 319 c.p.).

► Nell’ambito di ciascuna ipotesi, il codice distingue, inoltre, tra:

  1. corruzione antecedente, quando si riferisce ad un atto ancora da compiersi, che è oggetto della corruzione;
  2. corruzione susseguente, quando si riferisce ad un atto già compiuto dal funzionario.

Esaminando distintamente le quattro ipotesi criminose possiamo dire che rispondono del reato di «corruzione impropria antecedente» il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che rivesta la qualità di impiegato che, per compiere un atto del suo ufficio riceve, per sé o per un terzo, in danaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta o ne accetta la promessa,nonché colui che dà o promette la retribuzione.

  • E’ il caso, ad esempio, del medico dell' IPSEMA che accetta danaro per visitare un marittimo; il funzionario che accetta la somma che gli viene spontaneamente consegnata quale compenso per il rilascio di un certificato che egli è tenuto a rilasciare gratuitamente nell’esercizio delle sue funzioni.

Rispondono del reato di «corruzione impropria susseguente» il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che riceve la retribuzione indebita per un atto d’ufficio da lui già compiuto.

  • E’ il caso, ad esempio, del medico dell' IPSEMA che riceve un compenso non dovutogli dopo aver visitato un marittimo.

Di tale reato risponde solo il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio e non anche il corruttore.

Rispondono del reato di «corruzione propria antecedente» il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, per ottenere o ritardare un atto del suo ufficio o per fare un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità.

  • E’ il caso, ad esempio, dell’Agente di p.s. che, dopo aver sorpreso un ladro in flagranza di reato, accetta l’offerta di questi di consegnargli una determinata somma di danaro per non farsi arrestare; il funzionario che ritarda l’istruttoria di una pratica del suo ufficio a seguito di un compenso offertogli dal privato che verrebbe ad esserne danneggiato.

Rispondono del reato di «corruzione propria susseguente» il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che riceve denaro o l’utilità per aver agito contro i doveri del suo ufficio o per aver omesso o ritardato un atto di ufficio, nonché colui che ha dato il danaro o l’utilità.

  • E’ il caso, ad esempio, del funzionario che riceve un compenso per aver ritardato l’istruttoria di una pratica.

La corruzione pur avendo in comune con la concussione l’abuso delle funzioni e l’illiceità del profitto se ne differenzia per la posizione in cui si trovano le parti è per l’elemento psicologico.  Nella corruzione le parti si trovano in condizioni di parità ed il privato è libero di porre in essere, d’accordo con il un illecito rapporto.

Nella concussione invece è caratteristica la posizione di preminenza del il Pubblico Ufficiale, di conseguenza, la determinazione all’illecito è la conseguenza della coartazione della volontà del privato soggiogata dall’impossibilità di conseguire in altro modo l’utile sperato.

 

 

 

Istigazione alla corruzione

Commette tale reato (art. 322 c.p.), chiunque offra o prometta denaro al pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per indurlo a compiere un atto del proprio ufficio o servizio (istigazione alla corruzione impropria) ovvero indurlo ad omettere o ritardare un atto dell’ufficio o servizio o fare un atto contrario ai doveri d’ufficio (istigazione alla corruzione propria), nel caso in cui l’offerta o la promessa non venga accettata.

E’ pertanto un reato "monosoggettivo" perché è essenziale la «mancata accettazione» da parte del funzionario. E’ quindi un tentativo di corruzione previsto come reato autonomo per reagire ad un fatto che è grave insidia alla rettitudine e al disinteresse che devono accompagnare il funzionario, il tentativo pertanto non è configurabile.

 

 

Abuso di ufficio

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato[1], commette tale reato (art. 323 c.p.), il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.

  • Realizza, ad esempio, il reato il Sindaco che propone di sottoporre a vincolo paesaggistico tutti i terreni di una località ad eccezione di quelli di cui è proprietario e che partecipa poi alla seduta in cui la sua proposta viene accolta; ovvero il Pubblico Ufficiale che utilizza in proprio favore e per fini personali le prestazioni di mano d’opera da lui dipendente e retribuita dalla pubblica amministrazione.
  • Commette, ad esempio, il reato di abuso di ufficio - fermi i poteri di controllo spettanti al Pubblico Ministero - l’Ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria che trattiene le persone accompagnate oltre il tempo necessario per l’identificazione (art. 349 comma 4 c.p.p.).

Il reato di abuso di ufficio così delineato è frutto di modifiche introdotte dalla Legge 16 luglio 1997, n. 234.

L’aspetto più significativo della nuova formulazione dell’art. 323 c.p. è rappresentato dal fatto che la configurabilità del reato è ancorata al verificarsi di un «evento di danno», consistente nell’aver procurato a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero nell’aver arrecato ad altri un danno ingiusto. In tal modo il legislatore ha inteso individuare con maggiore precisione le condotte al fine di ridurre i margini di interpretazione affidata alla giurisprudenza.

Il reato in questione, non è più un reato di pericolo, come nella precedente formulazione, e ai fini della consumazione occorre che si sia verificato un «danno ingiusto» o che si sia procurato un «ingiusto vantaggio patrimoniale». La soglia della punibilità non si arresta più al pericolo di un vantaggio o di un danno, ma viene spostata in avanti al momento in cui vantaggio e danno da potenziali si trasformano in attuali.
Altro elemento di novità dell’articolo in esame riguarda la necessità della violazione di norme di legge o di regolamento realizzata dal il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio. Anche questo aspetto serve a circoscrivere la configurabilità dell’abuso mediante omissione: infatti, l’abuso può essere integrato anche da un comportamento omissivo che violi l’obbligo di fare imposto delle norme.
La condotta punita può consistere anche nella violazione dell’obbligo di astensione, non solo quando sussista un interesse proprio o di un prossimo congiunto, ma anche «negli altri casi prescritti». Questa espressione generica pone problemi sia sotto il profilo della tassatività che sotto quello della riserva di legge.

L’oggetto giuridico del reato in esame è rappresentato dal «buon andamento e dall’imparzialità della Pubblica Amministrazione da condotte viziate dall’affarismo privato dei suoi dipendenti» e soggetto attivo può essere il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio: si tratta, dunque, di un reato proprio.

 

 


[1] Ad esempio, è più grave reato la concussione (art. 318 c.p.)

 


   
 

Rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio

Il "segreto d’ufficio" costituisce uno dei doveri fondamentali del Pubblico Ufficiale. Secondo la dottrina prevalente, il segreto è definibile come la situazione corrispondente ad un interesse giuridicamente apprezzabile di un soggetto a che un determinato contenuto di esperienza non sia rivelato a altri.
Il segreto è d’ufficio quando abbia ad oggetto «notizie d’ufficio», per tali intendendosi tutte le cognizioni facenti parte della competenza dell’ufficio o del servizio cui è addetto il soggetto obbligato al segreto. Tale obbligo può derivare da una legge, da un regolamento, da una consuetudine, ovvero dalla natura stessa della notizia, ricollegabile al tipo di attività svolta dall’agente, che può recar danno alla Pubblica Amministrazione.

L’art. 326 c.p. prevede "tre distinte figure" di reato configurabili come casi di inosservanza di segreto d’ufficio:

  1. commette il primo reato il Pubblico Ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che, violando i doveri inerenti balle funzioni o al servizio, o comunque  abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza (art. 326, 1° comma);  
  2. commette il secondo il Pubblico Ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che per colpa agevola la conoscenza dei segreti suddetti (art. 326, 2° comma);
  3. commette il terzo reato il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale  illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete.

Se il profitto non è di natura patrimoniale, ovvero lo scopo è di cagionare ad altri un danno ingiusto, la pena è minore (art. 15 della Legge 26.4.1990).

Oggetto specifico della tutela penale è l’interesse della Pubblica Amministrazione, intesa in senso lato con riferimento anche alle funzioni legislative e giurisdizionali dello Stato, al normale svolgimento delle proprie attività.

L’elemento materiale del delitto doloso consiste nel portare a conoscenza di persona non autorizzata a riceverla la notizia d’ufficio destinata a restare segreta ovvero nel tenere un comportamento, positivo o negativo, che comunque faciliti al non autorizzato la cognizione della notizia.

Nella ipotesi, relativa alla agevolazione colposa, invece, la conoscenza del segreto da parte del non autorizzato avviene a seguito di negligenza del come nel caso in cui lo stesso lasci incustodito un importante documento riservato.

 


 

Rifiuto di atti d'ufficio - Omissione

Con la nuova formulazione, introdotta dall’art. 16 della legge 26 aprile 1990, l’attuale art. 328 comma 1 c.p. punisce una condotta di rifiuto dell’atto d’ufficio.
Non è richiesta, quindi, la semplice omissione ma un’omissione qualificata da una manifestazione di volontà contraria al compimento dell’atto che potrà essere espressa (quando il soggetto tenuto ha dichiarato di non voler agire) o tacita (quando egli sia rimasto inerte alle sollecitazioni rivoltegli). E’ inoltre necessario che l’atto «per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo».

Quanto all’ipotesi prevista al secondo comma dell’art. 328, commette tale delitto il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, fuori dei casi previsti dal primo comma, entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.
La condotta punita è, in questo caso, l’omissione, e cioè il mancato compimento dell’atto dovuto.

  • Perché l’omissione venga punita è necessario però che:
  1. vi sia una richiesta in forma scritta da parte dell’interessato;
  2. che siano decorsi 30 giorni dal momento in cui il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio abbiano ricevuto la richiesta;
  3. che il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio non solo non abbia compiuto l’atto, ma non abbia neanche risposto per esporre le ragioni del ritardo

 

Delitti dei privati contro la P.A.

In tale categoria rientrano tutti quei reati commessi in danno della Pubblica Amministrazione da soggetti estranei al suo apparato organizzativo.

Oggetto specifico è la tutela dell’interesse della Pubblica Amministrazione alla libertà di decisione dei Pubblici Ufficiali, cioè a che i Pubblici Ufficiali decidano quali atteggiamenti, relativi al servizio, debbano assumere senza essere in alcun modo influenzati dagli estranei.

Di essi i principali sono:

► Violenza o minaccia a un Pubblico Ufficiale (art. 336 c.p.)

Commette questo reato chiunque usa violenza o minaccia a un Pubblico Ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per costringerlo:

  1. compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio;
  2. a compiere un atto del proprio ufficio o servizio o per influire, comunque, su di esso.

E’ necessario sottolineare che l’attività a cui l’agente mira deve essere "futura". Qualora infatti essa fosse già in corso ed il reo mirasse ad opporvisi con violenza o minaccia si configurerebbe l’ipotesi ex art. 337 c.p. (Resistenza). 

► Resistenza a un Pubblico Ufficiale (art. 337 c.p.)

Commette tale reato chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un Pubblico Ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza.

  • E’ il caso, ad esempio, del pescatore che colpisce con un pugno il Comandante della motovedetta della Guardia Costiera che lo ha invitato in Capitaneria per accertamenti.

L’elemento oggettivo richiede una «violenza» o «minaccia» esercitata contestualmente al compimento dell’atto d’ufficio da parte del Pubblico Ufficiale.
Non è necessario che la violenza o la minaccia sia esercitata direttamente sulla persona del Pubblico Ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio per impedirgli il compimento di un atto del suo ufficio o servizio, ma è sufficiente che essa si estrinsechi su cose, purché anche in tal caso si ponga come ostacolo al concreto compimento dell’attività. Neppure è necessario che la violenza o minaccia pongano in pericolo l’incolumità fisica del Pubblico Ufficiale bastando che esse impediscano l’esercizio dell’atto d’ufficio (Cass. 20.10.1997, n. 9442).

Non integra né violenza né minaccia la c.d. «resistenza meramente passiva» e, quindi, essa non integra il delitto in esame, neppure nel caso in cui il funzionario sia costretto ad usare la forza per vincerla.

  •  Ad esempio, buttarsi a terra, rifiutarsi di obbedire, aggrapparsi ad appigli per non essere trascinato via, ecc.

Discusso è il problema se e quando la «fuga» possa configurare resistenza a Pubblico Ufficiale. Pacifico è che la semplice fuga a piedi non può mai configurare il reato in esame, in quanto in essa non è ravvisabile né violenza né minaccia (Cass. 13.10.1986, n. 10813).

► La giurisprudenza ha precisato, comunque, che costituisce resistenza a Pubblico Ufficiale:

  1. la fuga in auto per forzare un posto di blocco (Cass. 16.1.1982, n. 336);
  2. la fuga in auto attuata con fulminei testa-coda per costringere gli inseguitori a manovre ritardatici onde evitare l’urto (Cass. 7.5.1983, n. 4235);
  3. la fuga in auto attuata con modalità da porre in pericolo l’incolumità degli inseguitori, come ad esempio il fatto di sterzare improvvisamente, una volta raggiunto dall’auto inseguitrice, per spingere quest’ultima fuori strada (Cass. 12.5.1983, n. 4325);
  4. la fuga in auto mentre il complice spara sugli Agenti attraverso il finestrino (Cass. 12.5.1983,
    n. 4325);
  5. la fuga attuata per vincere una resistenza del Pubblico Ufficiale, come ad esempio, nel caso di chi metta improvvisamente in moto un’autovettura al fine di costringere l’agente che si era aggrappato allo sportello a desistere dalla sia azione di inseguimento (Cass. 2.5.1963, n. 1981).
     
    Il delitto si consuma con l’uso della violenza o minaccia, indipendentemente dai suoi effetti. 

► Oltraggio a Pubblico Ufficiale (art. 341bis c.p.)

Commette questo reato chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni .[1] [51]

Abrogato dall’art. 8 Legge 25 giugno 1999 n.205 e introdotto dall’art. 1 comma 8 della Legge 15 luglio 2009, n. 94, l’art. 341 bis c.p. nonostante il dettato di cui ai citati articoli, sanziona penalmente, con la reclusione fino a tre anni, la condotta di chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio, a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. Viene dunque delimitato il locus commissi delicti - in luogo pubblico o aperto al pubblico - e vengono tutelati onore e prestigio, non alternativamente come nel dettato di cui all’abrogato art. 341 c.p..

La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, così come nel precedente art. 341 c.p. una analoga previsione aggravava la pena prevedendo la reclusione da uno a tre anni. Il reato si estingue nel caso in cui l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima.

In simmetria con quanto ex art. 596 c. IV c.p. se la verità del fatto è provata o se, per esso, l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.

► Millantato credito (art. 348 c.p.)

Commette tale reato chiunque, millantando un credito presso un Pubblico Ufficiale o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un o impiegato o di doverlo remunerare. 

  • Ad esempio, colui che si fa consegnare del denaro allo scopo di intercedere presso un suo amico.

Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente ottiene la dazione e la promessa.
Il reato può concorrere con quello di "truffa" qualora il millantato credito sia uno dei raggiri utilizzati per indurre in errore.


[1] [51]   Art. 594 (Ingiuria) e 61 n. 10 c.p. (circostanze aggravanti comuni)

 

Delitti contro la fede pubblica

Tutto ciò che è vero può essere alterato, vale a dire falsificato, per ingannare una o più persone determinate ovvero per ingannare un numero indeterminato di persone (= il Pubblico).

La falsificazione finalizzata ad ingannare una o più persone determinate può dar luogo al reato di "truffa" (o a reati simili); la falsità finalizzata ad ingannare il Pubblico Ufficiale da luogo, invece, ai delitti contro la fede pubblica dettagliatamente elencati nel titolo VII del libro II del codice.

I delitti contro la fede pubblica sono perciò i delitti di «falso» e cioè i delitti mediante i quali, alterando il vero, si mette in pericolo:

  1. la fiducia che il Pubblico ripone in oggetti, segni e forme esteriori ai quali le norme o le consuetudini attribuiscono un importante valore (ad esempio, le monete, gli emblemi, i  documenti);
  2. la fiducia del Pubblico (ed anche della stessa pubblica autorità) relativamente alla identità, allo stato o alle qualità del soggetto.

Si tratta, dunque, di “reati di pericolo” perché le condotte di falsificazione sono punite non in quanto ingannano la pubblica fede (= fiducia), ma in quanto sono idonee a farlo. Questa idoneità va esclusa quando si tratta di «falso grossolano».
Il falso grossolano è quello che può essere accertato da «chiunque…» ed a prima vista. In questi casi, il falso non è punibile perché si tratta di reato impossibile per inidoneità dell'azione (art. 49 comma 2 c.p.).
In base a tale definizione, non sono mai grossolani, perciò, il falso che poteva essere accertato solo da un esperto oppure quello che ha ingannato, comunque, la vittima predestinata.

  • Non vengono solitamente ritenute grossolane, ad esempio, le alterazioni apportate sul disco-bollo apposto sul parabrezza delle auto e relative all'importo delle tasse di circolazione versate: ciò in quanto tali alterazioni sono concretamene accettabili solo dopo l'esibizione del disco-bollo e non attraverso un controllo effettuato dall'esterno.

Il codice ripartisce i delitti contro la fede pubblica in quattro Capi, a seconda dell’oggetto materiale della falsità:

  1. Capo I:    Falsità in monete e valori equiparati o equiparabili alle monete.
  2. Capo II:   Falsità in sigilli e altri strumenti di autenticazione, certificazione o riconoscimento.
  3. Capo III:  Falsità in atti
  4. Capo IV:  Falsità personali.

 
 

Falsità in Atti

Oggetto di tali reati sono i «documenti pubblici o privati» di cui si vuole tutelare la genuinità e veridicità in quanto mezzi di prova.

Pertanto, la società moderna ha necessità di documentare in maniera sicura e durevole le situazioni che hanno rilievo giuridico e deve perciò tutelarsi, anche mediante la previsione di sanzioni penali, da condotte idonee a mettere in pericolo tale esigenza di certezza.
Per questo motivo, protegge la genuinità e la veridicità degli atti che documentano situazioni e rapporti economicamente o giuridicamente rilevanti.
 
La genuinità e la veridicità vengono tutelate punendo chi causa la:
 
-  
falsità materiale degli atti (artt. 476-477-482 c.p.);
-  
falsità ideologica (artt. 478-479-480 c.p.). 

  • Si pensi, ad esempio, all’aspirante marittimo che cancella dal certificato dei carichi pendenti la indicazione di un procedimento per il quale è imputato ovvero a marittimo che sostituisce il numero di giorni di riposo riportati dal medico di porto sulla certificazione di malattia.

In questi casi si è di fronte ad un «falso materiale». La falsità, infatti, incide sulla esistenza materiale dell’atto (che non proviene da colui che apparentemente sembra essere l’autore) oppure sulla sua materia che è alterata mediante aggiunte e cancellature. Si dice anche che l’atto, in queste ipotesi, è alterato nella sua «genuinità».

La falsità materiale può assumere due forme:

  1. contraffazione, quando il documento è stato posto in essere da una persona diversa da quella che ne risulta l’autrice.
  • Si pensi, ad esempio, al documento recante una firma falsificata
  1. alterazione, quando il documento è stato modificato successivamente alla sua formazione in qualsiasi modo
  • Si pensi, ad esempio, mediante cancellature o aggiunte.

Si è invece in presenza di un «falso ideologico» quando non viene intaccata la genuinità dell’atto, ma la sua «veridicità»: ossia il suo tenore, il suo contenuto.
Si ha in tutti i casi in cui il documento, né contraffatto né alterato, contiene dichiarazioni menzognere: chi redige l’atto attesta cosa diversa da quel che è stato detto od è realmente accaduto e, nella sostanza redige un atto il cui contenuto non corrisponde a verità.

  • Si pensi, ad esempio, a un documento che attesta la presenza di testimoni non presenti; il documento che attesta un pagamento in realtà mai avvenuto. 
  • Si pensi, ad esempio, all’ Ufficiale o all’Agente di polizia giudiziaria che, nel Verbale di perquisizione, attesa, contrariamente al vero di aver avvertito l’indagato del suo diritto di farsi assistere dal difensore (art. 114 disp. att. c.p.p.) ovvero al caso di un Verbale di dichiarazioni spontanee che riporta frasi mai dette dallo stesso indagato (art. 350 comma 7 c.p.p.).

Affinché i reati in questione si realizzino è necessario:

  1. la forma scritta;
  2. la riconoscibilità dell’autore (individuo o ente da cui lo scritto proviene);
  3. il contenuto (che può avere valore dichiarativo o espositivo) giuridicamente rilevante (utilizzabile, cioè, per provare in giudizio l’esistenza di una situazione o il suo contenuto).
  • Vengono tutelati dalla falsificazione (materiale o ideologica), ad esempio:
  1. i Verbali di perquisizione e sequestro operati dalla polizia giudiziaria perché sul loro contenuto può basarsi la condanna o l’assoluzione dell’imputato;
  2. il Ruolo o Ruolino di equipaggio perché fornisce la prova della presenza a bordo della nave mercantile dei marittimi arruolati;
  3. il Testamento olografo (e cioè scritto per intero, sottoscritto e datato dal passeggero di una nave che lascia le sue ultime disposizioni) perché alla sua morte, crea una situazione nuova per gli eredi e per gli altri soggetti (come i creditori del defunto e i creditori degli eredi), ecc.

Dagli esempi appena fatti emerge che i documenti tutelati possono essere di diverso tipo e provenienza. Semplificando al massimo, può dirsi che la principale distinzione è quella fra «documenti pubblici» e «scritture private».
Sono "documenti pubblici" quelli che provengono da un Pubblico Ufficiale o incaricato di un pubblico servizio (artt. 357 e 358 c.p.) e che sono redatti dall’uno o dall’altro di tali soggetti quando è nell’esercizio delle sue funzioni e delle sue attribuzioni.
Sono "scritture private" (o documenti privati) tutti quei documenti provenienti da soggetti sprovvisti della qualifica di Pubblico Ufficiale o di incaricato di servizio oppure redatti da costoro, ma al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni o attribuzioni.
 
Quando la falsità riguarda un documento pubblico, il reato assume naturalmente maggiore gravità, a seconda del tipo di documento (certificazioni e autorizzazioni amministrative, atti pubblici o copie autentiche di atti pubblici o privati, gli attestati)[1], e del fatto che l’autore sia o meno un pubblico o un privato.
Quando invece alle scritture private, per la falsificazione di talune di esse, il codice penale prevede una pena analoga a quella prevista per gli atti pubblici falsificati dal privato.
Le scritture private prese in considerazione sono il testamento olografo e i titoli di credito (cambiali, assegni, vaglia postali e telegrafici). I reati che le riguardano sono perseguibili a querela.

 


[1] Gli atti pubblici sono documenti redatti dai Pubblici Ufficiali o dai pubblici impiegati incaricati di un pubblico servizio nell’esercizio delle loro funzioni o attribuzioni (ad esempio: i verbali della P.G., i contratti di arruolamento dei marittimi, i diplomi di studio, la cartella clinica redatta dal medico addetto all’ospedale, i certificati rilasciati dal medico di porto, l’atto di un notaio e l’autenticazione della firma redatta da un notaio, ecc.).
Le certificazioni amministrative sono documenti redatti da un Pubblico Ufficiale per attestare (confermare, comprovare, ribadire) l’esistenza di una determinata situazione o di un determinato fatto giuridico (ad esempio: la carta di identità, il passaporto, la targa dell’autovettura). Le certificazioni amministrative si distinguono dagli atti pubblici, in quanto questi ultimi vengono posti in essere per creare una nuova situazione giuridica; gli altri per dichiarare una situazione giuridica già esistente. Per esemplificare: il notaio che redige un atto di vendita (atto pubblico) crea una nuova situazione giuridica: la proprietà in capo a chi acquista. Il funzionario che rilascia una carta di identità (certificazione) attesta, invece, nel documento delle risultanze emergenti da altri atti in suo possesso.

  

Falsità materiale commessa dal Pubblico Ufficiale in atti pubblici (atti d’ufficio)

Come prevede l’art. 476 c.p. lo commette il Pubblico Ufficiale (reato proprio) che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero.

  • Ad esempio, il cancelliere che, ricevuta da Giudice una sentenza depositata, la altera, aggiungendovi alcune frasi o la modifica cancellandone altre.

La condotta consiste nel formare (creare qualcosa che prima non esisteva) in tutto o in parte un atto falso (equivale a contraffare); e nell’alterare (modificare qualcosa di preesistente) un atto vero.

Il reato si consuma con il verificarsi della contraffazione o della alterazione.

  • Si è ritenuto che sussista il reato di falsità materiale in atto pubblico nei casi, ad esempio, di falsificazione:
  1. della Relazione di servizio al comandante di corpo o di unità;
  2. del Verbale di sequestro e, in genere, dei verbali di polizia giudiziaria;
  3. della Informativa di reato al P.M.;
  4. del Registro tenuto presso il reparto di pronto soccorso di un pubblico ospedale;
  5. del Registro degli esami universitari;
  6. del certificato di morte, ecc.

Si procede d’ufficio e la competenza è del "Tribunale monocratico". Il colpevole è punito con la reclusione da 1 a 6 anni.
Se la falsità riguarda un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da 3 a 10 anni.

► Falsità materiale commessa dal Pubblico Ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative

Come prevede l’art. 477 c.p. lo commette il Pubblico Ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni, contraffa o altera certificati o autorizzazioni amministrative, ovvero, mediante contraffazione o alterazione, fa apparire adempiute le condizioni richieste per la loro veridicità.
Appare chiaro che sono due le ipotesi delittuose e che di esse la seconda consiste nella "contraffazione" non dell’atto come tale, ma di alcuni suoi elementi, quali per esempio il visto, la vidimazione, la legalizzazione di firme, ecc. "Contraffazione" si deve intendere formazione di un atto ad imitazione di un atto vero.
Il colpevole è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni (Tribunale monocratico).

    
 

Falsità ideologica commessa dal Pubblico Ufficiale in atti pubblici (atti d’ufficio)

Come prevede l’art. 479 c.p. lo commette il Pubblico Ufficiale che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

  • Un’ipotesi di quest’ultimo comportamento può essere, ad esempio, quella dell’ Ufficiale giudiziario che nella relazione di notificazione di un atto attesta di aver consegnato copia dell’atto stesso nelle mani dell’imputato, mentre in realtà l’ha consegnata a persona diversa.
  • Si pensi, ad esempio, all’ Ufficiale o all’Agente di polizia giudiziaria che, nel Verbale di perquisizione, attesa, contrariamente al vero di aver avvertito l’indagato del suo diritto di farsi assistere dal difensore (art. 114 disp. att. c.p.p.) ovvero al caso di un Verbale di dichiarazioni spontanee che riporta frasi mai dette dallo stesso indagato (art. 350 comma 7 c.p.p.). 
  • Si pensi, ad esempio, al Pubblico Ufficiale che attesta falsamente che la firma di un atto è avvenuta in sua presenza, ecc.

Il colpevole è punito, ai sensi dell’art. 476 c.p., con la reclusione da 1 a 6 anni, oppure, se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso, con la reclusione d 3 a 10 anni.

► Falsità ideologica commessa dal Pubblico Ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative

Come prevede l’art. 480 c.p., lo commette il Pubblico Ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente, in certificati o autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

  • La ricetta contenente, ad esempio, le prescrizioni di un farmaco è un certificato amministrativo se proviene da un medico convenzionato con una struttura pubblica. Se la ricetta contiene un falso ideologico, il medico risponde perciò del reato di cui all’art. 480 c.p.

Il colpevole è punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni.
    

 

Falsità personale

In tale categoria rientrano tutti quei comportamenti che sono idonei a "sorprendere la buona fede" delle Autorità, o di un numero indeterminato di persone, relativamente alla identità, allo stato o alle qualità di un individuo.

► Falsa attestazione o dichiarazione a un Pubblico Ufficiale sulla identità personale sulla identità o su qualità proprie o      altrui (art. 495 c.p.)

Commette tale reato (art. 495 c.p.), chiunque dichiara o attesta falsamente al Pubblico Ufficiale, in un atto pubblico, l'identità o lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona ovvero chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico.

Oggetto specifico è la «tutela della fede pubblica» da condotte dirette ad alterare gli elementi di identificazione di una persona o le sue qualità di rilievo sociale.

La condotta consiste nel dichiarare o attestare falsamente ad un relativamente alla propria o altra persona:

  1. l’identità (nome, cognome e le altre generalità);
  2. lo stato (di famiglia e di cittadinanza; capacità civile; domicilio e residenza; parentela e affinità; matrimonio; filiazione; adozione, affiliazione; potestà di genitori);
  3. altre qualità (professione, uffici pubblici riscoperti nonché, in generale, tutto ciò che può servire per individuare il soggetto all’interno della collettività sociale.

Le dichiarazioni devono essere rese in "atto pubblico" (Verbale) ovvero devono essere inserite in atto pubblico. Il reato si consuma nel momento in cui le dichiarazioni vengono rese ed indipendentemente quindi dal fatto che siano state o meno riprodotte nell’atto pubblico (il reato quindi non viene meno anche se il dichiarante ritratta le sue dichiarazioni prima della conclusione dell’atto).

  • Si pensi, ad esempio, alle dichiarazioni rese ad un Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria appartenente al Corpo  nel Verbale di identificazione (art. 349 c.p.) ovvero alle dichiarazioni rese da colui che, interrogato dall’Autorità Giudiziaria, dichiara il falso in merito ai suoi precedenti penali.

► False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (art. 496 c.p.)

Commette tale reato (art. 496 c.p.), chiunque interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un Pubblico Ufficiale, o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio.
Occorre ai fini della punibilità che il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio "abbia richiesto" –  nell’esercizio delle funzioni o del servizio – al soggetto di fornire indicazioni sulla identità, sullo stato o sulle qualità della propria persona e dell’altrui persona; che il soggetto "abbia aderito all’invito" (se rifiuta: art. 651 c.p.) e "abbia fatto dichiarazioni mendaci"; che il soggetto fosse consapevole delle qualità del richiedente e della falsità delle proprie dichiarazioni.
Come si vede qui non si hanno dichiarazioni destinate ad essere riprodotte in un atto pubblico; perciò l’ipotesi in esame differisce da quella prevista dall’articolo precedente.

  • Ad esempio, risponde del reato previsto dall’art. 496 c.p., nonché di falsità materiale in certificazione amministrativa colui che, dopo aver alterato o contraffatto la patente nautica, la esibisca al Comandante della Motovedetta della Guardia Costiera, al quale declini false generalità.

In tal caso si realizza un’ipotesi di concorso di reati, perché commessi in tempi diversi, sia pure con la stessa finalità, ma con diverse violazioni di norme giuridiche, delle quali una protegge la pubblica falsa documentazione e l’altra la pubblica fede personale.

Il colpevole è punito con la reclusione da 15 giorni a 1 oppure con la multa da 5 € a 516 €.    

 

Delitti contro la libertà personale

Il regolare e proficuo svolgimento (o meglio, il buon andamento) delle attività della Pubblica Amministrazione può essere turbato dalle condotte (abusi) di quelle stesse persone che sono chiamate ad esercitare tali pubbliche attività.

Nel titolo XII, Capo III, Sezioni II e IV del Codice penale, sono previsti e puniti «i fatti» commessi dai Pubblici Ufficiali che, con la perfetta consapevolezza di agire fuori dei casi consentiti dalla legge e di abusare, quindi, dei poteri inerenti alla pubblica funzione, offendono oltre all’interesse relativo al regolare svolgimento della Pubblica Amministrazione (interesse secondario), altresì gli interessi (primari) relativi alla libertà della persona:

  1. limitando la possibilità per il soggetto di spostarsi materialmente da un luogo a un altro (Sez.II);
  2. offendendo il fondamentale interesse relativo alla inviolabilità del domicilio (Sez. IV). 

► Arresto illegale (art. 606 c.p.)

Commette il reato di cui all'art. 606 c .p., il Pubblico Ufficiale (357) che procede ad un arresto (380 ss. c.p.p.), con la consapevolezza di abusare dei poteri[1], inerenti alla pubblica funzione (Cass. 22 novembre 1982, Rosa).
Ai fini della punibilità occorre sottolineare che deve sussistere la volontà (dolo) da parte del Pubblico Ufficiale, di procedere all’arresto con la consapevolezza di agire fuori dei casi previsti dalla legge.

  • Ad esempio, è punibile il Pubblico Ufficiale che procede all’arresto di una persona e omette di liberarla (omissione) dopo che si è accorto dell’errore

Se manca la volontà (ad esempio, errore dovuto a ignoranza) il fatto potrà essere punito soltanto in sede disciplinare.
Il colpevole è punito con la reclusione fino a tre anni. 

► Abuso di autorità contro arrestati o detenuti (art. 608 c.p.)

Commette il reato di cui all'art. 608 c.p., il Pubblico Ufficiale che, per ragioni del suo ufficio, sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia, anche temporanea, o che sia a lui affidata in esecuzione di un provvedimento dell’Autorità competente.

  • Ad esempio, l’ Ufficiale di polizia giudiziaria al quale è affidata la persona colpita da ordine di accompagnamento ovvero l’Agente della forza pubblica cui sia affidato il pazzo da tradurre al luogo di cura.

Occorre ai fini della punibilità che il Pubblico Ufficiale abbia adottato un provvedimento non consentito dalla legge per effetto del quale la libertà fisica della persona arrestata o detenuta o affidata sia rimasta limitata oltre i termini legali.
Il delitto può concorrere materialmente (concorso di reato) con altri delitti i quali offendono beni ed interessi della persona diversi dalla libertà fisica (ad esempio, percosse, lesioni, ingiurie, minacce, ecc.)
Il colpevole è punito con la reclusione fino a trenta mesi.
La stessa pena si applica se il fatto è commesso da un altro Pubblico Ufficiale (357), rivestito, per ragione del suo ufficio, di una qualsiasi autorità sulla persona custodita. 

► Perquisizione e ispezione personali arbitrarie (art. 609 c.p.)

Commette il reato di cui all'art. 609 c.p., il Pubblico Ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una perquisizione (352, 247-252 c.p.p.) o un’ispezione personale (245 c.p.p.).
Occorre che, fuori dei casi in cui la legge autorizza a procedere ad una ispezione o perquisizione personale, il Pubblico Ufficiale abbia provveduto a uno di tali atti con la perfetta consapevolezza di agire fuori dei casi consentiti dalla legge; oppure, nei casi in cui l’ispezione o la perquisizione fosse autorizzata dalla legge, che lo stesso non abbia osservate le formalità prescritte, con la consapevolezza dell’abuso.
Si rammenta che l’art. 354 comma 3 c.p.p. vieta agli Ufficiali di polizia giudiziaria l’ispezione personale del soggetto.
Quando con la perquisizione o l’ispezione arbitraria vengono offesi altri beni, oltre a quello della libertà personale della persona sottoposta agli atti suddetti (ad esempio, libertà sessuale, pudore, onore), si avrà concorso materiale di delitti.

  • Ad esempio, concorso fra questo delitto e il delitto di atti di libidine o di atti osceni, o di ingiuria, ecc.

Il colpevole è punito con la reclusione fino ad un anno. 

► Violazione di domicilio commessa da un Pubblico Ufficiale (art. 615 c.p.)

Commette il reato di cui all'art. 615 c.p., il Pubblico Ufficiale, che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni (323), s’introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell’articolo 614 c.p. (abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi)
Occorre, ai fini della punibilità, che il Pubblico Ufficiale sia "competente" (presupposto) ad effettuare una perquisizione domiciliare (se lo stesso agisce fuori della sfera dei suoi poteri, risponde del delitto di cui all’art. 614 in concorso materiale col delitto previsto dall’art. 347 - Cass. 28 giugno 1940, Salvetti); che lo stesso si sia introdotto o trattenuto nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p. illegittimamente oppure si sia introdotto nei luoghi stessi senza osservare le formalità prescritte dalla legge.

  • Ad esempio, ha effettuato la perquisizione di notte, violando l’art. 352, n. 3 c.p. 

Occorre, infine, che il Pubblico Ufficiale abbia commesso l’azione rendendosi ben conto di commettere un abuso (se difetta la coscienza dell’abuso si avrà soltanto una grave mancanza disciplinare).
La pena è della reclusione da uno a cinque anni se l’abuso consiste nell’introdursi o nel trattenersi nell’abitazione.
Se l’abuso consiste nell’introdursi nei detti luoghi senza l’osservanza delle formalità prescritte dalla legge (250, 352 c.p.p.), la pena è della reclusione fino a un anno.

 


[1] L’abuso di potere comprende l’usurpazione del potere non conferito dalla legge, l’eccesso di competenza, l’azione fuori dei casi consentiti dalla legge e la mancata osservanza delle formalità prescritte dalla legge.

 

 

Contravvenzioni concernenti l'ordine e la tranquillità pubblica

In tale categoria rientrano tutti quei fatti che ostacolano l’attività dello Stato diretta ad assicurare l’ordine e la tranquillità pubblica.

L’ordine e il buon assetto ed il regolare andamento della vita sociale; la tranquillità pubblica – che rappresenta l’aspetto soggettivo dell’ordine – è la serenità d’animo che deriva al popolo dalla assenza di motivi di allarme, di commozione, di molestia. 

► Inosservanza dei provvedimenti da parte dell'Autorità (art. 650 c.p.)

Commette il reato di cui all’art. 650 c.p., chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o d'igiene.

Oggetto specifico è la tutela dell’interesse all’osservanza individuale dei provvedimenti dati per il mantenimento dell’ordine pubblico genericamente considerato.
Si tratta di una norma penale in bianco ed a carattere ausiliario (opera cioè solo se l’inosservanza del provvedimento dell’Autorità non è punita da un’altra norma penale).

  • Si pensi, ad esempio, alle disposizioni di cui agli artt. 270 comma 2, 271 comma 3, 328, 336, 337, 338. 389, 450, 509 ovvero agli artt. 652, 659 comma 2, 665, 666 comma 2, 668 comma 4, 677, 679 comma 3, 680, 681, 686 comma 2, 689, 705, 706 c.p.

La condotta consiste nel non osservare un provvedimento (dell’Autorità amministrativa o dell’Autorità giudiziaria) dato legalmente (=provvedimento legittimo: vale a dire emesso dall’Autorità competente e con forme – anche orali – previsti dalle leggi) per una delle seguenti tassative ragioni:

  1. ragioni di giustizia (=per agevolare le funzioni della magistratura anche civile e della polizia giudiziaria).
  • Sono provvedimenti emanati per tale ragione, ad esempio, l’invito rivolto dalla polizia giudiziaria, a seguito dell’accertamento di un reato sulla pesca (art. 55 lettera d – danneggiare le risorse biologiche delle acque del mare con l’uso di materie esplodenti) a presentarsi in Capitaneria di Porto, sia al titolare dell’unità da pesca (=indagato) sia alle persone informate sui fatti (=membri dell’equipaggio ovvero altri pescatori).
  1. ragioni di sicurezza pubblica (=per una delle finalità indicate nell’art. 1 del T.U.L.P.S.: mantenimento dell’ordine pubblico, sicurezza dei cittadini e loro incolumità, tutela della proprietà, prestazione di soccorso in caso di pubblici o privati infortuni e prevenzione dei reati).
  • Rientrano, ad esempio, fra i provvedimenti emanati per ragioni di sicurezza pubblica, l’invito al conducente di un veicolo di mostrare il “triangolo” o di rimuovere l’auto lasciata in divieto di sosta.
  1. ragioni di ordine pubblico (=per la tutela della tranquillità pubblica e dell’armonia sociale).
  • Possono ritenersi emessi per tale ragione, ad esempio, i provvedimenti con i quali il Sindaco ordina di sospendere un lavoro notturno eccessivamente rumoroso oppure provvedimenti con i quali personale delle Forze di polizia ingiunge ad alcuni ubriachi di lasciare il bar.
  1. ragioni di igiene (=per la sanità pubblica).
  • Possono ritenersi tali, ad esempio, i provvedimenti con i quali il medico provinciale invita a far recintare la discarica dei rifiuti ovvero i provvedimenti emessi dall’ Ufficiale sanitario comunale in materia di sanità e di igiene.

Il reato non sussiste se il provvedimento non è congruamente motivato. In particolare, nel caso dei «biglietti di convocazione» utilizzati dalle Forze di polizia (ed anche dalla Capitaneria di Porto), la persona convocata deve essere posta in condizione di conoscere quantomeno le ragioni generali per le quali è stata chiamata.

  • Non è da ritenersi congruamente motivato, ad esempio, il provvedimento con il quale si invita una persona in un Ufficio di polizia per…. «affari che la riguardano».
    E’ stato invece ritenuto congruamente motivato il biglietto di invito contenente la dizione per…«motivi di polizia giudiziaria». 

► Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale (art. 651 c.p.)

Commette il reato di cui all’art. 651 c.p., chiunque richiesto da un Pubblico Ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali.
Occorre accertare che il Pubblico Ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, abbia richiesto al soggetto di dare le proprie generalità; o che il soggetto abbia manifestato in qualunque modo, ma chiaramente, di non voler rispondere alla richiesta; ovvero che il soggetto abbia voluto non aderire alla richiesta, sapendo che il richiedente era un nell’esercizio delle sue funzioni o non sapendolo per un suo errore colposo.

Il rifiuto di fornire la prova delle proprie generalità "non costituisce questa contravvenzione" allorquando il soggetto declina le proprie generalità a voce, rifiutando di esibire il documento di identità (artt. 4 e 157 T.U.L.P.S.).
 
Il reato sussiste anche nel caso che, "
dopo il rifiuto" il soggetto fornisca spontaneamente le generalità (Cass. 23 febbraio 1985, Cardinato).
Se il soggetto, invece di tacere, declina generalità false, commette il delitto di cui all’art. 496 c.p.

  
 

I Reati tipici connessi alla navigazione marittima

Ai fini del nostro studio, appare opportuno analizzare le fattispecie penalmente rilevanti che possono concretizzarsi a seguito dell’evento costituito dalla «navigazione marittima», e che possono di massima verificarsi per le seguenti violazioni, rispettivamente contemplate dal Codice Penale, dal Codice della Navigazione e da altre Leggi speciali:

  • Art. 428 c.p. (Naufragio, sommersione o disastro aviatorio) che punisce “chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave. o di un edificio natante (cioè di un galleggiante)…” indicando quindi quale circostanza aggravante “...se il fatto avviene ..rimuovendo o facendo mancare segnali..” (si veda in proposito il corrispondente art. 1112 Cod. nav.) - Reato c.d. di danno;
  • Art. 450 c.p. (Deliti colposi di pericolo) che punisce “...chiunque con la propria azione od omissione fa sorgere il pericolo..di un naufragio o sommersione di una nave o altro edificio natante”; - Reato c.d. di pericolo 
  • art. 451 c.p. (Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) che punisce"... chi con la propria azione o omissione fa venir meno le cautele ovvero le strutture poste a prevenzione di disastri o infortuni (rimozione di mezzi di salvataggio o antincendio);
  • art. 1112 Cod. nav. (Esecuzione o rimozione arbitraria e omissione di segnali) che punisce “...chiunque arbitrariamente rimuove… ovvero…omette di collocare i segnali predisposti per la sicurezza della navigazione marittima…”, indicando poi il fatto quale circostanza aggravante se dall’evento deriva pericolo di incendio, naufragio o sommersione per la nave o il galleggiante;
  • art. 1113 Cod. nav. (Omissione di soccorso) che punisce “...chiunque – richiestone dall’Autorità competente - ometta di cooperare coi mezzi di cui dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante,di una persona…. ovvero all’estinzione di un incendio “. Tale fattispecie trova una corrispondenza più specifica rispetto ai corrispondenti art. 593 c.p.(che limita la fattispecie alla presenza di minori o persone incapaci) e art. 189 C.d.S. (che fa scattare il reato qualora l’interessato con la propria azione abbia causato l’evento), postulandosi quindi per la concretizzazione di detto reato marittimo, rispettivamente, una specifica preventiva richiesta di intervento da parte dell’Autorità, e la disponibilità in capo al soccorritore di mezzi per l’espletamento del soccorso stesso.  
  • art. 1116 Cod. nav. (Abbandono abusivo di comando) che punisce “...il Comandante che senza necessità lascia la direzione nautica della nave … a soggetto che non ne abbia i requisiti…”. Trattasi quindi di reato tipico contro la sicurezza della navigazione marittima, e che può essere commesso esclusivamente da chi abbia l’incarico di “Comandante della nave”, e che trova la sua ratio negli artt. 292, 293, 295, 298 Cod. nav. in materia di assunzione del comando e condotta nautica della nave.
  • ​art. 1117 Cod. nav. (Usurpazione del comando di nave...) che punisce "...chiunque indebitamente assume o ritiene il comando di una nave”. La ratio punitiva di tale articolo è la stessa del capo precedente, ed è finalizzata ad impedire che la sicurezza della navigazione sia compromessa se assume il comando un soggetto non abilitato. Rilevasi al riguardo come tali violazioni siano tipiche di unità di ridotto equipaggio ed adibite a navigazione costiera, quali le unità da pesca che generalmente richiedono un titolo professionale minore.​
  • art. 1118 Cod. nav. (Abbandono del posto) che punisce “ il componente dell'equipaggio della nave..del galleggiante...che durante un servizio attinente alla sicurezza della navigazione abbandona il posto". Anche per tale violazione valgono le considerazioni fatte in precedenza, potendosi richiamare agli artt. 316, 317 e 321 Cod Nav. in materia di formazione,gerarchia e funzioni dell’equipaggio, la cui composizione e funzioni nell’organizzazione di bordo siono fondamentali per la sicurezza della navigazione intrapresa dalla nave cui lo stesso è imbarcato ed al cui funzionamento è – nei rispettivi ruoli – preposto.
  • art. 1120 Cod. nav. (Ubriachezza) che punisce "Il comandante della nave, del galleggiante..che si trova in tale stato di ubriachezza, non derivatala da caso fortuito o da forza maggiore (c.d. intossicazione accidentale), da escludere o menomare la sua capacità al comando..." L'ubriachezza a bordo - ha un suo corrispondente negli art. 186 C.d.S. e 379 Reg. Es., e trova la sua ratio nella necessità di grantire la sicurezza della navigazione. Deve rilevarsi tuttavia che tale violazione – a differenza di quella connessa alla circolazione stradale – appare di difficile accertamento in corso di navigazione, anche in ragione della complessità della normativa e della relativa giurisprudenza creatasi, rispettivamente, in materia di modalità di accertamento e livello di pericolosità del tasso alcolico.
    Per quanto sopra deve ritenersi che – pur se formalmente applicabile alla sola circolazione stradale – appare facilmente ipotizzabile una analoga estensione dell’istituto anche in campo marittimo, e ciò in applicazione del principio del favor rei, specie considerando che il Codice della Navigazione né da una esatta definizione né del concetto di “ubriachezza” né – tantomeno – delle modalità di accertamento di tale situazione soggettiva.
  • art. 1218 Cod. nav. (Inosservanza di norme sulle segnalazioni) che punisce “...il Comandante della nave che non osserva le norme sulle segnalazioni prescritte in ordine alla sicurezza della navigazione”: trattasi quindi di un reato che può essere commesso solo da chi riveste la qualifica di comandante della nave, ed costituisce reato specifico e distinto da quello più generico dell’art.1231 (Cass. Pen. – Sez. VI^ - Sent. n° 35935 del 13.12.01).
  • art. 1231 Cod. nav. (Inosservanza di norme sulla sicurezza della navigazione) che punisce “...chiunque, non osserva una disposizione di legge o regolamento ovvero un provvedimento legalmente dato dall’Autorità marittima…” -  Trattasi di reato di pericolo.
    Tale violazione assume carattere onnicomprensivo, in quanto con essa si viene a sanzionare – in via generale - qualsiasi violazione in materia di sicurezza della navigazione, se non diversamente sanzionata, ed in particolar modo le violazioni alle Ordinanze marittime e balneari.
    Trattasi di norma penale c.d. ”in bianco”, corrispondente all’omologo art.650 c.p.., ed è una delle norme del Codice per le quali non è intervenuta la depenalizzazione.
    Si tratta di una norma la cui violazione si postula quindi ex se quando l’evento è avvenuto per colpa a seguito di violazione di qualsiasi disposizione in materia di sicurezza della navigazione – quali ad es. la COLREG (D.P.R. 14.11.72, n° 1154) ovvero le disposizioni in materia di schemi di separazione di traffico di cui all’art. 5 commi 3 e 4 della L. 07.03.01, n° 51);
  • art. 7, comma 1 lett. f) D.lgs. n. 4/2012 , punito dall’art. 23 comma 2° della medesima. Trattasi di una violazione che normalmente viene commessa contestualmente a quella sanzionata dall’art. 1231 Cod. nav., qualora le unità da pesca interessate non abbiano le dotazioni di sicurezza né le abilitazioni alla navigazione d’altura normalmente previste per chi esercita attività di pesca o comunque navighi oltre le acque territoriali o internazionali, e che può venire accertata – oltre che direttamente tramite apparati GPS e altri sistemi elettronci installati su aeromobili o motovedette d’altura – anche successivamente tramite riscontro dei sistemi di rilevazione elettronica della posizione (blue box o apparecchiature di segnalazione analoghe).
  • art. 406 D.P.R. 29.03.73, n° 156 (Uso indebito di segnale di soccorso) e art. 340 c.p.. (Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità)
    Tali disposizioni sono intese a tutelare la sicurezza della navigazione dall’uso indebito ovvero dall’intromissione nelle frequenze di soccorso, per la cui configurabilità è sufficiente che l’azione di distrurbo interferisca – anche temporaneamente – nel sistema di ascolto (Cass. Pen. – Sez. III^ - Sent. n° 3700 del 03.02.05)
    Le suddette disposizioni si richiamano a loro volta al Tldp.n° 332356 del 19.05.97 del Ministero delle Telecomunicazioni in materia di frequenze radio di emergenza – attuativa della Dispoisizione SOLAS “Emendamento 1985” in materia di introduzione del sistema DSC nella giurisdizione nazionale, e segnatamente dei canali 16 e 70 – disposizioni che prevedono inoltre l’irrogazione di contestuali sanzioni amministrative per violazione dell’art. 240 del citato D.P.R. n° 156/1973.
  • art. 37 L. 24.11.81, n° 689 (Frode Previdenziale) e art. 2 D.L. 12.09.83, n° 463 - Conv. L. 638/83 (Omissione Contributiva). Trattasi di violazioni tuttora penalmente rilevanti, generalmente connesse a quelle in materia di lavoro marittimo di cui agli artt. 1178 e 1221 Cod. nav.

 

Il reato permanente

Si tratta di un reato di creazione giurisprudenziale che si verifica quando l’offesa commessa dall’agente a un bene giuridico tutelato dall’Ordinamento giuridico, si protrae nel tempo per effetto di una sua condotta persistente e volontaria.

  • Esempio di tale tipo di reato è il sequestro di persona.

Si tratta dunque di un "reato di durata" caratterizzato dal fatto che l'evento lesivo e la sua consumazione perdurano per un certo periodo di tempo.

Il reato si compone di due fasi:

  1. una fase iniziale in cui il soggetto agente pone in essere tutti i fatti perché si verifichi il fatto illecito (si può trattare di condotta omissiva e/o commissiva);
  2. poi vi è la fase della continuazione che, secondo la giurisprudenza prevalente, consiste nel persistere, da parte del soggetto agente, nella condotta (omissiva). Nel caso di sequestro, la fase della continuazione coincide con la persistenza della volontà del soggetto agente di negare la libertà all’ostaggio ecc.

Nei reati permanenti acquista rilevanza giuridica non solo la condotta criminosa del soggetto agente che realizza la lesione del bene ma anche e soprattutto quella successiva di mantenimento.
Tale reato cessa nel momento in cui il reo mette fine alla sua condotta volontaria di mantenimento dello stato antigiuridico.
I requisiti di tale fattispecie sono dunque: carattere continuativo del comportamento criminoso e la volontà e la persistenza della condotta dell’agente.
Il carattere della permanenza non è un elemento caratteristico di questa particolare figura di illecito (giacché il reato si perfeziona con il semplice verificarsi del primo evento) ma va a incidere sulla determinazione della pena.

► Nel nostro Ordinamento penale sono previste diverse figure del reato permanente tra i quali:

  1. riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.);
  2. plagio (art. 603 c.p.);
  3. sequestro di persona (art. 605 c.p.);
  4. indebita limitazione della libertà personale (art. 607 c.p.).
  5. tratta degli schiavi (art. 1152 Cod. nav.);
  6. occupazione di suolo demaniale (art. 1161 comma 1, Cod. nav.), ecc.

Non è pacifica in dottrina la distinzione fra il "reato continuato" e il "reato permanente" e la stessa distinzione normativa non è da tutti condivisa. La differenza consisterebbe infatti nella eventuale pluralità di azioni da considerarsi singolarmente reati ripetuti (reiterati), ovvero nella configurabilità di un reato unico, all'interno di un arco temporale rilevante durante il quale perduri una situazione di illecito.

  • Il sequestro di persona, ad esempio, è considerato un reato unico, la cui consumazione si compie operando nel tempo una serie di azioni tutte finalizzate alla commissione di quel delitto, di uno stesso disegno criminoso (reato continuato con pluralità di condotte).
  • Ipotesi di reato continuato, ad esempio, è quello dell'evasione fiscale (evasore totale) e ciò in quanto la condotta illecita ha inizio dalla data di scadenza del pagamento dovuto e ha fine solo nel momento dell’effettivo pagamento).

 

Elementi di procedura penale

"Il Procedimento Penale" 

Concetto di procedimento

Il diritto penale ricomprende tutte le norme che sanzionano con la pena un fatto illecito denominato reato. Poiché la pena è la più drastica, infamante e intimidatoria delle sanzioni, essa può essere inflitta solo dallo Stato (e cioè dall’unica istituzione finalizzata ad assicurare lo svolgimento ordinato e pacifico della vita in comune) e solo all’esito un “procedimento” rigorosamente regolato, affidato all’Autorità giudiziaria e quindi particolarmente garantito che rappresenta, appunto, il «procedimento penale»[1].

Il procedimento penale è il meccanismo attraverso il quale gli Organi giudiziari (Polizia Giudiziaria, Pubblico Ministero e Giudice) pervengono attraverso vari momenti e varie fasi all'accertamento, positivo o negativo di un reato e alla applicazione al caso concreto della norma che stabilisce essere stata violata.

  • Per chiarire, può ricorrersi ad esempi ormai noti: l’art. 1150 cod. nav.. (Omicidio del superiore) dispone: “Se il fatto previsto dall’art. 575 c.p. (Omicidio) è commesso da un componente dell’equipaggio della nave contro un superiore nell’atto o a causa dell’adempimento delle sue funzioni, la pena è della reclusione da 24 a trenta anni; se il fatto è commesso durante la navigazione, si applica la pena dell’ergastolo”. Si tratta di una disposizione che vale in astratto (e cioè per qualunque ipotesi di omicidio volontario) e per i componenti dell’equipaggio (secondo una gerarchia di bordo) che si rendano colpevoli di quel reato. La disposizione si «concretizza» quando, ad esempio, il nostromo della nave cagiona volontariamente la morte dell’Ufficiale di coperta. In tale ipotesi i Giudici sono chiamati ad applicare al caso specifico la disposizione generale ed astratta dell’art. 1150 cod. nav... Quegli organi esercitano allora la giurisdizione penale (applicazione al caso concreto di una norma penalmente sanzionata in via generale ed astratta).Tale applicazione concreta avviene attraverso un procedimento rigidamente regolato e che rappresenta, appunto, il procedimento penale.
    Il che vuol dire, in altre parole, che quando, ad esempio, viene ucciso un superiore, spetta ai Giudici accertare, dietro iniziativa di un altro organo statale, il Pubblico Ministero, se nel fatto può essere ravvisato il reato di omicidio (volontario, o preterintenzionale) e, in caso di accertamento positivo, punire l’eventuale autore del reato (=imputato) infliggendogli la sanzione che è prevista dal codice della navigazione per quel tipo di reato (dall’art. 1150 per l’omicidio volontario; dall’art. 1151 per quello preterintenzionale).

All'accertamento del reato ed ai suoi effetti punitivi, si perviene, dunque, attraverso il «procedimento penale». Esso prevede il compimento di atti da parte dei vari Soggetti (la Polizia Giudiziaria, il Pubblico Ministero, l'imputato, il difensore....) e si articola in vari momenti e varie fasi (come quella delle indagini preliminari, del giudizio di primo grado, dell'appello...).

La nostra procedura penale, fondata sul sistema accusatorio, è calibrata sulla distinzione tra la «fase delle indagini preliminari», svolte dalla Polizia Giudiziaria sotto la direzione del Pubblico Ministero o da quest’ultimo personalmente, e la «fase del processo» celebrata innanzi ad un Giudice nel contraddittorio tra Pubblico Ministero ed imputato.

► Il procedimento, pertanto, comprende:

  • una fase «pre-processuale» (=indagini preliminari) anche detta procedimentale. Questa è rappresentata dagli atti investigativi posti in essere dal Publico Ministero (P.M.) o dalla Polizia Giudiziaria (P.G.), anteriormente all’eventuale esercizio dell’azione penale e, pertanto, necessariamente antecedente all’eventuale investitura del Giudice sul merito della res judicanda. La fase investigativa ha natura non giurisdizionale, non perché manchi un Giudice durante la fase delle indagini (anzi vi è il Giudice per le indagini preliminari), ma perché costui non è chiamato a formulare un giudizio di innocenza o colpevolezza sul merito di una imputazione;
  • una fase «giurisdizionale» (=processo). Si tratta della fase processuale in senso proprio che, che si apre, con un atto formale di imputazione che rappresenta l’inizio dell’azione penale (artt. 60 e 405), e continua con l’Udienza Preliminare (relativa alla formale incriminazione della persona già sottoposta ad indagini), i giudizi speciali predibattimentali (giudizio abbreviato, patteggiamento e decreto penale), i giudizi dibattimentali (ordinario o i due speciali: direttissimo ed immediato), e termina con una sentenza irrevocabile (artt. 434 e 648).

L’ampio significato del termine "procedimento" si riflette nella terminologia del codice vigente che lo utilizza in riferimento sia ad entrambe le fasi procedimentali (la pre-processuale e la processuale), sia soltanto alla fase delle indagini preliminari (pre-processuale)

Sia l’individuazione dei “Soggetti” del procedimento penale sia l’individuazione e la disciplina dei loro compiti e funzioni sono regolate da norme che si denominano processuali penali e che, per la loro gran parte, sono collocate nel Codice di Procedura Penale e in altre disposizioni ad esso complementari.

 


[1] Il termine «procedimento» esprime l’idea comune del procedere..., del proseguire..., del susseguirsi di una serie di atti in ordinata e prestabilita sequela verso una meta o finalità.
 

Lo Stato e le sue funzioni

Lo Stato è l'ente originario (il suo potere non deriva da nessuno) e sovrano, destinato a garantire le condizioni fondamentali e indispensabili perché, sul suo territorio, i rapporti tra i singoli si svolgano in modo ordinato e si dirigano allo sviluppo ed al benessere dell’intera collettività.

Al conseguimento delle finalità di conservazione e sviluppo della comunità stabilita sul suo territorio, lo Stato provvede con una serie di attività che costituiscono le sue “funzioni”.

  • Le funzioni fondamentali dello Stato sono: 
  1. quella legislativa
  2. quella amministrativa
  3. quella giurisdizionale

In particolare, l'attività del personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera (così come per le altre forze e organi di polizia) si colloca all'interno del più ampio contesto della "funzione amministrativa " dello Stato che, in via principale, ha il fine di mantenere l’ordine interno mediante l' «Attività di Polizia», ossia l'attività rivolta a prevenire condotte in grado di turbare l’ordine e la sicurezza pubblica oltre ché a reprimere le violazioni già verificatesi di norme penali, impedendone gli eventuali ulteriori effetti.

 

 

Le funzioni

La funzione legislativa, giurisdizionale e amministrativa

Mediante la «funzione legislativa» lo Stato detta ai suoi consociati delle regole di condotta «norme» che vietano atti socialmente dannosi e spronano invece ad operare in senso vantaggioso. Poiché il complesso delle norme emanate dallo stato ne costituisce il «Diritto», può anche dirsi che la funzione legislativa è quella mediante la quale lo Stato pone e modifica il suo diritto. 

  • Ad esempio, le norme penali che vietano e puniscono certi atti che per i suoi interessi possono rappresentare un danno o un pericolo o le norme civili che permettono alcune attività ovvero riconoscono taluni diritti e facoltà. 

L’osservanza del diritto - e quindi delle norme che ha emanato con l'esercizio della funzione legislativa - è realizzata dallo Stato mediante l’esercizio della «funzione giurisdizionale» (semplicemente giurisdizione). Tale funzione è ritenuta spesso la più delicata (se non la più importante) delle tre funzioni in quanto con essa si attribuisce ad un uomo (Giudice) la grave e talora drammatica responsabilità di giudicare il proprio simile. La giurisdizione consiste pertanto nel potere attribuito dallo Stato ai Giudici che hanno la funzione, all’esito di una ordinata sequenza di atti denominata «procedimento», di dichiarare se nel caso specifico la norma è stata violata nonché, di conseguenza, di infliggere e far applicare anche coattivamente, le «sanzioni» che dalla stessa norma violata sono previste in caso di sua infrazione. A differenza della funzione legislativa, che ha carattere generale ed astratto, quella giurisdizionale ha dunque anzitutto un carattere concreto. 

  • Per evidenziare ulteriormente i concetti espressi può prendersi, ad esempio , il caso previsto dall’art. 575 c.p. - Omicidio Volontario (o art. 1150 Cod. nav.) Nell’esercizio della funzione legislativa, lo Stato, ritenendo illecita e riprovevole la condotta di chi...(chiunque cagiona la morte di un uomo...) ha creato un apposita norma (l’art. 575 appunto) che vieta tale tipo di condotta e la punisce con una sanzione penale che in genere è quella della reclusione non inferiore a 21 anni, ma che, in talune ipotesi ritenute particolarmente gravi (artt. 576 e 577 c.p.) può anche essere quella dell’ergastolo. Si tratta di una disposizione che vale in generale ed in astratto (e cioè per qualsiasi ipotesi di morte che da altri dovesse essere cagionata e per chiunque si renderà colpevole di quel reato) e che si concretizza invece quando Tizio cagiona volontariamente la morte di Caio. In tali ipotesi, i Giudici sono chiamati ad applicare al caso concreto, la disposizione generale e astratta dell’art. 575 c.p. Questi Organi esercitano la funzione giurisdizionale accertando, in particolare, tramite una ordinata e progressiva sequenza di atti (il processo) se il fatto concretizza davvero l’ipotesi criminosa dell’art. 575 c.p., chi ne è il responsabile e quale pena merita. Poiché sono chiamati a giudicare un fatto punito con una sanzione penale (come si è visto l’omicidio è punito con la reclusione o con l’ergastolo) si dice, più in particolare, che questi Organi esercitano la giurisdizione penale laddove, invece, si sarebbe potuto parlare di esercizio della giurisdizione civile o della giurisdizione amministrativa, se questi Organo avessero dovuto giudicare in ordine alla violazione di norme punite con una sanzione civile (quale, ad esempio, è la restituzione della cosa o il risarcimento del danno) o una sanzione amministrativa (quale, ad esempio, è la sanzione disciplinare).

Proprio partendo dall’esempio appena fatto, può allora dirsi che, a seconda del tipo di norme che deve essere applicato nei casi concreti la "giurisdizione" può essere distinta in:  

  1. giurisdizione penale 
  2. giurisdizione penale militare 
  3. giurisdizione civile 
  4. giurisdizione amministrativa 

La "giurisdizione penale" riguarda la capacità di giudicare fatti e situazioni relativi a violazioni di norme penalmente sanzionate.

La "giurisdizione penale militare" costituisce una specie della giurisdizione penale in quanto riguarda la capacità di giudicare fatti e situazioni relative a violazioni di norme penali militari commesse dagli appartenenti alle Forze Armate.  

La "giurisdizione civile" che riguarda la capacità di giudicare fatti e questioni attinenti a violazioni di «diritti soggettivi»[1] tutelati dall’ordinamento.  

La "giurisdizione amministrativa" che riguarda la capacità di giudicare fatti e questioni relativi a violazioni di interessi (cc.dd. legittimi) nei rapporti fra privati e pubblica amministrazione. 
 
► In particolare:  

Mediante la «funzione amministrativa», lo Stato realizza gli interessi pubblici che, mediante la funzione legislativa, ha assegnato a se stesso in via preventiva ed astratta. Nell’attuale ordinamento del nostro Stato, i principali fini della funzione amministrativa sono quelli di:

  1. conservazione dell’ordine interno e della sicurezza esterna;
  2. finanza pubblica;
  3. cura del benessere morale e materiale della collettività. 

La "conservazione dell’ordine interno e della sicurezza esterna" è attuata, in via prioritaria, mediante l’«attività di polizia» e cioè, mediante quell'attività amministrativa tesa alla prevenzione e repressione dei fatti che possono turbare la tranquillità, il benessere e la pacifica convivenza dei cittadini e che, con riferimento allo specifico oggetto degli interventi, solitamente si suddivide poi in:

  1. attività di polizia amministrativa 
  2. attività di polizia di sicurezza
  3. attività di polizia giudiziaria

La "conservazione della sicurezza esterna" è invece attuata dallo Stato sia mediante attività rivolte alla cura delle pacifiche relazioni con gli altri Stati sia mediante attività rivolte alla preparazione di mezzi di difesa militare (come la predisposizione di armamenti, il reclutamento dei militari e il loro addestramento) 
 
La "finanza pubblica" si estrinseca, sia nella raccolta dei tributi sia nel controllo e nella regolamentazione dei modi di erogazione delle spese. 

La "cura del benessere materiale della collettività" si esplica in prevalenza nel settore della previdenza, della sanità, dei lavori pubblici e delle comunicazioni (con la creazione di un efficiente sistema sanitario e di assistenza, con la costruzione di alloggi, strade, ospedali, con la predisposizione dei servizi postali e telefonici) ma che può esplicarsi altresì incoraggiando o esercitando direttamente attività economiche nel campo dell’agricoltura, dell’industria, del commercio.

La "cura del benessere morale della collettività" si esplica principalmente assicurando l’istruzione pubblica e incrementando le attività fisiche e sportive oltreché quelle culturali o di spettacolo.

 


 [1] Diritti soggettivi pubblici: diritto all’uso dei beni demaniali, di ammissione alle scuole pubbliche, diritto alla libertà personale e patrimoniale, di libertà di pensiero, diritto all’elettorato e all’aspirazione alle cariche pubbliche, ecc.

 

 

I soggetti pubblici del procedimento

Dovendo tentare di collocare in un giusto ambito le “funzioni” attribuite alla Polizia Giudiziaria, e per effetto, a chi appartenendo al personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera, ha - sia pure limitatamente a taluni reati - la qualità di Ufficiale ed Agente di polizia giudiziaria, può dirsi, anzitutto, che la «Polizia Giudiziaria» è un soggetto del procedimento penale (artt. 55-59 c.p.p.) e. partecipa con gli altri soggetti (e in specie con gli altri soggetti pubblici del procedimento: il Pubblico Ministero e il Giudice) a stabilire se un fatto concreto che è stato commesso costituisce reato, chi ne è responsabile e quale pena merita.

La sua attività si colloca, pertanto, dopo la commissione di un fatto illecito che astrattamente può costituire reato e come abbiamo detto più volte, la funzione della polizia giudiziaria è una funzione diretta all’accertamento e alla repressione di un reato che è stato commesso ed alla ricerca del suo autore o autori per assicurarli alla giustizia. 

  • Il procedimento penale ha per «protagonisti» tre soggetti (c.d. necessari): 
  1. il Giudice, organo imparziale e terzo, estraneo istituzionalmente alle pretese azionate dalle parti, che non potrà mai diventare parte (super partes);
  2. il Pubblico Ministero, soggetto nella fase delle indagini preliminari, ma parte dopo avere azionata la «pretesa punitiva»;
  3. l’Indagato (persona sottoposta alle indagini), che diventa «parte» nel momento in cui è formalmente incriminato innanzi ad un Giudice divenendo “imputato”. 

Nello svolgimento dei ruoli assegnati il Pubblico Ministero e l’indagato/imputato fruiscono, rispettivamente, dell’ausilio della Polizia Giudiziaria e del Difensore.

La Polizia Giudiziaria ha la funzione di ricercare le fonti di prova e di compiere attività ed accertamenti volti a consentire il Pubblico Ministero di stabilire la “fondatezza” della notizia di reato.

Il difensore ha la funzione di assistere tecnicamente l’indagato/imputato e di consentire che il processo-duello giudiziario si svolga «ad armi pari»: cosa che non potrebbe accadere se dovessero fronteggiarsi un accusatore competente come il Pubblico Ministero e un accusato digiuno di diritto come l’imputato.

Accanto ai soggetti necessari fin qui indicati (Giudice, Pubblico Ministero, Polizia Giudiziaria, indagato/imputato e difensore), si muovono, sulla scena del processo, altri soggetti che possono essere definiti «eventuali»; la loro presenza nel procedimento può essere spontanea o provocata (artt. 348, comma 4 e 359 c.p.p.) [1] e non è mai indispensabile.

  • Sono soggetti eventuali, ad esempio, il testimone, il consulente tecnico, il perito chimico, il chimico del porto, il perito R.I.Na., il funzionario dell’ASL, l’interprete, l’ Ufficiale giudiziario, la persona offesa del reato, la parte civile, ecc.

Tra i soggetti eventuali una specifica considerazione meritano:

  1. la persona offesa dal reato: portatrice dell'interesse leso dal reato e, quindi, se danneggiata dal reato, legittimata a costituirsi parte civile per conseguire il risarcimento dei danni e le restituzioni;
  2. il responsabile civile: il diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno è fatto valere dalla parte civile nei confronti del colpevole del reato ovvero nei confronti della persona che, a norma delle leggi civili, deve rispondere per il fatto dell'imputato. Questa persona (genitore, tutore, precettore, padrone, società assicuratrice, ecc.) assume la denominazione tecnica di "responsabile civile" che sostituisce il colpevole nelle restituzioni e nel risarcimento dei danni cagionati dal reato alla parte civile;
  3. il civilmente obbligato per la pena pecuniaria: sostituisce il condannato quando questi non è in grado di pagare la pena pecuniaria (multa o ammenda) che gli è stata inflitta per il reato commesso (soggetto legato al condannato da un rapporto di sovra ordinazione);
  4. gli enti esponenziali: enti e associazioni senza scopo di lucro (onlus) rappresentativi di interessi lesi dal reato, che, pur intervenendo ad adiuvandum, a fianco della persona offesa (previo il consenso), non assumono veste di parte, non spettando ad essi la titolarità dei beni giuridici nella concreta fattispecie violati (es. organizzazioni ambientaliste).

 

 


[1] Art. 348, 4° comma c.p.p. - La polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del Pubblico Ministero, compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee (c.d. ausiliari di polizia giudiziaria) le quali non possono rifiutare la propria opera.

Art. 359 c.p.p. (Consulenti tecnici del Ministero) – Il Pubblico Ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare (art. 225 c.p.p. e art 73 att.) e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera. Il consulente può essere autorizzato dal P.M. ad assistere a singoli atti di indagine.

L’art. 232 c.p.p. (Liquidazione del compenso al perito) – Il compenso al perito è liquidato con decreto del Giudice che ha disposto la perizia, secondo le norme delle leggi speciali (art. 73 att). Per i compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori, si veda la Legge 8 luglio 1980, n. 319 e, per i successivi adeguamenti, il D.P.R. 27 luglio 1988, n. 352 e il D.M. 30 maggio 2002 del Ministero Giustizia

 

Giustizia ordinaria

Il termine «Autorità Giudiziaria» (=A.G.) è sinonimo di Magistratura cioè a dire il complesso degli Organi che amministrano la giustizia. Istituzionalmente ha competenza in materia di reati e si ripartisce in: 

  1. Magistratura «giudicante», di cui fanno parte tutti i Giudici di carriera
  2. Magistratura «inquirente/requirente», di cui fanno parte tutti i Pubblici Ministeri

Il Codice di procedura penale [52] si apre con la normativa intitolata al "Giudice", proprio per segnalare la centralità della "funzione giurisdizionale", che è quella di gran lunga preminente nel processo. Tocca al Giudice, infatti, risolvere la controversia fra il Pubblico Ministero ed imputato, esprimendo la sua valutazione sugli elementi raccolti nel processo. Nell'assolvere questo compito il Giudice gode di ampia indipendenza, egli è soggetto solo alla legge, e deve essere estraneo agli interessi in conflitto.
Il nostro ordinamento giuridico prevede «tre gradi di giudizio», nel cui contesto si sviluppa uno schema processuale unitario: un organo che esercita la pubblica accusa (funzione requirente) nei confronti di un difensore (avvocato); il tutto davanti ad un Organo imparziale e terzo che viene definito "organo giudicante" che emetterà una sentenza di condanna o di assoluzione.

  • Le sedi giudiziarie italiane sono articolazioni periferiche del Ministero della Giustizia. Gli organi per mezzo dei quali si svolge la funzione giurisdizionale p enale e ai quali è affidata, quindi, l'amministrazione della giustizia sono:
  1. Giudice di pace;
  2. Giudice unico del tribunale;
  3. Corte d'Assise;
  4. Corte d'Appello;
  5. Corte d'Assise d'Appello;
  6. Suprema Corte di Cassazione;
  7. Tribunale per i minorenni;
  8. Tribunale di Sorveglianza;
  9. Magistrato di Sorveglianza

La Magistratura giudicante è organizzata secondo il principio (contenuto nell'art. 101 della Costituzione) per cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Quindi, nonostante vi siano diversi giudici e vari gradi del giudizio,non esiste fra i giudici nessuna gerarchia.

  • Un'altra parte della magistratura ricerca i colpevoli di reati e le prove per arrivare alla loro condanna. Questi agiscono come "Pubblici Ministeri" e sostengono l'accusa nei processi penali. La magistratura che esercita le funzioni di Pubblico Ministero, è organizzata in uffici con un Capo e con Magistrati alle sue dipendenze (sostituti procuratori):
  1. Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario;
  2. Procura Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello;
  3. Procura Distrettuale Antimafia;
  4. Procura Generale presso la Suprema Corte di Cassazione;
  5. Procura Nazionale Antimafia.

La Magistratura, pur essendo formata di dipendenti pubblici, gode di una particolare autonomia nei confronti degli altri due poteri fondamentali dello Stato (quello legislativo del Parlamento e quello esecutivo del Governo).

 

 

 

Organizzazione della giustizia ordinaria

I "magistrati di carriera" (Giudici e Pubblici Ministeri) sono distribuiti in senso orizzontale (o geografico) in 24 distretti di Corte d'Appello (oltre che 3 sezioni distaccate di esse) ed in Roma presso la Corte di cassazione., oltre che nelle Procure della Repubblica presso i vari Uffici giudiziari. Nell'ambito di ciascun distretto esistono gli uffici giudiziari di primo e secondo grado (appello)
A decorrere dal 2 giugno 1999, in seguito alla riforma del "
Giudice unico di primo grado" (D.lgs. n. 51/98 e successive norme), vi è stato l'assorbimento delle Preture e delle relative Procure della Repubblica rispettivamente nei Tribunali ordinari e nelle corrispondenti Procure, mentre nulla è stato innovato nell'organizzazione dei restanti uffici giudiziari.

Per quanto attiene all'amministrazione della giustizia penale e qui considerando anche gli uffici del Pubblico Ministero, si hanno:

  • Uffici giudiziari di primo grado:
  1. Giudice di pace;
  2. Tribunale ordinario;
  3. Tribunale per i minorenni;
  4. Corte d'Assise;
  5. Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario;
  6. Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.
  • Uffici giudiziari di secondo grado:
  1. Corte d'Appello;
  2. Corte d'Assise d'Appello;
  3. Tribunale di Sorveglianza;
  4. Procura Generale della repubblica presso la Corte d'Appello.   
  • Uffici giudiziari di terzo grado:
  1. Corte di Cassazione;
  2. Procura Generale presso la Corte di Cassazione.

In base al «numero delle persone» necessarie ad integrare la composizione dell’Organo decidente, si hanno:

  1. Giudici monocratici, ossia monopersonali. Tali sono il Giudice di pace, il Giudice per le indagini preliminari (GIP), il Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) presso il tribunale ordinario, il Tribunale ordinario monocratico, il Magistrato monocratico di sorveglianza;
  2. Giudici collegiali, ossia pluripersonali. Tali sono il Tribunale collegiale ordinario, il GUP presso il Tribunale per i minorenni, il Tribunale per i minorenni, il Tribunale di sorveglianza, la Corte d’assise, la Corte d’appello, la Corte d’assise d’appello, la Corte di cassazione.

I magistrati del Pubblico Ministero (che non sono giudici, non avendo funzioni di giudizio) operano, usualmente in composizione monocratica e solo eccezionalmente, ove lo ritengono (ad esempio in indagini complesse), si aggregano in pool.

I magistrati (giudici e pubblici ministeri), quali  «persona fisica», possono essere di "carriera" (o professionali o togati), se sono legati allo Stato da rapporto di impiego ovvero, nel caso opposto, "onorari" (o laici).
Sono magistrati onorari monocratici i Giudici di pace ed in Giudici onorari di tribunale (G.O.T.), nonché i componenti privati di organi collegiali (di Corte d'Assise di primo e secondo grado, nonché gli esperti del tribunale per i minorenni, quelli della corrispondente Corte d'Appello per i minorenni e quelli del Tribunale di sorveglianza).

Sulla base della «natura delle funzioni» si hanno:

  1. Giudici di merito, ossia tutti giudici di primo grado e secondo grado che giudicano sul merito o fatto oggetto del processo, ma, in verità, anche sui profili di legittimità;
  2. Giudici di legittimità, la cui cognizione è limitata ai soli profili di diritto (legittimità) e chesono rappresentati dalla sola Corte di Cassazione.

In base alla «ampiezza della loro cognizione», si hanno:

  1. Giudici ordinari, ossia i giudici investiti di una competenza penale generale: tali sono quelli dell'ordine giudiziario in cui è inquadrata la magistratura ordinaria (R.D. 30.1.1941, n. 12).
    Il Giudice di pace è da considerare magistrato ordinario, anche se non togato, in quanto contemplato all'art. 1 del citato R.D.
  2. Giudici speciali, ossia i giudici aventi cognizione ristretta a determinate materie (o categorie di reati) c.d. speciali: i tribunali militari, di guerra o di pace, competenti solo per i reati c.d. militari commessi da appartenenti alle Forze Armate; la Corte Costituzionale per i ministri, competente per i c.d. reati ministeriali e per i giudizi di accusa a carico del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento o attentato alla costituzione.

 

 

 

 

La giurisdizione penale e i suoi Organi

La «giurisdizione penale» è il potere attribuito a determinati Organi dello Stato (Giudici penali) di accertare, secondo regole e garanzie ben brecise (procedimento o processo penale) se un determinato fatto commesso da un uomo (c.d. fattispecie concreta) corrisponde o meno alla sua previsione generale (c.d. fattispecie astratta) contenuta in una legge penale. In una legge, cioè, che precede, per cho commette quel fatto (reato) un particolare tipo di sanzione (ergastolo, reclusione e/o multa; arresto e/o ammenda), detta, appunto, sanzione penale o pena.
Le leggi, infatti, contengono disposizioni generali ed astratte, dettate, cioè, per qualunque persona e per qualunque caso. Pertanto, quando si verifica la concreta violazione di una norma penale, è compito della giurisdizione penale accertare se l’imputato ha commesso o meno quel determinato reato e, in caso di accertamento positivo, applicargli la relartiva sanzione tenendo conto delle particolari modalità con le quali il reato è stato realizzato.
Il Giudice può esercitare la funzione giurisdizionale solo se un Organo dello Stato (
Pubblico Ministero) gli formula la richiesta di decidere su una accusa (imputazione) mossa a carico di un soggetto (imputato). E’ mediante tale richiesta che il Pubblico Ministero esercita l’azione penale.
Il Pubblico Ministero deve esercitare l’azione penale quando, al termine delle indagini preliminari, svolte con l’ausilio della Polizia Giudiziaria, ritiene di aver acquisito "elementi idonei" a sostenere l’accusa di fronte al Giudice.

Sia il Giudice che il Pubblico Ministero fanno parte della «Magistratura» . Istituzionalmente ha competenza in materia di reati e si ripartisce:

  1. Magistratura «inquirente/requirente» di cui fanno parete tutti i Pubbici Ministeri;
  2. Magistratura «giudicante» di cui fanno parte tutti i Giudici di carriera.

Il "Procuratore della Repubblica presso il Giudice unico" (=Tribunale ordinario) rappresenta la magistratura «inquirente», e cioè quella che inizia e conduce le indagini. Questo organo è il “dirigente” della Polizia Giudiziaria nel territorio di sua competenza. A lui la Polizia Giudiziaria deve inviare le “segnalazioni” e al medesimo il privato cittadino può indirizzare una denuncia o una segnalazione per illeciti penali (=reati).
Il nostro ordinamento giuridico prevede «tre gradi di giudizio», nel cui contesto si sviluppa uno schema processuale unitario: un Organo che esercita la pubblica accusa (
funzione requirente) nei confronti di un difensore (avvocato); il tutto davanti ad un Organo imparziale e terzo che viene definito organo giudicante che emetterà una sentenza di condanna o di assoluzione.

► Il Giudizio di primo grado

In primo grado esistono un organo «requirente» e un organo «giudicante».

Un "Procuratore della Repubblica presso il Giudice unico" (Dlgs. N. 51/98)[1] eserciterà la pubblica accusa presso il "Tribunale giudicante" – il quale fungerà, a seconda dei casi, da organo di giudizio monocratico o collegiale.
Un «organo speciale» insediato presso ogni Tribunale formato da sei giudici popolari e da due giudici togati si chiama "
Corte d’assise" e giudica su reati di massima gravità come ad esempio l’omicidio volontario.

Una distinzione selettiva, che corrisponde più o meno concettualmente a gradi di gravità dei reati, fa si che alcuni illeciti penali siano sanciti come di competenza del Tribunale in «composizione monocratica» (meno gravi, più frequenti) altri del Tribunale in «composizione collegiale» (più gravi).

Il Tribunale in composizione monocratica (un solo Giudice) giudica reati di "facile accertamento" e per lo più quelli punibili con la "pena della reclusione non superiore ai 10 anni".

  • Ad esempio, il furto, il traffico di stupefacenti

Il Tribunale in composizione collegiale (tre giudici: un presidente e due a latere) giudica viceversa quei reati per cui è prevista la "pena della reclusione superiore ai 10 anni" e per tutte quelle fattispecie che sfuggono alla sfera di competenza della Corte d’Assise.

Il Tribunale al termine del processo (che si chiama anche dibattimento o rito ordinario) emette una “sentenza” che può essere impugnata (c.d. gravame) sia dall’imputato (se viene condannato) sia dal P.M. (ove la sentenza sia di assoluzione contro la sua richiesta di condanna)[2] .

Il Tribunale in composizione monocratica è anche "Giudice d’Appello" avverso le "sentenze del Giudice di pace".

► Il Giudizio di secondo grado (=Appello)

La "Corte di appello", che in genere ha competenza su tutti i Tribunali della Regione, svilupperà il giudizio di secondo grado[3] .
La pubblica accusa sarà esercitata da un solo Organo requirente che si chiama “
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello” e che è il diretto superiore del procuratori presso i Tribunali di tutta la Regione.

La sentenza della Corte di appello può essere ancora impugnata (=ricorso) sia dall’imputato (se viene condannato) sia dal procuratore generale (ove la sentenza sia di assoluzione contro la sua richiesta di condanna).

► Il Giudizio di terzo grado (=Ricorso)

L’ultimo grado di giudizio viene esercitato dalla "Suprema Corte di Cassazione" che si trova a Roma e giudica su tutte le sentenze di tutte le Corti di appello del Paese. La pubblica accusa sarà esercitata da un solo organo requirente che si chiama "Procuratore Generale presso la Corte di cassazione".
Contro la sentenza della Cassazione non è più possibile nessuna impugnazione e si dice che questa sentenza è definitiva ovvero, in termine tecnico, è «
passata in giudicato». Soltanto da questo momento la sentenza spiega tutti i suoi effetti e, ad esempio, viene registrata sul certificato penale e diventa esecutiva.

Questo Organo supremo della giustizia assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. Esso è Giudice di «legittimità» in quanto non giudica sul fatto (come i Giudici di 1° e 2° grado cc.dd. di merito) ma sul modo in cui il diritto è stato applicato al fatto.

Quando ritiene che tale applicazione non sia stata corretta, la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di cancellare (=cassare) il provvedimento che davanti ad essa è stato impugnato e di rimetterlo ad un Giudice c.d .del rinvio ovvero annullarlo senza rinvio nei casi espressamente previsti all’art. 620 c.p.p.[4]

 

 


[1] In attuazione della legge delega 16 luglio 1997, n. 254, il D.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 ha introdotto nel nostro ordinamento il “Giudice unico di primo grado” (il Tribunale ordinario), che riunisce in un unico ufficio la pretura e il tribunale. La legge 16 giugno 1998, n. 188 ha reso operante dal 2 giugno 1999 tale unificazione. Con D.L. 24.5.1999, n. 145, convertito in legge 234/1999, è stata differita al 2.1.2001 l’operatività in campo penale della riforma.
[2] Ai sensi dell’art. art. 593 c.p.p., come sostituito dall’art. 1 Legge. n. 46/2006 (c.d. Pecorella), l’imputato e il PM possono impugnare la sentenza di proscioglimento solo se le richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello sia basata su nuove e decisive prove. Il Giudice dell’appello, qualora in via preliminare non disponga la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, dichiara inammissibile l’appello con Ordinanza impugnabile in Cassazione.

La condanna può essere impugnata sempre, tranne che in alcuni casi (art. 593 c.p.p.):

  1. il PM non può proporre appello contro le sentenze di condanna nel caso del giudizio abbreviato salvo che si tratti di sentenze che modifichino il titolo di reato (art. 443, 3° comma c.p.p.);
  2. nel caso in cui il PM non dia il consenso all’applicazione della pena proposta dalla parte ma il Giudice del dibattimento ritiene comunque opportuno applicare una pena analoga nella specie e nella misura a quella richiesta dalla difesa (art. 448, 2° comma c.p.p.). Sempre e comunque sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena pecuniaria dell’ammenda.

[3] Vedi ricorso immediato per Cassazione o “per saltum” (art. 569 c.p.p.)

[4] Art. 620 c.p.p.: lett. a) se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se il reato è estinto (150 ss. C.p.) o se l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (336 ss, 649); lett. b) se il reato non appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario; […] lett. l) in gni altro caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio ovvero per essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare procedimenti necessari.

 

La competenza dei Giudici

Per competenza penale si intende la «porzione di giurisdizione» che è attribuita a ciascun Giudice, con riferimento:

1. alla materia

2. allo spazio territoriale nel quale ciascuno Giudice opera

3. alla connessione

Attraverso il rispetto delle regole sulla competenza viene chiammato a giudicare su determinati fatti-reato il c.d. Giudice naturale individuato con criteri predeterminati e astratti prima della commissione del fatto (art. 25 Cost.).

Ogni reato si caratterizza per il suo titolo (nomen juris) o per la sua gravità (desunta da tipo e dalla misura della pena prevista); inoltre rileva il luogo ove venne commesso ed i legami con altri reati; possono ancora assumere rilevanza le caratteristiche personali del suo presunto autore (infatti, se di età compresa tra i 14 anni ed i 18 anni non ancora compiuti, verrà giudicato dal Tribunale per i minorenni).

Questi parametri costituiscono appunto la "misura della giurisdizione" dei Giudici, e cioè la loro competenza.

La competenza è disciplinata secondo "criteri" che tengono conto di:

  1. natura e della gravità dei reati (competenza per materia);
  2. territorio in cui il fatto si è verificato (competenza per territorio)
  3. procedimenti connessi (competenza per connessione). 

 

 

Competenza per materia

La «competenza per materia» consiste nella sfera di giurisdizione appartenente a ciascun tipo di Giudice-ufficio ratione materiae. Essa individua, tra una molteplicità di giudici-ufficio, coesistenti nel medesimo territorio (ad esempio, tra Giudice di pace e Tribunale monocratico) quello competente secondo il tipo di reato (materia).
Nell’ambito di un determinato territorio uno solo (ad esempio, il Tribunale collegiale) è il Giudice-ufficio astrattamente competente per un dato tipo di reato (ad esempio, inquinamento marino).

In grado di appello, la competenza per materia è determinata secondo il criterio funzionale e, quindi, di sovraordinazione funzionale (Corte di appello rispetto al Tribunale, monocratico o collegiale; Corte d’assise di appello rispetto alla Corte di assise di 1° grado).

In terzo grado è sempre competente, per materia e territorio, la Corte di cassazione, che è l’unico Giudice di legittimità nello Stato. 

  • In particolare, la “competenza per materia” è così articolata:
  1. Giudice di pace: è un Giudice onorario (laureato in Scienze giuridiche ovvero ex magistrato, ex avvocato, insegnante di materie giuridiche) e a cui è attribuita una larga parte dei reati di lieve e di facile accertamento cc.dd. di microcriminalità, consistente in forme illegalità minori per gravità, ma molto diffuse nell’ambiente sociale. La competenza penale del Giudice di pace è prevista dagli artt. 4 e ss. del D.lgs. 28.8.200, n. 274 (operativo a decorrere dal 4.4.2001);
  2. Tribunale (ordinario): appartengono al tribunale i reati che non appartengono al Giudice di pace, alla Corte di assise e al Tribunale per i minorenni (ha una competenza residuale rispetto alla Corte d’Assise e al Giudice di Pace);
  3. Tribunale per i minorenni: il criterio attiene non al tipo di reato, ma alla persona dell’autore del reato, che deve essere minore degli anni 18 al momento della commissione del fatto quale che ne sia la gravità o tipo (art. 3 D.P.R. 2.9.1988, n. 448). La finalità risocializzante e recuperatoria dei procedimenti a carico di minori giustifica la concentrazione innanzi al
    Giudice specializzato ratione personae (età minore degli anni 18);
  4. Tribunale militare: presuppone la natura militare del reato e la qualità di militare dell’imputato. Tale Giudice specializzato, infatti, ha cognizione per i reati c.d. militari  commessi da militari ancora in servizio;
  5. Corte di assise: è competente per i reati puniti più gravemente o di maggiore allarme sociale (strage, omicidio). La corte è articolazione autonoma del tribunale ed è composta (come la Corte d’assise di appello) da sei componenti privati (giudici popolari) e due togati (magistrati di carriera), uno dei quali funge da presidente;
  6. Corte d’Appello: è un organo collegiale – tre giudici di carriera – il cui collegio ha la stessa composizione di quello del tribunale collegiale e che è competente nei casi in cui vengono impugnate (=apellate) le sentenze emesse dal tribunale in composizione monocratico o collegiale. Le corti d’appello sono distribuite per ogni capoluogo di regione e nelle città più importanti;
  7. Corte d’assise d’appello: è un organo collegiale la cui composizione comprende sia giudici togati (cioé magistrati di carriera) che giudici "laici", cioé giudici popolari. La Corte d'Assise d'appello svolge funzione di giudice d'appello delle sentenze emesse in 1° grado dalla Corte d'Assise. La Corte ha la stessa composizione della Corte d'Assise;
  8. Corte di Cassazione: è l'organo giudicante posto al vertice della organizzazione giudiziaria ordinaria, essendo il tribunale di ultima istanza nel sistema giurisdizionale ordinario (penale e civile) italiano: Ha sede (unica) a Roma, e giurisdizione su tutto il territorio dello Stato;
  9. Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.): giudice singolo (=monocratico) inserito nell’organico di ciscun tribunale e al quale spetta, a seconda dei casi, sia l’adozione dei provvedimenti che vengono richiesti dal Pubblico Ministero durante le indagini preliminari (ad esempio, l’applicazione della custodia cautelare, l’autorizzazione alle intercettazioni telefoniche o ambienatli, ecc.) sia la pronuncia di provvedimenti che definiscono il giudizio in alcune ipotesi di di procedimenti speciali che saltano il dibattimento (ad esempio, la pronuncia della sentenza di patteggiamento o del decreto penale di condanna).
    Il Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per i minorenni: giudice monocratico (di carriera) avente, in via generale, le stesse competenze del G.I.P. nel procedimento a carico di imputati maggiorenni;
  10. Giudice per l’udienza preliminare (G.U.P.): giudice singolo (=monocratico) che appartiene all’ufficio del Giudice per le indagini preliminari e dinanzi al quale si celebra (se il tipo di procedimento la prevede) l’udienza preliminare (oltre che l’eventuale giudizio abbreviato) quando risulta che il G.I.P. delegato al procedimento (art. 328 c.p.p.) ha già adottato, prima della setssa udienza preliminare, provvedimenti che hanno comportato valutazioni sul merito della imputazione (art. 34 commi da 2bis a 2 quater c.p.p.). Il Giudice dell’udienza preliminare per i minorenni giudica in composizione collegiale ed è composto da un magistrato di carriera e da due cittadini (uomo e donna) in qualità di esperti – componenti privati;
  11. Giudice di Sorveglianza: nel novero dei giudici ordinari rientra il Giudice di di sorveglianza, le cui funzioni, pur essendo prese in considerazione anche delle disposizioni sul procedimento penale, trovano più ampio sviluppo in quelle dell’ordinamento penitenziario (L. 26.7.1975, n. 354) perché riguardano specialmente la gestione della pena: (=il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati).

Il Giudice di pace

Il «Giudice di Pace» appartiene all'ordine giudiziario così come il magistrato ordinario ma, a differenza di questo, è un magistrato onorario a titolo temporaneo (laureato in Scienze giuridiche ovvero ex magistrato, ex avvocato, insegnante di materie giuridiche).  Rimane in carica quattro anni e alla scadenza può essere confermato una sola volta per altri quattro anni. Al compimento del 75° anno il Giudice di Pace cessa dalle sue funzioni. Egli è tenuto ad osservare i doveri previsti per i magistrati ed è soggetto a responsabilità disciplinare.
Il Giudice di Pace dal 1º ottobre 2001 è anche un giudice penale (ma è entrato effettivamente in funzione il 1º gennaio 2002): il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, ha attribuito alla sua cognizione, una larga parte dei reati di lieve e di facile accertamento cc.dd. di microcriminalità, consistente in forme illegalità minori per gravità, ma molto diffuse nell’ambiente sociale e tra gli altri, alcuni reati di notevole diffusione:

  1. contro la persona, quali le percosse e le lesioni, l'omissione di soccorso;
  2. contro l'onore, quali l'ingiuria e la diffamazione;
  3. contro il patrimonio quali il danneggiamento e l'ingresso abusivo nel fondo altrui.

Tra le fattispecie delittuose previste dal "Codice della Navigazione" affidate alla tutela penale del Giudice di pace, rientrano:

  1. Equipaggio che non esegue ordini (art. 1095 cod. nav.);
  2. Inosservanza di ordine di arresto (art. 1096 cod. nav.);
  3. Componente dell'equipaggio che si addormenta (art. 1119 cod. nav.).

Il processo davanti al Giudice di pace ha luogo normalmente per iniziativa del Pubblico Ministero. Il Pubblico Ministero dopo aver disposto le necessarie investigazioni, se ravvisa elementi sufficienti per sottoporre a processo il soggetto indagato, richiede il suo rinvio a giudizio.
Anche la persona offesa, per i reati perseguibili a querela, può chiedere al giudice l'instaurazione del processo. In questi casi, l'offeso può presentare un "
ricorso diretto" al Giudice di Pace, depositandolo nella segreteria del Pubblico Ministero, che provvede alla formalizzazione dell'addebito.
Il Giudice di Pace, se non ritiene il ricorso infondato o inammissibile, dispone la convocazione delle parti innanzi a sé.
Il processo penale innanzi al Giudice di Pace è caratterizzato dalla particolare attenzione a favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra imputato e persona offesa.
Il giudice, sentita la persona offesa, può dichiarare estinto il reato se l'autore della violazione dimostra di aver provveduto alla riparazione del danno causato e di avere eliminato la situazione di pericolo eventualmente determinata.
È inoltre previsto che il Giudice di Pace possa astenersi dal procedere quando risulti, per l'esiguità dell'offesa e l'occasionalità del comportamento, la particolare "tenuità" del fatto (tenuto conto anche del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento arrecherebbe alle esigenze di lavoro, famiglia o salute dell'imputato), sempre che l'offeso non si opponga.

  • In caso di condanna il Giudice di Pace non applica pene detentive, ma pene pecuniarie oppure, nei casi più garvi, sanzioni "paradetentive":
  1. la pena della permanenza domiciliare;
  2. la pena del lavoro di pubblica utilità (qualora il condannato lo richieda).

L'imputato e la persona offesa sono difesi da un avvocato. Alle persone che non hanno i mezzi per far fronte alle spese di un procedimento penale è assicurato, anche davanti al Giudice di Pace, il gratuito patrocinio, cioè la difesa a carico dello Stato.

 

 

Il Giudice unico

A seguito della riforma apportata dalla Legge 16 dicembre 1999, n. 479 [53][1] (c.d. legge CAROTTI dal nome del parlamentare, relatore alla Camera dei Deputati), in materia penale, il Giudice Unico di primo grado[2] è unicamente il Tribunale, il quale giudica, in alcuni casi, in «composizione collegiale» (tre magistrati) e in altri in «composizione monocratica».Trattandosi di un unico Giudice che lavora in composizione monocratica e collegiale non vi è una vera e propria ripartizione di competenza, ma piuttosto di attribuzione degli affari all’interno del medesimo ufficio.

  • Quanto alla individuazione della fattispecie criminose da attribuire al tribunale nelle diverse composizioni, deve osservarsi che la legge demanda alla cognizione del collegio: tutti i delitti puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo a 10 anni di reclusione.
  • Al tribunale monocratico sono, quindi, attribuiti taluni delitti (quelli punibili con pena massima edittale di anni 10) e tutte le contravvenzioni di competenza del tribunale ordinario nella sua globalità.

Le funzioni del Tribunale monocratico possono essere affidate anche ai giudici "onorari del tribunale" (G.O.T.)[3] «in caso di impedimento o mancanza dei Giudici ordinari».

Innanzi al Tribunale monocratico possono esercitare le funzioni di Pubblico Ministero soggetti non togati (i cc.dd. Delegati dal P.M.), ma limitatamente ai reati per i quali si procede con citazione diretta a giudizio (art. 58 legge 479/99, che ha modificato l’art. 72, comma 3 Ord. Giudiziario).

Dal 2 gennaio 2008 è stata attribuita al Giudice del tribunale monocratico la "convalida" dei provvedimenti del «Prefetto» in materia di espulsione dal territorio dello stato, e dei provvedimenti di accompagnamento alla frontiera o di trattenimento in un centro di accoglienza temporanea emanati dal Questore (secondo quanto previsto dal Decreto Legge 29.12.2007, n. 249, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2008).

 

 


[1]

La legge 479/99, pubblicata sulla G.U. n. 296 del 18.12.1999 è entrata in vigore il 2.1.2000 ed è stata ulteriormente modificata dall’art. 2bis, D.L. 7.4.2000, n. 82 (conv. in  L. 144/2000).

[2]

Appare opportuno evidenziare che l’endiade  «Giudice unico di primo grado» non è sinonimo di «Giudice monocratico»

[3]

Ai sensi dell’art. 10 D.lgs 51/98, i  G.O.T. non possono svolgere le funzioni di Giudice per le indagini preliminari, né di Giudice dell’Udienza Preliminare.

 

 

 

Tribunale per i minorenni

E' organo collegiale giudicante i reati (quale che ne sia la gravità o tipo - art. 3 D.P.R. 2.9.1988, n. 448) attribuiti ai minori di 18 anni, al fine di assicurare al giovane una effettiva, piena attuazione del suo diritto all'educazione e cioè ad una adeguata strutturazione di personalità e ad un regolare processo di socializzazione.
Innazitutto sono previsti dei tribunali "specializzati", che risiedono presso i Tribunali che sono sede di Corte d'Appello (il Tribunale, in ogni capoluogo ha una sezione dedicata ai minori), e presso i quali sono costituite delle Procure della Repubblica per i minorenni, altrettanto specializzate. La finalità risocializzante e recuperatoria dei procedimenti a carico di minori giustifica la concentrazione innanzi al Giudice specializzato ratione personae (età minore degli anni 18).

  • Il Tribunale per i minorenni è composto da:
  1. un magistrato d'Appello (presidente);
  2. un magistrato di Tribunale (a latere);
  3. due cittadini, un uomo e una donna (cc.dd. esperti - componenti privati, giudici onorari, che abbiano compiuto i 30 anni, benemeriti dell’assistenza sociale scelti tra i cultori di biologia, psichiatria, pedagogia, e nominati con decreto del Presidente della Repubblica. E’ costituito in ogni sede di corte d’appello o di sede distaccata di corte d’appello ed è competente in primo grado per tutti i dibattimenti a carico di minorenni

Presso il Tribunale per i minorenni viene costituito l'ufficio del Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.) (art. 50bis, R.D. n. 12/1941, aggiunto all'art. 14 del D.P.R. n. 449/88), che agisce singolarmente per i provvedimenti da adottarsi durante la fase delle indagini, mentre risulta integrato da due giudici onorari, un uomo e una donna, in sede di Udienza preliminare.

 

 

Corte d'assise

La «Corte di assise» è un organo collegiale composto da 8 giudici, di cui 2 togati (uno è il presidente, l’altro il giudice "a latere") ed altri 6 ordinari (che vengono definiti giudici popolari) estratti a sorte tra i cittadini di nazionalità italiana, senza alcuna distinzione di sesso, in una età compresa tra i 30 e i 65 anni; requisito minimo è il titolo di studio: diploma di licenza media inferiore per i giudici popolari del 1° grado e diploma di licenza media superiore per i giudici popolari del 2° grado.

La Corte è articolazione autonoma del Tribunale. I magistrati ed i giudici popolari costituiscono un collegio unico. In particolare i giudici popolari della Corte d'Assise realizzano la partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia, in esecuzione dell'art. 102 Cost., relativamente ai reati che hanno maggior risonanza nel campo sociale.

La Corte d'Assise ha competenza a giudicare i "delitti più gravi", quali omicidio, omicidio preterintenzionale, strage, ed "i più gravi delitti politici", oltre ad alcuni delitti comportanti valutazioni etico-professionali (per es. omicidio del consenziente), mentre solitamente è priva di competenza nel giudicare reati che richiedano conoscenze tecnico-giuridiche che i giudici popolari, di regola, non hanno.

Con la Legge Grassi viene definitivamente disciplinata la Corte d’Assise, che attualmente è divisa in due gradi:

  1. Corte d’Assise (1° grado)
  2. Corte d’Assise d’appello (2° grado)

 

 

 

Corte d'appello

E' un organo collegiale, che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d'Appello. Ogni distretto di Corte d'Appello ha un'estensione pressapoco equivalente a quella di una Regione.
In materia penale «esercita giurisdizione» sulle decisioni pronunciate in 1° grado dal Giudice unico del tribunale nelle due diverse composizioni.

Ogni Corte d'Appello è suddivisa in sezioni e ha la stessa composizione del Tribunale collegiale (tre magistrati, di cui uno presidente e gli altri due a latere). Esistono anche sezioni staccate delle Corti d'Appello nei comuni indicati in una apposita tabella.

Corte d'assise d'appello

La «Corte d’assise d’appello» è un organo collegiale la cui composizione comprende sia giudici togati (cioé magistrati di carriera) che giudici "laici", cioé giudici popolari.

La Corte d'Assise d'appello svolge funzione di giudice d'appello delle sentenze emesse in 1° grado dalla Corte d'Assise: è un organo collegiale composto da 8 giudici, di cui 2 togati (uno è il presidente, l’altro il giudice "a latere") ed altri 6 ordinari (che vengono definiti giudici popolari) estratti a sorte tra i cittadini di nazionalità italiana, senza alcuna distinzione di sesso, in una età compresa tra i 30 e i 65 anni; requisito minimo è il titolo di studio: diploma di licenza media superiore.

 

 

 

Suprema Corte di cassazione

La «Corte di Cassazione» è l'organo giudicante posto al vertice della organizzazione giudiziaria ordinaria, essendo il Tribunale di ultima istanza nel sistema giurisdizionale ordinario (penale e civile) italiano: ha sede (unica) a Roma, e giurisdizione su tutto il territorio dello Stato.
La Corte si articola in diverse sezioni (civile, penale e del lavoro). Nei casi più importanti o nei casi per i quali vi siano orientamenti contrastanti delle diverse sezioni, la Cassazione si riunisce in Sezioni Unite (SS.UU.). Le decisioni assunte dalla Corte di Cassazione in tale composizione sono di un'autorevolezza tale da somigliare a dei "precedenti vincolanti", concetto altrimenti estraneo all'ordinamento italiano.

La Cassazione riunita in Sezioni Unite, inoltre, ha il compito di "giudice della giurisdizione": essa deve, cioè. esprimersi ogni qual volta vi sia un conflitto di giurisdizione (tra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali, come quella amministrativa).
La Corte di Cassazione ha il compito di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge (art. 65 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 sull'ordinamento giudiziario).

Di regola, giudica in seguito ad un «gravame» successivo ad una pronuncia di una Corte d'Appello, fintantoché il gravame sia possibile, e cioè finché la questione non sia coperta da giudicato. Non giudica sul fatto, ma sul diritto, controllando che le sentenze pronunciate dai giudici di merito (cioé quelli che valutano direttamente i fatti) siano conformi alla legge: ciò significa che non può occuparsi di riesaminare le prove, bensì può solo verificare che sia stata applicata correttamente la legge e che il processo nei gradi precedenti si sia svolto secondo le regole (vale a dire, che sia stata correttamente applicata anche la legge processuale, oltre che quella del merito della causa).

  • Le funzioni della Corte di Cassazione (approfondimenti)

In Italia la Corte Suprema di Cassazione è al vertice della giurisdizione ordinaria; tra le principali funzioni che le sono attribuite dalla legge fondamentale sull'ordinamento giudiziario del 30 gennaio 1941 n. 12 (art. 65) vi è quella di assicurare "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni". Una delle caratteristiche fondamentali della sua missione essenzialmente nomofilattica ed unificatrice, finalizzata ad assicurare la certezza nell'interpretazione della legge (oltre ad emettere sentenze di terzo grado) è costituita dal fatto che, in linea di principio, le disposizioni in vigore non consentono alla Corte di Cassazione di conoscere dei fatti di una causa salvo quando essi risultino dagli atti già acquisiti nel procedimento nelle fasi che precedono il processo e soltanto nella misura in cui sia necessario conoscerli per valutare i rimedi che la legge permette di utilizzare per motivare un ricorso presso la Corte stessa.
Il ricorso in Cassazione può essere presentato avverso i provvedimenti emessi dai Giudici ordinari nel grado di appello o nel grado unico: i motivi esposti per sostenere il ricorso possono essere, in materia civile, la violazione del diritto materiale (errores in iudicando) o procedurale (errores in procedendo), i vizi della motivazione (mancanza, insufficienza o contraddizione) della sentenza impugnata; o, ancora, i motivi relativi alla giurisdizione. Un regime simile è previsto per il ricorso in Cassazione in materia penale.
Quando la Corte rileva uno dei vizi summenzionati, ha il potere-dovere non soltanto di cassare la decisione del giudice del grado inferiore, ma anche di enunciare il principio di diritto che il provvedimento impugnato dovrà osservare: principio cui anche il giudice del rinvio non potrà fare a meno di conformarsi quando procederà al riesame dei fatti relativi alla causa. I principi stabiliti dalla Corte di Cassazione non sono, invece, vincolanti per i giudici, in generale, quando questi devono decidere cause diverse, rispetto alle quali la decisione della Corte Suprema può comunque considerarsi un "precedente" influente. In realtà, i giudici delle giurisdizioni inferiori si conformano alle decisioni della Corte di Cassazione nella maggioranza dei casi.
Non è necessaria alcuna autorizzazione speciale per presentare un ricorso innanzi alla Corte Suprema.
Secondo l'articolo 111 della Costituzione ogni cittadino può ricorrere alla Corte di Cassazione per violazione di legge contro qualunque provvedimento dell'autorità giudiziaria, senza dover esperire alcun appello in materia civile o penale, o contro qualunque provvedimento che limiti la libertà personale.
Alla Corte di Cassazione è anche attribuito il compito di stabilire la giurisdizione (vale a dire, di indicare, quando si crea un conflitto tra il giudice ordinario e quello speciale, italiano o straniero, chi abbia il potere di trattare la causa) e la competenza (vale a dire, di risolvere un conflitto tra due giudici di merito).
La Corte di Cassazione svolge anche funzioni non giurisdizionali in materia di elezioni legislative e di referendum popolare per l'abrogazione di leggi.

 

 

 

Il G.I.P.

Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.): giudice singolo (=monocratico) inserito nell’organico di ciscun Tribunale e al quale spetta, a seconda dei casi, sia l’adozione dei provvedimenti che vengono richiesti dal Pubblico Ministero durante le indagini preliminari (ad esempio, l’applicazione della custodia cautelare, l’autorizzazione alle intercettazioni telefoniche o ambienatli, ecc.) sia la pronuncia di provvedimenti che definiscono il giudizio in alcune ipotesi di di procedimenti speciali che saltano il dibattimento (ad esempio, la pronuncia della sentenza di patteggiamento o del decreto penale di condanna).

Il Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per i minorenni: giudice monocratico (di carriera) avente, in via generale, le stesse competenze del G.I.P. nel procedimento a carico di imputati maggiorenni.

 

 

Il G.U.P.

Il Giudice per l’udienza preliminare (G.U.P.) è un giudice singolo (=monocratico) che appartiene all’ufficio del Giudice per le indagini preliminari e dinanzi al quale si celebra (se il tipo di procedimento la prevede) l’udienza preliminare (oltre che l’eventuale giudizio abbreviato) quando risulta che il G.I.P. delegato al procedimento (art. 328 c.p.p.) ha già adottato, prima della setssa udienza preliminare, provvedimenti che hanno comportato valutazioni sul merito della imputazione (art. 34 commi da 2bis a 2 quater c.p.p.).

  • Ad esempio, è il caso del G.I.P., che durante le indagini preliminari, ha applicato all’imputato la misura della custodia cautelare in carcere, in questo caso, l’eventuale udienza preliminare fissata per decidere se disporre il rinvio a giudizio non può essere celebrata davanti al G.I.P. che ha applicato la misura. Questi, avendo già espresso valutazioni sulla responsabiliotà dell’imputato, può essere sospettato di imparzialità. In tal caso, l’udienza preliminare va celebrata davanti a un giudice (G.U.P.) che, pur appartenendo allo stesso ufficio, è però personas fisica diversa da quella che si è pronunciata sulla libertà personale dell’imputato.

Il Giudice dell’udienza preliminare per i minorenni: giudice collegiale composto da un magistrato di carriera e da due cittadini (uomo e donna) in qualità di esperti – componenti privati.

Nei procedimenti a carico di imputati minorenni, la giurisdizione non è dunque mai esercitata né dalla Corte d'assise né dal Tribunale ordinario né dal Giudice di pace.

Giudice di sorveglianza

Nel novero dei giudici ordinari rientra il Giudice di di sorveglianza (o uffico di sorveglianza), le cui funzioni, pur essendo prese in considerazione anche delle disposizioni sul procedimento penale, trovano più ampio sviluppo in quelle dell’ordinamento penitenziario (L. 26.7.1975, n. 354) perché riguardano specialmente la gestione della pena: (=il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati). Le compotenze del giudice di sorveglianza sono distribuite tra:

  1. tribunale di sorveglianza
  2. magistrato di sorveglianza

Presso ogni distretto e per ogni sezione distaccata di Corte d'Appello è istituito il Tribunale di Sorveglianza (giudice collegiale), al quale sono devoluti gli affari in materia di misure alternative alla detenzione e di revoca anticipata delle misure di sicurezza in grado di appello.
Il Tribunale è composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto e da professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia.
I provvedimenti vengono adottati da un collegio composto da un presidente (magistrato di cassazione), da un magistrato di sorveglianza e da due degli esperti.

  • Ad esempio, ha competenza sul differimento dell’esecuzione della pena, sull’affidamento in prova al servizio sociale, sulle altre misure alternative alla detenzione e sulla liberazione condizionale 8art. 79 L. 354/1975).

Il magistarto di sorveglianza (giudice monocratico), è organo cuoi è demandato l'obbligo di vigilare sulla organizzaione degli istituti di prevenzione e pena, prospettando al Ministro di Giustizia le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo al trattamento rieducativo.

  • Ad esempio, ha competenza sull’applicazione delle misure di sicurezza, sulla concessione dei permessi e delle licenze, sull’approvazione del provvedimento di ammissione al lavoro esterno, sulla concessione della liberazione anticipata e, infine, sulla istruzione della domanda di grazia.

Nel confronto di coloro che hanno commesso il reato quando erano minori dei 18 (diciotto) anni, le attribuzioni del giudice di sorveglianza sono esercitate, per la parte spettante al tribunale di sorveglianza, dal tribunale per i minorenni e, per quella spettante al magistrato di sorveglianza, da un magistrato addetto allo stesso tribunale (=magistrato di sorveglianza per i minorennni).
La loro competenza cessa al compimento del 25° anno di età del condannato.

 

Tribunale del riesame

Il Tribunale del riesame è un istituto creato dal legislatore per far fronte a quella esigenza di sottoporre ad un controllo esterno, non solo di legittimità ma anche di merito, i provvedimenti restrittivi della libertà personale, caratterizzato da tempi rapidi e da una natura pienamente devolutiva. Si inserisce nella tematica relativa ai rapporti tra libertà personale, esigenze processuali e diritto di difesa.

E' istituito presso il Tribunale del capoluogo della Provincia in cui ha sede il giudice, contro la cui ordinanza di limitazione della libertà personale (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari) l'imputato ha chiesto il riesame. La richiesta, che può riferirsi anche al sequestro di beni, può essere fatta entro 10 (dieci) giorni dall'esecuzione o notificazione del provvedimento e il tribunale, entro altri dieci giorni, se non dichiara l'inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l'ordinanza.

Competenza per territorio

La «competenza per territorio», consiste nell’attribuzione del potere di decidere su un reato a quel Giudice, competente per materia, che essendo insediato sul territorio in cui il fatto reato è stato commesso (ratione loci), ha destato maggior allarme sociale ed é più facile ricercare le prove. Per queste ragioni, il codice fissa la regola generale in base alla quale la competenza per territorio è determinata dal luogo di verificazione dell’evento: competente è il Giudice del luogo in cui l’evento del reato è stato realizzato (locus perpetrati delicti).
Tuttavia, qualora l’evento sia rappresentato dalla morte, competente è il Giudice del luogo di verificazione della condotta (azione o omissione) e non più dell’evento (art. 8 e 9).
In tema di delitto tentato, in cui per definizione manca l’evento (art. 56 c.p.), la competenza è collegata all’ultimo atto diretto a commettere il delitto e cioè all’ultimo segmento della condotta. Per il reato permanente è competente il Giudice del luogo in cui ha avuto inizio.

  • Ad esempio, il luogo in cui è avvenuto il rapimento nel sequestro di persona, e non il luogo della liberazione.

Il territorio compreso nella competenza dei vari Giudici è delimitato (locus commissi delicti) dal:

  1. Circondario, per il Tribunale;
  2. Distretto, per la Corte d’appello;
  3. Circolo, per la Corte di assise;
  4. Circoscrizione, per la Corte di assise di appello.

► Esemplificando:

il Tribunale esercita le sua funzione nell’ambito di un territorio denominato circondario; la Corte di assise, invece, nell’ambito di un territorio denominato circolo e comprendente di solito più circondari.

  

 

Competenza per connessione

La «competenza per connessione» attribuisce a un solo Giudice il potere di decidere su procedimenti collegati fra loro da vincoli particolarmente intensi e, in specie, da vincoli di persone, di finalità, di tempo e di luogo (=procedimenti connessi).
In via di approssimazione, può dirsi che la competenza per connessione deroga ai criteri generali della competenza per materia o per territorio e serve a evitare che debbano essere “celebrati” più processi in relazione a fatti che presentano elementi comuni e per i quali è perciò opportuna la trattazione unitaria.
La competenza e l’attribuzione per connessione sono determinate dal rapporto di collegamento tra un procedimento principale (
attraente) e uno o più procedimenti secondari (attratti).

  • Ad esempio, se il reato di omicidio (art. 575 c.p.) è stato commesso a Taranto da più persone in concorso tra loro, la Corte d’Assise di Taranto non celebrerà tanti processi quanti sono gli imputati, ma un simultaneo processo a carico di tutti.
  • Parimenti, ad esempio, la competenza del Tribunale di Roma per il furto d’auto (artt. 624, 625 c.p.), sarà assorbita, per connessione, da quella della Corte d’Assise di Genova se il furto di auto compiuto a Roma risulta commesso per eseguire l’omicidio a Genova.
  • Ad esempio, se il reato di furto (art. 1148 cod. nav.) è stato commesso a bordo di nave mercantile ferma nel porto di Genova da più membri di equipaggio in concorso tra loro, il Tribunale di Genova non celebrerà tanti processi quanti sono gli imputati, ma un simultaneo processo a carico di tutti.

La connessione tra procedimenti modifica la competenza e può giustificare la loro «riunione» (artt. 12 e 17) nelle seguenti tassative "ipotesi":

  1. connessione plurisoggettiva, con pluralità di imputati ex artt. 110 e 113 c.p.. I reati oggetto dei distinti procedimenti sono frutto di concorso o di cooperazione, colposa o dolosa di una pluralità di soggetti. Il reato collega tra loro più imputati, i cui procedimenti vanno unitariamente trattati (art. 12 lett. a);
  2. connessione monosoggettiva, con una pluralità di reati ascritti ad un’unica persona ex art. 81 c.p., se essi sono espressione di un’unica azione oppure di più azioni cronologicamente e localmente concentrate per concorso «formale» e «materiale».di reati ex art. 81 c.p. (art. 12 lett. b);
  3. connessione teolologica (ideologica) od occasionale o consequenziale, se, rispettivamente, dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire gli altri, oppure gli uni sono stati commessi in occasione della commissione degli altri, o infine, gli uni sono stati commessi per occultare gli altri ovvero per conseguirne o assicurare, al colpevole o a terzi, il prezzo, il prodotto o l’impunità (art. 12 lett. c).

I reati commessi da un unico agente possono essere legati da un vincolo (rilevante ai fini della pena: art. 61 n. 2 c.p.):

  1. ideologico (o teleologico): quando un reato è commesso allo scopo di eseguirne un altro...(ad esempio, Tizio uccide Caio per derubarlo.. I reati hanno un vincolo nella finalità cui tendono)
  2. consequenziale: allorché un reato viene commesso per assicurarsi il prezzo, il prodotto, il profitto o l'impunità di un altro reato (ad esempio, Tizio dopo aver ucciso Caio, ne occulta il cadavere: In tal caso il reato dipende dall'altro.
  3. occasionale: nei casi in cui la commissione di un reato offre l'occasione per commetterne un altro (ad esempio, Tizio, entrato in casa per rubare, vede una giovane e la violenta. In tal caso il vincolo tra i reati è nella contestualità degli eventi.

Una particolare disciplina della «connessione» è prevista nel processo innanzi al Giudice di pace».

 

 

Connessione: G.di P.

Una particolare disciplina della connessione è prevista nel processo innanzi al “Giudice di pace”. In tale sede si distingue tra:

  1. connessione eterogenea
  2. connessione omogenea

La prima è quella che si realizza fra procedimenti relativi a uno o più reati appartenenti alla competenza del Giudice di pace e uno o più reati appartenenti alla competenza del Tribunale o della Corte di assise.

E’ regolamentata dall’ art. 6 Dlgs 274/2000 e opera solo nel caso di persona imputata di più reati, commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati – art. 81, comma 1 c.p.).
Come già detto, si tratta di una precisa scelta del legislatore che ha voluto limitare l’applicazione della connessione a quei soli casi in cui è più elevato il rischio di giudicati contrastanti, come appunto accade quando reati commessi con un’unica condotta, sono giudicati separatamente.
Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza del Giudice di pace e altri a quella della Corte di assise o del Tribunale, è competente per tutti il «Giudice superiore». Come se già visto, in questo caso opera un’apposita disciplina in ordine alle norme sostanziali e processuali, che il Giudice «diverso» dal Giudice di pace è tenuto ad osservare.

La seconda invece, è quella che riguarda i rapporti fra procedimenti che sono tutti di competenza del Giudice di pace. E’ regolamentata dall’art. 7 cit. Dlgs che prevede le seguenti ipotesi di connessione omogenea innanzi al Giudice di pace:

  1. se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro;
  2. se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione o omissione.

Nel caso di connessione innanzi al Giudice di pace, se i reati sono stati commessi in luoghi diversi, la competenza per territorio appartiene per tutti al Giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il «primo reato». Se non è possibile determinare in tal modo la competenza, questa appartiene al Giudice di pace del luogo in cui è iniziato il primo dei procedimenti connessi (art. 8), dovendosi intendere come tale il Giudice ove per primo il P.M. ha provveduto all’iscrizione della notizia di reato (art. 4).

 

 

 

Il Pubblico Ministero

ll «Pubblico Ministero» (=P.M.) è figura indefettibile in qualsiasi procedimento penale, essendo «soggetto necessario» nella fase investigativa e «parte essenziale» nel processo.
Nella prima fase (pre-processuale), il P.M. è il
dominus delle indagini preliminari; egli è responsabile delle indagini necessarie per l’esercizio, o meno, dell’azione penale e, quindi, preliminari ad essa e si avvale della Polizia Giudiziaria, che collabora con lui (longa manus). Il P.M. ha funzioni di giustizia, anche se non giurisdizionali. Le sue funzioni hanno i caratteri della pubblicità e dell’obiettività.
La natura dell’azione penale (obbligatoria) e, il valore del bene della libertà personale, messo a rischio dal suo esercizio, esigono che la funzione di accusa sia affidata ad un organo pubblico, che agisca nell’interesse della collettività.
La nostra Costituzione, a garanzia di tali interessi pubblici, affida la funzione di P.M. a magistrati nominati per concorso (art. 106 Cost.) e rende per essi obbligatorio l’esercizio dell’azione penale (art. 109 Cost.).
Il P.M. deve essere un magistrato obiettivo perché a lui sono affidati gli stessi interessi di libertà dell’imputato, rientrando nel panorama delle sue funzioni di giustizia anche la tutela di essi, quando siano conformi a legge.
L’obiettività del P.M. è evidenziata dalla sua esclusiva soggezione alla legge, nell’interesse generale e, in quanto pur sempre connessa al suo ruolo di parte, tuttavia, è quantitativamente minore della imparzialità del Giudice, istituzionalmente super partes.
Egli è comunque tenuto a «
svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» (art. 358 c.p.p.). 

  • Tipologia delle funzioni

La classificazione delle funzioni del P.M. rispecchia la sua posizione nel corso del procedimento prima di “soggetto” e poi di “parte” processuale.

  1. funzione inquirente, che consiste nell’attività investigativa preliminare all’eventuale fase del processo e diretta a ricostruire le modalità del fatto-reato ed a individuare il colpevole. Tale attività è svolta personalmente dal P.M. anche avvalendosi degli organi di polizia giudiziaria, cui può delegare il compimento di specifici atti ivi compresi gli interrogatori ed i confronti cui partecipi l'indagato che si trovi in stato di libertà, con l'assistenza necessaria del difensore (art. 370 c.p.p.). Tale attività comprende anzitutto l'acquisizione della notizia di reato. Da tale momento il P.M., con l'ausilio della Polizia Giudiziaria, svolge tutti gli atti investigativi diretti alla ricostruzione del fatto reato e alla scoperta dei suoi autori: svolgerà quindi accertamenti tecnici, perquisizioni, sequestri, assunzione di informazioni, individuazione di persone o cose, interrogatorio dall'indagato.
  2. funzione di incriminazione (azione penale), che consiste nel promuovimento dell’azione penale, ad opera del P.M. attraverso una richiesta ad un Giudice di pronunciarsi, in via preliminare o con piena cognizione, in ordine ad un reato ascritto ad un imputato (art. 405 c.p.p.).
    L’atto di incriminazione è, cronologicamente, situato alla fine della fase investigativa e ne rappresenta lo sbocco ineluttabile, in alternativa alla richiesta di archiviazione.
    L’atto di promuovimento dell’azione penale segna, altresì, l’inizio del processo in senso stretto o costituisce prerogativa esclusiva del P.M.
  3. funzione requirente, che consiste nel rivolgere al Giudice, esattamente come fa l'imputato, una serie di richieste (requisitorie) [1], già investito dell’azione penale, ed è finalizzata a fare proseguire il processo verso la sentenza irrevocabile. La funzione corrisponde al ruolo propulsivo del P.M. ai fini della realizzazione di una corretta pretesa punitiva, eventualmente anche a mezzo di impugnazione dei provvedimenti del Giudice.
  • Le richieste del P.M. al Giudice hanno contenuto:
  1. procedurale, se sono meramente propulsive dell'iter procedurale (arttt. 416, 438, 450, 453, 468, 507, 598, 603  c.p.p., ecc);
  2. di merito, se attengono direttamente alla definizione del processo nel merito della res judicanda e, quindi, alla condanna o al proscioglimento (artt.444, 459, 523 c.p.p., ecc.).

Presso ogni Tribunale e ogni Corte d'Appello e presso la Corte di Cassazione è costituito un Ufficio del Pubblico Ministero. I vari uffici del P.M. sono strutturati in livelli organizzativi “paralleli” a quelli dei corrispondenti uffici giudicanti.

 


 


[1] La requisitoria può riferirsi al rito (es. giudizio immediato, giudizio per decreto, citazione di testi, cross examination, periti o consulenti tecnici) ovvero al merito (es. applicazione della pena patteggiata, richiesta di condanna)i o controesame dei testi delle parti ovvero richiesta di patteggiamento, ecc.
 

L'Ufficio del P.M.

I vari Uffici del P.M. sono strutturati in livelli organizzativi “paralleli” a quelli dei corrispondenti Uffici giudicanti.

A seguito della scomparsa dell’antica figura ibrida di un "Pretore-P.M.", che sotto la vigilanza dell’abrogato Codice svolgeva entrambe le funzioni e poi della riforma del Giudice unico di primo grado e della conseguente soppressione delle 165 Preture della Repubblica presso le Preture circondariali, le «funzioni di Pubblico Ministero» sono esercitate: 

  • Nelle “indagini preliminari” e nel “giudizio di primo grado” (=dibattimento):
  1. dal Procuratore della Repubblica presso il Giudice Unico (=Tribunale ordinario);
  2. dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni;
  3. dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale militare;
  4. dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello e dal Procuratore Nazionale antimafia nei casi in cui la legge consente ad essi l' Avocazione del procedimento
  •  Nei "giudizi di impugnazione"[1] (=appello e ricorso):
  1. dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello;
  2. dal Procuratore della Repubblica che ha presentato le conclusioni nel giudizio di primo grado nelle ipotesi in cui egli stesso ne fa richiesta e il Procuratore Generale presso la Corte d’appello lo ritiene opportuno (art. 570, comma 3 c.p.p.)[2].
  3. dal Procuratore Generale presso la Corte di cassazione.

Tra i diversi uffici del P.M. non esiste un rapporto di dipendenza gerarchica, ma una semplice relazione di mera subordinazione, collegata alla progressione del processo al grado di giudizio successivo. In ciascun grado di giudizio, legittimato ad esercitare le funzioni di P.M. è unicamente l'ufficio costituito presso il corrispondente Giudice, salvo le ipotesi espressamente contemplate (e quindi eccezionali). Il Pubblico Ministero esercita le proprie funzioni nello stesso ambito di competenza del Giudice.

  • Può dirsi, ad esempio, che:
  1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale svolge le attività di indagine e di accusa in ordine ai reati di competenza del Giudice Unico e commessi nel territorio del Tribunale e della  Corte d’Assise;
  2. il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale militare svolge le attività di indagine e di accusa in ordine ai reati di competenza del Tribunale militare e della Corte d’Assise per i reati commessi esclusivamente da militari.

Innanzi al Tribunale in composizione monocratica, a seguito di delega nominativa del Procuratore Capo, le funzioni di accusa possono essere esercitate sia da magistrati di carriera appartenenti alla Procura presso lo stesso tribunale ordinario, sia dai cc.dd. «Delegati del P.M.» ossia vice procuratori onorari, Ufficiali di polizia giudiziaria (per esigenze di obiettività, necessariamente diversi da quelli che hanno partecipato alle indagini), uditori giudiziari in tirocinio (art. 22 D.P.R 22.9.1988, n. 449 e art. 4 D.lgs 28.7.1989, n. 273). Tali delegati sono, però, legittimati a partecipare solo alle udienze di convalida dell’arresto o fermo, dibattimentale o camerale, nonché a formulare al G.I.P. la richiesta di decreto penale. La loro legittimazione è comunque limitata ai procedimenti del “Tribunale monocratico” relativi ai reati meno gravi e, quindi, limitatamente a quelli per i quali, non essendo contemplata l’Udienza Preliminare, il P.M. potrebbe direttamente emettere decreto di citazione a giudizio.
Anche innanzi al Giudice di pace in sede penale è prevista una minore qualificazione professionale del P.M., anche perché presso di esso non esiste alcun autonomo ufficio di Procura.

 


[1] Istituto del "gravame"

[2] La disposizione consente al Pubblico Ministero del giudizio di primo grado di seguire il procedimento per tutto il suo cammino. Essa si collega alle altre disposizioni processali secondo le quali il Pubblico Ministero originariamente designato non va, almeno tendenzialmente, sostituito durante le indagini (art. 3 att. c.p.p.) né durante l'udienza di primo e secondo grado.

 
 

Compiti della procura

La «Procura della Repubblica» è l’ufficio del Pubblico Ministero, un organo dello Stato composto da magistrati ordinari cui sono assegnate le così dette funzioni “requirenti”: loro compito è infatti quello di proporre richieste in materia penale o civile sulle quali toccherà poi ai giudici (la magistratura così detta “giudicante”) pronunciarsi con provvedimenti idonei a diventare definitivi.
In particolare, al Pubblico Ministero sono attribuite dalla legge sull’ordinamento giudiziario e dal codice di procedura penale numerose funzioni:

  • in materia civile, il P.M. può agire per chiedere al giudice provvedimenti in materia di:
  1. dichiarazione di morte presunta curatela delle persone scomparse;
  2. limitazione alla potestà genitoriale
  3. interdizione e inabilitazione
  4. nullità del matrimonio
  5. richiesta di dichiarazione di fallimento

Il P.M. deve intervenire inoltre obbligatoriamente in alcune cause civili (es.: cause in materia matrimoniale, cause relative alla cittadinanza, ai rapporti familiari, alle interdizioni e inabilitazioni): la sua eventuale assenza determina la nullità del processo.

  • in materia penale, il P.M. esercita la così detta “azione penale”:

è cioè l’organo cui spetta accertare la fondatezza delle notizie di reato che provengono da denunce delle forze di Polizia, da querele o esposti di privati, da referti degli organi medici, e chiedere di conseguenza al giudice la dichiarazione della colpevolezza di un soggetto (imputato) e la conseguente condanna del medesimo, ovvero, in mancanza di elementi di prova, la dichiarazione di infondatezza della notizia di reato (così detta archiviazione).

Allo scopo di sostenere l’accusa davanti al Giudice, il P.M. svolge le indagini preliminari (per questo con riferimento ai P.M. si parla anche di magistratura “inquirente”); dirige l’attività della Polizia giudiziaria; può chiedere ad un apposito giudice, detto giudice per le indagini preliminari – GIP, l’emissione di provvedimenti restrittivi della libertà personale (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari ecc.), che hanno funzione cautelare, servono cioè di impedire che i reati commessi possano ripetersi o che ne vengano occultate le prove o che l’autore del fatto possa darsi alla fuga. Il P.M. inoltre interviene obbligatoriamente nelle udienze penali. Il P.M. infine è l’organo competente per l’esecuzione dei provvedimenti di condanna emessi dal giudice: spetta a  lui, una volta che una sentenza sia diventata irrevocabile, disporre che il condannato venga assoggettato alla pena, detentiva o pecuniaria, prevista, determinando il preciso ammontare della sanzione da irrogare, nonché delle eventuali sanzioni accessorie.

Il Procuratore della Repubblica assegna a se stesso e ai colleghi – secondo dei criteri prestabiliti – i procedimenti penali che nascono dalle notizie di reato trasmesse alla Procura della Repubblica, nonché dei procedimenti civili che prevedono l’intervento del P.M. e, più in generale, organizza il lavoro dell’Ufficio.
Ogni Magistrato svolge le indagini relative ai procedimenti che gli sono stati assegnati e prende parte alle udienze penali per i processi instaurati a seguito delle indagini.

Per migliorare la qualità delle indagini attraverso la specializzazione, in molte Procure della Repubblica sono stati costituiti gruppi di lavoro che si occupano delle indagini relative a determinati tipi di reato:

  • un primo gruppo di lavoro si occupa di reati a danno della Pubblica Amministrazione e dell’Amministrazione della Giustizia, economici, in materia fiscale, societaria e fallimentare;
  • un secondo gruppo di lavoro è specializzato nei reati urbanistici, ambientali, di inquinamento, falsità, nonché in quelli riguardanti lo sfruttamento della prostituzione, l’immigrazione clandestina e tratta di essere umani;
  • il terzo gruppo di lavoro tratta i procedimenti per reati contro il patrimonio ed in materia di armi;
  • il quarto gruppo di lavoro si occupa dei reati in materia di stupefacenti, nonché quelli commessi a danno di persone deboli (ossia reati in materia sessuale ed in ambito familiare);
  • il quinto gruppo di lavoro è specializzato nei reati contro la persona, nonché quelli concernenti l’ordine pubblico e l’incolumità pubblica e la tutela penale del lavoro.

Ogni sostituto è assegnato a due gruppi di lavoro, seguendo le indagini sui procedimenti delle relative materie. Ogni gruppo è coordinato e seguito da un Procuratore Aggiunto.

Con il Decreto Legislativo 20 febbraio 2006, n.106 (pubblicato sulla GU n. 66 del 20.3.2006) sono state dettate le nuove disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150 (c.d. Riforma dell’ordinamento giudiziario).

Le nuove disposizioni prevedono in particolare che:

  1. Il procuratore della Repubblica, quale preposto all'ufficio del pubblico ministero, è titolare esclusivo dell'azione penale
  2. Il procuratore della Repubblica puo' stabilire, in via generale ovvero con singoli atti, i criteri ai quali i procuratori aggiunti ed i magistrati dell'ufficio devono attenersi nell'esercizio delle funzioni vicarie o della delega.
  3. Il procuratore della Repubblica determina:
    1. i criteri di organizzazione dell'ufficio;
    2. i criteri di assegnazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti e ai magistrati del suo ufficio;
    3. le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento siano di natura automatica.
  4. Per assicurare l'efficienza dell'attivita' dell'ufficio, il procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all'ufficio devono attenersi nell'impiego della Polizia Giudiziaria, nell'uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l'ufficio può disporre.

 

Struttura della Procura

Vertice istituzionale e giurisdizionale dell’ufficio è il “Procuratore della Repubblica”, (presso i tribunali per i minorenni e i tribunali ordinari) spettano poteri di organizzazione e di direzione dell’Ufficio secondo le norme poste in materia dalla legge sull’ordinamento giudiziario.
Negli uffici, di maggiori dimensioni, delle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari, il Procuratore viene coadiuvato nelle sue funzioni dal “Procuratore Aggiunto“ (in numero non superiore a quello risultante dalla proporzione di un procuratore aggiunto per ogni dieci sostituti addetti all’uffico) e dai “Sostituti procuratori”: la assegnazione dei procedimenti ai vari magistrati spetta al Procuratore nel rispetto di criteri predeterminati.
Presso le Procure operano inoltre i “Vice procuratori onorari“, che fanno parte della magistratura onoraria, cioè non sono reclutati secondo le ordinarie procedure concorsuali ma vengono nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura, (CSM) con incarichi limitati nel tempo, tra soggetti aventi particolari requisiti.
A loro possono essere delegate dal Procuratore funzioni relative alla partecipazione all’udienza penale, ma non quelle relative allo svolgimento delle indagini ed all’esercizio dell’azione penale.

Per la trattazione di alcuni reati di "particolare gravità e complessità" (reati di mafia, reati di terrorismo, reati legati al traffico degli stupefacenti, reati di sequestro di persona a fini di estorsione), a partire dal 1992 sono state istituite, presso ogni Procura della Repubblica presso il tribunale ordinario avente sede nel capoluogo del distretto di Corte di Appello (c.d. distrettuale), le “Direzioni Distrettuali Antimafia” (D.D.A.), coordinate a livello nazionale dalla “Direzione Nazionale Antimafia”, (D.I.A.) con sede a Roma, al cui vertice c’è il “Procuratore Nazionale Antimafia”.

A capo di ogni Direzione distrettuale c’è il Procuratore della Repubblica (procuratore aggiunto) o un magistrato da lui delegato, che assumono la funzione di “Procuratore distrettuale antimafia”. Alla D.D.A. sono poi assegnati, per periodi di tempo limitati, uno o più “Sostituti” addetti all’ufficio.

  • Ad esempio, la Procura della Repubblica di Cagliari è sede della Direzione Distrettuale Antimafia per la Sardegna, è diretta dal Procuratore della Repubblica e ne fanno parte due Sostituti procuratori.

Presso le sezioni distaccate di Corte d’appello le funzioni di procuratore generale sono esercitate dall’Avvocato Generale, a norma dell’art. 59 dell’Ordinamento Giuidiziiario.

 

 

 

Istituto dell'avocazione

Per garantire l'obbligatorietà dell'azione penale di fronte ad eventuali ritardi od omissioni delle Procure, in caso di obiettive situazioni di inerzia del P.M. designato o del suo dirigente, è attribuito il potere di «avocazione» al Procuratore Generale presso la Corte d'Appello (P.G.).
L'avocazione consiste quindi nella eccezionale «
auto-assunzione», da parte del P.G., della funzione investigativa e di promuovimento dell'azione penale in riferimento a procedimenti penali in fase investigativa, in luogo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale che per qualche motivo non opera o non è in grado di adempiere ai propri compiti.
L’avocazione trova, quindi, fondamento in obiettive situazioni di inerzia o di incompatibilità del P.M.: per rimuoverle e, quindi, ristabilire il corretto corso del procedimento, il P.G. il potere-dovere di auto-sostituirsi al P.M. interessato.
L'avocazione può essere «obbligatoria» o «facoltativa», a seconda la fattispecie giustificatrice di essa si presti o meno a valutazioni discrezionali del P.G.

  • Avocazione obbligatoria:
  1. inerzia per scadenza dei termini: mancata richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio entro il termini di durata massima, iniziale o prorogato, fissato per la fase delle indagini preliminari (art. 412 c.p.);
  2. inerzia nella sostituzione del P.M.: impossibilità di sostituzione (es. per carenza di organico)del magistrato del P.M. astenutosi o incompatibile ovvero inerzia del Procuratore capo nelsostituirlo (artt. 53 e 372 c.p.p.).
  • Avocazione facoltativa:
  1. comunicazione del G.I.P. circa il mancato accoglimento della richiesta di archiviazione formulata dal P.M.. Il P.G. ha facoltà di valutare l'opportunità dell'avocazione delle indagini, allo scopo di sostituirsi al P.M. sospettato di inerzia. L'esigenza dell'avocazione scaturisce dalla circostanza che il P.G. non ha potere di direzione né sui P.M. sottordinati, né sulla
    polizia giudiziaria. Di quest'ultima egli può disporre solo a seguito di avocazione;
  1. comunicazione del G.U.P., nel corso dell'udienza preliminare, circa l'incompletezza delle indagini e l'esigenza di integrarle, nel termine da questi fissato, in modo che possa adottarsi la decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dal P.M. di primo grado (art. 42bis, commi 1, 2 c.p.p.).

 

 

La P.N.A.

La «Procura Nazionale Antimafia» (P.N.A.) è stata istituita presso la Procura Generale della Corte di Cassazione (art. 76bis e 76ter Ord. Giud., introdotti dalla L. 8/1992, modif. da L. 356/1992).
Ad essa sono funzionalmente collegate le c.d. Direzione Distrettuali Antimafia (D.N.A.), (c.d. superprocure) costituenti, a loro volta, articolazioni interne delle Procure della Repubblica presso i tribunali aventi sede nei capoluoghi del distretto della Corte d'Appello.
Al suo vertice è destinato il "Procuratore nazionale Antimafia" (P.N.A.), un magistrato di Cassazione dotato di specifiche capacità ed attitudini, scelto tra i magistrati i quali abbiano svolto per almeno 10 anni le funzioni di P.M. o di Giudice istruttore. La sua nomina è di competenza del C.S.M.
Presso la  «Direzione» le funzioni di  «sostituto» sono svolte dai magistrati di qualifica non inferiore a quella di magistrato di Corte d'Appello.
Le funzioni dell Procura Nazionale Antimafia consistono soprattutto in
un'attività di coordinamento e di impulso dei procuratori distrettuali e della polizia giudiziaria per assicurare la completezza e la tempestività delle indagini in ordine ai delitti di criminalità organizzata (art. 52, comma 3bis c.p.p.) anche se commessi nel territorio delle cd. procure periferiche dello stesso distretto.
Parallela alla estensione distrettuale della D.D.A. sono le competenze del G.I.P. e del G.U.P. del capoluogo del distretto, anch'esse di tipo distrettuale.

In pratica, quando per le indagini relative ad un grave omicidio di camorra procede la D.D.A., che ha sede presso la Procura del Tribunale del capoluogo della Corte d'Appello ove è sito il Giudice competente (art. 51, comma 3bis c.p.p), le funzioni di G.I.P. sono svolte dal Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale del predetto capoluogo (art. 328, comma 1bis c.p.p.). A titolo esemplificativo, se il delitto di mafia è commesso ad Avellino, le indagini saranno svolte dalla D.D.A. presso la Procura della Repubblica di Napoli e le funzioni di G.I.P. da un magistrato del Tribunale di Napoli. Inoltre, dopo l'esercizio dell'azione penale, nonché le funzioni di Giudice dell'udienza preliminare (G.U.P.) devono essere svolte da un magistrato del Tribunale del capoluogo (G.U.P. di Napoli).

A tali strutture giudiziarie corrispondono, sul piano degli organi investigativi di polizia Giudiziaria, la «Direzione Investigativa Antimafia» (D.I.A.) ed i Servizi Speciali di polizia, centrali e regionali.
 

 

 

La Polizia Giudiziaria

Il Codice di rito colloca la “Polizia Giudiziaria” tra i soggetti del procedimento penale (artt. 55-59 c.p.p.). Si tratta di una scelta sistematica che sottolinea lo stretto rapporto della Polizia Giudiziaria con l’Ufficio del Pubblico Ministero e la centralità dei compiti a essa affidati nelle delicate fasi di avvio del procedimento penale.

  • Il Codice dedica alla Polizia Giudiziaria un duplice gruppo di norme:
  1. il primo ne definisce le funzioni (artt. 55-59 c.p.p.) e ne delinea i profili strutturali e organizzativi analiticamente regolati nelle disposizioni di attuazione (artt. 5-20 att. c.p.p.);
  2. il secondo ne disciplina il profilo dinamico: vale a dire, l’attività di indagine che la Polizia Giudiziaria svolge a iniziativa autonoma (artt. 347-357 c.p.p.), oppure su “delega” o sulla base di “direttive” del Pubblico Ministero (artt. 348 comma 3 e 370 c.p.p.)

Approfondendo ulteriormente le nozioni generali sopra esposte, può dunque notarsi che per «attività di polizia giudiziaria» si intende solo quella, svolta dai relativi Ufficiali ed Agenti, dopo che si è verificato un reato, per reprimerlo, prendendone notizia, impedendo che venga portato a conseguenze ulteriori, ricercandone gli autori, compiendo gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliendo quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale (art. 55 c.p.p.).
L’attività di polizia giudiziaria, proprio perché collegata all’accertamento ed alla repressione di un reato già commesso, si colloca all’interno del procedimento penale.
Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte dai relativi Uifficiali ed Agenti. La distinzione tra Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria è rilevante sia per quanto riguarda la organizzazione interna delle varie “unità” di polizia giudiziaria (art. 56 c.p.p. e art. 5 e ss. att.) sia per quanto riguarda la competenza a compiere determinati atti.
A quest’ultimo proposito, le disposizioni dettate dal Codice di rito e dalle norme di attuazione (D.lgs. n. 271/89) stabiliscono che, in via generale, gli atti di polizia giudiziaria possono essere compiuti, indistintamente, dagli Ufficiali e dagli Agenti e che alla regola si fa eccezione solo per quegli atti di cui il compimento è espressamente “riservato” agli Ufficiali di polizia giudiziaria in via “
assoluta” o “relativa”.
La riserva è «assoluta» quando l’atto, per la sua complessità e delicatezza, può essere compiuto esclusivamente dagli Ufficiali di polizia giudiziaria e cioè dai soggetti che, per la qualifica rivestita, sono titolari di più collaudate capacità tecnico-professionali.
E «relativa» quando l’atto può essere compiuto anche dagli Agenti di polizia giudiziaria nei casi di particolare necessità e urgenza (=nei casi che esigono l’immediato svolgimento di attività operativa)

  • Ad esempio, sono riservati in via “assoluta” agli Ufficiali di polizia giudiziaria, la ricezione e la redazione di denunce, querele e referti (art. 331, 333, 334 e 337 c.p.p.); l’assunzione di sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini o dalla persona imputata in reato connesso (art. 350 commi 1 e 5; art 351 comma 1 bis c.p.p.); l’acquisizione di plichi o di corrispondenza (art. 353 c.p.p.); l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato (art. 389 comma 2 c.p.p.).
  • Ad esempio, sono riservati in via solo “relativa” agli Ufficiali di polizia giudiziaria (=possono essere compiuti anche dagli Agenti di polizia giudiziaria solo nei casi di particolare necessità e urgenza, le perquisizioni, i sequestri, gli accertamenti urgenti sui luoghi, cose e persone (artt. 352 e 353 e art. 113 att. c.p.p.)

Nelle ipotesi di riserva relativa, la necessità e urgenza che legittimano l’intervento degli Agenti di polizia giudiziaria non devono essere espressamente motivate, ma possono essere desunte anche da elementi collegati alla concreta situazione di indagine.

  • E’ il caso ad esempio, della perquisizione personale che l’Agente di polizia giudiziaria compie nei confronti di un soggetto appena sorpreso nella flagranza di un grave reato (Cass. 2091/99).

L’Agente di polizia giudiziaria che compie un atto in assenza di una situazione di necessità e urgenza può risponderne disciplinarmente

  • Costituisce illecito disciplinare, ad esempio, il compimento di una perquisizione locale che l’Agente di polizia giudiziaria compie allorché non sussistano situazioni di urgenza (che sono però presunte in caso di flagranza

Nella ipotesi di riserva assoluta, l’atto compiuto da Agenti di polizia giudiziaria è invece considerato illeggittimo (Cass. 4408/98).

 

 

Gli ausiliari della P.G.

La Polizia Giudiziaria nell’ambito della loro competenza può trovarsi, quando agisce o di iniziativa o su delega del Pubblico Ministero, nella necessità di compiere atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche che essa non possiede.

  • Si pensi, ad esempio, all’analisi di un campione di sostanza per stabilire se si tratta o meno di materiale infiammabile o esplosivo; all’esecuzione di rilievi; all’apertura di una cassaforte o di una porta, blindata o meno.

Fra gli “ausiliari” di polizia giudiziaria rientrano, ad esempio, il funzionario ASL, il Chimico di porto o il veterinario a cui la Capitaneria di Porto deve spesso ricorrere per far certificare, rispettivamente, l’entità, le caratteristiche e la natura di un “agente” inquinante ovvero per le opportune verifiche nei mercati ittici, ecc.

In questi casi la polizia giudiziaria può avvalersi di «persone idonee» e cioè di persone in possesso delle competenze tecniche necessarie ad operare in quel determinato settore che forma oggetto dell’attività di polizia giudiziaria (art. 348, 4° comma c.p.p.)

► Tali soggetti:

  1. non possono rifiutare la propria opera e devono, quindi, presentarsi e svolgere l’incarico ricevuto, potendo, altrimenti, incorrere nel reato previsto dall’art. 328 c.p. (Rifiuto di atti di ufficio – Omissione);
  2. devono mantenere il segreto, secondo quanto prevede l’art. 329, in ordine all’attività svolta, potendo, altrimenti, incorrere nel reato previsto dall’art. 326 c.p. (Rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio).

Fra le persone idonee di cui si tratta va compreso anche l’interprete del quale la polizia giudiziaria deve necessariamente avvalersi per:

  1. tradurre uno scritto redatto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile;
  2. assumere le dichiarazioni di un indagato o di altra persona che non conosce la lingua italiana.
  • Ad esempio, in caso di sinistro marittimo dove sia coinvolta una nave straniera, l’organo che esperisce l’inchiesta sommaria si avvarrà dell’interprete per verbalizzare le dichiarazioni rilasciate dai membri dell’equipaggio coinvolti.

L’obbligo di avvalersi dell’interprete sorge anche quando l’Ufficiale di polizia giudiziaria ha personalmente conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
Anche quando si avvale di persona idonea a norma dell’art. 348, 1° comma c.p.p., l’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria continua pur sempre ad assumere la «paternità dell’atto»: spetta a lui formulare i quesiti necessari, controllare l’attività del tecnico, consacrare in Verbale o (annotazione) le operazioni effettuate e i risultati conseguiti allegando, quando sia il caso, gli elaborati tecnici redatti.
Ciò vuol dire che, sotto il profilo formale, gli atti compiuti dall’ausiliare hanno la stessa natura ed efficacia degli atti compiuti dall’autorità che si è avvalsa dell’opera dell’ausiliare.

I «compensi» agli ausiliari saranno liquidati a norma dell’art. 11 legge 8.7.1980, n. 319 come modif. dal D.M. 30.5.2002 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’Autorità Giudiziaria).

 

 

 

L'indagato/imputato

Si definisce «indagato», in termine non strettamente tecnico, colui che il Codice di procedura penale denomina «persona sottoposta alle indagini preliminari».
E', in sostanza, la persona fisica che non ha ancora assunto la qualità formale di «imputato» ma nei cui confronti sono svolte le indagini relativamente a fatti che possono costituire reato.
Peraltro, talvolta il Codice usa il termine «indiziato», inteso come
persona nei cui confronti gravano elementi di prova (indizi) di reaità. Indiziato è quindi sinonimo di indagato, anmche se il termine di indagato descrive una mera posizione procedurale passiva, mentre quello di indiziato la qualità sostanziale di persona pregiudicata da un'ipotesi di reità.
La posizione di indagato e indiziato sono configurabili solo durante la "fase (pre-processuale) delle indagini preliminari".
La qualità di indagato o indiziato di reato sorge anche prima dell'invio della "informazione di garanzia" (art. 369 c.p.p.), che è spedita per posta dal P.M. per informare l'interessato di indagini a suo carico. L'informativa in questione mira, infatti, a salvaguardare i diritti e le facoltà difensive (garanzie, appunto) e rimane confinata ai rapporti interni tra P.M. ed indagato. In particolare la qualità di indagato si acquista nel momento in cui un soggetto è indicato come tale nella notizia di reato (art. 347, comma 2 c.p.p.) e cioé prima ancora che il P.M. la iscriva negli appositi registri (art. 335 c.p.p.) ed ancor prima che la persona riceva comunicazioni delle indagini a suo carico svolte.
La qualità di indagato (o indiziato)
cessa con l'archiviazione del procedimento oppure si consolida in quella di «imputato».
Per l'indagato il riacquisto (=reviviscenza) della qualità di indagato si verifica solo nel caso di riapertura delle indagini (art. 414 c.p.,p.).

L'Imputato, è nel procedimento penale, la persona (fisica) alla quale è attribuita la commissione del reato e nei cui confronti il P.M. esercita (promuove o prosegue) l'azione penale.
Ai sensi dell'art. 60 c.p.p. la qualità di imputato è assunta dall'interessato da momento in cui è formulata a suo carico una imputazione e cioé quando dalla fase pre-processulae delle indagini si passa a quella del processo innanzi ad un Giudice.

  • Attribuisce la «qualità di imputato» uno dei seguenti atti tipici:
  1. richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 c.p.p.),
  2. richiesta di giudizio immediato (art. 453 c.p.p.);
  3. richiesta di decreto penale di condanna (art. 459 c.p.p.);
  4. richiesta di applicazione della pena cd. patteggiamento (art. 447, comma 1 c.p.p.);
  5. presentazione o citazione a giudizio direttissimo (art. 449 c.p.p.);
  6. diretta citazione a giudizio innanzi al giudice monocratico (art. 550 c.p.p.).

La qualità di imputato è, dunque, legata a specifici e formali atti del procedimento, nei quali si concreta l'effettivo esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero. Prima e al di fuori di questi atti potrà parlarsi soltanto di persona sottoposta alle indagini, di indiziato, di indagato e simili.
La qualità di imputato è conservata in ogni stato e grado del processo, sino a “
definitiva pronuncia di condanna o di proscioglimento”. Essa è però riacquisita in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e in caso di revisione del processo. Ai sensi dell'art. 27 della Costitutzione l'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva. Egli ha diritto al rispetto delle norme di procedura penale, cioé all'assistenza della difesa, alla libertà di giustificarsi, alla formulazione dell'imputazione, ecc.
Perduta la qualità di imputato, l'interessato assume quella di prosciolto o condannato (definitivo); in questo caso inizia la fase della esecuzione della pena.

 

 

La polizia nel nostro ordinamento giudiziario

L'attività di polizia giudiziaria, proprio perché collegata all'accertamento ed alla repressione di un reato già commesso, si colloca all'interno del procedimento penale. Di solito, anzi, ne costituisce il primo momento poiché il procedimento sorge quando la Polizia Giudiziaria (o anche, ma in concreto assai più raramente, il Pubblico Ministero) acquisisce la notizia di un reato compiuto o in atto. Tale informazione sul reato può giungere alla Polizia Giudiziaria da una fonte esterna (la denuncia o la querela della vittima del reato o di un qualsiasi privato; un referto medico; la segnalazione di un Pubblico Ufficiale), ma può anche dipendere da una iniziativa autonoma della stessa Polizia Giudiziaria: poiché a questa spetta isituzionalmente il compito di ricercare anche di propria iniziativa tali informazioni.
Una volta acquisita la notizia di reato commesso, la Polizia Giudiziaria è tenuta a svolgere indagini ed a riferirne (al più tardi entro 48 ore) al Pubblico Ministero cui spetta, da quel momento, la
direzione delle indagini stesse. Le indagini svolte dalla Polizia Giudiziaria e dal Pubblico Ministero si denominano «indagini preliminari» perché servono a stabilire se la notizia di reato è fondata o meno e, in caso positivo, a consentire al Pubblico Ministero di esercitare l'azione penale a carico di colui al quale il reato è attribuito (imputato).
Il Pubblico Ministero esercita l'azione penale quando ritiene di
aver acquisito durante le indagini elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Se ritiene invece che tali elementi non siano idonei a sostenere l'accusa e che, pertanto, non essendo essa dimostrabile il processo avrebbe, come esito scontato, l'assoluzione dell'imputato, il Pubblico Ministero non esercita l'azione penale, ma chiede al Giudice per le indagini preliminari (G.I.P.) l'archiviazione del procedimento penale (artt. 55, 326, 405, 408 c.p.p.).
Nel corso della fase iniziale del procedimento penale, la Polizia Giudiziaria svolge dunque un ruolo fondamentale in stretto e continuativo contatto con il Pubblico Ministero.
Ed è fuori dubbio che dalle modalità di conduzione delle indagini preliminari dipende, nella gran parte dei casi, l'esito dell'intero procedimento.
Alla Polizia Giudiziaria ed al P.M. spetta, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, compiere ogni attività necessaria per le determinazioni inerenti all’azione penale.
Le indagini sono svolte unitariamente dalla P.G. e dal P.M.: questi dispone direttamente della prima e ne ha la direzione.
Per la realizzazione dei propri compiti istituzionali, la Polizia Giudiziaria è stata strutturata in «Sezioni» e «Servizi»: fermo restando che, ad un primo e più ampio livello, i Magistrati possono servirsi di qualsiasi organo di polizia giudiziaria

Si sottolinea che nel contempo tutti gli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria appartenenti a tutte le forze di polizia e ad altri organi sono obbligati per legge di svolgere indagini a seguito di una notizia di reato.

 

La polizia (latu sensu)

L'Autorità Amministrativa – sia essa Stato o Ente Locale – ha il compito di preservare l’ordine pubblico, la tranquillità sociale, la sicurezza delle persone, la tutela della proprietà.
La «polizia» intesa in senso generale (dal greco polis =città ovvero politeia =cittadino) è costituita dal
complesso di attività che lo Stato e altri enti pubblici svolgono per assicurare le condizioni di un ordinato e tranquillo vivere civile sociale. Questa attività può essere diretta a «prevenire condotte in grado di turbare l’ordine e la sicurezza pubblica» oltre ché a «reprimere le violazioni già verificatesi di norme penali impedendone gli eventuali ulteriori effetti».

  • Nell’ambito della polizia in generale possono individuarsi le più specifiche figure della:
  1. polizia amministrativa
  2. polizia giudiziaria

► Per «attività di polizia amministrativa» si intende quel complesso di attività (ante delictum) svolta dallo Stato o da altri enti pubblici, volta a realizzare le misure amministrative (ordinanze, provvedimenti, decreti, ordini, diffide, ecc.), di vigilanza ed osservazione:

  1. per l'accertamento delle condotte dei cittadini in ordine all'osservanza dei limiti imposti dalle leggi e dagli altri atti amministrativi;
  2. per la prevenzione dei pericoli che dalle condotte dei cittadini possono derivare per la loro sicurezza e incolumità nonché per il mantenimento dell'ordine pubblico e la tutela della proprietà (in questa ipotesi si parla, più specificamente, di polizia di sicurezza, che la legge commette all’Autorità di pubblica sicurezza[1], e che costitusce un particolare settore di quella amministrativa)

L’attività di polizia amministrativa in senso ampio, comprende la polizia marittima, demaniale, ambientale, forestale, sanitaria, di frontiera, urbanistica, ecc.
Tale attività amministrativa può esercitarsi sia in forma regolamentare – disciplinando cioè le attività concernenti una specifica materia (ad esempio, polizia urbanistica, demaniale, ecc.) – costituendo quindi la c.d. “
Polizia Amministrativa in senso stretto” – sia in forma repressiva oltre che preventiva, intesa come vigilanza sulle attività medesime al fine di prevenire e quindi reprimere ogni comportamento illecito o imprudente – costituendo in tal caso la c.d. “Polizia di Sicurezza”.

  • Le principali linee di attività del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera in materia di polizia marittima, ad esempio, comprendono la disciplina della navigazione marittima, la regolamentazione di eventi che si svolgono negli spazi marittimi soggetti alla sovranità nazionale, il controllo del traffico marittimo, la manovra delle navi in sicurezza nei porti, le inchieste sui sinistri marittimi, il controllo del demanio marittimo, i collaudi e le ispezioni periodiche di depositi costieri e di altri impianti pericolosi.

La Polizia Amministrativa si pone quindi come regolamentazione delle attività umane; la Polizia di Sicurezza si pone invece quale controllo e repressione delle stesse.
Una particolare specie di Polizia Amministrativa si ha ad esempio nella c.d. ”
Polizia Portuale”: essa consiste sia in Polizia Amministrativa in senso stretto (esplicantesi attraverso il potere di Ordinanza), sia in Polizia di Sicurezza, finalizzata alla prevenzione dei pericoli in ambito portuale,sia generici che specifici.
Le Capitanerie di Porto – quale Organo periferico dell’Amministrazione Marittima dello Stato – espletano al riguardo sia funzioni prettamente amministrative (la c.d. ”amministrazione attiva”), sia funzioni di Polizia Amministrativa (effettuata in forma regolamentare) che funzioni di Polizia di Sicurezza (effettuata in forma operativa), sia, infine, funzioni di Polizia Giudiziaria.

► La «attività di polizia giudiziaria», invvece, è costituita da complesso di attività (post delictum) che hanno lo scopo di accertare e reprimere i reati, ed a ricercare i responsabili per assicurarli alla giustizia.
L’attività di polizia giudiziaria interviene, quindi, in una fase patologica data dalla violazione di un ordine giuridico ed è essenzialmente finalizzata allo svolgimento di attività repressive. Il suo interesse è, quindi, prevalentemente circoscritto alle norme penali. Inoltre la stessa è volta a vigilare sulla preservazione dell’ordine, sull’incolumità fisica delle persone e sulla tutela ella proprietà, mediante l’adozione di provvedimenti e misure sia di natura preventiva che, prevalentemente, repressiva.
Ciò vuol dire che non può parlarsi di attività di polizia giudiziaria tutte le volte in cui le Forze o gli organi di polizia e comunque i soggetti stessi cui è attribuita la qualità di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria (art. 57 n. 3 c.p.p.), si limitano a svolgere attività di polizia amministrativa e cioè a «controllare» che i privati rispettino le limitazioni che la legge impone al loro operato e svolgano la propria attività senza procurare danni agli altri consociati. In questa situazione, infatti, chi svolge attività di polizia amministrativa agisce con finalità preventiva, di controllo delle attività altrui o di garanzia dell’ordine e della sicurezza dei cittadini: e non con le finalità di informarsi su reati già commessi o in atto e di reprimerli individuandone l’autore.
Mentre l’esercizio dell’attività amministrativa fa capo alla Autorità amministrativa (ad esempio, l’Autorità marittima), quello della polizia giudiziaria fa capo all’Autorità Giudiziaria.
L’Autorità amministrativa ha il compito di preservare l’ordine, la tranquillità, la sicurezza delle persone, la proprietà, la moralità, contro eventuali atti illeciti del privato. Viceversa l’Autorità Giudiziaria interviene quando l’azione antigiuridica è già avvenuta, per infliggere la sanzione prevista dalla legge penale.

E’ naturale, peraltro, che nella gran parte dei casi, dell’avvenuto verificarsi di un reato si prenda notizia proprio durante l’attività di polizia amministrativa e che, in questi casi, l’acquisizione della notizia di reato “modifica la qualità” del personale di polizia operante.

  • Ad esempio, è il caso del personale della Capitaneria di Porto – Guardia Costiera, durante un’attività di controllo in ambito portuale (N.O.I.P.). In tale situazione, il nostro personale svolge attività di polizia amministrativa e più precisamente di “polizia di sicurezza”. Ma, nel momento in cui, nel corso di tale attività, vedono un soggetto che abbandona dei «rifiuti speciali» sulla banchina la loro attività diviene di polizia giudiziaria perché essi, dopo aver accertato (=visto) il compimento del reato, si volgono ad impedirne le conseguenze e ad individuare il responsabile del fatto.
  • Altrettanto può dirsi ad esempio, nel caso dell’appartenente al Corpo che, in relazione al suo compito istituzionale di vigilanza pesca (art. 21, legge 963/65), e per gli opportuni controlli e verifiche, effettua una ispezione ad un mercato ittico (art. 23 cit. Legge). Quando esegue l’ispezione, egli non svolge attività di polizia giudiziaria sicché non è rilevante il fatto che in quel momento abbia potenzialmente la qualità di Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria. Il rilievo della qualità e l’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria (art. 55 c.p.p.) scattano quando, ad esempio, nel corso dei controlli si accerta un reato: come quello relativo alla commercializzazione di novellame (artt. 87 e 81 D.P.R. 1639/65 e 15 lett. c Legge. 963/65 come sostituito dall’art. 5 L. 381/88 e sanzionato dall’art. 24 comma 1 L. 963/65 come sostituito dall’art. 6 L. 382/88) sui banconi di vendita.
    Si è fuori dall’attività di polizia giudiziaria anche se, nel corso della visita, il “militare operante” accerta una violazione amministrativa e cioè l’avvenuto compimento di un fatto illecito punito con una sanzione non penale: ad esempio il commercio di pesci (palla, luna, istrice, balestra) contenenti tossine che paralizzano i muscoli (art. 5 e 15 Dlgs 30/12/1992, n. 531 e succ. mod.).
    Come si è detto più volte, manca infatti, in questo caso, il presupposto essenziale perché l’attività di polizia giudiziaria possa esplicarsi. Tale attività è in funzione infatti, di un procedimento penale e il procedimento penale può sorgere solo quando è stato commesso un reato e non un presenza di qualsiasi tipo di illecito.

     

 

 

Polizia di sicurezza

Nell’ambito della polizia amministrativa, si suole individuare, la «polizia di sicurezza» che potrebbe definirsi come quella branca dell’attività di polizia amministrativa, è precisamente quella che la legge commette all’Autorità di pubblica sicurezza, diretta a vigilare sull’ordine inteso come ordine sociale, sui diritti e sulla sicurezza fisica delle persone, contro ogni comportamento illecito e imprudente.
A questo scopo, l’Autorità di pubblica sicurezza[1] adotta le misure ed i provvedimenti, sia preventivi che repressivi, previsti dalla legge.

  • Per «ordine pubblico» si intende quello stato generale della società nel quale le istituzioni, le strutture democratiche ed i diritti costituzionali dei cittadini sono garantiti da ogni attentato tendente a modificarli od a renderli inoperanti mediante l’uso o la minaccia illegale della forza.
  • Per «sicurezza pubblica» si intende, invece, la tutela della sicurezza personale dei singoli cittadini, della loro incolumità e della integrità della proprietà dai pericoli derivanti da ogni comportamento illecito di singoli o di gruppi.

La polizia di sicurezza è essenzialmente attività di «prevenzione», cioè tendente ad impedire lo svolgimento di atti o attività contrastanti con l’ordinamento giuridico, oppure comunque in grado di infrangere l’ordinata e sicura convivenza civile.

La Polizia di Sicurezza, può – per quanto concerne le materie d’interesse del Corpo delle Capitanerie di porto – suddividersi come segue:

  1. Polizia Marittima (norme sulla sicurezza della navigazione; attività ludicobalneari, ecc.);
  2. Polizia Portuale (disciplina e controllo del demanio marittimo e portuale);
  3. Polizia Demaniale ed urbanistica (in senso lato – limitatamente al Demanio marittimo);
  4. Polizia Sanitaria e Veterinaria (controllo filiera ittica: pesca, commercializzazione, detenzione);
  5. Polizia Ambientale (limitatamente alle acque nazionali e al demanio marittimo);
  6. Polizia Stradale (limitatamente all’ambito portuale);
  7. Polizia Militare (limitatamente nell’ambito M.M. ed in via concorsuale con i CC.)

Naturalmente le funzioni di polizia sopra citate sono esercitate normalmente quale Polizia Amministrativa nei modi e nelle forme di cui alla Legge 689/81; per le violazioni penali previste dalle medesime leggi si procede invece quale Polizia Giudiziaria applicando invece le forme ed i modi stabiliti dal c.p.p.

La Polizia di Sicurezza può essere esercitata solo dallo Stato: è quella parte della Polizia Amministrativa intesa a vigilare sull’Ordine Pubblico inteso come ordine sociale, sui diritti e sulla sicurezza delle persone, contro ogni comportamento illecito o imprudente – tramite provvedimenti sia preventivi che repressivi – previsti ex lege.
L’Autorità Amministrativa (Stato o Enti Locali) ha il compito di preservare l’ordine, la tranquillità sociale, la sicurezza delle persone, la proprietà; l’Autorità Giudiziaria interviene invece successivamente - quando l’ordine è stato violato - per infliggere la relativa sanzione.

 

 


[1] La Prefettura è l’organo periferico del Ministero dell’interni che esercita in ogni provincia le funzioni dell’amministrazione generale dello Stato. E’ retta dal Prefetto che è la più alta autorità dello Stato in quel territorio. Egli vigila sull’andamento di tutte le pubbliche amministrazioni ad eccezione dell’amministrazione della giustizia, dell’amministrazione militare e di quella ferroviaria, tutela l’ordine e sovraintende alla pubblica sicurezza. Egli dispone della forza pubblica (forze di polizia e forze militari comandate in ordine ) e ne coordina le attività. Il Questore è l’autorità provinciale di pubblica sicurezza che ha la direzione, la responsabilità ed il coordinamento a livello tecnico-operativo dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e di impiego della forza pubblica. Al Prefetto spettano scelte politico-amministrative mentre al questore prettamente scelte tecnico-operative nella concreta azione di polizia.

 

Organi di polizia

Nell'ambito del procedimento penale ed in particolare nelle indagini preliminari le Forze ed i Corpi di polizia che, nel loro complesso, congiuntamente ad altre figure compongono gli Organi di polizia giudiziaria in senso ampio, rivestono un ruolo di spicco, in quanto nella stragranza maggioranza dei casi un'indagine nasce perché una notizia di reato è portata a conoscenza dell'Autorità Giudiziaria attraverso lo svolgimento di attività d'iniziativa della Polizia Giudiziaria
E’ utile evidenziare che la
Legge 1 aprile 1981, n. 121 [43] che ha sancito il “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”, all’art. 16 espressamente preve le varie componenti delle “Forze di Polizia” cui spetta lo svolgimento delle funzioni di polizia, ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica

La citata legge è stata modificata dal Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 177,  [54]recante "Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo Forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 20l5, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche".

► Queste sono:

  1. Polizia di Stato, preposta all'attività di pubblica sicurezza;
  2. Forza Armata dei Carabinieri , forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza;
  3. Corpo della Guardia di Finanza, per il concorso al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica

Vengono, altresì, considerati “forze di polizia” e possono essere chiamati a concorrere nell’espletamento dei servizi di ordine e sicurezza pubblica:

  1. Corpo della Polizia Penitenziaria (ex Agenti di Custodia);
  2. Corpo Forestale dello Stato (Vedi D.lgs. n. 177/2016).

Le forze di polizia così individuate riguardano soltanto la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica considerati in generale. In altri termini, l’art. 16 della Legge n. 121/81, ricomprende nella categoria di forze di polizia, oltre alla Polizia di Stato quale primaria tipica struttura funzionale di polizia, anche tutti gli organismi istituzionali che, pure essendo sottoposti ad autonomi ordinamenti, svolgano o siano chiamati a svolgere funzioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Funzioni di polizia «limitatamente» all’accertamento di determinati reati (art. 57, 3° comma c.p.p.), spettano, poi ad altri «soggetti» nelle materie attribuite alla loro specifica competenza.

  • E’ il caso, ad esempio, del personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera (art. 1235 cod. nav.) e del personale civile dell'Amministrazione centrale e periferica del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti incaricato della vigilanza e dell'accertamento delle infrazioni in materia di pesca marittima, nonché gli agenti giurati nominati dalle amministrazioni regionali e provinciali (artt. 21 e 22 L. 963/1965); gli addetti ai servizi regionali e degli enti locali, cioé gli addetti a ciascuna U.S.L. e ai presidi multizonali, che operino in materia antinfortunistica e di igiene del lavoro, ai quali la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria è attribuita dal Prefetto (art. 21 L. 833/1978); il personale sanitario o tecnico dipendente dal medico provinciale o dagli ispettori sanitari, incaricato della vigilanza sulla produzione e il commercio delle sostanze destinate all'alimentazione (art. 3 L. 283/1962); il personale della carriera direttiva, della carriera dei capi reparto e capi squadra, della carriera di concetto - ruolo tecnico del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco (art. 16 L. 469/1961 e artt. 1 e 13 L. 850/1973 e i vigili del medesimo corpo (art. 16 L. 469/1961); i verificatori di pesi e misure (art. 25 R.D. 7088/1890); l'ufficiale sanitario in relazione alle trasgressioni alla legislazione sanitaria (art. 40 R.D. 1265/1934 e D.P.R. 264/1962); i comandanti di corpo, di distaccamento o di posto delle Forze Armate per i reati soggetti alla giurisdizione militare (art. 301 c.p.m.p.), ecc.).

In materia di «tutella dell'ordine», si rammenta, che il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Coostiera può intervenire esclusivamente nelle ipotesi di cui all’art. 82 Cod. nav. (disordini nei porti e sulle navi).

  • Più specificamente, il citato articolo, dispone che in occasione di avvenimenti che possono turbare l’ordine nei porti, nelle altre zone del demanio marittimo, ovvero sulle navi mercantili che si trovano in porto o in corso di navigazione nel mare territoriale, qualora l’Autorità di pubblica sicurezza non possa tempestivamente intervenire, l’Autorità Marittima del luogo provvede, nei casi di urgenza, a ristabilire l’ordine, richiedendo, ove sia necessario, l’intervento della forza pubblica o, in mancanza, delle Forze Armate[1].
  • Si pensi, ad esempio, al privato cittadino che spinto da motivi pretestuosi si sdraia passivamente sul ciglio della banchina nel porto di Olbia impedendo alla nave traghetto proveniente da Genova di abbassare lo scalandrone e approdarvi in orario, cagionando così la interruzione o turbando la regolarità di un servizio pubblico (art. 340 c.p.), ovvero ai lavoratori portuali che per rivendicare i propri diritti, sospendono il lavoro proprio quando la nave traghetto proveniente da Civitavecchia si accinge ad approdare nel porto di Olbia, in modo da turbare la regolarità del servizio (art. 331 c.p.).

Ad adiuvandum si menziona il R.D. del 13/1/1931, n. 724, con il quale è disposto che «…i Nocchieri di porto fanno parte integrante della forza pubblica e delle forze militari dello Stato, e sono preposti, in concorso con gli altri Agenti della forza pubblica, alla tutela della sicurezza e delle persone nei porti e nelle rade dove esercitano funzioni esecutive e di polizia giudiziaria ed amministrative».
Il Corpo delle Capitanerie di Porto, pur non essendo incluso tra le forze di polizia, può essere considerato, di fatto, un «corpo di polizia» (in funzione di polizia giudiziaria), laddove si consideri che trattasi di un organismo chiamato per legge a disimpegnare, fra l’altro, compiti di polizia amministrativa e giudiziaria.
E ancora, in materia di ordine pubblico, a mente dell’art. 18 della citata Legge n. 121/81, il
Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto può essere chiamato dal Ministro dell’interno a partecipare alla riunione del Comitato Nazionale per l’ordine e sicurezza pubblica (G8 - Genova).
Le forze e gli organi di polizia possono essere utilizzate anche in «servizio di pubblico soccorso». L'impiego delle forze di polizia per il soccorso pubblico in occasione di calamità naturali è stato previsto anche dal D.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66. (Regolamento di esecuzione della Legge 8 dicembre 1970, n. 996, reacante norme sul soccorso e l'assistenza alle popolazioni colpite da calamità e sulla protezione civile) che ha attribuito al Prefetto, in veste di Organo ordinario titolare di funzioni di protezione civile, la dsiponibilità delle forze dell'ordine non solo per i servizi straordinari di vigilanza e tutela richiesti dall'emergenza, ma anche per assicurare il soccorso pubblico per le prime urgenti necessità.

 


[1] In forza del previsto coinvolgimento delle Forze Armate non è escluso che gli equipaggi delle Unità M.M. presenti nei porti o nell’ambito delle acque territoriali possano essere chiamati a prestare il proprio concorso in materia di ordine , nei casi in cui al citato art. 82 cod. nav., compatibilmente con l’assolvimento dei prioritari compiti di istituto e fermo restando la salvaguardia della sicurezza delle unità

 

Organismi e strutture

Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte, nell’ambito delle proprie competenze e attribuzioni, da tutti coloro cui il Codice di procedura penale [55] o specifiche leggi attribuiscono la «qualifica» di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria (art. 55, comma 3 c.p.p.).

Per ottenere risultati ottimali dall’attività di polizia giudiziaria, il Codice di rito prevede, tuttavia, particolari «organismi» e «strutture», sempre composte da Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria, appositamente istituiti per compiere attività di indagine in modo continuativo e permanente e collegati, più o meno intensamente, con l’Autorità giudiziaria e, in particolare, con il Pubblico Ministero al quale la legge attribuisce il potere di dirigere le indagini (art. 327 c.p.p.).
L’art. 109 Cost. prevede che l’Autorità giudiziaria «
dispone» direttamente della Polizia Giudiziaria. Il potere di piena utilizzazione e direzione della Polizia Giudiziaria rende ciascun Procuratore della Repubblica, giuridicamente Capo (o direttore) della Polizia Giudiziaria nell’ambito del proprio circondario.

A seconda della dipendenza solo funzionale o anche organica della Polizia Giudiziaria dal Pubblio Ministero, la Polizia Giudiziaria può essere così "tripartita" (art. 56 e artt. 5-12 att. c.p.p.):

  1. Sezioni di polizia giudiziaria;
  2. Servizi di polizia giudiziaria (reparti operativi, nuclei di PG);
  3. Generici organi di polizia giudiziaria (Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria ai quali la legge fa comunque obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato). 

Le «Sezioni» di polizia giudiziaria, hanno una totale dipendenza "funzionale-operativa" ed una ampia dipendenza organica dal P.M. Sedi operative delle Sezioni di P.G. sono le Procure della Repubblica presso il Tribunale ordinario e quello presso il Tribunale per i minorenni. Non sono istituite presso le Procure Generali presso le Corti di appello.
Nei casi di «avocazione» (e cioè nei casi in cui il Procuratore Generale si autosostituisce, per giustificati motivi, al Procuratore della Repubblica nello svolgimento delle indagini) il Procuratore Generale può peraltro disporre di tutte le Sezioni del "distretto", fermi restando i suoi poteri di coordinamento e sorveglianza.
Le Sezioni svolgono attività di polizia giudiziaria in modo permanente ed esclusivo e ricevono direttive solo dal Pubblico Ministero e non anche dalle istituzioni di provenienza.
La loro composizione è «
interforze» (art. 16 Legge n. 121/81 e succ. modif.): della Sezione fanno parte Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria appartenenti alla Polizia di Stato, alla Forza Arnata dei Carabinieri e al Corpo della Guardia di Finanza specificamente addestrati nell’accertamento e repressione di particolari reati (ad esempio, come quelli ambientali, urbanistici, marittimi, ecc.).
La scelta del personale da assegnare alle Sezioni spetta al relativo Procuratore della Repubblica, che vi provvede di intesa con il Procuratore Generale (P.G.), mediante una designazione vincolante per l’Amministrazione di provenienza (artt. 5-20 D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 ed art. 17 L.1 aprile 1981, n. 121).
Alle Sezioni possono essere «applicati», in soprannumero, Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad “Organi” diversi dalle tre forze di polizia fin qui indicate.

  • Ad esempio, perciò, personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera potrebbe essere applicato presso una Sezione di polizia giudiziaria laddove l’Ufficio di procura dovesse svolgere le indagini su una serie di “reati marittimi” verificatesi in un determinato territorio.

Fanno parte dei «Servizi» di polizia giudiziaria quegli Uffici ed unità ai quali è affidato dalle rispettive Amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge, il compito di svolgere, in via prioritaria e continuativa, le funzioni di polizia giudiziaria
Per questi vi è una più intensa dipendenza funzionale, con taluni marginali profili di dipendenza anche organica. I servizi sono adibiti in via permanente, anche se giuridicamente non esclusiva, a funzioni di polizia giudiziaria., ma nell’ambito dell’ istituzioni di appartenenza, sicché ricevono direttive sia da queste, sia dal Pubblico Ministero.

  • Si pensi ad esempio, alle Squadre Mobili istituite presso le Questure, ai Reparti e Nuclei operativi dei Carabinieri, ai Nuclei di polizia tributaria della Guardia di Finanza, al Servizio centrale e interprovinciale anche interforze per la lotta alla criminalità organizzata, nonché ai Nuclei operativi per la difesa del mare (c.d. N.O.D.M.) delle capitanerie di Porto, Guardia Costiera preordinati ed esplicitamente organizzati, per la tutela e la difesa sia dell’ambiente marino che della polizia demaniale.

Il personale che fa parte dei Servizi rimane gerarchicamente ed organizzativamente inquadrato nei Corpi di appartenenza, ma le disposizioni di attuazione attribuiscono all’Autorità giudiziaria un controllo sulla mobilità (ad esempio: allontanamento anche provvisorio dalla sede, promozioni, ecc.) del personale addetto ai servizi (artt. 12, 14 e 15 att.).
L’Ufficiale di P.G. preposto al Servizio di P.G. è responsabile dell’efficienza del Reparto verso il Procuratore della Repubblica presso il locale Tribunale (art. 59. 2° comma c.p.p.) [1] 

Accanto alle Sezioni ed ai Servizi, svolgono funzioni di polizia giudiziaria anche «generici organi» di polizia giudiziaria. Per questi vige un livello minimale di dipendenza solo funzionale. Trattasi di tutti quegli organismi obbligati per legge ad espletare indagini ma normalmente investiti di funzioni amministrative.
Tali generici organi di polizia giudiziaria differiscono dalla restante categoria dei generici Pubblici Ufficiali per il fatto che essi sono obbligati ad iniziare o a continuare indagini, anche su richiesta del Pubblico Ministero, mentre gli altri Pubblici Ufficiali sono tenuti solo a fare denuncia (art. 361 c.p.p.).
Si tratta degli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria che non sono inseriti nei servizi e nelle sezioni, ai quali, tuttavia, la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di notizia di reato e che possono avere una «competenza generale» (e cioè in ordine a qualunque reato) o «limitata» (e cioè solo in ordine a determinati reati).
Tali organi devono eseguire, nell’espletamento dell’attività di polizia giudiziaria, le direttive del Pubblico Ministero, ma è bene ribadire, comunque, che ferma tale subordinazione, tali organi continuano ad essere subordinati anche ai loro superiori gerarchici per tutto ciò che non abbia attinenza ai compiti di polizia giudiziaria.
Va da sé, poi che anche nell’espletamento dei compiti di polizia giudiziaria, continueranno ad operare le distinzioni di grado e qualifica derivanti dai rapporti gerarchici stabiliti dall’ordinamento di appartenenza. Gli inferiori sono tenuti ad eseguire gli ordini dei Superiori, salvo che tali ordini siano manifestamente criminosi.

  • Dal punto di vista dell’intensità di destinazione all’attività investigativa penale, questa è:
  1. sporadica per i generici organi di P.G.;
  2. prioritaria, ma non esclusiva per i servizi di P.G.;
  3. esclusiva per le sezioni di P.G.

La differenza tra Sezioni e Servizi si fonda sulla diversità delle dipendenze funzionali e organica dal P.M., emblematicamente palesata dalla diversa ubicazione della sede di servizio.
Le Sezioni di P.G., hanno sede presso la Procura della Repubblica; i Servizi, presso i Comandi di appartenenza (le sedi delle Questure, dei Comandi dei CC., della G.d.F., delle Capitanerie di Porto, ecc.).

 

 


[1] Art. 59, n. 2 c.p.p. (Subordinazione della polizia giudiziaria) - Il Pubblico Ufficiale preposto ai servizi di polizia giudiziaria (NODM, NOIP e NOE) è responsabile verso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dove ha sede il servizio dell’attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente
 

 

Competenza operativa

Il personale di Polizia Giudiziaria è costituito dai soggetti obbligati per legge ad esperire indagini per accertare reati oltre che a sporgere denuncia (art. 361 c.p.)
Non hanno qualità di organo di polizia giudiziaria, invece, tutti quei Pubblici Ufficiali e incaricati di un pubblico servizio che pur avendo l’obbligo di denuncia (art. 331), non hanno il potere-dovere di compiere attività investigativa processuale.
Peraltro, l’obbligo di denuncia è limitato ai fatti-reati appresi a causa e nell’esercizio delle proprie funzioni amministrative.

  • Gli Ufficiali ed Agenti di P.G. costituiscono una particolare categoria di «Pubblci Ufficiali», giacché anche la loro è una pubblica funzione.

La qualifica di Ufficiale o Agente di P.G. compete ad ampie categorie di pubblici dipendenti (civili, militari e militarizzate). 

A seconda della ampiezza della loro "sfera operativa", gli organi di P.G. si suddividono in:

  1. ordinari (o generali), quando possono operare senza limiti di tempo, di spazio e di materia (anche fuori dell’orario di servizio e della circoscrizione del proprio Comando, per qualsiasi tipo di reato, ovunque e comunque appreso.
  • Ad esempio: poliziotti, carabinieri e finanzieri.
  1. speciali (o secondari), con limitazioni funzionali di tempo, territorio o materia....
  • Ad esempio: Sindaci nei Comuni privi di organi di P.G., personale dei Vigili del Fuoco, personale delle Capitanerie di Porto, Guardie venatorie ed Agenti zoofili, guardie particolari giurate, ecc.

Da qui la «bipartizione» che fa il codice fra gli Ufficiali ed Agenti a “competenza generale” e quelli a “competenza limitata”.

Tutti esercitano le "funzioni" di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 c.p.p.. Tuttavia, esse spettano, nella loro intierezza, solo agli Ufficiali di P.G., senza distinzione, nel loro ambito, di qualifiche o profili professionali, né di gradi, salve le esigenze di coordinamento, comando o direzione interne e specifiche della propria Amministrazione....

  • Ad esempio, tra un Ufficiale CP e un Sottufficiale Nocchieri di Porto.

Le funzioni di P.G., spettano solo in parte ai semplici Agenti di P.G., in considerazione della loro minore presunta qualificazione, in rapporto al minore grado o livello impiegatizio.
La casistica degli organi secondari di P.G. comprende Ufficiali ed Agenti di P.G. ai quali è conferito l’incarico di accertare e ricercare
solo determinate specie di reati e precisamente quelle nelle quali essi possono imbattersi nello svolgimento del servizio cui sono destinati (…competenza settoriale o limitata) e secondo le rispettive attribuzioni (…in riferimento ai diversi poteri conferiti, rispettivamente, agli Ufficiali ed agli Agenti, specie con riguardo alla legittimazione a compiere, da parte dei primi, tutti gli atti di polizia giudiziaria e, da parte dei secondi, solo alcuni di essi).

  • Nella categoria a competenza limitata sono compresi, ad esempio, il personale appartenente al Corpo dei Vigili del Fuoco, delle Capitanerie di Porto, gli ispettori del lavoro, l’ Ufficiale sanitario, i funzionari doganali, le guardie particolari giurate, ecc.

Sono equiparati al «privato», gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria a competenza limitata, quando operano al di fuori delle loro specifiche attribuzioni o del servizio cui sono destinati.
 

 

Il fine operativo della P.G.

La Polizia Giudiziaria è centro propulsivo del procedimento penale e, come soggetto del procedimento, ha la titolarità di poteri investigativi che sono autonomi fino a quando il P.M., cui essa deve riferire la notizia di reato sensa ritardo, non abbia assunto la direzione delle indagin ed impartito le direttive necessarie (art. 348 c.p.p.). Va sottolineato tuttavia che anche dopo l'assunzione della direzione delle indagini da parte del P.M., la Polizia Giudiziaria può svolgere indagini di propria iniziativa.
Il momento dell’intervento della Polizia Giudiziaria è per forza di cose connesso ad un reato ed è ben diverso dal carattere preventivo della polizia amministrativa, assumendo in realtà una finalità più schiettamente repressiva.

  • Ad esempio, durante un’attività di vigilanza sul demanio marittimo (art. 30 cod. nav. e art. 27 Reg. cod. nav.)[1] può capitare che il personale della Capitaneria accerti l’esistenza di una nuova opera non autorizzata di difficile rimozione (polizia giudiziaria – art. 1161, co.1 cod. nav.)

Tale momento di intervento è caratterizzato da diversi «obblighi e doveri» e, in particolare, ha il compito di (art. 55 c.p.p.)

  1. Prendere notizia dei reati: è un punto connaturale alla stessa esistenza istituzionale della P.G. la quale ha il potere-dovere di informarsi sui reati già commessi o in atto o in progetto. Tale attività ha un carattere di propria autonoma iniziativa, indipendentemente dalla volontà delle eventuali parti lese.
    Tale informazione può derivarle da una fonte esterna (denuncia di un privato, referto di un medico...), ma può discendere anche da una iniziativa autonoma di ricerca da parte della stessa polizia giudiziaria.
  1. Impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori: è logico che sarebbe inammissibile e irrazionale che la polizia giudiziaria, avuta notizia di un reato in esecuzione o in atto, si limitasse a prenderne notizia e a denunciarlo consentendo però la prosecuzione indisturbata del reato stesso.
    Il dovere di far cessare lo stato antigiuridico in atto appare come conseguenza intuitivamente logica al momento immediatamente successivo a quello di aver appreso dell’esistenza di un reato in corso di attuazione.
  1. Ricercare gli autori dei reati: è naturalmente la funzione predominante della polizia giudiziaria perché mediante la stessa la polizia giudiziaria consente allo Stato di attuare la sua pretesa punitiva: e cioè il suo diritto di punire chi viola norme sanzionate con la pena (ergastolo, reclusione, arresto, multa, ammenda).
    La norma penale ha in se stessa una funzione essenzialmente punitiva e per raggiungere e completare tale scopo è necessario individuare ed assicurare agli organi giudicanti i responsabili dell’illecito penalmente rilevante. In tale contesto opera la P.G. come funzione primia e fondamentale. Tale specifica attività deve essere svolta in perfetta sincronia con il Pubblico Ministero che è il titolare primario della relativa azione.
  1. Individuare e assicurare le fonti di prova: mediante questa attività, la polizia giudiziaria ricerca le cose e le tracce pertinenti al reato, ricerca le persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione di fatti. All’esito di tale attività, la polizia giudiziaria assicura al procedimento ciò che essa ha trovato mediante la sopra descritta attività di investigazione.
    Circa quest’ultimo punto, la P.G. ne assicura il contenuto mediante atti di sommarie informazioni, perquisizioni, accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone, sequestri e mediante tutti gli atti consentiti.
  1. Raccogliere quant’altro possa servire all’applicazione della legge penale e svolgere attività informativa dell’Autorità Giudiziaria: questa funzione ha carattere residuale ed è idonea, in particolare, a comprendere tutti quei dati che possono avere comunque risalto processuale e possono perciò costituire oggetto di prova. Essa si sostanzia, ad esempio, nell’acquisizione dei dati che possono giovare a stabilire la pericolosità dell’imputato e agevolare il Giudice nella concreta determinazione della pena da infliggere (fase giudiziale – art. 133 c.p.); come i dati sulle condizioni morali e materiali di vita dell’imputato, sui suoi precedenti penali e giudiziari.

 


[1] Art. 30 (Uso del demanio marittimo) – L’amministrazione dei trasporti regola l’uso del demanio marittimo e vi esercita la polizia (art. 1164, comma 1 cod. nav.)
Art. 27 Reg. cod. nav. (Vigilanza) – L’esercizio della concessione è soggetto alle norme di polizia sul demanio marittimo (art. 30 cod. nav.). L’Autorità marittima vigila sull’osservanza delle norme stesse e delle condizioni cui è sottoposta la concessione.
[…]

 

Tipologia delle funzioni

Le funzioni di polizia giudiziaria tendono tutte alla ricostruzione del fatto-reato ed alla individuazione del presunto autore.

► Esse sono così classificabili:

  1. Funzione investigativa, che consiste, ai sensi dell’art. 348 c.p.p., nella ricerca degli elementi informativi da cui fare scaturire la prova in giudizio (fonti di prova). Tale ricerca attiene alle cose e alle tracce pertinenti al reato (c.d. fonti di prova reali), nonché alle persone in grado di fornire informazioni (c.d. fonti di prova personali). Il primo momento della funzione investigativa è l’acquisizione della notizia criminis (art. 330). Essa è diretta, se il fatto-reato è direttamente percepito dalla P.G.; è indiretta, se la notizia di reato è fornita alla P.G. da terzi (ad esempio, mediante denuncia). Sono mezzi informativi anche gli scritti anonimi (fonte scritta) ed i c.d. confidenti di polizia (fonte verbale), aventi entrambi la medesima valenza: utilizzabilità come base di partenza per le indagini; inutilizzabilità assoluta ai fini probatori, anche in fase di indagini preliminari (art. 240 c.p.p. e 108 disp.att.). La funzione investigativa è, pertanto, preordinata all’acquisizione degli elementi occorrenti affinché il P.M. possa iniziare e proseguire l’azione penale. L’acquisizione si estende anche a quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale (ad esempio, valore della cosa rubata, infermità mentale, pericolosità sociale, ecc.).
  1. Funzione repressiva, che consiste nel diritto-dovere della P.G. di impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori (art. 55, 1° comma c.p.p.)
  • Essa si sostanzia, ad esempio, nell’interruzione di attività criminose mediante liberazione della persona sequestrata, l’arresto della persona colta in flagranza di un delitto

Gli elementi di fatto raccolti in sede di interruzione del reato sono, a loro volta, utili ai fini della funzione investigativa.

  1.  Funzione esecutiva, è funzione servente rispetto all’A.G. (=Giudice e P.M.); essa consiste nella attività di esecuzione degli atti della A.G., su delega di questa. La P.G. conserva l’antico ruolo di organo ausiliario del P.M. e del Giudice, quale «longa manus» o braccio armato della legge. Numerosi atti del procedimento sono portati ad esecuzione dagli Ufficiali o Agenti che ne sono delegati dall’A.G..
  • Ad esempio, esecuzione di ordinanze cautelari, sequestri, perquisizioni, intercettazioni, notificazioni di atti.

 

 

Intervento della P.G: modus operandi

Quando un "Ufficiale" o "Agente" di polizia giudiziaria interviene nei confronti di un soggetto sospettato di un reato o nel momento in cui sta commettendo un reato:

  • …modus operandi
  1. Come primo atto... si qualificherà esibendo il «tesserino» e dichiarando la sua «qualifica» di Ufficiale o Agente di P.G.; il "qualificarsi" è importante perché da questo momento in poi scatta il sistema di norme che l’ordinamento prevede come poteri di intervento e come tutela del suo operato; la mancata qualificazione non pone il privato in nessun obbligo comportamentale e tutta l’operazione sarà nulla...; infatti una volta consentito ai cittadini interpellati la corretta conoscenza della qualità di chi si rivolge a loro, si realizza il presupposto per l’assunzione delle responsabilità penali per l’eventuale dissenso che può avvenire in due modi, non infrequenti specie da parte di violatori poco convinti, per incultura, della illiceità dei loro comportamenti, con il rifiuto delle proprie generalità o col fornire false generalità.
    L’atto di riconoscimento del militare operante ha peraltro una particolare rilevanza giuridica perché solo dopo che è avvenuto, il cittadino interpellato acquisisce la consapevolezza di trovare dinanzi a se un «Pubblico Ufficiale»; da ciò consegue che il cittadino interpellato assume le conseguenze penali derivanti da un suo eventuale rifiuto di declinare le generalità (ad esempio: art. 651 c.p. - rifiuto di generalità; art. 496 c.p. – false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o altrui) ovvero da più gravi comportamenti che dovesse assumere nei confronti del Pubblico Ufficiale (ad esempio: oltraggio a P.U. - art. 341bis c.p.; - ingiuria – artt. 594 e 61, n. 10 c.p.; art. 336 c.p. - violenza e minaccia; art. 337 c.p. - resistenza).
  1. Successivamente... potrà "chiedere le generalità" al soggetto: il rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale è previsto dall’art. 651 c.p., secondo il quale “...chiunque, richiesto da un nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni personali è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a lire 206 €”. L’obbligo di dare le proprie generalità riguarda sia i trasgressori, sia i testimoni, ossia “chiunque possa avere attinenza con un accertamento di polizia giudiziaria o per illecito amministrativo”. Anche i soggetti già conosciuti dal sono tenuti ad esibire i documenti o comunque dichiarare comprovandole le proprie generalità. In caso di rifiuto di esibizione dei documenti potrà procedere al suo «accompagnamento» presso il proprio Ufficio ai fini della sua identificazione, fermo restando il rapporto all’Autorità giudiziaria (P.M. presso il Tribunale) per il reato di cui all’art. 651 c.p. (rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale).

Attenzione !

L’art. 349 c.p.p. sancisce che di questo accompagnamento coattivo ai fini identificativi deve essere subito notiziato il Procuratore della Repubblica del posto.
Se la persona si oppone con la forza all’accompagnamento, commette il reato di resistenza a Pubblico Ufficiale (art. 337 c.p.) per il quale è possibile l’arresto in flagranza.
Qualora l’U.P.G. non voglia, per motivi di opportunità o per altro, ricorrere all’uso della forza per l’accompagnamento coattivo, cercherà di identificare, attraverso altri mezzi (ad esempio: targa dell’autovettura, informazioni, testimonianze, ecc.) la persona, trasmettendo l’informativa di reato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente al quale illustrerà dettagliatamente l’evoluzione dei fatti.
In nessun caso è possibile far uso delle eventuali armi in tali circostanze, a meno che non vi sia costretto dalla necessità di difendere la propria integrità fisica da un pericolo attuale ed inevitabile, e sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa e non sussista l’alternativa di un comportamento diverso oppure qualora il militare operante sia costoro all’uso delle armi per respingere una violenza o vincere una resistenza.

Attenzione !

la cosiddetta “resistenza passiva” (rifiuto senza minacce o violenza ed atteggiamento passivo ed inerte) non integra il reato di resistenza ma soltanto il reato di cui all’art. 650 e/o 61 c.p.

  1. Nel caso (naturalmente più ordinario e frequente...) in cui il soggetto esibisca i documenti o comunque dichiari comprovandole le proprie generalità l’operante appunterà le stesse su un proprio foglio e proseguirà gli accertamenti contestando oralmente al soggetto il reato integrato; prenderà appunti sui fatti, se necessario raccoglierà prove o scatterà foto o prenderà le generalità di eventuali potenziali testimoni presenti; eseguirà dei sequestri se vi è necessità ed inviterà il soggetto a desistere da ulteriori comportamenti illeciti; se il reato è molto grave può anche procedere all’arresto in flagranza ove il Codice penale lo consenta (ipotesi cui ricorrere in casi-limite e di estrema gravità).
  • L’operante non redigerà sul posto alcun Verbale ne consegnerà copia di nulla al soggetto responsabile, se non una copia del Verbale di sequestro penale se sarà stato eseguito.
    In Ufficio più tardi si redigerà una comunicazione di notizia di reato (NdR) che verrà inviata al Magistrato in via del tutto autonoma e senza naturalmente che il soggetto responsabile possa e debba prenderne visione.
  • E’ necessario che il primo contatto che il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, Guardia Costiera in servizio ha con il cittadino sia uniformato alle più elementari "regole di deontologia professionale".

 

 

Alcune regole di deontologia professionale

  • E’ necessario che il primo contatto che il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera "in servizio" ha con il cittadino sia uniformato alle più elementari regole di deontologia professionale.

In uno Stato democratico, ove massima tutela viene riconosciuta ai diritti del cittadino ed i limiti alla libertà costituzionali sono oggetto di precise garanzie, i compiti degli Organi preposti alle funzioni di polizia devono essere svolti mantenendo, sempre, il “giusto equilibrio” tra l’esplicazione di un «atto autoritativo» qual è normalmente l’atto posto in essere dal Pubblico Ufficiale, ed il rispetto dei diritti della persona che ne subisce gli effetti.
L’identificazione di una persona rappresenta, ad esempio, più che un invito a declinare le proprie generalità personali e quant’altro possa valere ad identificarla compiutamente, un ordine dell’Autorità che, nel quadro dei principi anzidetti, va considerato un potere da esercitare, non solo con la puntuale osservanza delle norme che la regolano, ma anche con atteggiamenti e comportamenti improntati alla buona educazione, al rispetto della persona ed alla salvaguardia dell’immagine dell’Amministrazione di appartenenza.
Alla necessaria fermezza nell’intervento deve, pertanto, coniugarsi la cortesia nei modi e nel linguaggio, qualunque sia o appaia il soggetto destinatario del controllo d’identità; in tal modo, non solo si rappresenta la funzione esercitata con adeguato livello di professionalità, ma, contestualmente, si evita una giusta rimostranza o addirittura, il tentativo di far passare per arbitrario l’atto medesimo.
Allo scopo di scongiurare possibili malintesi o incertezze, la richiesta dei documenti identificativi è opportuno che sia effettuata comunque da personale in “uniforme”.

Qualora gli operatori siano in abiti civili e sia necessario ed improrogabile procedere al controllo, devono essere attuate tutte le possibili cautele per consentire al cittadino un inequivocabile riconoscimento.

  • Così, per fare un esempio, nel fermare un veicolo in porto, deve essere mostrata dal personale operante (NOIP) la “paletta di segnalamento” in dotazione alle Capitanerie di Porto. E’ prerogativa del militare operante esibire il "tesserino di riconoscimento" in maniera palese, senza timore che il suo contenuto possa essere letto facilmente, al fine di qualificarsi in maniera compiuta.
    Se motivi di opportunità e di sicurezza consigliano di omettere le proprie generalità, è necessario almeno indicare all’interlocutore il proprio grado e il Comando o Ufficio di appartenenza.

 

 

Norme di sicurezza

  • Quando si argomenta di sicurezza, viene considerato sia l’aspetto della tutela della incolumità del militare operante, sia quello delle persone eventualmente ed anche involontariamente interessate all’attività di controllo.

Proprio la necessità di garantire la sicurezza della collettività e degli operanti rappresenta l’ulteriore criterio cui uniformare alcune elementari regole di condotta nel corso degli interventi da parte del personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera.
E’ necessario, quindi, in presenza dell’utente, mantenere costante un atteggiamento fermo e prudente: pur nel rispetto delle libertà del cittadino, è importante adottare ogni accorgimento teso a garantire la propria e altrui incolumità.
Anche quando le persone fermate, oggetto dell’attività di identificazione, mostrano tranquillità e disponibilità agli accertamenti di polizia, deve essere tenuta sempre elevata e vigile la concentrazione operativa, al fine di scongiurare ogni reazione ed essere pronti a fronteggiare inattese situazioni d’emergenza.
Quando decide di procedere al controllo di una o più persone, e qualora non sia necessario attivarsi presso il proprio Comando, il militare del Corpo deve ponderare, oltre alla tecnica di avvicinamento e di approccio, il luogo più idoneo all’intervento stesso.

  • Così, ad esempio, il luogo ove procedere al controllo, nonché le modalità attuative, devono essere correlate al numero di persone da controllare, al tipo di mezzo eventualmente in loro possesso ed alle circostanze ambientali, quali la facilità di una eventuale via di fuga degli interessati, la presenza di situazioni delicate di ordine , la sussistenza di contiguità delinquenziali e cosi via.

L’approccio con le persone deve, possibilmente, avvenire con l’utilizzo della «tecnica di protezione ravvicinata», che consiste nell’operare sempre con il sostegno, a distanza, di uno o più collaboratori in posizione reattiva, ossia pronti a fronteggiare l’eventuale reazione del fermato ovvero di terze persone presenti nelle vicinanze.

Non tutti gli operatori, quindi, devono trovarsi contemporaneamente impegnati nel controllo: mentre uno procede alla identificazione ed agli accertamenti conseguenti, l’altro o gli altri devono tenersi a distanza pronti ad intervenire.

Giova sottolineare che una procedura operativa adeguata rappresenta un valido deterrente nei confronti dell’utente reticente o malintenzionato, il quale, al contrario, in presenza di atteggiamenti rilassati ed eccessivamente fiduciosi dei tutori dell’ordine, potrebbero approfittare di un momento opportuno per sottrarsi con forza al controllo.

Dell’avvio dell’attività di controllo, nonché del luogo in cui il personale del Corpo opera, è opportuno informare via radio/telefonino la Centrale Operativa del proprio Ufficio che, in caso di emergenza, sarà in condizione di attivare tempestivamente le misure di conseguenza.

 

Responsabilità disciplinare

Le norme di attuazione del Codice di procedura penale (artt. 16-19) regolamentano il tema delle "sanzioni disciplinari" che possono essere applicate agli Ufficiali ed agli Agenti di polizia giudiziaria che, violando le norme relative all’esercizio delle loro «funzioni», e cioè: 

  1. omettono di riferire nel termine previsto all’Autorità giudiziaria la notizia di reato;
  2. omettono o ritardano l’esecuzione di un ordine dell’Autorità giudiziaria o lo eseguono in parte o negligentemente;
  3. violano ogni disposizione di legge relativa all’esercizio delle loro funzioni (ad esempio: violazione del divieto di pubblicare gli atti di un procedimento penale, dare consigli all’indagato sulla scelta del difensore di fiducia ecc.). 

►Iniziativa: l’azione disciplinare è promossa dal Procuratore Generale presso la Corte di appello del "distretto" in cui presta servizio l’U.P.G. o l’A.P.G. Dell'inizio dell'azione disciplinare è data comunicazione all'amministrazione dalla quale dipende l'Ufficiale o l'Agente di polizia giudiziaria in questione.

►Contestazione: l'addebito viene contestato all'incolpato per iscritto. La contestazione, che indica succintamente il fatto e la specifica trasgressione della quale l'incolpato è chiamato a rispondere, è notificata all'incolpato e contiene l'avviso che fino a 5 giorni prima dell'udienza, egli ha la facoltà di presentare memorie, produrre documenti e richiedere l'audizione di testimoni.

►Competenza: competente a giudicare dell’infrazione disciplinare è una apposita "Commissione" (composta da due magistrati e da un Ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa amministrazione dell’incolpato) avente sede presso la Corte d’Appello e i cui componenti sono nominati dal consiglio giudiziario, per i magistrati, e dai soggetti indicati nell’art. 17 co.3 att., per gli appartenenti alle Forze di Polizia. Nel procedimento disciplinare l’accusa è rappresentata dal Procuratore Generale (P.G.) che ha promosso l’azione disciplinare o da un suo sostituto.

►Le garanzie difensive:  l’incolpato ha facoltàdi nominare un difensore di fiducia (che può anche essere un appartenente alla sua Amministrazione) o da un difensore di ufficio (designato a norma dell’art. 97).

►Notifica del provvedimento: all'esito dell'iter procedimentale, il Procuratore Generale comunica il provvedimento all'amministrazione di appartenenza dell'Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria nei cui confronti è stata promossa l'azione disciplinare.

►Impugnazione: avverso la decisione emessa della Commissione, sia l'incolpato che il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello possono ricorrere ad una "Commissione Centrale" (di 2° grado) che ha sede presso il Ministero di Giustizia ed il cui provvedimento conclusivo non è ricorribile in Cassazione. L'accusa è esercitata da un magistrato della Procura Generale presso la Corte di cassazione.

All’esito del procedimento, all’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria, ritenuto responsabile della trasgressione disciplinare è inflitta la sanzione della «censura» o, nei casi più gravi, la «sospensione dall’impiego» per un tempo non superiore a sei mesi.
Agli Ufficiali o agli Agenti addetti alle Sezioni di polizia giudiziaria potrà essere altresì irrogata la sanzione dell'esonero dal servizio presso le sezioni. Nei confronti dell'Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria. incolpato può essere disposta anche la "sospensione cautelare" dalle funzioni di polizia giudiziaria.
Va precisato che il procedimento disciplinare sia in 1° che in 2° grado, nonostante l'intervento dell'Autorità Giudiziaria e le forme proprie di un procedimento giurisdizionale, resta un procedimento di natura amministrativa.
L’Ufficiale o l’Agente che viola i doveri inerenti alle funzioni di polizia giudiziaria può essere assoggettato solo al procedimento disciplinare appena delineato (art. 16 comma 3 att.) e non anche (congiuntamente o alternativamente) al procedimento disciplinare che le varie amministrazioni prevedono per i loro appartenenti che trasgrediscono ad ordini emanati ovvero violino doveri generici o specifici del servizio o della disciplina militare.
E', infatti, evidente che le sanzioni dinanzi citate, previste dalle disposizioni di attuazione al nuovo codice di rito non possono essere certo assorbire provvedimenti di diversa natura quali ad esempio la destituzione, o profili di rilevanza disciplinare peculiari, per ciascuna amministrazione di appartenenza, come ad esempio quelle previste dalla L. 121/81 e dal successivo decreto di attuazione D.P.R. 737/81 per gli appartenenti alla polizia di Stato.

  • Se pertanto, ad esempio, il dirigente di un servizio di polizia giudiziaria omette di riferire entro il termine previsto dall’art. 347 la notizia di reato al P.M., non può essere assoggettato ad esempio, al procedimento disciplinare previsto per il personale dell’amministrazione di pubblica sicurezza (D.P.R. 25/10/1981, n. 737) ovvero al procedimento previsto dal regolamento di disciplina militare (D.P.R. 18/7/1986, n. 545). Nei suoi confronti può essere invece promossa solo l’azione disciplinare di cui all’art. 16 att. c.p.p.

Il procedimento disciplinare promosso per la violazione commessa nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, non esclude, viceversa, che per la stessa violazione possa essere dato inizio anche a un «procedimento penale». Per il medesimo fatto, perciò, può prospettarsi l’ipotesi di dare autonomi procedimenti: quello disciplinare o quello penale.

  • Ad esempio, il doloso ritardo nella trasmissione stessa può concretare sia il reato di cui all’art. 361 comma 2 c.p. (omessa denuncia di reato...) o dell’art. 328 c.p. (rifiuto di atti di ufficio), sia l’infrazione disciplinare di cui all’art. 16 att. per i reati di omessa denuncia aggravata (artt. 361 e 363 c.p.) o rifiuto di atti di ufficio (art. 328 c.p.).

 

 

La competenza agli atti della P.G.

Gli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria a competenza generale o limitata (fra cui gli appartenenti al Corpo) sono legittimati a compiere, sia pure per accertare solo determinate categorie di reati, tutti gli atti di polizia giudiziaria. Va peraltro rilevato che mentre gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono svolgere qualsiasi atto, gli Agenti possono compierne alcuni e non altri.
La distinzione tra Ufficiali ed Agenti di polizia giudizraia è rilevante sia per quanto riguarda la organizzazione interna delle varie unità di polizia giudiziaria sia per quanto riguarda la competenza a compiere determinati atti.
A quest’ultimo proposito, le disposizioni dettate dal Codice di rito e dalle norme di attuazione stabiliscono che, gli atti di polizia giudiziaria possono esssere compiuti, indistintamente, dagli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria e che alla regola si fa eccezione solo per quegli atti il cui compimento è espressamente “
riservato” agli Ufficiali di polizia giudiziaria in via assoluta o relativa.
La riserva è assoluta quando l’atto, per la sua complesità e delicatezza, può essere compiuto dagli Ufficiali di polizia giudiziaria e cioè dai soggetti che, per le qualifica rivestita, sono titolari di più collaudate capacità tecnico-professionali.
La riserva è relativa quando l’atto può essere compiuto anche dagli Agenti di polizia giudiziaria nei casi di particolare necessità e urgenza, cioè a dire, nei casi che esigono l’immediato svolgimento di attività operativa (art. 113 att.)..

  • Ad esempio, sono riservati in via assoluta agli Ufficiali di polizia giudiziaria, la ricezione e la redazione di notizie di reato qualificate come la denuncia, querela e refertoi (artt. 331, 333, 334 e 337 c.p.p.); l’assunzione di sommarie informazioni dallea persona sottoposta alle indagini (art. 350 commi 1-5 c.p.p.) o dalla persona imputata in reato connesso (art. 351 comma 1-bis c.p.p.); l’acquisizione di plichi o di corrispondenza (art. 353 c.p.p.); l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato (art. 359 comma 3 c.p.p.).
  • Ad esempio, sono riservati in via solo relativa agli Ufficiali di polizia giudiziaria (=possono essere compiuti quindi anche dagli Agenti di polizia giudiziaria solo nei casi di particolare necessità e urgenza), le perquisizioni, i sequestri, gli accertamenti urgenti sui luoghi, cose e persone (artt. 353 e 354; art. 113 att. c.p.p.).

Nelle ipotesi di riserva relativa, la necessità e urgenza che legittimano l’intervento degli Agenti di polizia giudiziaria non devono essere espressamente motivate, ma possono essere desunte anche da elementi collegati alla concreta situazione di indagine.

  • Si pensi, ad esempio, alla perquisizione personale che l’Agente di polizia giudiziaria compie nei confronti di un soggetto appena sorpreso nella flagranza di un grave reato (Cass. 2091/1999).

L’agente che compie un atto in assenza di una situazione di necessità e urgenza può rispondere disciplinarmente. Nell’ipotesi di riserva assoluta, l’atto compiuto da Agenti di polizia giudiziaria è invece considerato illegittimo (Cass. 4408/98).

► In particolare gli «Ufficiali di P.G.» possono procedere, ad esempio:

  1. Identificazione dell’indagato e del potenziale testimone (art. 349, co. 1 c.p.p.);
  2. accompagnamento in ufficio dell’indagato e del potenziale testimone (art. 349, co. 4);
  3. esecuzione di rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici e di altri accertamenti per l’identificazione dell’indagato (art. 349, co. 2);
  4. ricezione della dichiarazione o elezione di domicilio dell’indagato (art. 349, co.3);
  5. assunzione di sommarie informazioni dall’indagato (art. 350);
  6. assunzione di notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini (art. 350, commi 5 e 6);
  7. ricezione di spontanee dichiarazioni dall’indagato (art. 350, co. 7);
  8. assunzione di sommarie informazioni dalle persone informate sui fatti (art. 351);
  9. esecuzione di ordini dell’autorità giudiziaria;
  10. ricezione di denuncie, querele e referti (artt. 331, 333, 334 e 337 c.p.p.);
  11. perquisizioni (art. 352 c.p.p.);
  12. accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi, cose e persone (art. 354 c.p.p.):;
  13. sequestro penale (art. 354 c.p.p.),
  14. arresto in flagranza;
  15. fermo di indiziato di delitto;
  16. adempimenti materiali conseguenti l’arresto (come ad esempio avviso ai familiari e al difensore);
  17. ecc.

Va rilevato che mentre gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono svolgere qualsiasi atto, gli Agenti possono compierne alcuni e non altri.

► In particolare gli «Agenti di P.G.» possono procedere ad esempio:

  1. identificazione dell’indagato e del potenziale testimone (art. 349, co. 1 c.p.p.);
  2. accompagnamento in ufficio dell’indagato e del potenziale testimone (art. 349, co. 4);
  3. esecuzione di rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici e di altri accertamenti per l’identificazione dell’indagato (art. 349, co. 2);
  4. ricezione della dichiarazione o elezione di domicilio dell’indagato (art. 349, co.3);
  5. ricezione di spontanee dichiarazioni dall’indagato (art. 350, co. 7);
  6. assunzione di sommarie informazioni dalle persone informate sui fatti (art. 351);
  7. esecuzione di ordini dell’Autorità Giudiziaria;
  8. arresto in flagranza;
  9. ricezione di dichiarazione di querela resa oralmente sul luogo in caso di arresto;
  10. fermo di indiziato di delitto;
  11. adempimenti materiali conseguenti l’arresto (come ad esempio avviso ai familiari e al difensore);

 

 

Le fasi dell'attività di p.g.

La Polizia Giudiziaria è «soggetto» procedimentale, ma non anche parte processuale. E’ soggetto perché, nella fase pre-processuale, è titolare di proprie potestà e funzioni investigative, anche parzialmente autonome da quelle del P.M. (ad esempio: arresto, fermo, atti di indagine) ed anche perché ha una propria funzione esecutiva di direttive e di atti delegati dal P.M. (artt. 347 e 370 c.p.p.).
La P.G. non è parte perché innanzi al Giudice non può iniziare, né proseguire l’azione penale, di cui unico ed esclusivo titolare è il P.M. . L’Ufficiale di P.G. benché possa fungere da P.M. nei riti dibattimentali innanzi al Giudice monocratico, ivi non rappresenta il proprio Corpo o Arma di appartenenza, ma il Procuratore della Repubblica delegante (art. 22 D.P.R. 449/1988, modificato dall’art. 72 Ord. Giud.).

  • Rispetto all’attività del P.M., quella svolta dalla Polizia Giudiziaria, ha peraltro carattere «preliminare» ed «ausiliario».

Ha carattere "preliminare" (art. 347 c.p.p.) perché è volta a fornire al P.M. l’imput investigativo: spettando poi al P.M. stesso sviluppare l’indicazione ricevuta finalizzandola processualmente.
Questo vuol dire che dal momento in cui il P.M. ha concretamente assunto la direzione delle indagini, la P.G. ha il dovere di muoversi entro le linee da lui tracciate, salvo a riacquistare sfere di autonomia più o meno ampie in relazione ad indagini richieste da elementi successivamente emersi (art. 348 co.3 c.p.p.).

Ha carattere "ausiliario" perché spetta al P.M. la direzione delle indagini e disporre direttamente della P.G.

  • In ordine ai rapporti con la figura predominante del P.M., la Polizia Giudiziaria "opera in regime" di:
  1. piena libertà investigativa: questa dura per tutto il tempo in cui manca l’intervento del P.M. e, quindi, permane anche dopo la comunicazione della notizia criminis, nel caso di perdurante assenza di sue direttive (art. 348 co.1 c.p.p.);
  2. limitata libertà investigativa: questa si ha dopo l’effettivo intervento del P.M., che può emanare direttive generiche di indagine oppure disporre l’esecuzione di specifiche attività.

Nel primo caso, ampia è la discrezionalità della Polizia Giudiziaria; nel secondo caso è assai limitata (art. 348 comma 3). In ogni caso, la P.G. conserva la titolarità della c.d. indagine parallela, che nella sua autonomia, può sempre espletare, pur essendo comunque obbligata anche a svolgere le indagini commissionate dal P.M.

Si aggiunga che a seguito del trasferimento di alcune competenze penali in capo al Giudice di Pace, l’attività di iniziativa della Polizia Giudiziaria, nelle materie affidate al Giudice onorario, ha subito un ampliamento potendo la P.G., oltre che condurre le indagini, procedere, in determinati casi, alla citazione diretta in giudizio della persona indagata.

  • Sotto il profilo dei suoi rapporti con l’attività di indagine del P.M., l’attività di polizia giudiziaria può essere distinta in:
  1. attività autonoma
  2. attività guidata
  3. attività delegata

L’attività autonoma è quella che la P.G. è legittimata e tenuta a compiere in base a «propri autonomi poteri» che le derivano direttamente dalla legge e non da richieste od ordini del P.M.
Consiste nel compimento di qualsiasi legittima attività, tipica o atipica, di informazione, investigazione e assicurazione diretta alla ricostruzione del fatto e alla individuazione dell’autore o dei presunti autori del reato.
L’attività autonoma ha come momento iniziale quello dell’acquisizione della N.d.R., perdura certamente fino a che la notizia criminis non viene comunicata al P.M. (art. 347 c.p.p.) e può continuare fino a che questi non assume concretamente e di fatto la direzione delle indagini.

Una volta che il P.M., ricevuta la comunicazione di N.d.R. ha assunto concretamente la direzione delle indagini, egli può compierle personalmente oppure avvalendosi della P.G. In questo secondo caso, può limitarsi a impartire alla P.G. delle «direttive» di indagine oppure può ad essa «delegare» il compimento di specifici atti (artt. 348 co.3 e 370 co.1). Se il P.M. si limita ad impartire direttive di indagine, l’attività della polizia giudiziaria si denomina «attività guidata». Se, invece, il P.M. delega alla polizia giudiziaria specifici atti, l’attività della P.G. si denomina «attività delegata».

L’attività guidata è, pertanto quella che la Polizia Giudiziaria svolge nell’ambito delle direttive del P.M. e, cioè, entro le linee generali (=obiettivi di indagine) da lui tracciate. Le circostanze che il P.M. abbia impartito direttive di indagine, non impedisce alla polizia giudiziaria di seguire proprie «piste» di indagine o sulla base di quanto richiesto da elementi successivamente emersi (=attività successiva) o in attuazione di proprie idee investigative (=attività parallela).

  • Tipico esempio di direttiva può essere quello in cui, avvenuto un furto di attrezzi su di una nave da pesca, il P.M. chiede al N.O.I.P. della Capitaneria di verificare (=direttiva) l’affidabilità della «pista» secondo la quale il basista del furto può essere uno dei membri dell’equipaggio della stessa nave.
    Se a seguito delle dichiarazioni rese dal basista sorgono elementi che fanno supporre il concorso di altri componenti dell’equipaggio nella commissione del furto, la P.G. può successivamente, sulla base dei nuovi elementi, indirizzare le indagini (=attività successiva).
  • Se ad esempio, dopo che è avvenuto un incendio doloso in un magazzino in porto, la direttiva del P.M. è quella di accertare se chi vi lavora ha precedenti giudiziari ed è in contatto con concorrenti del titolare, la P.G. può congiuntamente compiere anche ogni indagine volta a stabilire se il titolare del magazzino ha di recente stipulato polizze assicurative contro l’incendio, seguendo quindi congiuntamente la pista dell’incendio dolosamente e fraudolentemente cagionato per riscuotere l’assicurazione (=attività parallela).

In questi casi, la Polizia Giudiziaria, come in tutti i casi in cui il P.M. si limita ad impartire direttive, resta libera di scegliere i mezzi e il tipo di investigazione più idonei per raggiungere l’obiettivo di indagine indicatole.
Sarà, perciò, autorizzata a perseguire l’obiettivo di indagine assumendo informazioni da potenziali testimoni, eseguendo osservazioni di persone e pedinamenti, acquisendo dati sulla personalità dei membri dell’equipaggio del motopesca oppure compiendo altra attività ritenuta necessaria od opportuna, e ponendo in essere, altresì, tutte quelle attività informali, rientranti nelle regole della buona tecnica di indagine e quindi non vietate...

  • Ad esempio: individuare una persona, la sua attività, le sue fattezze fisiche, accertandone l’identità anagrafica ovvero acquisendo presso la Prefettura la foto (se in possesso di patente di guida), ecc.

L’attività delegata consiste, invece, nel compimento da parte della polizia giudiziaria, di atti specificamente richiesti e indicati dal P.M. intervenuto nella direzione delle indagini.
A differenza di quello compiuto su direttiva, l’atto delegato ha lo stesso regime dell’atto compiuto personalmente dal P.M, ed è evidente che solo da uno specifico provvedimento del P.M. (=delega) può essere argomentata tale ammissibilità.
La «delega» deve, pertanto, assumere la forma scritta, ma ciò non impedisce, tuttavia, che, quando sussistono ragioni di urgenza o necessità, possa essere data oralmente e poi ribadita per iscritto.
La Polizia Giudiziaria in quanto soggetto del procedimento, è titolare di autonomi funzioni investigative che esercita mediante «atti tipici» (artt. 244-271 c.p.p.) e anche di «atti atipici» (art. 189).

Nella sua attività di ricerca delle fonti di prova, la Polizia giudiziaria pone in essere:

  1. solo atti di iniziativa (c.d. atti liberi), fino a che il P.M. non assume la effettiva direzione delle indagini (art. 348);
  2. atti sia di iniziativa che guidati dal P.M. (art. 347 co.3 modificato dalla L. 356/1992) quando costui impartisce mere direttive (=temi di indagine);
  3. atti sia di iniziativa, sia delegati dal P.M. (c.d. atti esecutivi) quando il magistrato delega il compimento di specifici atti (art. 370 c.p.p.).

 

La fase delle indagini preliminari

Il procedimento penale ha inizio con l'acquisizione della notizia di reato da parte della Polizia Giudiziaria (art. 330 c.p.p.) o del Pubblico Ministero. All'acquisizione segue una prima fase della procedura (fase delle indagini preliminari) che ha per protagonista la Polizia Giudiziaria la quale, fino a quando il P.M. non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini..., raccoglie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione del colpevole (art. 348, comma 1 c.p.p.).
La Polizia Giudiziaria ha il compito di informarsi sul fatto ma anche di informare tempestivamente il P.M. dell'intervenuta acquisizione della notizia di reato.

  • Una volta informato, il P.M. assume la direzione delle indagini preliminari. Al loro compimento provvede:
  1. personalmente
  2. delegando alla Polizia Giudiziaria specifici atti
  3. impartendo alla stessa polizia giudiziaria direttive di indagine (artt. 327, 348 comma 3, 358, 370 c.p.p.).

Le indagini compiutre dal P.M. e dalla Polizia Giudiziaria mirano a consentire al P.M. di assumere le sue determinazioni in ordine o meno dell'azione penale (art. 326 c.p.p.).

  • Aspetti e caratteristiche delle indagini preliminari
  1. ha una funzione investigativa, nel senso che serve a ricercare ed acquisire fonti di prova e consiste in una serie di atti ed accertamenti diretti a stabilire se la notizia di reato sia o meno infondata;
  2. precede l’inizio del processo vero e proprio, che sorge solo quando il P.M. valutando di aver acquisito, durante la fase delle indagini preliminari, elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio, esercita l’azione penale. Nel caso contrario il P.M. chiede invece, l’archiviazione (art. 405 e art. 125 att.);
  3. non serve, salvo talune eccezioni, a formare atti che abbiano valore di prova (e cioè che il Giudice può porre a fondamento della sentenza di condanna o di proscioglimento). In base agli atti compiuti durante la fase delle indagini preliminari il P.M. può, invece, e soltanto, individuare la «pista giusta». dell’investigazione e rivolgere richieste al Giudice per le indagini preliminari (GIP).
  • La fase delle indagini preliminari deve concludersi entro precisi termini. I confini temporali delle indagini sono segnati:
  1. quanto al momento iniziale (dies a quo), dalla iscrizione del nome della persona alla quale è attribuito il reato nel Registro delle notizie di reato o degli indagati (artt. 335 e 405, comma 2 c.p.p.);
  2. quanto al momento finale (dies ad quem), dallo scadere di 6 (sei) mesi o di 1 (un) anno da quella iscrizione (art. 405, comma 2 c.p,.p.).
  • I possibili "epiloghi" delle indagini pre-processuali hanno forma diversa a seconda che essa debba o meno seguire la formale incriminazione dell'indagato e, quindi, la fase giurisdizionale.
    Il P.M., a conclusione delle indagini preliminari, può, in alternativa, formulare al G.I.P. (Giudice per le indagini preliminari) o al G.U.P. (Giudice dell'Udienza preliminare) richiesta di:
  1. archiviazione
  2. esercizio dell'azione penale

 

Gli Organi delle Indagini preliminari

Gli Organi che svolgono le indagini preliminari, sono il «Pubblico Ministero» e la «Polizia Giudiziaria».  Nel modello processuale vigente il Pubblico Ministero è solo organo inquirente e di azione penale con funzioni direttive della Polizia giudiziaria che è l’altro organo deputato delle indagini. In particolare il P.M., pur essendo Autorità giudiziaria, svolge un ruolo di parte, in posizione di sostanziale parità con la persona indagata.
Da ciò deriva che il P.M. non ha poteri sulla libertà personale di quest’ultima (salvo il potere-dovere di fermo che ha, però carattere provvisorio ed eccezionale). 

  • Ad esempio, il Pubblico Ministero non ha il potere di disporre la custodia in carcere di un indagato, ma solo il potere di richiederla al GIP. Ha solo il potere-dovere di fermo di un indagato, un potere che al pari dei quello dell’arresto in flagranza, è provvisorio, urgente ed eccezionale.

L’attuale sistema non attribuisce al Pubblico Ministero e alla Polizia giudiziaria il potere di formare la prova e di incidere sui diritti costituzionali garantiti dell’indagato/imputato. Tali poteri, infatti, possono appartenere solo ad un soggetto che non svolge né funzione di investigazione né funzione di accusa e che, invece, è rigorosamente estraneo alla contesa tra le parti (Pubblico Ministero e imputato).

Anche se la fase delle indagini preliminari ha natura essenzialmente investigativa, è tuttavia previsto, che durante la fase operi un Giudice: il Giudice per le indagini preliminari (=G.I.P). Questo Giudice che è singolo (monocratico) e privo di qualsiasi funzione investigativa, è istituito presso i Tribunali ordinari ed i Tribunali per i minorenni (ove opera, come Giudice collegiale nell’Udienza Preliminare).

Il G.I.P., non svolge indagini preliminari, ma esercita su di esse «funzioni di controllo». Interviene, infatti, in funzione di garanzia delle posizioni di libertà dell’indagato ed in funzione di controllo e garanzia sui tempi di svolgimento delle indagini e sull’esercizio dell’azione penale.

  • Ad esempio, se una persona viene arrestata o fermata dalla polizia giudiziaria, è al G.I.P. che spetta accertare, nell’udienza di convalida, se sono state rispettate le condizioni che consentivano di arrestare o fermare quella persona. Se il P.M. ritiene che l’indagato possa sottrarsi al processo e alla condanna ovvero possa commettere altri gravi reati, non può farlo catturare dalla polizia giudiziaria e porlo in custodia cautelare (in carcere) o altra misura restrittiva della libertà dell’indagato. Spetta al GIP accogliere o rigettare la richiesta del P.M. a seconda che la ritenga o meno legittima.

Spetta ancora al GIP autorizzare il compimento delle intercettazioni telefoniche (art. 267) richieste dal P.M.: trattandosi, infatti, di un mezzo insidioso che può incidere sulla riservatezza delle relazioni personali dell’indagato, non è consentito a chiunque captarne le comunicazioni, ma solo a chi indaga su certi reati particolarmente gravi e dietro autorizzazione del Giudice. Il GIP proroga i termini previsti per le indagini (artt. 406-415) ovvero provvede sulla richiesta di archiviazione (artt. 408 ss.)

Il tal modo il G.I.P. controlla che le indagini siano correttamente svolte e che non si verifichino delle irregolarità investigative che incidano sul corretto andamento del procedimento penale.
Abbiamo detto in precedenza che il G.I.P. è l’organo delle indagini in Tribunale, presso il quale svolge le sue funzioni anche con riferimento ai procedimenti per reati di competenza della Corte d’Assise.
Nei procedimenti di mafia, le funzioni di GIP sono svolte da un magistrato operante nel Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di Appello «c.d. G.I.P. distrettuale».
Il G.I.P. è, altresì, organo con poteri di decisione nella fase successiva alla chiusura delle indagini e nell’esercizio dell’azione penale in quanto chiamato a decidere sul rinvio a giudizio dell’indagato.
Questa duplicità di ruoli distingue il Giudice per le indagini preliminari dagli altri Giudici ordinari ai quali spettano sempre poteri di decisione, connessi, per lo più, allo svolgersi di una udienza dibattimentale.

 

Il G.I.P.

E', nel nuovo Codice di procedura penale, il Giudice cui competono gli «atti giurisdizionali» più importanti nella fase delle indagini preliminari.

Il Giudice per le indagini preliminari (detto nel linguaggio corrente G.I.P.), non svolge indagini preliminari, ma sostanzialmente esercita il «controllo» sulle attività di ricerca della prova a «garanzia» dei diritti di coloro nei cui confronti tale attività viene effettuata.

► Il G.I.P. interviene infatti:

  1. in funzione di garanzia delle posizioni di libertà;
  2. in funzione di controllo e garanzia sui tempi di svolgimento delle indagini e sull'esercizio dell'azione penale.

Il Pubblico Ministero è organo inquirente rispetto al quale il cittadino assume posizione di soggezione, almeno sino a che non viene formalmente esercitata l'azione penale: al G.I.P. sono rimesse tutte le decisioni che maggiormente incidono sulla conduzione del procedimento o che più da vicino concernono la libertà dell'indagato (intercettazioni telefoniche, incidente probatorio, convalida del fermo e dell'arresto, applicazione di misure cautelari, convalida del sequestro, ecc.)

  • Ad esempio, se una persona viene arrestata o fermata dalla polizia giudiziaria, è al G.I.P. che spetta accertare, nell’udienza di convalida (art. 391 c.p.p.), se sono state rispettate le condizioni che consentivano di arrestare o fermare quella persona. Se il P.M. ritiene che l’indagato possa sottrarsi al processo e alla condanna ovvero possa commettere altri gravi reati, non può farlo catturare dalla polizia giudiziaria e porlo in custodia cautelare in carcere, ma deve richieder al G.I.P. (art. 291 c.p.p.) di emettere la misura della custodia cautelare (in carcere) o altra misura restrittiva della libertà dell’indagato. Spetta al GIP accogliere o rigettare la richiesta del P.M. a seconda che la ritenga o meno legittima.
    Spetta ancora al G.I.P. autorizzare il compimento delle intercettazioni telefoniche (art. 267 c.p.p.) richieste dal P.M.: trattandosi, infatti, di un mezzo insidioso che può incidere sulla riservatezza delle relazioni personali dell’indagato, non è consentito a chiunque "captarne le comunicazioni", ma solo a chi indaga su certi reati particolarmente gravi e dietro autorizzazione del Giudice.

In casi eccezionali, tassativamente elencati dall'art. 392 c.p.p., è previsto che singoli atti possano essere "richiesti" sia dallo stesso P.M. che dalle altre parti interessate al G.I.P. e che, in tal modo, l'assunzione di tali atti avvenga dinanzi al G.I.P. e nel contraddittorio tra gli interessati. Si chiama, dunque, «incidente probatorio» lo speciale procedimento per mezzo del quale si assume una prova dinanzi al G.I.P.
Infine, è sottoposta al vaglio di fondatezza del G.I.P. anche la "richiesta di rinvio a giudizio" (nelle sue varie forme: rinvio a giudizio ordinario, giudizio immediato) nonché le altre forme di definizione abbreviata del procedimento, quali il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti.
Il G.I.P. proroga i termini previsti per le indagini (artt. 406-415) ovvero provvede sulla richiesta di archiviazione (artt. 408 ss.)
Il G.I.P. svolge le proprie funzioni presso il Tribunale, presso il quale svolge le sue funzioni anche con riferimento ai procedimenti per reati di competenza della Corte d’Assise.
Nei procedimenti di mafia, le funzioni di G.I.P. sono svolte da un magistrato operante nel Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di Appello c.d. G.I.P. distrettuale.

 

Il G.I.P. e l'incidente probatorio

Normalmente le prove vengono acquisite al dibattimento. In via eccezionale, vi sono dei casi in cui il legislatore, in previsione dei rischi che il rinvio al dibattimento presenta nell’attesa (rischio di inquinamento della loro genuinità, modificazione, alterazione naturale o indotta, scomparsa), dispone che certe prove possano essere raccolte prima, nella fase delle indagini preliminari, ma non dal P.M., bensì da un Giudice, il G.I.P., attraverso lo strumento dell’«incidente probatorio».

  • Si pensi, ad esempio, al testimone gravemente ammalato o minacciato; ad una perizia relativa ad una casa o ad un luogo il cui stato è soggetto a modificazion Si pensi, ad esempio, al testimone gravemente ammalato o minacciato; ad una perizia relativa ad una casa o ad un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile.ne non evitabile.

L’incidente probatorio consiste quindi nella anticipata acquisizione della prova non rinviabile al dibattimento. Non potendo la prova attendere il dibattimento, i meccanismi dibattimentali di formazione della prova sono anticipatamente azionati innanzi allo stesso G.I.P., nel contraddittorio delle potenziali parti e con le stesse formalità della “cross examination” (=esame incrociato). Trattasi, invero, di vero e proprio incidente (o parentesi o segmento) processuale.

 

  • Si pensi, ad esempio, al testimone gravemente ammalato o minacciato; ad una perizia relativa ad una casa o ad un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile.

Mediante l'incidente probatorio, il G.I.P. compie dunque un atto che potrebbe essere tardivo tentare di compiere in dibattimento e il cui compimento da parte della Polizia Giudiziaria o del P.M., invece, non potrebbe produrre effetti ai fini della decisione del Giudice del dibattimento (poiché si configurerebbe quale atto di indagine e cioé come un atto inidoneo a costituire prova).

► I casi di incidente probatorio sono tassativamente elencati dall'art. 392 c.p.p., e si verificano quando:

  1. la prova sarebbe esposta a deterioramento (art. 392, comma 1 lett. b, c e d, art. 392, comma 1bis c.p.p.);
  2. la acquisizione della prova sarebbe impossibile (art. 392, comma 1 lett. a, c e d c.p.p.);
  3. la acquisizione della prova determinerebbe una sospensione troppo lunga del dibattimento (art. 392, comma 2 c.p.p.).
  • Ad esempio, il P.M. o l’indagato possono richiedere al G.I.P. di procedere con incidente probatorio se temono che prima del giudizio lo stato dei luoghi si modifichi o il testimone o il pentito vengano minacciati o corrotti; o ancora, se temono che prima del giudizio si verifiche la morte del testimone già ammalato; ovvero, se il mezzo di prova consiste in una perizia molto complessa che può essere espletata solo in più di 60 giorni.

Gli atti compiuti con incidente probatorio sono, fin dall’inizio, acquisiti al fascicolo del dibattimento e hanno la stessa utilizzabilità di quelli compiuti in giudizio.
Poiché l’incidente probatorio prevede il contraddittorio delle potenziali parti (Pubblico Ministero, difensore e, nella gran parte dei casi, anche l’indagato), di conseguenza, fa scoprire al Pubblico Ministero la direzione delle indagini.
Occorre, quindi, fare un uso molto accorto dell’incidente probatorio: Pubblico Ministero e Polizia giudiziaria devono valutare attentamente se ricorrere ad esso o rischiare che la prova si inquini o si deteriori o divenga impossibile la ripetizione.

 

 

 

 

L'informazione di garanzia

Nel precedente sistema processuale sin dal primo atto di istruzione il Giudice Istruttore o il Pubblico Ministero doveva inviare all'imputato la «comunicazione giudiziaria» (c. d. avviso di garanzia).

Nel nuovo modello processuale, invece, la stessa comunicazione «c.d. informazione di garanzia» va inviata solo se vi è nelle indagini preliminari il compimento di un atto al quale il difensore ha diritto di assistere (art. 369 c.p.p.).

  • Sono atti ai quali hanno diritto di assistere i difensori previo avviso "24 ore" prima del compimento i seguenti:
  1. interrogatorio
  2. confronto (cui deve partecipare la persona sottoposdta alle indagini)
  3. ispezione (cui non deve partecipare la persona sottopsta alle indagini)

I difensori hanno altresì il diritto di assistere, ma senza avviso, per gli atti di "perquisizione" o di "sequestro" (art. 365 c.p.p.), atti «c.d a sorpresa».
Pertanto tutti gli altri atti di indagine possono essere compiuti (ad esempio, esame di persone che possono riferire sulla notizia di reato - futuri testimoni) senza l'invio della informazione di garanzia.

I termini delle indagini

La fase delle indagini preliminari è «perimetrata» entro precisi confini temporali. Il legislatore, nell'intento di assicurare ritmi accelerati alla fase dell indagini e di tutelare possibili interessi dell'indagato e della persona offesa ad una tempestiva definizione delle indagini, ha prefissato termini "massimi" di durata.
Il termine di durata delle indagini è di 1 (un) anno quando si procede per uno dei delitti indicati nell’art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p. e cioè che riguardano ipotesi di delitti riconducibili al concetto di criminalità organizzata (eversiva, terroristica o tipo mafioso). Per gli altri reati, il termine delle indagini è di soli 6 (sei) mesi.

  • Alla scadenza del termine il P.M. può:
  1. chiedere una proroga del termine (artt. 406, 407 c.p.p.);
  2. chiedere l'archiviazione della notizia di reato (art. 408 c.p.p.);
  3. chiedere il rinvio a giudizio.

Il termine delle indagini preliminari (sia esso di sei mesi o di un anno) può essere "prorogato" una o più volte dal G.I.P. su richiesta del Pubblico Ministero. La richiesta di proroga contiene l’indicazione della notizia di reato e l’esposizione dei motivi che la giustificano. Deve essere notificata (a cura del G.I.P.) all’indagato e alla persona offesa che, nella notizia di reato (ad esempio, nella querela o nella denuncia) o successivamente alla sua presentazione, ha dichiarato di volerne essere informata.
La notificazione della richiesta di proroga non è prevista quando si procede per uno dei delitti di mafia.
La proroga è concessa o negata dal G.I.P. La prima proroga, di durata non superiore a 6 (sei) mesi, può essere concessa per qualsiasi giusta causa. Le altre, solo quando la giusta causa consiste nella particolare complessità delle indagini o nella oggettiva impossibilità di concluderle.
In totale, computate tutte le proroghe, la
durata delle indagini non può superare i 18 (diciotto) mesi.
Il termine di durata delle indagini può essere di "quattro anni" quando si procede per i delitti di più grave allarme sociale (art. 407 comma 2 lett. b c.p.p.).

 

 

L' archiviazione

Entro i termini prefissati il Pubblico Ministero, valutati i risultati delle indagini compiute, deve operare la scelta fra l’archiviazione o l’esercizio dell’azione penale.

  • Per il nuovo Codice, l’archiviazione è possibile:
  1. quando la notizia di reato appare assolutamente infondata o, comunque, quando l’accusa non appare sostenibile in dibattimento;
  2. quando manca una condizione di procedibilità (querela, autorizzazione a procedere, ecc.);
  3. quando il reato è estinto;
  4. quando il fatto non è più previsto dalla legge come reato (ad esempio nel caso di abrogazione o di depenalizzazione del reato) ;
  5. quando sono ignoti gli autori del reato.

La notizia di reato deve essere ritenuta "infondata" dal Pubblico Ministero quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio e ciò al fine di evitare processi e dibattimenti inutili.

Sulla richiesta di archiviazione, è particolarmente intenso il controllo del G.I.P. che quando è in disaccordo rispetto alle conclusioni del P.M. può anche "imporgli di compiere nuove indagini o di formulare l’imputazione".

  • Se interviene l’archiviazione il processo vero e proprio non sorge. Si chiude invece il procedimento (termine usato per ricomprendere anche la fase delle indagini preliminari).
  • Quando, invece, il P.M. intende esercitare l'azione penale (mediante richiesta di rinvio a giudizio), il P.M. procedente deve fare notificare all'indagato, l'avviso di concluse indagini (art. 415bis c.p.p.).

 

Rinvio a giudizio

L'impostazione garantistica che ha animato la c.d. riforma del Giudice Unico ha accresciuto i diritti dell'imputato anche in riferimento al momemto conclusivo delle indagini.
All'approssimarsi della scadenza del termine per le indagini, "originario" (mesi 6 o, per i reati di criminalità organizzata, anni 1) o "prorogato", il P.M. può limitarsi a richiedere l'archiviazione (per improcedibilità dell'azione penale, per infondatezza della notizia criminis o per essere ignoti gli autori) senza altri adempimenti.
Quando, invece, intende esercitare l'azione penale (mediante richiesta di rinvio a giudizio per i reati attribuiti al Tribunale colleggiale o, nei casi consentiti, al Tribunale monocratico, overo mediante
citazione diretta a giudizio innanzi al tribunale monocratico), il P.M. procedente fa "notificare" all'indagato e al suo difensore, prima della scadenza del termine delle indagini preliminari (art. 415 comma 2 c.p.p.), se non deve formulare la richiesta di archiviazione ai sensi degli artt. 408 e 411 c.p.p., l'avviso delle concluse indagini (art. 415bis c.p.p.).

La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall’avviso previsto dall’art. 415 bis c.p.p., nonché dall’invito a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell’art. 375 co. 3 c.p.p. qualora la persona sottoposta alle indagini a seguito del predetto avviso abbia chiesto di essere sottoposta a interrogatorio.
E’ questo il momento in cui inizia il «processo vero e proprio» ed in cui la persona sottoposta alle indagini acquista la qualità di «
imputato».
Quando il P.M. esercita l’azione penale mediante la “richiesta di rinvio a giudizio” si apre una fase giurisdizionale nella quale il "
Giudice dell’Udienza Preliminare" (G.U.P.) nel pieno contraddittorio delle parti, verifica se l’ipotesi di accusa formulata dal P.M. appare o no fornita di quel tanto di fondatezza che giustifica il giudizio.

La sede a ciò destinata è la «Udienza Preliminare», che funziona come una sorta di "filtro" rispetto alle accuse mosse dal P.M. e di garanzia per l’imputato.
Il Giudice fissa la data dell’udienza entro 5 (cinque) giorni dal deposito da parte del P.M. della richiesta di rinvio a giudizio.
L’udienza si svolge in camera di consiglio con la necessaria presenza del P.M. e del difensore dell’imputato (laddove questi non compaia e sempre che sia stato ritualmente avvisato, il Giudice deve nominargli un sostituto, ai sensi dell’art. 97 co. 4 c.p.p.).
Nel corso dell’udienza, il Pubblico Ministero e il difensore formulano e illustrano le loro rispettive «conclusioni» utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini.
L’Udienza Preliminare svolge nel procedimento penale una "funzione di controllo giurisdizionale", in ordine alla consistenza degli elementi addotti dal Pubblico Ministero a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio.

L’udienza è anche la sede deputata alla "definizione anticipata del processo", ove le parti facciano richiesta di «rito abbreviato» o di «applicazione di pena su richiesta» (c.d. riti alternativi al dibattimento o pre-dibattimentali).
Il legislatore ha previsto che per tutti i reati, siano essi attribuiti alla cognizione del Giudice collegiale o del Giudice monocratico, si proceda con Udienza Preliminare, fatta eccezione per alcune ipotesi di reato per le quali, in relazione alla minore rilevanza (contravvenzioni, delitti puniti con la reclusione non superiore a quattro anni) o alla ampia diffusione (furto aggravato, ricettazione), non è apparso opportuno prevedere il controllo del Giudice sulla richiesta di giudizio del Pubblico Ministero (art. 550 e ss.c.p.p.).

In sostanza, l’Udienza Preliminare, in contraddittorio tra le parti, dinanzi al Giudice terzo (G.U.P.), rappresenta un passaggio obbligatorio per la gran parte dei processi di primo grado. E’ caratteristica tipica del Giudizio Ordinario e può avere luogo solo dopo che il processo è già iniziato e, quindi, dopo che è stata promossa l’azione penale e l’indagato ha acquisito la qualità di imputato.

 

 

Avviso di concluse indagini

L'art. 415 bis c.p.p.[1] dispone che, prima della scadenza del termine delle indagini preliminari, anche se prorogato, il P.M., se non deve formulare richiesta di archiviazione, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore «avviso della conclusione delle indagini preliminari».
L’atto è finalizzato a consentire all’indagato un "contraddittorio anticipato" allo scopo di evitargli incriminazioni infondate o non adeguatamente ponderate. Pertanto, l’avviso deve contenere l’enunciazione del fatto-reato addebitato e deve essere accompagnato dal deposito dell’intero fascicolo del P.M.
Nei successivi 20 giorni l’indagato ha facoltà di presentare elementi a sua difesa, prendere visione ed estrarne copia degli atti di indagine e può presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa alle investigazioni difensive, nonché presentarsi per rilasciare dichiarazioni spontanee, ovvero chiedere di essere sottoposto a interrogatorio o di compiere ulteriori atti di indagine, che devono essere "espletati dal Pubblico Ministero", nei successivi trenta giorni, termine prorogabile dal G.I.P per una sola volta, al massimo, fino a sessanta giorni.
E’ evidente che se all’esito delle investigazioni svolte la notizia di reato si è rilevata priva di fondamento, o, in ogni caso, l’azione penale non può essere iniziata per altri motivi non vi è ragione di sollecitare l’indagato a prospettare ulteriori approfondimenti.

  • Il contenuto dell’avviso della conclusione delle indagini (art. 415 co. 2 e 3 cp.p.):

L’avviso della conclusione delle indagini "contiene":

  1. la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede;
  2. la indicazione delle norme di legge che si assumono violate;
  3. la indicazione della data e del luogo del fatto;
  4. l’avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del Pubblico Ministero e che l’indagato e il difensore hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia;
  5. l’avvertimento che l’indagato ha facoltà, nel termine di venti giorni (che decorre dalla notifica dell’avviso):

          a) di presentare memorie;

          b) di produrre documenti;

          c) di depositare documentazione relativa alle investigazioni difensive;

          d) di chiedere al P.M. di compiere atti di indagine;

          e) di presentarsi per rilasciare dichiarazioni;

          f)  di chiedere di essere sottoposto a interrogatorio

 


[1] L’art. 415 bis c.p.p. è stato introdotto dall’art. 17 co. 2 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 c.d. Legge Carotti, dal nome del relatore alla camera dei Deputati ed entrata in vigore il 3 gennaio 2000.
[2] L’interrogatorio al quale l’indagato può richiedere di essere sottoposto acquista un più pregnante ed autentico significato ai fini dell’esercizio della funzione difensiva, in quanto reso alla luce del bagaglio di conoscenze e della consapevolezza della vicenda processuale che derivano dalla previa consultazione ella documentazione relativa alle indagini espletate.

 

 

L'azione penale

Il Giudice può esercitare la "funzione giurisdizionale" solo se un organo dello Stato (il Pubblico Ministero) gli formula la richiesta di decidere su una accusa (imputazione) mossa a carico di un soggetto (imputato). E' mediante tale richiesta che il P.M. esercita l'azione penale.
Il P.M. deve esercitare l'«azione penale» quando, al termine delle indagini preliminari, svolte con l'ausilio della Polizia Giudiziaria, ritiene di aver acquisito elementi idonei a sostenere l'accusa di fronte al Giudice.

  • Le principali "caratteristiche" dell'azione penale sono:
  1. la pubblicità, nel senso che l'azione penale non compete ai privati, ma esclusivamente allo Stato che la esercita attraverso l'ufficio del P.M. (art. 50 comma 1 c.p.p.);
  2. l'ufficialità, nel senso che essa è esercitata d'ufficio - senza che occorrono, dunque, particolari sollecitazioni - da parte del P.M., salvo che la legge prevede la necessità di una condizione di procedibilità (es. la querela);
  3. l'irretrattabilità, nel senso che l'esercizio dell'azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi previsti dalla legge (art. 50 comma 3 c.p.p.) (come ad esempio, quando risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento stesso);
  4. l'obbligatorietà, nel senso che essa non può essere esercitata a discrezione del P.M. e sulla base di ragioni di opportunità svincolare da criteri obiettivi e determinati collegati alla fondatezza della notizia di reato (art. 50 comma1, 408, 415 c.p.p. e art. 112 Cost.).

Nel nostro sistema, il P.M. non può dunque decidere a sua discrezione se esercitare o meno l'azione penale. La sua decisione deve tener conto solo dell'interesse all'osservanza della legge e non può essere condizionata da interferenze esterne, da ragioni di opportunità (anche politica), da circostanze occasionali (collegate alla particolarità del fatto o del suo autore) o, infine, dalla necessità di far prevalere interessi particolari.
Il momento iniziale dell'esercizio dell'azione penale coincide con la formulazione dell'imputazione (es. redazione della richiesta di rinvio a giudizio) e non con quello della sua conseguente comunicazione, che di norma avviene mediante notifica (es. notifica della richiesta suindicata). La cognizione è, quindi, sempre successiva al momento in cui si assume la qualità di imputato e cioè al momento della formazione dell'atto di vocatio in jus.

 

 

Citazione diretta del P.M.

L’Udienza Preliminare è la caratteristica tipica del "giudizio ordinario". Essa può avere luogo solo dopo che il processo è già iniziato e, quindi, dopo che è stata promossa l’azione penale e l’indagato ha acquisito la qualità di imputato.
Per il giudizio ordinario, l’Udienza Preliminare esiste indefettibilmente per i reati attribuiti al Tribunale collegiale, e solo per taluni reati attribuiti alla cognizione del Tribunale monocratico ed in particolare per quelli in ordine ai quali non è consentita la «citazione diretta a giudizio» emessa dal P.M. (artt. 33 bis, 33 ter, 549 e 550).
La mancanza dell’Udienza Preliminare costituisce la ragione dell’attribuzione al P.M. delle «funzioni propulsive» del procedimento, altrimenti spettante al G.U.P.

Il «decreto di citazione diretta a giudizio» (art. 550 e ss. c.p.p.) emesso direttamente dallo stesso P.M. ha il pregio di accelerare l’iter e di semplificare gli adempimenti procedurali, ma anche il difetto del provvisorio obnubilamento della posizione del Giudice e quindi dei valori di giurisdizione (terzietà ed imparzialità), che egli incarna.

  • Il decreto di citazione a giudizio concerne le seguenti ipotesi:
  1. categorie generali: tutte le contravvenzioni, comunque punite; delitti se puniti con pena massima edittale fino ad anni quattro, in alternativa o in aggiunta alla pena della multa, di qualsiasi importo;
  2. elencazione nominativa: delitti specificamente elencati, il cui massimo edittale, nella loro eventuale forma aggravata, supererebbe la soglia degli anni 4 (e, quindi, in mancanza, sarebbe attribuibile al tribunale collegiale) e cioè violenza, minaccia e resistenza a Pubblico Ufficiale, oltraggio a magistrato in udienza, violazione di sigilli, rissa, furto e ricettazione.

Peraltro, anche per tutti i predetti reati si procede con il rito dell’Udienza preliminare se essi sono connessi con altri reati per i quali sia prevista l’Udienza Preliminare.

  • Il decreto di citazione a giudizio contiene tutti gli elementi necessari o utili ai fini della vocatio in jus e, quindi, le indicazioni relative a:
  1. imputato;
  2. altre parti private;
  3. fatto-reato;
  4. Tribunale monocratico competente per il giudizio, data e luogo di questo;
  5. facoltà di attivare i riti premiali pre-dibattimentali (patteggiamento ed abbreviato).

 

La fase dell'Udienza preliminare

L'Udienza preliminare è la caratteristica tipica del "giudizio ordinario" e può avere luogo solo dopo che il processo è già iniziato e, quindi, dopo che è stata promossa l’azione penale e l’indagato ha acquisito la qualità di imputato.

Per il giudizio ordinario, l'Udienza preliminare esiste indefettibilmente per i reati attribuiti al "Tribunale collegiale", e solo per taluni reati attribuiti alla cognizione del "Tribunale monocratico" ed in particolare per quelli in ordine ai quali non è consentita la "citazione diretta a giudizio" emessa dal P.M. (art. 550 e ss. c.p.p.).

L'Udienza preliminare consiste nell'udienza destinata alla verifica preliminare, a fini esclusivamente procedurali, della fondatezza dell'accusa. Essa manca innanzi al "Giudice di pace". Non è così per i reati destinati al "Tribunale monocratico", la cui cognizione comprende anche delitti punibili con la pena della reclusione fino a 10 anni; pertanto, per i reati-delitti si hanno procedimenti sia con Udienza preliminare, sia senza di essa, con afflusso, in questo caso, del processo direttamente al Giudice dibattimentale tramite "citazione diretta" disposta dallo stesso P.M. (artt. 649 e 550 c.p.p.).
Pertanto, la disciplina dell'Udienza preliminare è identica sia per i delitti destinati al Tribunale collegiale, sia per quelli destinati al Tribunale monocratico, nei casi in cui quest'ultimo essa è previsto
Il Giudice dell'Udienza preliminare (G.U.P.) deve vagliare l'intero fascicolo delle indagini e ha, una funzione diversa dal Giudice preposto al controllo di singoli atti di indagine (G.I.P.). Il G.U.P. interviene al termine della fase investigativa per decidere, sulla base dell'intero fascicolo, se accogliere la richiesta del P.M. di rinvio a giudizio.
Il Giudice fissa la data dell’Udienza entro 5 (cinque) giorni dal deposito da parte del P.M. della richiesta di rinvio a giudizio. L’Udienza si svolge in "camera di consiglio" con la necessaria presenza del P.M. e del difensore dell’imputato (laddove questi non compaia e sempre che sia stato ritualmente avvisato, il Giudice deve nominargli un sostituto, ai sensi dell’art. 97, comma. 4 c.p.p.).
Nel corso dell’Udienza, il Pubblico Ministero e il difensore formulano e illustrano le loro rispettive conclusioni utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini.
L’Udienza preliminare svolge nel procedimento penale una funzione di «controllo giurisdizionale», in ordine alla consistenza degli elementi addotti dal Pubblico Ministero a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio.
L’Udienza è anche la sede deputata alla definizione "anticipata" del processo, ove le parti facciano richiesta di «rito abbreviato» o di «applicazione di pena su richiesta» (c.d. riti alternativi al dibattimento o pre-dibattimentali).
Il legislatore ha previsto che per tutti i reati, siano essi attribuiti alla cognizione del Giudice collegiale o del Giudice monocratico, si proceda con Udienza preliminare, fatta eccezione per alcune ipotesi di reato per le quali, in relazione alla minore rilevanza (contravvenzioni, delitti puniti con la reclusione non superiore a quattro anni) o alla ampia diffusione (furto aggravato, ricettazione), non è apparso opportuno prevedere il controllo del Giudice sulla richiesta di giudizio del Pubblico Ministero (art. 550 e ss. c.p.p.).
In sostanza, l’Udienza preliminare, in contraddittorio tra le parti, dinanzi al Giudice terzo, rappresenta un passaggio obbligatorio per la gran parte dei processi di primo grado.

  • A seguito dell’Udienza Preliminare il G.U.P. pronuncia:
  1. sentenza di non luogo a procedere[1], nei casi previsti dall’art. 425 c.p.p.. Fra questi sono compresi quelli di estinzione del reato (esempio: amnistia), di improcedibilità dell'azione penale (esempio: mancanza di querela) e di fatto non previsto dalla legge come reato; sono inoltre compresi quelli in cui risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato;
  2. decreto che dispone il giudizio, in tutti i casi in cui il Giudice accerta che non sussistono le condizioni per pronunciare la sentenza di non luogo a procedere. Il provvedimento è sommariamente motivato e contiene la data di comparizione dell’imputato davanti al Giudice competente per il dibattimento.

 

 


[1] Ai sensi dell’art. 428 c.p.p. come sostituito dall’art. 4 Legge n. 46/2006, la sentenza pronunciata dal GUP in sede di udienza preliminare di non luogo a procedere è inappellabile ma ricorribile in Cassazione sempre per il PM; per l’imputato non è possibile quando è stato assolto con formula piena.

 

Il fascicolo del dibattimento

A seguito del «decreto che dispone il giudizio», viene formato il c.d. fascicolo per il dibattimento. Questo fascicolo ha un contenuto assai esiguo, poiché, come si è detto, la prova deve tendenzialmente formarsi nel dibattimento al quale il Giudice deve pervenire senza essersi precostituito un convincimento attraverso la lettura delle «carte».

  • Ed infatti nel fascicolo per il dibattimento sono raccolti solo:
  1. gli atti relativi alla procedibilità dell’azione penale (la querela);
  2. i Verbali degli atti «non ripetibili» compiuti dalla polizia giudiziaria o dal Pubblico Ministero (verbali di perquisizione, sequestro);
  3. i Verbali assunti «nell’incidente probatorio» (verbali di assunzione di una testimonianza a futura memoria e i verbali assunti all’estero a seguito di rogatoria);
  4. il corpo del reato o le cose pertinenti il reato;
  5. il certificato generale del casellario giudiziale.

Gli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, sono i soli che il Giudice della fase dibattimentale potrà conoscere prima dell’apertura del dibattimento e che, insieme agli atti compiuti o acquisiti nel dibattimento stesso, potrà utilizzare pienamente ai fini della decisione.
Tutti gli altri di indagine, compresi quelli compiuti dopo l’esercizio all’azione penale e quelli acquisiti dal Giudice nell’Udienza Preliminare, vanno raccolti nel c.d. fascicolo del Pubblico Ministero, che potrà essere consultato e utilizzato soltanto dalle parti e, al quale, quindi, il Giudice del dibattimento non potrà avere accesso.

Il sistema del «doppio fascicolo» serve a impedire che il Giudice del dibattimento possa formarsi il suo convincimento prima dell’udienza: attraverso la lettura degli atti compiuti nella fase delle indagini preliminari e, quindi, senza il contraddittorio orale e, e cioè in una fase diversa separata da quella del giudizio.

 

 

I modelli differenziati del procedimento penale

In questa sede si dà un breve cenno ai riti, introdotti dal nuovo Codice di procedura penale per sfoltire il dibattimento da tutti quei processi, in cui per varie ragioni appare opportuna una trattazione più rapida.
La filosofia che accompagna tali procedimenti è quella di
eliminare alcune fasi del processo (udienza preliminare, dibattimento o entrambe), in modo tale da deflazionare il normale iter processuale.
Il procedimento che si svolge secondo il modello ordinario presenta notevoli costi di tempo o di mezzi. Tali costi si accentrano in particolare, nell'Udienza preliminare e nel dibattimento. E in particolare l'Udienza preliminare richiede un considerevole uso di risorse umane e di mezzi materiali ed è superflua nei casi di evidenza delle risultanze di prova acquisite durante le indagini.

  • Si pensi, ad esempio, al caso in cui, durante un'operazione di polizia nel mare territoriale, la motovedetta della Guardia Costiera, di concerto con la motovedetta dei Carabinieri, procede all'arresto dell'equipaggio di una unità da diporto per aver rinvenuto, a seguito di perquisizione, un grosso quantitativo di marjuana.

Proprio per tali motivi, il legislatore ha ritenuto di dover semplificare il meccanismo processuale tipico prevedendo che, in casi del genere, possa saltarsi l'Udienza preliminare e possa procedersi direttamente al dibattimento con le forme e le modalità del «giudizio direttissimo» o del «giudizio immediato».
Il giudizio direttissimo e il giudizio immediato rappresentano dunque i modelli differenziati (o alternativi o semplificativi) che, nell'attuale sistema processuale, si volgono a semplificare e ad accelerare l'ingresso al dibattimento evitando i costi dell'Udienza preliminare.

Altri procedimenti speciali si rivolgono, invece, a ottenere la definizione della vicenda processuale evitando il dibattimento e, quindi, in pratica, abbreviando in modo considerevole i tempi di durata del processo.
La celebrazione del dibattimento è inutile quando le parti sono disponibili a farne a meno e a preferire un giudizio fondato sulle carte già esistenti ovvero quando le parti sono addirittura d'accordo sulla pena che è congruo irrogare.
Da qui la determinazione del legislatore di prevedere che, in ipotesi del genere, il dibattimento venga saltato ricorrendo, rispettivamente, alle più agili procedure del «giudizio abbreviato» e della «
applicazione su richiesta o patteggiamento»: i due più importanti ed innovativi procedimenti alternativi che, nel sistema attuale, consentono di evitare il dibattimento.
In entrambi i casi, il legislatore ha ritenuto di dover prevedere che alla rinuncia al dibattimento da parte dell'imputato si accompagni un "premio" (riduzione della pena in caso di condanna) per la sua condotta collaborativa e la sua disponibilità a semplificare il meccanismo processuale e a consentire una definizione più rapida o anticipata.
E' evidente l'economia di tempo e di energie, che consentono di trattare meglio e più rapidamente i processi che richiedono, invece, la celebrazione del rito ordinario.
I procedimenti speciali del giudizio abbreviato e del patteggiamento possono innestarsi anche nel corso degli altri procedimenti speciali (giudizio direttissimo, giudizio immediato, decreto penale di condanna.
Alcuni di tali riti speciali richiedono il consenso delle parti, e comportano allora delle limitazioni alla facoltà di appello (così il giudizio abbreviato e la pena richiesta dalle parti, per la quale l'appello è addirittura escluso); altri invece sono posti in essere dalla volontà del solo P.M. (giudizio direttissimo e per decreto) ovvero del P.M. o dell'imputato (giudizio immediato).

 

 

 

Rito abbreviato

Il Giudizio Abbreviato (art. 438-443 c.p.p.) è un giudizio «pre-dibattimentale» (diretto ad evitare il dibattimento), del tipo premiale, che ha luogo di regola in Udienza camerale innazi al G.U.P. (Giudice dell’udienza preliminare): vale a dire un giudice singolo (monocratico) anche quando si tratta di decidere su reati che sarebbero di competenza di un giudice collegiale come il Tribunale e la Corte d'Assise.
Esso consiste in un accordo tra le parti (l'imputato che formula la richiesta ed il P.M. che vi acconsente) e nella valutazione del G.U.P. di poter decidere allo «stato degli atti delle indagini preliminari», che hanno qui piena valenza probatoria.
L'accordo verte sul rito e non sulla pena nel senso che esso mira soltanto ad evitare il dibattimento: (per questo motivo è denominato anche patteggiamento sul rito per distinguerlo dal patteggiamento vero e proprio).
Il giudizio abbraviato si svolge in camera di consiglio, senza l'interveno del pubblico, con la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore dell'imputato e con la possibilità di intervento della parte civile che abbia accettato il giudizio abbraviato.
Conseguentemente il giudizio abbreviato potrà concludersi con una "
sentenza di condanna" che con una "sentenza di proscioglimento".
L'imputato che sceglie questo rito ha
il vantaggio, in caso di condanna, di ottenere la riduzione della pena nella misura c.d. secca (fissa) di un terzo in modo che la pena irrogata è pari a due terzi (ad esempio, mesi due) rispetto a quella (ad esempio, tre mesi) che sarebbe altrimenti applicata.
La riduzione della pena determinata in concreto, e cioè anche dopo la valutazione di eventuali circostanze, rappresenta il “premio” offerto dal legislatore all'imputato che ha collaborato all'economia processuale.
Il rito è ammissibile anche per i delitti ipoteticamente punibili con l'ergastolo. In tal caso, alla pena dell'ergastolo, è sotituita quella di 30 anni di reclusione.

E' applicabile anche nel caso di processo a carico di minorenni (art. 25 D.P.R. n. 448/1988).
Poiché la finalità del giudizio abbreviato è quella di rendere pià rapida la definizione del processo, sono previsti del limiti alla appellabilità delle sentenze. I limiti valgono sia per il P.M. che per l'imputato.
Il P.M. non può appellare, in specie, le sentenze di condanna che non hanno modificato il titolo del reato. L'imputato, invece, non può appellare le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria ovvero le sentenze di proscioglimento.

  • Ad esempio, al piccolo di cucina che è imputato di tentato omicidio (art. 1150 Cod. Nav.). Il P.M. non può appellare nel caso in cui il marittimo è stato condannato per il reato contestato. Può invece appellare se il piccolo di cucina è stato assolto ovvero è stato condannato per il mero grave reato di lesioni (la qualificazione giuridica del fatto è stata modificata rispetto alla originaria contestazione). L'imputato a sua volta, non può appellare se è stato prosciolto e se, quindi, il suo unico intento è quello di ottenere una pronuncia di proscioglimento più favorevole (in luogo della formula «non doversi procedere per estinzione del reato», la formula, ad esempio, «per non aver commesso il fatto».

 

 

Applicazione della pena su richiesta

L'Applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) (art. 444-448 c.p.p.) consiste in un procedimento speciale «pre-dibattimentale» di tipo premiale.

Le sedi nelle quali può svolgersi il patteggiamento sono varie perché l'accordo può sorgere sia nella fase delle indagini preliminari sia nell'udienza preliminare, sia, ancora successivamente, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Esso può inserirsi durante lo svolgimento di altri procedimenti speciali.
A differenza del rito abbraviato, riservato alla volontà unilaterale dell'imputato, il patteggiamento
presuppone un accordo tra il P.M. e l'imputato non solo sul rito (come nel giudizio abbraviato), ma anche sul merito (sulla pena da irrogare) e cioé sia il giudizio sulla responsabilità che la determinazione della pena da applicare.
Il rito del pattaggiamento è privileggiato dal Codice perché arreca notevoli economie processuali e potenzialmente soddisfa anche le esigenze dell'accusa (la rinuncia dell'imputato a far valere la propria innocenza, una implicita ammissioine di colpevolezza ed accettazione della pena).
Al patteggiamento può farsi ricorso quando si tratta di reati sanzionabili con sanzioni sostitutive (art. 53 e ss. L. 689/81) ovvero con pena pecuniaria (multa o ammenda) o detentiva purché, in quest'ultimo caso, la pena determinata in concreto (e cioé valutate tutte le circostanze e la speciale diminunete «fino ad un terzo» prevista per l'imputato che sceglie questa procedura) non superi i 2 anni di reclusione o di arresto.
Compito del Giudice resta quello di verificare che la qualificazione giuridica del fatto (titolo del reato) e la valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti sia corretta, e se è congrua la pena proposta, senza necessità di un espresso accertamento della responsabilità del giudicabile.
La sentenza con la quale il Giudice applica la pena richiesta è generalmente inappellabile. Essa non ha la natura della sentenza di condanna (perché non contiene il pieno accertamento della responsabilità dell'imputato e quindi un giudizio di colpevolezza).
Il vantaggio più evidente che consegue al patteggiamento è rappresentato, oltre dalla possibilità per l'imputato di ottenere una riduzione fino a un terzo della pena (non supeiore ad un terzo), dal fatto che la sentenza con la quale il Giudice applica la pena richiesta non produce alcuni degli effetti negativi generalmente conseguenti alle sentenze di condanna.
Il patteggiamento taglia fuori la parte civile, che non può in alcun modo sindacare sull'accordo imputato-pubblico ministero e neppure chiedere la condanna al risarcimento del danno. Il Giudice può però riconoscere alla parte civile il diritto di ottenere dall'imputato il pagamento delle spese processuali. per il risarcimento dei danni, la parte offesa deve invece rivolgersi al giudice in sede civile.

 

 

Rito direttissimo

Il Giudizio direttissimo (art. 449-452 c.p.p.) è un riro speciale «dibattimentale», di tipo non premiale, azionabile unilateralmente e unicamente dal P.M.
Il rito (alla pari del giudizio immediato), salta l'udienza preliminare, con economia di tempo e di attività processuali, ed affluisce direttamente innanzi al Giudice dibattimentale.

  • La scelta di questo rito compete esclusivamente al P.M. ed è condizionata da particolari presupposti di evidenza della prova. I presupposti dono alternativamente:
  1. l'arresto in flagranza dell'imputato nonché, in caso di imputato minorenne, anche il suo accompagnamento a seguito di flagranza (artt. 18 bis e 25 comma 2 bis D.P.R. n. 448/1988);
  2. ovvero la confessione resa dalla persona nel corso dell'interrogatorio condotto dal P.M. (artt. 364-374, comma 2, 388 c.p.p.) o nel corso di quello che procede il G.I.P. (nel caso in cui il soggetto è sottoposto a misura cautelare o nel corso dell'udienza di convalida del fermo), ovvero dalla Polizia Giudiziaria su specifica delega del P.M. (art. 370, comma 1 c.p.p.).

Nei casi in cui è ammissibile il giudizio direttissimo, la presentazione dell'imputato da parte del P.M. al Giudice del dibattimento deve avvenire, se si tratta di persona arrestata in flagranza, entro 48 ore dall'arresto (se il P.M. vuole che si proceda alla convalida dell'arresto ed al contestuale giudizio) o entro 15 giorni dall'arresto in flagranza se questo è già stato convalidato autonomamente dal G.I.P.
Entrambe le ipotesi di giudizio direttissimo presuppongono che l'imputato non sia stato posto in libertà, ma che si trovi in stato di arresto o di custodia cautelare (misura coercitiva quest'ultima, adottata dal G.I.P. all'esito dell'autonoma udienza di convalida).

  • Nell'ipotesi in cui l'arrestato è fatto condurre davanti al Giudice del dibattimento per la convalida e il contestuale giudizio, puà accadere che:
  1. l'arresto non venga convalidato: può procedersi allora al giudizio direttissimo solo se l'imputato e il P.M. vi consentono (art. 449, comma 2 c.p.p.);
  2. l'arresto venga convalidato, ma non venga convertito in una misura coercitiva stabile (es. custodia cautelare ): può comunque procedersi a giudizio direttissimo.

Se si tratta di imputato che ha reso confessione, il P.M. presenta l'imputato (se detenuto) o lo cita a comparire (se in stato di libertà) a un'udienza non successiva al 15 giorno dalla iscrizione nel Registro delle notizie di reato (artt. 335 e 449, comma 5 c.p.p.).
In tutti i casi di giudizio direttissimo, l'imputato deve essere avvertito della facoltà di chiedere un termine per preparere la difesa non superiore a 10 giorni (art. 451, comma 6 c.p.p.) ovvero della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento della pena e, per le caratteristiche del giudizio direttissimo nelle ipotesi di sua trasformazione in abbreviato (art. 452 c.p.p.).

 

Giudizio Immediato

Il Giudizio immediato (art. 453 c.p.p.) costituisce una forma di rapida definizione del procedimento penale, consistente in un procedimento speciale, del tipo non premiale, attivabile unilateralmente dal P.M. e, ovviamente, in chiave difensiva, dall'imputato che, saltando l'Udienza preliminare, perviene direttamente al giudizio, previa verifica di ammissibilità effettuata dal G.I.P., che emette il decreto di citazione a giudizio.
Questo rito viene scelto quando le prove raccolte dall'accusa sono evidenti e non sono ancora trascorsi 90 giorni dalla data di ricezione della notizia criminis, anche quando questa sia a carico di ignoti, e non già dal momento in cui l'interessato ha assunto la qualità di indagato. A garanzia contro troppo facili richieste di giudizio è inoltre previsto che l'imputato debba essere previamente interrogato, in modo che possa far presenti eventuali circostanze a propria difesa.
Il giudizio immediato è quindi disposto dal G.I.P. con suo "decreto di citazione a giudizio", a seguito della richiesta di una delle parti interessate. Esso si caratterizza, quindi, per il salto dell'Udienza preliminare e, quindi per il passaggio «immediato» dalla fase delle indagini preliminari al giudizio dibattimentale.
Il decreto del G.I.P. che dispone il giudizio immediato deve contenere l'avviso che l'imputato può richiedere, in sua alternativa, i due riti premiali predibattimentali (il giudizio abbreviato e patteggiamento), tranne quando quel rito sia stato richiesto dallo stesso imputato
Il giudizio immediato non ha connotati di premialità (né riduzioni di pena, né altri benefici), nemmeno quando è richiesto dall'imputato, giacché non comporta, nella fase del dibattimento, alcuna economia processuale.
Il giudizio immediato non è contemplato nei procedimenti innanzi al Tribunale monocratico e al Giudice di pace. Innanzi al primo, il rito è in genere più agile e sollecito, sicché non è parsa necessaria l'ulteriore accelerazione del giudizio immediato. Innanzi al Giudice di pace manca sempre l'udienza preliminare, sicché ivi il processo previene sempre «immediatamente» al giudizio.
Il giudizio immediato differisce da quello "direttissimo", perché questo è attivato in termini temporali più ridotti, prevede solo due casistiche di ammissibilità (arresto e confessione) ed è azionabile solo dal P.M. e con atto emesso direttamente da costui e non già dal G.I.P.
Nel rito immediato il G.I.P. ha una funzione di verifica solo procedurale, che lo abilita a controllare la prova di reità, esclusivamente ai fini dell'impulso processuale, ma non di dichiarare la colpevolezza o l'innocenza. Il G.I.P. è investito unicamente del potere di accogliere o rigettare la richiesta di giudizio immediato.

 

Il Procedimento per decreto

Il Procedimento per decreto (art. 459-464 c.p.p.) può ritenersi l'ultimo dei procedimenti speciali, del tipo premiale, diretti ad evitare il «dibattimento». A dire il vero, esso evita anche l'udienza preliminare sicché ha una doppia portata di semplificazione del meccanismo processuale.
Esso può trovare applicazione nei casi in cui si procede per reati (anche di competenza del Tribunale) perseguibili di ufficio, per i quali è prevista una «pena pecuniaria» ovvero, alternativamente, una «pena detentiva», ma il P.M.
ritiene che debba applicarsi solo la prima.

  • Si pensi, ad esempio, al reato al reato previsto dall'art. 1144 cod. nav. (Appropriazione indebita di denaro preso in prestito dal comandate). Qui la pena detentiva e quella pecuniaria sono previste congiuntamente: sicché non può emettersi decreto penale; si pensi invece al reato di cui all'art. 1114 cod. nav. (rifiuto di servizio da parte di pilota) - Qui la pena detentiva è prevista solo in alternativa. Può emettersi decreto penale.

Se il P.M. ritiene che per il reato debba applicarsi "solo la pena pecuniaria", chiede al G.I.P. di pronunciare un «decreto penale» che condanni l'imputato alla pena indicata nella richiesta.
La "richiesta" del P.M. rappresenta il presupposto del decreto e deve essere formulata entro 6 mesi dalla data in cui il nome della persona cui è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato di cui all'art. 335 c.p.p.
Il P.M. ha facoltà di richiedere l'applicazione di una pena diminuita sino alla metà rispetto al minimo e ciò costituisce un indubbio vantaggio per l'imputato.
Avverso il decreto penale l'imputato può proporre "
opposizione" e chiedere, in alternativa, il giudizio dibattimentale, il giudizio abbreviato, il patteggiamento o l'oblazione.
Nel giudizio conseguente all'opposizione, il Giudice revoca il decreto di condanna e può applicare una pena anche diversa (ad esempio, detentiva e non pecuniaria) e più grave di quella fissata nel decreto.

 

 

La fase del giudizio

Il momento centrale del giudizio è costituito dal «dibattimento» che si svolge pubblicamente (artt. 471 e ss. c.p.p.) e del quale l'«istruzione dibattimentale» (artt. 496-515 c.p.p.) rappresenta il momento centrale.
Poiché il Giudice giunge al dibattimento senza avere preventiva conoscenza dei risultati delle indagini in precedenza svolte dal Pubblico Ministero e dalla Polizia Giudiziaria è questa la sede nella quale, con il rispetto del principio dell'oralità,
deve nascere la prova sulla quale l'Organo giurisdizionale dovrà fondare la propria decisione.
La formazione della prova avviene attraverso il meccanismo dell' «esame incrociato» (al quale, peraltro, l'imputato può essere sottoposto solo se vi consente o ne fa richiesta: art. 208 c.p.p.) delle parti, dei testimoni, periti e consulenti tecnici ad opera del Pubblico Ministero e dei difensori.

  • Secondo il principio generale fissato dall'art. 498 c.p.p. «...le domande sono rivolte direttamente da Pubblico Ministero o dal difensore che ha richiesto l'esame» (esame diretto) e, successivamente «...altre domande possono essere rivolte dalle parti che non hanno chiesto l'esame» (controesame).

Nel corso dell'esame, ma solo dopo che il soggetto che vi è sottoposto abbia già deposto su un fatto o una circostanza, il Pubblico Ministero o il difensore possono procedere alle opportune «contestazioni» servendosi delle dichiarazioni precedentemente rese dal soggetto e contenute nel fascicolo del Pubblico Ministero (artt. 433, 500, 503 c.p.p.).
E' tuttavia da tener presente che, in linea generale ed in base al principio secondo cui la «la prova deve formarsi oralmente» ed attraverso la dialettica partecipazione del Pubblico Ministero e del difensore, «la dichiarazione utilizzata per la contestazione anche se letta dalla parte, non può costituire prova dei fatti in essa affermati», ma «può essere valutata dal Giudice per stabilire la credibilità della persona esaminata» (artt. 500, commi 3 e 503, comma 4 c.p.p.).
Solo eccezionalmente talune dichiarazioni in precedenza rese, e dopo essere state utilizzate per le contestazioni, sono acquisite al fascicolo per il dibattimento diventando così «prove» che il Giudice può senz'altro utilizzare per la decisione.
Si tratta, per quanto riguarda la Polizia Giudiziaria, delle dichiarazioni assunte «...nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nella immediatezza dei fatti» (art. 500 comma 4 c.p.p.).

  • Ad esempio, le sommarie informazioni assunte dalle persone che possono riferire circa la dinamica di un sinistro della navigazione, nel luogo ove questo si è verificato e subito dopo che si è verificato.....

Dopo la «discussione finale», nella quale Pubblico Ministero e difensore formulano le rispettive conclusioni, il Giudice «delibera la sentenza» che potrà essere di condanna o di proscioglimento[1] e quest'ultima, a sua volta, di non doversi procedere (se l'azione penale non dovrà essere iniziata o non deve essere proseguita o se il reato è estinto) o di assoluzione.

► Accanto al modello ordinario descritto, il Codice di ritto prevede «procedimenti speciali» che tendono a ridurre i tempi del procedimento, evitando il dibattimento...

  1. giudizio abbreviato
  2. applicazione della pena su richiesta (patteggiamento)

► oppure l'udienza preliminare...

  1. giudizio direttissimo
  2. giudizio immediato
  3. procedimento per decreto

 


[1] Sempre a proposito della sentenza di proscioglimento va segnalata l'importante novità costituita dalla abolizione della formula di proscioglimento per insufficienza di prove e ciò in quanto le situazioni di dubbio vengono equiparate alla mancanza di prova.

 

La Giurisprudenza: definizione

Tutte le «sentenze» emesse dai "Tribunali" e dalle "Corti di appello" formano la «giurisprudenza» che si chiama "di merito". Tutte le sentenze emesse dalla "Corte di Cassazione" formano la «giurisprudenza» che si chiama di "legittimità".

Ogni sentenza (che può essere lunga decine di pagine) è poi riasunta in un "estratto" di poche righe che si chiama «massima».
Le massime della Cassazione sono naturalmente più autorevoli perchè provengono dall'Organo di vertice.
L'insieme della giurisprudenza non crea (e non potrebbe mai creare) nuove norme. Tuttavia appare di primaria importanza perchè essa indirizza e guida l'interpretazione e l'applicazione delle norme esistenti determinando orientamenti precisi ed a volte colmando di fatto inesattezze o lacune normative con la prassi appunto interpretativa.

 

 

Il procedimento davanti al Giudice di Pace: cenni

Il Giudice di Pace appartiene all'ordine giudiziario così come il magistrato ordinario ma, a differenza di questo, è un «magistrato onorario» a titolo temporaneo (laureato in Scienze giuridiche ovvero ex magistrato, ex avvocato, insegnante di materie giuridiche). Rimane in carica quattro anni e alla scadenza può essere confermato una sola volta per altri quattro anni. Al compimento del 75° anno il Giudice di Pace cessa dalle sue funzioni. Egli è tenuto ad osservare i doveri previsti per i magistrati ed è soggetto a responsabilità disciplinare.

Il Giudice di Pace dal 1º ottobre 2001 è anche un giudice penale (ma è entrato effettivamente in funzione il 1º gennaio 2002): il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, ha attribuito alla sua cognizione, una larga parte dei reati di lieve e di facile accertamento cc.dd. di microcriminalità, consistente in forme illegalità minori per gravità, ma molto diffuse nell’ambiente sociale e tra gli altri, alcuni reati di notevole diffusione, contro la persona, quali le percosse e le lesioni, l'omissione di soccorso; contro l'onore, quali l'ingiuria e la diffamazione; contro il patrimonio quali il danneggiamento e l'ingresso abusivo nel fondo altrui.

  • Tra le fattispecie delittuose previste dal Codice della Navigazione affidate alla tutela penale del Giudice di pace, rientrano:
  1. art. 1094 Cod. nav. (Inosservanza di ordini da parte di componente dell’equipaggio);
  2. art. 1095 Cod. nav. (Inosservanza dell’ordine di arresto);
  3. art. 1119 Cod. nav. (Componente dell’equipaggio che si addormenta).
  • I reati comuni più frequenti (accertati in ambito portuale e demaniale) di competenza del Giudice di Pace, sono:
  1. art. 590 c.p. (Lesioni colpose - in materia di lavoro marittimo e violazioni stradali);
  2. art. 635 c.p. (Danneggiamento - in ambito portuale).

Rilevasi peraltro come i reati di cui agli artt. 1096 e 1119 Cod. nav. sono piuttosto rari, e comunque di difficile accertamento da parte della Polizia Giudiziaria.
Si evidenzia inoltre come l’art. 1103 impone la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai titoli o dalla professione; tuttavia, poiché il G.d.P. non ha – ex art. 55 D.Lgs. 274 / 2000 - alcun potere di emettere pene diverse da quelle stabilite dal Decreto stesso, le pene accessorie suddette non appaiono più irrogabili.

► Attività di indagine ex art. 11 d.lgs. 274/2000

Con l’introduzione della figura del Giudice di Pace nell’ordinamento nazionale – e la estensione delle competenze esercitate dallo stesso anche in materia penale – si sono contestualmente ampliate le funzioni procedurali ed i compiti che la Polizia Giudiziaria deve esercitare per le fattispecie di reato ricadenti sotto la competenza del G.d.P., in ispecie – per quanto concerne le Capitanerie di Porto - per reati di lesione personale conseguenti agli infortuni marittimi e per quelli indicati agli articoli 1095, 1096 e 1119 Cod. nav.
Una modifica in senso restrittivo delle competenze penali del G.d.P. vi è stata recentemente in materia di «circolazione stradale», laddove molte violazioni penalmente sanzionate sono tornate nella competenza dell’ A.G. ordinaria, e sottratti, quindi, al G.d.P.
A quest’ultimo Organo giudiziario è rimasta la sola competenza per il reato di cui all’art. 590 c.p. (lesioni colpose lievi) - reato punibile a querela di parte la cui commissione – a seguito o in conseguenza di incidente stradale - costituisce, giusta comma 3° dello stesso articolo – specifica violazione di competenza del G.d.P. - mentre le lesioni gravi e gravissime restano di competenza del Tribunale.
Tale evento peraltro è la conseguenza più frequente sia in caso di incidente stradale anche di media gravità – e che comporta anche la contestuale adozione del provvedimento di sospensione della patente (provvedimento questo di competenza del Prefetto), sia per eventi occorsi in corso di navigazione, e segnatamente per le lesioni e gli infortuni commessi in violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. 271/99 in materia di sicurezza del lavoro marittimo e portuale.

In presenza di tali fattispecie di reato, infatti, la Polizia Giudiziaria è tenuta all’inoltro della specifica “Relazione” di indagini di cui all’art. 11 del D.Lgs. 274/2000, entro il termine di 4 mesi dall’accertamento del fatto.
Detta relazione deve contenere una "enunciazione del fatto illecito commesso con indicazione degli articoli di legge che si suppongono violati, e concludersi quindi con la richiesta al P.M. di chiedere la comparizione dell’indagato innanzi al Giudice di Pace, ovvero proporre l’emissione di un provvedimento di archiviazione per difetto di querela – qualora detto atto non sia stato prodotto dal danneggiato o dai suoi tutori o eredi entro 3 mesi dal fatto".
Si rileva come - in caso di presentazione di querela per lesioni a seguito di incidente stradale - la Circolare Ministeriale n° 300/2007 del Ministero dell’Interno prevede il contestuale «sequestro» del veicolo a mezzo del quale è stato commesso l’illecito stradale che ha causato le lesioni stesse.
Con la riforma operata dalla Legge 30.07.05, n° 155, invece, la Polizia Giudiziaria non ha più il potere-dovere di citazione diretta a giudizio dell’imputato – potere che è ritornato sotto l’egida del P.M – ferma restando la condizione di procedibilità di cui all’art. 120 c.p..

  • Il processo davanti al Giudice di pace ha luogo normalmente per iniziativa del Pubblico Ministero

Il Pubblico Ministero dopo aver disposto le necessarie investigazioni, se ravvisa elementi sufficienti per sottoporre a processo il soggetto indagato, richiede il suo rinvio a giudizio.
Anche la persona offesa, per i reati perseguibili a querela, può chiedere al giudice l'instaurazione del processo. In questi casi, l'offeso può presentare un "ricorso diretto" al Giudice di Pace, depositandolo nella segreteria del Pubblico Ministero, che provvede alla formalizzazione dell'addebito.
Il Giudice di Pace, se non ritiene il ricorso infondato o inammissibile, dispone la convocazione delle parti innanzi a sé.
Il processo penale innanzi al Giudice di Pace è caratterizzato dalla particolare attenzione a favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra imputato e persona offesa.
Il Giudice, sentita la persona offesa, può dichiarare «estinto il reato» se l'autore della violazione dimostra di aver provveduto alla riparazione del danno causato e di avere eliminato la situazione di pericolo eventualmente determinata.
È inoltre previsto che il Giudice di Pace possa astenersi dal procedere quando risulti, per l'esiguità dell'offesa e l'occasionalità del comportamento, la particolare "tenuità" del fatto (tenuto conto anche del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento arrecherebbe alle esigenze di lavoro, famiglia o salute dell'imputato), sempre che l'offeso non si opponga.

In caso di condanna il Giudice di Pace "non applica" pene detentive, ma "pene pecuniarie" oppure, nei casi più garvi, sanzioni "paradetentive":

  1. la pena della «permanenza domiciliare»
  2. la pena del «lavoro di pubblica utilità» (a richiesta del condannato).

L'imputato e la persona offesa sono difesi da un avvocato. Alle persone che non hanno i mezzi per far fronte alle spese di un procedimento penale è assicurato, anche davanti al Giudice di Pace, il gratuito patrocinio, cioè la difesa a carico dello Stato.

 

 

Ripartizione delle funzioni di polizia giudiziaria

Gli organi delle indagini preliminari sono il Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria. I due organi svolgono la loro attività in stretto e continuativo rapporto e gestiscono congiuntamente le indagini. Tutta l'attività di polizia giudiziaria ha, al pari di quella svolta dal P.M., il fine di consentire a quest'ultimo di assumere le sue determinazioni in ordine all'esercizio o meno dell'azione penale. (art. 326 c.p.p.). Si dirige cioè alla ricerca e acquisizione delle fonti di prova oltre che al compimento di un complesso di attività e accertamenti volti a permettere al P.M. di stabilire la fondatezza della notizia di reato e di decidere quindi sulla sussistenza o meno dei presupposti per dare inizio al processo penale.

► Nell'ambito di questa finalità, l'attività di indagine della polizia giudiziaria possono distinguersi in:

  1. Attività di informazione: che consiste nella acquisizione della notizia di reato e nella sua comunicazione al P.M. (art. 347 c.p.p.).
  2. Attività di investigazione: che consiste nella ricerca delle fonti di prova[1], e degli autori dei reati. L’attività di investigazione viene, naturalmente, svolta dopo che è stata acquisita la notizia di reato e può muoversi in varie direzioni, quali:
    - la ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato (art. 348 co. 2 lett. a);
    - la ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (art. 348 comma 2 lett. b);
  3. la raccolta di ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del suo autore (art. 348 comma 1 c.p.p.) e di ogni elemento utile (=quant’altro) possa servire per l’applicazione della legge penale .
  • Si pensi, ad esempio, alla raccolta di dati sulle condizioni di vita dell’indagato che potranno servire per determinare in concreto la pena da infliggergli in caso di condanna, ecc. 
  1. Attività di assicurazione: essa consiste nella acquisizione al procedimento dei risultati delle investigazioni nonché la conservazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché dello stato dei luoghi.
  • Si pensi, ad esempio, alla conservazione delle tracce e delle cose pertinenti al reato: art. 354 co. 1; al sequestro del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti: art. 354 comma 2; all’arresto in flagranza dell’autore del reato: artt. 380, 381 c.p.p.).
  1. Attività di natura preventiva: essa consiste nell’impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori (art. 55 comma 1 c.p.p.).

Tale attività riguarda sia le ipotesi in cui si interrompe un’attività criminosa nella fase del tentativo di impedire la consumazione del reato, sia le ipotesi in cui un reato è già stato consumato ma se ne vogliono impedire le ulteriori conseguenze offensive.

  • Si pensi, ad esempio, al sequestro di un manufatto , insistente sul demanio marittimo, che è in via di ristrutturazione malgrado l’assenza della concessione.
  • Si pensi, ad esempio, al personale addetto al servizio NOIP che blocca alcune persone che sono entrate in un magazzino ubicato sul porto per incendiarlo, prima che abbiano appiccato il fuoco ovvero spengere un incendio da altri provocato.
  1. Attività esecutiva: essa consiste nello svolgimento di compiti strettamente esecutivi finalizzati ad assicurare l’effettiva attuazione dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria.
  • Si pensi, ad esempio, agli adempimenti esecutivi in tema di ordinanze che dispongono misure cautelari personali, all’accompagnamento coattivo, alle notificazioni di atti del Giudice o del Pubblico Ministero.
  1. Attività strumentale: essa consiste nel compimento di atti finalizzati (e perciò in se stessi strumentali) a consentire ai protagonisti del procedimento penale di esercitare diritti e facoltà.
  • Si pensi, ad esempio, all’invito da parte della polizia giudiziaria al’indagato o al potenziale testimone a dichiarare o eleggere il domicilio (art. 161 c.p.p,) ovvero gli avvisi al difensore o ai familiari dell’arrestato o del fermato (artt. 97 e 387 c.p.p.).
  1. Attività disposta o delegata dall’Autorità Giudiziaria: essa consiste nelle attività formale o informale che la polizia giudiziaria è legittimata a compiere, su investitura (=direttiva) del Pubblico Ministero, dopo che questi ha assunto la direzione delle indagini. L’attività disposta o delegata è attività che il Pubblico Ministero avrebbe il potere di compiere direttamente e personalmente, ma di cui ritiene invece opportuno investire l’altro organo delle indagini: la Polizia Giudiziaria (longa manus del P.M.).
  • Esemplificando:

Il personale delle Capitanerie di Porto (facente parte di una Servizio ovvero Nucleo di polizia giudiziaria) riceve la notizia di reato di un prelevamento (=furto) di sabbia dal demanio marittimo (acquisizione di notizia di reato). Si porta su posto; pur senza cogliere in flagranza l’autore del fatto, accerta, dalle tracce di pneumatici lasciate sull’arenile, che il prelevamento della sabbia è stato commesso con un veicolo e assume le dichiarazioni di persone che sono a conoscenza dell’episodio le quali forniscono elementi utili (targa del veicolo, generalità, ecc.) all’individuazione dell’autore (attività di investigazione). Effettua una perquisizione nel domicilio di questi e vi rinviene una certa quantità di sabbia fine in parta impastata con del cemento e la sequestra (attività di investigazione seguita da attività di assicurazione). Della notizia di reato acquisita e dell’attività svolta, informa il P.M. (attività di informazione) continuando autonomamente le indagini fino a che il P.M. medesimo non assume la direzione delle indagini.

 


[1] Esistono varie categorie di prove. Una distinzione ricorrente si effettua tra:

  1. fonti di prova, ossia cose, documenti o persone da cui scaturisce la prova;
  2. mezzi di prova, strumenti attraverso i quali le fonti di prova producono la prova (attraverso i quali viene introdotto nel processo un elemento ritenuto rilevante ai fini della decisione). Rientrano tra questi, la testimonianza, il confronto, la ricognizione, esperimento giudiziale, la perizia, consulenza tecnica);
  3. mezzi di ricerca della prova, strumenti attraverso i quali, in via immediata, vengono acquisiti elementi dotati di valore probatorio. Rientrano, le ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni.

L'attività informativa della Polizia Giudiziaria: la notizia di reato

La Polizia Giudiziaria deve svolgere le proprie indagini sotto la direzione del Pubblico Ministero, ma può agire anche di propria iniziativa nei casi in cui ciò sia necessario.
Poiché è al P.M che compete la direzione delle indagini è evidente che egli deve essere tempestivamente informato delle «notizie di reato» acquisite dalla polizia giudiziaria.
Le indagini sono strumentali alle determinazioni inerenti all'esercizio o meno dell'azione penale (art. 326 c.p.p.), e, come, tali richiedono che il Pubblico Ministero o la Polizia Giudiziaria abbia ricevuto una notizia di reato (o come si suole dire la notizia criminis) "generica" o "specifica", a seconda che il reato sia stato commesso da una o più persone non identificate o identificate.
L'acquisizione di una notizia di reato, sia pur generica, da parte del Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria è indispensabile perché tali organi possano iniziare le indagini preliminari.

  • Nel momento in cui il Pubblico Ministero riceve la comunicazione, si concretano i seguenti effetti:
  1. il P.M. assume la direzione delle indagini (art. 327 c.p.p.);
  2. la P.G., compie gli atti ad essa specificamente delegati e tutte le attività di indagini, che, anche nell'ambito delle direttive impartite dal P.M., si palesano necessarie per accertare i reati ovvero sono richieste da elementi successivamente emersi;
  3. il P.M. iscrive immediatamente la notizia nell'apposito Registro (art. 335 e art. 109 att. c.p.p.), e da questa data decorrono i termini ordinari per le indagini preliminari (art. 405, il quale, peraltro, sposta ad un momento successivo la decorrenza quando manchi una condizione di procedibilità).
  • L'espressione «attività di informazione» ha quindi per oggetto una «notizia di reato» e presenta due distinti aspetti:
  1. quello dell’acquisizione della notizia di reato da parte della Polizia Giudiziaria (art. 330 c.p.p.);
  2. quello della comunicazione della notizia di reato dalla Polizia Giudiziaria al  Pubblico Ministero (art. 347 c.p.p.).

 

Acquisizione della notizia di reato

L’aspetto dell’acquisizione della Notizia di reato (=N.d.R) corrisponde al compito di informarsi (=prendere notizia dei reati) e non è esclusivo della Polizia Giudiziaria poiché anche il Pubblico Ministero può prendere notizia dei reati. La notizia di reato può essere “ricevuta” o “acquisita di iniziativa”.

Nel primo caso la Polizia Giudiziaria può pervenire a conoscenza di una notizia di reato "ricevendola" da altri attraverso atti tipici o qualificati, cioé espressamemte disciplinati dal Codice di rito a tale scopo: si parla, in tal caso, di «notizia nominata» =qualificata).

  • Ad esempio, una denuncia, un referto, una querela.

Nel secondo caso, l’acquisisce di iniziativa: ciò accade non solo quando la Polizia Giudiziaria constata direttamente il reato (ad esempio, coglie taluno mentre lo sta commettendo: flagranza di reato), ma anche quando perviene a conoscenza del reato attraverso vie che non sono quelle espressamente disciplinate dal Codice: si parla, allora, di notizia di reato «innominata» o atipica (=non qualificata), cioé non disciplinata dalla legge che si contrappone alle notizie di reato qualificate e proprio a causa della sua natura può assumere forme e contenuto vari

  • Ad esempio, comunicazioni anonime, delazioni confidenziali, notizie di stampa e di mezzi audiovisivi, atti relativi alla procedibilità dell'azione penale).

La N.d.R. non può considerarsi acquisita se si è ancora alla ricerca della informazione o si sta svolgendo un’attività di verifica o di controllo su una informazione generica; comme accade quando si sorveglia una determinata zona della costa perché in Capitaneria è giunta voce che colà si commerciano, in tempo di fermo biologico, clandestinamente prodotti ittici.
In questi casi, la Polizia Giudiziaria svolge un ruolo variamente attivo, poiché il veicolo e la fonte dell’informazione appresa non sono qualificati e quindi, a seconda della loro natura, esigono un complesso di verifiche e di indagini prima di assurgere a notizia di reato in senso tecnico.

La notizia di reato deve ritenersi acquisita quando si siano appresi gli elementi essenziali di un fatto costituente reato anche quando non se ne conosce l'autore.
 

Le Notizie di reato nominate e innominate

ll Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria non hanno solo il dovere di prendere notizia dei reati di propria iniziativa, ma anche quello di "ricevere" le notizie di reato a essi presentate o trasmesse. Gli articoli 331 - 334 disciplinano, nel titolo II del libro V, la «notizia di reato»:

  1. denuncia
  2. referto

Mentre nel titolo III, con gli articoli 336-344, sono regolate le «condizioni di procedibilità»:

  1. querela
  2. richiesta di procedimento
  3. istanza
  4. autorizzazione a procedere

Si tratta - a parte l'autorizzazione a procedere - di quelle che vengono tradizionalmente definite «fonti qualificate di notizie di reato» (c.d. nominate) in quanto espressamente previste e disciplinate dalla legge processuale.
La denuncia ed il referto hanno una semplice funzione informativa; la querela, la richiesta e l'autorizzazione a procedere condizionano, con riferimento ai reati per i quali sono previste, la procedibilità e cioé il compimento degli atti dell'indagine preliminare, costituendone un presupposto essenziale.
In tema di attività di informazione, si contrappongono alle notizie qualificate di reato, le «
notizie non qualificate di reato» (c.d. innominate).
Esse impongono alla Polizia Giudiziaria un ruolo variamente attivo che si sviluppa in una serie di verifiche e di investigazioni preventive finalizzate, tutte , a dare connotazioni di vera e propria notizia di reato a informazioni originariamente imprecise e sommarie o comunque inutilizzabili nel procedimento penale.

  • La categoria comprende sia fonti atipiche, sia fonti squalificate di reato:
  1. comunicazioni anonime
  2. delazioni confidenziali
  3. notizie di stampa e di mezzi audiovisivi in genere

 

Le fonti nominate di reato: la denuncia

E’ l’atto (la dichiarazione) con il quale il Pubblico Ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio o un privato, anche diverso dall’offeso dal reato, ovvero un Ufficiale di polizia giudiziaria, informa il Procuratore della Repubblica, o un Ufficiale di polizia giudiziaria (art. 357 c.p.), di un fatto che possa costituire reato perseguibile d’ufficio (artt. 331 – 333 c.p.p. e art. 1236 Cod.nav.).

  • Nel settore marittimo, si pensi ad esempio, all’ipotesi di denuncia di evento straordinario dal quale si possa evincere la violazione di norme penali.
  • La denuncia è  «obbligatoria» per il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, per i reati perseguibili di ufficio appresi in ragione del loro ufficio o servizio ed anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito (denuncia a carico di ignoti).

Il Pubblico Ufficiale non deve appartenere alla Polizia Giudiziaria: per quest’ultimo, infatti, l’obbligo di riferire la notizia di reato è disciplinato dall’art. 347 c.p.p.
Se la notizia è appresa fuori dell’esercizio e non a causa delle funzioni svolte, si applicano le norme sulla denuncia di privati (art. 333 c.p.). Essa non conferisce al soggetto nessuna potestà di esperire atti di polizia giudiziaria (ad esempio, identificazione, perquisizione, sequestro, arresto).

  • Si pensi, ad esempio, al caso di una ispezione sul suolo demaniale effettuata dal personale della Guardia Costiera (NODM) nel corso della quale siano rinvenuti residui pericolosi per la salute pubblica, ad esempio amianto.
  • L’obbligo di fare denuncia incombe sui militari operanti anche se organi di polizia giudiziaria. a c.d. “competenza limitata”.

La presentazione e trasmissione della denuncia (rigorosamente in forma scritta) deve essere fatta dal Pubblico Ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio direttamente al P.M. o a un Ufficiale di Polizia giudiziaria (e non anche ad un Agente di P.G.).
Non esiste un termine perentorio per la denuncia al P.M. o a un U.P.G. da parte del Pubblico Ufficiale: la sua presentazione o trasmissione va effettuata, pertanto, senza ritardo o comunque senza frapporre indugi ingiustificabili.
L’omissione o il ritardo nella presentazione della denuncia sono sanzionati dagli artt. 361, comma 1, 362 e 363 c.p.

  • Nel settore marittimo, tipica figura di Pubblico Ufficiale, ad esempio, è quella del comandante di nave mercantile, il quale nell’ambito delle proprie incombenze deve, fra l’altro, denunciare i reati commessi a bordo e quelli dei quali egli venga a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni. Nel caso di reati commessi nel corso della navigazione, il Comandante di nave assume la “qualifica” di U.P.G. con le conseguenti incombenze di legge (art. 1235, comma 2 Cod. nav.).
  • Ed ancora, ad esempio, la qualifica di incaricato di un servizio è ricoperta dal perito chimico del porto oppure dal personale svolgente attività integrativa antincendio, quando incaricati dall’A.M.

La denuncia da parte di Pubblici Ufficiali o incaricati di un pubblico servizio deve necessariamente contenere:

  1. gli elementi essenziali del fatto;
  2. il giorno dell’acquisizione della notizia, nonché le fonti di prova già note;
  3. se possibile le generalità, il domicilio e quanto altro valga all’identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, di coloro che erano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (art. 332 c.p.p.).
  • La denuncia è, di regola, un atto «facoltativo» per il privato, ma diviene obbligatoria (e la sua omissione comporta l’applicazione di sanzioni penali) per i cittadini che, ad esempio:
  1. abbiano avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge prevede  la pena dell’ergastolo (art. 364 c.p.);
  2. abbia notizia che nel luogo da lui abitato si trovano materie esplodenti (art. 679 c.p.) o rinvenga esplosivi di qualunque natura o venga a conoscenza di depositi o di rinvenimenti di esplosivi (art. 20 co. 6 L.18/4/1975, n. 110); - abbia subito il furto o sia incorso nello smarrimento di armi, parti di esse o esplosivi di qualunque natura (art. 20 comma 3 L.110/1975)[1];
  3. ometta o ritardi, essendone a conoscenza, di riferire fatti e circostanze concernenti un  sequestro (anche solo tentato) di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);
  4. abbia ricevuto denaro o acquistato o comunque ricevuto cose provenienti da un delitto senza conoscerne o sospettarne la provenienza (art. 709 c.p.); ecc.

Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.
Quando la denuncia è facoltativa non è previsto alcun termine per la sua presentazione mentre, nei casi di denuncia obbligatoria, apposite disposizioni stabiliscono il termine entro il quale essa deve essere fatta
La denuncia può essere presentata per iscritto e deve essere sottoscritta, oppure oralmente, ed in tal caso viene raccolta in un "processo verbale" dall’Autorità che la riceve.
La denuncia costituisce notizia criminis anche se non venga indicato l’autore del fatto.

  • A colui che la presenta va rilasciata “Attestazione”, che può essere apposta anche in calce alla copia dell’atto (art. 107 disp.att.).
  • Quando la denuncia è presentata a un Ufficiale di polizia giudiziaria, il Dirigente dell’Ufficio[2] (o persona da lui delegata) da cui questi dipende deve inoltrarla al Pubblico Ministero entro i consueti termini previsti dall’art. 347 c.p.p. e unitamente agli atti di indagine eventualmente compiuti.

Per la denuncia da parte dei privati non è previsto un contenuto formale tipico e il denunciante può limitarsi alla semplice esposizione del fatto.

 

 


[1] Chiunque rinvenga un’arma o parte di essa è tenuto ad effettuarne immediatamente il deposito presso l’Autorità locale di Pubblica Sicurezza o, in mancanza, al più vicino comando dei carabinieri (art. 20 co. 5 L.110/1975)
[2] Art. 59, n. 2 c.p.p. (Subordinazione della polizia giudiziaria) - L’Ufficiale preposto ai servizi di polizia giudiziaria (NODM, NOIP e NOE) è responsabile verso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dove ha sede il servizio dell’attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente

 

Ricezione di denuncia scritta: modus operandi

  • L’Ufficiale di polizia giudiziaria deve verificare (art. 333 c.p.p.):
  1. che la denuncia sia firmata dal denunciante (art. 333, 2° comma c.p.p.);
  2. redigere Verbale di ricezione possibilmente in calce alla denuncia stessa (art. 134-137);
  3. identificare compiutamente il denunciante (generalità, domicilio e quant’altro valga alla sua identificazione) (art. 332);
  4. fare confermare la denuncia scritta (art. 333);
  5. richiedere eventuali chiarimenti utili alle indagini (indicazioni sui presunti autori del fatto, su ogni elemento utile alla loro identificazione: connotati, contrassegni, età, accento, indumenti indossati, eventuale mezzo di trasporto usato, (numero di targa, tipo, colore), mezzo nautico (sigla di individuazione, tipo, colore) ecc., sulle modalità di esecuzione del fatto, indicazioni sulle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti);
  6. sequestrare eventuali corpi di reato o cose pertinenti al reato recuperati sul luogo del fatto e consegnati dal denunciante (ad esempio, materie esplodenti o tossiche usate nell’esercizio della pesca);
  7. a richiesta, rilasciare “attestazione di resa denuncia” che può essere apposta in calce alla copia dell’atto (art. 107 D.lgs. 271/89);
  8. avviare immediatamente le indagini per la ricostruzione del fatto e per l’individuazione degli autori a norma dell’art. 348 c.p.p.;
  9. informare il Pubblico Ministero competente nei termini previsti dall’art. 347 c.p.p (a seconda dei casi: immediatamente anche in forma orale, entro 48 ore, senza ritardo);
  10. effettuare inserimento dati CED-SDI (art. 8 Legge n. 121/81);
  • Documentazione dell’atto:
  1. il Verbale deve essere redatto in triplice copia; una copia, se richiesta, deve essere rilasciata al denunciante quale attestazione; l’attestazione può essere rilasciata a parte;
  2. il Verbale deve essere trasmesso immediatamente anche in forma orale (casi urgenti e delitti indicati all’art. 407 comma 2 lett. a), numeri da 1 a 6 c.p.p.); al più tardi entro le 48 ore, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari (ad esempio, perquisizione di edifici – 12 ore), se sono stati compiuti atti a cui il difensore ha diritto di assistere (accertamenti urgenti, perquisizioni, sequestri); senza ritardo negli altri casi (art. 347 c.p.p.);
  3. la denuncia deve essere allegata alla «informativa».

 

 


 

Attestazione di resa denuncia

Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti

CAPITANERIA DI PORTO GUARDIA COSTIERA
______________________


Oggetto: Attestazione di ricezione o presentazione di denuncia (art. 107/D.lgs. 271/89).

 


Il giorno ___________________ alle ore ______________ il sottoscritto Ufficiale di P.G. attesta che il Sig. ______________________________ nato a _______________________ il ____________ residente in via _________________ tel. _________________ ha sporto/ha presentato in questi Uffici denuncia relativa a ____________________________________ avvenuto/a ________________________________ in _________________ il __________________.

 

Si rilascia a richiesta dell’interessato per gli usi consentiti dalla legge[1].


 

Firma dell’Ufficiale di P.G.
_____________________


 

  • (Da apporre in calce all’atto della denuncia)

 

 


[1]  E’ opportuno limitarsi al rilascio della semplice attestazione allorché la copia del verbale di denuncia contenga notizie che devono rimanere segrete.

Attestazione di resa denuncia orale: modus operandi

  • L’Ufficiale di polizia giudiziaria deve verificare (art.333 c.p.p.):
  1. che si tratti di fatto penalmente rilevante perseguibile d’ufficio; nel dubbio, fra perseguibilità d’ufficio o a querela, fare manifestare la volontà di querela (denuncia-querela);
  2. farsi descrivere il fatto in forma chiara con l’indicazione precisa delle modalità di esecuzione, dei mezzi usati e delle circostanze del fatto stesso (art. 332);
  3. richiedere le generalità dell’autore del fatto o, se non conosciute, ogni elemento utile alla sua identificazione (connotati, contrassegni, età, accento, indumenti indossati; descrivere eventuale mezzo di trasporto usato (numero di targa, tipo, colore, ecc., mezzo nautico (eventuale sigla di individuazione, tipo, colore), ecc.;
  4. richiedere le generalità della persona offesa se diversa dal denunciante;
  5. richiedere le generalità o indicazioni utili alla identificazione delle persone informate sui fatti ai fini di poterle sentire a sommarie informazioni (s.i.t.);
  6. sequestrare eventuali corpi di reato o cose pertinenti al reato eventualmente esibiti dal denunciante;
  7. rilasciare, a richiesta, “attestazione di resa denuncia” 107 D.lgs. 271/89);
  8. avviare immediatamente le indagini a norma dell’art. 348 c.p.p.;
  9. effettuare inserimento dati CED-SDI (art. 8 Legge n. 121/81).
  • Documentazione dell’atto:
  1. il Verbale deve essere redatto in triplice copia; una copia, se richiesta, deve essere rilasciata al denunciante quale attestazione; se l’atto contiene notizie che devono rimanere segrete, è opportuno limitarsi a rilasciare attestazione di resa denuncia;
  2. il Verbale deve essere trasmesso immediatamente anche in forma orale (casi urgenti e delitti indicati all’art. 407 comma 2 lett. a), numeri da 1 a 6 c.p.p.); al più tardi entro le 48 ore, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari (ad esempio, perquisizione di edifici – 12 ore), se sono stati compiuti atti a cui il difensore ha diritto di assistere
    (accertamenti urgenti, perquisizioni, sequestri);
    senza ritardo negli altri casi (art. 347 c.p.p.);
  3. la denuncia deve essere allegata alla «informativa».

 

Le fonti nominate di reato: il Referto

E’ la dichiarazione con cui l’esercente una professione sanitaria (art. 99 R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, T.U. delle Leggi sanitarie) porta la commissione di un reato perseguibile d'ufficio, del quale abbia avuto notizia in occasione della prestazione della sua opera, a conoscenza del Pubblico Ministero o della Polizia Giudiziaria
Come la denuncia dei soggetti pubblici, il referto deve presentare forma scritta ed è obbligatorio per coloro che abbiano prestato assistenza (o opera) in casi che possono configurare un delitto perseguibile di ufficio (art. 334 c.p.p.) e può essere redatto anche "cumulativamente" da più sanitari e per più assistiti (referto cumulativo).
Il referto può essere, a scelta, presentato dall’obbligato al Procuratore della Repubblica, oppure ad un Ufficiale di P.G. del luogo dell’intervento o a quello più vicino alla propria sede.
In ordine al termine, l’obbligo deve essere adempiuto
entro 48 ore dalla prestazione professionale ovvero immediatamente quando vi sia pericolo nel ritardo (come accade quando il paziente corre pericolo di vita) al Pubblico Ministero o ad un Ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui l'assistenza è stata prestata o, in mancanza, all'Ufficiale di polizia giudiziaria più vicino (art. 334 c.p.p.).

  • Se il referto è presentato alla Polizia Giudiziaria, esso va trasmesso al P.M. entro i consueti termini previsti dall’art. 347 c.p.p. e unitamente agli atti di indagine eventualmente compiuti.

L’omissione del referto da parte di chi vi è obbligato configura la fattispecie delittuosa di cui all’art. 365 c.p..
La presentazione del referto è un obbligo penalmente sanzionato per gli esercenti una professione sanitaria, salvo il caso in cui il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (art. 365 comma 2 c.p.). In tal caso, sull’esigenza dell’azione penale prevale il diritto dell’assistito (qui in re illicita versatur) alla cura della propria salute. In questa ipotesi è lecito opporre il segreto professionale sanitario[1] e gli esercenti la professione sanitaria hanno non l'obbligo, ma la facoltà di presentare referto.

  • Caso tipico di esonero dall’obbligo di referto e, ad esempio, quello del medico cui si presenta una persona che ha riportato lesioni in una rissa in porto o che è stata ferita dalle Forze di Polizia durante gravi disordini in ambito portuale.

L’obbligo del referto non sussiste per i reati punibili a querela e in particolare per il delitto di «lesioni colpose» (art. 590 c.p.), salvo che non si tratti di lesioni gravi o gravissime o di malattie professionali, i cui termini di guarigione superano i 40 giorni, conseguenti a fatti commessi con violazione delle norme per la “prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro”. Secondo alcuni, l’esonero dall’obbligo di referto non opera per i medici che non sono liberi professionisti o privati, ma che esercitano una pubblica funzione o sono incaricati di un pubblico servizio (medici ospedalieri, medici degli istituti penitenziari, medici convenzionati con enti pubblici, medici delle strutture pubbliche in genere). Per costoro vige sempre l’obbligo di denuncia previsto dall’art. 361 e 362 c.p. per i pubblici Ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio.

  • Si consideri, ad esempio, l’ipotesi del medico fiduciario dell’ IPSEMA che, intervenuto a bordo di una nave per prestare soccorso ad un membro dell’equipaggio in fin di vita coinvolto in un presunto incidente sul lavoro, rilevi la presenza di ferite procurate da arma da taglio sul corpo dell’assistito.

► Il referto deve indicare:

  1. la persona alla quale è stata prestata assistenza;
  2. se possibile le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quant’altro valga a identificarla;
  3. luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento;
  4. notizie che possono servire a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o potrebbe causare. 

 


[1] Secondo la dottrina minoritaria, l’esonero dall’obbligo di referto non opera per i medici che non sono liberi professionisti o privati, ma che esercitano una pubblica funzione o sono incaricati di un servizio pubblico (come ad esempio, medici ospedalieri, medici degli istituti penitenziari, medici convenzionati con enti pubblici, medici delle strutture pubbliche in genere). Per costoro vige sempre l’obbligo di denuncia previsto dall’art. 361 e 362 c.p. per i pubblici Ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio.
 

Le fonti innominate di reato

La categoria delle «notizie innominate» di reato (atipiche o non qualificate), cioè non disciplinate dalla legge, è costituita dagli atti o fatti più vari, quali ad esempio:

  1. Comunicazioni anonime: quelle che provengono da persone non identificate o non identificabili. La loro forma usuale è lo scritto non firmato o con sottoscrizione apocrifa, di cui non si riesca a stabilirne la paternità. Possono consistere anche in comunicazioni telefoniche o su supporto magnetico o di altro tipo, tutte di autore ignoto;
  2. Delazioni confidenziali: quelle che provengono da persone ben note alla polizia giudiziaria i c.d. confidenti di polizia che si limitano a dare la informativa in forma segreta, con l’accordo di non essere chiamati a rendere ufficialmente dichiarazioni, né nella fase delle indagini, né in quella del processo. Gli scritti anonimi e le dichiarazioni segnalate al P.M. non affluiscono tra gli atti del procedimento penale (art. 433) ma sono annotati nel c.d. Registro degli anonimi per essere distrutti dopo il decorso di 5 anni (art. 5 D.M. 30.9.1989, n. 334).
  • Ad esempio, l’Ufficiale di polizia giudiziaria che riceve la «confidenza» è tenuto ad informare il P.M. solo se l’informazione contiene tutti i parametri di riconoscibilità della notizia di reato (l’obbligo di informativa, perciò, non scatta se il «confidente» dice genericamente che sul demanio marittimo, in località Cugnana Verde, alcuni individui estraggono e asportano quotidianamente arena o ghiaia dalla battigia (art. 51 e 1162 cod. nav.); non scatta neppure se il «confidente» sostiene di aver sentito dire che alcuni signori a nome Sergio ed Emanuele estraggono e asportano quotidianamente arena dalla battigia in località Cugnana Verde; scatta invece se il «confidente» sostiene che un soggetto, del quale fornisce dati identificativi, gli ha proposto di acquistare un certo quantitativo di sabbia estratta e asportata dal demanio marittimo affermando inoltre che poteva fargliene consegna il giorno dopo presso la sua abitazione.

Quando riferisce al P.M. la notizia confidenziale, la Polizia Giudiziaria può omettere il nominativo della fonte.

  1. Notizie di stampa e di mezzi audiovisivi in genere (c.d. mass media): questi nell’assolvimento del loro compito informativo, in favore della pubblica opinione, possono rendere noti fati costituenti reato. In tal caso gli organi di P.G. pur non essendo i naturali destinatari della c.d. informazione di massa, acquisiscono di propria iniziativa la notizia di reato.
  • Riepilogando:

Rientrano nella categoria delle notizie di reato non qualificate, ad esempio, le segnalazioni informali (o di natura atipica) quali le segnalazioni via radio provenienti da unità di superficie o velivolo relativa alla presenza in mare di sostanze inquinanti; esposti anonimi corredati di documenti fotografici relativi ad opere abusive insistenti sul suolo demaniale marittimo; reclami di marittimi attinenti condizioni di bordo pregiudizievoli per la sicurezza della navigazione oppure per la salvaguardia della vita umana in mare, solitamente manifestati per vie brevi e, il più delle volte, in occasione del frenetico disbrigo delle pratiche di sbarco del marittimo interessato.

 

Predisposizione del Registro delle N.d.R.

Al fine di rendere più agevole la ricostruzione delle modalità di accertamento e degli adempimenti svolti in occasione di fatti penalmente rilevanti e dei contatti intercorsi con la competente Autorità Giudiziaria, è consigliata la predisposizione, presso gli Uffici marittimi, di un “Registro delle notizie di reato” cronologico ed alfabetico, nel quale dovranno essere annotati i seguenti dati: 

  1. numero progressivo di registrazione;
  2. ora, giorno, mese ed anno in cui la polizia giudiziaria ha ricevuto o acquisito la notizia di reato;
  3. generalità dell’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria che ha ricevuto o acquisito la notizia di reato;
  4. generalità dell’eventuale persona offesa dal reato;
  5. ora, giorno, mese ed anno in cui è stata inoltrata la comunicazione della notizia di reato;
  6. ora, giorno, mese ed anno in cui sono state impartite eventuali disposizioni da parte del Pubblico Ministero;
  7. sintetica indicazione delle disposizioni impartite dal Pubblico Ministero;
  8. generalità dell’indagato;
  9. generalità del militare operante/Ufficiale di polizia giudiziaria delegato alle indagini;
  10. numero di presa a carico del R.G.N.R. /Mod. 21;
  11. eventuali note aggiuntive.

Le condizioni di procedibilità

Di regola il Pubblico Ministero esercita l'azione penale d'ufficio, non appena abbia acquisito, in ordine al reato oggetto di notizia, elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio.

Peraltro in alcuni casi eccezionali l'esercizio dell'azione penale è subordinato all'integrazione di una cosiddetta «condizione di procedibilità», cioè di un atto o un fatto in mancanza del quale, anche se la notizia di reato appare fondata,  il Pubblico Ministero non può esercitare l'azione penale e neppure iniziare le indagini.

Il Codice di rito disciplina quattro «condizioni di procedibilità»:

  1. querela (artt. 336-340 c.p.p.);
  2. istanza di procedimento (art. 341 c.p.p.);
  3. richiesta di procedimento (art. 342 c.p.p.);
  4. autorizzazione a procedere (artt. 343 e 344 c.p.p.).

Istituto della Querela

Normalmente l’azione penale è esercitata dall’ufficio del Pubblico Ministero; vi sono, però, taluni casi in cui la legge subordina l’esercizio dell’azione penale alla manifestazione di volontà della persona offesa o di altro soggetto.

Tali manifestazioni di volontà, in quanto condizionanti l’azione penale, prendono il nome di «condizioni di procedibilità» di procedibilità.

In particolare, la «querela» (art. 336 e segg. c.p.p.) è la dichiarazione facoltativa, raccolta in un atto o resa oralmente, con la quale la persona offesa da un reato, la cui perseguibilità la legge appunto subordina a querela, o un altro soggetto agente nell'interesse di costei ex artt. 120 e 121 c.p.p. (es. legale rappresentante) manifesta la volontà che il Pubblico Ministero proceda in ordine al reato stesso.
La «richiesta di punizione» assume rilevanza nei soli casi in cui la legge penale subordina la punibilità del reato alla volontà dell’offeso (reati procedibili a querela).

  • Valgono per tutti, quali esempi, talune fattispecie previste dall’art. 1151 cod. nav. (percosse o lesioni colpose) e dall’art. 24 comma 3 della Legge n. 963/65 (come sostituito dall’art. 6 L. 381/1988) in materia di sottrazione o asportazione, senza il consenso dell’avente diritto, di organismi acquatici oggetto dell’altrui pesca ovvero esercizio della pesca con reti a traino nelle zone site a distanza inferiore a 300 mt. da segnali di posizione di attrezzi preesistenti.
  • Ad esempio, nell’ipotesi di lesioni riportate da un membro dell’equipaggio a seguito di disordini a bordo, la polizia giudiziaria intervenuta non è tenuta ad informare il P.M., salvo il caso in cui la persona offesa ha presentato querela oppure sia stata comunque svolta attività di investigazione.

La legge esige una siffatta condizione di procedibilità talora in considerazione della tenuità del reato, la quale induce il legislatore a ritenere che la repressione penale debba attivarsi per esso solo se la persona offesa lo richiede, tal'altra, ad esempio quando si tratti di reati contro l'onore o contro la libertà sessuale, per consentire all'offeso di decidere se al pregiudizio arrecatogli dal reato convenga aggiungere quello che potrebbe derivargli dallo strepitus fori, cioè dalla risonanza data al reato stesso dal processo.
In ordine alle formalità di presentazione, la dichiarazione di querela può essere proposta «per iscritto» (in carta non bollata, purché con firma autenticata a norma dell'art. 39 disp. att. c.p.p., quindi eventualmente dal difensore nominato nell'atto stesso oppure spedita per raccomandata) o anche «oralmente» alla Polizia Giudiziaria[1] o anche al Pubblico Ministero.
L'Autorità che riceve la querela "attesta" la data e il luogo della ricezione, identifica la persona che la presenta (e che, se la presentazione è orale, deve sottoscrivere il Verbale di ricezione), e trasmette il tutto al Pubblico Ministero (art. 337 c.p.p.).
Per esigenza di certezza in ordine alla provenienza dell’atto, va sempre identificato dal Pubblico Ufficiale il soggetto che propone, rinuncia, rimette o accetta la remissione di querela. Il soggetto legittimato a proporla è la persona offesa o legale rappresentante dell’ente o associazione. Se la persona offesa è un minore degli anni 14 o inferma di mente, la querela è presentata dall’esercente la potestà dei genitori, dal tutore ovvero da un curatore speciale all’uopo nominato dal Giudice su richiesta del P.M. (art.121 c.p. e 338)
In ordine al termine, il diritto di querela va proposto, entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato[2], altrimenti è priva di effetti.
Il termine è di 6 mesi quando si tratta di «delitti contro la libertà sessuale»[3] (violenza sessuale) o «atti sessuali con minorenne».

► Il diritto di querela si estingue per:

     -   decadenza per decorso del termine;
     -  
morte dell’offeso;
     -   remissione.

In quanto disponibile, la querela può essere «rimessa» dopo la sua presentazione (art. 380) ovvero essere oggetto di rinuncia prima della sua presentazione (art. 339).
Nel caso di reati perseguibili a querela di parte, in mancanza della querela, che può sopravvenire (entro tre mesi), possono essere compiuti solo atti di indagine preliminari necessari per assicurare le fonti di prova (art. 346 c.p.p.).
La «remissione» è la dichiarazione (scritta o orale) con la quale la persona offesa dal reato (= querelante) o chi la rappresenta propone la revoca della querela precedentemente proposta. Per essere efficace (e produrre la estinzione del reato), la remissione deve essere «accettata dal querelato». Poiché la persona querelata (= autore del reato) ha interesse, se innocente, a dimostrare, attraverso il processo, la sua completa estraneità al fatto-reato che le è stato addebitato nella querela, la remissione di questa non produce effetto se il querelato la ha «tacitamente od espressamente ricusata»: vale a dire se alla remissione non è seguita la sua accettazione.
Le spese del procedimento sono a carico al querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (art. 13 Legge 25.6.1999, n. 205)

  • La remissione non è consentita per i "delitti contro la libertà sessuale". In tale ipotesi, quindi la querela, una volta proposta, non può essere più revocata.

Anche per la querela non è richiesta l’adozione di alcuna formula sacramentale purché in essa risulti con sufficienza chiarezza la volontà del querelante.

► La querela, pertanto, deve indicare:

  1. indicazione del fatto-reato;
  2. notizie che possono servire a individuare il suo autore;
  3. fonti di prova;
  4. manifestazione non equivoca di volontà del querelante affinché si proceda in ordine al fatto-reato medesimo e se ne punisca il suo autore.

Diversa dalla remissione di querela è la «rinuncia preventiva a proporre querela». Questa può essere espressa (art. 339 c.p.p) o tacita (art. 124 c.p.) e comporta in radice la estinzione del diritto di proporla successivamente, ma la rinuncia non comporta l'estinzione del diritto di risarcimento dei danni.
La rinuncia espressa a proporre la querela può essere fatta personalmente o a mezzo di procuratore speciale con dichiarazione scritta rilasciata all'interessato a ad un suo rappresentante oppure con dichiarazione orale verbalizzata da un Ufficiale di polizia giudiziaria o da un notaio e "sottoscritta dal dichiarante". La rinuncia è inefficace se è priva di questa sottoscrizione. Essa può essere accompagnata dalla rinuncia all'azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno (art. 339 c.p.p.).

 


[1] Eccezionalmente, in caso di flagranza di delitto che impone o consente l’arresto (artt. 380 co. 3 e 381 co. 3), la querela può essere proposta (anche con dichiarazione orale) a un Agente di P.G. (anziché a un Pubblico Ufficiale) presente nel luogo. Della dichiarazione di querela va dato atto nel verbale di arresto.
[2] Costante è l’affermazione per cui per notizia del fatto che costituisce reato, ai fini della decorrenza del termine per proporre querela, deve intendersi la piena conoscenza di tutti gli elementi indispensabili per la valutazione dell’esistenza del reato, cioè la notizia completa, diretta, precisa e certa del reato stesso; pertanto uno stato soggettivo di sospetto e di dubbio in ordine alla sussistenza del reato non è sufficiente per far decorrere i termini per la presentazione della querela (Cass. 30.10.1982)
[3] Non di gruppo poiché, per questa, si procede d’ufficio

 

Ricezione di querela scritta: modus operandi

  • L’Ufficiale di polizia giudiziaria deve:
  1. accertarsi che nell’esposizione del fatto vi sia la manifestazione di volontà di perseguire l’autore; in mancanza la volontà può essere espressa nella «ratifica»;
  2. redigere Verbale di ricezione o ratifica possibilmente in calce alla querela stessa (art. 337, comma 4 c.p.p.);
  3. identificare compiutamente il querelante (generalità, domicilio e quant’altro valga alla sua identificazione) o il legale rappresentante facendogli confermare quanto precedentemente esposto (art. 337, comma 4 c.p.p.);
  4. richiedere eventuali chiarimenti utili alle indagini (ad esempio, generalità o indicazioni sulle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti);
  5. se la querela viene proposta dal procuratore speciale, accertarsi che la procura sia conforme a quanto stabilito dall’art. 122 c.p.p.. La procura deve essere menzionata nel verbale e unita all’atto di querela.
  • Documentazione dell’atto:
  1. il Verbale deve essere redatto in triplice copia; una copia, se richiesta, deve essere rilasciata al querelante quale attestazione; l’attestazione può essere rilasciata a parte;
  2. il Verbale deve essere trasmesso immediatamente anche in forma orale se sussistono motivi d’urgenza (es. violenza sessuale); al più tardi entro le 48 ore, se sono stati compiuti atti a cui il difensore ha diritto di assistere; senza ritardo negli atri casi;
  3. il Verbale di querela deve essere allegato alla «informativa».

 

 

Attestazione di ricezione di querela

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO GUARDIA COSTIERA
______________________


Oggetto:
Attestazione di ricezione di querela (art. 107/D.lgs. 271/89).


L’anno ______ il giorno ___________ del mese di ____________ alle ore _______ il sottoscritto Ufficiale di PG attesta che il Sig. ____________________ codice fiscale _________________ identificato con documento di identità n. ___________ (estremi) (oppure: qualora venga rilasciata attestazione separata, dire Sig. __________________ (generalità complete) in data odierna ha proposto formale querela per il reato di _________________ contro ____________________________ (cognome e nome del querelato).

Si rilascia a richiesta dell’interessato per gli usi consentiti dalla legge [1]


Firma dell’Ufficiale di P.G.
_____________________

 

 

(Da apporre in calce all’atto di querela)


 


[1] E’ opportuno limitarsi al rilascio della semplice attestazione allorché la copia del verbale di querela contenga notizie che devono rimanere segrete.


 

 

Ricezione di querela orale: modus operandi

  • L’Ufficiale di polizia giudiziaria deve:
  1. verificare che si tratti di fatto penalmente rilevante perseguibile a querela; in caso di perseguibilità d’ufficio, la querela a valore di denuncia (art. 333 c.p.p.);
  2. farsi fornire dal querelante una descrizione chiara del fatto con l’indicazione precisa delle modalità di esecuzione e delle circostanze, e di eventuali fonti di prova (documenti, riproduzioni, fotografiche, ecc.);
  3. richiedere la data in cui il fatto si è verificato o il querelante ne è venuto a conoscenza e il luogo della consumazione ai fini della decadenza del diritto di querela e della competenza per territorio (art. 8 c.p.p.);
  4. se si tratta di delitti punibili con la pena pecuniaria, anche se in sostituzione di pena detentiva, il querelante, nell’atto di querela, può dichiarare di opporsi all’eventuale emissione del decreto penale di condanna nei riguardi del querelato (art. 459, sostituito dall’art. 37 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 – c.d. Legge Carotti);
  5. richiedere le generalità della persona offesa, se diversa dal querelante (ad esempio, minore, interdetto);
  6. richiedere le generalità dell’autore del fatto o, se sconosciuto, ogni elemento utile alla sua identificazione (connotati, contrassegni, età, accento, indumenti indossati;
  7. descrivere eventuale mezzo di trasporto usato (numero di targa, tipo, colore), mezzo nautico (sigla di individuazione, tipo, colore), ecc.; se la querela viene proposta dal procuratore speciale, accertarsi che la procura sia conforme a quanto stabilito dall’art. 122 c.p.p.. La Procura deve essere menzionata nel verbale e unita all’atto di querela;
  8. richiedere le generalità o indicazioni utili alla identificazione delle persone informate sui fatti o presenti al fatto ai fini di poterle sentire a sommarie informazioni (s.i.t.);
  9. sequestrare eventuali corpi di reato o cose pertinenti al reato eventualmente esibiti dal querelante;
    h) avviare immediatamente le indagini a norma dell’art. 348 c.p.p.;
    i) ricordarsi che, in flagranza di alcuni reati perseguibili a querela, l’arresto può essere obbligatorio o facoltativo – artt. 380.381 comma 3° c.p.p.; in tal caso la querela può essere proposta anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di PG presente sul luogo;
  10. informare il Pubblico Ministero presso il Giudice competente nei termini previsti dall’art. 347 c.p.p.;
  11. effettuare inserimento dati CED-SDI (art. 8 Legge n. 121/81);
  12. rilasciare, a richiesta, “attestazione di resa querela” ex 107 D.lgs. 271/89
  • Documentazione dell’atto:
  1. il verbale deve essere redatto in triplice copia; una copia, se richiesta, deve essere rilasciata al denunciante quale attestazione; se l’atto contiene notizie che devono rimanere segrete, è opportuno limitarsi a rilasciare attestazione di resa denuncia;
  2. riportare nel verbale, la dichiarazione della volontà di perseguire penalmente l’autore del fatto (art. 336 c.p.p.);
  3. il Verbale deve essere trasmesso immediatamente anche in forma orale (casi urgenti e delitti indicati all’art. 407 comma 2 lett. a), numeri da 1 a 6 c.p.p.); al più tardi entro le 48 ore, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari (ad esempio, perquisizione di edifici – 12 ore), se sono stati compiuti atti a cui il difensore ha diritto di assistere (accertamenti urgenti, perquisizioni, sequestri); senza ritardo negli altri casi (art. 347 c.p.p.);
  4. il Verbale di querela deve essere allegato alla «informativa».


 

Rinuncia espressa di diritto di querela: modus operandi

  • L’Ufficiale di polizia giudiziaria deve (art. 339 c.p.p):
  1. verificare che si tratti di persona titolare del diritto di querela e che l’atto non sia stato già proposto;
  2. controllare se si tratti di reato perseguibile a querela;
  3. identificare il rinunciante (art. 339, comma 1 c.p.p.);
  4. la rinuncia non può essere sottoposta a termini o condizioni (art. 339, comma 2 c.p.p.);
  5. la rinuncia è possibile anche per l’azione civile (art. 339, comma 3 c.p.p.);
  6. richiedere per quale fatto intende rinunciare al diritto di querela, la data in cui il reato è stato  commesso e,  eventualmente, i motivi che lo hanno indotto a ciò;
  7. richiedere le generalità dell’autore del fatto o quant’altro valga alla sua identificazione;
  8. ricordarsi che l’atto di rinuncia è valido solo se sottoscritto dal dichiarante (art. 339 comma 1 c.p.p.).

Il Verbale va trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero presso il Tribunale ordinario del luogo in cui il fatto è stato commesso.
Nella fase delle indagini preliminari, la rinuncia consente al P.M. di richiedere la «
archiviazione» essendo venuta meno la «condizione di procedibilità».

 

 


 

Remissione di querela: modus operandi

  • L’Ufficiale di polizia giudiziaria deve (art. 340 c.p.p.):
  1. verificare che si tratti di persona titolare del diritto di querela o del suo procuratore speciale che abbia già presentato querela; il procuratore speciale deve essere munito di appositi  mandato (art. 112 comma 1 c.p.p.); la procura deve essere unita agli atti (art. 122 c.p.p.);
  2. tenere presenti i reati perseguibili a querela;
  3. ricordarsi che la remissione non è ammissibile per i delitti «contro la violenza sessuale» (art. 609-septies c.p. inserito da art. 9 legge n. 66/1996);
  4. la remissione deve essere «accettata» anche dal querelato che deve essere identificato; se questi è presente, redigere un unico Verbale, altrimenti va compilato un Verbale specifico;
  5. farsi specificare la data, il luogo ove il fatto si è verificato e l’Autorità a cui è stata presentata la querela (se diversa);
  6. ricordarsi che remissione non può essere sottoposta a termini o a condizioni (art. 152, comma 4 c.p.);
  7. nell’atto di remissione può essere fatta rinuncia al diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno (art. 151 comma 4 c.p.), nonché alla eventuale richiesta della persona offesa di essere informata dell’archiviazione ex art. 408 c.p.p.;
  8. nel Verbale di remissione le parti possono indicare a chi le spese devono essere attribuite (art. 340 comma 4 c.p.p.); normalmente esse sono a carico del querelato (art. 340 comma 4, modificato dall’art. 13 della legge 25 giugno 1999, n. 205);
  9. effettuare inserimento dati C.E.D.-S.D.I. (art. 8 Legge 121/81).

 

 

Istanza di procedimento

Consiste nella domanda con la quale il privato, persona offesa, chiede che si proceda contro i responsabili di taluni "reati comuni" (non politici) commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero che, se fossero stati commessi nel territorio dello Stato sarebbero perseguibili di ufficio.
La mancanza dell’istanza di procedimento precluderebbe l’instaurarsi del procedimento penale: essa realizza, infatti, una «condizione di procedibilità».

  • L’istanza segue le forme di proposizione della querela:
  1. come questa non è legata all’uso di formule sacramentali;
  2. può essere diretta anche contro ignoti.

Come la querela, l’istanza di procedimento può essere presentata al Pubblico Ministero o alla Polizia Giudiziaria o anche ad un Agente consolare all’estero, sempre entro tre mesi dalla ricezione della notizia del fatto-reato ed entro tre anni dalla presenza dell’autore a cui il fatto è addebitato sul territorio dello Stato.

  • A differenza della querela, è «irrevocabile».

Suo contenuto essenziale è la manifestazione di volontà punitiva in ordine ad un determinato fatto-reato, anche se sommariamente indicato.

 

Richiesta di procedimento

La «richiesta di procedimento» (art. 342), come la querela e l’istanza, consiste anch’essa in una manifestazione di volontà punitiva, e si estende di diritto a tutti i responsabili.

E’ un atto (amministrativo e discrezionale) con cui un "Organo pubblico" (generalmente il Ministro di Giustizia e nell’ipotesi dell’art. 260 comma 1 e 2 c.p.m.p., il Ministro dal quale il militare dipende o il comandante del corpo), elimina, spinto da opportunità politiche, un ostacolo procedurale permettendo così il perseguimento di determinati reati commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero.

In ordine alla forma, la Pubblica Autorità (in genere il Ministro di Giustizia) redige richiesta scritta, fatta pervenire direttamente al Pubblico Ministero, e non anche ad un Ufficiale di P.G. 

Tale richiesta deve essere sottoscritta personalmente da Ministro o da funzionario da lui delegato (Cass. 23.5.1994) e formulata, come la querela e l’istanza di procedimento, entro tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato, a pena di inefficacia.
Non è consentita rinunzia, preventiva o successiva, in quanto la richiesta è «irrevocabile» (art. 120 c.p.).

  • Il potere di richiesta è conferito al Ministro della giustizia quanto:
  1. ai reati commessi all'estero elencati negli artt. 8, 9 comma 2 e 3, e 10 c.p.;
  2. ai reati perseguibili a querela commessi in danno del Presidente della repubblica, in sostituzione della querela che la legge non consente venga proposta da quest'ultimo (art. 127 c.p.);
  3. ai delitti di offesa alla libertà e all'onore di capi e rappresentanti di Stati esteri e di  offesa alla bandiera o altri emblemi di Stati previsti dagli artt. 296-299 c.p.

 

Autorizzazione a procedere

La «autorizzazione a procedere» è la dichiarazione(atto amministrativo) discrezionale e irrevocabile con cui un Organo dello Stato estraneo all'Organizzazione giudiziaria, a richiesta del Pubblico Ministero, consente che nei confronti di una determinata persona o in rapporto ad un determinato reato l'Autorità giudiziaria proceda penalmente oppure compia taluni atti limitativi di libertà (in quest'ultimo caso si parla più specificamente di autorizzazione ad acta).

  • Il potere di autorizzazione è conferito:
  1. all'Assemblea parlamentare di appartenenza per sottoporre un "membro del parlamento" a perquisizione personale o domiciliare, ad arresto, ad altra limitazione della libertà personale o a mantenimento in detenzione, salvo che il parlamentare sia stato colto nell'atto di commettere un delitto per il quel è obbligatorio l'arresto in flagranza o si debba eseguire nei suoi confronti una sentenza irrevocabile di condanna, nonché ad intercettazioni di comunicazioni o sequestro di corrispondenza (art. 68 commi 2 e 3 Cost. come modificati dal L. Cost. 29 ottobre 1993, n. 3, cui fanno riferimento, in sede di attuazione del disposto costituzionale, gli artt. 4 e 5 L. 20 giugno 2003, n. 140); con tale modifica dell'art. 68 comma 2 Cost. si è pertanto escluso che debba essere richiesta autorizzazione (com'era previsto nella versione originaria) per sottoporre a procedimento penale un membro del Parlamento.
  • L’autorizzazione a procedere è la condizione per la procedibilità di determinate fattispecie di reato, quali ad esempio:
  1. alcuni delitti contro la personalità dello Stato, come: offesa all’onore, al prestigio e alla libertà del Presidente della repubblica o di capi di Stato esteri; vilipendio, ecc;
  2. reati cc.dd. ministeriali commessi, nell’esercizio delle funzioni, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Ministri; ecc.

Organo competente a richiedere l’autorizzazione a procedere è il Pubblico Ministero: va richiesta entro 30 giorni dalla iscrizione della notizia criminis nell’apposito Registro.

Se l’autorizzazione non viene concessa, non possono compiersi una serie di atti specificamente indicati nel comma 2 dell’art. 343 c.p.p.:

  1. restrizioni della libertà personale (fermo, misure cautelari personali);
  2. perquisizioni personali e domiciliari;
  3. ispezioni personali;
  4. interrogatori
  5. intercettazioni di conversazioni e comunicazioni;
  6. individuazioni e confronti.

Tali atti sono, peraltro, consentiti se la persona è colta in flagranza di uno dei delitti indicati nell’art. 380 (per i quali l’arresto è obbligatorio)

  • Valgono, quali esempi:
  1. nelle ipotesi di vilipendio (disprezzo), da parte di un cittadino, ai danni del Parlamento, il P.M. può procedere nei suoi confronti solo se ottiene l’autorizzazione a procedere da parte dell’Assemblea Parlamentare contro cui il vilipendio è diretto;
  2. nelle ipotesi di reato da parte di un Ministro, commesso nell’esercizio delle funzioni, l’A.G. può procedere nei suoi confronti solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione dalla Camera cui appartiene il Ministro stesso

Se l’autorizzazione è concessa, il procedimento penale prosegue e si conclude secondo le regole ordinarie (con sentenza di proscioglimento o di condanna).

 

 

Valutazione della Notizia di reato

L'art. 347, comma 1 c.p.p. radica l'obbligo di comunicare la notizia di reato in capo alla «Polizia Giudiziaria» e non al singolo Ufficiale od Agente di polizia giudiziaria che l'ha acquisita, dimostrando, in tal modo, di voler fare riferimento all'Ufficio e per esso al suo «Dirigente» e non alle singole persone che, in posizione subordinata rispetto al primo, lo compongono.
Ciò è reso chiaro anche dal fatto che per altre ipotesi, relative all'adempimento di particolari doveri, il Codice ha diversamente disposto, impegnando alla loro esecuzione il singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria.

  • Ad esempio, per l'adempimento dei doveri previsti in caso di arresto o di fermo, dalla disposizione contenuta nell'art. 386 del Codoce che obbliga lo stesso Ufficiale o Agente che ha eseguito la misura precautelare, agli avvisi, alla traduzione ed alla trasmissione del verbale previsti dalla citata norma.

Un ulteriore argomento a sostegno della tesi qui prospettata, emerge dalla lettura dell'art. 389, comma 2 del Codice, che attribuisce al solo Ufficiale di polizia Giudiziaria il potere di liberazione della persona oggetto di misura precautelare, se risulta evidente che l'arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge o se le misure sono divenute inefficaci per il mancato rispetto dei termin i previsti dall'art. 386, comma 3 c.p.p.
La liberazione che può conseguire anche alla “valutazione” della insussistenza della notizia di reato compete, dunque, all'Ufficiale di polizia giudiziaria che ha la funzione di controllo e di prima deliberazione dell'attività di chi è gerarchicamente subordinato (art. 59 c.p.p.). Si tratta di una ulteriore applicazione del principio secondo il quale permane, anche nel nuovo Codice di rito, un rapporto diretto fra chi opera l'arresto in flagranza (e la flagranza costituisce il modo più immediato di acquisizione della notizia di reato) od il fermo e l'Ufficio cui appartiene.
D'altronde, il legislatore ha voluto espressamente evidenziare questo rapporto, prevedendo, con l'art. 120 att. c.p.p., che se l'arresto o il fermo è stato eseguito da Agenti di polizia giudiziaria, a questi incombe l'obbligo di darne immediata notizia all'Ufficiale di polizia giudiziaria competente ad adottare il provvedimento di liberazione previsto dall'art. 389, comma 2 del Codice.
Le indicazioni normative che depongono per l'attribuzione del potere di valutare la sussistenza della notizia di reato al Dirigente dell'Ufficio sono anche coerenti con ragioni d'ordine organizzativo e funzionale, poiché, altrimenti, l'attività dell'Ufficio o Comando si frantumerebbe, inevitabilmente, in una molteplicità di iniziative assunte estemporaneamente da questo o quel dipendente, anche all'insaputa di chi all'Ufficio è preposto, il quale invece, valutata la sussistenza della notizia di reato, oltre a riferirla al Pubblico Ministero, impartirà, prima dell'intervento di questi, le opportune disposizioni in merito all'attività di indagine ancora da svolgere.

  • Da quanto sopra detto emerge dunque che il singolo Ufficiale od Agente di polizia giudiziaria, quando ritiene di aver acquisito una «notizia di reato» dovrà immediatamente comunicarla al "Dirigente dell'Ufficio o Comando". Spetterà a quest'ultimo valutare se effettivamente sussista la notizia di reato e, in caso positivo, riferirla al Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 347 c.p.p.

Poiché il potere attribuito al Dirigente è quello di «valutare la sussistenza della noizia di reato» acquisita dai dipendenti Ufficiali od Agenti, in caso di giudizio positivo, il termine della comunicazione all'A.G. previsto dall'art. 347 c.p.p. decorre dalla «acquisizione» della notizia (art. 347, comma 4 c.p.p.) e non da quello in cui il Dirigente dell'Ufficio ne ha «valutato la sussistenza».

  • Ne consegue che, una volta che l'Ufficiale o l'Agente di polizia giudiziaria abbia tempestivamente riferito al Dirigente, ogni responsabilità per l'omissione od il ritardo relativi alla comunicazione al P.M. incombe sul Dirigente medesimo.

Ove la valutazione del Dirigente sia nel senso dell'insussistenza della notizia di reato, non avrà luogo la comunicazione - ex art. 347 c.p.p. - al Pubblico Ministero, ma il Dirigente ben potrà, negli opportuni casi, impartire le disposizioni per lo svolgimento di ulteriori attività volte ad approfondire il fatto in vista della possibile acquisizione degli elementi necessari a configurare la notizia di reato.

La notizia di reato deve ritenersi acquisita quando si siano appresi gli elementi essenziali di un fatto costituente reato anche quando non se ne conosce l'autore.

 

Comunicazione della Notizia di reato

Costituisce il secondo aspetto della attività di informazione della Polizia Giudiziaria e consiste nell’obbligo di riferire la N.d.R. all’Autorità Giudiziaria.
La "valutazione" della sussistenza della notizia di reato spetta al Dirigente dell'Ufficio dal quale dipende chi l'ha acquisita autonomamente. E' da tale Dirigente, pertanto, e non dal singolo Ufficiale od Agente di Polizia Giudiziaria che deve provenire la «informativa» (=o comunicazione) al Pubblico Ministero.
Dal momento dell'acquisizione della notizia di reato "
prende vita il procedimento penale" e prendono vita le funzioni di polizia giudiziaria (artt. 247-357 c.p.p.). Da quel momento decorre poi il termine entro il quale la Polizia Giudiziaria deve dare comunicazione al Pubblcio Ministero della notizia di reato acquisita e assolvere così al «compito di informare»: secondo e distinto aspetto della attività in esame.
L’obbligo di informativa al Pubblico Ministero da parte della Polizia Giudiziaria sussiste soltanto per i reati perseguibili di ufficio; negli altri casi, tale obbligo vige soltanto qualora la Polizia Giudiziaria compia attività di investigazione in mancanza di condizione di procedibilità (art. 346 c.p.p.). In tal caso, riferisce al Pubblico Ministero, senza ritardo, in merito alla circostanza, fin dall’inizio dell’attività d’indagine (art. 112 norme att.)..

  • Ad esempio, nell’ipotesi di lesioni riportate da un membro dell’equipaggio a seguito di disordini a bordo, la polizia giudiziaria intervenuta non è tenuta ad informare il Pubblico Ministero, salvo il caso in cui la persona offesa ha presentato querela, ovvero sia stata, comunque, svolta attività di investigazione ai sensi dell’art. 346 c.p.p.

La Polizia Giudiziaria deve effettuare la comunicazione della notizia di reato al Pubblico Ministero entro i termini previsti dall’art. 347 c.p.p (come modificato dal D.L. 8.6.1992, n. 306, convertito in Legge 7.8.1992, n. 356)., vale a dire:

  1. immediatamente nei casi di urgenza (arresto in flagranza, fermo, accompagnamento ai fini dell’identificazione) ovvero quando si tratta di uno dei gravi reati indicati dall’articolo 407 co.2 lett. a) numeri da 1) a 6) c.p.p. ;
  2. al più tardi entro 48 ore dal compimento dell’atto quando la polizia giudiziaria ha compiuto un «atto garantito» (per il quale è prevista l’assistenza del difensore);
  3. senza ritardo (appena possibile e cioè senza ingiustificabili indugi), in tutti gli altri casi. Si è in presenza di una ritardata informativa solo quando la comunicazione della notizia al Pubblico Ministero avviene con indugio ingiustificabile, idoneo a compromettere la persecuzione del reato.

Con l’introduzione di tale regime differenziato, relativo ai tempi entro cui effettuare la comunicazione di reato, si è teso soddisfare due esigenze:

  1. il termine ordinario dà modo alla P.G. di raccogliere tutti gli elementi (fonti di prova, identificazione dell’autore, della parte lesa e di persone a conoscenza dei fatti), in modo tale da fornire al P.M. una notizia fondata e qualificata da un valido supporto investigativo;
  2. nei casi urgenti, invece, non si è voluto lasciare la P.G. arbitraria assoluta di decisioni e scelte investigative rispetto alle quali può verificarsi la necessità di un immediato interventi del P.M.

L'attività di informazione si sostanzia quindi nell'acquisire la notizia di reato, secondo le forme dell'apprensione diretta o della ricezione (art. 330 c.p.p.) e nel riferirla, con ritmi accelerati, ancorché variamente stabiliti, al Pubblico ministero (art. 347 c.p.p.).
Ove la notizia di reato non venga riferita o venga riferita con ritardo ricorrono responsabilità penali (artt. 361, comma 2 e 363 c.p.p. - Omessa denuncia di reato aggravata) e disciplinari (art. 16 att. c.p.p.).

 

 

La informativa della Polizia Giudiziaria

La «informativa di reato», corrispondente all'antico rapporto di denuncia della Polizia Giudiziaria previsto da Codice abrogato, consiste nella segnalazione, preliminare ed immediata, di una notizia di reato dalla Polizia Giudiziaria al Pubblico Ministero (art. 347 c.p.p.).
I generici Pubblici Ufficiali sporgono denuncia (art. 331 c.p.p.), senza alcuna esigenza di provvisoria informativa, anche perché essi non sono legittimati al successivo compimento di atti di indagine, riservati, invece, alla Polizia Giudiziaria.
La comunicazione (o informativa) della notizia di reato è, anzitutto, uno “
strumento conoscitivo”: essa consente al P.M. di apprendere i dati necessari per la iscrizione della notizia di reato nel «Registro» (momento da cui decorrono, di conseguenza, i termini delle indagini) e di essere posto in condizione di orientare le indagini verso quel fatto-reato fornitogli dalla Polizia Giudiziaria.

La informativa, oltre ad avere tempi rigorosi di trasmissione, deve essere dotata di un contenuto dettagliato e vincolante dei fatti.
La segnalazione deve enunciare in ordine logico e cronologico i fatti, avendo cura di indicare:

  • necessariamente:
  1. gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti;
  2. la indicazione delle fonti di prova e delle attività compiute delle quali trasmette la relativa
    documentazione;
  3. il giorno e l’ora di acquisizione della notizia di reato;
  • eventualmente:
  1. (quando è possibile…) le generalità, il domicilio e quanto altro valga ad identificare: la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; la persone offesa da reato; coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto (e cioè quelle persone che potranno essere assunte a sommarie informazioni dal P.M. o che potranno assumere la qualità di testimoni, se le loro dichiarazioni saranno raccolte nell’ambito dell’incidente probatorio e del dibattimento). Quest’ultima indicazione può anche mancare, essendo tenuta la polizia giudiziaria a comunicare tali elementi «solo quando è possibile», e cioè quando siano stati acquisiti insieme alla notizia del reato. Pertanto sussiste l’obbligo di riferire la notizia di reato anche nel caso in cui non sia stata individuata la persona a cui attribuire il fatto, con conseguente obbligo per il P.M. di iscrivere la predetta notizia nell’apposito registro ponendo a carico di ignoti e da questo momento decorre il termine per le indagini preliminari di cui all’art. 415 c.p.p. nel caso di reato commesso da persone ignote;
  2. le indicazione del giorno e dell’ora in cui la polizia giudiziaria ha acquisito la notizia di reato. 

La necessità di riferire anche tale elemento trova la sua ragione d’essere nell’esigenza di controllare che la comunicazione sia stata inoltrata nei termini previsti dalla legge.

E’ importante rilevare come la Polizia Giudiziaria abbia l’obbligo di inoltrare la comunicazione della notizia di reato anche nell’ipotesi in cui, acquisita la notizia, non è pervenuta all’individuazione dell’autore del reato (notizia di resto a carico di ignoti).
La documentazione delle attività compiute deve essere sempre allegata all’informativa scritta quando questa segue senza ritardo, l’informativa che è stata data immediatamente in forma orale per ragioni di urgenza, ovvero, perché si tratta di uno dei delitti di particolare allarme sociale.
Alla Polizia Giudiziaria competono poteri di approfondimento della notizia di reato, di conseguenza non vi è un ingiustificabile ritardo tutte le volte in cui la informativa stessa è stata preceduta da accertamenti di polizia giudiziaria volti ad approfondire la notizia di reato stessa.

  • Ad esempio, la notizia di reato non può considerarsi acquisita se si è ancora alla ricerca della informazione o si sta svolgendo una attività di verifica o di controllo su una informazione generica; come accade quando si sorveglia una zona sul demanio marittimo perché è giunta voce in Capitaneria che colà si sottrae abusivamente arena o ghiaia dalla spiaggia.

Quindi, nel caso di indagini lunghe e laboriose è opportuno darne avviso all’Autorità Giudiziaria per poi comunicare, alla stessa, l’esito e la relativa notizia di reato al termine di tutti gli accertamenti effettuati, con riserva di eventuali successive comunicazioni ed integrazioni.
La forma è sempre scritta per l'informativa, ma la pre-informativa quando sussistono ragioni di urgenza, può essere in forma orale (Cassazione, Sez. II, 6.3.1990 imp. Frigione) o telefonica ed essere consegnata su supporto magnetico o trasmessa per via telematica (art. 108bis disp. att. c.p.p.): in ogni caso, deve seguirei, poi, seguire la comunicazione scritta (art. 347, comma 3 c.p.p.), corredata dalla documentazione delle attività compiute.

  • Ad esempio, se si verifica un omicidio (art. 275 c.p. o art. 1150 cod. nav.) l’informativa va data immediatamente anche in forma orale seguita senza ritardo da quella scritta; se si verifica un furto (art. 624 c.p. o art. 1148 Cod. nav.) e non sussistono ragioni di urgenza, l’informativa va data per iscritto e senza ritardo; se si verifica un furto a bordo di nave mercantile da parte di un membro dell'equipaggio (art. 1148 Cod. nav.) e la Polizia Giudiziaria procede sulla nave alla perquisizione (atto garantito) dell'alloggio del sospettato, l’informativa va data al più tardi entro 48 ore dal compimento dell’atto.

L'unica eccezione alla immediatezza dell'obbligo è costituito per la Polizia Giudiziaria della mera facoltà di riferire la notizia, quando questa sia relativa a reato la cui punibilità sia sottoposta a «condizione di procedibilità» (es. reato procedibile a querela) non ancora verificatasi, sempre che per tale fatto non siano stati compiuti atti di indagine; se questi, invece, sono stati compiuti, anche qui scatta l'obbligo di riferire la notizia, anche se non quello di trasmettere gli atti (art. 112 att. c.p.p., modif. da L. 356/1992, e art. 346 c.p.p.).
 

Denunce a carico di ignoti

L’art. 107 bis delle disposizioni di attuazione e coordinamento del Codice di rito, introdotto dalla Legge 479/99 (c.d. Legge Carotti) stabilisce che le "denuncie a carico di ignoti" sono trasmesse all’Ufficio di Procura competente da parte degli Organi di polizia, unitamente agli eventuali atti di indagine svolti per la identificazione degli autori del reato, con «elenchi mensili».

  • La norma introdotta dall’art. 107 bis consente di derogare al disposto dell’art. 347, 1° comma c.p.p. (secondo cui la P.G. riferisce, senza ritardo al P.M. per iscritto gli elementi essenziali del fatto e gli elementi raccolti in relazione a ogni notizia di reato acquisita), disponendo che le notizie di reato a carico di ignoti possono essere trasmesse «periodicamente» in elenchi mensili insieme alle risultanze delle attività di indagine svolte.

In tal modo si evita la trasmissione continua agli uffici di Procura di un ingente numero di notizie di reato prive di concreta rilevanza per l’attività del Pubblkico Ministero consentendo anche una più razionale organizzazione degli Uffici delle forze di polizia che possono centralizzare la raccolta di siffatte notizie e inviarle secondo tempi e modalità predeterminati.

Il comma 4 dell’art. 415 c.p.p. semplifica l’attività delle Procure e degli Uffici del Giudice per le indagini preliminari (GIP) consentendo al P.M. di richiedere al GIP di disporre la «archiviazione» dei procedimenti contro ignoti, trasmessi dalla P.G. con elenchi mensili di cui all’art. 107 bis, cumulativamente per ciascun elenco.
Per effetto della nuova normativa, il P.M. formulerà
un’unica richiesta di archiviazione e il GIP emetterà un unico decreto di archiviazione in relazione a tutte le N.d.R. contenute in ciascun elenco mensile.
Rimangono ferme le facoltà del P.M. e del GIP, rispettivamente, di "escludere" dalla richiesta di archiviazione quelle notizie di reatro, ritenute "meritevoli di approfondimento" e di non adottare il provvedimento di archiviazione in quei casi in cui la richiesta dell’organo dell’accusa non appare condivisibile.

 

Il Registro delle N.d.R. istituito presso la Procura

Quando la notizia crimnis trasmessa dalla Polizia Giudiziaria possiede le caratteristiche della notizia di reato, il Pubblico Ministero provvede a iscriverla nell’apposito “Registro delle notizie di reato”[1]: tale iscrizione fa decorrere il termine per le indagini preliminari.
Il Pubblico Ministero. iscrive nel Registro di cui all’art. 335 c.p.p. solo quelle informative che costituiscono effettivamente notizia di reato e impongono di conseguenza sia le indagini preliminari sia la loro chiusura con un provvedimento di archiviazione o con l’esercizio dell’azione penale.

Ciò significa che, anche quando la Polizia Giudiziaria ha ritenuto sussistere una notizia di reato e ne ha riferito al Pubblico Ministero, quest’ultimo resta "arbitro di valutare" se la informativa ha davvero rilevanza penale o sia una “pseudo-notizia di reato”.

  • Si pensi, ad esempio, a esposti o ricorsi in materia civile o amministrativa, a esposti di contenuto assurdo o privi di senso, a informative riguardanti eventi accidentali.
  • Non può parlarsi, ad esempio, di notizia di reato in presenza di segnalazioni relative a ipotesi di reato prospettate come probabili e future che non si riferiscono a un reato specifico già commesso o in corso di commissione ovvero se si è in presenza di una notizia imprecisa e sommaria che non consente la immediata individuazione degli elementi essenziali di una fattispecie di reato.

Solo in caso di valutazione positiva, il Pubblico Ministero, la iscrive nel Registro delle notizie di reato. In caso contrario, iscrive la informativa nel “Registro degli atti non costituenti reato” (mod. 45), esistente presso ogni Procura della Repubblica, trasmettendo poi direttamente gli atti all’archivio senza richiedere su di essa al G.I.P. un formale provvedimento di archiviazione (c.d. potere di cestinazione o di archiviazione diretta).

Trattandosi infatti di una pseudo-notizia di reato il procedimento penale non ha motivo di iniziare e non vi è necessità neppure di un controllo del G.I.P. nelle forme del provvedimento di archiviazione.

 


[1] Si tratta, a seconda dei casi, del “Registro delle notizie di reato contro noti” (mod. 21 e mod. 22) e del “Registro delle notizie di reato contro ignoti” (mod. 44).

 

L'attività investigativa della Polizia Giudiziaria

L’attività di investigazione svolta dalla Polizia Giudiziaria di propria iniziativa si colloca all’inizio delle indagini preliminari, a decorrere dal momento in cui la Polizia Giudiziaria ha acquisito la notizia di reato e consiste nella raccolta di ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto (c.d. fonti di prova) ed alla individuazione del colpevole (art. 348 comma 1 c.p.p.), procedendo sia alla ricerca e conservazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato (c.d. fonti di prova reali) sia alla ricerca di persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (c.d. fonti di prova personali) nonché al compimento di atti specificamente indicati (artt. 340-354 c.p.,p.).
L'attività di investigazione può consistere nel compimento di  «atti tipici» di indagine, espressamente disciplinati dal Codice (ad esempio, le perquisizioni artt. 247 – 252, 352; le sommarie informazioni dall’indagato e da altre persone artt. 350 e 351), e di «atti atipici» (o informali) e cioè quella attività che, pur non essendo espressamente disciplinata dal codice, non è da questo vietata e anzi rientra nelle regole della buona tecnica di indagine.

  • Può pensarsi, ad esempio, alle attività informali che possono essere compiute per individuare una persona, la sua attività, le sue fattezze fisiche (accertandone presso il Comune l’identità anagrafica oppure acquisendo presso la Prefettura la copia della fotografia apposta sulla patente di guida, ecc.); ai sopralluoghi per verificare sul posto la fondatezza di fatti e circostanze di cui si è avuta notizia magari confidenziale; ai pedinamenti e agli appostamenti che rappresentano l'espressione più frequente ed efficace, spesso integrati con rilevamenti fotografici per consentire l’identificazione di persone e meglio proseguire l’attività investigativa; all’attivazione di contatti con gli informatori.

Le attività della Polizia Giudiziaria, dirette a stabilire la natura del reato e l'identificazione dell'autore, comportano specifiche operazioni che vengono generalmente suddivise secondo una consueta classificazione, in:

  1. indagini dirette
  2. indagini indirette

Sono atti di «investigazione diretta», gli atti nei quali l’attività si svolge immediatamente su persone e cose. Sono «dirette» quelle compiute sul luogo del reato e consistono: nell’osservare, fissare ed evidenziare con precise metodologie tutto ciò che presenta l’ambiente soggetto in esame in specifica attinenza con il fatto per cui si opera.

  • Ad esempio, inquadrare la ricognizione di un tratto di mare interessato dalla rilevata presenza di sostanze inquinanti, ovvero gli accertamenti svolti a bordo di unità da cui si ritenga sia stato operato lo sversamento delle sostanze o, a seguito dell’introduzione del D.lgs. n. 22/97 e del T.U. 151/99, gli accertamenti disposti a carico delle industrie operanti su area demaniale marittima in materia smaltimento di rifiuti e di acque reflue, o ancora i controlli disposti sul demanio marittimo per l’accertamento di eventuali ipotesi di occupazioni o innovazioni abusive.

Sono atti di «investigazione indiretta», gli atti dove l’attività prevede il contributo di persone diverse dagli operanti (es. persona offesa, potenziale testimone, indagato). Sono «indirette» quelle compiute in parallelo o successivamente alle dirette: per acquisire elementi e informazioni utili alla identificazione del responsabile del reato in esame.

  • Ad esempio, rientrano in questi atti le dichiarazioni dell’indagato e dei potenziali testimoni per le sommarie informazioni, ecc. E’ il caso del marittimo che resosi responsabile del delitto di omicidio del superiore (art. 1150 Cod. nav.) ed in stato di arresto viene condotto presso la propria cabina dall’Ufficiale di polizia giudiziaria per fornire indicazioni utili circa l’occultamento dell’arma dallo stesso impiegata, ovvero le dichiarazioni rese dal membro dell’equipaggio che abbia riportato gravi lesioni a seguito di percosse

Con le indagini dirette si fissano dati di fatto «inconfutabili», cioè obbiettivi e controllabili mentre con le indagini indirette si acquisiscono dati «confutabili» cioè soggettivi e non sempre controllabili.
Più in particolare, si precisa che la Polizia Giudiziaria non può porre in essere attività che, di fatto, precludano in modo irreversibile le future valutazioni processuali del Pubblico Ministero. In tal senso, per la polizia giudiziaria sussiste il “divieto” di compiere “atti irripetibili”, se non nei casi specificamente previsti..

  • Ad esempio, perquisizioni, ispezioni, sequestri, accertamenti tecnici non ripetibili.

 

 

Atti tipici di investigazione

La Polizia Giudiziaria, dopo aver acquisito la notizia di reato ed averla eventualmente comunicata al Pubblico Ministero a norma dell'art. 347 c.p.p., sino a quando costui non abbia assunto la direzione delle indagini compie di propria iniziativa gli atti di indagine preliminare che risultano necessari a norma dell'art. 55 comma 1 «per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale».

L'art. 348 commi 1 e 2 precisa che essa raccoglie «ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione del colpevole» mediante la ricerca tanto «delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti» quanto «delle cose e delle tracce pertinenti al reato». Provvede altresì alla conservazione delle tracce e dello stato dei luoghi.
A tal fine la Polizia Giudiziaria compie una «attività formale» d'indagine, consistente in atti specificamente regolati dalla legge, sia un'«attività informale», cioè non disciplinata specificamente, costituita da atti non implicanti l'esercizio di poteri autoritativi.

Nell'ambito delle attività del primo tipo, che la legge per lo più subordina all'urgenza o ad altri particolari presupposti e limita nel tempo, tenuto conto dei rapporti di diretta disponibilità della Polizia Giudiziaria (art. 109 Cost.), rappresentata nel corso delle indagini preliminari dal Pubblico Ministero, nonché delle più ampie garanzie di legalità offerte da quest'ultimo, si collocano i seguenti atti:

  • Atti tipici di investigazione diretta:
  1. identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone;
  2. perquisizione (personale e locale);
  3. accertamenti urgenti sullo stato dei luoghi, delle cose o delle persone.  
  •  Atti tipici di investigazione indiretta:
  1. le sommarie informazioni assunte dall’indagato;
  2. le dichiarazioni spontanee rese dall’ indagato;
  3. le notizie e le indicazioni utili assunte dall’indagato;
  4. le sommarie informazioni delle persone informate sui fatti;
  5. le informazioni da persona imputata in un procedimento connesso.

 
 

L'identificazione di polizia giudiziaria

  • Nessuno può sottrarsi alla «identificazione» da parte della Polizia Giudiziaria. Nell’ambito della loro specifica attività, gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria derivano dall’art. 349 c.p.p. il potere-dovere di procedere alla identificazione di persone in precise e ben determinate situazioni nello stesso articolo indicate.

Trattasi, infatti, di un «potere» in quanto ogni persona è tenuta ad ottemperare alla richiesta del Pubblico Ufficiale, ma, al tempo stesso, di un «dovere» in quanto la sopra citata norma considera necessario che la Polizia Giudiziaria stabilisca la identità del soggetto nei cui confronti vengono svolte le indagini (indagato) e dei soggetti che possono fornire informazioni sui fatti oggetto delle medesime (potenziali testimoni).

  • Trattasi di un atto dovuto che ha inizio sul luogo e può avere un seguito anche in Ufficio. Per entrambe le categorie di soggetti del procedimento penale, l’identità personale:
  1. può essere acquisita mediante l’esibizione di documenti di identificazione (i cui estremi di validità andranno annotati) [1];
  2. oppure, qualora la persona non sia munita, dichiarerà a voce le proprie generalità (in tal caso, verrà definita sedicente).
  • A differenza, però, della persona informata sui fatti, nei confronti dell’indagato la Polizia Giudiziaria:
  1. rivolge l’ammonizione circa le conseguenze cui si espone colui che si rifiuta di dare le proprie generalità[2] o le dà false;
  2. richiede, oltre le generalità, quant’altro possa valere ad identificarlo compiutamente: eventuale soprannome o pseudonimo, condizioni di vita, personali, familiari e sociali, condizioni economiche e lavorative, con particolare riferimento ad eventuali attività pubbliche, rapporti definiti e pendenti con la giustizia e così via (art. 21 disp. Att. c.p.p.);
  3. può procedere, ove occorra, anche eseguendo rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici, nonché qualsiasi altro accertamento non tipizzato che lo sviluppo tecnico-scientifico dovesse prospettare come idoneo ai fini identificativi, ad esclusione di quei rilievi o di quelle ispezioni che possano incidere sulla libertà fisica e morale della persona, specialmente quando impongono un mancato riguardo al pudore ed alla dignità della persona medesima;
  4. rivolge l’invito, a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni.

Chi rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità, sul proprio stato o su altre qualità personali, commette il reato di cui all'art. 651 c.p.. Chi, anziché frapporre un rifiuto, fornisce generalità false commette i reati di cui agli artt. 495 e 496 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un Pubblico Ufficiale sulla identità o qualità proprie o di altri).

  • Istituto dell'accompagnamento (art. 349 comma 4 c.p.p.)

Qualora, però, sia l’indagato che la persona informata sui fatti "rifiutano" di farsi identificare, oppure "forniscono generalità o documenti di identificazione in ordine ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità", vengono «accompagnati» (anche coattivamente) dalla Polizia Giudiziaria in Ufficio ed ivi "trattenuti" per il tempo strettamente necessario per l’identificazione (c.d. fermo per l’identificazione).

Un particolare "accompagnamento per l’identificazione" è quello che, in base all’Accordo di Schengen [56](Legge 30.9.1993, n. 358), può essere compiuto nei confronti della persona evasa oppure della persona colta nella flagranza di un grave reato (omicidio, storsione, stupro, traffico di stupefacenti o sostanze psicotrope, armi o esplosivi, immigrazione clandestina, ecc.) il cui atteggiamento sia continuato oltre la frontiera terrestre o marittima (c.d. inseguimento transfrontaliero) da parte di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad uno Stato aderente all’Accordo (vale a dire, per quel che direttamente interessa, appartenenti, in via principale, agli Stati italiani, francesi e austriaci). Per questa ipotesi, l’Accordo di Schengen prevede che, su richiesta deli Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria, quelli del Paese ove l’inseguimento si è concluso possono procedere al fermo e alla “perquisizione di sicurezza”[3] dell’inseguito al fine di verificarne la identità provvedendo poi, se ne ricorrono le condizioni e sempre su richieta, al relativo arresto.

Peraltro il potere dovere di identificazione può spettare agli Organi di polizia, sia per finalità di polizia giudiziaria che per “finalità di polizia di sicurezza” ovvero per coloro che, pur in mancanza della qualifica di pubblica sicurezza, si trovano ad operare nel campo della "polizia amministrativa", volta a far rispettare le prescrizioni ed i limiti imposti dalle leggi e dagli atti amministrativi.
Di tutte le operazioni compiute a norma dell’art. 349 c.p. è redatto Verbale. La documentazione è conservata in apposito fascicolo (fascicolo delle indagini) presso l’ufficio del P.M. La documentazione è posta a disposizione del P.M.; copia dell’atto è conservata presso gli Uffici di polizia.

 

Carta d'identità digitale

 

 


[1] In base alle leggi di pubblica sicurezza, la «carta di identità» è considerata mezzo di identificazione ai fini di polizia (art. 288 del Reg. di esecuzione al T.U.L.P.S.), mentre tutti gli altri documenti sono definiti titoli equipollenti alla carta di identità (l’art. 292 del reg. T.U.-L.P.S. considera tali i documenti muniti di fotografia e rilasciati da un’Amministrazione dello Stato). Sono, pertanto, documenti validi per l’identificazione: i libretti ferroviari di cui sono muniti gli impiegati civili e militari dello Stato; le patenti di cui sono muniti i conducenti di veicoli; le tessere di riconoscimento postali; i libretti di porto d’armi; i passaporti per l’estero.
[2] Per “generalità” si intendono: nome, cognome, paternità, maternità, data e luogo di nascita (identità); residenza, domicilio, stato di coniugato, divorziato, di filiazione, o di parentela, attività lavorativa, cittadinanza (stato); professione, titoli di studio, professionali ed onorifici, situazione patrimoniale, rapporti con la giustizia (qualità personali).

[3] Rientra tra le perquisizioni previste dalle leggi speciali anche la c.d. perquisizione personale di sicurezza (con eventjuale successivo sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti) che le autorità di polizia di uno Stato aderente all’Accordo di Schengen (e quindi quelle italiane, francesi e austriache) possono compiere all’esito di un inseguimento tranfrontaliero conclusosi con il fermo per identificazione dell’inseguito (evaso o persona colta in flaqgranza per gravi di reati). Malgrado la denominazione, non si tratta di perquisizione a carattere preventivo, ma di perquisizione di polizia giudiziaria. Essa infatti viene compiuta dopo la commissione di un reato (evasione o altro reato commesso in flagranza).

 

Poteri di identificazione: modus operandi

Nell’ambito della attività di polizia, il personale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera che procede all’identificazione, «invita» la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ed i soggetti in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto, a «dichiarare le proprie generalità». Trattasi di un atto dovuto che ha inizio sul luogo e può avere seguito anche in Ufficio.
Nell’ambito dell’attività di polizia in genere, le "necessità identificative" possono essere assolte, sia con la
carta di identità, che con qualsiasi altro titolo equipollente.

  • I primi e più semplici «controlli» consistono nel verificare se:
  1. la persona effigiata nella foto sia la stessa che presenta il documento;
  2. l’età, nonché i connotati e contrassegni salienti descritti in seconda pagina, corrispondono a quelli del soggetto che esibisce il documento;
  3. la firma apposta sul documento, sotto la fotografia, sia quella della persona da identificare;
  4. il documento non risulti rubato o smarrito, interrogando il numero presso l’apposito schedario del C.E.D.
  • Qualora sia l’indagato che la persona informata sui fatti "rifiutano di farsi identificare", oppure "forniscono generalità o documenti di identificazione in ordine ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità", vengono «accompagnati» (anche coattivamente) dalla Polizia Giudiziaria in Ufficio ed ivi trattenuti per il tempo strettamente necessario per l’identificazione (c.d. fermo per l’identificazione).
  • La persona accompagnata negli Uffici di polizia può esservi "trattenuta" per il tempo strettamente necessario per l’identificazione, e comunque "non oltre le 12 ore" (art. 349 comma 4 c.p.p.). oppure, previo avviso anche orale al Pubblico Ministero, "non oltre le 24 ore", nel caso che l’identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l’assistenza dell’Autorità consolare o di un interprete ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente[1].
    Il “
    trattenimento“ è un atto che incide sulla libertà personale (art. 13 Cost.) ed esige, quindi, il controllo delll’Autorità Giudiziaria. Per evitare l’insorgere di spiacevoli contrasti tra il Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria (oltre che presumibili questioni di legittimità costituzionale) è consiglabile, da un lato, che la Polizia Giudiziaria informi il Pubblico Ministero della possibile protrazione del trattenimento immediatamente dopo aver accompagnato la persona nei propri Uffici; dall’altro, che la Polizia Giudiziaria individui preventivamente, d’intesa con il Procuratore della Repubblica competente, i casi in cui la protrazione può, in via generale, considerarsi indispensabile (nel caso in cui occorre identificare uno straniero proveniente da Stato con il quale il nostro Paese non ha rapporti di cooperazione giudiziaria o di polizia - Accordo di Schengen).
  • Fermi i poteri di controllo spettanti al Pubblico Ministero, va comunque ricordato che l’Ufficiale o l'Agente di polizia giudiziaria che "trattiene" le persone accompagnate "oltre il tempo necessario per l’identificazione" commette il reato di «Abuso di ufficio» (art. 323 c.p.). Conseguentemente, deve considerarsi giustificato, quale reazione ad atto arbitrario, il comportamento della persona accompagnata che oppone resistenza all’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria che lo trattiene nel proprio Ufficio oltre il quel periodo di tempo (Cass. 39685/2002). 
  • Dell’ accompagnamento deve essere informato "immediatamente" il Pubblico Ministero competente, con precisazione dell’ora e dei motivi di tale iniziativa.
  • Il Pubblico Ministero, che può, in caso non ritenga sussistenti i presupposti previsti dalla norma in esame, disporre l’immediato rilascio della persona accompagnato, dovrà successivamente essere notiziato anche del rilascio della stessa e dell’ora in cui è avvenuto.
  • In ogni caso, ed anche prima dell’intervento del Magistrato, la Polizia Giudiziaria ha il potere dovere di rilasciare l’accompagnato, se il fine di identificazione è stato soddisfatto.
  • Il fatto che venga informato il Pubblico Ministero non significa che questi sia l’unico a poter disporre per il rilascio, ma ha il solo scopo di attribuire un controllo all’A.G. sull’esercizio corretto della limitazione di libertà personale applicata alla polizia. Ed infatti il successivo comma 6 dell’art. 349 c.p.p. prevede che sia data comunicazione al Magistrato dell’avvenuto rilascio (e dell’ora): il che presuppone la facoltà per la Polizia Giudiziaria di disporre autonomamente il rilascio.
  • Quando la “persona informata sui fatti” (=potenziale testimone) rifiuta di fornire le proprie generalità o le fornisce false, diventa essa stessa persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, per cui, pur mantenendo la funzione di potenziale testimone del primo reato verificatosi, assume la figura di “indagato” in ordine al suo illecito comportamento all’atto dell’identificazione, per cui può essere accompagnato in ufficio e sottoposto a rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici per la sua identificazione.
  • L’atto può avere una sua autonomia, ma può anche essere il presupposto di altri atti; come ad esempio, della «ricezione di dichiarazioni spontanee dall’indagato» (artt. 350, comma 7 c.p.p.) ovvero «assunzione di sommarie informazioni dal potenziale testimone» (art. 351 c.p.p.).

 

 


[1] Art. 10, co. 2 D.L. 144/2005 conv. Legge 158/2005.

 

Il controllo di autenticità dei documenti

Il primo e più semplice "controllo" va effettuato per accertare se il documento esibito risulti denunciato rubato o smarrito da parte del titolare.

Tali notizie sono contenute in apposito «schedario elettronico», del "Centro Elaborazioni Dati" (C.E.D.) in uso alle Forze di Polizia, nel quale vengono inseriti i numeri identificativi dei documenti che vengono denunciati rubati o smarriti.
E’ sufficiente, pertanto, interrogare al terminale il numero del documento[1]. Tale accesso telematico consente di conoscere se lo stesso è stato rubato o smarrito e da chi, in che data e presso quale ufficio di polizia denunciato. In caso positivo, ovviamente, il possessore è illecito (se ne sarà appropriato direttamente o l’avrà acquisito da altri e vi avrà, quanto meno, cambiato la fotografia, in quanto utilizza un documento rubato o smarrito facendo proprie le generalità del titolare)

 

In "terza pagina", frapposto tra la fotografia e la pagina stessa, viene impresso un timbro a secco punzonato (ossia, che non lascia un segno con l’inchiostro, ma un rilievo, appunto, di punzonatura).
A tale proposito, è opportuno accertare che vi sia perfetta coincidenza tra la parte del timbro impresso sulla fotografia e la parte invece impressa sulla pagina; inoltre, che la dicitura del timbro a secco sia la stessa del timbro ad inchiostro esistente sulla parte sottostante della medesima pagina (Comune di _____________ ).
Per verificare se vi è stata sostituzione di foto si può anche controllare, utilizzando uno spillo, se esiste la necessaria corrispondenza tra le depressioni del timbro a secco originale (visibile sulla quarta pagina) e quelle esistenti sulla fotografia. Infine, poiché il falsificatore potrebbe aver completato la circonferenza dell’impronta usando un compasso, è opportuno riscontrare se esistono tracce di punta del suddetto strumento al centro della timbratura.

Oltre agli schedari ed archivi elettronici nazionali del CED possono essere effettuate ricerche presso gli archivi delle utenze telefoniche della TELECOM (contiene i nominativi e gli indirizzi di tutti gli intestatari di utenze telefoniche), dell’A.C.I., del P.R.A. e della Motorizzazione Civile (contengono i dati identificativi degli autoveicoli e dei loro proprietari), della Suprema Corte di Cassazione (raccoglie le sentenze civili e penali della Corte e le massime Ufficiali del Consiglio di Stato) e dell’Unione Camere di Commercio (contiene i dati e le informazioni, di natura pubblica, raccolti dalle Camere di Commercio, relativi a società e ditte), ricchi serbatoi di dati ed informazioni.

Possono essere effettuate ricerche presso i gli archivi cartacei presso l’Anagrafe al fine di consultare gli Atti dello Stato Civile (residenza e stato di famiglia, sia attuali che storici, morte, matrimonio), l’Ufficio Elettorale (elenco dei cittadini che godono dei diritti politici), l’Ufficio Carte di identità.

Altri informazioni di interesse possono essere assunte presso gli Enti che erogano servizi e forniture (Enel, Italgas, Aziende Municipalizzate o Private locali, ecc.) dai quali si possono spesso acquisirsi dati necessari per individuare la dimora di una persona che, come chiunque, non potrà far certo a meno di tali servizi di prima necessità (anche estendendo la ricerca al nome di familiari o di persone legate da vincoli affettivi, di amicizia o di colleganza).

► Inoltre, presso la Questura sono accessibili:

  1. l’archivio Carte di identità,
  2. l’archivio dei passaporti (es. per i cittadini stranieri),
  3. lo schedario foto segnaletico e dattiloscopico, ecc

Presso la Prefettura è ubicato l’ Ufficio Patenti, nei cui archivi sono accessibili i atti anagrafici e le fotografie di tutti i titolari di patenti di guida rilasciate nella provincia. Nel Tribunale, il Casellario Giudiziario che contiene le notizie riguardo alle condanne passate in giudicato dei cittadini nati nel circondario, il Registro Generale Penale per i carichi pendenti raccoglie le indicazioni in ordine ai procedimenti in corso, mentre il Registro delle Imprese ed il Registro della Stampa sono consultabili per i dati relativi alle imprese ed alle testate giornalistiche registrate.
Ricordiamo, infine, il Catasto Edilizio Urbano e Terreni ove sono conservate le piante catastali, rispettivamente degli immobili urbani e rurali, la Conservatoria dei Registri Immobiliari, nel cui archivio possono essere attinte notizie utili in ordine alla proprietà degli immobili, gli Albi Professionali, gli Uffici di Collocamento, gli Uffici Finanziari (Uffici Tecnici Erariali, Uffici delle entrate, Intendenze di Finanza, ecc.).

L’elencazione di cui sopra, che non ha certamente la pretesa di avere carattere esaustivo, fornisce, tuttavia, un’idea sull’ampia gamma di mezzi conoscitivi di indagine, tramite i quali l’investigatore può trarre evidenti benefici di carattere informativo da aggiungere a quanto contenuto nei propri "Archivi cartacei" che, è bene ricordarlo e sottolinearlo, anche nell’era della telematica rappresentano una miniera ricca e facilmente attingibile di notizie.

 


[1] Ad esempio, il numero della carta di identità e quello del passaporto vengono stampigliati su moduli in bianco presso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, i quali vengono consegnati alle Prefetture per la successiva distribuzione ai Comuni (carte d’identità) ed al Ministero degli Esteri per la successiva distribuzione alle Questure (passaporti).

 

 

Il controllo di identificazione degli stranieri

Per quanto riguarda i «cittadini stranieri», a norma dell’art. 144 del T.U.L.P.S. (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza) l’Autorità di P.S. la facoltà di invitare, in ogni tempo, lo straniero ad esibire i documenti di identificazione di cui è provvisto e a dare contezza di sé; qualora vi sia motivo della identità personale dello straniero, questi può essere sottoposto a rilievi segnaletici.

La identificazione può avvenire normalmente mediante l’esibizione di un "documento di riconoscimento" rilasciato dallo Stato di appartenenza dell’interessato, come ad esempio:

  1. il passaporto, indispensabile per poter entrare nel territorio dello Sato italiano;
  2. la patente di guida, anch’essa necessaria per chi dovesse accedere alle nostre frontiere alla guida di un veicolo;
  3. la carta di identità;
  4. la carta di soggiorno.

Mentre per i "cittadini comunitari" la patente di guida ed il passaporto sono conformi ai modelli europei fissati dalla normativa comunitaria, quindi, facilmente intellegibili e valutabili in sede di controllo, gli "stranieri extracomunitari" sono dotati di documenti tra loro diversi a seconda dello Stato di appartenenza, scritti in lingue e caratteri alfabetici diversificati e difficilmente traducibili.

Risulta così difficile, anche per il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, viste le proporzioni sempre più rilevanti del fenomeno dell’arrivo, sulle coste dell’Italia meridionale, di migliaia di persone provenienti, per lo più, da Paesi dell’Africa maghrebina, dell’area balcanica (Europa centro-orientale) e del Medio Oriente, giudicare l’autenticità del documento di riconoscimento mostrato dallo straniero e, di conseguenza, acquisire la sua veridicità.
Al fine di una migliore valutazione di siffatti documenti, possono essere interpellati l’Ufficio Stranieri della Questura o, più direttamente, l’Ambasciata o il Consolato in Italia dello Stato di provenienza dello straniero e, quindi, di emissione del documento.
Va ricordato, comunque, che molti stranieri, residenti da anni nel nostro Paese, possono essere muniti di "carta di identità italiana" (che non ha, ovviamente, validità per l’espatrio) o, anche di "patente di guida italiana".

Il cittadino straniero extracomunitario, oltre al "passaporto" di cui deve comunque essere munito perché solo con questo gli è consentito l’ingresso in Italia (salvo i casi di clandestini che hanno successivamente sanato la loro posizione in virtù di particolareggiate e limitate disposizioni di legge, come quelle sul ricongiungimento familiare e regolarizzazione per offerta di lavoro), deve essere munito del «permesso di soggiorno»[1] che, ai sensi dell’art. 4 della Legge 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d. Legge MARTELLI), va richiesto entro otto giorni dalla data di ingresso ed ha diversa durata a seconda del titolo per cui viene rilasciato (non superiore a tre mesi per motivi di turismo, a due anni per motivi di lavoro, di studio e di cura, illimitata qualora coniugato con cittadino italiano da più di tre anni risiedendo nel territorio italiano).
In base al successivo art. 6, lo straniero in possesso del permesso di soggiorno ha diritto all’iscrizione anagrafica presso il Comune di residenza e, successivamente, al rilascio della "carta di identità italiana", di validità limitata al territorio nazionale ed alla durata del permesso di soggiorno medesimo.
In virtù del comma 4 dell’art. 4 comma 4, Legge n. 39/90, il "permesso di soggiorno" deve essere esibito ad ogni richiesta degli Ufficiali ed Agenti di pubblica sicurezza.
Eventuali inosservanze dello straniero ai suddetti obblighi devono essere segnalate all’Ufficio Stranieri della Questura per le opportune determinazioni in ordine alla eventuale espulsione ai sensi dell’art, 7 comma 2, Legge n. 39/90.

 

 


[1] Il permesso di soggiorno è costituito da un foglio sul quale sono trascritte le generalità complete ed i dati riguardanti lo straniero (nome, cognome, luogo e data di nascita, nazionalità, residenza all’estero, recapito in Italia, data d’ingresso, data e motivo del visto, motivo e scadenza del soggiorno, data del rilascio) e sul quale è apposta una fotografia del titolare.
 

Permesso di soggiorno

I cittadini "extracomunitari" che entrano regolarmente in Italia e desiderano soggiornare sul nostro territorio, devono in primo luogo richiedere il "permesso di soggiorno", cioè il documento con cui lo Stato italiano concede il diritto di soggiornare nel nostro Paese.
Per richiedere questo documento, è necessario presentarsi al Questore della Provincia in cui si intende risiedere, entro otto giorni dall' ingresso in Italia. Sono esenti da questo obbligo i frontalieri, i diplomatici, i funzionari di organismi internazionali e i militari della Nato.
A partire dall’11 dicembre 2006, inoltre, è in vigore una nuova procedura per il rilascio e il rinnovo del permesso e della carta di soggiorno, che assegna agli "Uffici postali", anziché le Questure, il compito di ricevere le istanze per alcune tipologie di permesso.
Una volta in possesso dei requisiti richiesti, di sufficienti mezzi di sussistenza e di un alloggio, e se non ci sono ragioni contrarie di ordine pubblico o sanitario, il permesso viene rilasciato entro un termine ordinatorio di venti giorni, che decorrono dalla data in cui è stata presentata l'istanza.

  • Quando si richiede l'autorizzazione a soggiornare in Italia, è possibile usufruire di diversi tipi di permesso di soggiorno che variano a seconda dello durata e dei motivi per cui sono richiesti:
  1. Permesso di soggiorno per lavoro
  2. Permesso di soggiorno di breve durata
  3. Permesso di soggiorno di lunga durata
  4. Permesso di soggiorno per motivi religiosi

La durata del permesso di soggiorno, ad "eccezione" di quello per motivi di lavoro, coincide con la durata prevista per il visto d'ingresso rilasciato dalle Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane presenti nei Paesi di appartenenza.
Al momento del ritiro del permesso, chi intende soggiornare per più di trenta giorni dovrà dimostrare di avere adempiuto agli obblighi in materia sanitaria, iscrivendosi al Servizio Sanitario Nazionale o stipulando una polizza assicurativa.
Una volta ottenuto, il permesso di soggiorno potrà essere revocato solo se verranno a mancare i requisiti previsti. Nel caso le Autorità preposte non abbiano concesso il permesso di soggiorno, entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento si può presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) competente per territorio.

 

 

 

 

La carta di soggiorno

I «cittadini stranieri» che risiedono regolarmente in Italia da almeno sei anni  possono richiedere il rilascio della "carta di soggiorno", che vale come documento di identificazione personale e autorizza il suo possessore a soggiornare sul territorio italiano per un periodo di tempo indeterminato.

  • I requisiti richiesti per ottenerla sono:
  1. risiedere in Italia da almeno sei anni;
  2. possedere un permesso di soggiorno che può sia suscettibile di rinnovi senza soluzione di continuità;
  3. percepire un reddito sufficiente al proprio mantenimento pari al minimo sociale (se si desidera richiedere la carta anche per i propri familiari, occorre dimostrare che tale reddito sia sufficiente per l'intera famiglia);
  4. non avere procedimenti penali in corso, non essere stato condannato, anche in via non definitiva, per i reati previsti dall'art. 381 del Codice di Procedura Penale e non essere in giudizio per uno dei reati previsti dall'art. 380 del c.p.p.

La carta è soggetta a "vidimazione" su richiesta dell'interessato entro dieci anni dal rilascio. Deve perciò essere rinnovata su iniziativa del suo titolare. Come documento di identità, la validità è per soli "cinque anni" dalla data del rilascio o del rinnovo.
Con questa carta, si può entrare e uscire dall'Italia senza obbligo del visto, svolgere ogni attività lecita che non sia espressamente riservata ai soli cittadini italiani, accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione e partecipare alla vita pubblica (anche se non consente di votare).

Se si possiedono i requisiti previsti la Questura rilascia la carta di soggiorno. Nell'eventualità di un rigetto della domanda, si hanno sessanta giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale. 
La carta può essere richiesta anche per il proprio coniuge e i figli minori. In questo caso, occorre dimostrare di avere un reddito sufficiente e un alloggio idoneo. Inoltre, è necessario presentare i certificati rilasciati dal Paese d'origine che attestino il grado di parentela dei propri familiari, tradotti e legalizzati dall'Autorità Consolare Competente.

 

 

 

 

Violazioni connesse

Consistendo l’identificazione in un potere, come tale contrapposto ad una situazione di soggezione da parte della persona nei cui confronti è stato esercitato il potere di identificazione, il nostro ordinamento penale prevede delle "specifiche sanzioni" per chi ne ostacola il libero e legittimo esercizio.

Infatti l’art. 651 c.p. punisce, quale reato contravvenzionale (arresto fino ad 1 mese o ammenda di € 206) chi, richiesto da un Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali.
In primo luogo, quindi, occorre una "esplicita richiesta" del Pubblico Ufficiale che sta esercitando la propria funzione. Non è sindacabile la necessità o la fondatezza della richiesta del Pubblico Ufficiale, in quanto questi può chiedere a chiunque le generalità purché sia nell’esercizio delle proprie funzioni (Sent. Corte di Cassazione 28 aprile 1995). Tale limite, dell’esercizio delle pubbliche funzioni, significa, pertanto, che siffatto potere deve essere esercitato non in maniera "indiscriminata", ma deve risultare una necessità o un’opportunità connessa al libero e completo svolgimento della funzione medesima.

Il "rifiuto" configura comunque il reato in questione, anche se, poco dopo, il soggetto fornisca spontaneamente le proprie generalità. Non costituisce reato, invece, il non fornire dati non espressamente richiesti dal Pubblico Ufficiale.

Chi, al contrario, "dichiara generalità mendaci", trattandosi di condotta bel più grave rispetto alla precedente, in quanto tende ad indurre in errore il Pubblico Ufficiale che le riceve, incidendo sulla fede pubblica, risponde del delitto previsto dall’art. 496 c.p., punito con la reclusione fino ad 1 anno o con la multa fino a 516 €.
Anche in tale ipotesi criminosa occorre che il Pubblico Ufficiale sia nell’esercizio delle proprie funzioni (o del proprio servizio) ed abbia "esplicitamente interrogato"  la persona sulla sua identità, il suo stato e le sue qualità personali.
La pena è della reclusione fino a 3 (tre) anni,
quando le dichiarazioni o le attestazioni al siano destinate ad essere ricevute in un atto (art. 495 c.p.).

  • Per atto , ad esempio, vanno intesi, in relazione all’attività di polizia, il Verbale che documenta un’attività di polizia giudiziaria (….di identificazione, ….di perquisizione, ….di sequestro, e così via); il Verbale di contestazione di violazione a norme amministrative, al Codice della Strada, ecc.

Oltre che per l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 651 c.p., anche per le due figure di delitto sopra menzionate non è consentito l’arresto nella flagranza di reato ed è competente il Tribunale monocratico.

La Cassazione con Sent. N. 6864 del 9 aprile 1993 stabiliva che il rifiuto di consegnare il documento di riconoscimento al Pubblico Ufficiale integrava gli estremi del reato di cui all’art. 221 del Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S in relazione all’art. 294[1] dello stesso Regolamento e non il reato di cui all’art. 651 c.p.
Il D.lgs. 13.7.1994, n. 480 ha introdotto l’art. 221 bis che punisce la violazione di cui all’art. 221 con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 154 € a 1.032 €.

 

 


[1] Art. 294 T.U.L.P.S. – La carta di identità od i titoli equipollenti devono essere esibiti ad ogni richiesta degli Ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza.

 

L'identificazione di polizia amministrativa

Nel campo della «polizia amministrativa», volta a far rispettare le prescrizioni ed i limiti imposti dalle leggi e dagli atti amministrativi (polizia tributaria, sanitaria, urbanistica, stradale, ambientale, demaniale, dei porti e della navigazione), il «potere di identificazione», per coloro che sono in possesso della qualifica di “Ufficiale ed Agente di P.S.”, deriva dalla generale disposizione dell’art. 294 del Regolamento di esecuzione al T.U.L.P.S., quando viene esplicato al fine di esercitare la attribuzione, prevista dall’art. 1 del T.U. medesimo, consistente nel curare l’osservanza delle leggi e dei regolamenti dello Stato nonché delle ordinanze dell’Autorità.

  • Per coloro che, pur in mancanza della qualifica di pubblica sicurezza, si trovano ad operare nel campo della “polizia amministrativa”, occorre fare riferimento alla normativa generale in materia, costituita dalla Legge 24 novembre 1981, n. 689, recante modifiche al sistema penale, meglio nota come “Legge sulla depenalizzazione”.

In tale testo normativo manca, in realtà, una precisa disposizione che abiliti all’esercizio del “potere di identificazione” nel corso dello svolgimento dell’attività disciplinata.
Se ne desume, però, la necessità e, quindi, l’implicita previsione, quando agli artt. 13 e 14 vengono regolati gli atti di accertamento e la contestazione e notificazione, tutte azioni amministrative che non possono prescindere da una previa o contestuale identificazione dei soggetti interessati.

L'identificazione di polizia di sicurezza

  • IL potere dovere di identificazione può spettare agli Organi di polizia, sia per finalità di polizia giudiziaria che per “finalità di polizia di sicurezza”.

L’esigenza primaria volta a garantire agli Organi deputati alla tutela della pubblica sicurezza una efficiente azione di prevenzione fornisce agli stessi uno strumento operativo determinante che consiste nel potere-dovere di identificare le "persone pericolose" e "sospette"[1] o quelle, comunque, delle quali ritengano opportuno conoscere la identità per l’espletamento dei propri compiti istituzionali.
In questi casi, l’attività di controllo e identificazione prescinde dalla commissione di un reato e non è attività di polizia giudiziaria, ma di “polizia di sicurezza” (art. 11 Decreto Legge 21 marzo 1978, n. 59 [57] convertito con modificazioni nella Legge 18 maggio 1978, n. 191[2] ed art. 4 T.U.L.P.S.)

  • Anche per l’identificazione di polizia di sicurezza è previsto l’accompagnamento in Ufficio di chi si rifiuta di fornire le proprie generalità, ovvero fa dichiarazioni o esibisce un documento d’identità in ordine ai quali sussistono sufficienti indizi che fanno ritenere la falsità.

Anche di tale accompagnamento e del successivo rilascio va dato «avviso» al Procuratore della Repubblica, il quale può disporre l’immediato rilascio. In questa previsione normativa la durata massima del trattenimento in ufficio (c.d. fermo o accompagnamento per l’identificazione di p.s.) è fissata in 24 ore.
L’istituto del “
fermo per identificazione”, di cui all’art. 11 D.L. n. 59/78, è strutturato in modo analogo all’accompagnamento negli uffici di polizia previsto dall’art. 349 del c.p.p.
Trattandosi di istituto concernente l’attività della polizia di sicurezza, l’istituto del fermo per identificazione appena illustrato non ha cessato di avere vigore neppure dopo l’introduzione dell’art. 349 del codice di procedura penale.

  • Di conseguenza:
  1. Si applica l’art. 349 quando deve essere identificato l’indagato o il potenziale testimone di un reato.
  2. Si applica l’art. 11 del D.L. 59/78 in tutti gli altri casi in cui gli organi di polizia procedono all’identificazione di persone e ricorrono le condizioni per effettuare il loro accompagnamento ai fini identificativi.

L’art. 11 del D.L. 21/3/78, n. 59 recita: “gli Ufficiali e gli Agenti di polizia possono accompagnare nei propri uffici chiunque, richiestone, rifiuta di dichiarare le proprie generalità ed ivi trattenerlo per il tempo strettamente necessario al solo fine dell’identificazione o comunque non oltre le 24 ore“.
La disposizione si applica anche «...quando ricorrono sufficienti indizi per ritenere la falsità delle dichiarazioni della persona richiesta sulla propria identità personale o dei documenti d’identità da essa esibiti». Dell’accompagnamento e dell’ora in cui è stato compiuto è data immediata notizia al Procuratore della repubblica, il quale, se riconosce che non ricorrono le condizioni di cui ai commi precedenti ordina il rilascio della persona accompagnata.
Al Procuratore della Repubblica è data altresì immediata notizia del rilascio della persona accompagnata e dell’ora in cui è avvenuto.
Alla identificazione della persona può procedersi, ove occorra, anche eseguendo rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici, nonché qualsiasi altro accertamento non tipizzato che lo sviluppo tecnico-scientifico dovesse prospettare come idoneo ai fini identificativi, ad esclusione di quei rilievi che possano incidere sulla libertà fisica e morale, specialmente quando impongano un mancato riguardo al pudore ed alla dignità della persona medesima. Se gli accertamenti di cui trattasi comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, dal Pubblico Ministero. [3]

Di tutte le operazioni compiute a norma dell’art. 11 del D.L. 59/78 è redatto Verbale. La documentazione è conservata in apposito fascicolo (fascicolo delle indagini) presso l’ufficio del P.M. La documentazione è posta a disposizione del P.M.; copia dell’atto è conservata presso gli Uffici di polizia. 

 


[1] Per persone pericolose devono intendersi ad esempio: i pericolosi sociali, gli oziosi ed i vagabondi abituali; i mendicanti, gli intossicati, i malati di mente. Per persone sospette, invece, quelle che, con la loro condotta, diano luogo a giudizio sfavorevole circa la regolarità della loro vita di relazione, in particolare coloro che fuori del loro Comune, destando sospetti con la loro condotta, si rifiutano o non possono dare contezza di sé, alla richiesta di Ufficiali ed Agenti di P.S., mediante l’esibizione di una carta d’identità o documento equipollente.
[2] Le disposizioni previste da codice ricalcano, in maniera quasi letterale, l’art.11 D.L. 21.3.1978 n.59, convertito con modificazioni nella Legge 18 maggio 1978 n.191, rispetto al quale prevede la riduzione da 24 a 12 ore del termine massimo per il quale la persona può essere trattenuta. Trattandosi di leggi che regolano la stessa materia, il predetto D.L. n.59/78 dovrebbe pertanto ritenersi abrogato a far tempo dall’entrata in vigore del nuovo codice.
[3] A norma dell’art. 10, comma 4 quater, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2005, n. 155 per l’identificazione di pubblica sicurezza si osservano le stesse disposizioni dell’art. 349. 2 bis c.p.p.

 

 

Le perquisizioni

  • La "perquisizione" è un atto tipico di investigazione mediante il quale gli Ufficiali di polizia giudiziaria o in casi eccezionali[1], gli Agenti di polizia giudiziaria (art. 113 disp. att. c.p.p.), ricorrendo «situazioni di urgenza» (ad esempio: perquisizione a seguito di flagranza di reato), procedono alla ricerca materiale di un evaso, di un condannato o di una persona da arrestare, fermare o catturare per gravi reati, ovvero alla ricerca del corpo del reato o di cose pertinenti al reato nei luoghi ove fondatamente le ritengono occultate o sulla persona di colui che fondatamente ritengono che le occulti.

Si prescinde, ovviamente dalle situazioni di urgenza e da qualsiasi riferimento alla gravità del reato per cui si procede quando gli Ufficiali di polizia giudiziaria compiono perquisizioni personali o locali su delega del Pubblico Ministero.
In caso di successo, alla perquisizione fa seguito altro atto (di sequestro, di ispezione, di fermo, di arresto, di misura custodiale o carcerazione).

La perquisizione è uno "strumento investigativo", usualmente attivato nel corso delle indagini di polizia giudiziaria e quasi mai in fasi processuali e, a seconda dell’oggetto, si distinguono in:

  1. personali
  2. locali
  3. domiciliari

Peraltro, la Polizia Giudiziaria può procedere a perquisizione anche in taluni casi espressamente previsti da "leggi speciali" che, a seconda della finalità, si possono distinguere in:

  1. perquisizioni aventi finalità preventiva
  2. perquisizioni aventi finalità di polizia giudiziaria.

 

 


[1] Possono procedere a perquisizione gli Agenti di polizia giudiziaria quando ricorrono situazioni di necessità e urgenza che rendono impossibile un intervento tempestivo dell’Autorità Giudiziaria o di un Ufficiale di polizia giudiziaria, come ad esempio: perquisizione a seguito di flagranza di reato.

 

 

Perquisizione personale

  • Consiste nella ricerca sul corpo di una persona o sugli oggetti che essa indossa (vestiario) o porta con sé (borse, valige), del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato che si sospettano ivi occultate.

Per intenderci, il «corpo del reato» è il complesso dei mezzi attraverso i quali il fatto criminoso viene compiuto o delle cose che rappresentano il prezzo, il prodotto o il profitto dell’illecito; «cose pertinenti al reato» sono strumenti o i mezzi legati, anche in via indiretta, alla fattispecie criminosa, che consentono di rilevare dati utili per la ricostruzione e l’accertamento dei fatti relativi al compimento di un illecito e informazioni sull’autore delle stesso.
Nella perquisizione personale la ricerca è generalmente manuale ma può essere effettuata anche con "mezzi meccanici".

  • Ad esempio, rientrano tra le perquisizioni personal1, quelle eseguite mediante «strumentazione medica» (esplorazione vaginale, rettoscopia, esame radiologico) al fine di accertare se sono stati ingoiati oggetti preziosi o sostanze stupefacenti confezionate.

In questi casi, trattandosi di atti particolarmente delicati che sottopongono il soggetto a forme di trattamento (=esplorazione) sanitario, la Polizia Giudiziaria è legittimata a procedervi avvalendosi di personale medico con funzione di «Ausiliare» e comunque previa delega del Pubblico Ministero.
Tali atti possono essere compiuti anche senza il consenso del soggetto sottoposto a perquisizione: vista la urgente necessità terapeutica, sono infatti giustificati con la necessità di preservare il soggetto perquisito dal rischio di morte che egli corre trasportando nel proprio corpo oggetti e sostanze che possono provocargli gravi lesioni e gravi forme di intossicazione o infezione.
    
► Il presupposto per potere procedere a perquisizione personale è costituito:

  1. dal «fondato motivo» di ritenere che sulla persona si trovino occultate il corpo dei reato o cose pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse;
  2. la Polizia Giudiziaria deve contemporaneamente trovarsi ad agire in una delle situazioni di “urgenza presunta” rappresentate dalla: 
  1. flagranza di reato[1]
  2. ricerca di un evaso
  3. necessità di procedere al fermo di una persona indiziata di delitto oppure alla esecuzione di una ordinanza che dispone la custodia cautelare o di un ordine che dispone la carcerazione. 

      In questo ultimo caso, può peraltro procedersi a perquisizione solo se:

  1. l’ordinanza o l’ordine riguarda uno dei delitti per i quali l’arresto in flagranza è obbligatorio (art. 380 c.p.p.) oppure, nell’ipotesi di fermo di indiziato di delitto, il provvedimento deve essere adottato per uno dei delitti indicati all’art. 384 c.p.p.;
  2. sussistono particolari motivi di urgenza che non consentono la emissione di un tempestivo decreto motivato di perquisizione da parte del Pubblico Ministero.

I presupposti delle perquisizioni sono l’esistenza di fondati motivi e di situazioni di particolare urgenza (=pericolo nel ritardo). Quanto ai fondati motivi, essi devono consistere in elementi oggettivi e non solo in semplici sospetti o vaghe congetture.

  • Ad esempio, non può procedersi a perquisizione sulla base di una denuncia anonima o una notizia confidenziale da parte del pescatore che ci denuncia un illecito sulla pesca e cioè di atti che non possono essere usati processualmente, ma solo per svolgere indagini di carattere preventivo che non arrecano pregiudizio ai diritti del cittadino.

Quanto al pericolo del ritardo, esso è presunto nei casi di flagranza o quasi flagranza e di evasione.

  • Ad esempio, va invece adeguatamente motivato ed esposto nel verbale di perquisizione nelle altre ipotesi (come la possibilità di fuga del ricercato, la probabilità che il corpo del reato venga rimosso, la probabilità di inquinamento delle prove).

La sussitenza dei presupposti del pericolo del ritardo e dei fondati motivi deve essere valutata con particolare attenzione dalla Polizia Giudiziaria.
La perquisizioni è infatti un “atto irripetibile” e come tale può incidere irreversibilmente sulle scelte processuali del Pubblico Ministero, in particolar modo quando questi è divenuto il dominus (ha già assunto la direzione) delle indagini preliminari.

Perquisizione effettuate in assenza dei suindicatii presupposti di legge, comportano a carico del personale operante, provvedimenti disciplinari e penali:

  1. perquisizione personale arbitraria o illegittima (art. 609 c.p.);
  2. violenza privata (art. 110 c.p.);
  3. violazione di domicilio commessa da un Pubblico Ufficiale (art. 615 c.p.)

La perquisizione effettuata in assenza di presupposti di legge è nulla e l’eventuale sequestro eseguito all’esito della stessa è inutilizzabile salvo si tratti di sequestro di cosa costituente corpo di reato o pertinenze al reato (Cass. Sez. Un. 5021/96)

  • Ad esempio, se il personale della motovedetta della Guardia Costiera opera nel mare territoriale una perquisizione su un motopesca in mancanza di fondati motivi, ma rinviene materiali espoldenti illegalmente detenuti a bordo, il Pubblico Ministero non può convalidare la perquisizione e il sequestro e può anche provvedere che venga instaurato a carico del personale operante un procedimento disciplinare (art. 16 e ss. att.) o penale (artt. 110 e 615 c.p.). Le materie esplodenti così rinvenute rimangono però in stato di “fermo reale” fino alla emissione di un valido sequestro e rapresenta comunque un elemento di prova a carico del titolare del motopesca che illegalmente le deteneva.

Ne consegue che i risultati di una perquisizione effettuata in assenza dei presupposti di legge (fondati motivi e pericolo di ritardo) possono comunque essere utilizzati indipendentemente dalle censure disciplinarri o penali nei confronti del personale operante (Cass. 29550/06 e Cass. 3626/06).

► Nel «procedimento davanti al Giudice di Pace», la Polizia Giudiziaria, se autorizzata dal Pubblico Ministero, può procedere alla perquisizione anche fuori delle situazioni di urgenza (art. 13 D.lgs., 28.8.200, n. 274).

 

 


[1]Stato di chi viene colto nell’atto di commettere il reato (=flagranza)o subito dopo il reato inseguito ed è sorpreso con cose o tracce dalle quali appare che il soggetto ha commesso il fatto immediatamente prima (=quasi flagranza).

 

Perquisizione personale: modus operandi

► Modalità esecutiva:

  • Se si ricerca una cosa determinata, l’Ufficiale di polizia giudiziaria prima di procedere alla perquisizione, può (ma non deve) invitare a consegnarla. Se la cosa è presentata, non si procede a perquisizione, salvo che si ritenga utile farlo per la completezza delle indagini (art. 248, comma 1).
  • La perquisizione personale può essere iniziata anche in tempo di notte (e cioè, prima delle ore 7 e dopo le ore 20)
  • Tutte le perquisizioni, in quanto atti che «invadono l’altrui sfera giuridica», intaccando la persona o il patrimonio o il domicilio, sono assoggettate a particolari forme di garanzia: l’interessato è "avvisato" della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia (non necessariamente avvocato), purché questa sia prontamente reperibile e idonea (=idonea a essere «testimone ad atti del procedimento»: art. 120 c.p.p.).
    E’ opportuno che la Polizia Giudiziaria renda effettivo l’esercizio di tale diritto se non vi è pericolo nel ritardo o se questo non comporta un serio intralcio all’espletamento della perquisizione.
    L’inizio della perquisizione può essere, in tali casi, momentaneamente sospeso per consentire l’intervento della persona di fiducia prontamente reperibile. Analoga prassi va eseguita nell’ipotesi in cui la persona da perquisire vuole farsi assistere da un difensore.
  • La perquisizione è eseguita nel rispetto della dignità (è quindi opportuno procedere separatamente alla perquisizione di più persone) e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto (art. 349 comma 2). Vi procede (o la esegue materialmente) persona dello stesso sesso di quella che vi è sottoposta salvi casi di impossibilità o di urgenza assoluta o quelli in cui la perquisizione è fatta eseguire da persona esercente la professione sanitaria (art. 79 att.).
  • Le cose rinvenute a seguito di perquisizione sono sottoposte a «sequeatro» e custodite secondo quanto prescrivono gli articoli 259 e 260 c.p.p.
    Quando la perquisizione è disposta dall’Autorità giudiziaria (G.I.P. o P.M.) con “
    decreto motivato“ (art. 247 c.p.p.) questo deve obbligatoriamente indicare:

    -   la fattispecie criminosa commessa, specificandone gli elementi di tempo e azione;
    -   la norma penale che si ritiene violata (e non soltanto il titolo di reato).

    Il decreto di perquisizione ha forma scritta e, la copia va preventivamente consegnata al perquisendo.

    Non sono qualificabili come perquisizioni e possono perciò essere eseguite con modalità informali:

  1. la esibizione del contenuto di tasche, borse, valigie, quando la richiesta della Polizia Giudiziaria non è equiparabile a un ordine;
  2. la palpazione sommaria delle vesti di una persona (=verificare la presenza di armi odo oggetti atti a offendere) che la Polizia Giudiziaria effettua, dopo l’arresto o il fermo, al principale fine di tutelare la propria incolumità.

► Garanzie difensive:

  • Il difensore ha “facoltà” di assistere senza diritto di essere preventivamente avvisato (art. 356 c.p.p.). Della facoltà di farsi assistere, la stessa Polizia Giudiziaria deve dare notizia all’indagato se presente (art. 114 att.). La presenza del difensore non è però necessaria e, in difetto di nomina, alla Polizia Giudiziaria non è disposto di designare un difensore di ufficio.
  • Se l’indagato vuole farsi assistere da un difensore è opportuno che la Polizia Giudiziaria renda effettivo tale diritto se non vi è pericolo nel ritardo o se questo non comporta un serio intralcio all’espletamento dell’atto (Cass. 27372/06). L’inizio della perquisizione può essere, in tali casi, momentaneamente sospeso per consentire l’intervento del difensore.

► Documentazione e trasmissione:

  • L’atto di perquisizione è documentato mediante Verbale (la redazione deve essere contestuale al compimento dell’atto, salvo che non ricorrano insuperabili circostanze che la impediscano e che vanno indicate specificamente), che è trasmesso senza ritardo, e comunque non oltre le 48 ore dal compimento delle operazioni (previa conservazione di copia) al P.M. del luogo dove la perquisizione è stata eseguita.
    Il Pubblico Ministero convalida la perquisizione nelle 48 ore successive quando accerta che ne ricorrevano i presupposti (art. 252 comma 4).
    La documentazione relativa alla perquisizione è autonomamente posta a disposizione anche del P.M. competente in relazione al procedimento se diverso da quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita.
    La documentazione è conservata nel fascicolo delle indagini presso l’ufficio del P.M. e copia di esso è conservata presso gli uffici di polizia (art. 115 att.).
  • I dati della perquisizione vanno inserite nel «CED-SDI».
  • Le cose rinvenute a seguito di perquisizione sono sottoposte a "sequestro".

I verbali delle perquisizioni compiute dalla P.G., trattandosi di “atti non ripetibili”, vengono inseriti nel fascicolo del dibattimento e attraverso la lettura di questo sono utilizzabili ai fini del giudizio (art. 511 c.p.p.

Vi sono "responsabilità disciplinari" e "penali" in caso di perquisizioni arbitrarie o illegittime (perquisizioni arbitrarie - 609 c.p.; violenza privata - 610 c.p.; violazione di domicilio - 614-615 c.p.).

  • Ad esempio, nella flagranza di un reato, è corretto che alla perquisizione personale proceda immediatamente l’ Ufficiale o Agente di PG che ha effettuato l’arresto e che effettua la perquisizione per evitare la commissione di altri reati (accertare la presenza di armi) o per la ricerca del corpo del reato o di cose a questo pertinenti (recupero refurtiva); in caso di arresto per spaccio di stupefacenti, appare corretta l’immediata perquisizione personale, da parte degli Ufficiali operanti, sia del presunto spacciatore che dell’acquirente. Così come sarebbe corretta la perquisizione tempestivamente operata nel locale (anche unità mercantile) in cui lo spacciatore si fosse rifugiato o dove fosse stato raggiunto dai militari operanti che lo inseguivano. Sarebbe di certo correttamente operata anche una perquisizione nel domicilio dello spacciatore arrestato se questi, nella immediatezza e sul luogo del fatto, avesse dichiarato di detenervi altro stupefacente e/o vi fosse pericolo che il ritardo nella perquisizione domiciliare consentirebbe a eventuali correi di distruggere o appropriarsi della sostanza.

 

Perquisizione locale

  • E’ finalizzata alla ricerca del corpo del reato o di cose pertinenti al reato ovvero di un evaso o di un soggetto da ridurre in vinculis (arresto, fermo, misura custodiale o carcerazione) per reati di particolari gravità: cose o soggetti che si ha «fondato motivo» di ritenere che si trovino occultati nel luogo determinato da perquisire.

Si può parlare di «perquisizione locale» solo quando il luogo perquisito è nella disponibilità (assoluta o relativa) di taluno, al contrario, si è fuori dall’ambito delle perquisizioni per i luoghi aperti (campi, strade, locali abbandonati).

Ipotesi specifica di perquisizione locale è la c.d. perquisizione domiciliare, che riguarda solo le perquisizioni compiute in una abitazione o nei luoghi chiusi adiacenti ad essa (luoghi destinati ad uso domestico o destinati al suo servizio o completamento).

  • La perquisizione locale non è consentita in certi luoghi come ad esempio, nelle sedi diplomatiche, negli uffici dei difensori.
  • La perquisizione di autoveicoli o di altri mezzi di trasporto è assimilabile alla perquisizione locale. In alcuni casi, quando essa riguarda mezzi di trasporto chiusi, adibiti ad abitazione e idonei allo svolgimento della vita domestica (roulottes, campers, panfili privati, navi da pesca, ecc.) la perquisizione costituisce perquisizione domiciliare.

 ► Il presupposto per potere procedere a perquisizione locale è costituito:

  1. dal «fondato motivo» di ritenere che in un determinato luogo si trovi il condannato, l'imputato, la persona sottoposta alle indagini o l'evaso oppure si trovino occultate il corpo dei reato o cose pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse;
  2. la Polizia Giudiziaria deve contemporaneamente trovarsi ad agire in una delle situazioni di “urgenza presunta” rappresentate dalla:
  1. flagranza di reato[1]
  2. ricerca di un evaso
  3. necessità di procedere al fermo di una persona indiziata di delitto oppure alla esecuzione di una ordinanza che dispone la custodia cautelare o di un ordine che dispone la carcerazione.

     In questo ultimo caso, può peraltro procedersi a perquisizione solo se:

  1. l’ordinanza o l’ordine riguarda uno dei delitti per i quali l’arresto in flagranza è obbligatorio (art. 380 c.p.p.) oppure, nell’ipotesi di fermo di indiziato di delitto, il provvedimento deve essere adottato per uno dei delitti indicati all’art. 384 c.p.p.;
  2. sussistono particolari motivi di urgenza che non consentono la emissione di un tempestivo decreto motivato di perquisizione da parte del Pubblico Ministero.

I presupposti delle perquisizioni locali sono l’esistenza di fondati motivi e di situazioni di particolare urgenza (=pericolo nel ritardo).
Quanto ai fondati motivi, essi devono consistere in elementi oggettivi e non solo in semplici sospetti o vaghe congetture.

  • Ad esempio, non può procedersi a perquisizione sulla base di una denuncia anonima o una notizia confidenziale da parte del pescatore che ci denuncia un illecito sulla pesca e cioè di atti che non possono essere usati processualmente, ma solo per svolgere indagini di carattere preventivo che non arrecano pregiudizio ai diritti del cittadino.

Quanto al pericolo del ritardo, esso è presunto nei casi di flagranza o quasi flagranza e di evasione.

  • Ad esempio, va invece adeguatamente motivato ed esposto nel verbale di perquisizione nelle altre ipotesi (come la possibilità di fuga del ricercato, la probabilità che il corpo del reato venga rimosso, la probabilità di inquinamento delle prove).

La sussitenza dei presupposti del pericolo del ritardo e dei fondati motivi deve essere valutata con particolare attenzione dalla Polizia Giudiziaria.
La perquisizioni è infatti un “
atto irripetibile” e come tale può incidere irreversibilmente sulle scelte processuali del Pubblico Ministero, in particolar modo quando questi è divenuto il dominus (ha già assunto la direzione) delle indagini preliminari.

Perquisizione effettuate in assenza dei suindicatii presupposti di legge, comportano a carico del personale operante, provvedimenti disciplinari e penali:

  1. perquisizione personale arbitraria o illegittima (art. 609 c.p.);
  2. violenza privata (art. 610 c.p.);
  3. violazione di domicilio commessa da un Pubblico Ufficiale (artt. 614-615 c.p.)

La perquisizione effettuata in assenza di presupposti di legge è nulla e l’eventuale sequestro eseguito all’esito della stessa è inutilizzabile salvo si tratti di sequestro di cosa costituente corpo di reato o pertinenze al reato (Cass. Sez. Un. 5021/96)

  • Ad esempio, se il personale della motovedetta della Guardia Costiera opera nel mare territoriale una perquisizione su un motopesca in mancanza di fondati motivi, ma rinviene materiali espoldenti illegalmente detenuti a bordo, il Pubblico Ministero non può convalidare la perquisizione e il sequestro e può anche provvedere che venga instaurato a carico del personale operante un procedimento disciplinare (art. 16 e ss. att.) o penale (artt. 110 e 615 c.p.). Le materie esplodenti così rinvenute rimangono però in stato di “fermo reale” fino alla emissione di un valido sequestro e rapresenta comunque un elemento di prova a carico del titolare del motopesca che illegalmente le deteneva.

Ne consegue che i risultati di una perquisizione effettuata in assenza dei presupposti di legge (fondati motivi e pericolo di ritardo) possono comunque essere utilizzati indipendentemente dalle censure disciplinarri o penali nei confronti del personale operante (Cass. 29550/06 e Cass. 3626/06).

► Nel «procedimento davanti al Giudice di Pace», la Polizia Giudiziaria, se autorizzata dal Pubblico Ministero, può procedere alla perquisizione anche fuori delle situazioni di urgenza (art. 13 D.lgs., 28.8.200, n. 274).

 

 


 [1] Stato di chi viene colto nell’atto di commettere il reato (=flagranza)o subito dopo il reato inseguito ed è sorpreso con cose o tracce dalle quali appare che il soggetto ha commesso il fatto immediatamente prima (=quasi flagranza)

 

Perquisizione locale: modus operandi

► Modalità di esecuzione:

  • Se si ricerca una cosa determinata, l’Ufficiale di polizia giudiziaria o in casi eccezionali, gli Agenti di p.g. (all’art. 113 disp.att. c.p.p.), prima di procedere alla perquisizione, può (ma non deve) invitare a consegnarla. Se la cosa è presentata, non si procede a perquisizione, salvo che si ritenga utile farlo per la completezza delle indagini (art. 248, comma 1).
  • Può essere iniziata anche "in tempo di notte" salvo che non si tratti di perquisizione domiciliare. In tal caso non può essere iniziata prima delle ore 7 e dopo le ore 20. Fuori di tali limiti temporali può essere eseguita solo quando il ritardo potrebbe pregiudicarne l’esito.
  • La perquisizione su "delega" dell’Autorità giudiziaria in un’abitazione o nei luoghi chiusi ad essa adiacenti, può essere effettuata esclusivamente da Ufficiali di polizia giudiziaria (e NON anche dagli Agenti di p.g.) tra le ore 7 e le ore 20. I suddetti limiti temporali possono essere "derogati" con ordine scritto del Magistrato oppure di propria iniziativa dalla Polizia Giudiziaria quando il ritardo nell’esecuzione della perquisizione potrebbe pregiudicarne l’esito.
  •     I limiti temporali sono derogabili:
  1. nei casi urgenti: la deroga, per le perquisizioni nel domicilio, deve essere contenuta nel decreto motivato di perquisizione (art. 251 c.p.p.);
  2. nella flagranza di reato ed evasione: quando il ritardo nella esecuzione di una perquisizione domiciliare potrebbe pregiudicarne l’esito (art. 352 c.p.p.);
  3. in caso di reati di maggiore gravità: quando è previsto l’arresto obbligatorio o il fermo di polizia giudiziaria (art. 38 c.p.p.) e sussistono particolari motivi di urgenza che non consentono l’emissione di un tempestivo decreto di perquisizione (art. 352 c.p.p.).
  • Tutte le perquisizioni, in quanto atti che «invadono l’altrui sfera giuridica», intaccando la persona o il patrimonio o il domicilio, sono assoggettate a particolari forme di garanzia.
    L’interessato (che può essere l’indagato o chi ha comunque l’attuale disponibilità del luogo) è "
    avvisato della facoltà" di farsi rappresentare o assistere da idonea persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea (idonea a essere «testimone ad atti del procedimento»: art. 120 c.p.p.).
  • Quando manca l’interessato, l’avviso suindicato è rivolto ad un congiunto, un coabitante o un collaboratore ovvero, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci (art. 250 comma 2). Quando mancano le persone suindicate si procederà comunque alla perquisizione dando atto nel Verbale della situazione e degli atti (esempio forzatura di porta) necessariamente compiuti per introdursi nel luogo e per poi assicurarlo. L’Ufficiale di polizia giudiziaria può ordinare, enunciando nel Verbale i motivi, che taluno, presente o sopraggiunto nel corso della perquisizione, non si allontani dal luogo prima che le operazioni siano concluse. Chi trasgredisce all’ordine è trattenuto o ricondotto coattivamente su posto (art. 250 comma 3) e può rispondere del reato di cui all’art. 650 c.p.
  • La Polizia Giudiziaria può anche procedere a "perquisizione personale" delle persone presenti o sopraggiunte quando ha fondato motivo di ritenere che su di esse si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato (art., 250 comma 3 c.p.p.).
  • Le cose rinvenute a seguito di perquisizione locale sono sottoposte a «sequeatro» e custodite secondo quanto prescrivono gli articoli 259 e 260 c.p.p.

► Garanzie difensive:

  • Il difensore ha facoltà di assistere senza diritto di essere preventivamente avvisato, trattandosi normalmente di c.d. “atto a sorpresa”, della facoltà di farsi assistere, la stessa Polizia Giudiziaria deve dare notizia all’indagato se presente (art. 114 att.).

► Documentazione e trasmissione:

  • L’atto di perquisizione locale è documentata mediante Verbale (la redazione deve essere contestuale al compimento dell’atto, salvo che non ricorrano insuperabili circostanze che la impediscano e che vanno indicate specificamente), che è trasmesso senza ritardo, e comunque non oltre le 48 ore dal compimento delle operazioni al P.M. del luogo dove la perquisizione è stata eseguita. La documentazione relativa alla perquisizione è autonomamente posta a disposizione anche del P.M. competente in relazione al procedimento se diverso da quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita.
  • I dati della perquisizione vanno inserite nel «CED-SDI».
  • La documentazione è conservata nel fascicolo delle indagini presso l’Ufficio del P.M. e copia di esso è conservata presso gli Uffici di polizia (art. 115 att.). Le cose rinvenute a seguito di perquisizione sono sottoposte a sequestro. I verbali delle perquisizioni compiute dalla P.G., trattandosi di “atti non ripetibili”, vengono inseriti nel fascicolo del dibattimento e attraverso la lettura di questo sono utilizzabili ai fini del giudizio (art. 511 c.p.p.
  • Il verbale delle operazioni compiute è consegnato all'interessato o, se questi manca, a una delle persone intrevenute (congiunto, coabitante, collaboratore oppure, in mancanza, portiere o chi ne fa le veci).
  • Il Pubblico Ministero convalida la perquisizione nelle 48 ore successive quando accerta che ne ricorrevano i presupposti (art. 252 comma 4).

La perquisizione locale non può essere compiuta per iniziativa estemporanea del singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria. Vi sono "responsabilità disciplinari" e "penali" in caso di perquisizioni arbitrarie o illegittime (perquisizioni arbitrarie - 609 c.p.; violenza privata - 610 c.p.; violazione di domicilio - 614-615 c.p.).

La violazione degli altrui domicilio e l’eventuale danneggiamento dei beni saranno giustificati dall’accertamento della circostanza che chi ha operato lo ha fatto nell’adempimento di un dovere di istituto (art. 51 c.p.). Chi ha operato va dunque esente da pena e non è tenuto neppure al risarcimento dei danni. Può aggiungersi che, ove tali danni non siano dovuti a condotta censurabile sotto il profilo della prudenza, perizia, osservanza di norme, ma risultino obiettivamente giustificati da uno stato di necessità, i terzi danneggiati avranno diritto solo ad un’equa indennità (art. 2045 cod. civ.), dovuta se del caso, non al personale intervenuto ma dalla sua Amministrazione di appartenenza.
 

 

Le perquisizioni nelle leggi speciali

  • La Polizia Giudiziaria può procedere a perquisizione anche in taluni casi espressamente previsti da "leggi speciali" che, a seconda della finalità, si possono distinguere in:
  1. perquisizioni aventi finalità preventiva
  2. perquisizioni aventi finalità di polizia giudiziaria

Le prime possono essere compiute tanto da "Ufficiali" che da "Agenti" di polizia giudiziaria, e il cui scopo non è tanto l’acquisizione della notizia di reato, quanto l’espletamento di una attività di pubblica sicurezza. Più analiticamente, mentre la «funzione giudiziaria» è volta a finalità repressive, intervenendo dopo la commissione di un fatto costituente reato allo scopo di individuare l’autore e di impedirne l’aggravamento, la funzione di «pubblica sicurezza» ha carattere preventivo e si estrinseca in un’attività di vigilanza diretta ad impedire il verificarsi di fatti dannosi o pericolosi. Particolarmente rilievo in questo senso hanno le perquisizioni relative all’accertamento degli illeciti depenalizzati.

Di contro, le seconde, interessano direttamente il procedimento penale, in quanto portano all’accertamento della notizia di reato. Tali sono quelle previste dall’art. 225 att..

La prima ipotesi (in materia di armi) è contenuta nell’art. 41 Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 [58](T.U.L.P.S.), concernente le perquisizioni, esclusivamente locali, ed il conseguente sequestro, effettuate, anche fuori della flagranza o di evasione, da Ufficiali che da Agenti di polizia giudiziaria, che abbiano notizia (pure se anonima), «anche per indizio», dell’esistenza in qualsiasi locale o privato o in qualsiasi abitazione, di armi, munizioni e materie esplodenti, non denunciate o non consegnate o comunque illecitamente detenute.

La seconda ipotesi è individuata dall’art. 4 Legge 22 maggio 1975, n. 152 [59], sull’ordine pubblico, come modificata dalla Legge 19 marzo 1990, n. 53, recante nuove norme sulla prevenzione della delinquenza mafiosa (non espressamente richiamata dall’art. 225 att.) concernente le perquisizioni realizzate «sul posto», nel corso di operazioni di polizia, da Ufficiali e Agenti di P.G.
In particolare, a norma del suddetto articolo, in casi eccezionali di necessità e urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell’Autorità giudiziaria[1], la Polizia giudiziaria (U.P.G. e A.P.G.) può procedere, oltre che alla identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, nei confronti di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo, non appaiono giustificabili. In tale circostanza la perquisizione può estendersi al mezzo di trasporto (unità mercantile) utilizzato dalle persone predette per giungere sul posto.

  • Ad esempio, richiedere l’autorizzazione telefonica al magistrato competente renderebbe vana la perquisizione alla quale è invece urgente (il ritardo ne comprometterebbe l’esito) e necessario (indispensabile) procedere, in vista del raggiungimento dello scopo dell’atto. Si pensi al fondato motivo, da parte del personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, di ritenere che a bordo di una nave da pesca si trovi materiale esplodente che potrebbe essere utilizzato per l’esercizio della pesca ove non si procedesse alla perquisizione.

Alle perquisizioni fino a qua esaminate, può essere assimilata quella compiuta per il “Contrasto della immigrazione clandestina” (art. 12 comma 7, Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 [60]).

La disciplina appena esposta si applica, per espresso richiamo dell’art. 4 L. 152/75, anche alle perquisizioni eseguite dai militari delle FF.AA. (a disposizione dei Prefetti), nell’ambito di operazioni di sicurezza e controllo del territorio, per la prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e, in particolare, all’accertamento dell’eventuale possesso di armi, esplosivi al fine specifico di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità delle popolazioni, la sicurezza dei luoghi o delle infrastrutture.

I presupposti delle operazioni di polizia in corso e della particolare necessità o urgenza accomunano la tipica perquisizione sul posto alle perquisizioni per la “prevenzione e repressione del traffico di sostanze stupefacenti”.
E’ la perquisizione, sia personale che locale, che gli U.P.G. (e Non anche l’Agente) possono compiere per ricercare "sostanze stupefacenti o psicotrope" ai sensi delle disposizioni contenute all’art. 103 T.U. approvato con 
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 [61].

 

 


[1] Si riferisce ad ipotesi in cui il tempo occorrente per richiedere e ottenere il decreto di perquisizione dell’A.G. renderebbe vana la perquisizione alla quale è invece urgente (= il ritardo ne comprometterebbe l’esito) e necessario (=indispensabile) procedere, in vista del raggiungimento dello scopo dell’atto.

 

Perquisizione locale in materia di armi (art. 41 T.U.L.P.S.)

Tale ipotesi (in materia di armi) è contenuta nell’art. 41 R.D. 18.6.1931, n. 773 (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza), concernente le perquisizioni, "esclusivamente locali" ed il conseguente sequestro, effettuate di iniziativa estemporanea, anche fuori della flagranza o di evasione, da Ufficiali che da Agenti di polizia giudiziaria, che abbiano notizia (pure se anonima), «anche per indizio», dell’esistenza in qualsiasi locale (pubblico o privato o in qualsiasi abitazione), di armi, munizioni e materie esplodenti, non denunciate o non consegnate o comunque illecitamente detenute.

A differenza delle perquisizioni previste dal Codice di rito (artt. 352-356), la perquisizione in esame è solo locale (anche domiciliare ed estendibile al mezzo di trasporto) e non anche personale.

  • Per la sua intrinseca e inderogabile urgenza (dovuta al pericolo per la sicurezza pubblica discendente dalla illegale detenzione di armi) è effettuata oltre che dagli Ufficiali anche dagli Agenti polizia giudiziaria e sulla base di elementi di prova più generici. Per questa ragione, si ritiene solitamente che, a legittimarla, possa essere anche una notizia anonima o confidenziale.

► Garanzie difensive:

    Si applicano le garanzie previste per le perquisizioni locali disciplinate dal codice (artt. 352 e 356 c.p.p.).

  • Il difensore ha “facoltà” di assistere senza diritto di essere preventivamente avvisato (art. 356 c.p.p.). Della facoltà di farsi assistere, la stessa Polizia Giudiziaria deve dare notizia all’indagato se presente (art. 114 att.). La presenza del difensore non è però necessaria e, in difetto di nomina, alla Polizia Giudiziaria non è disposto di designare un difensore di ufficio.
  • Se la persona vuole farsi assistere da un difensore è opportuno che la Polizia Giudiziaria renda effettivo tale diritto se non vi è pericolo nel ritardo o se questo non comporta un serio intralcio all’espletamento dell’atto (Cass. 27372/06). L’inizio della perquisizione può essere, in tali casi, momentaneamente sospeso per consentire l’intervento del difensore.

► Documentazione e trasmissione:

  • Il verbale della perquisizione è trasmeso all’ufficio del Pubblico Ministero non oltre le 48 ore; il P.M. procede, nelle 48 ore successive, alla convalida della perquisizione (e dell’eventuale sequestro).
  • I dati della perquisizione vanno inseriti nel CED-SDI.

 

Perquisizione sul posto

  • Tale ipotesi è individuata dall’art. 4  Legge 22 maggio 1975, n. 152 [59], come modificata dalla Legge 19 marzo 1990, n. 53, recante nuove norme sulla prevenzione della delinquenza mafiosa (non espressamente richiamata dall’art. 225 att.) e concerne le perquisizioni realizzate «sul posto», nel corso di "operazioni di polizia", da Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria.

In particolare, a norma del suddetto articolo, in casi eccezionali di necessità e urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell’Autorità giudiziaria , la Polizia giudiziaria (U.P.G. e A.P.G.) può procedere, oltre che alla identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, nei confronti di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo, non appaiono giustificabili.

► Presupposti per poter procedere alla perquisizione sul posto:

  1. sia in corso una operazione di polizia (=operazione a vasto raggio od operatzione ordinaria svolta da pattuglie), e non si tratti, perciò, di iniziativa occasionale (estemporanea) del singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria;
  2. ricorrano casi eccezionali di necessità e di urgenza, che non consente un tempestivo intervento del Pubblico Ministero;
  • Ad esempio, richiedere l’autorizzazione telefonica al magistrato competente renderebbe vana la perquisizione alla quale è invece urgente (il ritardo ne comprometterebbe l’esito) e necessario (indispensabile) procedere, in vista del raggiungimento dello scopo dell’atto. Si pensi al fondato motivo, da parte del personale del Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia Costiera, di ritenere che a bordo di una nave da pesca si trovi materiale esplodente che potrebbe essere utilizzato per l’illecito esercizio della pesca ove non si procedesse alla perquisizione.
  1. la perquisizione sia rivolta all'accertamento dell'eventuale possesso di armi, materie esplodenti e strumenti di effrazione.

► Modalità esecutie:

  1. è eseguita su persona, il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di tempo e di luogo, non appare giustificabile;
  • Si pensi, ad esempio a chi con atteggiamento sospetto si avvicina a stazioni marittime oppure d una nave ormeggiata in porto o a stazioni ferroviarie, con involucri sospetti....
  1. si può estendere al mezzo (= nave, unità da diporto) usato dalla persona per giungere sul posto;
  2. può essere eseguita (o proseguita), se la persona da perquisire vi consente, in Ufficio di polizia (per evidenti esigense di riservatezza).

► Garanzie difensive:

  1. il difensore ha facoltà di assistervi senza diritto di essere preventivamente avvisato; se l’indagato vuole farsi assistere da un difensore è opportuno che la Polizia Giudiziaria renda effettivo tale diritto se non vi è pericolo nel ritardo o se questo non comporta un serio intralcio all’espletamento dell’atto.

► Documentazione e trasmissione:

  1. La perquisizione sul posto è documentata mediante Verbale che viene consegnato in copia all’interessato e trasmesso, entro 48 ore, al Pubblico Ministero per la convalida (art. 13 Cost.);
  2. se la perquisizione è stata estesa al mezzo di trasporto e per essa è stato redatto un autonomo Verbale, di questo non è prevista la consegna all’interessato.
  • I dati della perquisizione vanno inserite nel CED-SDI.

La disciplina appena esposta si applica, per espresso richiamo dell’art. 4 L. 152/75, anche alle perquisizioni eseguite dai "militari delle FF.AA." (a disposizione dei Prefetti), nell’ambito di operazioni di sicurezza e controllo del territorio, per la prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e, in particolare, all’accertamento dell’eventuale possesso di armi, esplosivi al fine specifico di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità delle popolazioni, la sicurezza dei luoghi o delle infrastrutture. 

 

 

Perquisizione per la prevenzione e repressione del traffico di stupefacenti

  • I presupposti delle operazioni di polizia in corso e della particolare necessità o urgenza accomunano la tipica perquisizione sul posto alle perquisizioni per la “prevenzione e repressione del traffico di sostanze stupefacenti”.

E’ la perquisizione, sia "personale che locale", che gli Ufficiali di polizia giudiziaria (e NON anche l’Agente) possono compiere per ricercare sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi delle disposizioni contenute all’art. 103 T.U. approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 [61].

► Presupposti:

Presupposti per procedere alla perquisizione è che:

  1. sia in corso una "operazione di polizia" e non si tratti, perciò, di iniziativa estemporanea del singolo Ufficiale di polizia giudiziaria;
  2. deve sussistere il "fondato motivo" di ritenere che, mediante la perquisizione, possano rivenirsi sostanze stupefacenti o psicotrope
  3. ricorrano motivi di particolare necessità e urgenza tali da non consentire neppure di richiedere l’autorizzazione telefonica alla perquisizione al Magistrato competente.

► Modalità di esecuzione:

  • L'Ufficiale di polizia giudiziaria, prima di procedere alla perquisizione, può (ma non deve) invitare a consegnare la droga. Se la droga è presentata, non si procede a perquisizione, salvo che si ritenga utile farlo per la completezza delle indagini (art. 248, comma 1).
  • Può essere iniziata anche "in tempo di notte" salvo che non si tratti di perquisizione da effettuiare preso il domicilio. In tal caso non può essere iniziata prima delle ore 7 e dopo le ore 20. Fuori di tali limiti temporali può essere eseguita solo quando il ritardo potrebbe pregiudicarne l’esito.
  • La perquisizione su "delega" dell’Autorità giudiziaria in un’abitazione o nei luoghi chiusi ad essa adiacenti, può essere effettuata esclusivamente da Ufficiali di polizia giudiziaria tra le ore 7 e le ore 20. I suddetti limiti temporali possono essere "derogati" con ordine scritto del Magistrato oppure di propria iniziativa dalla Polizia Giudiziaria quando il ritardo nell’esecuzione della perquisizione potrebbe pregiudicarne l’esito.  
  • La perquisizione, in quanto atto che «invade l’altrui sfera giuridica», intaccando la persona o il patrimonio o il domicilio, è assoggettata a particolari forme di garanzia. L’interessato (che può essere l’indagato o chi ha comunque l’attuale disponibilità del luogo) è "avvisato della facoltà" di farsi rappresentare o assistere da idonea persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea (idonea a essere «testimone ad atti del procedimento»: art. 120 c.p.p.). Quando manca l’interessato, l’avviso suindicato è rivolto ad un congiunto, un coabitante o un collaboratore ovvero, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci (art. 250 comma 2). Quando mancano le persone suindicate si procederà comunque alla perquisizione dando atto nel Verbale della situazione e degli atti (esempio forzatura di porta) necessariamente compiuti per introdursi nel luogo e per poi assicurarlo. L’Ufficiale di polizia giudiziaria può ordinare, enunciando nel Verbale i motivi, che taluno, presente o sopraggiunto nel corso della perquisizione, non si allontani dal luogo prima che le operazioni siano concluse. Chi trasgredisce all’ordine è trattenuto o ricondotto coattivamente su posto (art. 250 comma 3) e può rispondere del reato di cui all’art. 650 c.p.
  • L'Uffiiciale di polizia giudiziaria può anche procedere a "perquisizione personale" delle persone presenti o sopraggiunte quando ha fondato motivo di ritenere che su di esse si trovino occultate sostanze stupefacenti o psicotrope (art., 250 comma 3 c.p.p.).
  • Possono prevedere, se autorizzate dal Pubblico Ministero del luogo ove la perquisizione deve essere eseguita, anche "esami radiologici".
  • La droga rinvenuta a seguito di perquisizione è sottoposta a «sequestro» e custodita secondo quanto prescrivono gli articoli 259 e 260 c.p.p. (si pensi al rinvenimento di ovuli contenenti stupefacenti da fare poi espellere con adeguate terapie).
  • Al fine di prevenire e reprimere il traffico di stupefacenti, l’art. 99 D.P.R. 309/90 prevede la possibilità di procedere alla «perquisizione e cattura di navi». La nave italiana da guerra o in servizio di polizia (della Marina e dell’Aeronautica Militare, di una delle cinque Forze di Poliza interforze), che nel mare territoriale o in alto mare, incontra una nave nazionale (anche unità da diporto) può fermarla, sottoporla a vistita e perquisizione del carico, catturarla e condurla in un porto dello Stato o nel porto estero più vicino. Tali attività possono essere compiute quando sussiste il «sospetto» che la nave sia adibita al trasporto di stupefacenti.
  • Il sospetto sussiste anche quando la nave"viaggia con fari spenti", non risponde alle segnalazioni o pendola prolungatamente lungo lo stesso tratto di mare.
  • Le perquisizioni personali degli occupanti della nave e quelle delle cabine seguono la disciplina del Codice di rito.
  • I poteri di fermo, visita, perquisizione e cattura possono essere esercitati anche su aeromobili e navi non nazionali che si trovano in acque territoriali o entro i limiti previsti dalle norme internazionali. L’art. 5 D.P.R. 309/90 (Controllo e vigilanza) – Legge 22 dicembre 1975, n. 685, n. 3 stabilisce che per l’esercizio del controllo e della vigilanza il Ministero della Sanità si avvale normalmente dei nuclei specializzati dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, della Guardia di Finanza, della Forza Armata dei Carabinieri e, nei casi urgenti, di qualsiasi Ufficiale e Agente della forza pubblica.
  • Per quanto riguarda il «controllo sulle navi» e sugli aeromobili l’azione è coordinata con le Capitanerie di Porto o con i comandi di aeroporto.

► Garanzie difensive:

  • Il difensore ha facoltà di assistere senza diritto di essere preventivamente avvisato, trattandosi normalmente di c.d. “atto a sorpresa”, della facoltà di farsi assistere, l'Ufficiale di polizia giudiziaria deve dare notizia all’interessato se presente (art. 114 att.).

► Documentazione e trasmissione:

  • La perquisizione (e l'eventuale sequestro) è documentata mediante Verbale che viene consegnato in copia all’interessato e trasmesso, senza ritardo e comunque entro 48 ore, al Pubblico Ministero per la convalida.
  • I dati della perquisizione vanno inserite nel CED-SDI.

 

 

 

Perquisizione per il contrasto della immigrazione clandestina

  • La perquisizione compiuta per il “contrasto della immigrazione clandestina” (art. 12 comma 7 Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 [60]), è la "perquisizione locale", ivi compresa quella domiciliare, che gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria che operano nelle province di confine e nelle acque territoriali, possono compiere per prevenire e reprimere condotte dirette a violare le norme sull’ingresso e la permanenza di stranieri nel territorio dello Stato.

► Presupposti:

  • Sia in corso una "operazione di polizia" strumentale al contrasto dell'immigrazione clandestina (non deve trattarsi, perciò, di iniziativa estemporanea del singolo Ufficiale di polizia giudiziaria) disposta nell’ambito delle direttive impartite dal Ministro dell’Interno per il controllo delle frontiere e la vigilanza marittima o terrestre (art. 11 comma 3 D.lgs. 286/98)
  • sussista il fondato motivo, deducibile anche da specifiche circostanze di tempo o di luogo, di ritenere che mezzi di trasporto e cose trasportate possano essere utilizzati per la commissione di reati collegati al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

► Modalità esecutive:

  • Valgono le disposizioni delle perquisizioni tipiche locali e, in specie quelle che, quando il ritardo può pregiudicarne l’esito, consentono la perquisizione sui mezzi di trasporto adibiti ad abitazione (c.d. perquisizioni nel domicilio) anche in tempo di notte (prima delle ore sette e dopo le ore venti)

► Garanzie difensive:

  • Si applicano le garanzie previste per le perquisizioni personali e locali disciplinate dal Codice (artt. 352 e 356 c.p.p.)

► Documentazione e trasmissione:

  • Le operazioni di perquisizione (e di eventuale sequestro) sono documentate mediante Verbale.
  • La legge non precisa se l’Ufficiale di polizia giudiziaria debba procedere alla consegna di copia del verbale all’interessato. Il verbale deve contenere tra l’altro, la indicazione dei presupposti richiesti per la esecuzione dell’atto.
  • Della perquisizione è data notizia, senza ritardo e comunque entro 48 ore, al Procuratore della Repubblica del luogo ove la perquisizione è avvenuta che, ricorrendone i presupposti, la convalida entro le successive 48 ore.
  • I dati della perquisizione vanno inserite nel CED-SDI.

 

Accertamenti urgenti

  • Complesso di atti tipici ed atipici, che, con finalità investigative ed assicurative[1], gli Ufficiali di polizia giudiziaria compiono quando il Pubblico Ministero non può intervenire tempestivamente o prima che lo stesso non abbia assunto la direzione delle indagini, e sussiste il pericolo (=timore) che, prima di tale intervento, siano soggetti a modificazione lo stato delle persone, dei luoghi, delle cose pertinenti al reato oltre che le tracce di questo.
  • Si pensi, ad esempio, al reato di violazione di sigilli (art. 249 c.p) di un manufatto sottoposto a precedente provvedimento di sequestro penale.

Nel procedimento davanti al "Giudice di Pace", la Polizia Giudiziaria, se autorizzata da Pubblico Ministero, può procedere agli accertamenti urgenti anche fuori delle situazioni di urgenza (art. 13 D.lgs. n. 274/2000).

Per la esecuzione materiale degli accertamenti, gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono avvalersi dell’ausilio degli Agenti, ma debbono essere presenti durante le oprerazioni relative.

La Polizia Giudiziaria può avvalersi di «ausiliari» quando deve eseguire accertamenti, rilievi (fotografici, segnaletici, descrittivi) e operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche (art. 348 comma 4 c.p.p.)

  • Gli accertamenti urgenti presuppongono il compimento di una "attività generica di conservazione" che la Polizia Giudiziaria svolge, non appena acquisita la notizia di reato per la ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato nonché per la conservazione di esse e dello stato dei luoghi (c.d. fermo reale). L’attività generica di conservazione è contestuale o precedente rispetto agli accertamenti urgenti e consiste, in particolare, nel curare che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi e delle cose non venga mutato prima dell’intervento del Pubblico Ministero (art. 354 comma 1).
  • Ad esempio, quando un Ufficiale di polizia giudiziaria, giunge sul luogo del fatto, in casi di urgenza deve dare disposizioni per isolarlo, evitare anche involontariamente modificazioni, osservarlo e descriverlo. Deve fare molta attenzione a non toccare direttamente gli oggetti e non disperdere le tracce rilevabili. In ciò consiste l’attività generica di conservazione.

► Modalità di esecuzione:

Una volta compiuta l’attività di conservazione, l’Ufficiale e l’Agente di polizia giudiziaria (nei soli casi previsti dall’art. 113 att. c.p.p.), possono procedere, di propria iniziativa, agli accertamenti urgenti (rilievi, ispezioni di luoghi e di cose, sequestri) se l’intervento del P.M. non può essere tempestivo o prima che lo stesso non abbia assunto la direzione delle indagini, e se il ritardo rende probabile la alterazione, la modificazione o la distruzione dell’oggetto di indagine.

  • Può pensarsi, ad esempio, al caso del rilevamento di impronte plantari o di pneumatico lasciate sulla spiaggia a seguito di furto di sabbia (artt. 52 e 1162 cod. nav. e 624 c.p.), che andrebbero disperse a seguito del sopraggiungere dell’alta marea o della pioggia.

Se del caso sequestrano (art. 354, comma 2 c.p.p.) il corpo del reato e le cose a questo pertinenti. [2]

Se gli accertamenti comportano il prelievo di "materiale biologico" (capelli, unghie, sangue, saliva, urina, ecc.), e manca il consenso dell’interessato, la Polizia Giudiziaria procede al «prelievo coattivo» nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, dal Pubblico Ministero (art. 349, 2 bis)[3]

► Garanzie difensive:

Il difensore ha facoltà di assistere senza diritto di essere preventivamente avvisato, trattandosi normalmente di c.d. “atto a sorpresa”, della facoltà di farsi assistere, la stessa Polizia Giudiziaria deve dare notizia all’indagato se presente (art. 114 att.).
La presenza del difensore non è necessaria e, in difetto di nomina, alla Polizia Giuidiziaria non è imposto di designare un difensore di ufficio. Se l’indagato vuole farsi assistere da un difensore, è opportuno, che la Polizia Giudiziaria renda effettivo tale diritto se non vi è pericolo (=timore) nel ritardo o se questo non comporta un serio intralcio all’espletamento dell’atto. L’inizio dell’accertamento può essere, in tali casi, temporaneamente sospeso per consentire l’intervento del difensore.

► Documentazione e trasmissione:

L’attività svolta è documentata mediante "Verbale integrale" (art. 357 comma 2, lett. e) il quale viene redatto contestualmente o immediatamente dopo.
Nel caso in cui abbia proceduto a sequestro, la Polizia Giudiziaria enuncia nel relativo Verbale il motivo del provvedimento e ne consegna copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate (art. 355 c.p.p).
La documentazione è posta a disposizione del Pubblico Ministero (art. 357 comma 4 c.p.p.), previa conservazione di una copia, e se non è intervenuto sequestro (art. 355 comma 1 c.p.p.), va trasmessa senza ritardo.

  • Quando si tratta, ad esempio, di reato perseguibile a querela (art. 15 lettera e Legge n. 963/65 e succ. modif.), la documentazione relativa agli accertamenti urgenti svolti (filmati, rilievi fotografici, schizzi, planimetrie, ecc.) va trasmessa solo se il Pubblico Minuistero ne fa richiesta (art. 112 att. c.p.p.)

La documentazione è conservata nel fascicolo delle indagini presso l’ufficio del Pubblico Ministero. Copia di essa è conservata presso gli Uffici di poliiza (art. 115 att. c.p.p.)
I dati dell’accertamento urgente vanno inseriti nel CED-SDI.

Nella maggior parte dei casi l’accertamento urgente è un atto “non ripetibile” (cioè per sua natura non rinnovabile), e, come tale, ha una utilizzabilità piena fuori del dibattimento e anche nel dibattimento.

Nella vasta categoria degli "accertamenti urgenti" rientrano:

  1. sequestri [4] ;
  2. ispezioni di luoghi e cose (c.d. sopralluogo);
  3. ispezioni per la prevenzione e repressione di delitti di criminalità organizzata;
  4. ispezioni per la prevenzione e repressione del traffico di stupefacenti;
  5. ispezioni personali;
  6. rilievi, le operazioni tecniche e altri tipi di accertamento.

Nelle indagini dirette riveste altresì grande importanza il «sopralluogo» cioè quel complesso di operazioni, dirette ad individuare, raccogliere e fissare tutti gli elementi utili alla ricostruzione dell’evento e alla identificazione del colpevole.

 

 


[1] Gli accertamenti urgenti hanno caratteristiche varie, e possono avere sia finalità investigative (ad esempio, le ispezione dei luoghi) sia finalità assicurative (ad esempio, il sequestro del corpo di reato); possono consistere in atti tipici (come le ispezioni dei luoghi o delle cose, ovvero il sequestro del corpo del reato o delle cose a questo pertinenti) ovvero atipici (come i rilievi e le operazioni tecniche sullo stato dei luoghi delle cose o delle persone: il rilevamento di impronte, la estrazione di una scheggia dal corpo di un ferito, il prelevamento di sabbia dal demanio marittimo, ecc.).

[2] Il sequestro è previsto obbligatoriamente per gli immobili in cui sono stati rinvenuti armi da sparo, esplosivi o ordigni esplosivi o incendiari, a norma dell’art. 3 della legge 8 agosto 1977, n. 533 sull’ordine pubblico.

[3]  Art. 349, 2 bis: inserito dall’art. 10, comma 1, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2005, n. 155. 

[4]Si tratta di atti tipici disciplinati dagli articoli artt. 354, 355, 365, 253 e segg. c.p.p.

  

Accertamenti urgenti: modus operandi

► Modalità operative (modus operandi)

  1. Quando la Polizia Giudiziaria giunge sul luogo del fatto deve dare disposizioni per isolarlo, evitarne anche involontariamente modificazioni, osservarlo e descriverlo. Deve fare molta attenzione a non toccare direttamente gli oggetti e a non disperdere le tracce rilevabili. In ciò consiste quella che si è definita “attività generica di conservazione”;
  1. una volta compiuta l’attività di conservazione, si procederà agli "accertamenti urgenti" (rilievi, ispezioni non personali…) solo se l’intervento del Pubblico Ministero può avvenire in un momento tanto successivo da rendere probabile la alterazione, la modificazione o la distruzione dell’oggetto di indagine.
  • Può farsi, ad esempio,  il caso del rilevamento di tracce di sangue lasciate sulla spiaggia, luogo facilmente accessibile o non protetto rispetto a modificazioni dipendenti dalle condizioni meteorologiche.
  1. quando procede ad ispezioni dei luoghi, la Polizia Giudiziaria può ordinare, enunciando nel Verbale i motivi del provvedimento, che taluno non si allontani prima che le ispezioni siano concluse;
  1. quando il Pubblico Ministero non interviene, autorizza la Polizia Giudiziaria a rimuovere un cadavere ed a procedere ai rilievi che lo concernono; tali rilievi possono essere compiuti dalla Polizia Giudiziaria anche di iniziativa (ad esempio, perché si teme la sparizione delle tracce del reato per fenomeni di putrefazione);
  1. l’esistenza dei "presupposti" per l’accertamento urgente (pericolo di dispersione, alterazione o modificazione delle tracce, luoghi e cose) deve essere motivata e risultare dal Verbale;
  1. la Polizia Giudiziaria può compiere "rilievi esteriori" sulla persona. Non può però compiere ispezioni personali. Consegue da ciò che la Polizia Giudiziaria può accertare segni o tracce utili (macchie tatuaggi, ecchimosi); rilevare l’età apparente di una persona; rilevare il colore, l’odore, lo stato di conservazione, le mutilazioni, la sede, l’atteggiamento, le lesioni,le macchie, l’abbigliamento, i connotati salienti.
    Non rientrano invece nei rilievi puramente esteriori e, pertanto
    non possono essere compiuti dalla Polizia Giudiziaria ad esempio, i rilievi che devono essere compiuti su parti del corpo non esposte normalmente alla vista altrui, specialmente nel caso in cui ciò può imporre un mancato riguardo all’intimità o al pudore della persona.
  • Si pensi, in via di esempio, alla ipotesi in cui il primo intervento sulla spiaggia, dove è stato rilevata la presenza di un cadavere, avvenga ad opera di personale del Corpo delle Capitanerie di Porto (NODM). Richiamato quanto osservato sul punto, in via generale, spetterà ad esempio al personale del Corpo delle Capitanerie di porto intervenuto, procedere sia all’attività generica di conservazione che agli accertamenti e rilievi necessari anche avvalendosi di ausiliari. E’ ovvio, peraltro, che il successivo intervento di Ufficiali di polizia giudiziaria a "competenza generale" (Polizia di Stato, Carabinieri, ecc.) consentirà al personale del Corpo delle Capitanerie di porto di limitare la propria attività a quella direttamente ed immediatamente connessa ai propri compiti di istituto. Il personale del Corpo delle Capitanerie di porto dovrà trasmettere al Pubblico Ministero l’informativa sul fatto reato e la documentazione sulle attività svolte.Opererà anche per il personale del Corpo, l’art. 113 att. che consente anche ai semplici Agenti di polizia giudiziaria di compiere gli accertamenti urgenti in casi di particolare necessità e urgenza.
  • I dati delle ispezioni vanno inserite nel CED-SDI.

 

I rilievi e altri accertamenti

Oltre che in sequestri ed ispezioni (di luoghi e cose), gli accertamenti urgenti previsti dall’art. 354 commi 2 e 3 c.p.p., possono consistere

  1. in rilievi
  2. operazioni tecniche ed altri tipi di accertamento

In tema di accertamenti è utile fare qualche precisazione terminologica, relativamente ai rapporti con i c.d. rilievi. Essi non hanno natura di perizia e mirano a riprodurre su documenti ed a fissare stabilmente aspetti di realtà – esaminati in modo diretto – rilevanti ai fini delle indagini: riguardano la constatazione e raccolta di dati materiali pertinenti al reato e consistono dunque in una attività di semplice «rilevamento» e «conservazione».
Possono essere effettuati con tutti i mezzi a disposizione della scienza e della tecnica, oltre che con la osservazione diretta.

Si distinguono «rilievi descrittivi», «rilievi dattiloscopici» (rilevamento delle impronte digitali), «rilievi antropometrici» (rilevamento delle misure corporee), «rilievi fotografici». I rilievi sono spesso finalizzati all’accertamento dell’identità di un soggetto (rilievi segnaletici).

  • Ad esempio, fra gli accertamenti urgenti si rammentano i rilievi fotografici di arenili interessati da operazioni di prelievo abusivo di sabbia; di occupazioni abusive di suolo demaniale marittimo; e i rilievi aeromobili (telerilevamenti) di presenza di prodotto inquinante in mare.

Per il compimento dei rilievi ci si può avvalere dell’operato degli «ausiliari» di polizia giudiziaria, ex art. 348 c.p.p.

 

 

Le ispezioni

  • Consistono in una attività volta alla ricerca diretta (=osservazione, constatazione e rilevazione) e, in caso positivo, alla consequenziale acquisizione di “tracce di reato” ed degli altri effetti materiali che il reato ha lasciato su persone, luoghi e cose.

Le ispezioni sono effettuate soprattutto durante le indagini preliminari, ad opera della Polizia giudiziaria (art. 354 co. 3 con la esclusione per essa della sola ispezione personale) e dal P.M., ma talvolta avvengono anche nel corso del dibattimento ad opera del Giudice.
I controlli e le ispezioni che possono riguardare sia i
mezzi di trasporto che i bagagli e gli effetti personali, si sostanziano in un’attività di osservazione e percezione diretta, che può essere eseguita tanto da Ufficiali che da Agenti di polizia giudiziaria e che posono progredire (=sconfinare) in vere e proprie perquisizioni (eseguite solo dagli Ufficiali di polizia giudiziaria), quando sia necessario in conseguenza dei risultati cui ha indotto l’originario intervento investigativo.

► A seconda dell’oggetto, si distinguono:

  1. ispezione personale, quando la ricerca delle tracce e degli altri effetti materiali che il reato abbia lasciato (ad esempio, lesioni) è effettuata direttamente su una persona. Questa, a tutela della sua personalità, anche quando non è indagata, ha facoltà di farsi assistere da idonea persona di sua fiducia.
    L’atto
    non può essere compiuto dalla Polizia Giudiziaria (il divieto vale anche nell’ipotesi di attività delegata), incidendo necessariamente sulla dignità e sul pudore di chi vi è sottoposto, sicché, a miglior loro garanzia, è riservato alla A.G., che, può, peraltro, delegare un medico (ad esempio, per rilevare lesioni personali o malattie, prelivo di sangue e urina, ecc,).

Sulle persone, la Polizia Giudiziaria può peraltro compiere consensualmente o anche coattivamente - ricorrendo i consueti presupposti della necessità e dell’urgenza - accertamenti e rilievi esteriori diversi dalla ispezione personale (poiché il cadavere non è considerato persona, su di esso possono essere eseguiti anche atti di ispezione purché sussistano i presupposti che legittimano l’accertamento urgente).

  • Per «rilievi esteriori», si intendono tutte le attività di osservazione e descrizione che, per un verso, non comportano restrizioni fisico-morali alla libertà del soggetto e, per un altro, non si attuano attraverso medodi invasivi della sfera corporale del soggetto stesso.
  • Rientrano, ad esempio, tra i rilievi esteriori l’accurata descrizione, da parte della Polizia Giudiziaria, di una persona o di parti del suo corpo; l’accertamento sulla persona di segni o tracce utili (macchie, tatuaggi, segni di lotta, ecchimosi, escoriazioni, voglie, ecc.); il rilievo dell’età apparente, i connotati salienti, il colore, l’odore, lo stato di conservazione, l’altezza, le mutilazioni e l’atteggiamento di una persona. Tra i rilievi esteriori infine possono farsi rientrare anche il rilevamento di impronte, l’applicazione di procedure per l’accertamento di residui da sparo (mediante stubs).

Non rientrano fra i rilievi esteriori (e pertanto non possono essere compiuti dalla Polizia Giudiziaria) i rilievi che devono essere compiuti su parti del corpo, che non essendo esposte normalmente alla vista altrui, determinano un mancato riguardo all’intimità o al pudore della persona. In questi casi si è in presenza di rilievi invasivi o di rilievi che incidono sulla libertà morale.

  • Rientrano, ad esempio, tra i rilievi vietati alla Polizia Giudiziaria gli accertamenti medici invasivi e cioè quelli che richiedono la somministrazione di sostanze oppure la introduzione di sonde o di altri strumenti nel corpo della persona sottoposti all’esame (prelievo di materiale biologico, di acido desossi ribonucleico (D.N.A.).

Tali rilievi invasivi possono essere effettuati solo dall’Autorità Giudiziaria e la loro effettuazione può avvenire coattivamente, ossia anche in mancanza del consenso dell’interessato esclusivamente nei casi e nei modi previsti dlla legge (Corte Cost. 238/96).

  • Per limitare i negativi effetti determinati dall’assenza di una normativa organica sui prelievi coattivi di materiale biologico, il legislatore ha dettato ultimamente (artt. 349. comma 2 e 354. comma 3 e art. 10. comma 4 quater D.L. 27.7.2003, n. 144 conv. nella Legge 31 luglio 2005, n. 155 [62]) previsioni urgenti che legittimano alcuni di tali prelievi (anche coattivi) e, segnatamente, quelli di capelli e saliva, nei confronti di persone sospette o indagate nel corso di accertamenti diretti alla sua identificazione.

Al prelievo coattivo la Polizia Giudiziaria può procedere solo previa autorizzazione del Pubblico Ministero, che deve essere data per iscritto oppure anche oralmente con successiva conferma scritta.

  1. ispezione locale, quando la ricerca è effettuata nel domicilio o anche in altri luoghi;
  2. ispezione reale, quando è eseguita su una cosa (ad esempio, la ricerca di impronte sulla carrozzeria di un’autovettura);

In tutti i tipi di ispezione, il "difensore" ha sempre e comunque il diritto di assistere all’atto. Ha diritto al "preavviso" per le ispezioni disposte dal Giudice e, tranne i casi di assoluta urgenza, per quelle compiute dal P.M. o, per sua delega, da un Ufficiale di polizia giudiziaria. Non ha, quindi, diritto al preavviso per tutte le ispezioni compiute «di iniziativa» dalla Polizia Giudiziaria, tutte legittimate solo da quella urgenza.

L’ispezione è documentata mediante Verbale. Il Verbale è consegnato all’interessato e inviato al PM entro 48 ore.

  • La Polizia Giudiziaria non può procedere né di iniziativa né su delega ad ispezioni negli uffici dei difensori (art. 103).

 

Casi speciali di ispezioni

La Polizia Giudiziaria può procedere a ispezioni anche in taluni casi espressamente previsti da leggi speciali che, a seconda della finalità, si possono distinguere in:

  1. ispezioni per la prevenzione e repressione del traffico di stupefacenti (art. 103  D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 [61])

Hanno per oggetto mezzi di trasporto, bagagli ed effetti personali, che può essere effettuata in ogni luogo da Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria quando si ha il fondato motivo di ritenere che, mediante la ispezione, possano rinvenirsi sostanze stupefacenti o psicotrope. E’ necessario che sia in corso un’operazione di polizia e non si tratti perciò di iniziativa estemporanea del singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria. Valgono le stesse modalità esecutive previste dal codice di rito per le ispezioni di polizia giudiziaria.

  1. ispezioni per il contrasto della immigrazione clandestina (art. 12, comma 7 Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 [60])

Rientarno tra le ispezioni locali, ivi compresa quella domiciliare, che Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria possono compiere per prevenire o reprimere condotte dirette a violare le norme sull’ingresso e la permanenza di stranieri nel territorio di confine e nelle acque territoriali.
E’ necessario che sia in corso un’operazione di polizia (non deve trattarsi perciò di iniziativa estemporanea del singolo Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria) strumentale al contrasto dell’immigrazione clandestina e disposta nell’ambito delle direttive date dal Ministro dell’Interno per il controllo delle frontire e vigilanza marittima e terrestre (art. 11 comma 3 D.lgs. 286/1998) e sussista il fondato motivo, deducibile anche da specifiche circostanze di tempo o di luogo, di ritenere che mezzi di trasporto o cose trasportate possano essere utilizzati per la commissione di reati collegati al favoreggiamento della immigrazione. Valgono le stesse modalità esecutive previste dal codice di rito per le ispezioni di polizia giudiziaria.

 

Il sopralluogo

Nelle "indagini dirette" riveste grande importanza il «sopralluogo» cioè quel complesso di operazioni, dirette ad individuare, raccogliere e fissare tutti gli elementi utili alla ricostruzione dell’evento e alla identificazione del colpevole.
Il sopralluogo è di competenza del Pubblico  Ministero, ma l’Ufficiale di polizia giudiziaria collaborato dall’Agente qualora ritenga che possano alterarsi, disperdersi o modificarsi, le cose, le tracce ed i luoghi o qualora il Pubblico  Ministero non possa intervenire tempestivamente, provvede ad effettuarlo personalmente, preavvisando il magistrato e facendo specifico cenno nel Verbale dei motivi per cui ha provveduto ad eseguire il sopralluogo ed effettuare l’eventuale sequestro del corpo del reato o di cose ad esso pertinenti.

  • Appena giunto sul posto, l’Ufficiale di polizia giudiziaria (collaborato dall’Agente di polizia giudiziaria) :
  1. curerà che lo stato dei luoghi e delle cose da lui trovato, non venga mutato da alcuno;
  2. provvederà a piantonare e isolare la località, facendo allontanare tutte le persone estranee, per evitare danno alla conservazione delle tracce e alla posizione delle cose.
    L’Ufficiale di polizia giudiziaria, per isolare, potrà avvalersi della «banda di plastica», a righe bianche e rosse (riportante ad esempio, la scritta Guardia Costiera) o di quanto altro possa essere utile.

Il "Verbale di sopralluogo" è diviso in 5 parti, lo scopo è di dare una chiara rappresentazione dell’ambiente dove si svolse il fatto e di permetterne l’esatta ricostruzione anche a distanza di tempo.

  • La prima parte comprende le indicazioni di carattere generale comuni a qualsiasi verbale:
  1. data e ora di inizio;
  2. generalità, il grado e la qualifica dell’Ufficiale di polizia giudiziaria che dirige le operazioni ed i suoi collaboratori;
  3. indicazione del Comando di appartenenza;
  4. indicazione del luogo ove viene effettuato;
  5. generalità delle persone che hanno denunciato il fatto, ovvero come si è venuti a conoscenza del fatto.          Si deve evitare qualsiasi giudizio personale (esempio, .... «il sopralluogo è stato effettuato perché è stato commesso un omicidio, un furto, ecc.», ma in particolare, perché è stato rinvenuto un cadavere, scoperta una effrazione, ecc.: la dimenticanza di uno dei predetti elementi porterebbe alla nullità dell’atto).
  • La seconda parte riguarda la descrizione vera e propria, la parte più importante del verbale ai fini della riproduzione dell’ambiente in cui l’evento si è verificato.
    Si procede dal generale al particolare, da destra a sinistra, dall’avanti all’indietro, dal basso verso l’alto. Questa parte dovrà essere redatta in modo da permettere a chi ne prenda visione, pur senza essere stato sul posto, di avere una rappresentazione esatta dell’ambiente e del suo contenuto; consentire in ogni tempo la ricostruzione e rievocazione delle condizioni ambientali proprie al momento in cui si effettuò il sopralluogo.
  • La terza parte rappresenta l’utile complemento della parte seconda, in quanto si elencano tutti i rilievi (topografici, plastici, planimetrici, fotografici, allegati al verbale) che sono stati compiuti senza modificare il contenuto d’ambiente.
  • La quarta parte comprende gli stessi argomenti della parte terza, con la differenza, però, che in questa si elencano tutti i rilievi effettuati dopo la modifica delle condizioni di ambiente, per ciò che di anormale possa essere stato riscontrato in conseguenza di tale modificazione.
    Di norma, tale modifica è autorizzata dal Pubblico Ministero. Talvolta però, l’Ufficiale di polizia giudiziaria, per motivi di urgenza, può essere costretto a modificare le condizioni dell’ambiente di propria iniziativa.
  • La quinta parte contiene l’elencazione degli oggetti repertati. Per «repertamento», si indica quella attività diretta a cercare, individuare, fissare, descrivere, prelevare e conservare qualsiasi cosa tipo oggetti, materiali, tracce, macchie, che risultino o si ritengano in connessione con il reato oggetto delle indagini: personale specializzato è preposto al prelevamento e alla conservazione degli oggetti.

 

Accertamenti tecnici

A differenza degli "accertamenti urgenti" che consistono in un’attività di tipo ispettivo, gli «accertamenti tecnici» (art. 348, commi 1 e 4 c.p.p.) sono invece atti assimilabili alle “perizie”, e sono disposti o compiuti per acquisire dati e valutazioni sui fatti, situazioni o materie che richiedono particolari conoscenze scientifiche e tecniche.

  • Ad esempio, fra gli accertamenti tecnici rientrano quelli volti a stabilire se si è in presenza di un falso documentale o di monete (lampada di Wood) ovvero quelli volti a stabilire, in caso di inquinamento in ambito portuale, le responsabilità dei comandanti di navi, attraverso la comparazione tra un campione di sostanza inquinante rilevato in prossimità al punto di stazionamento di una motocisterna ed il conseguente prelievo di un campione effettuato all’interno della cassa sloop della stessa unità ad opera del servizio chimico del porto o funzionario dell’ASL[1]

La Polizia Giudiziaria non vi può ricorrere quando il compimento di tali atti atipici incide in modo irreversibile sulle scelte del Pubblico Ministero. L’accertamento tecnico è perciò "vietato" alla Polizia Giudiziaria nei casi in cui sia un “accertamento tecnico non ripetibile”.

  • E’ accertamento tecnico non ripetibile, ad esempio, quello che stabilisce se una certa sostanza, di quantità troppo modesta per poter essere campionata, è o meno stupefacente e l’accertamento comporta naturalmente la distruzione del reperto (Narcotest). In questo caso la polizia giudiziaria non può procedere ad accertamento tecnico.

Quanto alla sua documentazione, ne può essere fatta una semplice “annotazione”. L’atto, previa conservazione di una sua copia, è posto a disposizione del Pubblico Ministero e da questi inserito nel fascicolo delle indagini.
Ha piena utilizzabilità fuori del dibattimento, ma non ha alcuna utilizzabilità diretta nel dibattimento anche se può fornire al Pubblico Ministero lo spunto affinché venga disposta una perizia, per porre domane al perito o ai consulenti tecnici delle parti private, per porre domande o contestare a chi a compiuto l’accertamento tecnico gli esiti dello stesso.

► Agli "accertamenti tecnici" può procedersi anche nel corso di "attività di polizia amministrativa", quando cioè, non esiste ancora una notizia di reato (=notizia i reato in senso tecnico) e non esiste ancora un indagato.

  • Può pensarsi ad esempio al caso in cui la polizia amministrativa (Servizio NODM) precede al prelievo di campioni presso uno scarico industriale e, attraverso le analisi, accerta poi la realizzazione di un illecito penale (inquinamento)

Si applicano le garanzie della difesa previste dal Codice (art. 360) quando gli accertamenti modificano in modo irreversibile la situazione preesistente.

► Peraltro, con riguardo ai «prelievi dei campioni» (art. 223 att.) può dirsi:

  1. delle operazioni di prelievo non va dato avviso all'interessato il quale non ha dirtiio di essere assistito da un difensore. Il diritto all'assistenza difensiva sorgerebbe invece se, al momemento del prelievo, l'interessato avesse già assunto la "qualità di indagato" e il prelievo fosse perciò "un'attività di polizia giudiziaria" e non di polizia amministrativa. In tale ipotesi, infatti, il prelievo equivarebbe a un «accertamento urgente/ispezione» che impone le "garanzie difensive" previste dall'art. 354 e 356 c.p.p. se l'atto è compiuto dalla Polizia Giudiziaria a iniziativa (con diritto del difensore di assistere senza avviso) o dall'art. 354 se l'atto è compiuto dal Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria su delega del P.M. (con diritto del difensore di assistere previo avviso ferma la possibilità che l'avviso sia omesso o dato con particolari modalità quando vi è pericolo di alterazione delle tracce di reato);
  2. previo "avviso tempestivo" dato anche oralmente, l'interessato o persona di sua fiducia hanno facoltà di presenziare (anche con l'assistenza di un consulente tecnico) alla analisi sui campioni prelevati purché si tratti di analisi delle quali non è prevista (o possibile) la "revisione". Quando è prevista (o possibile) la loro revisione, questa è richiesta dall'interessato e ad essa possono presenziare sia l'interessato che il suo difensore (di fiducia o di ufficio) eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico. Chi presenzia alle analisi o alla loro revisione può formulare richieste, osservazioni, riserve e proporre specifiche indagini (art. 230);
  3. verbali delle analisi o della revisione delle stesse sono trasmessi al P.M. quando gli viene riferita la notizia di reato (art. 347).;
  4. se sono state osservate le disposizioni indicate al n. 2, i verbali delle analisi o di revisione delle stesse che "non sono ripetibili" sono raccolti nel «fascicolo per il dibattimento» (art. 341). Se si tratta di analisi o di revisioni "ripetibili", la loro documentazione è invece inserita nel «fascicolo del P.M.» (art. 433).

 


[1] Per quanto concerne le modalità da rispettare nell’operazione di campionamento per accertamenti di polizia giudiziaria è opportuno che i Comandi concordino preliminarmente con il Ministero gli adempimenti da osservare.

 

 

Le sommarie informazioni assunte dall’indagato

  • L'indagato non è mai obbligato a rendere "dichiarazioni", giacché, nella libera scelta della sua strategia difensiva (art. 24 comma 2 Cost.), può preferire il silenzio (art. 64).

Le informazioni dell'indagato, così come quelle del potenziale testimone, hanno sempre carattere «sommario», in coerenza con la sommarietà di tutti gli atti delle indagini preliminari, se posta a raffronto con la teorica completezza degli atti di istruzione in sede giurisdizionale.
La Polizia Giudiziaria chiede all'indagato solo "sommarie informazioni", ma non procede ad interrogarlo,
perché questo consiste nella contestazione di un reato e dei relativi elementi di accusa. L'interrogatorio è attività del Pubblico Ministero, peraltro da esso delegabile anche alla Polizia Giudiziaria (art. 370 comma 1, modif. dalla Legge 356/1992), e serve a valutare se iniziare l'azione penale di cui egli è titolare (art. 50 e 405).

  • Le dichiarazioni dall'indagato alla Polizia Giudiziaria possono rivestire le seguenti forme:
  1. informazioni assunte dalla Polizia Giudiziaria;
  2. informazioni sollecitate (assunte) dalla Polizia Giudiziaria sul luogo o nell'immediatezza del fatto-reato, anche in assenza di difensore;
  3. informazioni ricevute (dichiarazioni spontaneamente rese).

In particolare, le «sommarie informazioni» (art. 350 c.p.p.) rientrano tra gli atti tipici di investigazione "indiretta" mediante il quale gli Ufficiali di polizia giudiziaria (e non anche gli Agenti) assumono, dalla persona sottoposta alle indagini, delle informazioni utili per le investigazioni (ricostruzione del fatto, individuazione del suo autore e ricerca delle fonti di prova). L’indagato non deve trovarsi però in stato di arresto o di fermo (indagato detenuto).
Prima di procedere, l’indagato deve essere invitato a nominare un difensore di fiducia (art. 350 commi 2 e 3) e a dichiarare o eleggere domicilio; in difetto, verrà designato un difensore di ufficio scelto fra gli elenchi a tal uopo predisposti dal “Consiglio dell’ordine forense” (art. 97 comma 3 c.p.p.).

  • Il difensore nominato deve essere avvisato tempestivamente e deve presenziare al compimento dell’atto.

Prima di assumere le informazioni (c.d. interrogatorio di polizia), l’Ufficiale di polizia giudiziaria deve verificare l’identità personale dell’indagato.
A differenza "dell’interrogatorio delegato", l’assunzione delle sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini, non prevede la contestazione all’indagato del fatto che gli è attribuito e le indicazioni degli elementi di prova esistenti a suo carico né lo invitano ad esporre quanto ritiene utile alla propria difesa (art. 65 c.p.p.).
Prima che siano assunte le informazioni, l’indagato è avvisato, dandone atto nel Verbale, che ha la facoltà di non rispondere alle domande diverse da quelle miranti alla sua identificazione (art. 350, commi 1-4) e che, anche se non risponde, il procedimento seguirà comunque il suo corso.
L’atto è documentato mediante Verbale “riassuntivo complesso”. Generalmente viene compiuto durante il compimento delle operazioni, ma può essere compilato immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze che ne impediscono la documentazione contestuale.
La documentazione dell’atto è posta a disposizione del Pubblico Ministero ed a questi trasmessa, previa conservazione di una copia (art. 115 att.), non oltre il terzo giorno dal compimento dell’atto; verrà poi inserito nel fascicolo delle indagini.
Il verbale di sommarie informazioni ha piena utilizzabilità fuori del dibattimento, e un’utilizzabilità limitata nel dibattimento (solo per le contestazioni). Esso non verrà mai inserito nel fascicolo del dibattimento, a meno che l’atto non sia divenuto irripetibile per morte o infermità mentale dell’indagato: in questo caso è consentita la lettura dell’atto ex art. 512 c.p.p.

 

Modus operandi

  • Organo che procede:
  1. Solo gli Ufficiali di P.G.
  • Presupposti (la cui esistenza va indicata nel Verbale):
  1. L’atto non può essere compiuto nei confronti dell’arrestato in flagranza o del fermato (l’indagato deve giungere in Ufficio libero);
  2. L’atto deve essere ritenuto utile ai fini delle investigazioni;
  • Adempimenti preliminari:
  1. L’indagato può essere convocato senza particolari formalità (ad esempio, contattandolo telefonicamente per comunicazioni urgenti e procedendo, prima dell’assunzione delle informazioni, agli avvisi obbligatori – al difensore, sulla facoltà di non rispondere….).
  2. La persona invitata a comparire ha l’obbligo di presentarsi pur se non può esserne disposto l’accompagnamento. Se non si presenta senza giustificato motivo, è responsabile del reato-contravvenzione di cui all’art. 650 c.p..
  3. Invito all’indagato, a nominare un difensore di fiducia e a dichiarare o eleggere domicilo (art. 161 c.p.p.).
  4. In difetto di nomina del difensore di fiducia, designazione di un difensore di ufficio da parte dell’Organo di Polizia procedente, con le modalità previste dall’art. 97 c.p.p. (=individuazione “automatica” a opera dell’ufficio centralizzato istituto presso il Consiglio dell’Ordine forense del capoluogo di ciascun distretto di Corte d’appello).
  5. Pur se ciò non gli è imposto a pena di nullità degli atti successivi, l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria può fornire all’indagato le informazioni sul diritto alla difesa tecnica di cui all’art. 369-bis c.p.p..
  6. L’Ufficiale di Polizia Giudiziaria può, a seguito della comunicazione prevista all’art. 369-bis c.p.p., informare l’indagato della obbligatorietà della difesa tecnica e, in caso di designazione del difensore di ufficio, fornirgliene indirizzo e recapito telefonico precisando che ha l’obbligo di retribuirlo salvo che si trovi nelle condizioni economiche – da elencare – per ottenere il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti.
  7. Il difensore di fiducia (o, in difetto di nomina, quello designato di ufficio) deve essere tempestivamente avvisato e presenziare all’atto.
  8. Se il difensore di fiducia nominato dall’indagato o quello di ufficio designato dall’Ufficiale di Polizia Giudiziaria non compare o non viene reperito, l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria può designare direttamente come sostituto altro difensore immediatamente reperibile (art. 97 c.p.p.) rivolgendosi, per l’individuazione, all’ufficio centralizzato istituto presso il Consiglio dell’Ordine forense.
  • Modalità esecutive:
  1. Prima di assumere le informazioni (c.d. interrogatorio sul merito), l’Ufficiale di polizia giudiziaria verifica la identità personale dell’indagato.
  2. L’Ufficiale di polizia giudiziaria invita l’indagato a dichiarare le proprie generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza, domicilo…ecc.) e le altre notizie che possono valere a identificarlo (come la paternità e lo stato – coniugato, celibe…ecc.) e le infornmazioni specificate nell’art. 21 att..
  3. La persona indagata viene "ammonita" delle conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità (art. 651 c.p.) o le dà false (artt. 495 e 496 c.p.).
  4. Esaurite tali formalità e sempre prima di assumere sommarie informazioni, l’Organo procedente avverte l’indagato, dandone atto nel verbale che:
  1. le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
  2. ha facoltà di non rispondere alle domande (salvo che con riferimento alle richieste concernenti la sua identita) sulla “responsabilità propria” (c. d. diritto al silenzio), ma, se anche non risponde, il procedimento seguirà il suo corso;
  3. se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la “responsabilità di altri”, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone (art. 197 e 197 bis c.p.p.) con conseguente perdita del suo diritto al silenzio e obbligo di rispondere secondo verità se non vuole incorrere in sanzioni penali che , generalmente, riguardano i delitti di:
      -  falsa testimonianza (art. 372 c.p.)
      -  favoreggiamento personale (art. 378 c.p.)
      -  false informazioni al Pubblico Ministero (art. 371 bis c.p.)
      -  false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter c.p.)
  4. se l’indagato dichiara di voler rispondere sulla responsabilità di altri, l’Ufficiale di polizia giudiziaria può inserire le relative dichiarazioni nello stesso verbale oppure può concludere l’atto e assumere, in separato Verbale, le dichiarazioni del soggetto divenuto, per questa parte, un potenziale “testimone assistito”;
  1. Nel merito, a differenza dell’interrogatorio (art. 65 c.p.p.), l’assunzione di sommarie informazioni non prevede la contestazione all’indagato del fatto che gli è attribuito e le indicazioni degli elementi di prova esistenti a suo carico (con la ulteriore ed eventuale comunicazione delle fonti di prova).
  2. Nel procedimento davanti al «Giudice di Pace» (art. 13 D.lgs. 28/08/200,n. 274), la Polizia Giudiziaria se autorizzata dal Pubblcio Ministero, può procedere anche all’interrogatorio in senso tecnico (art. 65 c.p.p.). Peraltro nell’interrogatorio delegato dal P.M. alla Polizia Giudiziaria, la presenza del difensore è facoltativa.
  3. Neppure con il consenso dell’indagato, possono essere utilizzati metodi e tecniche (=ipnosi, siero della verità, narcoanalisi…) idonei a influire sulla sua libertà di autodeterminazione oppure ad alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti (art. 64 comma 2 c.p.p.).
  • Documentazione e Trasmissione:
  1. La redazione del Verbale deve essere contestuale al compimento dell’atto, salvo che non ricorrano insuperabili circostanze che la impediscono e che vanno indicate specificamente (art. 357 comma 3 in relazione art. 373 comma 4 c.p.p.).
  2. L’atto è documentato mediante "Verbale integrale" o "Verbale riassuntivo complesso" (=con riproduzione fonografica) salvo che non si verifichi una contingente indisponibilità degli strumenti di riproduzione…, nel qual caso è documentato mediante Verbale riassuntivo semplice, che viene trasmesso entro il terzo giorno dal compimento dell’atto al P.M. competente per il deposito nella Segreteria
  3. Se sussistono gravi motivi, il deposito dell’atto può essere differio non oltre 30 giorni
  4. Il Verbale può essere corredato da documentazione audiovisiva quando si ritiene insufficiente la documentazione integrale o quella riassuntiva
  5. Copia del Verbale deve essere conservata presso l’Ufficio/Comando di polizia (art. 115 att.)
  6. Non è prevista consegna di copia del Verbale all’interessato
  7. La documentazione è conservata nel fascicolo delle indagini presso l’ufficio del P.M.
  8. Il Pubblico Ministero con apposito Decreto, anche su segnalazione della Polizia Giudiziaria e purché sussistano specifiche esigenze attinenti alle indagini, può informare l’indagato, che – se non vuole incorrere nelle sanzioni penali previste dall’art. 379 bis c.p. (Rivelazione di segreti inerenti a un procedoimento penale) – gli è fatto divieto di comunicare ad altri i fatti e le circostanze che hanno formato oggetto dell’atto. Il divieto conseguente alla segretazione disposta dal Pubblico Ministero non può avere durata superiore a 2 mesi
  9. I dati delle sommarie informazioni vanno inserite nel CED-SDI
  • Utilizzazione:
  1. I Verbali delle sommarie informazioni hanno utilizzabilità fuori del dibattimento e anche nel dibattimento (=sia per le contestazioni o nei casi di irripetibilità sopravvenuta per forza maggiore)
  2. Alla Polizia Giudiziaria è fatto divieto di testimoniare sulle dichiarazioni assunte (art. 62 c.p.p.)
  3. Nel corso del Giudizio, la Polizia Giudiziaria può essere autorizzata a consultare, in aiuto alla memoria, la documentazione redatta (art. 499 comma 5 c.p.p.)
  • Responsabilità disciplinari e penali in caso di:
  1. Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio – art. 326 c.p. (es . Pubblico Ufficiale che violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizi, o comunque abusando dell sue qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza…)
  2. Violenza privata - art. 610 c.p. (es Pubblico Ufficiale che con violenza e minaccia, costringe ad altri a fare, tollerare… qualche cosa…..)
  3. Sanzioni disciplinari - art. 16 att. (es. Ufficiali e Agenti di p.g che senza giustificato motivo omettono di riferire…..o comunque violano ogni altra disposizione di legge relativa all’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria).

 

Le notizie e le indicazioni utili assunte dall’indagato

  • Atto tipico di investigazione "indiretta", mediante il quale gli Ufficiali di polizia giudiziaria, nella immediatezza o sul luogo del fatto, assumono notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini, dalla persona indagata anche se arrestata o fermata e non può avvalersi dell’assisetenza tecnica di un difensore (art. 350, commi 5 e 6 c.p.p.).

L’atto è legittimamente compiuto anche senza la presenza del difensore: se compiuto senza l’assistenza del difensore, non può essere né documentato né utilizzato, poiché l’utilizzazione dell’atto stesso è solo investigativa.

Trattasi di dichiarazioni "sollecitate" dalla Polizia Giudiziaria (assunte) nella immediatezza cronologica del fatto, anche in luogo diverso dalla sua commissione (ad esempio in Ufficio), ovvero sul luogo del reato, anche se non nella immediatezza della sua consumazione.

Tali particolari circostanze di luogo o tempo legittimano l'assunzione dell'atto anche in mancanza del difensore ed anche nei confronti di indagati in vinculis.

Se il difensore è presente, si procede a redigere verbale, che è, utilizzabile anche in dibattimento, per le contestazioni al dichiarante. Se il difensore è assente (e quindi l'atto difetta delle garanzie difensive), non può essere redatto verbale, sicché a fortiori, mancando l'atto, le dichiarazioni non sono utilizzabili in dibattimento; tuttavia le notizie e le indicazioni utili acquisite sono utilizzabili ai fini dell'immediata prosecuzione delle indagini, ma non ad altri fini (ad esempio, per le ordinanze cautelari o il rinvio a giudizio).

  • I dati delle sommarie informazioni assunte dall’indagato vanno inseriti nel CED-SDI.

 

Modus operandi

  • Organo che procede:
  1. Solo gli Ufficiali di P.G.
  • Presupposti (la cui esistenza va indicata nel Verbale):
  1. L’atto può essere compiuto nella immediatezza o sul luogo del fatto
  2. Le notizie e le indicazioni possono essere fornite anche dall’indagato in stato di arresto o di fermo
  3. L’atto deve essere finalizzato ad acquisire notizie e indicazioni utili per la immediata prosecuzione delle indagini
  • Adempimenti preliminari:
  1. L’Ufficiale di Polizia Giudiziaria, può legittimamente procedere al compimento dell’atto anche senza la presenza tecnica del difensore.
  2. Se l’indagato fa richiesta della difesa tecnica: è opportuno che l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria renda effettivo tale diritto. L’inizio dell’atto può essere, in tali casi, momentaneamente sospeso per consentire l’intervento del difensore
  3. Invito dell’Ufficiale di Polizia Giudiziaria all’indagato, a nominare un difensore di fiducia e a dichiarare o eleggere domicilo (art. 161 c.p.p.)
  4. Iin difetto di nomina del difensore di fiducia, designazione di un difensore di ufficio da parte dell’Ufficiale di Polizia Giudiziaria, con le modalità previste dall’art. 97 c.p.p. (=individiazione “automatica” a opera dell’ufficio centralizzato istituto presso il Consiglio dell’Ordine forense del capoluogo di ciascun distretto di Corte d’appello)
  5. Pur se ciò non gli è imposto a pena di nullità degli atti successivi, l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria può fornire all’indagato le informazioni sul diritto alla difesa tecnica di cui all’art. 369-bis c.p.p.
  6. L’Ufficiale di Polizia Giudiziaria può, a seguito della comunicazione prevista all’art. 369-bis c.p.p., informare l’indagato della obbligatorietà della difesa tecnica e, in caso di designazione del difensore di ufficio, fornirgliene indirizzo e recapito telefonico precisando che ha l’obbligo di retribuirlo salvo che si trovi nelle condizioni economiche – da elencare – per ottenere il patrocinio a spese dello Stato per i non abienti
  7. Il difensore di fiducia (o, in difetto di nomina, quello designato di ufficio) deve essere tempestivamente avvisato e presenziare all’atto
  8. Se il difensore di fiducia nominato dall’indagato o quello di ufficio designato dall’Ufficiale di Polizia Giudiziaria non compare o non viene reperito, l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria può designare direttamente come sostituto altro difensore immediatamente reperibile (art. 97 c.p.p.) rivolgendosi, per l’individuazione, all’ufficio centralizzato istituto presso il Consiglio dell’Ordine forense
  • Modalità esecutive:
  1. Prima di assumere notizie e indicazioni utili, l’Ufficiale di polizia giudiziaria verifica la identità personale dell’indagato
  2. L’Ufficiale di polizia giudiziaria invita l’indagato a dichiarare le proprie generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza, domicilo…ecc.) e le altre notizie che possono valere a identificarlo (come la paternità e lo stato – coniugato, celibe…ecc.) e le infornmazioni specificate nell’art. 21 att.
  3. La persona indagata viene ammonita delle conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità (art. 651 c.p.) o le dà false (art. 496 c.p.)
  4. Esaurite tali formalità e sempre prima di assumere notizie e indicazioni utili, l’Ufficiale di polizia giudiziaria avverte l’indagato (ai sensi dell’art. 64 c.p.p. – Interrogatorio nel merito), dandone atto nel verbale che:
  5. Le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti
  6. Ha facoltà di non rispondere alle domande sulla responsabilità propria (c. d. diritto al silenzio), ma, se anche non risponde, il procedimento seguirà il suo corso
  7. L’indagato ha facoltà di non rispondere alle domande (salvo che con riferimento alle richieste concernenti la sua identita) sulla “responsabilità propria” (c. d. diritto al silenzio), ma, se anche non risponde, il procedimento seguirà il suo corso
  8. Se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la “responsabilità di altri”, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone (art. 197 e 197 bis c.p.p.) con conseguente perdita del suo diritto al silenzio e obbligo di rispondere secondo verità se non vuole incorrere in sanzioni penali che , generalmente, riguardano i delitti di:
    - falsa testimonianza (art. 372 c.p.)
    - favoreggiamento personale (art. 378 c.p.)
    - false informazioni al Pubblico Ministero (art. 371 bis c.p.)
    - false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter c.p.)
  9. Se l’indagato dichiara di voler rispondere sulla responsabilità di altri, l’Ufficiale di polizia giudiziaria può inserire le relative dichiarazioni nello stesso verbale oppure può concludere l’atto e assumere, in separato Verbale, le dichiarazioni del soggetto divenuto, per questa parte, un potenziale “testimone assistito”
  10. Nel merito, a differenza dell’interrogatorio (art. 65 c.p.p.), l’assunzione di notizie e indicazioni utili non prevede la contestazione all’indagato del fatto che gli è attribuito e le indicazioni degli elementi di prova esistenti a suo carico (con la ulteriore ed eventuale comunicazione delle fonti di prova)
  11. Nel procedimento davanti al Giudice di Pace (art. 13 D.lgs. 28/08/200,n. 274), la Polizia Giudiziaria se autorizzata dal Pubblcio Ministero può procede anche all’interrogatorio in senso tecnico (art. 65 c.p.p.). Peraltro nell’interrogatorio delegato dal P.M. alla P.G., la presenza del difensore è facoltativa
  12. Neppure con il consenso dell’indagato, possono essere utilizzati metodi e tecniche (=ipnosi, siero della verità, narcoanalisi…) idonei a influire sulla sua libertà di autodeterminazione oppure ad alterare la capacità di ricordare e valutaere i fatti (art. 64 comma 2 c.p.p.)
  • Garanzie difensive:
  1. Non sono previste: l’atto è legittimamente compiuto anche senza la presenza del difensore. Il tenore letterale dell' art. 350 comma 5 non esclude che il difensore possa essre presente. Se il difensore presente e l'atto viene documentato (oltre che compiuto) a esso si applicano, in quanto compatibili, le indicazioni fornite dall'art. 350 commi 1 e 4 c.p.p.) 
  • Documentazione e Trasmissione:
  1. Se compiuto senza la presenza del difensore, l’atto non può essere né documentato né utilizzato processualmente. In questi casi, perciò, la utilizzazione dell’atto è solo investigativa
  2. Alla Polizia Giudiziaria è fatto divieto di testimoniare sulle dichiarazioni assunte (art. 62 c.p.p.). Il divieto non riguarda però anche il fatto storico dell'avvenuta dichiarazione (Cass. 11811/97).(Ad esempio, nell’ipotesi in cui il Personale del Corpo – ricevute indicazioni dall’autore del furto (art. 1148 Cod. nav.) – rinviene la refurtiva sulla nave, nell’alloggio del marittimo. Se richiesta, potrà spiegare di essersi portata in questo alloggio perché sollecitata dalle indicazioni dell’indagato. Queste indoicazioni non potranno allora avere in sé alcuna utilizzazione, ma potranno rifluire indirettamente sulle posizioni dell’indagato a seguito dell’esito della perquisizione)
  3. Anche se le notizie e le indicazioni non possono essere documentate mediante "Verbale" o "Annotazione", nulla impedisce che di esse e del loro contenuto si faccia menzione nella “Relazione di servizio” predisposta dall’Uffciale di polizia giudiziaria. Per questo motivo deve ritenersi che, nel corso del Giudizio, la Polizia Giudiziaria può essere autorizzata a consultare, in aiuto alla memoria, la documentazione redatta (art. 499 comma 5 c.p.p.)
  • Può essere opportuno che i dati relativi all’Atto siano inserite nel CED-SDI

 

 

Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato;

  • Atto tipico di investigazione "indiretta", mediante il quale la Polizia Giudiziria raccolgie dichiarazioni sul fatto dalla persona indagata che si riduce a renderle in base a una propria «determinazione volitiva» non provocata da fattori esterni e, in particolare, da richieste provenienti dagli stessi Organi di indagine

Bisogna precisare che siano «spontanee» (e cioè non sollecitate da domane) quelle dichiarazioni che non sono precedute da alcuna "contestazione" e, per il loro carattere unilaterale, non costituiscono riposte a domande degli inquirenti.

Le dichiarazioni spontanee, a differenza delle dichiarazioni "assunte", possono essere rese in assenza del difensore ed anche, come le informazioni sollecitate sul luogo o sull'immediatezza del fatto-reato (art. 350 commi 5 e 6), dagli indagati in vinculis.

Il loro carattere di spontaneità induce il legislatore a configurarle come mezzo, liberamente scelto, di «autodifesa», sempre esperibile ex art. 24 comma 2 Cost..
Le dichiarazioni vengono documentate mediante Verbale, e, previa conservazione di una copia, è trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero e da questi conservato nel fascicolo delle indagini.
L’atto ha un’utilizzabilità piena fuori del dibattimento, ma un’utilizzabilità limitata ai soli fini della contestazione nel dibattimento (art. 503 comma 3 e 4), essendo frutto di libera iniziativa difensiva. Esso non passa nel fascicolo del dibattimento, salvi i casi di una sua sopravvenuta irripetibilità per morte o infermità mentale dell’indagato: in tal caso ne è consentita la lettura, ex art. 512 c.p.p.

Modus operandi

  • Organo che procede:
  1. Ufficiali ed Agenti di P.G.
  • Presupposti (la cui esistenza va indicata nel Verbale):
  1. Le dichiarazioni spontanee possono essere rese anche dall’indagato in stato di arresto o di fermo
  • Modalità esecutive:
  1. Prima di raccogliere le dichiarazioni, l’Ufficiale di polizia giudiziaria verifica la identità personale dell’indagato
  2. La persona indagata viene ammonita delle conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità (art. 651 c.p.) o le dà false (art. 496 c.p.)
  3. L’Ufficiale di polizia giudiziaria invita l’indagato a dichiarare le proprie generalità (nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza, domicilo…ecc.) e le altre notizie che possono valere a identificarlo (come la paternità e lo stato – coniugato, celibe…ecc.) e le infornmazioni specificate nell’art. 21 att.
  4. Poiché le dichiarazioni spontanee prescindono, proprio perché tali, da ogno forma di sollecitazione o di domanda, la Polizia Giudiziaria non è tenuta a dare all’indagato gli avvisi di cui all’art. 64 c.p.p. (Interrogatorio nel merito)
  • Garanzie difensive:
  1. Non sono previste: l’atto è legittimamente compiuto anche senza la presenza del difensore
  • Documentazione e Trasmissione:
  1. La redazione del Verbale deve essere contestuale al compimento dell’atto, salvo che non ricorrano insuperabili circostanze che la impediscono e che vanno indicate specificamente (art. 357 comma 3 in relazione art. 373 comma 4 c.p.p.)
  2. L’atto è documentato mediante Verbale integrale o riassuntivo complesso (=con riproduzione fonografica) salvo che non si verifichi una contingente indisponibilità degli strumenti di riproduzione…,nel qual caso è documentato mediante Verbale riassuntivo semplice, che viene trasmesso entro il terzo giorno dal compimento dell’atto al P.M. competente per il deposito nella Segreteria: se sussistono gravi motivi, il deposito dell’atto può essere differio non oltre 30 giorni
  3. Il Verbale può essere corredato da documentazione audiovisiva quando si ritiene insufficiente la documentazione integrale o quella riassuntiva
  4. Copia del Verbale deve essere conservata presso l’Ufficio/Comando di polizia (art. 115 att.)
  5. Non è prevista consegna di copia del Verbale all’interessato
  6. La documentazione è conservata nel fascicolo delle indagini presso l’ufficio del P.M.
  7. Il Pubblico Ministero con apposito Decreto, anche su segnalazione della Polizia Giudiziaria e purché sussistano specifiche esigenze attinenti alle indagini, può informare l’indagato, che – se non vuole incorrere nelle sanzioni penali previste dall’art. 379 bis c.p. (Rivelazione di segreti inerenti a un procedoimento penale) – gli è fatto divieto di comunicare ad altri i fatti e le circostanze che hanno formato oggetto dell’atto. Il divieto conseguente alla segretazione disposta dal Pubblico Ministero non può avere durata superiore a 2 mesi
  8. I dati delle sommarie informazioni vanno inserite nel CED-SDI
  • Utilizzazione:
  1. I Verbali delle dichiarazioni spontanee (anche se rese senza la presenza del difensore) hanno utilizzabilità fuori del dibattimento e anche nel dibattimento (=sia per le contestazioni o nei casi di irripetibilità sopravvenuta per forza maggiore)
  2. Alla Polizia Giudiziaria è fatto divieto di testimoniare sulle dichiarazioni assunte (art. 62 c.p.p.)
  3. Nel corso del Giudizio, la Polizia Giudiziaria può essere autorizzata a consultare, in aiuto alla memoria, la documentazione redatta (art. 499 comma 5 c.p.p.)
  • Responsabilità disciplinari e penali in caso di:
  1. Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio – art. 326 c.p. (es . Pubblico Ufficiale che violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizi, o comunque abusando dell sue qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza…)
  2. Violenza privata - art. 610 c.p. (es Pubblico Ufficiale che con violenza e minaccia, costringe ad altri a fare, tollerare… qualche cosa…..)
  3. Sanzioni disciplinari - art. 16 att. (es. Ufficiali e Agenti di p.g che senza giustificato motivo omettono di riferire…..o comunque violano ogni altra disposizione di legge relativa all’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria).

 

 

Le sommarie informazioni delle persone informate sui fatti

Le persone c.d. informate sono i testimoni potenziali (cioè diventeranno testimoni al momento dell'escussione in dibattimento), che sono e persone non inquisite, ma in grado di riferire circostanze utili ai fini della ricostruzione del fatto e dell'individuazione del colpevole.

Tali persone rendono sommarie informazioni in fase investigativa e testimonianza in sede di incidente probatorio (art. 392) o di dibattimento (art. 468). Le relative dichiarazioni avvengono sempre in assenza di difensore, poiché provengono da soggetti non inquisiti.
Qui non rileva la differenza tra dichiarazioni spontanee (ricevute) e dichiarazioni assunte (provocate). Il regime è, pertanto, sempre identico in riferimento alla forma di documentazione e alla valenza probatoria dell'atto.
In ordine alla forma, deve essere sempre redatto verbale (e non già sommariamente annotazione), giacchè l'atto ha sempre potenzialità probatoria.

L’art. 351 c.p.p. disciplina le altre sommarie informazioni utili ai fini delle indagini che la Polizia Giudiziaria (Ufficiali ed Agenti) può ricevere (anche rivolgendo domande) dalla persona offesa, dalla persona danneggiata dal reato e da qualunque persona informata sui fatti per cui si procede (c.d. potenziale testimone) indicazioni e notizie utili ai fini delle indagini. 
La persona è ha l’obbligo di rispondere secondo verità circa le proprie generalità. Tale obbligo è sancito nell’art. 651 che punisce come contravvenzione il rifiuto di dare al indicazioni sulla propria identità e su altre qualità personali e nell’art. 495 c.p. che punisce come delitto le false dichiarazioni sulla identità e su qualità personali proprie o altrui.
Le persone sentite a norma dell’art. 351 c.p.p. hanno l’obbligo di rispondere (riferire ciò che sanno interno ai fatti sui quali vengono sentite) La loro reticenza e la loro falsità non sono punite in se stesse salvo il fatto che, nelle concrete circostanze, possa configurarsi come reato di favoreggiamento art. 378 c.p.) o di rifiuto di ufficio (art. 652 c.p.) o di calunnia (art. 368 c.p.).
Sono tuttavia previste delle disposizioni che introducono per taluni soggetti delle eccezioni all’obbligo di rendere informazioni (il segreto).

  • Ad esempio non possono essere obbligati a deporre:
  1. i prossimi congiunti dell’indagato (art. 307 c.p.) [1] salvo che abbiano presentato denuncia, querela;
  2. i soggetti che devono attenersi al segreto professionale (art. 200 c.p.), come ad esempio, i medici, gli avvocati;
  3. i pubblici Ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio su ciò che è oggetto di segreto d’ufficio (art. 201) o in caso di fatti coperti dal segreto di Stato (art. 202 c.p.). 

L’atto è documentato mediante Annotazione salvo che la Polizia Giudiziaria non ritenga di procedere a verbalizzazione.
L’atto è documentato mediante Verbale quando le informazioni sono assunte da persone informate sui fatti nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto (artt. 357 comma 2 e 373 comma 5).
Previa conservazione di una copia, è trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero e da questi conservato nel fascicolo delle indagini.
Ha un’utilizzabilità piena prima del giudizio se contiene atti irripetibili: dichiarazioni ad irripetibilità originaria (esempio, teste moribondo) e quelle ad irripetibilità sopravvenuta (es. teste successivamente ucciso); e ha utilizzabilità del giudizio dopo le contestazioni nell’ipotesi di dichiarazioni che il testimone ha reso alla Polizia Giudiziaria nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto (art. 500 comma 4); ha utilizzabilità limitata (per effetto delle contestazioni) in giudizio negli altri casi (art. 500 comma 3).

 


[1] Sono prossimi congiunti: gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, fratelli, sorelle, gli affini nello stesso grado (genero, nuora, suoceri, cognati salvo che sia morto il coniuge e non vi sia prole), gli zii e i nipoti, chi è legato all’indagato da vincoli di adozione, chi conviva come coniuge con l’indagato, il coniuge separato dell’indagato.

 

Modus operandi

L’art. 351 c.p.p. disciplina le altre sommarie informazioni utili ai fini delle indagini che la Polizia Giudiziaria (U.P.G. e Agenti) può ricevere (anche rivolgendo domande) dalla persona offesa, dalla persona danneggiata dal reato e da qualunque persona informata sui fatti per cui si procede (c.d. potenziale testimone) indicazioni e notizie utili ai fini delle indagini.

  • Garanzie difensive

Non ne deve essere dato avviso al difensore dell’indagato e l’intervento del difensore non è consentito.

  • Adempimenti preliminari

La persona ha l’obbligo di rispondere secondo verità circa le proprie generalità. Tale obbligo è sancito nell’art. 651 che punisce come contravvenzione il rifiuto di dare al  indicazioni sulla propria identità e su altre qualità personali e nell’art. 496 c.p. che punisce come delitto le false dichiarazioni sulla identità e su qualità personali proprie o altrui.

Le persone sentite a norma dell’art. 351 c.p.p. hanno l’obbligo di rispondere (riferire ciò che sanno interno ai fatti sui quali vengono sentite) La loro reticenza e la loro falsità non sono punite in se stesse salvo il fatto che, nelle concrete circostanze, possa configurarsi come reato di favoreggiamento art. 378 c.p.) o di rifiuto di ufficio (art. 652 c.p.) o di calunnia (art. 368 c.p.).

Sono tuttavia previste delle disposizioni che introducono per taluni soggetti delle eccezioni all’obbligo di rendere informazioni (il segreto). Ad esempio non possono essere obbligati a deporre:

  1. i prossimi congiunti[1] dell’indagato (art. 307 c.p.) salvo che abbiano presentato denuncia, querela;
  2. i soggetti che devono attenersi al segreto professionale (art. 200 c.p.), come ad esempio, i medici, gli avvocati;
  3. i pubblici Ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio su ciò che è oggetto di segreto d’ufficio (art. 201) o in caso di fatti coperti dal segreto di Stato (art. 202 c.p.).
  • Documentazione e trasmissione

L’atto è documentato mediante Annotazione salvo che la Polizia Giudiziaria non ritenga di proceder a verbalizzazione.

L’atto è documentato mediante Verbale quando le informazioni sono assunte da persone informate sui fatti nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto (artt. 357 comma 2 e 373 comma 5).

Previa conservazione di una copia, è  trasmesso senza ritardo al Pubblico Ministero e da questi conservato nel fascicolo delle indagini.

  • Utilizzazione

Ha un’utilizzabilità piena prima del giudizio; e ha utilizzabilità del giudizio dopo le contestazioni nell’ipotesi di dichiarazioni che il testimone ha reso alla Polizia Giudiziaria nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell’immediatezza del fatto (art. 500 comma 4); ha utilizzabilità limitata (per effetto delle contestazioni) in giudizio negli altri casi (art. 500 comma 3)..

  • I dati delle sommarie informazioni assunte dai potenziali testimoni vanno inseriti nel CED-SDI.

 


[1] Sono prossimi congiunti: gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado (genero, nuora, suoceri, cognati salvo che sia morto il coniuge e non vi sia prole), gli zii e i nipoti, chi è legato all’indagato da vincoli di adozione, chi conviva come coniuge con l’indagato, il coniuge separato dell’indagato.

 

Le informazioni da persona imputata in un procedimento connesso

  • E’ l’atto di investigazione "indiretta" mediante il quale gli Ufficiali di polizia giudiziaria (e non anche gli Agenti) ricevono indicazioni e notizie utili alle indagini dalle persone imputate di un reato collegato o in un procedimento connesso, nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente.

La persona è invitata dalla Polizia Giudiziaria ed ha l’obbligo di presentarsi, ma non può essere disposto il suo accompagnamento coattivo.

Prima che abbia inizio l’atto, la persona è avvisata della facoltà di non rispondere. La persona è assistita da un difensore di fiducia o di ufficio, il quale deve essere tempestivamente avvisato e che ha facoltà, ma non l’obbligo, di assistere all’atto.
L’atto è documentato mediante "verbale riassuntivo complesso" durante il suo compimento, o immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze che ne impediscono la documentazione contestuale.

La documentazione dell’atto è posta a disposizione del Pubblico Ministero ed a questi trasmessa, previa conservazione di una copia, non oltre il terzo giorno dal suo compimento. Il Pubblico Ministero provvede poi ad inserirla nel fascicolo delle indagini.
Il verbale è dotato di una utilizzabilità piena fuori del dibattimento, e di una utilizzabilità limitata nel dibattimento, in quanto non passa nel fascicolo del dibattimento, a meno che sia sopravvenuta una irripetibilità dell’atto per morte o infermità mentale della persona che ha reso le dichiarazioni: in questo caso ne sarà consentita la lettura ex art. 512 c.p.p.
Sulle dichiarazioni rese dalla persona imputata in un procedimento connesso o di un reato collegato è però sempre consentita la testimonianza indiretta dell’Ufficiale di polizia giudiziaria che ha redatto il verbale.
Questo specifico atto di investigazione indiretta assume una particolare importanza in quei procedimenti, soprattutto in materia di criminalità organizzata, nei quali assumono un’importanza fondamentale le informazioni portate dai c.d. “pentiti” (o collaboratori di giustizia), che sono coloro che rendono affermazioni e spiegazioni sui fatti che sono attribuibili ai componenti dell’associazione criminosa cui essi stessi appartengono.

  • I dati delle informazioni da persona imputata in un procedimento connesso vanno inseriti nel CED-SDI.

 

Atti atipici di investigazione

Va subito precisato che per «attività informale» si intende quell'attività che pur non essendo espressamente disciplinata dal Codice di rito, non è da questo vietata e anzi rientra nelle regole della buona tecnica di indagine. Più in particolare, si precisa che la Polizia Giudiziaria non può comunque porre in essere attività che, di fatto, precludano in modo irreversibile le future valutazioni processuali del Pubblico Ministero.

  • Tra le attività informali (atipiche) di indagine, rientrano:
  1. le attività che possono essere compiute per individuare una persona, la sua attività, le sue fattezze fisiche (accertandone presso il Comune l’identità anagrafica oppure acquisendo presso la Prefettura la copia della fotografia apposta sulla patente di guida, ecc.);
  2. i sopralluoghi per verificare sul posto la fondatezza di fatti e circostanze di cui si è avuta notizia magari confidenziale;
  3. l’attivazione di contatti con gli informatori;
  4. i pedinamenti e gli appostamenti spesso integrati con rilevamenti fotografici per consentire l’identificazione di persone e meglio proseguire l’attività investigativa, ecc.

Tra le attività informali di indagine, sicuramente, il "pedinamento" e "appostamento" rappresentano le espressioni più frequenti e maggiormente efficaci.
Essi consistono nell’osservazione, l’una dinamica, l’altra statica, volta all’acquisizione di elementi investigativi, in linea di massima, utili a raccordare e completare altre fonti di prova ovvero a predisporre la effettuazione di ulteriori atti di indagine.

  • Il "pedinamento", ossia il seguire e l’annotare gli spostamenti, i movimenti, gli atteggiamenti ed i contatti di una persona, è attività difficilissima da condurre, prefiggendosi una osservazione in movimento, a volte per percorsi lunghi ed articolati, nella maniera più occulta e riservata, onde non vanificare la genuinità dell’atto stesso. Per siffatto motivo deve essere effettuato con un adeguato numero di operatori, sufficienti a garantire una frequente ed oculata alternanza nella posizione di tallonamento del pedinato, al fine di non insospettirlo.

Per seguire una persona a piedi va di norma utilizzato personale appiedato che, in zone particolarmente affollate, terrà una distanza più ristretta, avendo più facilità a mimetizzarsi e per no rischiare di perdere il contatto visivo; in luoghi, invece, privi di ostacoli e poco frequentati, potrà e dovrà mantenere il contatto molto più distanziato per evitare di essere notato.

Un soggetto, invece, che si sposta a bordo di un veicolo o di un mezzo nautico dovrà essere seguito da personale automontato o monomontato, considerato che anche questo tipo di pedinamento, per garantire una probabile riuscita, presuppone un alternarsi di mezzi che, con maggiori difficoltà, dovranno consentire il mantenimento del contatto da una posizione il più possibile defilata.
E’ evidente, infine, sottolineare che il pedinamento, proprio per le difficoltà sopra indicate, presuppone una sufficiente esperienza, nonché doti di prontezza di riflessi, spirito di osservazione e determinazione operativa.

  • L’"appostamento", invece, anche definito “appiattamento”, rappresenta, in genere, una attività di osservazione certamente meno difficoltosa, in quanto di natura statica.

Una volta individuata una collocazione che consenta una buona visuale, congiunta ad un adeguato occultamento, l’osservatore non avrà grossi problemi nel condurre il servizio annotando o documentando (con mezzi fotografici o audiovisivi) quanto occorra all’indagine.
La maggior cura va, pertanto, riservata alla scelta del posto di osservazione, che può essere la strada, se particolarmente affollata, un locale , una abitazione privata, un veicolo o mezzo nautico, opportunamente individuati per la loro posizione.

Qualora, nel corso del servizio sia necessario un certo intervento (o per procedere all’arresto, o ad una perquisizione, o identificare una persona), deve essere possibile con gli operatori un perfetto collegamento radio, che deve essere adeguatamente preordinato e provato nella stessa zona, affinché ne sia assicurata l’efficienza e per evitare spiacevoli sorprese.

 

 

 

L'attività di assicurazione

Sarebbe inutile individuare gli autori dei reati se non fossero consentiti, nei reati più gravi, «atti di assicurazione personale» (ad esempio: arresto in flagranza e fermo di indiziato); sarebbe inutile ricercare le cose e tracce pertinenti il reato se non fossero consentiti «atti di assicurazione reale» (ad esempio: sequestro), volti, cioè alla conservazione di quelle cose o tracce utili per il procedimento.
L’attività di assicurazione consiste nell’
acquisire in disponibilità i risultati delle investigazioni precedentemente o contestualmente compiute., affinché possano servire ai futuri sviluppi dell’accertamento penale.

In particolare, l’attività di assicurazione può essere attuata:

  1. sulla persona, ed è compiuta mediante la sua precisa individuazione, o, nei casi più gravi, mediante l’adozione nei suoi confronti delle misure coercitive dell’arresto in flagranza o del fermo;
  2. sulle cose e tracce pertinenti al reato, e ciò avviene mediante la loro generica conservazione ovvero, quando possibile, mediante il loro impossessamento e la loro custodia (=sequestro penale).

L’assicurazione personale è attuata nei casi più semplici, attraverso l’acquisizione degli elementi necessari per poterne avere la disponibilità (ad esempio, attraverso una precisa individuazione e conoscenza delle generalità e della residenza del soggetto), e, nei casi più gravi anche attraverso la limitazione della libertà personale mediante l’adozione di “misure pre-cautelari“ o “provvisorie di coercizione personale” quali l’arresto in flagranza o il fermo di indiziato di delitto.
L’assicurazione delle cose e tracce pertinenti al reato è attuata, se possibile, attraverso il loro "
impossessamento" e la loro "custodia".

Si tratta sostanzialmente di “misure coercitive reali”, che, come quelle personali, hanno carattere provvisorio o precario e consistono in una generica attività di conservazione dello stato delle cose ovvero nel loro sequestro.
Laddove possibile, l’assicurazione delle cose e delle tracce pertinenti al reato avviene mediante l’impossessamento e custodia intesi in senso materiale.

  • Si pensi, ad esempio, con riferimento al reato di inquinamento marino, al sequestro del registro idrocarburi dell’unità sospettata di aver causato un inquinamento marino, ovvero il sequestro di impianti deputati alla movimentazione di prodotti inquinanti da sottoporre a successiva perizia da parte di consulenti tecnici nominati dall’Autorità Giudiziaria o ancora delle navi o imbarcazioni che hanno prodotto l’inquinamento.
    E ancora, con riferimento alla polizia demaniale (art. 30 Cod. nav.), al sequestro preventivo e/o probatorio di opere abusive realizzate su suolo demaniale marittimo.

In molte circostanze tale attività è difficilmente praticabile. Si pensi ai casi in cui i fatti o gli avvenimenti ovvero le qualità ed i modi di essere delle cose sono destinati a svanire.
In questi casi l’assicurazione avviene mediante «documentazione» (descrittiva: verbali, annotazioni; riproduttiva: rilievi, calchi, disegni, documentazione cinematografica).

  • Si pensi, ad esempio, alla tracce di frenata sull’asfalto, di affumicatura a seguito di incendio in porto o all’odore di un certo combustibile; e, ancora, alla ipotesi di un occasionale accertamento di iridescenze di sostanze inquinanti in un tratto di mare da parte del personale della Guardia Costiera sprovvisti di mezzi per il tempestivo prelievo di campioni di acqua di mare. In tal caso l’assicurazione può avvenire mediante qualsiasi documentazione descrittiva (Verbale o annotazione) o riproduttiva (rilievi fotografici riportanti la data sovra impressa sulla pellicola).

L’assicurazione reale è attuata mediante l’impossessamento e la custodia delle cose o delle tracce pertinenti il reato (sequestro).

Le misure personali e quelle reali hanno in comune la finalità cautelare, consistente nella tutela di valori processuali o extraprocessuali, cioè di difesa sociale.

► Il criterio differenziale tra i due tipi di misura risiede nel loro oggetto:

  1. nelle misure personali, oggetto è la persona indagata o imputata, la quale vede temporaneamente soppressa o limitata la sua libertà fisica o di locomozione spaziale;
  2. nelle misure reali, oggetto è una cosa, un bene mobile o immobile che è sottoposto a sequestro, probatorio, conservativo o preventivo.
     

Il sequestro

  • Consiste nell'acquisizione del "corpo del reato" e delle "cose a questo pertinenti" e spesso segue Verbale di perquisizione o di acquisizione di plico o corrispondenza.

A seconda della finalità dell'atto si distinguono:

  1. sequestro penale (o probatorio)
  2. sequestro preventivo
  3. sequestro conservativo

Le tre tipologie rappresentano misure dirette a garantire al procedimento la disponibilità di un bene e ad evitarne la possibile manomissione.

► Il sequestro penale o probatorio (artt. 253, 354 e 355 c.p.p.)

Atto tipico di assicurazione mediante il quale la Polizia Giudiziaria, ricorrendo situazioni di necessità e urgenza, sottrae alla disponibilità dell’avente diritto e assoggetta a custodia una cosa mobile o immobile che rappresenta corpo del reato o cosa pertinente al reato necessario per l’accertamento dei fatti (finalità probatoria). 
Il sequestro penale è quindi preordinato alla ricerca di mezzi di prova e ha finalità prevalentemente probatoria, in coerenza con la fondamentale funzione di assicurazione delle fonti di prova assegnate alle attività di polizia giudiziaria (art. 348 c.p.p.).

► Il sequestro preventivo (artt. 321-323 c.p.p.)

Ha finalità cautelare intesa come prevenzione e tutela della collettività da altri reati. Esso impedisce infatti che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato, possa aggravarne o protrarne le conseguenze ovvero agevolare la commissione di altri reati (finalità cautelare).
Il sequestro preventivo è disposto dal Giudice (nel corso delle indagini preliminari, dal GIP), su richiesta del Pubblico Ministero e in caso di urgenza motivata, dal P.M. (con decreto motivato) o un Ufficiale di P.G. (e NON anche un Agente) se il P.M. non ha ancora assunto la direzione delle indagini.
Trattasi di misura cautelare reale di indole penale solo eccezionalmente spettante alla polizia Giudiziaria (art. 321 c.p.p.).

  • Esempi: il sequestro della somma di denaro destinata al pagamento del riscatto, impedisce l’espandersi degli effetti del reato; il sequestro preventivo di un macchinario difettoso il cui uso ha provocato la morte di una persona, necessario per evitare analoghi fatti qualificabili come omicidio colposo.

Valgono le disposizioni del sequestro penale. Nel caso il sequestro venisse effettuato da un Ufficiale di P.G. di propria iniziativa, deve trasmettere il verbale entro le successive 48 ore al P.M. competente: se questi non dispone la restituzione delle cose sequestrate, deve richiedere entro le successive 48 ore la convalida del sequestro al Giudice.
Il sequestro disposto dal P.M. o effettuato d’iniziativa dalla P.G., perde di efficacia se non sono osservati i termini suindicati oppure se il Giudice non emette l’ordinanza di convalida entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta.

► Il sequestro conservativo (artt. 316-320 c.p.p.)

Esso ha finalità di acquisizione-conservazione del patrimonio dell'imputato o anche del responsabile civile. Assicura cioè al procedimento alcuni beni perché con essi sia garantito il pagamento delle spese di giustizia ed il mentenimento del condannato in carcere nonché delle somme dovute al danneggiato (finalità cautelare), la rifusione delle spese ed onorari dovuti al difensore.
Trattasi di misura cautelare reale di natura civilistica e non già penale, volta al futuro soddisfacimento di pretese civili dell'Erario o della parte civile mai spettante alla Polizia Giudiziaria (art. 316 c.p.p.).

Il sequestro conservativo è disposto dal Giudice, su richiesta del Pubblico Ministero, quando vi è fondato motivo di ritenere che:

  1. manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento delle somme dovute all’erario dello Stato (spese del procedimento);
  2. manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento delle obbligazioni civili derivanti dal reato (risarcimento del danno subito dalla vittima del reato stesso).

 

 

Nozione di corpo di reato e di pertinenze

Per «corpo di reato» si intendono, secondo il Codice di rito (art. 253 comma 2: che recepisce la formulazione dell'art. 240 c.p. in materia di confisca):

  1. le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso
  • Ad esempio, gli oggetti danneggiati, l'unità investitrice, gli atti falsificati, l'arma omicida.
  1. le cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato
  • Ad esempio, monete falsificate, e brevetti contraffatti, refurtiva e somma percepita per commettere il delitto

Nella nozione di corpo di reato sono state fatte rientrare la banconota - di cui era stato annotato il numero di serie - utilizzata per l'acquisto simulato di droga e l'autovettura di cui l'imputato si era servito per il trasporto della droga.

Il Codice di rito non definisce invece, le  «cose pertinenti al reato» tra le quali possono rientrare i mezzi che servirono per preparare il reato (le impronte delle chiavi per commettere il furto), le tracce lasciate dal reato (segni di scasso), ogni altra cosa che abbia subito le conseguenze immediate del reato (mobili, mezzi, immobili con segni di sparo, di urto, di incendio).

In via di approssimazione, può dirsi che sono cose pertinenti al reato quelle che servono, anche indirettamente, ad accertare la consumazione dell'illecito, le sue circostanze e il suo autore.

 

Sequestro probatorio: modus operandi

  • Organo che procede:
  1. Possono procedervi solo gli Ufficiali di polizia giudiziaria, salvo i casi di necessità e urgenza anche gli Agenti di polizia giudiziaria (sempre specificamente motivati).
  • Oggetto del sequestro:
  1. Le cose che costituiscono il corpo del reato e le cose pertinenti al reato necessarie per l'accertamento dei fatti (art. 253 comma 1)
  • Presupposti
  1. La Polizia Giudiziaria procede al sequestro quando vi è pericolo che le cose, le tracce o i luoghi del reato si alterino, si disperdano o comunque si modifichino e il Pubblico Ministero non può intervenire tempestivamente (art. 354) o prima che lo stesso non abbia assunto la direzione delle indagini.
    Tali situazioni di necessità e urgenza non riguardano, naturalmente, le ipotesi di sequestro delegato dal Pubblico Ministero (art. 253 comma 3) (salvo il caso in cui la Legge stessa preveda il sequestro obbligatorio per una determinata ipotesi di reato)....
  • La legge quadro sulla pesca n. 154/2016 e successive modifiche prevede, ad esempio, il sequestro di specie ittiche (risorse biologiche), catturate mediante l’uso di materie esplodenti, corrente elettrica, sostanze tossiche (art. 9, comma 1).
  1. Il sequestro è eseguito in qualsiasi luogo e può avvenire anche nel corso dell’esecuzione di un altro atto di polizia giudiziaria (ad esempio, la perquisizione personale o domiciliare) oltre che su esibizione dell’interessato (art. 352 in rel. artt. 252 e 248 comma 1 c.p.p.).
  • Garanzie difensive:
  1. Il difensore ha facoltà di assistere all’atto; non ha diritto, però di essere preventivamente avvisato (art. 356 c.p.p.). La persona indagata deve essere avvisata se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia (art. 114 att.).
  2. Il Verbale di sequestro è depositato nella segreteria del P.M. entro il terzo giorno successivo al compimento dell’atto salvo che il P.M. non disponga di ritardare il deposito (art. 366 comma 2). 
  • Modalità esecutive e formalità:

Per le modalità esecutive, bisogna distinguere fra “cosa mobile” e “immobile”.

  1. Si procede al sequestro di “cosa materiale mobile” per mezzo della sua apprensione manuale (c.d. “impossessamento”) da parte della Polizia Giudiziaria. I reperti sono affidati alla custodia della segreteria del Pubblico Ministero - "Ufficio corpi di reato", salvo che ciò non sia possibile od opportuno.
  • Ad esempio, il sequestro degli attrezzi da pesca non consentiti, se facilmente trasportabili ovvero di sostanze stupefacenti
  1. Qualora si tratti, invece, di “immobili” o di cose di “difficile trasporto” o ancora di cose di “difficile custodia giudiziaria”, il sequestro si esegue in maniera simbolica, mediante mantenimento locale, della cosa, con la nomina di un custode e con l’apposizione, laddove possibile e/o necessario di cartelli monitori (“Opere sottoposte a sequestro penale”); sigilli [1] ovvero, in relazione alla natura delle cose, di altro mezzo idoneo, dispositivo o congegno applicato sulla cosa ed idoneo ad assicurane la conservazione e l’identità (=ossia ad indicare il vincolo imposto ai fini di giustizia)
  • Si pensi, ad esempio, al sequestro di automezzi, impiegati in attività illecite, navi o parti di queste di difficile rimozione da cui siano originati fenomeni d’inquinamento, manufatti, effettuati mediante cartelli monitori, ovvero interruzione di fornitura idrica ed elettrica, effettuati mediante l’apposizione di sigilli o altro mezzo idoneo come il bollo o il timbro applicato su ceralacca o su piombo per assicurane la conservazione e l’identità.
  1. Le cose sequestrate sono, di norma, affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria del Pubblico Ministero, ovvero affidate a un «custode» ai sensi degli artt. 120 e 259 c.p.p.
    Anche lo stesso indagato e la persona offesa potrebbero essere nominati custodi del corpo del reato anche se un affidamento alle persone indicate non è da privilegiare. Nel Verbale di sequestro va menzionata la nomina del custode, la sua accettazione e la sua assunzione degli obblighi di legge.
  1. Nel caso di sequestro di carte (eventuali atti quali concessioni, autorizzazioni, ecc.), le stesse sono numerate e sottoscritte singolarmente da chi procede al sequestro. Se ciò non è possibile esse sono chiuse in uno o più pacchi sigillati, numerati e timbrati (art. 81 norme att.). 
  • Documentazione e trasmissione:
  1. L’atto di sequestro è documentato mediante Verbale, (art. 357 comma 2 lett. d c.p.p.
  2. Il verbale deve essere sottoscritto da chi ha eseguito il sequestro e da chi era presente; contiene l’elenco delle cose sequestrate e la descrizione delle cautele adottate per assicurarle; indica inoltre la specie ed il numero dei sigilli apposti.
  3. Il verbale è redatto nel corso del compimento dell'atto ma può, peraltro, essere redatto immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze (da indicarsi specificamente) che impediscono la documentazione contestuale (art. 373 comma 4 in rel. all'art. 357 comma 3 c.p.p.).

► Il Verbale di sequestro deve, comunque, contenere i seguenti elementi: 

  1. la descrizione delle operazioni compiute per effettuare il sequestro;
  2. la enunciazione dei motivi che hanno indotto l’Ufficiale di polizia giudiziaria ad operare il sequestro;
  3. l’elenco analitico delle cose sequestrate, la descrizione delle misure adottate per l’assicurazione delle stesse, nonché il tipo ed il numero dei sigilli apposti;
  4. indicazione circa le determinazioni adottate, con riferimento all’eventuale custodia delle cose sequestrate, con particolare riferimento al luogo della custodia ed alla persona designata quale responsabile della stessa;
  5. la sottoscrizione da parte di chi ha eseguito il sequestro, di chi era presente al compimento del relativo atto, dell’eventuale custode nominato nonché la dichiarazione di quest’ultimo di
    assumere gli obblighi di legge.
  6. Il Verbale è consegnato in copia, laddove possibile, alla persona[2] alla quale le cose sono state sequestrate, ed è trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore al P.M. del luogo dove il sequestro è stato eseguito (art. 355 comma 1 c.p.p.).
  • Utilizzazione:
  1. Il Verbale di sequestro ha utilizzabilità piena prima del giudizio ed utilizzabilità originaria piena anche nel giudizio (art. 431 comma 1 lett. b c.p.p.).
  • Convalida del sequestro:
  1. Quando ha proceduto al sequestro, la Polizia Giudiziaria enuncia nel verbale la motivazione del sequestro e ne consegna copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate . Il verbale è trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore[3] al Pubblico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito.
  2. Il P.M. (che è dunque quello del luogo del sequestro anche se diverso da quello che conduce le indagini) nelle 48 ore successive, con decreto motivato, convalida il sequestro (se riconosce che sussistevano le condizioni per effettuarlo) ovvero dispone la restituzione delle cose sequestrate.
  3. Quando il P.M. ravvisa che la Polizia Giudiziaria ha effettuato il sequestro in assenza dei presupposti di legge, può non convalidare il sequestro e disporre sulle stesse cose un altro, autonomo sequestro (indipendentemente dalla circostanza che tali cose siano state o meno restituite all'avente diritto).
  4. Nel caso di convalida, alla persona deve essere notificata copia del decreto di convalida del sequestro effettuata dal Pubblico Ministero.
  5. Contro il decreto di convalida può essere proposta richiesta di riesame anche nel merito (art. 324 c.p.p.) da parte dell'indagato, del suo difensore, della persona alla quale le cose sono state sequestrate e della persona che avrebbe diritto alla loro restituzione. La richiesta del riesame no sospende l'esecuzione del provvedimento (art. 355 commi 3 e 4 c.p.p.).

 


[1] Il sigillo è lo strumento simbolico attraverso cui si manifesta la volontà dello Stato diretta ad assicurare beni mobili o immobili contro ogni atto di disposizione o di manomissione.

[2] La Cassazione penale Sez. VI, 8/7/1999, n. 2668. ha stabilito che la mancata consegna all’interessato del decreto di sequestro disposto dall’A.G., ovvero quando al sequestro provveda la polizia giudiziaria, della copia del verbale di sequestro o del decreto motivato di convalida, non costituisce causa di nullità del provvedimento, mancando l’espressa previsione di tale causa di invalidità ed essendo garantito il diritto di difesa, dalla facoltà dell’interessato di produrre richieste di riesame entro 10 giorni dalla data in cui è venuto a conoscenza dell’atto.

[3] Secondo alcune sentenze, il sequestro perde efficacia se non è trasmesso al P.M. entro il termine di 48 ore (Cassa. 20/10/1995, Lo Noce); secondo altre, la perdita di efficacia consegue solo alla mancata convalida entro il complessivo termine di 96 ore dal sequestro (Cassa. 11/10/1995, Papa).

 

Sequestro preventivo: modus operandi

  • Organo che procede:
  1. Può procedervi il Giudice competente per il procedimento (art. 91 att. c.p.p.: giudice unico, corte di assise, corte di appello, corte di assise d'appello) su richiesta del Pubblico Ministero.

      ► Nel corso delle indagini:

  1. il G.I.P. sempre su richiesta del Pubblico Ministero;
  2. quando, per la "situazione di urgenza" (che va motivata, a pena di illegittimità del sequestro), non è possibile attendere il provvedimento del G.I.P., l'organo competente a effettuare il sequestro è:
  1. il Pubblico Ministero (che provvede con decreto motivato);
  2. un Ufficiale di polizia giudiziaria nel corso della c.d. attività autonoma (e non anche un Agente), se il Pubblico Ministero non ha ancora assunto la direzione    delle indagini (art. 323 comma 3 c.p.p.).
  • Oggetto del sequestro:
  1. Vanno sequestrate (sequestro facoltativo) le cose pertinenti al reato e le cose di cui è consentita la confisca (art. 240 c.p. : le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato; che ne rappresentano il profitto, il prodotto o il prezzo; la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato).
  • Presupposti:
  1. La commissione di un reato (anche se di esso sono ancora ignoti gli autori e la precisa qualificazione giuridica del reato - c.d. fumus commisis delicti).
  2. Deve ricorrere il pericolo attuale e concreto (=la probabilità) che la libera disponibilità delle cose pertinenti al reato possa «aggravare o protrarre» le conseguenze del reato ovvero «agevolare» la commissione di altri reati (c.d. periculum in mora).
  1. Nelle prime due ipotesi (aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato) si fa riferimento ai casi in cui il sequestro preventivo costituisce il mezzo per interrompere l'attività criminosa o per impedire l'espansione del reato.
  • Ad esempio, il sequestro di materie esplodenti destinate all'attività illecita di pesca ovvero della somma di denaro destinata al pagamento del riscatto di una persona sequestrata
  1. Nella terza ipotesi (agevolazione nella commissione di altri reati), sono compresi, invece, i casi in cui la cosa pertinente al reato è idonea, nella sua oggettività, a essere collegata alla commissione di altri fatti criminosi.
  • Si pensi, ad esempio, a un macchinario difettoso il cui uso ha già provocato la morte di un operaio e il cui sequestro è, pertanto, necessario per evitare che si verifichino altri analoghi fatti qualificabili come omicidi colposi.
  • Tra i casi di sequestro preventivo ritenuti legittimi dalle sentenze, si ricordano, ad esempio, il sequestro di acquascooter (o moto d'acqua) utilizzato a distanza inferiore da quella permessa; il fucile (e delle relative munizioni) allorché il suo possessore sia stato sorpreso in atteggiamento di caccia in un Parco protetto.
  • Garanzie difensive:
  1. Il difensore ha facoltà di assistere all’atto; non ha diritto, però di essere preventivamente avvisato (art. 356 c.p.p.). La persona indagata deve essere avvisata se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia (art. 114 att.).
  • Modalità esecutive e formalità:

Per le modalità esecutive, bisogna distinguere fra “cosa mobile” e “immobile”.

  1. Si procede al sequestro di “cosa materiale mobile” per mezzo della sua apprensione manuale (c.d. “impossessamento”) da parte della polizia giudiziaria. I reperti sono affidati alla custodia della segreteria del Pubblico Ministero, ufficio corpi di reato, salvo che ciò non sia possibile od opportuno.
  • Ad esempio, il sequestro degli attrezzi da pesca non consentiti, se facilmente trasportabili ovvero di sostanze stupefacenti
  1. Qualora si tratti, invece, di “immobili” o di cose di “difficile trasporto” o ancora di cose di “difficile custodia giudiziaria” il sequestro si esegue in maniera simbolica, mediante mantenimento locale, della cosa, con la nomina di un custode e con l’apposizione, laddove possibile e/o necessario di cartelli monitori (“Opere sottoposte a sequestro penale”); sigilli [1] ovvero, in relazione alla natura delle cose, di altro mezzo idoneo, dispositivo o congegno applicato sulla cosa ed idoneo ad assicurane la conservazione e l’identità (=ossia ad indicare il vincolo imposto ai fini di giustizia)
  • Si pensi, ad esempio, al sequestro di automezzi, impiegati in attività illecite, navi o parti di queste di difficile rimozione da cui siano originati fenomeni d’inquinamento, manufatti, effettuati mediante cartelli monitori, ovvero interruzione di fornitura idrica ed elettrica, effettuati mediante l’apposizione di sigilli o altro mezzo idoneo come il bollo o il timbro applicato su ceralacca o su piombo per assicurane la conservazione e l’identità.
  1. Le cose sequestrate sono, di norma, affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria del Pubblico Ministero, ovvero affidate a un "custode" ai sensi degli artt. 120 e 259 c.p.p. Anche lo stesso indagato e la persona offesa potrebbero essere nominati custodi del corpo del reato anche se un affidamento alle persone indicate non è da privilegiare. Nel Verbale di sequestro va menzionata la nomina del custode, la sua accettazione e la sua assunzione degli obblighi di legge.
  2. Nel caso di sequestro di carte (eventuali atti quali concessioni, autorizzazioni, ecc.), le stesse sono numerate e sottoscritte singolarmente da chi procede al sequestro. Se ciò non è possibile esse sono chiuse in uno o più pacchi sigillati, numerati e timbrati (art. 81 norme att.).
  • Documentazione e trasmissione:
  1. L’atto di sequestro è documentato mediante Verbale, (art. 357 comma 2 lett. d c.p.p.) e deve essere sottoscritto da chi ha eseguito il sequestro e da chi era presente; contiene l’elenco delle cose sequestrate e la descrizione delle cautele adottate per assicurarle; indica inoltre la specie ed il numero dei sigilli apposti.
  2. Il verbale è redatto nel corso del compimento dell'atto ma può, peraltro, essere redatto immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze (da indicarsi specificamente) che impediscono la documentazione contestuale (art. 373 comma 4 in rel. all'art. 357 comma 3 c.p.p.).

► Il Verbale di sequestro deve, comunque, contenere i seguenti elementi:

  1. la descrizione delle operazioni compiute per effettuare il sequestro;
  2. la enunciazione dei motivi che hanno indotto l’Ufficiale di polizia giudiziaria ad operare il sequestro;
  3. l’elenco analitico delle cose sequestrate, la descrizione delle misure adottate per l’assicurazione delle stesse, nonché il tipo ed il numero dei sigilli apposti;
  4. indicazione circa le determinazioni adottate, con riferimento all’eventuale custodia delle cose sequestrate, con particolare riferimento al luogo della custodia ed alla persona designata quale responsabile della stessa;
  5. la sottoscrizione da parte di chi ha eseguito il sequestro, di chi era presente al compimento del relativo atto, dell’eventuale custode nominato nonché la dichiarazione di quest’ultimo di assumere gli obblighi di legge.
  1. Il Verbale è consegnato in copia, laddove possibile, alla persona[2] alla quale le cose sono state sequestrate, ed è trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore al P.M. del luogo dove il sequestro è stato eseguito (art. 355 comma 1 c.p.p.).
  • Convalida del sequestro:

Se il sequestro è disposto dal P.M. o dalla Polizia Giudiziaria, esso va convalidato. In particolare:

  1. il P.M. deve richiedere al G.I.P. la convalida del proprio provvedimento e l'emissione del decreto entro 48 ore dal sequestro;
  2. l'Ufficiale di polizia giudiziaria che ha proceduto al sequestro di propria iniziativa deve trasmettere il Verbale, nelle 48 ore successive, al Pubblico Ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Il P.M., se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, deve richiedere, entro 48 ore dalla ricezione del verbale, la convalida del sequestro e l'emissione del relativo decreto.
  3. Quando ha proceduto al sequestro, la Polizia Giudiziaria enuncia nel verbale la motivazione del sequestro e ne consegna copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate . Il verbale è trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore[3] al Pubblico ministero del luogo dove il sequestro è stato eseguito.
  4. Il sequestro disposto dal P.M. o dalla Polizia Giudiziaria «perde efficacia» se non sono osservati i termini sopra indicati oppure se il G.I.P. non emette l'ordinanza di convalida entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta.
  • Utilizazzione:
  1. Non si pongono problemi di utilizzazione poiché l'atto non ha finalità di prova

 


[1] Il sigillo è lo strumento simbolico attraverso cui si manifesta la volontà dello Stato diretta ad assicurare beni mobili o immobili contro ogni atto di disposizione o di manomissione.

[2] La Cassazione penale Sez. VI, 8/7/1999, n. 2668. ha stabilito che la mancata consegna all’interessato del decreto di sequestro disposto dall’A.G., ovvero quando al sequestro provveda la polizia giudiziaria, della copia del verbale di sequestro o del decreto motivato di convalida, non costituisce causa di nullità del provvedimento, mancando l’espressa previsione di tale causa di invalidità ed essendo garantito il diritto di difesa, dalla facoltà dell’interessato di produrre richieste di riesame entro 10 giorni dalla data in cui è venuto a conoscenza dell’atto.

[3] Secondo alcune sentenze, il sequestro perde efficacia se non è trasmesso al P.M. entro il termine di 48 ore (Cassa. 20/10/1995, Lo Noce); secondo altre, la perdita di efficacia consegue solo alla mancata convalida entro il complessivo termine di 96 ore dal sequestro (Cassa. 11/10/1995, Papa).

 

Sequestro di stupefacenti

L’Autorità che effettua il sequestro di stupefacenti o sostanze psicotrope deve darne immediata notizia alla «Direzione Centrale Antidroga» specificando l’entità e il tipo di sostanze sequestrate.
Quando il decreto di sequestro o di convalida non è più assoggettabile "
a riesame", l’Autorità giudiziaria ordina la distruzione delle sostanze (salvo che non siano indispensabili per le indagini).

  • La Polizia Giudiziaria controlla il regolare svolgimento delle operazioni di distruzione documentandole in apposito Verbale che è trasmesso all’Autorità giudiziaria e al Ministero della Sanità. Alla distruzione provvede idonea struttura pubblica (locale o statale).

Gli artt. 100 e 101 T.U. 309/1990 dettano particolari disposizioni relative alla destinazione dei beni sequestrati o confiscati a seguito di operazioni antidroga e alla destinazione dei valori confiscati a seguito di tali operazioni, prevedendo che quei beni e quelle cose possano essere utilizzati per l’attività di contrasto dei delitti previsti dalla legge sugli stupefacenti.

  • I beni mobili iscritti in pubblici registri (come le auto, le navi, le imbarcazioni e gli aeromobili) sequestrati nel corso delle operazioni di polizia giudiziaria antidroga possono essere affidati, dall’Autorità giudiziaria, in custodia giudiziale agli Organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego in attività di polizia antidroga.

L'attività esecutiva

L’attività esecutiva consiste nell’assicurare l’effettiva attuazione dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria (Giudice o Pubblico Ministero).

  • Gli aspetti più significativi dell’attività esecutiva affidata alla Polizia Giudiziaria sono rappresentati:
  1. dal dovere di eseguire gli ordini del Giudice o del Pubblico Ministero: gli articoli. 131 e 378 c.p.p. prevedono che l’Autorità Giudiziaria, nell’esercizio delle proprie funzioni, possa chiedere l’intervento della Polizia Giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede.
  2. dai doveri in relazione al giudizio direttissimo: gli Ufficiali e gli Agenti di PG che hanno eseguito l’arresto in flagranza o che hanno avuto in consegna l’arrestato sono chiamati (ove il PM ritenga di dover procedere al giudizio direttissimo) a:

     -  provvedere alla citazione orale della persona offesa e dei testimoni;
     -  dare avviso al difensore di fiducia o, in mancanza, a quello d’ufficio designato;
     -  condurre l’arrestato davanti al pretore del dibattimento per la convalida e il contestuale giudizio direttissimo.

 

  • Le notificazioni

La notificazione è l’atto formale mediante il quale, un atto del Giudice, del Pubblico Ministero o di una parte privata, viene portato a conoscenza legale di una persona.
Il Codice ha attribuito anche alla Polizia Giudiziaria oltre che all’Ufficiale giudiziario, la "funzione di notificazione" degli atti del procedimento. Alla notificazione possono procedere sia gli Ufficiali che gli Agenti di polizia giudiziaria.

►  Le forme di "notificazione" sono:

  1. la forma normale, quella attuata mediante consegna di copia dell’atto al destinatario. Se non è possibile la consegna alla persona interessata, la stessa va effettuata a persona che convive anche temporaneamente, o in mancanza al portiere o chi ne fa le veci. Se la copia è consegnata al portiere, questi deve sottoscrivere l’originale dell’atto. Quando mancano
    persone idonee o legittimate ovvero quando tali persone si rifiutano di ricevere la copia, la Polizia Giudiziaria deposita l’atto nella casa del comune dove l’interessato abita o lavora abitualmente. Affigge quindi l’avviso del deposito sulla porta della casa di abitazione o del luogo di lavoro e del deposito dà notizia con lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
  2. forme particolari, quelle effettuate a mezzo telefono o telegrafo (presuppone l’urgenza della convocazione), prevista per persona diversa dall’imputato. La comunicazione telefonica non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario ovvero dal convivente. Deve essere seguita come immediata conferma- dalla spedizione di un telegramma diretto al destinatario (alla spedizione del telegramma provvede la segreteria del PM o la cancelleria del Giudice); quella eseguita mediante mezzi tecnici (telefax), prevista per le notificazioni a persona diversa dell’imputato;
    quella prevista col mezzo della posta.

Quando si procede alla notificazione secondo la forma normale, la polizia giudiziaria scrive, in calce all’originale dell’atto e alla copia notificata, la «relazione di notifica». Essa indica:

  1. l’Autorità che ha richiesto la notificazione;
  2. le ricerche effettuate, il luogo e la data di consegna della copia;
  3. le generalità della persona alla quale è stata consegnata la copia.

La relazione di notifica è sottoscritta da chi procede all’atto. Non è prevista la sottoscrizione della persona alla quale l’atto è stato notificato salvo che la notificazione sia avvenuta mediante consegna dell’atto stesso al portiere o chi ne fa le veci.

  • Stampati:
  1. Relazione di notificazione all’imputato non detenuto ed ad atti soggetti (art. 157 e 167 c.p.p.).
  2. Relazione di notificazione in plico chius

 

 

Relazione di notificazione all’imputato non detenuto

 

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO GUARDIA COSTIERA
______________________

 


Oggetto: Relazione di notificazione all’imputato non detenuto ed ad atti soggetti (art. 157 e 167 c.p.p.).

 


Il sottoscritto _________________ Ufficiale/Agente di PG _______________ (Cognome, nome e qualifica) in servizio presso ______________ (Ufficio, reparto o ente) certifica che, come da richiesta _______________ (estremi della richiesta e A.G. mandante), il giorno ______________ alle ore ______ ha notificato il presente atto (oppure, se la relazione viene redatta a parte e non in calce o sul retro dell’atto, indicare l’atto che viene notificato), a ________________________________________.

 

1. consegnandone copia integrale nelle mani del destinatario;

ovvero

 

b) presso la sua abitazione sita in ______________ provvedendo, per la momentanea assenza dell’interessato, alla consegna di copia a ______________________________ (generalità della persona che riceve l’atto indicando i suoi rapporti con il destinatario) che con il destinatario convive (temporaneamente/stabilmente) e che è persona idonea in quanto non
minore degli anni 14 e non in stato di manifesta incapacità di intendere o volere
[1]

 

 

                    Firma della persona a cui viene consegnato [2] ________________________

                    Firma dell’Ufficiale/Agente di PG operante        ________________________

 

 

 


[1] Se si tratta di atto di notificazione diretto all’imputato o l’indagato, dare atto che la consegna avviene in un plico chiuso e che la relazione di notificazione è iscritta all’esterno del plico stesso.
[2] La firma non è prescritta se l’atto viene consegnato al destinatario o ad atre delle persone indicate dalla legge. La sottoscrizione, invece, è obbligatoria a pena di nullità (art. 171) se l’atto è consegnato al portiere o a chi ne fa le veci. In quest’ultimo caso della notificazione va poi data notizia al destinatario dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

 

 

 

Relazione di notificazione in plico chiuso

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO GUARDIA COSTIERA
______________________

 

Oggetto: Relazione di notificazione in plico chiuso [1].

 

 

Il sottoscritto _____________ Ufficiale/Agente di PG _______________(Cognome, nome e qualifica) in servizio presso ______________ (Ufficio, reparto o ente) il giorno ___________ del mese ___________ alle ore ______ su richiesta del ___________________________ (A.G. mandante) ha notificato copia integrale dell’atto di _________________________ diretto a _________________________ (generalità del destinatario e indirizzo), mediante consegna in plico chiuso, all’esterno del quale ha redatto la relazione di notificazione, a mani del Sig. _____________________________ qualificatosi per il portiere del destinatario e di persone capaci e conviventi.

 

 

                        Firma del portiere o chi ne fa le veci         ___________________

                        Firma dell’Ufficiale/Agente di PG operante ___________________
                                                        

 

 

 


[1] Dell’avvenuta notifica va poi data notizia al destinatario dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

 

 

 

 

Le misure pre-cautelari e cautelari personali

  • ll procedimento penale è essenzialmente la dialettica conflittuale tra il "diritto di libertà" dell’inquisito e la "pretesa punitiva" dello Stato.

Il modello accusatorio astratto contempla la presunzione di non colpevolezza dell’inquisito (art. 27. comma 2 Cost.), sicché prima della sentenza irrevocabile di condanna dovrebbero essere inammissibili meccanismi limitativi o privativi della libertà personale dell’inquisito, innocente in forza di legge.

II modelli accusatori positivi, tuttavia, in varia misura, consentono la limitazione anticipata dello stato di libertà, con misure cautelari, per:

  1. esigenze di difesa sociale, le quali, radicate nella coscienza sociale, richiedono, nelle more del processo, la protezione della collettività degli onesti dall’assalto del crimine;
  2. esigenze di ordine processuale, le quali sono correlate all’interesse al corretto ed ordinato esercizio dell’azione penale.

Tali esigenze sono recepite dal nostro Codice, anche in virtù delle sue tracce di inquisitorietà. L'esercizio del potere cautelare non è però senza limiti.

  • Il codice prevede:
  1. misure pre-cautelari di tipo custodiali e di pertinenza esclusiva degli Organi inquirenti: la Polizia Giudiziaria per l’arresto in flagranza e il fermo; il Pubblico Ministero solo per il fermo. L’arresto e il fermo costituiscono istituti inquisitori di natura pre-cautelare, in quanto operativi prima di qualsiasi valutazione giurisdizionale del Giudice e giudiziaria del P.M. e, quindi, antecedenti alle misure cautelari (giurisdizionali);
  2. misure cautelari giurisdizionali, adottabili solo da un Giudice e solo su richiesta del Pubblico Ministero (e quindi non della P.G., né di ufficio).

Le misure cautelari possono essere raggruppate in «misure coercitive», che sono, in vario modo, privative o limitative della libertà di locomozione, ed in «misure interdittive», che si limitano ad intaccare talune facoltà giuridiche o diritti, ma non incidono sulla libertà dell’individuo.
Come quelle personali, anche le misure cautelari reali (sequestro preventivo e sequestro conservativo) hanno natura solo giurisdizionale.

 

Le misure pre-cautelari: arresto e fermo

Nelle indagini preliminari la Polizia Giudiziaria e il Pubblico Ministero possono limitare la libertà personale dell'indagato: la Polizia Giudiziaria con «l'arresto e il fermo di indiziato di delitto», il Pubblico Ministero con «il fermo di indiziato di delitto» (essendo quanto meno dubbio il suo potere di arresto in flagranza).

L’arresto in flagranza e il fermo di indiziato di delitto, in quanto "provvedimenti provvisori" (=misure pre-cautelari) limitativi della libertà personale adottati da Organi non giurisdizionali (P.M. e P.G.), sottostanno al dettato dell'art. 13, comma 3 Cost., per cui:

  1. la legge può prevedere che essi siano emanati solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza indicati tassativamente dalla legge stessa; 
  2. i suddetti provvedimenti sono provvisori, cioè hanno una efficacia limitata nel tempo;
  3. essi sono soggetti al successivo controllo ed all'eventuale convalida dell'Organo giurisdizionale, al quale devono essere comunicati entro 48 ore dall'adozione ed il quale deve pronunciare in ordine alla convalida entro 48 ore dalla comunicazione;
  4. se non vengono convalidati entro questo termine, si intendono revocati e privi dfi effetto.

Entrambe le misure di polizia giudiziaria, quindi, mirano a realizzare una funzione anticipatrice delle corrispondenti misure cautelari custodiali riservate poi al Giudice, ed hanno, quindi, rispetto ad esse, un ruolo "pre-cautelare", anche cronologicamente.

  • Le misure cautelari giurisdizionali hanno per presupposto una delle tre tipiche "funzioni cautelari":
  1. pericolo di inquinamento delle prove
  2. pericolo di fuga
  3. pericolo per esigenze di difesa sociale (art. 274).

Per il "fermo di indiziato di delitto" l’esigenza cautelare è espressamente proclamata, essendo previsto il «pericolo di fuga».

Per "l’arresto", non viene, in verità, richiamato alcuno dei tre parametri cautelari. Le ipotesi di «arresto obbligatorio» sono ricollegate solo alla gravità del titolo del reato; quelle di «arresto facoltativo» ad altri parametri (gravità del fatto e pericolosità del soggetto). Tuttavia è da ritenere che tali parametri siano tutti presuntivi della sussistenza di esigenze cautelari. Conferma se ne trae dalla previsione dell’obbligo del Pubblico Ministero di rimettere in libertà l’arrestato e il fermato quando non ravvisi esigenze cautelari (art. 121 disp. att.). D’altra parte, il fermo e l’arresto, aventi durata massima di 96 ore, possono essere tramutati in misure cautelari personali, solo se sussistono esigenze, appunto, cautelari (art.391 c.5).

  • La differenza saliente tra arresto e fermo, è il requisito della "flagranza del reato": questa occorre per l’arresto, ma non per il fermo.

 

Arresto in flagranza

L’arresto in flagranza viene distinto in «obbligatorio» e «facoltativo»; all’arresto però possono procedere soltanto gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria (il P.M. solo nel caso di reato commesso in udienza).
Gli Ufficiali o gli Agenti di polizia giudiziaria hanno il dovere di arrestare chi è colto nella flagranza dei
reati elencati nell'art. 380 c.p.p. ed hanno la facoltà (rectius: il potere discrezionale) di arrestare chi è colto nella flagranza dei reati elencati nell'art. 381 commi 1 e 2 c.p.p.
L'arresto discrezionale deve essere giustificato «dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto» (art. 381 comma 4 c.p.p.)

  • I presupposti all’arresto sono:
  1. lo stato di flagranza
  2. la commissione di uno dei delitti previsti dagli artt. 380 e 381, arresto obbligatorio e arresto facoltativo: nel caso di arresto facoltativo deve esistere la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:

      - gravità del fatto (luogo, causali, danno provocato, mezzi utilizzati, modalità dell’azione);

      - pericolosità del soggetto (precedenti penali, condotta successiva al reato, condotta di vita individuale).

  • In caso di sorpresa in flagranza di un reato perseguibile a querela, l'arresto può essere operato «se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'Ufficiale o all'Agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà» (artt. 380 comma 3 e 381 comma 3 c.p.p.).
  • In particolare  «non è consentito l'arresto della persona richiesta di fornire informazioni dalla Polizia Giudiziaria o dal Pubblico Ministero per reati concernenti il contenuto di informazioni o il rifiuto di fornirle» (art. 381 comma 4-bis c.p.p.), così come, in analogo ordine di idee,  «non è consentito l'arresto del testimone in udienza per reati concernenti il contenuto delle deposizione» (art. 476 comma 2 c.p.p.).
  • Nei casi in cui l'arresto è obbligatorio per la Polizia Giudiziaria, lo stesso, sempreché si versi in flagranza di un reato perseguibile di ufficio, e facoltativo per il privato, il quale, se lo esegue, deve consegnare senza ritardo l'arrestato e il corpo del reato alla Polizia Giudiziaria. Questa redige il Verbale della consegna e ne rilascia copia al privato (art. 383 c.p.p.).
  • L'arresto è vietato allorché il soggetto abbia agito in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità (art. 385 c.p.p.).
  • L'arresto in flagranza non è mai obbligatorio per il minore, ma rimesso alla discrezionalità degli Organi di polizia, avuto riguardo alla gravità del fatto, all'età e alla personalità dl minore (art. 16 comma 3 c.p.p.).

 

Nozione di stato di flagranza

L'arresto è la restrizione della libertà personale che Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria dispongono a carico di chi è colto nella flagranza di un reato, cioè di chi «viene colto nell'atto di commettere il reato» (c.d. flagranza propria) oppure  «subito dopo il reato, è inseguito dalla Polizia Giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone, o in alternativa, è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima» (c.d. flagranza impropria o indiziaria o quasi-flagranza).

Nel rearto permanete lo stato di flagranza dura fino a quando la permanenza non è cessata (art. 382 c.p.p.).

  • La quasi flagranza è equivalente alla flagranza.

 

Esempi significativi di arresto in flagranza

  • Nel corso dell’attività di prevenzione (di ordine, pattuglia, perlustrazione) e repressione di reati, accade sovente all’operatore di polizia di imbattersi in fatti criminosi che esigono una immediata valutazione circa la praticabilità o meno dell' «arresto in flagranza».

Al fine di agevolare il compito del personale del Corpo della Capitaneria di Porto-Guardia Costiera, in questa sede è però opportuno esemplificare quanto prevede sul punto la normativa vigente con riferimento a taluni reati che ricorrono con maggiore frequenza. 

  • L’arresto in flagranza è praticabile:
  1. furto in abitazione (624-625): arresto obbligatorio;
  2. scippo (624-625): arresto obbligatorio;
  3. borseggio (624-625): arresto facoltativo;
  4. rapina (626): arresto obbligatorio;
  5. estorsione (629): arresto obbligatorio;
  6. abuso d’ufficio (323): arresto facoltativo;
  7. appropriazione indebita (646): arresto facoltativo;
  8. associazione di stampo mafioso (416-bis): arresto obbligatorio;
  9. associazione per delinquere (416): arresto obbligatorio;
  10. attentati sicurezza trasporti (432): arresto obbligatorio;
  11. avvelenamento acque, sostanze alimentari (439): arresto obbligatorio;
  12. circostanze aggravanti alla violenza e resistenza (339): arresto facoltativo;
  13. commercio sostanze alimentari nocive (444): arresto facoltativo;
  14. concussione (317): arresto facoltativo;
  15. contraffazione sigillo di stato (467): arresto facoltativo;
  16. corruzione del cittadino (246): arresto obbligatorio;
  17. corruzione incaricato un pubblico servizio (320): arresto facoltativo;
  18. danneggiamento (635): arresto facoltativo;
  19. danneggiamento seguito da naufragio (429): arresto obbligatorio;
  20. distruzione opere militari (253): arresto obbligatorio;
  21. esplosione colpi, bombe, ordigni (art. 61 2/1/67 n. 895): arresto facoltativo;
  22. estorsione (629): arresto obbligatorio;
  23. fabbricazione o detenzione esplodenti (435):  arresto facoltativo;
  24. falsa testimonianza (372): arresto non previsto;
  25. false dichiarazioni in atti destinati all’A.G. (374 bis): arresto facoltativo;
  26. falsità ideologica commessa dal Pubblico Ufficiale (479): arresto facoltativo;
  27. falsità materiale commessa da Pubblico Ufficiale in atto pubblico (476): arresto facoltativo;
  28. favoreggiamento personale (378): arresto facoltativo;
  29. furto (624): arresto facoltativo;
  30. furto, circostanze aggravanti (625): arresto obbligatorio;
  31. incendio (423): arresto obbligatorio;
  32. interruzione servizio (331): arresto facoltativo;
  33. introduzione luoghi militari (260, co.2): arresto obbligatorio;
  34. istigazioni militari (266, co.2): arresto facoltativo;
  35. lesione personale (582): arresto facoltativo;
  36. lesioni personali colpose (590): arresto facoltativo;
  37. malversazione a danno Stato (316 bis): arresto facoltativo;
  38. millantato credito (346): arresto facoltativo;
  39. naufragio (428): arresto obbligatorio;
  40. oltraggio a Pubblico Ufficiale (341 bis): arresto facoltativo
  41. omessa denuncia aggravata (363): arresto facoltativo;
  42. omicidio (575): arresto obbligatorio;
  43. omicidio colposo (589): arresto facoltativo;
  44. omicidio preterintenzionale (584): arresto facoltativo;
  45. omicidio del superiore (1150 C.N.): arresto obbligatorio;
  46. omicidio preterintenzionale (1151 C.N.): arresto facoltativo;
  47. peculato (314): arresto facoltativo;
  48. rapina (628): arresto obbligatorio;
  49. resistenza a Pubblico Ufficiale (337): arresto facoltativo;
  50. rissa (588): arresto facoltativo (co.2);
  51. rivelazione segreti ufficio (326): arresto facoltativo (co. 3 1^ipotesi);
  52. sequestro persona (605): arresto facoltativo;
  53. sequestro persona scopo estorsione (630): arresto obbligatorio;
  54. spionaggio politico o militare (257): arresto obbligatorio;
  55. strage (422): arresto obbligatorio;
  56. stupefacenti: produzione, fabbricazione, distribuzione, vendita, cessione, trasporto, illecita detenzione (art 73 DPR 9/10/90 n. 309): arresto obbligatorio, fermo consentito, competenza tribunale;
  57. tratta e commercio schiavi (601): arresto obbligatorio;
  58. truffa (640): arresto facoltativo;
  59. violazione domicilio da parte di Pubblico Ufficiale (615): arresto facoltativo (co.1);
  60. violenza carnale (519): arresto facoltativo;
  61. violenza o minaccia a Pubblico Ufficiale (336-339): arresto facoltativo;
  62. violenza privata (610): arresto facoltativo.

► Attenzione !

L’arresto è facoltativo per il reato di resistenza, nonché per qualunque ipotesi di violenza o minaccia.
La fattispecie della “resistenza” non va però confusa con la cosiddetta “resistenza passiva” (art. 350 c.p.).

  • Ad esempio, il manifestante che occupa la sede stradale o ferroviaria ovvero il ciglio della banchina mentre si sta ormeggiando una nave e si lascia trasportare “di peso” dalla forza pubblica senza opporre resistenza (=resistenza passiva).
  • (Si evidenziano le fattispecie criminose di interesse per il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera)

 

Arresto obbligatorio

Singolare nel nostro sistema processuale è l’obbligatorietà per la Polizia Giudiziaria di procedere, in determinate ipotesi, all’arresto, mentre il Giudice ha sempre discrezionalità nella emissione iniziale, nelle stesse ipotesi, della corrispondente misura cautelare custodiale, sicché l’indagato che riesca a sfuggire all’esecuzione dell’arresto obbligatorio di polizia giudiziaria può anche non essere assoggettato dal Giudice alla analoga misura giurisdizionale. L’apparente contraddizione è spiegata dalla normale immediatezza di intervento della P.G. rispetto al fatto-reato, che giustificherebbe in ogni caso la immediata e drastica reazione pre-cautelare e, quindi l’automatico arresto in flagranza.

► Presupposti dell’arresto obbligatorio, tutti relativi al reato commesso, sono:

  1. la natura del delitto non colposo (consumato o tentato);
  2. la flagranza;
  3. la gravità del fatto-reato.

La gravità del delitto, a sua volta, è desumibile, in alternativa, da:

  1. qualità del delitto: per espressa e tassativa previsione, racchiusa nel codice (art. 380 c. 2) [1] o in altre leggi;
  2. quantità della sanzione (art. 380 comma 1 c.p.p.); delitti astrattamente punibili, nel minimo, con almeno anni 5 di reclusione e, nel massimo, con almeno anni 20 ovvero con l’ergastolo.
    Per determinare tale soglia (minima e massima) di pena non si computano la recidiva, la continuazione e le circostanze speciali o ad effetto speciale.
  • Ad esempio, per quanto consiste i reati previsti dal Codice della navigazione si pensi al caso dei reati di “pirateria” (art. 1135 cod. nav. e di “omicidio del superiore” (art. 1150 Cod. nav.).
    Inoltre a seguito della modifica apportata alla legge relativa all’immigrazione clandestina, anche il reato di “favoreggiamento all’immigrazione clandestina” costituisce ipotesi che da luogo all’obbligatorietà dell’arresto.
    Fra le ipotesi previste dall’art. 380, comma 2 c.p., aventi potenziale rilevanza nei traffici marittimi si ritiene utile rammentare “l’illegale introduzione di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse e di esplosivi” (art. 380 comma 2 lettera g). 

► Differimento dell’arresto

In caso di traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, il Pubblico Ministero può, se necessario per le indagini, autorizzare la Polizia Giudiziaria a ritardare l’esecuzione dell’arresto (art. 98 T.U. 9.10.1990, n.309). Altrettanto il Pubblico Ministero può disporre in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione (art.7 comma 3 D.L.15.1.1991, n. 8 conv. in L.82/91), così evitando che l’immediata obbligatoria esecuzione dell’arresto comprometta altri interessi, quali esigenze investigative (ad esempio: un proficuo pedinamento di un corriere di droga).

 

 


[1] Art. 380 comma 2 c.p.p.: delitti contro la personalità dello Stato; devastazione o saccheggio; contro l’incolumità pubblica; riduzione in schiavitù; furto aggravato; rapina; fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita… di armi da guerra e esplosivi; delitti concernenti qualsiasi tipo di sostanze stupefacenti o psicotrope (salvo fatto qualificabile come di lieve entità); con finalità di terrorismo o di eversione, ecc.
 

Arresto facoltativo

  • Presupposti dell’arresto facoltativo, tutti relativi al reato commesso, sono:
  1. la natura del delitto doloso o anche colposo;
  2. la flagranza;
  3. la gravità del delitto, inferiore a quella occorrente per l’arresto obbligatorio;
  4. la pericolosità dell’interessato.

► Tale gravità, a sua volta, è desumibile, anche qui da:

  1. qualità del delitto (art. 381 c.2), data dalla sua inclusione in una espressa previsione normativa anche extra codicem;
  2. quantità della sanzione (art. 381 c.1); delitti non colposi punibili con oltre 3 anni di reclusione (ad esempio: peculato mediante profitto altrui, violenza o minaccia a Pubblico Ufficiale, corruzione di minorenni, lesione personale, furto, truffa, ecc.); delitti colposi punibili con almeno 5 anni. A differenza dell’arresto obbligatorio, per quello facoltativo è irrilevante la
    soglia edittale minima di pena e l’arresto può riguardare anche delitti colposi.

Per le sostanze stupefacenti, l’arresto in flagranza è vietato solo quando si tratta di detenzione per uso personale. Negli altri casi, l’arresto è obbligatorio, salvo il fatto sia di lieve entità, in questo caso l’arresto è facoltativo. Nel caso di detenzione per uso personale sono previste semplici sanzioni amministrative. 

  • I parametri della facoltatività

Facoltatività dell’arresto non significa né arbitrarietà di decisione, né discrezionalità illimitata. Infatti, l’Ufficiale o Agente di P.G., deve attenersi a due parametri, incentrati sull’autore del reato e sul fatto-reato:

  1. parametro oggettivo: valutazione della gravità del fatto commesso;
  2. parametro soggettivo: valutazione della pericolosità criminale dell’inquisito, sulla base della sua personalità o delle circostanze del fatto.

L’arresto è eseguibile anche se sussiste uno solo dei due parametri e, in ordine al parametro soggettivo, basta la valutazione negativa anche di uno solo dei due profili che lo accompagnano (criterio della alternatività).

  • Divieto di arresto

Ai sensi dell’art. 381, comma 4 bis (introdotto dalla Legge 332/1995), non è consentito l’arresto della persona richiesta di fornire informazioni alla Polizia Giudiziaria o al Pubblico Ministero per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle.

Il divieto opera non solo per il delitto di cui all’art. 371 bis c.p. (false informazioni al P.M.), ma anche per i reati diversi, come ad esempio, la calunnia (art. 368 c.p.) ed il favoreggiamento personale (art. 378 c.p.).

 

 

Fermo di indiziato di delitto

L’istituto del fermo di Polizia Giudiziaria è, come l’arresto, una "misura precautelare", privativa della libertà personale. Entrambi hanno una efficacia temporale massima limitata alle 96 ore e possono essere convertiti dal Giudice in una "misura cautelare giurisdizionale", se persistono esigenze cautelari.

Il fermo di indiziato di delitto, qualora ne ricorrono i presupposti, è sempre obbligatorio. Però, qui, l’obbligatorietà ha una ratio diversa da quella sottesa all’arresto obbligatorio. Invero, essa non consegue automaticamente al fatto reato, ma alla condotta dell’indiziato integrante il «pericolo di fuga». Tale pericolo corrisponde alla analoga esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. b, che giustifica l’adozione da parte del Giudice di una misura cautelare personale, che, peraltro, in quest’ultimo caso, può avere anche carattere diverso dalla restrizione in carcere. 

  • I presupposti del fermo

Nella sua forma tipica (art. 384) i suoi presupposti sono:

  1. natura di delitto anche colposo;
  2. gravità del delitto, desumibile dalla sanzione (reclusione pari, nel minimo, ad almeno 2 anni e superiore, nel massimo, ad anni 6; ovvero ergastolo); o al tipo di reato (delitto concernente
    armi da guerra o esplosivi);
  3. irrilevanza della flagranza, ma rilevanza del pericolo di fuga anche dopo cessata la flagranza. 
  • Caratteri differenziali dall’arresto

Il fermo differisce dall’arresto perché:

  1. il fermo, ma non l’arresto, può essere disposto anche dal P.M.;
  2. il fermo può essere eseguito anche fuori dei casi di flagranza;
  3. il fermo presuppone necessariamente e soltanto l’esigenza pre-cautelare del pericolo di fuga;
  4. il fermo, se ne ricorrono i presupposti normativi, è sempre obbligatorio;
  5. il fermo, a differenza dell’arresto, non è mai eseguibile da privati. 
  • Organi legittimati

Legittimati al fermo sono:

  1. in primo luogo il P.M.;
  2. in via suppletiva, la P.G. (Ufficiali ed Agenti), quando non è possibile attendere l’intervento del P.M. e cioè quando:
    -   il P.M. non ha ancora assunto la direzione delle indagini;
    -   l’indiziato è identificato in un secondo momento dalla P.G.;
    -   il pericolo di fuga è successivamente sopravvenuto.

Il fermo è quindi un provvedimento limitativo della libertà personale che il Pubblico Ministero dispone nei confronti di chi, non sorpreso in flagranza di un reato, risulta gravemente indiziato di un delitto per il quale la legge stabilisce l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a 6 anni e non inferiore nel minimo a 2 anni, ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi o commesso per finalità di terrorismo anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico. tale provvedimento può essere disposto allorché «specifici elementi...anche in relazione alla impossibilità di identificare l'indiziato», fanno ritenere fondato il pericolo di una sua fuga (art. 384 comma 1, c.p.p.).

Gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria possono operare il fermo prima che il Pubblico Ministero abbia assunto la direzione delle indagini se ricorrono i presupposti sopra indicati oppure, dopo che il Pubblico Ministero ha assunto la direzione delle indagini, se «sia successivamente individuato l'indiziato ovvero, sopravvengono specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del Pubblico Ministero» (art. 384 commi 2 e 3 c.p.p.).

Il fermo è vietato allorché il soggetto abbia agito in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità (art. 385 c.p.p.).

  • Caducazione del fermo

Allorché il provvedimento di fermo venga adottato con decreto del P.M., se esso rimane ineseguito per la tempestiva fuga dell’indiziato, perde automaticamente efficacia; sicché il P.M. per la cattura dell’indagato dovrà avanzare ordinaria richiesta di misura cautelare (art. 272 e ss.) al Giudice.

 

 

Adempimenti conseguenti l'arresto ed il fermo

Sotto la rubrica «Doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo» l’art. 386 del c.p.p. prevede una serie di attività che la Polizia Giudiziaria deve compiere, così sintetizzate:

  1. Eseguito l’arresto o il fermo, la Polizia Giudiziaria ne dà immediata comunicazione al Pubblico Ministero e pone l’arrestato o il fermato a disposizione del medesimo Pubblico Ministero al più presto e comunque non oltre le 24 ore (pena, l’inefficacia[1] dell’arresto o del fermo);
  2. il Pubblico Ministero, entro 48 ore dall’arresto o dal fermo, richiede la convalida al Giudice per le indagini preliminari (o Giudice del giudizio direttissimo);
  3. il GIP, al più presto e comunque entro le 48 ore successive, fissa l’udienza decidendo quindi sulla convalida al più tardi entro 48 ore dal momento in cui l’arrestato o il fermato è stato posto a sua disposizione.
  • Il G.I.P., fissa l’udienza in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore, dell’arrestato o del fermato. L’udienza di convalida consiste in un controllo sulla legalità dell’arresto o del fermo e, con l’eventuale adozione di una misura coercitiva stabile (custodia cautelare in carcere) e non provvisoria come l’arresto o il fermo, ovvero con la liberazione dell’arrestato o del fermato a piede libero.
  • Nell’ambito dell’informativa, la Polizia Giudiziaria deve:
  1. dare immediata notizia dell’esecuzione dell’arresto o del fermo al PM;
  2. porre l’arrestato o il fermato a disposizione del Pubblico Ministero al più presto e comunque non oltre le 24 ore dall’arresto o dal fermo (la messa a disposizione, avviene mediante la conduzione in carcere dell’arrestato o del fermato);
  3. condurre, l’arrestato o il fermato in istituto di custodia, sempre entro 24 ore e, sempre entro il medesimo termine trasmettere il verbale di arresto o fermo (il PM potrebbe autorizzare una maggiore dilazione);
  4. avvertire, l’arrestato o il fermato della facoltà di nominare un difensore di fiducia;
  5. informare, appena ricevuta la nomina il difensore di fiducia o, in mancanza quello d’ufficio (designato dal PM) (costituisce grave infrazione disciplinare dare consigli sulla scelta del difensore di fiducia);
  6. dare, senza ritardo, avviso dell’arresto o del fermo ai familiari (solo con il consenso dell’arrestato o fermato, non occorre il consenso nel caso di minore).
  • Attenzione !
  1. Quando l’arresto in flagranza è stato operato per gravi delitti concernenti la produzione o il traffico illecito di sostanze stupefacenti e nei confronti di uno straniero, gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria, che lo hanno eseguito, ne danno comunicazione al Prefetto (eventuale espulsione).
  2. Per prevenire eventuali reazioni o tentativi di fuga è consentito ammanettare l’arrestato o il fermato. In proposito deve ricordarsi che:
  1. le modalità di esecuzione di tutte le misure che privano della libertà personale devono sempre salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto;
  2. specie nel corso delle traduzioni, va perciò assicurato il fondamentale rispetto della dignità e del diritto alla riservatezza della persona, adottando ogni possibile provvedimento sia per proteggere la persona stessa dalla curiosità del e da ogni specie di pubblicità, sia per evitarle inutili disagi;
  3. l’inosservanza delle disposizioni stabilite per evitare che le traduzioni di arrestati e fermati diventino forme di spettacolo, costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari;
  4. salvo che ricorrano gravi esigenze di sicurezza, è vietato l’uso delle manette nelle traduzioni di arrestati o fermati minorenni. Nelle traduzioni individuali di maggiorenni, l’uso delle manette ai polsi è invece consentito solo quando lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga. Tale valutazione spetta al PM che ha disposto la misura e alla PG se l’arresto o il fermo è avvenuto di sua iniziativa;
  5. tali previsioni illustrate con riferimento alle modalità delle traduzioni, valgono anche per l’arresto in flagranza e il fermo.

Agli adempimenti materiali conseguenti all’arresto o al fermo (si pensi a quelli relativi agli avvisi, alla traduzione in istituto di custodia, alla trasmissione dei verbali), possono provvedere anche Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria diversi da quelli che hanno eseguito la misura (art. 120 att.).

  • Si ricordi che !
  1. la nomina del difensore di fiducia può essere fatta anche da un prossimo congiunto (art. 96 comma, 3 c.p.p. );
  2. costituisce grave infrazione disciplinare dare consigli sulla scelta del difensore di fiducia (art. 25 att.);
  3. il difensore ha immediato il diritto al colloquio con il suo assistito salvo che il colloquio non venga differito dal Pubblico Ministero o dal GIP (art. 104);
  4. l’obbligo di comunicazione al difensore dell’avvenuto arresto o fermo sorge immediatamente ed esso si spiega con la necessità di porre l’arrestato o il fermato nelle condizioni di disporre subito dell’assistenza difensiva e di esercitare il diritto al colloquio.

L’inadempimento dell’obbligo di comunicazione da parte della Polizia Giudiziaria può concretare – a carico di questa – il reato di omissione di atti di ufficio (art. 328 c.p.) (Cassazione 18/10/1996). 

 


[1] L’arresto o il fermo diviene inefficace se non è osservato il termine («al più presto e comunque non oltre 24 ore») entro il quale l’arrestato o il fermato deve essere posto a disposizione del Pubblico Ministero (art. 386, comma 3 c.p.p.).
L’inosservanza del termine produce il diritto dell’arrestato o del fermato alla immediata liberazione a opera della stessa Polizia Giudiziaria (art. 389 comma 2), del Pubblico Ministero (art. 389, comma 1 c.p.p.) o del G.I.P. (art. 391, comma 4 c.p.p.).
L’arresto o il fermo diviene inefficace (e l’arrestato o il fermato ha diritto alla immediata liberazione) anche nel caso in cui la Polizia Giudiziaria non osserva il termine entro il quale deve trasmettere al Pubblico Ministero il relativo Verbale (art. 386, commi 3 e 7 c.p.p.). Il P.M. può peraltro dilazionare la trasmissione del Verbale (può essere disposta anche oralmente).

 

Obblighi di conduzione in carcere in caso di arresto di fermo

L’obbligo per la Polizia Giudiziaria di dare immediata notizia dell’esecuzione dell’arresto o del fermo (art. 386, comma 1 c.p.p.) al Pubblico Ministero e quello di mettere a sua disposizione (art. 386 comma 3 c.p.p.) l’arrestato o il fermato «al più presto e comunque non oltre 24» fà si che il Pubblico Ministero possa intervenire personalmente e sollecitamente.

La messa a disposizione avviene mediante la «conduzione in carcere» dell’arrestato o del fermato (art. 386 comma 4 c.p.p.), fatte eccezione per talune ipotesi di Giudizio direttissimo.

L’obbligo di condurre in carcere l’arrestato o il fermato può essere derogato solo quando lo dispone il Pubblico Ministero per “esigenze cautelari” o “di indagine”. 

  • Nel primo caso (deroga motivata da esigenze cautelari) il Pubblico Ministero può disporre la custodia dell’arrestato o del fermato presso la propria abitazione, altro luogo di privata dimora o in luogo di cura (arresti domiciliari) quando ritiene che tale misura sia adeguata rispetto alle esigenze (pericolo di fuga, pericolo tutela della collettività) del caso concreto e anche in relazione alle richieste da formulare nell’udienza di convalida sulla libertà personale (art. 391 c.p.p.).
    La decisione del PM può essere presa anche dopo aver interrogato l’arrestato o il fermato ovvero dopo aver acquisito le valutazioni e gli atti compiuti della Polizia Giudiziaria. 
  • Nel secondo caso (deroga motivata da esigenze connesse alle indagini), il Pubblico Ministero può disporre che l’arrestato o il fermato sia custodito presso un istituto diverso da quello del luogo ove l’arresto o il fermo è stato eseguito (art. 386 comma 4 c.p.p.).

 

Arresto e fermo di minorenni

La legge processuale penale minorile tutela la personalità del minore anche restringendo i casi in cui la libertà personale può essere assoggettata a limitazioni.
Premesso che nella determinazione della pena ai fini dell'applicazione di tali restrizioni si deve tener conto, oltreché dei criteri indicati dall'art. 278 c.p.p., della diminuente dell'età (art. 1, comma 5, cui fa rinvio l'art. 18-bis comma 5 c.p.p.), gli
Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria possono sottoporre il minore ad arresto in flagranza e ad accompagnamento presso i propri uffici; inoltre gli stessi e il Pubblico Ministero possono sottoporre il minore a fermo.

L'arresto in flagranza non è mai obbligatorio, ma rimesso alla «discrezionalità» degli Organi di polizia, avuto riguardo alla gravità del fatto, all'età e alla personalità del minore (art. 16 comma 3 c.p.p.), allorché questi sia colto in flagranza di un delitto non colposo punito con l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a 9 anni ovvero di uno dei delitti, consumato o tentati, previsti dall'art. 380 comma 2 lett. e, f, g e h  c.p.p., nonché del delitto di violenza carnale (art. 16 comma 1, tramite rinvio all'art. 23 comma 1 c.p.p.).

I suddetti Ufficiali e Agenti, sempre avuto riguardo alla gravità del fatto, all'età e alla personalità del minore, possono, quando lo colgano in flagranza di un delitto non colposo punito con l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, accompagnarlo nei propri uffici e trattenerlo sino ad un massimo di 12 ore al fine di consegnarlo all'esercente la potestà dei genitori o all'eventuale affidatario o ad altra persona incaricata da costoro (art. 18-bis comma 1 c.p.p.).
Infine tanto gli Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria quanto il Pubblico Ministero possono operare il fermo del minore indiziato di un delitto per cui è consentito l'arresto in flagranza, sempreché, trattandosi di reato punito con la reclusione, questa non sia inferiore nel minimo a 2 anni (art. 17 c.p.p.).

Obblighi degli Organi di indagine

  • Quando si procede all’arresto o fermo di un minorenne gli Ufficiali e gli Agenti di Polizia Giudiziaria:
  1. ne danno immediata notizia (col mezzo più rapido) al Pubblico Ministero, all’esercente la potestà dei genitori e all’eventuale affidatario;
  2. informano tempestivamente i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia;
  3. avvertono il minorenne della facoltà di nominare un difensore di fiducia (la facoltà va riconosciuta anche da chi esercita la potestà dei genitori e all’eventuale affidatario);
  4. informano (appena ricevuta la nomina) il difensore di fiducia o, in mancanza, quello di ufficio (designato dal Pubblico Ministero);
  5. curano che, nei loro uffici, il minorenne sia trattenuto in locali separati da quelli dove si trovano maggiorenni arrestati o fermati (art. 20 co. 1 - bis del D.Lgs. 28/7/1989, n. 272);
  6. ricorrendone le condizioni (art. 389 co.2), procedono alla liberazione dell’arrestato o del fermato;
  • Il Pubblico Ministero appena ricevuta la notizia, può disporre che il minorenne sia:
  1. posto immediatamente in libertà quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 389 del codice;
  2. posto immediatamente in libertà quando ritiene che, all’esito dell’udienza di convalida, non dovrà richiedere l’applicazione di una misura cautelare;
  3. condotto senza ritardo presso una comunità pubblica o autorizzata che lo stesso Pubblico Ministero provvede a indicare;
  4. ovvero condotto senza ritardo in un Centro di privata accoglienza (locali, cioè, diversi dal carcere istituiti allo scopo di evitare che l’impatto con l’istituzione carceraria avvenga prima dell’intervento del Giudice e della convalida – art. 18 D.P.R. 448/1988);
  5. ovvero ancora, tenuto conto della gravità del fatto nonché dell’età e della personalità del minorenne, accompagnato presso la sua abitazione familiare.

Al fine di adottare i provvedimenti di sua competenza appena indicati, il Pubblico Ministero può disporre che il minorenne sia condotto davanti a sé.

Qualunque sia il provvedimento adottato dal Pubblico Ministero, a questo segue la richiesta di convalida e l’udienza relativa davanti al Giudice per le indagini preliminari (artt. 390 e 391).
La richiesta e l’udienza devono intervenire, rispettivamente, entro 48 ore dall’arresto o dal fermo ed entro le 48 ore dal momento in cui il minorenne è posto a disposizione del G.I.P.

 

Accompagnamento di minorenne a seguito di flagranza

Quando non si procede all’arresto o fermo di un minorenne, ma all’accompagnamento a seguito di flagranza (e cioè all’adozione della misura attenuata pre-cautelare di cui all’art. 18-bis D.P.R. 488/1988) gli Ufficiali e gli Agenti di Polizia Giudiziaria: 

  1. ne danno immediata notizia al Pubblico Ministero e, informano tempestivamente i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia;
  2. invitano l’esercente la potestà dei genitori e l’eventuale affidatario a presentarsi presso i propri uffici per prendere in consegna il minorenne;
  3. consegnano il minorenne all’esercente la potestà dei genitori, all’eventuale affidatario o alla persona da questi incaricata avvertendo costoro dell’obbligo di tenere il minorenne stesso a disposizione del Pubblico Ministero e di vigilare sul suo comportamento;
  4. danno immediata notizia al Pubblico Ministero della circostanza:
  • di non aver potuto invitare l’esercente la potestà dei genitori o l’eventuale affidatario a presentarsi nei propri uffici per prendere in consegna il minorenne;
  • che l’esercente la potestà dei genitori o l’affidatario, quantunque invitato a prendere in consegna il minorenne, non vi ha ottemperato;
  • che la persona alla quale il minorenne deve essere consegnato è manifestamente inidonea ad adempiere agli obblighi di vigilare su di lui e di tenerlo a disposizione del Pubblico Ministero. 
  • curano che, nei loro uffici, il minorenne sia trattenuto in locali separati da quelli dove si trovano maggiorenni arrestati o fermati (art. 20 comma 1 – bis D.lgs 28/7/1988, n. 272);
  • provvedono a condurre senza ritardo il minorenne presso un Centro di prima accoglienza ovvero presso una comunità pubblica o autorizzata quando così dispone il P.M. non appena ricevuta la notizia del fatto che, per una delle ragioni indicate nel punto (?), non è stato possibile provvedere alla consegna del minorenne stesso all’esercente la potestà dei genitori o all’eventuale affidatario.

Il Pubblico Ministero appena ricevuta la notizia dell’accompagnamento a seguito di flagranza può disporre che il minorenne sia: 

  1. posto immediatamente in libertà quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 389 del codice;
  2. posto immediatamente in libertà quando ritiene che, all’esito dell’udienza di convalida, non dovrà richiedere l’applicazione di una misura cautelare;
  3. condotto presso l’abitazione familiare, perché vi rimanga a sua disposizione, quando ciò sia comunque opportuno (e quindi anche nell’ipotesi in cui la Polizia Giudiziaria non abbia potuto o ritenuto di consegnare il minorenne alla persona esercente la potestà e all’eventuale affidatario) tenuto conto delle modalità del fatto, dell’età del minorenne e della sua situazione familiare;
  4. condotto senza ritardo presso un Centro di privata accoglienza ovvero presso una comunità pubblica o autorizzata quando riceve la notizia del fatto che la Polizia Giudiziaria non ha potuto provvedere alla consegna del minorenne all’esercente la potestà dei genitori o all’eventuale affidatario.

Al fine di adottare i provvedimenti di sua competenza appena indicati, il Pubblico Ministero può disporre che il minorenne sia condotto davanti a sé.
Qualunque sia il provvedimento adottato dal Pubblico Ministero, a questo segue la richiesta di convalida e l’udienza relativa davanti al Giudice per le indagini preliminari (artt. 390 e 391).
La richiesta e l’udienza devono intervenire, rispettivamente, entro 48 ore dall’accompagnamento ed entro le 48 ore dal momento in cui il minorenne è posto a disposizione del G.I.P.

 

Convalida dell'arresto e del fermo

Con la messa a disposizione del P.M. e la traduzione in carcere dell’arrestato o del fermato, cessano le attività della Polizia Giudiziaria relative all’arresto e al fermo.
Appare tuttavia opportuno accennare, sia pur sommariamente, al "
procedimento di convalida" di tali provvedimenti, che sono in sostanza sottoposti ad un "doppio vaglio giurisdizionale", da parte del P.M. e del Giudice delle indagini preliminari (G.I.P.).

  • Il P.M., in particolare, effettua un preliminare controllo di:
  1. legittimità sull’atto di arresto o fermo: il P.M. se lo ritiene illegittimo (per evidente innocenza, evidente illegalità o sopravvenuta inefficacia: art. 389 c.p.p.), ordina la immediata liberazione del fermato o arrestato, ma ciò non preclude al P.M. il potere di chiedere ugualmente al Giudice una misura cautelare;
  2. adeguatezza: il P.M., allorché ravvisi che la persona arrestata o ferma è in precarie condizioni di salute, ovvero che la detenzione in carcere è sproporzionata rispetto alle esigenze cautelari, può disporre che essa sia custodita agli arresti domiciliari, in attesa della pronuncia del Giudice della convalida;
  3. merito: il P.M., anche quando ritiene legittimo l’eseguito fermo o arresto, può sempre direttamente ed immediatamente rimettere in libertà la persona, se non ravvisa l’attuale permanenza di esigenze cautelari (pericolo di fuga estigativo, pericolo per le esigenze di difesa sociale: art. 273 e art. 121 disp. att. c.p.p.). In tal caso, essendo già stato liberato
    l’arrestato o fermato, non vi è alcuna urgenza per la richiesta del P.M. e la pronuncia del Giudice sulla convalida. Se, invece, si ravvisa esigenze cautelari, il P.M. oltre a domandare la eventuale convalida, chiede subito anche la misura cautelare.
  • In ordine al Giudice investito di tali richieste, esso è:
  1. il G.I.P. (ipotesi usuale) che decide nella apposita udienza di convalida anche in ordine alla misura cautelare, eventualmente domandata dal P.M.;
  2. il G.I.P. funzionalmente competente è quello del luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito.
  • Ad esempio: se un soggetto viene fermato a Milano per un omicidio fatto a Napoli, benché il reato appartenga alla competenza territoriale di Napoli, il G.I.P. della convalida è quello del tribunale di Milano.
  1. più raramente, il Giudice del giudizio direttissimo. Trattasi di ipotesi in cui il P.M. domanda direttamente e contestualmente al Giudice dibattimentale di convalidare l’arresto o fermo e di procedere al giudizio col rito direttissimo, nonché eventualmente di adottare una misura cautelare.

L’udienza di convalida (art. 391 c.p.p.) innanzi al G.I.P., si svolge in camera di consiglio nel contraddittorio fra accusa e difesa; è personalmente sentito anche l’arrestato o il fermato se questi non rifiuta di comparire.
All’udienza, essendo in gioco la libertà dell’inquisito, è obbligatoria la presenza effettiva del suo difensore che deve essere preavvisato, ma è facoltativa quella del P.M., che avrà fatto pervenire per iscritto le sue conclusioni sulla convalida ed eventualmente la richiesta di misura cautelare (art. 24 D.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 che ha modificato in tal senso l’art. 391, comma 3).

All’esito dell’udienza il G.I.P. decide con ordinanza, ricorribile solo per cassazione (art. 391 comma 4), con la quale, in alternativa:

  1. convalida l’arresto o fermo;
  2. dichiara la illegittimità del fermo o arresto non convalidandolo. In tale ipotesi, l’autore della misura è eventualmente assoggettabile a sanzioni disciplinari, se sussistono profili di colpa (o, al limite, dolo) rilevanti in tale sede. In ogni caso, la persona assoggetta alla misura ha diritto alla riparazione pecuniaria per ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314 c.p.p.

Il G.I.P. (o il Giudice dibattimentale in caso di giudizio direttissimo) deve verificare tutti i presupposti dell’arresto (flagranza, titolo di reato, osservanza dei termini, gravità del fatto e pericolosità del soggetto) o de fermo (gravità degli indizi, titolo del reato, osservanza dei termini e fondato pericolo di fuga).

 

Modus operandi

  • Le fasi successive del procedimento conseguente all’arresto o al fermo sono così scandite:
  1. al più tardi entro 24 ore dalla esecuzione della misura, l’arrestato o il fermato passa nella disponibilità del Pubblico Ministero salvo i casi di liberazione a opera della stessa Polizia Giudiziaria;
  2. il Pubblico Ministero può procedere all’interrogatorio (art. 388);
  3. entro 48 dall’arresto o dal fermo, il Pubblico Ministero o provvede alla liberazione (art. 389 co.1) o richiede la convalida al G.I.P. competente in relazione al luogo dove l’arresto è stato eseguito (art. 390 co.1),
  4. il G.I.P. fissa l’udienza di convalida al più presto o comunque entro le 48 ore successive. Entro tali 48 ore l’udienza deve essere celebrata (art. 390 co.2).
  • Il Pubblico Ministero con la richiesta di convalida (art. 390 e art. 122 att.) trasmette:
  1. il decreto di fermo (se il fermo è stato disposto dal Pubblico Ministero);
  2. il verbale di arresto o di fermo;
  3. copia della documentazione attestante che l’arrestato o il fermato è stato tempestivamente condotto nel luogo di custodia (anche se domiciliare);

L’udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore dell’arrestato o del fermato

  • La liberazione dell'arrestato o del fermato

La liberazione può essere disposta:

  1. dalla Polizia Giudiziaria (art. 389 co. 2);
  2. dal Pubblico Ministero (art. 389 co. 1);
  3. dal G.I.P. (art. 391 commi 4 e 6).
     

Convalida dell'arresto e Giudizio direttissimo

Gli Ufficiali o gli Agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto in flagranza o che hanno avuto in consegna l’arrestato, lo conducono direttamente davanti al "Giudice del Giudizio direttissimo" (del dibattimento)[1] per la convalida dell’arresto e il contestuale giudizio, sulla base dell’imputazione formulata dal Pubblico Ministero.
In tal caso citano anche oralmente, la persona offesa e i testimoni e avvisano il difensore di fiducia o, in mancanza quello designato d’ufficio (art. 97 comma 3 c.p.p.).
Quando il Giudice non tiene udienza, gli Ufficiali o gli Agenti di P.G. che hanno eseguito l’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato, gliene danno immediata notizia e presentano l’arrestato all’udienza che il Giudice fissa entro 48 ore dall’arresto.
Il Giudice al quale viene presentato l’arrestato autorizza l’Ufficiale o l’Agente di PG ad una «relazione orale» e quindi sente l’arrestato per la convalida dell’arresto.
Se il Pubblico Ministero ordina che l’arrestato in flagranza sia posto a sua disposizione, lo può presentare direttamente all’udienza, in stato di arresto, per la convalida e il contestuale giudizio, entro 48 ore dall’arresto. Se il Giudice non tiene udienza, la fissa, a richiesta del Pubblico Ministero, al più presto e comunque entro le successive 48 ore.

Se l’arresto non è convalidato, il Giudice restituisce gli atti al Pubblico Ministero. Il Giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l’imputato e il Pubblico Ministero vi consentono. Se l’arresto è convalidato, si procede immediatamente al giudizio.
L’imputato ha facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa, non superiore a 5 giorni. Quando l’imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine
Subito dopo l’udienza di convalida, l’imputato può formulare richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti. In tal caso se vi è il consenso del P.M., il giudizio si svolge davanti allo stesso Giudice del dibattimento.

 


[1] Tribunale ordinario o Corte d'Assise o Tribunale per i minorenni

Le misure cautelari personali

Le "misure cautelari personali" costituiscono in limitazioni di libertà personale (fisica) o della sfera giuridica dell’individuo, disposte da un Giudice per finalità di cautela processuale anche nella fase investigativa.
In coerenza al modello accusatorio, la capacità di incidenza del P.M. e della Polizia Giudiziaria sulla sfera giuridica dell’indagato è ristretta se rapportata all’ampia gamma di misure cautelari, che fanno capo al Giudice.
Alla funzione inquirenrte (P.M. e P.G.) sono consentite solo le misure privative della libertà personale (anticipatorie dell’intervento del Giudice) e, quindi, di tipo pre-cautelare: fermo ed arresto. Spetta al Giudice provvedere, in via ordinaria, ad assicurare l’esigenze cautelari appunto come misure cautelari giurisdizionali.

  • Le misure cautelari, che il Giudice può disporre, investono l’intera personalità dell’accusato, dispiegandosi in:
  1. misure coercitive
  2. misure interdittive

Le "misure coercitive", incidendo sulla libertà fisica o di locomozione spaziale dell’indagato, sopprimendola, limitandola o semplicemente condizionandola, evitano che lo stato di piena libertà dell’imputato possa renderne probabile la fuga ovvero possa mettere in pericolo la prova (inquinarla) o la tranquillità sociale (commettere altri delitti).

► Le misure coercitive sono:

  1. divieto di espatrio (il Giudice dà alla polizia giudiziaria le disposizioni necessarie per assicurare l’esecuzione del provvedimento come ritiro del passaporto, apporre sui documenti la dicitura…..non valido per l’espatrio);
  2. obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (obbligo di presentarsi in un ufficio di polizia giudiziaria in giorni e ore specificatamente fissati);
  3. divieto e l’obbligo di dimora (obbligo di non accedere in un determinato territorio senza autorizzazione o l’obbligo di non allontanarsi dal territorio di un comune senza autorizzazione)
  4. arresti domiciliari (non allontanarsi dalla propria abitazione): da non confondere con la detenzione domiciliare che si applica solo a chi è stato condannato con sentenza definitiva.
  5. custodia cautelare in carcere (la misura con la quale il Giudice ordina agli Ufficiali e agli Agenti di PG che il soggetto sia catturato e immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell’autorità giudiziaria.
    La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo in casi eccezionali, quando ogni altra misura risulta inadeguata. L’intensificarsi di gravi fatti di criminalità, ha convinto il legislatore a fissare specifici delitti per i quali è stabilita l’adeguatezza della sola misura della custodia cautelare in carcere, indicati dall’art. 275 (come ad esempio: omicidio, devastazione, strage, associazione di tipo mafioso, sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, terrorismo, eversione, produzione sostanze stupefacenti).

Le "misure interdittive" impediscono all’imputato l’esercizio di potestà o di attività (ufficio o professione) direttamente collegate alla commissione del reato stesso.
Esse mirano ad evitare il verificarsi degli ulteriori effetti dannosi che potrebbero conseguire se l’imputato continuasse nell’esercizio della potestà e delle attività che hanno fornito l’occasione per il compimento del primo reato.

► Le misure interdittive sono:

  1. sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori;
  2. sospensione dall’esercizio di un ufficio o servizio;
  3. divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali o di determinati uffici direttivi (nel campo marittimo, per esempio, la interdizione di titoli professionali marittimi, interdizione dalla professione marittima).
  • L’applicazione delle misure cautelari personali è regolata da alcuni principi generali:
  1. le misure cautelari possono essere adottate solo dal Giudice, e nelle indagini preliminari dal GIP su richiesta del PM;
  2. vi deve essere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza;
  3. vi deve essere la sussistenza di esigenze cautelari;
  4. vi deve essere almeno una delle seguenti esigenze:
  1. esigenze probatorie inderogabili (lo stato di libertà dell’imputato può essere di ostacolo alla formazione della prova in quanto può impedirne l’acquisizione, esempio intimidazione del testimone) ;
  2. fuga, concreto pericolo di fuga (il pericolo di fuga è concreto quando da elementi e fatti obbiettivi può desumersi la ragionevole possibilità che l’inquisito faccia perdere le proprie tracce).
  3. esigenze di tutela della collettività (concreto pericolo che l’imputato commetta gravi delitti. Il concreto pericolo può essere dedotto dalle modalità e dalle circostanze del reato e dalla personalità dell’imputato.

 

La documentazione degli atti d'indagine

La forma di documentazione dell’attività di polizia giudiziaria dipende dal potenziale valore probatorio degli atti e, quindi, dal loro grado di utilizzazione nelle fasi anche processuali (es. dibattimento).

La forma può essere «scritta» o «non scritta». Quest’ultima può essere "orale" o di "altro tipo" (ad esempio: registrazione magnetica, audiovisiva). Quella scritta, di gran lunga la più importante, e consiste in: Annotazioni e Verbali

Il tema della documentazione degli atti di polizia giudiziaria è disciplinato dall’art. 357 c.p.p., ove si distinguono gli adempimenti per i quali viene redatto verbale da quelli per i quali si procede soltanto ad annotazione informale

  • Per gli atti di indagine sono previste, pertanto, "due modalità" di documentazione:
  1. Annotazione, che equivale nella sostanza a una sorta di appunto scritto redatto senza particolari formalità;
  1. Verbale, che è un tipo di documentazione molto più rigoroso ed è il riassunto delle attività  compiute dall’Ufficiale o dall’Agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle sue funzioni.

L'Annotazione

E’ il modo ordinario di documentazione dell’attività a iniziativa della Polizia Giudiziaria diversa da quella consistente in atti utilizzabili in giudizio (dibattimento) o comunque garantiti (presenza difensore).

  • Trattasi di un atto, redatto dall’Ufficiale o Agente di P.G., recante sommarie indicazioni riassuntive in ordine alla attività di scarsa utilità investigativa o processuale.
  • Documenta le attività svolte dagli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria nei casi in cui non è richiesta la redazione di un Verbale (art. 357, comma 1, 2 c.p.p.)..

In ordine al contenuto, trattasi di attività direttamente compiute dal Pubblico Ufficiale, di risultanze acclarate e di informazioni apprese presso terzi. Sono appunti sommari, non utilizzabili in dibattimento per contestazioni ai terzi, non avendo costoro partecipato alla compilazione della annotazione, che è atto esclusivo e segreto del  Pubblico Ufficiale.

Il contenuto minimo dell’annotazione è fissato dall’art. 115 delle disposizioni di attuazione del c.p.p. in base al quale tutti i tipi di annotazione devono necessariamente contenere: 

  1. l’indicazione dell’Ufficiale o dell’Agente di polizia giudiziaria che ha compiuto le attività di  indagine;
  2. l’indicazione del giorno, l’ora, il luogo in cui le attività di indagine sono state eseguite;
  3. le generalità e le altre indicazioni personali utili per l’identificazione del soggetto dal quale la polizia giudiziaria ha eventualmente assunto dichiarazioni;
  4. la enunciazione succinta delle attività di indagine

E’ bene precisare che, non definendo il Codice di rito cosa debba formalmente intendersi per annotazione di p.g. (art. 357 c.p.p.), nella prassi operativa anche la semplice predisposizione di un rapporto di servizio scaturente da un’attività di indagine può assurgere ad annotazione di polizia giudiziaria.

  • Ad esempio, l’annotazione relativa all’avvenuta demolizione di un’opera di difficile rimozione edificata sul suolo demaniale marittimo.

Sotto l’aspetto del contenuto, l’annotazione ricalca la «relazione di servizio». Sotto altri aspetti, la differenza è, però, sostanziale. Con la relazione di servizio l’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria fa conoscere (riferisce) al superiore gerarchico (appartenente al suo ufficio) il suo operato.
Con l’annotazione invece, documenta l’atto compiuto e cioè formalizza la sua attività indipendentemente da qualsiasi «riferirne» ad altri.
E' infine da tener presente che nulla vieta alla Polizia Giudiziaria di documentare mediante Verbale l'attività che potrebbe esser documentata mediante annotazione.
Copia delle annotazioni redatti a norma dell'art. 357, comma 1 c.p.p. è conservata presso l'Ufficio di polizia giudiziaria.

 

Schema - Annotazione

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO GUARDIA COSTIERA
______________________

 

 

N._____/


Oggetto: Annotazione ex art. 357 c.p.p. e art. 115 att.

  

Il sottoscritto Ufficiale o Agente di Polizia Giudiziaria (cognome e nome) ___________________________ in servizio presso ________________________ intervenuto in ________________________ per svolgere accertamenti in ordine al reato di _______________________ dà atto che il giorno ___________, alle ore _______, in __________________________ ha svolto la seguente attività di indagine (ad esempio: assumeva sommarie informazioni da ____________________ (generalità complete) in quanto persona ritenuta in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini perché ____________________
Riassumendo per linee fondamentali quanto dichiarato, si dà atto che il predetto riferiva che ________________________ )


Data _________________ .-


                                                Firma:
                                                dei militari operanti _________________

 

                                         

Il Verbale

L’attività d’indagine è documentata mediante il «Verbale» che è l’esposizione delle attività compiute dall’Ufficiale o dall’Agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle sue funzioni. Il Verbale è un modo più "formale" di documentazione dell'attività di polizia giudiziaria.

  • Il verbale è una modalità di documentazione più completa ed accurata: serve a documentare gli atti di indagine che incidono sulla libertà dell’indagato (ad esempio, spontanee dichiarazioni rese dall’indagato) o che possono avere piena utilizzabilità in giudizio ai fini della decisione del Giudice (ad esempio, perquisizioni, sequestri, sommarie informazioni testimoniali).

L’esigenza della verbalizzazione deriva dalla eventuale utilizzabilità degli atti anche in dibattimento, sia pure con attenuata forza probatoria.
I processi verbali redatti dalla P.G. sono «
atti pubblici» perché provengono dal Pubblico Ufficiale, ma essi non godono, nel Codice Vassalli, di fede privilegiata, fino a querela di falso, potendo il Giudice disattenderli a prescindere da questa .
Quando trattasi di attività investigativa cui il difensore dell’indagato ha diritto di assistere (atti cd.
garantiti), il relativo verbale deve essere subito depositato presso l’Ufficio del P.M., per consentire al difensore di prenderne visione ed estrarne (o richiederne) copia (art. 366).

► L’art. 134 c.p.p. contempla due diverse forme di verbale:

  1. forma integrale, con la quale vengono redatti i verbali che non contengono dichiarazioni e che si limitano a rappresentare un complesso di operazioni compiute o constatate da chi ha redatto il verbale stesso.
  • Ad esempio un accertamento urgente, una perquisizione.
  1. forma riassuntiva, con la quale vengono riprodotte fedelmente ma sommariamente e nella loro parte essenziale domande, risposte e dichiarazioni.
  • Ad esempio le dichiarazioni spontanee, le informazioni assunte dall’indagato.

Quando l’atto viene redatto in forma riassuntiva è effettuata anche la “riproduzione fonografica”. In questo caso può parlarsi di verbale in forma «riassuntiva complessa».

Quando la redazione del verbale è effettuata in forma riassuntiva, ma “non viene contestualmente effettuata la riproduzione fonografica”, si è invece in presenza di un verbale in forma «riassuntiva semplice». La modalità ordinaria di documentazione è, comunque, il verbale riassuntivo semplice.
Non possono però essere redatti in forma riassuntiva semplice gli atti che incidono sulla libertà personale dell’indagato (sommarie informazioni dall’indagato) o che possono essere utilizzati in giudizio ai fini della decisione del Giudice (perquisizioni, sequestri). Per tali atti, la forma di redazione è il verbale integrale ovvero in forma riassuntiva complessa.

► Il verbale deve contenere:

  1. la menzione del luogo, anno, mese, giorno e ora di compilazione;
  2. generalità degli Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria;
  3. descrizione delle operazioni compiute e/o delle dichiarazioni ricevute;
  4. attestazione della avvenuta lettura dell’atto;
  5. sottoscrizione degli Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria e delle persone intervenute.

Va tenuto presente che se alcuna delle persone intervenute non vuole o non è in grado di sottoscrivere deve esserne fatta menzione nel verbale con l’indicazione del motivo (art. 137 c.p.p.).La sottoscrizione non può essere apposta con mezzi meccanici o segni diversi dalla scrittura.
Copia del verbale non va rilasciata alla persona che ha rilasciato le dichiarazioni potendo, la stessa, prenderne visione richiedendo l’accesso al fascicolo del P.M. (art. 366 c.p.p.).

► Deve inoltre sottolinearsi che in caso di verbalizzazione di «dichiarazioni» occorre indicare:

  1. se esse sono state rese spontaneamente o previa domanda (in tale caso è riprodotta anche la domanda);
  2. se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante;
  3. se il dichiarante si è avvalso dell’autorizzazione a consultare note scritte;
  4. se il verbale consta di più fogli va sottoscritto alla fine di ogni foglio;
  5. le cancellature eventuali potranno essere fatte in modo da lasciare leggere le parole cancellate;
  6. le aggiunte e varianti al verbale prima della sua chiusura potranno essere effettuate mediante postille;
  7. le aggiunte e varianti al verbale dopo la sua chiusura e sottoscrizione, potranno essere effettuate solo con la riapertura e la nuova sottoscrizione di tutti gli intervenuti.

Attenzione !

Una redazione negligente del verbale o la sua nullità può importare, a carico di chi lo redige«responsabilità disciplinari».
 

 

Gli atti documentati mediante Verbale

  • Relativamente alle attività della Polizia Giudiziaria deve essere redatto "verbale" per i seguenti atti:
  1. denunce, querele;
  2. sommarie informazioni e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini;
  3. informazioni assunte da persona informata sui fatti ovvero da persona imputata in procedimento connesso o di un reato collegato;
  4. perquisizioni e sequestri;
  5. identificazione dell’indagato e di altre persone, acquisizione di plichi o corrispondenza,
  6. accertamenti urgenti sui luoghi, sulle persone o cose;
  7. verbale di notificazione;
  8. verbale relativo a violazione amministrativa;
  9. verbali di arresto o di fermo;
  10. verbale operazioni esecuzione custodia cautelare;
  11. verbale operazioni intercettazioni, conversazioni, comunicazioni;
  12. verbale di vane ricerche;
  13. verbale interrogatorio;
  14. verbale di consegna ad istituto di custodia;
  15. verbale di immediata liberazione;
  16. verbale di acquisizione e apertura plichi;
  17. verbale di confronto. 

La documentazione dell’attività di polizia giudiziaria è posta a disposizione del P.M. (insieme alle denuncie, alle istanze e alle querele presentate per iscritto, ai referti, al corpo del reato e alle altre cose pertinenti al reato) e da questi conservata in «apposito fascicolo», mentre copia è trattenuta presso l’Ufficio di polizia giudiziaria (artt. 357, comma 4 e 373, comma.3 c.p.p.) e di essa l’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria che l’ha redatta potrà servirsi, previa autorizzazione, in «aiuto alla memoria» quando verrà chiamato in dibattimento come testimone.

Con l’acquisizione degli atti da parte dell’Autorità Giudiziaria, compete a quest’ultima e non alla Polizia Giudiziaria che li ha compiuti, l’eventuale rilascio di copia dei verbali delle attività di indagine (in questi casi non trova, quindi, applicazione il diritto di accesso di cui alla Legge n. 241/1990).

  • Quando, nella redazione del Verbale o della Annotazione, l’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria, ad esempio: 
  1. attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto od è avvenuto in sua presenza;
  2. attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese;
  3. attesta comunque falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità...

      .... incorre in responsabilità penale per «falsità ideologica» (art. 479 c.p.).
 

  • Ad esempio, commette il reato di falsità ideologica il Sottufficiale del Corpo delle Capitanerie di Porto, che in qualità di Ufficiale di polizia giudiziaria, attesta contrariamente al vero, nel verbale di perquisizione, di aver avvertito l’indagato del suo diritto di farsi assistere dal difensore (art. 114 att. c.p.p.) oppure che, nel verbale di dichiarazioni spontanee (art. 350 comma 7), riporta frasi mai dette dallo stesso indagato. 

 

Mezzi di redazione del verbale

Riguardo i mezzi va rilevato che il Codice di rito li gradua attraverso un ordine preferenziale, prevedendo all’art. 134 c.p.p.:

  1. la stenotipia, nel qual caso occorrerà procedere alla trascrizione in caratteri comuni dei nastri impressi, entro il giorno successivo a quello in cui sono stati formati (art. 138 c.p.p.), in modo che i nastri e relativa trascrizione possano essere uniti agli atti del processo;
  2. altro strumento meccanico, intendendo con tale espressione qualunque mezzo idoneo, allo stato della scienza e della tecnica, a riprodurre le dichiarazioni del soggetto che le ha rese;
  3. la scrittura manuale, in caso di impossibilità di ricorso ai mezzi precedentemente indicati.

Se si utilizza la forma riassuntiva, per difficoltà di reperire personale specializzato nella stenotipia, deve essere effettuata anche la riproduzione fonografica (soprattutto nella forma della registrazione) che è un mezzo di documentazione integrale del verbale.

La forma riassuntiva può essere utilizzata senza riproduzione fonografica o utilizzo di strumenti meccanici (macchina da scrivere) nei casi in cui si tratti di atti a contenuto semplice, di limitata rilevanza o quando si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici (art. 140 c.p.p.).
In tutti i casi di verbalizzazione descritti, se i criteri adottati sono ritenuti insufficienti, può procedersi alla riproduzione audiovisiva qualora questa sia ritenuta assolutamente indispensabile.
Gli atti sono documentati nel corso del loro compimento, ovvero immediatamente dopo quando ricorrono insuperabili circostanze da indicare specificamente nel Verbale, che impediscono la documentazione contestuale.
Circa il contenuto del verbale, si deve fare riferimento agli artt. 136 e 137 c.p.p., in particolare per quanto concerne l’obbligo di sottoscrizione da parte del Pubblico Ufficiale che lo ha redatto, in quanto la mancanza di sottoscrizione ne comporta
la nullità[1] 

 


[1] Il verbale è nullo quando:vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione dell’Pubblico Pubblico Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria che lo ha redatto (art. 142 c.p.p.).

 

La relazione di servizio: atto atipico

  • La "relazione di servizio" consiste nella segnalazione diretta al responsabile dell’Ufficio, reparto o istituto, di ogni fatto di particolare rilievo occorso durante l’espletamento del servizio. Si tratta di un «atto atipico», il cui contenuto non è regolamentato da una norma.

Se è vero che le attività della Polizia Giudiziaria, non verbalizzate non possono concorrere direttamente alla decisione finale, esse tuttavia, in quanto documentazione relativa alle indagini espletate, entrano a far parte del fascicolo del P.M., da depositarsi ai soli fini dell’Udienza Preliminare, nonché degli eventuali procedimenti speciali (giudizio abbreviato o a seguito di patteggiamento).
La relazione di servizio della Polizia Giudiziaria, inoltre, potrà essere
letta nel corso del dibattimento quando contenga dichiarazioni di contenuto diverso da quelle rese da un teste al dibattimento stesso al fine di valutarne la credibilità.
Sarà pertanto opportuno redigere la relazione di servizio con la massima precisione, provvedendo a distinguere l’attività svolta direttamente dagli Organi di polizia giudiziaria dalle informazioni ricevute da terzi in grado di riferire circostanze utili alle indagini.
Tale distinzione è estremamente importante nell’originaria ottica del Codice in quanto mentre sulle annotazioni concernenti l’attività direttamente svolta dalla Polizia Giudiziria, gli Ufficiali e gli Agenti potevano essere sentiti in qualità di testimoni nel corso del dibattimento, sulle sommarie informazioni raccolte dai terzi essi non potevano mai essere ascoltati, oggi, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 24/92, ha preso gran parte del suo rilievo. Infatti la Corte, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 195 comma 4 c.p.p., ha sancito la legittimità della «testimonianza» in dibattimento da parte degli Organi di polizia giudiziaria anche sulle informazioni assunte da terzi.

La relazione di servizio è l’atto con il quale il responsabile dell’Ufficio viene posto a conoscenza dell’attività compiuta dal personale durante il servizio medesimo oltre che dei risultati conseguiti e delle notizie apprese.

  • Si pensi al caso, ad esempio, del personale della Guardia Costiera che, nell’ambito del normale servizio di vigilanza, a seguito di segnalazione via radio di deflagrazioni nella zona di mare territoriale indicata, sopraggiunto rileva la presenza di navi da pesca in allontanamento dall’area interessata.
    Il rilievo deve essere riportato, dal personale operante, nella relazione di servizio, ma non determina l’obbligo dell’informativa poiché si tratta di un semplice sospetto di reato. Il rilievo può peraltro favorire lo sviluppo di future investigazioni preventive da parte del personale della Guardia Costiera e, nel contesto di tali investigazioni, potranno essere effettuate operazioni di appostamento, pedinamento e simili riguardo alle navi precedentemente segnalate e di quant’altre iscritte nel Compartimento operanti in zona e zone limitrofi. Anche lo svolgimento di tali operazioni andrà indicato nelle successive relazioni di servizio e adeguatamente documentato (mediante, ad esempio, riprese audiovisive, riproduzioni fotografiche, annotazioni di accertamenti eseguiti…).Solo al termine delle investigazioni preventive e se è configurabile una notizia di reato (esercizio della pesca mediante l’ausilio di materie esplodenti), scatta l’obbligo di trasmettere al P.M. l’informativa di reato, ovviamente accompagnata dalla documentazione relativa all’attività di ricerca della notizia di reato precedentemente compiuta.

La relazione di servizio è dunque concettualmente assimilabile alla informativa di reato al Pubblico Ministero: è una segnalazione, una comunicazione che non ha in se alcuna finalità di prove ma è atto interno all’amministrazione di appartenenza del personale operante mediante il quale detto personale informa (=riferisce=relaziona) il superiore gerarchico circa le indagini compiute e i loro esiti.

 

La testimonianza della Polizia Giudiziaria

In base al principio della «separazione delle fasi» (indagine - dibattimento), il Giudice del dibattimento non conosce gli atti delle indagini, ma deve formarsi il proprio convincimento sulla base di quanto avviene davanti ai suoi occhi, quindi, gli Ufficiali e gli Agenti di polizia giudiziaria, dovranno di volta in volta, «ricostruire» in dibattimento l’attività di indagine da essi compiuta e sottoporsi, come tutti gli altri testimoni, all’«esame incrociato»; vale a dire alle domande e alle controdomande che le parti hanno facoltà di rivolgere per saggiare l’affidabilità delle dichiarazioni rese.

E’ ben vero che l’Ufficiale o l’Agente di polizia giudiziaria potranno essere autorizzati a consultare in aiuto alla memoria, i documenti da loro redatti (ad esempio, relazioni di servizio, annotazioni ...), ma è altrettanto vero che l’Ufficiale e l’Agente non potranno limitarsi a pronunciare “astanche e ripetitive formule di conferma...” degli atti assunti durante le indagini... (del tipo: ...confermo gli atti !!) e che, di conseguenza, l’esito di molti processi potrà dipendere direttamente dalla "credibilità" della testimonianza resa dalla Polizia Giudiziaria.
Tanto più l’Ufficiale o l’Agente sarà professionalmente preparato a reggere le domande tanto più agevole sarà per il Pubblico Ministero dimostrare l’attendibilità della sua accusa.

Il sistema informatico interforze C.E.D - S.D.I.

Nell’ottica del coordinamento delle Forze di Polizia, si colloca il potenziamento delle funzioni del "Sistema informatico interforze". L’art. 21 Legge 26 marzo 2001, n. 128 [63] e le sue disposizioni attuative impongono, a tutte le Forze di Polizia, di alimentare, con completezza e tempestività, il «Centro Elaborazione Dati» (C.E.D.) istituito dall’art. 8 Legge 1 aprile 1981, n. 121 [43] e succ.modif., nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza; di tutte le informazioni confluite nel Centro, consentono poi la immediata consultazione e utilizzazione anche da parte delle Forze di Polizia che non le hanno originate.

E’ fatto obbligo al personale delle Forze di Polizia indicate nell’art. 16 L. 121/81 di far confluire senza ritardo nel Centro elaborazione dei dati del Dipartimento di Pubblica Sicurezza le informazioni acquisite nel corso delle "attività amministrative" e delle "attività di prevenzione o repressione dei reati" (art. 2 comma 1 L. 128/2001).

Le informazioni acquisite dalle "Polizia Locali" e dalle altre "strutture di vigilanza", sono invece fornite al "Centro" per il tramite delle Questure, dei Commissariati o dai Comandi della Forza armata dei Carabinieri.

Nel C.E.D. "devono confluire" dettagliate informazioni su ogni fenomeno censito dalle Forze di Polizia: vale a dire, sia le notizie relative alle attività di vigilanza e controllo (sulle strade, sul mare, sugli esercizi pubblici, ecc.) sia quelle risultanti da sentenze o procedimenti giudiziari sia quelle desunte da atti di polizia giudiziaria svolte a iniziativa o in esecuzioni di ordini dell’Autorità Giudiziaria.

  • Si pensi, ad esempio, ai dati su una informativa di reato, un arresto effettuato in flagranza o in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare

Nel C.E.D. non va inserita la documentazione dell’attività compiuta (ad esempio, verbale di identificazione, perquisizione, arresto, ecc.), ma esclusivamente la “sintesi essenziale” di essa. Chi accede al Centro e prende visione della sintesi può successivamente richiedere l’atto in sé all’Autorità che lo ha originato (art. 7 comma 1 Legge 121/81). L’inserimento può riguardare anche notizie su atti segreti o segretati. Se necessario per la prosecuzione delle indagini, non è però impedito, all’Autorità Giudiziaria, di disporre, con decreto motivato, il ritardato inserimento delle notizie su singoli atti.
I Capi degli uffici e i Comandanti dei reparti delle Forze di polizia vigilano sull’attività di raccolta e comunicazione delle informazioni e sono responsabili della loro rispondenza agli atti originali (art. 5 D.P.R. 378/1982 e art. 54 D.lgs. 30/6/2003, n. 196).
Il patrimonio del Sistema informatico interforze è arricchito dalle notizie contenute in altre basi informatiche esterne cui è possibile connettersi direttamente (si pensi a quelle delle Anagrafi tributarie, camerali, comunali, ecc.).
Il Sistema
interagisce infine anche con il «S.I.S.» (Sistema di Informazione Schengen), rete informatizzata nella quale confluiscono i dati dei paesi aderenti all’Accordo di Schengen per la gestione in comune delle informazioni e segnalazioni sulle persone, veicoli e oggetti ricercati da ciascun Paese.
La "catalogazione delle informazioni" che pervengono al C.E.D. avviene mediante un «Sistema Di Indagine» (S.D.I.) che non prevede schedari ma si fonda sulla memorizzazione dell’evento che ha dato origine all’inserimento e dal quale derivano, automaticamente e logicamente, i collegamenti con i soggetti in esso coinvolti, con gli oggetti che lo riguardano (armi, auto, documenti o altri beni), con le denuncie e i provvedimenti (misure pre-cautelari, cautelari o di sicurezza) che ne sono discesi nonché, infine, con qualsiasi altra segnalazione utile per individuare le caratteristiche dei soggetti interessati (pericolosità, soprannomi, alloggi e passaporti utilizzati, controlli cui sono stati sottoposti (art. 7 D.P.R. 378/1982).
Trattandosi di un database che archivia informazioni di molti cittadini, il C.E.D. è soggetto al controllo del Garante per la protezione dei dati personali.

L’accesso, in via generale, è consentito agli Ufficiali di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, ai funzionari dei servizi per le informazioni e la sicurezza ed Agenti di polizia giudiziaria autorizzati.

Quando si tratta di informazioni relative ad un procedimento penale, segrete o segretate (art. 144 e 329), la loro consultazione è riservata a Ufficiali di polizia giudiziaria asseganti ai "Servizi" di polizia giudiziaria previsti dall’art. 56 c.p.p., alla D.I.A, alla Direzione centrale per i servizi antidroga e a Uffici centrali della Polizia di Stato o dell’Arma dei Carabinieri deputati al contrasto del terrorismo.
Gli Ufficiali di polizia giudiziaria sono individuati dal Ministro dell’Interno su proposta del Capo della Polizia – Direzione generale della Pubblica Sicurezza – e i loro
nominativi sono comunicati al Procuratore della Repubblica competente per territorio (=del luogo ove essi svolgono le loro funzioni)
La
consultazione o utilizzazione indebita delle notizie inserite nel C.E.D. configura uno specifico delitto punito sia a titolo di dolo che di colpa (art. 12 Legge 121/81). Se non si tratta di condotte indebitamente tenute, ma di condotte più gravi perché realizzate con violazione dei propri doveri o abusando delle proprie qualità, il delitto configurabile è invece quello di cui all’art. 326 c.p. (Rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio).

L’alimentazione del sistema avviene mediante «modelli informatici standardizzati».

 

Modulistica: mod. fatt/DM

 

Modulistica: mod. fatt/NF

 

Modulistica: mod. prov/RE

 

Modulistica: mod. fatt/FA

 

Il Sistema d'Informazione Schengen - S.I.S.

L'art. 92 e segg. della "Convenzione di Schengen [64]" ha previsto la creazione di una banca dati informatizzata accessibile a tutti gli Stati contraenti (c.d. Sistema d’informazione Schengen - SIS) contenente un complesso di informazioni idoneo ad agevolare i controlli di frontiera, di polizia e di dogana (e relativo fra l’altro alle persone ricercate per l’arresto a fine di estradizione, agli stranieri segnalati per motivi di ordine pubblico, alle persone implicate nella criminalità organizzata, ai beni ricercati a fini di sequestro personale).
Gli Organi nazionali di collegamento con il S.I.S. sono denominati «
S.I.RE.N.E.», acronimo di Supplementary Information Request at the National Entry, che forniscono all’operatore di frontiera un «supplemento di informazione», cui consegue una certa condotta da seguire.
Il S.I.S. è costituito da una "sezione nazionale" presso ciascun Paese aderente all’accordo (indicata come N-SIS) e da "un’unità di supporto tecnico" situata a Strasburgo (ed indicata come C-SIS). Ciascuna struttura (sia N-SIS che C-SIS) possiede una copia identica della base informativa.

La base informativa del C-SIS costituisce il "riferimento" di tutto il sistema. È proprio il C-SIS che coordina e controlla l’aggiornamento in tempo reale di tutte le altre basi informative a partire dalla richiesta di un N-SIS.
L’unità N-SIS italiana dipende dal Ministero dell’Interno e coinvolge nel suo funzionamento i
Ministeri di Grazia e Giustizia e degli Affari Esteri. Coerentemente alla struttura di ogni altro N-SIS, anche quello italiano è integrato da un Ufficio S.I.RE.N.E., dipendente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale di Polizia Criminale.
Si tratta, in sostanza, di una struttura operativa che impegna il personale delle tre forze di polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza) in funzione 24 ore su 24.

 

Modulistica: prospetti riepilogativi

Si riportano gli «schemi» dei più frequenti atti di polizia giudiziaria in cui può imbattersi il personale del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia Costiera. I contenuti degli schemi - elaborati tenendo conto delle indicazioni provenienti dalla prassi giudiziaria - sono corredati di note e integrazioni che hanno il fine di stimolare l'attenzione del militare operante sulle principali caratteristiche dei singoli atti e di  fornire suggerimenti operativi sulle situazioni  concretamente prospettabili: 

  • RELAZIONE DI SERVIZIO
  • ANNOTAZIONE
    ANNOTAZIONE - IPOTESI 2
  • COMUNICAZIONE (O INFORMATIVA) DI NOTIZIA DI REATO
  • COMUNICAZIONE (O INFORMATIVA) DI NOTIZIA DI REATO (SCHEMA SEMPLIFICATO)
  • COMUNICAZIONE (O INFORMATIVA) DI NOTIZIA DI REATO IN FORMA ORALE (ANNOTAZIONE DI INVIO)
  • RICEZIONE DI DENUNCIA ORALE
  • RICEZIONE DI DENUNCIA SCRITTA
  • RICEZIONE DI QUERELA ORALE
  • RICEZIONE DI QUERELA SCRITTA - RATIFICA
  • QUERELA REMISSIONE E ACCETTAZIONE
  • RICEZIONE DI REFERTO
  • IDENTIFICAZIONE DI PERSONA SOTTOPOSTA ALLE INDAGINI
  • IDENTIFICAZIONE DI PERSONA INFORMATA SUI FATTI
  • SPONTANEE DICHIARAZIONI
  • SOMMARIE INFORMAZIONI DALL’INDAGATO
  • SOMMARIE INFORMAZIONI DALLE PERSONE INFORMATE SUI FATTI
  • INTERROGATORIO DELGATO
  • PERQUISIZIONE PERSONALE
  • PERQUISIZIONE LOCALE PER RICERCA DI PERSONE
  • PERQUISIZIONE LOCALE PER RICERCA DI COSE
  • PERQUISIZIONE LOCALE PER RICERCA DI ARMI (ART. 41 TULPS)
  • PERQUISIZIONE SUL POSTO (ART. 4 L. 152/75)
  • SEQUESTRO
  • ARRESTO
  • FERMO
  • CONSEGNA ISTITUTO DI CUSTODIA
  • ACCERTAMENTI URGENTI
  • DESCRIZIONE, RICOGNIZIONE E RICONOSCIMENTO DI CADAVERE
    ESEMPIO: DESCRIZIONE DI CADAVERE
  • NOTIFICAZIONE
    NOTIFICAZIONE URGENTE
  • OMESSA NOTIFICAZIONE
  • DELEGA INDAGINI
  • ESEMPIO: DELEGA INDAGINI

 

Relazione di servizio

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

 

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________
(
Intestazione dell’Ufficio)


N. _______/ Prot.


Oggetto: Relazione in ordine alla attività di indagine svolta d’iniziativa in _________________ alle ore ______ del ____________ inerente a ______________________________________.-

 

      AL Comandante
                            del ___________________
                                                                _______________________ (Cap.- Località)

 

 

Il giorno ____________, alle ore _______, in ______________________________, negli Uffici del _________________________, i sottoscritti (grado, cognome e nome e reparto dei militari operanti). ____________________________, entrambi in relazione all’oggetto riferiscono alla S.V. quanto segue appresso: --------------------------------------------------------------------------

« Alle ore _______ del giorno _______________, noi Ufficiali operanti, in servizio __________ (esposizione dei fatti ...) ______________________________________________________».

 

_________________, lì ______________


Firma del Relatore o dei Relatori:
___________________________
___________________________

 


 

Annotazione

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)


Prot. Nr. ___________
RG.   Nr. ___________

 

Oggetto: Annotazione relativa all’attività di indagine svolta ex art. 357 c.p.p. e art. 115 att.


Il sottoscritto (cognome e nome) ___________________________ (qualifica) _____________ Ufficiale (o Agente) di Polizia Giudiziaria addetto _____________________________ (indicare l’Ufficio, Servizio o Sezione) _______________________ dà atto che il giorno ____________, alle ore _________, in _______________________ (indicare il luogo in cui l’attività di indagine sotto descritta è stata eseguita) nel corso delle indagini relative al reato __________________ avvenuto il ____________ in _________________, in danno di _______________ (eventuale) ha svolto la seguente attività di indagine (ad esempio: ha seguito un servizio di appostamento nel mare territoriale a NW Isola di Caprera – Arcipelago di La Maddalena dalle ore _________ alle ore______ ed ha visto _____________________________________________________ ).

 

_________________, lì ______________


                                   Firma  dei militari operanti _______________________
                                                                              _______________________

 


 

Annotazione - Ipotesi B

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________
(Intestazione dell’Ufficio)

 

Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

 

Oggetto: Annotazione ex art. 357 c.p.p. e art. 115 att.


Il sottoscritto Ufficiale o Agente di Polizia Giudiziaria (grado, cognome e nome e reparto dei militari operanti)______________________________________________________ in servizio presso ___________________________ intervenuto in ____________________________ per svolgere accertamenti in ordine al reato di ________________________________ dà atto che il giorno_______________, alle ore_________, in __________________________ ha svolto la seguente attività di indagine (ad esempio: assumeva sommarie informazioni da ___________ (generalità complete) in quanto persona ritenuta in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini perché ________________________________________. Riassumendo per linee fondamentali quanto dichiarato, si dà atto che il predetto riferiva che ___________________ )

 

_________________, lì ______________


                                    Firma dei militari operanti    _______________________
                                                                              

 

L'Informativa di notizia di reato

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________
(Intestazione dell’Ufficio)

 

Prot. Nr. ___________
RG.   Nr. ___________

Al Sig. Procuratore della Repubblica
    presso il Tribunale di ______
_____

 

  • Oggetto: Comunicazione (o Informativa) di notizia di reato n°.___________/___________ a norma dell’art. 347 c.p.p.-

 

  • Fatto-Reato addebitato: ____________________ (la qualificazione giuridica del fatto non è obbligatoriamente richiesta; non è richiesta neppure la indicazione delle disposizioni penali che si ritengono violate)
  • Luogo, giorno e ora dell’acquisizione della notizia di reato: __________________________
  • Persona sottoposta alle indagini: (¹) Sig.____________________________________, nato a ______________________ il ____________ e residente a _________________________ in via ________________________ n° _____ professione ___________________________ luogo di attività lavorativa _____________________________________________________
  • Persona offesa dal reato: (²) Sig. __________________________________________, nato a _____________________ il _________________ e residente a _____________________ in via ___________________ n°_____, professione _______________________________, luogo di attività lavorativa _____________________________________________________
  • Difensore: (³) Avvocato _____________________ del Foro di _______________________.
  • Persone in grado di riferire su circostanze rilevanti:
  1. ________________________________ (generalità complete)
  2. ________________________________ (generalità complete)
  • Atti di indagini compiuti: 
  1. __________________________
  2. __________________________
  3. __________________________
  4. __________________________
  5. __________________________
  6. __________________________
  7. __________________________

 

 

Segue ⇒

 

 

Informativa: pagina n. 2

Si comunica che, alle ore _______ del giorno _________________, gli Ufficiali e Agenti di p.g. (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) nel corso di un servizio ______________ (indicare il tipo di servizio cui gli operatori erano addetti, quale fosse il tipo di indagine e da chi fossero state disposte) hanno acquisito (oppure: ricevuto) la notizia di reato di seguito specificata.
Al riguardo si riferisce:« _______________________________________________________ ___________________________________________________________________________ »
(inserire le indicazioni idonee a ricostruire – in forma chiara e precisa – la notizia di reato acquisita o ricevuta precisando gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi raccolti)

In relazione al fatto, come ricostruito, vengono svolte indagini nei confronti della persona indicata in oggetto che ha eletto (oppure: dichiarato) il proprio domicilio a norma dell'art. 161 c.p.p. in ____________________________________ [oppure: non sono stati raccolti elementi idonei alla individuazione dell'autore].
In oggetto sono altresì indicate la persona offesa dal reato e le persone in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto [oppure: Non è stato finora possibile pervenire alla identificazione della persona offesa né alla individuazione di persone in grado di riferire circostanze utili per la ricostruzione del fatto].

[la comunicazione può contenere anche altre indicazioni come, ad esempio, la nomina del difensore di fiducia o la designazione di quello di ufficio].
Le attività di indagine sono state condotte da questo Ufficio [eventualmente: in collaborazione con ___________________________________] e al loro compimento e coordinamento hanno provveduto specificamente e rispettivamente ________________________________________
_____________ (indicare specificamente gli ufficiali di p.g. cui è riferibile l'attività di indagine finora compiuta).


  Segue ⇒

 

 

Informativa: pagine n. 3

In allegato alla presente comunicazione, si trasmette la documentazione relativa alle indagini finora compiute:

  • All. 1: Verbale di _______________
  • All. 2: Verbale di _______________
  • All. 3: Verbale di _______________
  • All. 4: Verbale di _______________
  • All. 5: Annotazione relativa ______________

[La presente comunicazione fa seguito a quella data in forma orale (ad esempio: a mezzo telefono, fax, telex....) alle ore ________ del giorno _______________________ al P.M. Dott. ____________________ di codesta Procura della Repubblica (l'espressione va introdotta solo se la comunicazione scritta segue una comunicazione orale data a norma dell'art. 347, co.3 c.p.p.)]"

Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

 

Luogo e data______________

 

Sottoscrizione
___________________________
(Il Dirigente dell’Ufficio)


► In calce va riportato, alternativamente:

  • IPOTESI A:

La presente informativa è stata depositata alle ore ______ del giorno ____________ presso la Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio _________________ ) da _______________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) e qui ricevuta dal Signor ______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome e funzione svolte dalla persona che riceve la informativa).

 

(Sottoscrizione di chi deposita e di chi riceve)
_____________________________

  • IPOTESI B:

Come risulta dal frontespizio allegato (ci si riferisce al foglio intestato all’Ufficio o Comando al quale vanno allegati i fogli contenenti i dati della informativa), la presente informativa è stata trasmessa da (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) ore ________ del giorno _______________ al numero di fax _____________________
Corrispondente alla Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio _________________) e qui regolarmente ricevuta (è il c.d.
OK).

 

(Sottoscrizione di chi invia il Fax)
_____________________________

 

 Segue⇒

 

 

Informativa: pagina n. 4

 

  • Ricordare che !
  1. L’obbligo di informativa incombe sul Dirigente dell’Ufficio (o dell’Unità o del settore o dell’articolazione). E’ comunque opportuno indicare nella informativa gli Ufficiali e gli Agenti di p.g. che hanno acquisito la notizia di reato e quelli che hanno svolto o coordinato le successive indagini a iniziativa.
  2. La informativa va data anche se l’autore del fatto-reato è ignoto
  3. I delitti per i quali è previsto che la informativa sia data immediatamente sono:
  1. delitti di devastazione, saccheggio, strage, guerra civile (artt. 285, 286, 422 c.p.);
  2. delitti consumati o tentati di omicidio, rapina, ed estorsione aggravate, sequestro di persona ai fini di estorsione (artt. 575, 628 co.3, 629 co.2, 630 c.p.);
  3. delitti di mafia; delitti in material di armi; delitti di grande traffico di stupefacenti, ecc.

 

 


 

(1) Quando è possibile

(2) Ove possibile

(3) Ad esempio: Avv. TADDEI Carlo del Foro di SASSARI. In assenza dell’Avv. TADDEI Carlo, attualmente in vacanza fuori sede, già indicato Avvocato di Fiducia da __________è stato nominato difensore d’ufficio l’Avv. RANIERI Giulio del Foro di Tempio.

 

Informativa di notizia di reato (schema semplificato)

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

 

Al Sig. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di ___________

 

Oggetto: Comunicazione (o Informativa) di notizia di reato n°._____/____ a norma dell’art. 347 c.p.p.

Si comunica che, alle ore _______ del giorno _________________, gli Ufficiali e Agenti di p.g. (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) in servizio presso questo Ufficio (Comando) hanno acquisito (oppure: ricevuto) la notizia di reato di seguito specificata e in relazione alla quale si forniscono i dati che seguono con riserva di integrazione.

  • Persona sottoposta alle indagini: (¹) Sig.___________________________________, nato a __________________ il ____________ e residente a ____________________________ in via _________________ n° _____ professione _______________________________ luogo di attività lavorativa ____________________________________________________
  • Difensore: (³) Avvocato _____________________ del Foro di _______________ con studio in _____________________ via ________________, tel.. ____________ fax ___________ (nominato di fiducia) [oppure: Avvocato _____________________ del Foro di ___________ con studio in ____________ via ________________, tel.. ____________ fax ________________ (designato di ufficio, a norma dell’art. 97 c.p.p.)]
  • Reati configurabili: ________________________ (la qualificazione giuridica del fatto non è obbligatoriamente richiesta; non è richiesta neppure la indicazione delle disposizioni penali che si ritengono violate)

 

 

 Segue ⇒

 

 

Schema semplificato: pagina n. 2

  • Fonte della notizia di reato:

[] Denuncia

[] Querela
[] Referto
[] Acquisizione di iniziativa

[] Altro

  • Luogo, giorno e ora dell’acquisizione della notizia di reato: __________________________
  • Luogo, giorno e ora del fatto reato: _____________________________________________
  • Persona offesa dal reato: (²) Sig. ___________________________, nato a ____________ il _____________ e residente a _____________________ in via ______________ n°_____, professione ______________________, luogo di attività lavorativa ____________________
  • Persone in grado di riferire su circostanze rilevanti:
  1. ________________________________ (generalità complete)
  2. ________________________________ (generalità complete)
  • Fonti di prova: ____________________________________________ (si intendono per tali ad esempio: la confessione dell’indagato, le sommarie informazioni rese da un potenziale testimone, gli esiti di una perquisizione, ecc.)
  • Sommarie ricostruzione dei fatti: _______________________________ (inserire le indicazioni idonee a ricostruire la notizia di reato acquisita o ricevuta pre3cisando gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi raccolti)
  • Documentazione allegata:

[] Denuncia
[] Querela
[] Referto
[] Verbale di identificazione della persona sottoposta alle indagini
[] Verbale di identificazione della persona informata sui fatti
[] Verbale di sommarie informazioni della persona sottoposta alle indagini
[] Verbale di altre sommarie informazioni
[] Verbale di perquisizione domiciliare
[] Verbale di perquisizione personale
[] Verbale di accertamenti urgenti
[] Verbale di sequestro
[] Documenti acquisiti
[] Altro

Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

 

Luogo e data______________

 

Sottoscrizione
____________________________
(IL Dirigente Dell’Ufficio)

 

 

 

 Segue ⇒

 

 

 

Schema semplificato: pagina n. 3

In calce va riportato, alternativamente:

  • IPOTESI A:

La presente informativa è stata depositata alle ore ______ del giorno ____________ presso la Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio ___________________________________) da _______________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) e qui ricevuta dal Signor ____________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome e funzione svolte dalla persona che riceve la informativa).


(Sottoscrizione di chi deposita e di chi riceve)
_____________________________
_____________________________

 

  • IPOTESI B:

Come risulta dal frontespizio allegato (ci si riferisce al foglio intestato all’Ufficio o Comando al quale vanno allegati i fogli contenenti i dati della informativa), la presente informativa è stata trasmessa da ______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) ore _________ del giorno __________________ al numero di fax ______________________________________
Corrispondente alla Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio ___________________) e qui regolarmente ricevuta (è il c.d. OK).


(Sottoscrizione di chi invia iL Fax)
_____________________________

 

 

Informativa di reato in forma orale (Annotazione di invio)

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

 

 

Al Sig. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di ___________

 

Oggetto: Comunicazione (o Informativa) di notizia di reato in forma orale a norna dell’art. 347 comma 3 c.p.p. – Annotazione di invio.

 

Si da atto che, alle ore _________ del giorno _____________________, gli Ufficiali e Agenti di p.g. (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) appartenenti a questo Ufficio (Comando) nel corso di un servizio (indicare il tipo di servizio cui gli operatori erano addetti, quale fosse il tipo di indagine e da chi fossero state disposte) hanno acquisito (oppure: ricevuto) la notizia di reato di seguito specificata.
Poiché si trattava di notizia per la quale l’art. 347 comma 3 c.p.p. stabilisce la informativa immediata al Pubblico Ministero e poiché – a ragione degli accertamenti e degli atti da compiere – non è ancora possibile provvedere alla sua comunicazione in forma scritta, si è proceduto a una comunicazione in forma orale contattando, sulla utenza telefonica di servizio, alle ore __________ del giorno __________ il Dottor __________________Pubblico Ministero di turno presso la Procura della Repubblica di ___________________, legittimata alle indagini.
Alla comunicazione si è provveduto personalmente (oppure: ha provveduto su delega, __________________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria delegato – che stava procedendo alle indagini). Al Dottor _____________________ sono stati esposti gli elementi essenziali del fatto e sono stati forniti gli elementi fino ad allora acquisiti indicando le attività compiute e le fonti di prova. Si riferisce in particolare, che _______________________________________________ (esporre succintamente il fatto e indicare le attività compiute).
 Il Dottor _________________ non ha impartito direttive [oppure: ha impartito le direttive che seguono:___________________________________________________________________________ ____________________________________ (riportare schematicamente le direttive impartite)].
Si è fatta riserva di far seguire senza ritardo la comunicazione scritta contenente sia le indicazioni sia la documentazione previste dall’art. 347 commi 1 e 2 c.p.p. accompagnata, se richiesto, da copia della presente annotazione.

Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze CED-SDI.
.

 

Luogo e data______________


Sottoscrizione (*)
___________________________

 

 

 


(*) L’obbligo di redigere l’annotazione relativa alla comunicazione in forma orale incombe sul Dirigente dell’Ufficio (o Comando) oppure sull’Ufficiale di polizia giudiziaria responsabile del servizio di p.g. La sottoscrizione è apposta da lui e, se la comunicazione è stata data su delega, dall’Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria delegato.

 

 

Ricezione di denuncia orale

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

Al Sig. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di ___________


Oggetto: Verbale di ricezione di denuncia orale relativa a ____________________________ (indicare il fatto; non è necessario indicare di quale reato si tratta salvo, ovviamente, il caso in cui la sua qualificazione è ritenuta evidente: ad esempio, furto commesso a bordo da componenti dell’equipaggio – art. 1148 cod. nav.), avvenuto il __________________________ in _____________________________ (località) ad opera di ____________________________ [indicare og ni notizia, fornita dal denunciante, utile alla identificazione del denunciato (oppure: a carico di ignoti)] presentata personalmente da _____________________________ (Cognome e Nome) ________________, (Soprannome o pseudonimo) nato a ___________ il __________________ cittadino ___________ residente a (o domiciliato) _________________ in ________________via ____________ n°._______ tel._____________________ Professione __________ luogo di attività lavorativa ____________ stato civile_________________ titolo di studio ______________ identificato mediante _______________, rilasciato a ___________ il ___________________ da _______________________ (oppure: personalmente riconosciuto).

 

Il giorno _____________ alle ore ___________ davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano) dà atto che è qui presente ___________________ persona meglio indicata in oggetto la quale espone quanto segue:« _______________________________________ (indicare gli elementi essenziali del fatto precisando, quando sono a conoscenza dell’esponente: a) le generalità della persona cui esso è attribuito e gli elementi per la sua identificazione; b) altri eventuali elementi di prova e, in particolare, quelli relativi a coloro che sono in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto)».
 

 

Segue ⇒

 

 

Ricezione denuncia orale: pagina n. 2

 

Poiché il Signor __________________ ritiene che nei fatti esposti siano ravvisabili estremi di reato perseguibili di ufficio (se del caso, indicare di quali reati si tratta) __________________, egli “denuncia” a tutti gli effetti quanto sopra esposto per i provvedimenti che l’Autorità Giudiziaria riterrà di adottare e, spontaneamente (oppure: a domanda del verbalizzante), dichiara che, per i fatti costituenti reato in ordine ai quali non può procedersi di ufficio, si riserva di proporre querela [oppure: la sua denuncia deve/non deve intendersi quale richiesta di punizione di chi sarà ritenuto responsabile dei fatti medesimi (querela)].
[Se del caso aggiungere: “Il denunciante produce i seguenti documenti______________________________________________ che vengono qui allegati”]
[Se del caso aggiungere: Ritenutane la opportunità, si procede a richiedere al denunciante chiarimenti in merito ai fatti e ulteriori informazioni utili alla loro ricostruzione. In particolare_________________ (ad esempio, possono essere qui verbalizzate le domande che l’Ufficiale di P. G. e le risposte date dal denunciante...]

Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

 

Si dà atto che la denuncia è stata stesa e ricevuta nell’Ufficio (Comando) di _____________________ [oppure: si dà atto che le dichiarazioni sono state rese e ricevute nel domicilio della persona denunciante (solo se vittima del reato) trattandosi di persona portatrice di handicap; oppure: anziana o impedita perché _________________________ che aveva richiesto l’intervento delle Forze di Polizia a norma dell’art. 17 comma 2 della Legge 26.03.2001, n. 128]
[Eventualmente aggiungere: Il denunciante ha dichiarato di voler essere informato della eventuale archiviazione del procedimento sorto a seguito della presentazione dell’atto
]


Riletto, confermato e sottoscritto.

_________________, lì ______________

 

 

                                Firma:

                              - del denunciante      _______________________
                              - dei militari operanti   _______________________


 

Ricezione di denuncia scritta

 

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

Prot. Nr. ___________

R.G.  Nr. ___________

 

Oggetto: Verbale di ricezione di denuncia scritta relativa a ___________________ (indicare il fatto; non è necessario indicare di quale reato si tratta salvo, ovviamente, il caso in cui la sua qualificazione è ritenuta evidente: ad esempio, furto commesso a bordo da componenti dell’equipaggio – art. 1148 cod. nav.), avvenuto il ___________ in _____________ (località) ad opera di _________ [indicare og ni notizia, fornita dal denunciante, utile alla identificazione del denunciato (oppure: a carico di ignoti)]

presentata personalmente da ___________________ (Cognome e Nome) _______________. (Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il______________________ cittadino _______________ residente a (o domiciliato) _____________________________ in ____________________via ________________ n°._______ tel.______________ Professione ____________________ luogo di attività lavorativa ___________________________________ stato civile_____________________ titolo di studio _________________ identificato mediante _______________, rilasciato a ___________________ il ___________ da ________________ (oppure: personalmente riconosciuto)

 

Il giorno _____________ alle ore ________ davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano) dà atto che, alle ore _______ odierne, si è avuta la presenza della persona meglio indicata in oggetto che ___________________,
[a seconda dei casi, dire: “quale Pubblico Ufficiale a norma dell’art. 357 c.p. perché addetto a svolgere funzioni di ___________________________”; quale incaricato di un pubblico servizio a norma dell’art. 358 c.p. perché addetto in concreto a svolgere l’attività di ______________”; quale privato, ai sensi dell’art. 333 comma 2 c.p.p.; quale procuratore speciale di _________, soggetto privato, ai sensi dell’art. 333 comma 2 c.p.p.].

 

Segue ⇒

 

 

Ricezione di denuncia scritta: pagina n. 2

 

...ha presentato, depositandola e confermandola la denuncia che qui si allega (anziché in allegato, la dichiarazione di ricezione della denuncia scritta può essere fatta sull’ultimo foglio della denuncia stessa). La denuncia contestualemente sottoscritta dal denunciante, consta di n. ______ pagine dattiloscritte (oppure: manoscritte) di cui l’ultima conta n. _________ righe. Essa risulta presentata a carico di ___________________ (indicare le generalità della persona cui il fatto è attribuito) [oppure dire: “risulta presentata a carico di persona tuttora non identificata”] per fatti avvenuti in __________________________ il _____________________.
[Se del caso aggiungere: Ritenutane la opportunità, si procede a richiedere al denunciante chiarimenti in merito ai fatti e ulteriori informazioni utili alla loro ricostruzione. In particolare__________________ (ad esempio, possono essere qui verbalizzate le domande che l’Ufficiale di P. G. e le risposte date dal denunciante...]

Sintesi del presente atto e della denuncia ricevuta è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI). 

Si dà atto che la ricezione della denuncia è avvenuta nell’Ufficio (Comando) di _____________ [oppure: si dà atto che le dichiarazioni sono state rese e ricevute nel domicilio della persona denunciante (solo se vittima del reato) trattandosi di persona portatrice di handicap; oppure: anziana o impedita perché _________________________ che aveva richiesto l’intervento delle Forze di Polizia a norma dell’art. 17 comma 2 della Legge 26.03.2001, n. 128].
[Eventualmente aggiungere: Il denunciante ha dichiarato di voler essere informato della eventuale archiviazione del procedimento sorto a seguito della presentazione dell’atto
]


Riletto, confermato e sottoscritto.

_________________, lì ______________

 

 

                                  Firma:

                                  - del denunciante          _______________________
                                  - dei militari operanti     _______________________

 

 

Trasmissione di denuncia a carico di ignoti

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________
(Intestazione dell’Ufficio)

 

Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

 

Al Sig. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di ___________

 

Oggetto: Trasmissione di denunce a carico di ignoti.

 

Nel rispetto di quanto disposto dall’art. 107-bis delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale (D.lgs. 271/89), si trasmette (Allegato 1) l’elenco delle denunce a carico di ignoti complessivamente acquisite o ricevute (in numero di ______________) da questo uffici (Comando) nel corso del mese di ________________________ dell’anno _______________.
Unitamente all’elenco si tramette la documentazione delle attività di indagine che, in relazione a tali denunce, sono state eventualmente svolte, ma che non hanno consentito la individuazione dell’autore del reato.
Si fa riserva di comunicare ulteriori emergenze e si precisa che, per le denunce a carico di ignoti che rivestivano carattere di urgenza o che riguardavano i delitti di cui all’art. 407 comma 2 lett. a) nn. da 1 a 6 c.p.p., la comunicazione della notizia di reato è stata data immediatamente a norma dell’art. 347 comma 3 c.p.p.

Sintesi della presente comunicazione e del relativo allegato è stata fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

Luogo e data______________

 

Sottoscrizione
___________________________

 

Segue ⇒

 

Ricezione di denuncia a carico di ignoti: pagina n. 2

Allegato 1 – Elenco delle denunce a carico di ignoti e documentazione delle attività di indagine eventualmente svolte.

  1. Denuncia a carico di ignoti (allegata)
  • Acquisita il _________________
  • Per il reato di ___________________ [indicare il fatto-reato addebitato e, ove possibile, gli articoli di legge che si assumono violati]
  • Tempo del fatto-reato _________________________
  • Luogo del fatto-reato  _________________________
  • Persona offesa _______________________________
  • Atti di indagine svolti per la ricostruzione del fatto-reato e la individuazione del suo autore:
    Ipotesi A: nessuno
    Ipotesi B: [indicare gli atti di indagine e poi aggiungere: “ La documentazione degli atti di indagine appena indicati è qui allegata in originale mentre copia di essa è trattenuta presso l’Ufficio (o Comando)]

In calce va riportato, alternativamente:

► IPOTESI A:

Il presente atto (con relativo Allegato) è stato depositato alle ore _______________ del giorno __________________ presso la Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio _________________) da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) e qui ricevuta dal Signor _____________________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome e funzione svolte dalla persona che riceve la informativa).


(Sottoscrizione di chi deposita e di chi riceve)

_____________________________

► IPOTESI B:

Come risulta dal frontespizio allegato (ci si riferisce al foglio intestato all’Ufficio o Comando al quale vanno allegati i fogli contenenti i dati dell’atto), il presente atto è stato trasmesso da ____________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome dell’Ufficialre o Agente di polizia giudiziaria che ha provveduto al deposito) ore ______ del giorno __________ al numero di fax ________________________________
Corrispondente alla Segreteria della Procura della Repubblica (Ufficio _________________) e qui regolarmente ricevuta (è il c.d. OK).


(Sottoscrizione di chi invia il Fax)
_____________________________

 

 

Ricezione di querela proposta oralmente

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________
(Intestazione dell’Ufficio)

 

Prot. Nr. ___________
R. G. Nr. ___________


 

Oggetto: Verbale di dichiarazione di querela proposta oralmente personalmente [oppure: nella sua qualità di procuratore speciale/legale rappresentante/curatore speciale di ________ ____________________________________ (indicare nome e cognome della persona offesa)]

 

da ________________________________ nato a ________________ il___________ cittadino ___________residente a (o domiciliato) _________________ in ______________________via _____________ n°._______ tel.____________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ____________ stato civile___________ titolo di studio ______________ identificato mediante _______________, rilasciato a ________________ il __________ da ____________ (oppure: personalmente conosciuto)

contro ___________________ di seguito meglio indicato o chiunque altro risulti responsabile in relazione al delitto di _________________________________ o per qualunque altro delitto eventualmente ritenuto configurabile.

Il giorno _____________ alle ore ______ davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. ____________

(indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano Cass. 49497/2003) è presente _____________________________ persona meglio indicata in oggetto la quale _____________ [se colui che propone la querela non è la persona offesa, ma il suo rappresentante, a questo si inserirà, a seconda dei casi, una delle seguenti formule: a) “Nella sua veste di procuratore speciale di _____________ (indicare le generalità complete del rappresentato, data e luogo di nascita, luogo di residenza, professione e stato civile) come da procura speciale rilasciata _________________ (indicare tutti gli estremi della procura speciale) che viene allegata al presente verbale come parte integrante di esso”; b) “Nella sua veste di legale rappresentante di _____________ (indicare la persona giuridica, l’ente o l’associazione) legittimato al presente atto come da ____________________ (indicare specificamente la fonte dei poteri di rappresentanza: atto costitutivo, delibera, ecc.)”; c) “Nella sua veste di ________________ (genitore o tutore o curatore) legale rappresentante di ___________________ [indicare generalità complete del rappresentato (minore o interdetto o infermo di mente o inabilitato, a seconda dei casi)] manifestando inequivoca volontà perché si proceda per i fatto e se ne punisca il colpevole, dichiara di proporre querela contro ________ (indicare ogni notizia fornita dal querelante, utile alla identificazione del querelato) o di chiunque altro ne risulti autore o concorrente, per il delitto di ______________________ o per qualunque altro delitto che sarà ritenuto configurabile nei fatti che di seguito espone: “___________________________________________________________________________”
[inserire la esposizione degli elementi essenziali del fatto, la indicazione della data di esso o, comunque, di quella in cui il querelante assume di esserne venuto a conoscenza e, infine, la indicazione delle fonti di prova].

 

Segue ⇒

 

 

 

 

 

Ricezione di querela proposta oralmente: pagina n. 2

Indica, come persone in grado di riferire circostanze rilevanti i Signori ___________________ [riportare ogni notizia, fornita dal querelante, utile alla identiificazione di tali persone (oppure dire: “Il Signor _________________ dichiara di non essere in grado di indicare alcuna persona che possa riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto”)]
Produce quindi i seguenti documenti: a) ______________; b) _____________; c) _______________ [se del caso aggiungere:” Ritenutane la opportunità, si procede a richiedere al querelante chiarimenti in merito ai fatti e ulteriori informazioni utili alla loro ricostruzione. In particolare____________________ (ad esempio, possono essere qui verbalizzate le domande che l’Ufficiale di P. G. e le risposte date dal querelante...”]
Si dà atto che la querela è stata resa e ricevuta nell’Ufficio (Comando) di _____________________ [oppure: si dà atto che le dichiarazioni sono state rese e ricevute nel domicilio della persona denunciante (solo se vittima del reato) trattandosi di persona portatrice di handicap; oppure: anziana o impedita perché _____________________ che aveva richiesto l’intervento delle Forze di Polizia a norma dell’art. 17 comma 2 della Legge 26.03.2001, n. 128].
[Eventualmente aggiungere: Il querelante ha dichiarato di voler essere informato della eventuale archiviazione del procedimento sorto a seguito della presentazione dell’atto].
Ai sensi dell’art. 459 c.p.p., il querelante dichiara inoltre di opporsi/non opporsi a che il Pubblico Ministero, sussistendone le condizioni, presenti al Giudice per le indagini preliminari (GIP) richiesta di emissione di “decreto penale“ di condanna a pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva [l’indicazione non va riportata per le querele relativi ai delitti di competenza del Giudice di pace in quanto, per i procedimenti davanti a tale Giudice, il decreto penale non è previsto].

Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

Riletto, confermato e sottoscritto.-

 _________________, lì ______________

 

 

                                  Firma:

                                  - del querelante           ____________________
                                  - dei militari operanti  
_______________________

 



 

 

Ricezione di querela scritta

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)


Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

 


Oggetto: Verbale di ricezione di querela scritta proposta personalmente [oppure: nella sua qualità di procuratore speciale/legale rappresentante/curatore speciale di _______________   ____________________________________ (indicare nome e cognome della persona offesa)]

da ____________________________________________ nato a ________________________ il___________________ cittadino ___________________________ residente a (o domiciliato) _________________ in ________________________via ____________________ n°._______ tel._______________ Professione ___________________________ luogo di attività lavorativa ___________________ stato civile____________ titolo di studio _______________ identificato mediante _______________________, rilasciato a ___________________ il ______________ da ______________________ (oppure: personalmente conosciuto).

contro ___________________ di seguito meglio indicato o chiunque altro risulti responsabile in relazione al delitto di _______________________________________ o per qualunque altro delitto eventualmente ritenuto configurabile.

 

Il giorno _____________ alle ore ________ il sottoscritto Ufficiale di P.G. _________________

(indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano – Cass. 49497/2003) è presente ________________________________________ persona meglio indicata in oggetto la quale, nella veste di persona offesa ________________ [se colui che propone la querela non è la persona offesa, ma il suo rappresentante, a questo si inserirà, a seconda dei casi, una delle seguenti formule: a) “Nella sua veste di procuratore speciale di _____________ (indicare le generalità complete del rappresentato, data e luogo di nascita, luogo di residenza, professione e stato civile) come da procura speciale rilasciata ____________________ (indicare tutti gli estremi della procura speciale) che viene allegata al presente verbale come parte integrante di esso”; b) “Nella sua veste di legale rappresentante di ___________________ (indicare la persona giuridica, l’ente o l’associazione) legittimato al presente atto come da ___________________ (indicare specificamente la fonte dei poteri di rappresentanza: atto costitutivo, delibera, ecc.)”; c) “Nella sua veste di __________________ (genitore o tutore o curatore) legale rappresentante di ____________________ [indicare generalità complete del rappresentato (minore o interdetto o infermo di mente o inabilitato, a seconda dei casi)], ha presentato, depositandola e confermandola la querela che qui si allega [se del caso: “assieme ai documenti con essa prodotti e in essa specificamente indicati” (anziché in allegato, la dichiarazione di ricezione della denuncia scritta può essere fatta sull’ultimo foglio della denuncia stessa)].

  

Segue ⇒

 

 

Ricezione di querela scritta: pagina n. 2

 

La querela contestualemente sottoscritta da ____________________________ nella veste già specificata, consta di n. ______ pagine dattiloscritte (oppure: manoscritte) di cui l’ultima conta n. ______ righe. Essa risulta proposta a carico di ____________________________ (indicare le generalità della persona cui il fatto è attribuito) o di chiunque altro ne ruisulti autore o concorrente per il delitto di ___________________________ o per qualunque altro delitto che sarà ritenuto configurabile nei fatti esposti nella querela scritta [oppure dire, se il querelato è persona ignota: “risulta presentata a carico di persona tuttora non identificata”].
[Se del caso aggiungere: “Ritenutane la opportunità, sono stati richiesti al querelante chiarimenti in merito ai fatti e ulteriori informazioni utili alla loro ricostruzione. In particolare
__________________________________________________________ (ad esempio, possono essere qui verbalizzate le domande che l’Ufficiale di P. G. e le risposte date dal querelante...)
]

Sintesi di questo atto e della querela è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI). 

Si dà atto che la ricezione della querela è avvenuta nell’Ufficio (Comando) di ______________ [oppure: è avvenuta nel domicilio della persona che ha proposto la querela trattandosi di persona portatrice di handicap; oppure: anziana o impedita perché _____________________” che aveva richiesto l’intervento delle Forze di Polizia a norma dell’art. 17 comma 2 della Legge 26.03.2001, n. 128]

[Eventualmente aggiungere: Il querelante ha dichiarato di voler essere informato della eventuale archiviazione del procedimento sorto a seguito della presentazione dell’atto (la dichiarazione può essere fatta solo dal querelante che sia anche persona offesa – art. 408 comma 2 c.p.p.)]
Ai sensi dell’art. 459 c.p.p., il querelante dichiara inoltre di opporsi/non opporsi a che il Pubblico Ministero, sussistendone le condizioni, presenti al Giudice per le indagini preliminari (GIP) richiesta di emissione di “decreto penale“ di condanna a pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva [l’indicazione non va riportata per le querele relativi ai delitti di competenza del Giudice di pace in quanto, per i procedimenti davanti a tale Giudice, il decreto penale non è previsto].


Riletto, confermato e sottoscritto.

 

_________________, lì ______________

 


                                                   Firma:

                                         - del querelante           _______________________
                                         - dei militari operanti      _______________________

 

 

 

Remissione di querela - Ipotesi A

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)


Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

 

Oggetto: Verbale di remissione, con contestuale accettazione, della querela

proposta oralmernte o personalmente [oppure: nella sua qualità di procuratore speciale /legale rappresentante/curatore speciale di __________________________ (indicare nome e cognome della persona offesa)]

 

da _________________________________ (cognome e nome) nato a __________________ il________________ cittadino ___________ residente a (o domiciliato) __________________ in ______________________ via ________________ n°.____ tel._____________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ____________ stato civile____________ titolo di studio ___________________ identificato mediante ________________________, rilasciato a _______________________ il _______________ da __________________________ (oppure: personalmente conosciuto)

contro __________________ di seguito meglio indicato in relazione al delitto di ___________ o per qualunque altro delitto eventualmente ritenuto configurabile.


Il giorno _____________ alle ore ________ nell’Uffico (Comando) di ____________________ davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. ______________________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano – Cass. 49497/2003) è presente ___________________, persona meglio indicata in oggetto la quale, dichiara di voler rimettere a tutti gli effetti la querela, che, nella qualità sopra specificata [se colui che propone la querela non è la persona offesa, ma il suo rappresentante, a questo si inserirà, a seconda dei casi, una delle seguenti formule: a) “Nella sua veste di procuratore speciale di __________________ (indicare le generalità complete del rappresentato, data e luogo di nascita, luogo di residenza, professione e stato civile) come da procura speciale rilasciata _______________________ (indicare tutti gli estremi della procura speciale) che viene allegata al presente verbale come parte integrante di esso”; b) “Nella sua veste di legale rappresentante di __________________ (indicare la persona giuridica, l’ente o l’associazione) legittimato al presente atto come da __________________________ (indicare specificamente la fonte dei poteri di rappresentanza: atto costitutivo, delibera, ecc.)”; c) “Nella sua veste di ________________ (genitore o tutore o curatore) legale rappresentante di ___________________ [indicare generalità complete del rappresentato (minore o interdetto o infermo di mente o inabilitato, a seconda dei casi). La P.G. deve porre particolare attenzione nell’accertare la titolarità del diritto di rimettere o accettare la querela], ha proposto il ______ (data) davanti a ___________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria o di P.G. alla quale la querela fu proposta) contro ___________________ [indicare le generalità del querelato (o dei querelati presenti) o dei loro procuratori e rapresentanti – art. 122 c.p.). Si ricordi che la remissione produce effetti per tutti i soggetti querelati – che l’accettano – anche se è fatta a favore di uno solo di essi].

 

Segue⇒

 

 

 

Remissione di querela – Ipotesi A : pagina n. 2

E’ presente altresì ____________________________________ [indicare le generalità del querelato (o dei querelati presenti) o dei loro procuratori e rapresentanti – art. 122 c.p.). Si ricordi che la remissione produce effetti per tutti i soggetti querelati – che l’accettano – anche se è fatta a favore di uno solo di essi] il quale dichiara di accettare la remissione di querela di cui sopra.
L’accettante e il remittente convengono che le spese ______________________ [la espressione va inserita solo se l’accettante e il remittente convengono con le spese del procedimento siano in tutto o in parte a carico del querelante. La regola generale prevede infatti che le spese del procedimento siano – salva deroga espressa – a carico del querelato (=di chi accetta la remissione)] [Se il remittente si è avvalso del diritto di rinuncia, aggiungere: “e il remittente fa espressa rinuncia al diritto alla restituzione e al risarcimento del danno a norma dell’art. 152 comma 4 del c.p.].

 

Il presente Verbale, riletto e confermato è chiuso alle ore _______ e, dopo essere contestualmente sottoscritto, sarà immediatamente inoltrato all’Autorità Giudiziaria procedente a norma dell’art. 340 comma 1 c.p.p. mentre copia di esso è conservata agli atti di questo Ufficio [o Comando]

 

Sintesi della presente querela è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

  

 

                                                                 Firma:

 

                                                                 - il Rimettente       _______________________
                                                                 - l’Accettante        _______________________
                                                                 - l’Ufficiale di P.G.  _______________________

 

 




Remissione di querela - Ipotesi B

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)


Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

 

Oggetto: Verbale di separata accettazione [oppure: non accettazione] della remissione della querela già proposta oralmernte o personalmente [oppure: nella sua qualità di procuratore speciale/legale rappresentante/curatore speciale di ____________________ (indicare nome e cognome della persona offesa)]

 

da ___________________________________ (cognome e nome) nato a ________________ il ____________ cittadino _________________ residente a (o domiciliato) ________________ in __________________ via __________________ n°._______ tel.____________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ___________________ stato civile____________ titolo di studio _______________ identificato mediante _____________________, rilasciato a ______________________ il ______________ da ____________________________ (oppure: personalmente conosciuto)

contro ______________________________ di seguito meglio indicato in relazione al delitto di ____________________ o per qualunque altro delitto eventualmente ritenuto configurabile.


Il giorno _____________ alle ore ________ nell’Uffico (Comando) di ____________________ davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. __________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ____________ ____________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano – Cass. 49497/2003) è presente ___________________, (cognome e nome) nato a ______________ il___________ cittadino ______________ residente a (o domiciliato) __________________ in ________________ via ___________________ n°.________ tel.______________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ____________ stato civile___________ titolo di studio ______________ identificato mediante _______________, rilasciato a ____________ il __________ da _______________ (oppure: personalmente conosciuto), il quale, reso edotto della remissione di querela presentata nei suoi confronti da ______________________ meglio indicato in oggetto...

 

Segue ⇒

 

 

 

Remissione di querela - Ipotesi B: pagina n. 2

 

Il __________________________ (data) davanti a ___________________________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria o di P.G. davanti alla quale la remissione di querela fu proposta) espressamente dichiara di voler [oppure: non volere (il remittente della querela va notiziato dell’accetazione o della mancata accettazione)] accettare tale remissione prendendo atto che le spese del procedimento sono a suo carico [oppure: “sottolineando che, in base a quanto convenuto e risultante dall’atto di remissione, le spese sono a carico __________________”]  [se del caso, far seguire anche: “e che il remittente ha espressamente rinunciato alle restituzioni e al risarcimento del danno”.
Il presente Verbale, riletto e confermato e sottoscritto è immediatamente trasmesso all’Autorità Giudiziaria procedente (1) a norma dell’art. 340 comma 1 c.p.p. mentre copia di esso è conservata agli atti di questo Ufficio [o Comando
]

 

Sintesi della presente querela è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

 


                                                          
Firma:

 

                                                           - l’Interessato       _______________________
                                                           - i militari operanti _______________________



 

 

 

 

 

 

 

 


(1) Il Verbale di remissione (con contestuale accettazione) è, nella Ipotesi B, quello di accettazione della remissione vanno fatti pervenire, dalla P.G. all’Autorità Giudiziaria che procede, senza ritardo. Vanno accompagnati da una nota che, ove possibile, conterrà il riferimento alla informativa con la quale è stata precedentemente data comunicazione dell’avvenuta ricezione della querela proposta.
 

 

Ricezione di referto

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

Prot. Nr. ___________
R.G.  Nr. ___________

 

Oggetto: Ricezione di referto (1) presentato da ____________________ (cognome e nome) nato a ______________________ il______________ cittadino ______________ residente a (o domiciliato) ___________________ in ______________________ via ____________________ n°._______ tel.____________ esercente la professione sanitaria di _____________________ (indicare specificamente la professione) e identificato mediante _______________, rilasciato a ____________ il __________ da __________ (oppure: personalmente conosciuto) in ordine all’opera/assistenza prestata il giorno ___________ alle ore _____ a ________________ nato a ___________ il ____________ residente in _____________________ via _______________ n. __________ (2)


Il giorno _____________ alle ore ________ nell’Uffico (Comando) di ____________________
davanti al sottoscritto Ufficiale di P.G. ______________________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) assistito da ________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome, nome dell’Agente o degli Agenti di P.G. che lo coadiuvano – Cass. 49497/2003) è presente ____________________________________, persona meglio indicata in oggetto la quale, nella sua qualità di esercente professione sanitaria, consegna il referto sull’opera/assistenza prestata a ____________________ anch’essa persona indicata in oggetto e riscontrata affetta da ___________________ [eventualmente aggiungere: “Ritenuta la opportunità di disporre di ulteriori elementi su alcune delle circostanze riportate nel referto ai sensi dell’art. 334 comma 2 c.p.p., si procede ad assumere informazioni utili ai fini delle indagini dal refertante il quale spontaneamente espone ____________________” oppure: “su domanda risponde che ______________”](3)

 

L’Ufficiale di P.G
   ___________________________ (4)

 

 

Segue ⇒ 


 

Ricezione di referto: pagina n. 2

  • Ricordare che:

(1) Lo schema è stato redatto immaginando che il referto sia consegnato personalmente dal suo autore (=esercente la professine sanitaria: medico, chirurgo, ginecologo, veterinario, farmacista, infermiere diplomato...). L’art. 334 comma 4 c.p.p. consente peraltro che, il referto sia fatto pervenire utilizzando incaricati o mezzi tecnici idonei (posta, fax). In ogni caso, il referto deve pervenire (e non solo essere inoltrato) entro 48 ore o immediatamente, se vi è pericolo nel ritardo. L’omissione o il ritardo nella professione sono sanzionati dall’art. 365 c.p. (omissione di referto).

(2) I dati possono essere estrapolati direttamente dal referto. Questo infatti, oltre ad indicare la persona cui è stata prestata assistenza, deve indicare, se possibile, le generalità, il luogo dove essa si trova e quanto altro valga a identificarla. Il referto deve altresì indicare il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento e dare notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare.

(3) Le circostanze di cui all’art. 334 comma 2 c.p.p. sono quelle riportate alla nota 2. Se si assumono informazioni dal refertante, l’atto acquista le caratteristiche del verbale di sommarie informazioni previsto dall’art. 357 comma 2 lett. c) c.p.p. in rel. Art. 351 c.p.p. (=da potenziali testimoni).

(4) Occorre la sottoscrizione anche del sanitario se questi ha riferito, spontaneamente o a domanda, elementi ulteriori rispetto a quelli già risultanti dal referto.

Identificazione di persona sottoposta alle indagini

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

All. Nr._____________

 

Oggetto: Verbale di identificazione ex art. 349 c.p.p., relativo, quale persona sottoposta alle indagini, a ______ _____________________ (Cognome e Nome) ______________ (Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il____________________ residente a _________________ via _________________ n°._______ tel.____________ Professione ________________ luogo di attività lavorativa ____________________________ stato civile_________________ titolo di studio ____________________________.

 

Il giorno ______________ alle ore_______ negli Uffici ______________________ i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G _________________________________ (indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) riferiscono che alle ore __________ del giorno ______________ in località ____________________________________, nell’espletamento di ___________________ (indicare il tipo di servizio), hanno proceduto alla identificazione della persona sopra indicata trattandosi di persona sottoposta alle indagini per il reato di ________ ____________________________ commesso in ___________________________, in danno di _________________________________________, il ____________________. (ove possibile).
A tal fine hanno invitato detta persona a dichiarare le proprie generalità e quant’altro potesse servire ad identificarla, ammonendola delle conseguenze cui si espone chiunque si rifiuti di dare le proprie generalità o le dia false.
L’hanno altresì invitata a dichiarare o eleggere il proprio domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p., avvertendola, in specie, che nella sua qualità di persona sottoposta alle indagini, ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che, in mancanza di tale comunicazione o in caso di rifiuto di dichiarare o eleggere il domicilio stesso, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore.

 

Segue ⇒


 

Identificazione di persona sottoposta alle indagini: pagina n. 2

E’invitato altresì nominare un difensore di fiducia, facendogli presente che in caso risulti privo di difensore di fiducia gli avvisi di legge per gli atti di indagine e del procedimento saranno dati al difensore di ufficio individuato a norma dell’art. 97 c.p.p.

  • Ipotesi A: (Semplice identificazione)

All’esito, la persona sottoposta alle indagini, esibendo a conferma _______________ (indicare tipo e numero del documento identificativo) ha dichiarato di essere ______________________ (Cognome e nome) e ha fornito le generalità e i dati identificativi riportati in oggetto.
Ha poi chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata in ____________________________ presso _______________________________ nominando quale difensore di fiducia l’Avvocato ___________________________ del Foro di ____________________ (oppure: riservandosi di nominare il suo difensore di fiducia).

  • Ipotesi B: (Accompagnamento)

All’esito, la persona sottoposta alle indagini:

  1. ha rifiutato di dichiarare le proprie generalità;

   oppure:

  1. ha reso dichiarazioni sulla propria identità che potevano ritenersi false perché_________  ____________________________________________ (indicare i motivi);
  2. ha esibito documenti di identità che potevano ritenersi falsi perché __________________ ____________________________________________ (indicare i motivi).

Alle ore ________ del __________________ si è pertanto proceduto all’accompagnamento ex art. 349 comma 4 c.p.p., in Ufficio della persona predetta al fine di pervenire alla sua sicura identificazione. Dell’accompagnamento e dell’ora in cui è stato compiuto è stata data immediata notizia al Sig. Procuratore della Repubblica presso __________________________ in persona del Dott. ________________________________, a mezzo __________________ .
Per accertare la identità della persona accompagnata (o la eventuale falsità del documento esibito) si è provveduto a _________________________________ (indicare specificamente le operazioni e gli accertamenti svolti) pervenendosi alle seguenti conclusioni _______________.
Alle ore ___________ del giorno ___________________________, la persona sottoposta alle indagini ____________________________________ è stata autorizzata a lasciare l’Ufficio e di ciò, alle successive ore ______ del giorno __________________, è stata notizia al Magistrato predetto a mezzo _______________________________.

Segue ⇒

 

 

Identificazione di persona sottoposta alle indagini: pagina n. 3

Si dà atto che, nell’occasione, la persona sottoposta alle indagini, in ordine all’invito rivoltole di dichiarare o eleggere il domicilio per le notificazioni, ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso ________________________________ e ha nominato quale difensore di fiducia l’Avv.______________________________ del Foro di _________________________ (oppure: si riserva di nominare il difensore di fiducia).
Sintesi del presente Verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI)(1)
Il Verbale è chiuso alle ore _____ e, dopo essere stato riletto e confermato, è contestualmente sottoscritto dalla persona identificata e dall’Ufficiale/Agente di polizia giudiziaria operante. Esso è posto a disposizione del Pubblico Ministero a norma dell’art. 357 comma 4 c.p.p. e copia è conservata agli atti di questo Ufficio [o Comando
]


                        (Firma dell’indagato)             (Firma dei verbalizzanti)
                    ________________________      ________________________

 


 

Identificazione di persona sottoposta alle indagini: esempio pratico

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di LA MADDALENA
_________________________
(Intestazione dell’Ufficio)

 

All. Nr. 01

 

Oggetto: Verbale di identificazione ex art. 349 c.p.p., relativo, quale persona sottoposta alle indagini, a GLORIOSO Raffaele alias Lelle nato a Pistoia il 30 dicembre 1954 e residente a La Maddalena in via R. Sanzio n°. 17, tel. 0789435662, Professione Pescatore, Matricola. 1277 3^ Categoria G.M. luogo di attività lavorativa La Maddalena, stato civile Coniugato, titolo di studio Diploma ITN, precedenti condanne riportate nessuna segni particolari evidenti nessuno.

 

Il 14 maggio 2009 alle ore 10.00 negli Uffici della Capitaneria di Porto di La Maddalena i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G   1° M.llo Lgt. Np. GRIGNANI Fausto e Capo 3^ cl. Np. CAPUTO Salvatore in servizio presso il Comando in intestazione riferiscono che alle ore 10.00 del giorno 14 maggio 2009 negli Uffici della Capitaneria di La Maddalena, hanno proceduto alla identificazione della persona sopra indicata trattandosi di persona sottoposta alle indagini per il reato di “esercizio dell’attività di pesca mediante materie esplodenti” (artt. 15 lett. d e 24 Legge n. 963/65) commesso a 3 miglia N-W Isola di Caprera - Arcipelago di La Maddalena - Comune di La Maddalena, il 14 maggio u.s.
A tal fine hanno invitato detta persona a dichiarare le proprie generalità e quant’altro potesse servire ad identificarla, ammonendola delle conseguenze cui si espone chiunque si rifiuti di dare le proprie generalità o le dia false.
L’hanno altresì invitata a dichiarare o eleggere il proprio domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p., avvertendola, in specie, che nella sua qualità di persona sottoposta alle indagini, ha l’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che, in mancanza di tale comunicazione o in caso di rifiuto di dichiarare o eleggere il domicilio stesso, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore; è invitato altresì nominare un difensore di fiducia, facendogli presente che in caso risulti privo di difensore di fiducia gli avvisi di legge per gli atti di indagine e del procedimento saranno dati al difensore di ufficio individuato a norma dell’art. 97 c.p.p.
All’esito, la persona sottoposta alle indagini, esibendo a conferma il Titolo matricolare (Foglio di Ricognizione) rilasciato il 23.03.1968 dalla Capitaneria di Porto di OLBIA ha dichiarato di essere Sig. GLORIOSO Raffaele e ha fornito le generalità e i dati identificativi riportati in oggetto. Ha poi chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata in Via R. Sanzio n. 17 La Maddalena presso l’abitazione di sua proprietà e nominando quale difensore di fiducia l’Avvocato TADDEI Carlo del Foro di Sassari . In assenza dell’Avv. TADDEI Carlo, attualmente in vacanza fuori sede, è stato nominato difensore di ufficio l’Avv. RANIERI Giulio del Foro di Tempio.

Sintesi del presente Verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI)(1)

Del che è verbale letto, confermato e sottoscritto.
Il Verbale è chiuso alle ore 11.30.

 

                         (Firma dell’indagato)             (Firma dei verbalizzanti)
                           Raffaele GLORIOSO          Capo 3^ cl. Np. Salvatore CAPUTO
                                                                 1° M. llo Lgt. Np. Fausto GRIGNANI

 

 


(2) All’invio si procede solo se la identificazione è il primo atto cui interviene l’indagato

 

Identificazione di persona informata sui fatti

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

 

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________
(
Intestazione dell’Ufficio)


All. Nr.________

 

Oggetto: Verbale di identificazione relativo, quale persona informata sui fatti, a ______ ________________ (Cognome e Nome) ______________ (Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il______________________ residente a _________________ via ____________ n°._______ tel.____________ Professione ________________ luogo di attività lavorativa ___________________________ stato civile _________________________ titolo di studio ____________________________.

 

Il _______________ alle ore _____ negli Uffici ____________________________ i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G ________________________ (indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) riferiscono che alle ore _____ del giorno _____________ in _____________________, hanno proceduto alla identificazione della persona sopra indicata trattandosi di persona in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto criminoso.
A tal fine hanno invitato detta persona a dichiarare le proprie generalità.

  • Ipotesi A: (Semplice identificazione)

All’esito, la persona da identificare, esibendo a conferma _________________ (indicare tipo e numero del documento identificativo) ha dichiarato di essere ________________ (Cognome e nome) e ha fornito le generalità e i dati identificativi riportati in oggetto.

  • Ipotesi B: (Accompagnamento)

All’esito, la persona informata sui fatti:

  1. ha rifiutato di dichiarare le proprie generalità;

oppure:

  1. ha reso dichiarazioni sulla propria identità che potevano ritenersi false perché _________ _____________(indicare i motivi);
  2. ha esibito documenti di identità che potevano ritenersi falsi perché  __________________ _____________(indicare i motivi).

Segue ⇒

 

 

Identificazione di persona informata sui fatti: pagina n. 2

Alle ore _________ del _________________ si è pertanto proceduto all’accompagnamento in Ufficio della persona predetta al fine di pervenire alla sua sicura identificazione. Dell’accompagnamento e dell’ora in cui è stato compiuto è stata data immediata notizia al Sig. Procuratore della Repubblica presso ____________________ in persona del Dott. _________, a mezzo ____________________________.

Per accertare la identità della persona accompagnata (o la eventuale falsità del documento esibito) si è provveduto a _________________________________ (indicare specificamente le operazioni e gli accertamenti svolti) pervenendosi alle seguenti conclusioni _______________.
Alle ore ______ del giorno ___________, la persona ___________________________ è stata autorizzata a lasciare l’Ufficio e di ciò, alle successive ore _____ del giorno _____________, è stata notizia al Magistrato predetto a mezzo ________________________________________.

Riletto, confermato e sottoscritto.-


                         (Firma dell’indagato)                        (Firma dei verbalizzanti)
                   _________________________                 _________________________

 

 

 

Sommarie informazioni assunte dall'indagato

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ________________
_________________________
(Intestazione dell’Ufficio)

 

 

All. Nr.__________

 

Oggetto: Verbale di sommarie informazioni relativo, quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, a __________________________ (Cognome e Nome) ________________.(Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il ________________ residente a _________________ via ___________ n°._______ tel.____________ Professione _________________ luogo di attività lavorativa ______________________ stato civile _________ titolo di studio _______________________________.

 

Il giorno _______________ alle ore ______ in _______________, davanti a noi sottoscritti Ufficiali di P.G __________________ (indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) è comparso ______________________________ qui invitato per rendere informazioni quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini per il reato di _________________________ (indicare il titolo di reato).
Il Sig. ______________________, invitato a dichiarare le proprie generalità ai sensi dell’art. 66 c.p.p. con l’ammonizione delle conseguenze alle quali si espone chi si rifiuta o le dà false (art. 651 e 495 c.p.p.), risponde:-------
« Mi chiamo ________________________________, (pseudonimo/soprannome) ___________, (nazionalità) _______________________, (residenza anagrafica) __________________ (dimora) _______________________ (luogo di attività lavorativa) _________________________________, (telefono) ______________, (stato civile) ______________, (professione od occupazione) _________________ (beni patrimoniali) ___________________ (processi penali pendenti) __________________ (condanne nello Stato o all’estero) ____________________ (uffici e servizi pubblici o di pubblica necessità esercitati) __________ (cariche pubbliche ricoperte) ___________________ ».

 

Segue ⇒

 

 

Sommarie informazioni assunte dall'indagato: pagina n. 2

(Se occorre, l’Ufficiale di polizia giudiziaria fa menzione dei connotati fisici e di eventuali segni particolari della persona).

Invitato quindi a nominare un difensore di fiducia l’indagato dichiara, di nominarlo nella persona di_____________________________, presente all’atto.

(Se il difensore di fiducia non è presente o non è nominato, si specificherà a seconda dei casi:
« Invitato quindi a nominare un difensore di fiducia, dichiara:

  1. di nominarlo nella persona di ________________ del Foro di ______________ che, tempestivamente avvisato alle ore________ mediante ___________________, non è comparso (ovvero: che non è stato reperito). In sua vece, il Procuratore dellla Repubblica presso ___________________ di _____________________ in persona del Dott. __________________________, ha designato quale sostituto, a norma dell’art. 97 comma 4 c.p.p., l’Avv.to ___________ che presenzia all’atto.
  2. di esserne privo (ovvero: di non volerlo nominare). Dopo che ______________ è stato informato delle disposizioni in materia di patrocinio a spese dello Stato e ha dichiarato che ricorrono (oppure: non ricorrono) per lui i presupposti per l’ammissione a tale beneficio, viene designato quale difensore di ufficio, l’Avv.to ________________________ che presenzia all’atto (oppure: che, quantunque tempestivamente avvisato alle ore _________ l’Avv.to _________________________, mediante _____________________ non è
    è comparso – oppure, che non è stato reperito – rendendo necessaria la designazione, in sua vece e da parte del Procuratore della Repubblica presso __________________ di ______________ in persona del Dott. ____________________, dell’Avv.to _______________ che presenzia all’atto).

Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini _________________ (Cognome e nome dell’indagato) è stata invitata a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 comma 1 c.p.p. ed avvertito, in specie, sia dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato eletto sia del fatto che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio.
In proposito, ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso __________________________________________________ (oppure: ha rifiutato di dichiarare o eleggere il domicilio).

 

Segue ⇒
 

 

Sommarie informazioni assunte dall'indagato: pagina n. 3

Dopo essere stato avvertito del fatto che viene esaminato quale persona sottoposta alle indagini in ordine al reato di ____________________ e che, come tale ha facoltà di non rispondere alle domande che gli verranno rivolte, ma che anche se non risponderà, il procedimento seguirà il suo corso (art. 64 co. 3 c.p.p.), a tal proposito il Sig. _____________________________  dichiara:
«Intendo rispondere: (A.D.R.)__________________________________________________ »
oppure:
« Non intendo rispondere » (in quest’ultimo caso, il Verbale viene immediatamente chiuso).
I verbalizzanti danno atto che il Verbale è stato redatto in forma riassuntiva semplice e che è stato altresì effettuata la riproduzione fonografica (oppure: se la riproduzione fonografica non vi è stata ed è stato redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, indicare i motivi) le cui operazioni sono cessate alle ore _______ all’atto della chiusura del Verbale. Il relativo nastro è stato racchiuso nell’apposita custodia dai sottoscritti verbalizzanti sigillata, contrassegnata con il n°. ____ e allegata al presente atto quale parte integrante di esso.
Il verbale contestualmente redatto in numero di __________ fogli, è riletto, confermato e sottoscritto.
(il Verbale deve essere sottoscritto alla fine di ogni foglio anche quando le operazioni non sono esaurite e vengono inviate ad altro momento (art. 137 co.1). Se alcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere, deve farsi menzione con l’indicazione del motivo (art. 137 co.2). Il Verbale previa conservazione di copia (art. 115 att.) è trasmesso al P.M. entro il terzo giorno dal suo compimento (art. 366). Resta fermo che può essere allegato anche alla informativa (o comunicazione) della notizia di reato. Ove ritenuto opportuno, può precisarsi che l’indagato è intervenuto libero al compimento dell’atto e che non sono stati utilizzati metodi e tecniche idonei a influire sulla sua libertà di autodeterminazione o ad alterare la sua capacità di ricordare e valutare i fatti (art. 64 co.2).)

Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

 

                   La persona sottoposta                                L’Ufficiale di P.G.
                          alle indagini

             ____________________________              __________________________

 

Il Difensore(*)
_________________________
(eventualmente)

 

 


(*) Trattasi di atto garantito
 

 

Spontanee dichiarazioni

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

 

All. Nr.__________

 

Oggetto: Verbale di spontanee dichiarazioni ex art. 350 comma 7 c.p.p., rese, quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, da __________________________ (Cognome e Nome) _________________________________________ (Soprannome o pseudonimo) nato a _______________________ il __________________ residente a ____________________ via ________________ n°._____ tel._______________ Professione ___________________ luogo di attività lavorativa _______________________________ stato civile _____________ titolo di studio _______________________________.-

 

Il ______________ alle ore ______ in ____________________, i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G _______________________________________ (indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) danno atto che, alle ore _____ del ________________ in _________________________ (indicare in quale contesto le dichiarazioni sono state rese), la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini in ordine al reato di __________________ (indicare il titolo di reato) e che si trova in stato di __________________________ (dire se “di libertà”, “di arresto o fermo”, o “sottoposto a misura cautelare”) ha reso spontaneamente ai sottoscritti (e alla presenza del difensore di fiducia Avv.to ______________________ (oppure: senza la presenza del difensore) le seguenti dichiarazioni: ____________________________
(Dare atto della assistenza di persone idonee o di altri Ufficiali/Agenti di p.g. per la riproduzione fonografica o per le riprese audiovisive oltreché, se necessario, per svolgere funzioni di interprete)
«__________________________________________________________________________ »
La persona sottoposta alle indagini è stata invitata a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 comma 1 c.p.p. ed avvertito, in specie, sia dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato eletto sia del fatto che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio.

 

Segue⇒

 

 

Spontanee dichiarazioni: pagina n. 2

E’ stata altresì invitata a dichiarare le proprie generalità a norma degli artt. 66 c.p.p. e 21 disp. Att. c.p.p. previo ammonimento circa le conseguenze cui si espone chi rifiuta di darle o le dà false.
La persona sottoposta alle indagini ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso ________________________________ (oppure: ha rifiutato di dichiarare o eleggere il domicilio).

(per l’ipotesi in cui la nomina non sia stata già intervenuta, aggiungere: e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’Avvocato _______________________________________ del Foro di ___________________________; oppure: e si è riservata di nominare il difensore di fiducia).

Quanto alle proprie generalità, ha invece risposto:
« Mi chiamo _____________________________________________________, (pseudonimo /soprannome) ___________________________, (nazionalità) ________________________, (residenza anagrafica) ____________________ (dimora) ________________________ (luogo di attività lavorativa) ___________________________________________, (telefono) ______________________, (stato civile) __________________, (professione od occupazione) _________________ (beni patrimoniali) ___________________ (processi penali pendenti) __________________________________
(condanne nello Stato o all’estero) ________________________________________ (uffici e servizi pubblici o di pubblica necessità esercitati) _____________________________ (cariche pubbliche ricoperte) ___________________________________ ».

I verbalizzanti danno atto che il Verbale è stato redatto in forma riassuntiva e che è stata altresì effettuata la riproduzione fonografica (oppure: se la riproduzione fonografica non vi è stata ed è stato redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, indicare i motivi) le cui operazioni sono cessate alle ore _______ all’atto della chiusura del Verbale. Il relativo nastro è stato racchiuso nell’apposita custodia dai sottoscritti verbalizzanti sigillata, contrassegnata con il n. _______ e allegata al presente atto quale parte integrante di esso.

 

Segue ⇒

 

Spontanee dichiarazioni: pagina n. 3

Il verbale contestualmente redatto in numero di ______ fogli, è riletto, confermato e sottoscritto.

(il Verbale deve essere sottoscritto alla fine di ogni foglio anche quando le operazioni non sono esaurite e vengono inviate ad altro momento (art. 137 co.1)).
Se alcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere, deve farsi menzione con l’indicazione del motivo (art. 137 comma 2). Il Verbale previa conservazione di copia (art. 115 att.) è trasmesso al P.M. entro il terzo giorno dal suo compimento (art. 366)

Il Verbale previa conservazione di copia (art. 115 att.) è trasmesso al P.M. entro il terzo giorno dal suo compimento (art. 366). Resta fermo che può essere allegato anche alla informativa (o comunicazione) della notizia di reato. Ove ritenuto opportuno, può precisarsi che l’indagato è intervenuto libero al compimento dell’atto e che non sono stati utilizzati metodi e tecniche idonei a influire sulla sua libertà di autodeterminazione o ad alterare la sua capacità di ricordare e valutare i fatti (art. 64 co.2).

Sintesi della presente comunicazione è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).


                      La persona sottoposta                 L’Ufficiale/Agente di P.G.
                              alle indagini

                     _______________________         __________________________


   Il Difensore (*)
_________________________
(eventualmente)

 

 


 (*) Anche se trattasi di atto “non garantito”, qualora le Dichiarazioni venissero rese innanzi al Difensore di fiducia, il Verbale dovrà essere sottoscritto anche dal legale.
 

 

Sommarie informazioni assunte dalle persone informate sui fatti

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

 

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

All. Nr._____________

 

Oggetto: Verbale di sommarie informazioni ex art. 351 c.p.p., relativo, quale persona informata sui fatti, a _________________ (Cognome e Nome) _____________ (Soprannome o pseudonimo) nato a ______________________ il______________ residente a _________________ via_______________ n°._____ tel.___________ Professione _______________ luogo di attività lavorativa ___________________ stato civile_________________ titolo di studio ___________________________.

 

 

Il giorno__________________ alle ore ______ in _________________________, negli Uffici di ______________________, noi sottoscritti Ufficiali di P.G _______________________(indicare specificamente grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) diamo atto di procedere all’esame di _________________________ trattandosi di persona informata sui fatti per cui si procede.
Il Sig. ______________________, invitato a dichiarare le proprie generalità ai sensi dell’art. 66 c.p.p. con l’ammonizione delle conseguenze alle quali si espone chi si rifiuta o le dà false (art. 651 e 495 c.p.p.), risponde:
« Mi chiamo ___________________________________________, (generalità complete dell’esaminato, sua professione e luogo di residenza)
Procedutosi quindi all’esame, a domanda risponde (A.D.R.): «__________________________________________________________________________

__________________________________________________________________»

 

 

Sommarie informazioni assunte dalle persone informate sui fatti: pagina n. 2

(verbalizzare le dichiarazioni rese dalla persona esaminata, eventualmente anche le domande rivolte; se il Verbale sarà redatto in forma riassuntiva sarà sufficiente che sia riprodotta nella originaria genuina espressione la sola parte essenziale delle dichiarazioni rese; inoltre, sempre in caso di verbalizzazione in forma riassuntiva e con riproduzione fonografica, dal Verbale dovrà risultare il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione).

Il verbale contestualment redatto in ______________ fogli è riletto, confermato e sottoscritto. Previa conservazione di copia, sarà posto a disposizione del Procuratore della repubblica presso il _______________________.

Sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI).


                          La persona informata                         L’Ufficiale di P.G.
                                   sui fatti

                      _______________________              _______________________

 

 


(Se nel corso dell’esame emergono indizi di reità a carico dell’interrogato:
«A questo punto, poiché dalle dichiarazioni sopra rese emergono a carico dello stesso dichiarante indizi di reità in ordine al reato per cui si procede, l’interrogatorio viene sospeso ed il Sig. _____________________ viene invitato a nominarsi un difensore»
L’atto viene chiuso e si procederà, procurata la presenza del difensore di fiducia o di ufficio, secondo lo schema di verbale di sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini ex art. 350 c.p.p.)

 

 

Interrogatorio delegato

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

 

All. Nr._____________

 

Oggetto: Verbale di interrogatorio delegato ex artt. 370 co.1, 364, 373 co.1 lett. b) c.p.p., reso, quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, da _________________________________ (Cognome e Nome) _____________________.(Soprannome o pseudonimo) nato a __________________ il _______________ residente a _________________ via _______________ n°._______ tel._________ Professione _________________ luogo di attività lavorativa ____________________ stato civile _________ titolo di studio _________________.

 

Il giorno _______________ alle ore ______ in _____________________________, negli Uffici di ______________________, davanti a noi sottoscritti Ufficiali di P.G.________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) delegati all’atto dal Procuratore della Repubblica presso _________________ di __________________ nella persona del Dott. ______________________ (dare atto dell’assistenza di persone idonee o di altri ufficiali o agenti di p.g. per la riproduzione fonografica o per le riprese audiovisive oltreché, se necessario, per svolgere funzione di interprete) è comparso _________________________ qui invitato per rendere interrogatorio quale persona nei cui confronti vengono svolte le indagini per il reato di _________________________________________ (indicare il titolo di reato).
Il Sig. ______________________, invitato a dichiarare le proprie generalità ai sensi dell’art. 66 c.p.p. con l’ammonimento circa le conseguenze alle quali si espone chi si rifiuta di darle o le dà false (art. 651 e 495 c.p.p.), risponde:

 

Segue ⇒
 

 

Interrogatorio delegato: pagina n. 2

« Sono (generalità) ___________________________________________ (pseudonimo/soprannome) _____________________ (nazionalità) _______________________________ (residenza anagrafica) __________________________ (dimora) _________________________________ (luogo di attività lavorativa) _____________________ (stato civile) ______________________________ (professione od occupazione) _____________________ (beni patrimoniali) _______________________ (processi penali pendenti) _____________ (condanne nello Stato o all’estero) ____________________ (uffici servizi pubblici o di pubblica necessità esercitati) __________________________ (cariche pubbliche ricoperte) ______________________________________________________________________ »

Invitato quindi a nominare un difensore di fiducia l’indagato dichiara, di nominarlo nella persona di ____________________________________________________, presente all’atto.
(Se il difensore di fiducia non è presente o non è nominato, si specificherà a seconda dei casi: «Invitato quindi a nominare un difensore di fiducia, dichiara:

  1. di nominarlo nella persona di ________________ del Foro di _____________________ che, tempestivamente avvisato alle ore ________ mediante ______________________, non è comparso (ovvero: che non è stato reperito). In sua vece, il Procuratore dellla Repubblica presso ____________________ di ____________________________ in persona del Dott. ________________________________, ha designato quale sostituto, a norma dell’art. 97 comma 4 c.p.p., l’Avv.to __________________________________ che presenzia all’atto.
  2. di esserne privo (ovvero: di non volerlo nominare). Dopo che _____________________ è stato informato delle disposizioni in materia di patrocinio a spese dello Stato e ha dichiarato che ricorrono (oppure: non ricorrono) per lui i presupposti per l’ammissione a tale beneficio, viene designato quale difensore di ufficio, l’Avv.to ________________________ che presenzia all’atto (oppure: che, quantunque tempestivamente avvisato alle ore _________ l’Avv.to ______________________, mediante _____________________ non è comparso – oppure, che non è stato reperito – rendendo necessaria la designazione, in sua vece e da parte del Procuratore della Repubblica presso _______________________ di________________ in persona del Dott. _____________________________, dell’Avv.to ________________________ che presenzia all’atto. Si ricordi che il nome del difensore di ufficio va desunto dall’apposito elenco predisposto dal Consiglio dell’Ordine forense d’intesa con il Presidente del Tribunale, sulla base di turni di reperibilità).

Segue ⇒

 

 

Interrogatorio delegato: pagina n. 3

La persona sottoposta alle indagini viene quindi invitata a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 comma 1 c.p.p. ed avvertita, in specie, sia dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato eletto sia del fatto che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio.
Si da atto che il Sig. __________________________, ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso ____________________________ (oppure: ha rifiutato di dichiarare o eleggere il domicilio).
A questo punto, prima di dare inizio all’interrogatorio nel merito, i verbalizzanti avvertono la persona sottoposta alle indagini che essa ha facoltà di non rispondere alle domande che gli verranno rivolte, ma che anche se non risponderà, il procedimento seguirà il suo corso (art. 64 co. 3 c.p.p.).
[Le fonti dalle quali derivano gli elementi acquisiti sono comunicate solo se non può derivarne pregiudizio per le indagini. Se può derivarne pregiudizio per le indagini, la p.g. si limita a contestare all’indagato le circostanze del fatto attribuitogli e gli elementi di prova acquisiti contro di lui. Occorre invece di indicare le fonti dalle quali tali elementi derivano (ad esempio: il testimone, il pentito). Se l’indagato si avvale della facoltà di non rispondere, la p.g. non ha l’obbligo di contestazione (artt. 64 co.3 e 65 co.1)].
La persona sottoposta alle indagini dichiara:
«Intendo rispondere» (oppure: «Non intendo rispondere»  - In questo caso, il verbale viene immediatamente chiuso).
Alla persona sottoposta alle indagini viene allora contestato, in forma chiara e precisa, il fatto che le è attribuito e vengono resi noti gli elementi di prova esistenti a suo carico con la indicazione delle relative fonti (oppure: omettendosi peraltro la indicazione delle relative fonti potendo derivarne pregiudizio per le indagini). In particolare ________________ (formulare la contestazione e indicare gli elementi di prova nonché, se del caso, le relative fonti).
La persona sottoposta alle indagini risponde:________________________________________
[Occorre indicare se le dichiarazioni dell’indagato sono state rese spontaneamente o previa domanda. In tal caso è riprodotta anche la domanda. Occorre poi attestare se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante e se questi si è avvalso dell’autorizzazione a consultare note scritte nei procedimenti per delitti di violenza sessuale non possono essere rivolte domande sulla vita privata della persona offesa o sulla sua sessualità (salvo non siano necessarie per la ricostruzione dei fatti – art. 472)].

 

Segue⇒

 

 

Interrogatorio delegato: pagina n. 4

I verbalizzanti danno atto che il Verbale è stato redatto in forma riassuntiva e che è stato altresì effettuata la riproduzione fonografica (oppure: se la riproduzione fonografica non vi è stata ed è stato redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, indicare i motivi) le cui operazioni sono cessate alle ore _______ all’atto della chiusura del Verbale.
Il relativo nastro è stato racchiuso nell’apposita custodia dai sottoscritti verbalizzanti sigillata, contrassegnata con il n° _________ e allegata al presente atto quale parte integrante di esso.
Il verbale contestualmente redatto in numero di ______________ fogli, è riletto, confermato e sottoscritto.

[il Verbale deve essere sottoscritto alla fine di ogni foglio anche quando le operazioni non sono esaurite e vengono inviate ad altro momento (art. 137 co.1). Se alcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere, deve farsi menzione con l’indicazione del motivo (art. 137 co.2). Il Verbale previa conservazione di copia (art. 115 att.) è trasmesso al P.M. entro il terzo giorno dal suo compimento (art. 366). Resta fermo che può essere allegato anche alla informativa (o comunicazione) della notizia di reato. Ove ritenuto opportuno, può precisarsi che l’indagato è intervenuto libero al compimento dell’atto e che non sono stati utilizzati metodi e tecniche idonei a influire sulla sua libertà di autodeterminazione o ad alterare la sua capacità di ricordare e valutare i fatti (art. 64 co.2).]

Sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema interforze (CED-SDI).

 


                           La persona sottoposta                   L’Ufficiale di P.G.
                                   alle indagini

                      __________________________    __________________________


Il Difensore(*)
_________________________
(eventualmente)

 

 


 

(*) Trattasi di atto garantito
 

 

Perquisizione personale

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

All. Nr._____________

 

Oggetto: Verbale di perquisizione personale eseguita a norma dell’art. 352 c.p.p. nei confronti ______________________________ nato a _____________ il _______________ residente in _______________ via _______________ n.° ______ Tel _________________ professione o mestiere ________________ identificato mediante _________________________________ n°. _____________
rilasciato da __________________________ il _________________________.

 

Il _____________ alle ore _______ i sottoscritti Ufficiali di P.G.__________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) danno atto che alle ore ___________ del ____________ in _____________________ (se la perquisizione è stata operata solo da Agenti di P.G., specificare i motivi di particolare necessità e urgenza che si è ritenuto sussistere - art. 113 att.) danno atto che, alle ore ______ del ________________________ hanno proceduto a perquisizione sulla persona menzionata in oggetto.
L’intervento è stato eseguito perché dalle seguenti circostanze _________________________ (specificare sinteticamente le ragioni che hanno motivato la perquisizione su quella persona) discendevano fondati motivi di ritenere che su quella persona si trovassero occultate cose o tracce pertinenti al reato di ___________________________ che potevano andare disperse o cancellate (se si ricerca una cosa determinata gli operanti possono invitare la persona a consegnarla; a questo punto del Verbale si darà atto di ciò e dell’esito dell’invito; se la cosa è consegnata non si procede a perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi ugualmente per la completezza delle indagini – art. 248, co.1).

 

Segue⇒
 

 

Perquisizione personale: pagina n. 2

Danno atto che il Sig. _____________________ è stato previamente reso edotto della facoltà di farsi assistere da un difensore di sua fiducia e/o da altra persona sempre di sua fiducia, senza che ciò potesse comportare ritardi nella esecuzione dell’atto (sarà specificato, a seconda dei casi: a) avendone risposta negativa; b) a seguito di che ha dichiarato di volersi fare assistere da ________________________ avvisato, è (non è) intervenuto nel corso della perquisizione; oppure ha assistito che alla perquisizione).
Eseguite ricerche sulla persona _________________ (le perquisizioni personali sono eseguite nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto. A esse procede persona dello stesso sesso di quella che vi è sottoposta, salvi i casi di impossibilità o di urgenza assoluta: pertanto saranno riportate, a questo punto, nel Verbale, le indicazioni in tal senso eventualmente necessarie – art. 79 att.) è stato rinvenuto (indicare quanto e dove rinvenuto) _______________________________________ che è stato sottoposto a sequestro.
La perquisizione è stata conclusa alle ore _______ del ___________________.
Trattandosi di perquisizione eseguita nei confronti della persona sottoposta alle indagini ed essendo questa presente si è provveduto a invitarla a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p. avvertendola dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e del fatto che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiararlo o eleggerlo, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio.
Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso _________________________ (oppure: si è rifiutata di dichiarare o eleggere domicilio) e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’Avvocato ______________ del foro di _____________ (oppure: riservandosi di nominare il difensore di fiducia).
Di quanto sopra è stato formato il presente Verbale (se il verbale non è stato redatto contestualmente, indicarne i motivi in modo specifico. Se vi è stata riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri) che i verbalizzanti, unitamente a tutti gli intervenuti, viene riletto, confermato e sottoscritto e che sarà trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della repubblica presso ______________________ per la convalida (il P.M. è quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita).

Sintesi del presente verbale è fatto confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI).

 

 

                               Firma:

                               - della persona perquisita    _______________________
                               - dei militari operanti           _______________________

 

 

Perquisizione locale per ricerca di persone

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

All. Nr._____________

 

Oggetto: Verbale di perquisizione locale per ricerca di persone eseguita a norma dell’art. 352 c.p.p. nei confronti di _____________ nato a ___________ il ______________ residente in _________________ via ________________ n.° ______ Tel ____________ professione o mestiere _____________________

 

Il ______________ alle ore _____ i sottoscritti Ufficiali di P.G.___________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) nell’Ufficio _________________ in ____________ danno atto che, alle ore ______ del ____________________________ collaborati dagli Agenti di P.G ____________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome)
(nell’ipotesi che la perquisizione è stata operata solo da Agenti di P.G. specificare i motivi di particolare necessità e urgenza che si è ritenuto sussistere – art.113 att.) hanno dato inizio alla perquisizione del seguente luogo _________________________ (indicare compiutamente il luogo: abitazione, magazzino, motopesca, ecc.) dove è avvenuta la perquisizione. La perquisizione può essere effettuata anche in tempo di notte. Se si tratta di perquisizione domiciliare e la stessa viene effettuata prima delle ore 07.00 o dopo le ore 20.00, devono essere indicati i motivi del mancato rispetto previsti dall’art. 251 per questo tipo di perquisizione (ad esempio: pericolo di cancellazione o di dispersione delle tracce del reato ovvero, e comunque, pericolo che il ritardo nella esecuzione della perquisizione avrebbe potuto pregiudicarne l’esito).
L’intervento è stato eseguito perché dalle seguenti circostanze ( _______________________ ) discendevano fondati motivi di ritenere che in detto luogo si trovasse ____________________ (specificare le ragioni che hanno motivato la perquisizione in quel luogo e il nominativo - con le generalità – della persona ricercata).

[Riportare l’indicazione che, tra quelle sotto elencate, si adatta alla situazione concreta:

  1. la persona sottoposta alle indagini per essere stata, a norma dell’art. 382 c.p.p. (flagranza), inseguita subito dopo aver commesso il reato di ______________________;
  2. la persona evasa in quanto ______________________ (l’evaso è equiparato al latitante).
    c) Quest’ultimo si identifica (art. 296) “in chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora o ad un ordine con cui si dispone la carcerazione”.
  3. La persona nei cui confronti si doveva procedere all’esecuzione dell’ordinanza in data _________ n°. ________ emessa da _____________ che dispone la custodia cautelare in carcere per il delitto di ________________ previsto dall’art. 380 c.p.p. e sussistevano i seguenti particolari motivi di urgenza che non consentivano la emissione di un tempestivo decreto di perquisizione: __________________________________________________ ].

 

 Segue⇒

 

 

Perquisizione locale per ricerca di persone: pagina n. 2

I sottoscritti danno altresì atto che, presentatisi a ___________________________ [l’atto può essere effettuato anche se la persona nei cui confronti è diretto non è presente. In tal caso, nel verbale saranno indicati:

  1. le generalità complete della persona intervenuta (congiunto, coabitante, collaboratore, ecc.);
  2. i suoi eventuali rapporti con la persona nei cui confronti l’atto è diretto;
  3. la qualifica che la persona intervenuta riveste rispetto al luogo in cui la perquisizione è avvenuta (Ad esempio: GLORIOSO Raffaele, nato a ______________________ fratello di ______________ e proprietario del Motopesca 1OL123, oppure: GLORIOSO Gino, nato a ___________________ figlio di ________________________ proprietario del Motopesca 1OL123 e al momento assente).
  4. La persona nei cui confronti si doveva procedere all’esecuzione dell’ordinanza in data _____________ n°. ____ emessa da _______________________ che dispone la custodia cautelare in carcere per il delitto di ____________________ previsto dall’art. 380 c.p.p. e sussistevano i seguenti particolari motivi di urgenza che non consentivano la emissione di un tempestivo decreto di perquisizione: ________________________________________
  5. La persona nei cui confronti si doveva procedere al fermo di _____ _____________ quale indiziato del delitto di __________________ e sussistevano i seguenti particolari motivi di urgenza che non consentivano la emissione di un tempestivo decreto di perquisizione_______________________________ ]

I sottoscritti danno altresì atto che, presentatisi a ___________________________ (l’atto può essere effettuato anche se la persona nei cui confronti è diretto non è presente.
In tal caso, nel verbale saranno indicati: a) le generalità complete della persona intervenuta (congiunto, coabitante, collaboratore, ecc.); b) i suoi eventuali rapporti con la persona nei cui confronti l’atto è diretto; c) la qualifica che la persona intervenuta riveste rispetto al luogo in cui la perquisizione è avvenuta. (Ad esempio: GLORIOSO Raffaele, nato a_________________ fratello di ________________ e proprietario del Motopesca 1OL123, oppure: GLORIOSO Gino, nato a ____________ figlio di ___________________ proprietario del Motopesca 1OL123 e al momento assente).
Quando per la mancanza di persona idonea o per altre circostanze non è possibile ottemperare alle disposizioni suddette, si darà atto della situazione e degli atti compiuti necessariamente per introdursi nel luogo (art. 80 att.), hanno esposto le ragioni dell’intervento rendendo la persona predetta edotta della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore di fiducia e/o da altra persona di sua fiducia senza che ciò potesse comportare ritardi nell’esecuzione dell’atto (l’invito relativo al difensore di fiducia va fatto alla persona sottoposta alle indagini, se presente. Quando procede a perquisizione su delega del P.M., la polizia giudiziaria deve osservare le disposizioni dell’art. 365 in ordine alla nomina e all’assistenza del difensore (richiesta dell’indagato presente se è assistito da difensore, se ne è privo, designazione del difensore a norma dell’art. 97 co.3).


Segue⇒

 

Perquisizione locale per ricerca di persone: pagina n. 3

A seguito di ciò, il Sig. ___________________________________________ ha dichiarato che:

  1. non intendeva farsi rappresentare o assistere da alcuno;
  2. voleva farsi assistere o rappresentare da ___________________ che ha provveduto ad avvisare a mezzo ___________________ e che è (oppure, non è) intervenuto nel corso della perquisizione.

Eseguite accurate ricerche nel luogo sopra indicato (indicare tutti i locali e le eventuali pertinenze sottoposte a perquisizione) la persona ricercata è/non è stata rintracciata in _____________________ (se la perquisizione ha esito positivo va indicato con la massima precisione il luogo nel quale la persona è stata rintracciata).
La perquisizione è stata conclusa alle ore _____________ del __________________________
Trattandosi di perquisizione locale eseguita nei confronti della persona sottoposta alle indagini ed essendo questa presente si è provveduto a invitarla a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p. avvertendola dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e del fatto che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiararlo o eleggerlo, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio.
Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso _________________________ (oppure: si è rifiutata di dichiarare o eleggere domicilio) e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’Avvocato _______________________ del foro di ______________________________________ (oppure: riservandosi di nominare il difensore di fiducia – naturalmente, se la perquisizione è stata effettuata presso un terzo, diverso cioè dalla persona indagata, questi non deve eleggere o dichiarare il domicilio).

Di quanto sopra è stato formato il presente Verbale (se il verbale non è stato redatto contestualmente, indicarne i motivi in modo specifico. Se vi è stata riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri) che i verbalizzanti, unitamente a tutti gli intervenuti, viene riletto, confermato e sottoscritto e che sarà trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della Repubblica presso ______________________ per la convalida (il P.M. è quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita).

Sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema informativo interforze (CED-SDI).

                                    

                                      Firma:

                                      - della persona perquisita    _______________________
                                      - dei militari operanti          _______________________

Segue ⇒

 

Perquisizione locale per ricerca di persone: pagina n. 4

► Ricordare che:

  1. Qualora nel corso della perquisizione siano assunte sommarie informazioni si provvederà alla redazione di separati verbali.
  2. La perquisizione locale non è consentita in alcuni luoghi se non previa autorizzazione o avviso (sedi di agenti diplomatici, immobili della Santa Sede, edifici aperti al culto, caserme, navi, quartieri militari, domicili – intesi per tali tutti i luoghi di esercizio di una attività privata o professionale – di Ministri, Parlamentari e Giudici della Corte Costituzionale).
  3. La perquisizione locale non è consentita alla p.g. negli uffici dei difensori (salvo i casi in cui l’avvocato è colto nella flagranza di un reato).
  4. La perquisizione può essere delegata dal P.M. alla p.g.. Alla perquisizione possono procedere solo gli Ufficiali di P.G. (pur se coadiuvati da Agenti di P.G.).
  • Prima di iniziare le operazioni, copia del decreto è consegnata all’indagato se presente o a chi abbia disponibilità del luogo. Se questi manca la copia va consegnata a un congiunto, un coabitante o a un collaboratore o in mancanza al portiere o a chi ne fa le veci. Nel caso di consegna al portiere o a chi ne fa le veci, si applica l’art. 157 co. 6 (la copia è consegnata in plico chiuso con la relazione di notificazione scritta all’esterno del plico stesso).
  • Nel caso in cui, per mancanza di persone idonee o per altra circostanza, non è possibile ottemperare alle disposizioni suddette, si darà atto nel verbale della situazione e degli atti compiuti per introdursi nel luogo. Copia del decreto di perquisizione verrà depositata presso la segreteria del P.M. che procede e di tale deposito sarà affisso un avviso alla porta del luogo dove è stata eseguita la perquisizione (art. 80 att.).
  • Nel verbale, si farà inoltre menzione specifica della circostanza di aver agito su delega e di chi (ad esempio anche nell’oggetto «Verbale di perquisizione locale per la ricerca di cose eseguita su delega del _______________________________________ - indicare l’Autorità giudiziaria delegante – nei confronti di _________________________________ »); nonché del fatto che alla persona indagata o imputata presente, se priva del difensore è stato designato un difensore di ufficio.
  • Va sempre dato accuratamente atto del giorno e dell’ora in cui sono iniziate le operazioni e del giorno e dell’ora in cui si sono concluse.

 


 

Perquisizione locale per ricerca di cose

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)


All. Nr._____________


Oggetto: Verbale di perquisizione locale per ricerca di cose eseguita a norma dell’art. 352 c.p.p. nei confronti di ____________________ nato a _____________________ il __________ residente in ______________________ via _______________ n.° ______ Tel _____________ professione o mestiere _______________________________.

 

Il _______________ alle ore _______ i sottoscritti Ufficiali di P.G. _______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) nell’Ufficio ______________________ in ___________________ danno atto che, alle ore ______ del ______________ collaborati dagli Agenti di P.G ________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome).
(Nell’ipotesi che la perquisizione è stata operata solo da Agenti di P.G. specificare i motivi di particolare necessità e urgenza che si è ritenuto sussistere – art. 113 att.) hanno dato inizio alla perquisizione del seguente luogo ______________________________________ (indicare compiutamente il luogo: abitazione, magazzino, motopesca dove è avvenuta la perquisizione). La perquisizione può essere effettuata anche in tempo di notte. Se si tratta di perquisizione domiciliare e la stessa viene effettuata prima delle ore 07.30 o dopo le ore 20.00, devono essere indicati i motivi del mancato rispetto previsti dall’art. 251 per questo tipo di perquisizione (ad: esempio: pericolo di cancellazione o di dispersione delle tracce del reato ovvero, e comunque, pericolo che il ritardo nella esecuzione della perquisizione avrebbe potuto pregiudicarne l’esito).
L’intervento è stato eseguito perché:

  1. si era nella flagranza del reato di _____________________________________________
  2. dalle seguenti circostanze ( _______________________ ) discendeva il fondato motivo di ritenere che in detto luogo si trovassero cose o tracce pertinenti al reato e che le stesse potessero essere cancellate o disperse.

(Ricordare di specificare la cosa o le cose pertinenti al reato che si sono ricercate e le ragioni che hanno motivato la perquisizione in quel luogo).

 

Segue ⇒

 

 

Perquisizione locale per ricerca di cose: pagina 2

I sottoscritti danno altresì atto che, presentatisi a _____________________ [l’atto può essere effettuato anche se la persona nei cui confronti è diretto non è presente. In tal caso, nel verbale saranno indicati: a) le generalità complete della persona intervenuta (congiunto, coabitante, collaboratore, ecc.); b) i suoi eventuali rapporti con la persona nei cui confronti l’atto è diretto; c) la qualifica che la persona intervenuta riveste rispetto al luogo in cui la perquisizione è avvenuta. (Ad esempio: GLORIOSO Raffaele, nato a _____________________ fratello di ________________ e proprietario del Motopesca 1OL123, oppure: GLORIOSO Gino, nato a ______________ figlio di _________________ proprietario del Motopesca 1OL123 e al momento assente).
Quando per la mancanza di persona idonea o per altre circostanze non è possibile ottemperare alle disposizioni suddette, si darà atto della situazione e degli atti compiuti necessariamente per introdursi nel luogo (art. 80 att.)], hanno esposto le ragioni dell’intervento rendendo la persona predetta edotta della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore di fiducia e/o da altra persona di sua fiducia senza che ciò potesse comportare ritardi nell’esecuzione dell’atto (l’invito relativo al difensore di fiducia va fatto alla persona sottoposta alle indagini, se presente. Quando procede a perquisizione su delega del P.M., la polizia giudiziaria deve osservare le disposizioni dell’art. 365 in ordine alla nomina e all’assistenza del difensore (richiesta dell’indagato presente se è assistito da difensore, se ne è privo, designazione del difensore a norma dell’art. 97 co.3).
A seguito di ciò, il Sig. _____________________ ha dichiarato che:
“non intendeva farsi rappresentare o assistere da alcuno” [oppure “voleva farsi assistere o rappresentare da ___________________ che ha provveduto ad avvisare a mezzo ___________________ e che è (oppure, non è) intervenuto nel corso della perquisizione”].
Eseguite accurate ricerche nel luogo sopra indicato (indicare tutti i locali e le eventuali pertinenze sottoposte a perquisizione. Se si tratta di ricerca di cosa determinata, gli operanti possono (ma non devono) invitare la persona a consegnarla. Nel Verbale si darà atto di ciò e dell’esito dell’invito. Se la cosa è consegnata, non si procede a perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi ugualmente per la completezza delle indagini (art. 248 co. 1)) è stato rinvenuto _______________________________ (in caso di esito negativo della perquisizione, proseguire:«______________________________ nulla di quanto ricercato è stato rinvenuto».
Se, invece, la perquisizione ha esito positivo, va indicato con la massima precisione il luogo nel quale la cosa è stata rinvenuta e il modo in cui era eventualmente occultata) che è stato sottoposto a sequestro per essere trasmesso con separato reperto al Procuratore della Repubblica presso _____________________________________________________________
.

 

Segue ⇒

 

 

Perquisizione locale per ricerca di cose: pagina 3

La perquisizione è stata conclusa alle ore __________ del _____________________________
Trattandosi di perquisizione locale eseguita nei confronti della persona sottoposta alle indagini ed essendo questa presente si è provveduto a invitarla a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p. avvertendola dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e del fatto che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiararlo o eleggerlo, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio.
Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso _________________________ (oppure: si è rifiutata di dichiarare o eleggere domicilio) e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’avvocato ____________________ del foro di _______________________ (oppure: riservandosi di nominare il difensore di fiducia).
(Naturalmente, se la perquisizione è stata effettuata presso un terzo (diverso cioè dalla persona indagata), questi non deve eleggere o dichiarare domicilio: Deve farlo solo la persona «indagata» se è intervenuta. La dichiarazione o l’elezione di domicilio non va effettuata se la perquisizione non è il primo atto compiuto con l’intervento dell’indagato).
Di quanto sopra è stato formato il presente Verbale (se il verbale non è stato redatto contestualmente, indicarne i motivi in modo specifico. Se vi è stata riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri) che i verbalizzanti, unitamente a tutti gli intervenuti, viene riletto, confermato e sottoscritto e che sarà trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della repubblica presso ______________________ per la convalida (il P.M. è quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita).

Sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI)

 

 

                                      Firma:

                                     - della persona perquisita    _______________________
                                     - dei militari operanti           _______________________

Segue ⇒

 

 

Perquisizione locale per ricerca di cose: pagina 4

► Ricordare che:

  1. Qualora nel corso della perquisizione siano assunte sommarie informazioni si provvederà alla redazione di separati verbali.
  2. La perquisizione locale non è consentita in alcuni luoghi se non previa autorizzazione o avviso (sedi di agenti diplomatici, immobili della Santa Sede, edifici aperti al culto, caserme, navi, quartieri militari, domicili – intesi per tali tutti i luoghi di esercizio di una attività privata o professionale – di Ministri, Parlamentari e Giudici della Corte Costituzionale).
  3. La perquisizione locale non è consentita alla p.g. negli uffici dei difensori (salvo i casi in cui l’avvocato è colto nella flagranza di un reato).
  4. La perquisizione può essere delegata dal P.M. alla p.g.. Alla perquisizione possono procedere solo gli Ufficiali di P.G. (pur se coadiuvati da Agenti di P.G.).

  • Prima di iniziare le operazioni, copia del decreto è consegnata all’indagato se presente o a chi abbia disponibilità del luogo. Se questi manca la copia va consegnata a un congiunto, un coabitante o a un collaboratore o in mancanza al portiere o a chi ne fa le veci. Nel caso di consegna al portiere o a chi ne fa le veci, si applica l’art. 157 co. 6 (la copia è consegnata in plico chiuso con la relazione di notificazione scritta all’esterno del plico stesso).
  • Nel caso in cui, per mancanza di persone idonee o per altra circostanza, non è possibile ottemperare alle disposizioni suddette, si darà atto nel verbale della situazione e degli atti compiuti per introdursi nel luogo. Copia del decreto di perquisizione verrà depositata presso la segreteria del P.M. che procede e di tale deposito sarà affisso un avviso alla porta del luogo dove è stata eseguita la perquisizione (art. 80 att.).
  • Nel verbale, si farà inoltre menzione specifica della circostanza di aver agito su delega e di chi (ad esempio anche nell’oggetto «Verbale di perquisizione locale per la ricerca di cose eseguita su delega del __________ - indicare l’Autorità giudiziaria delegante – nei confronti di ________________ »); nonché del fatto che alla persona indagata o imputata presente, se priva del difensore è stato designato un difensore di ufficio.

  • Va sempre dato accuratamente atto del giorno e dell’ora in cui sono iniziate le operazioni e del giorno e dell’ora in cui si sono concluse.

 

 

 

Perquisizione locale per ricerca di armi

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di _________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

 

All. Nr._____________

 

Oggetto: Verbale di perquisizione locale per ricerca di armi, munizioni o materie esplodenti eseguita, a norma dell’art. 41 T.U.L.P.S. (R.D. 18/6/1931, n. 773), nei confronti di ________________________ nato a ___________________ il ________________ residente in __________________ via ____________________ n.° ____ Tel ___________ professione o mestiere ___________________________ identificato mediante ______________________ n° ____________ rilasciato da ____________________ il ____________________.

 

Il _______________ alle ore _______ i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G. _________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) danno atto che alle ore ___________ del ________________ (se la perquisizione è stata operata solo da Agenti di P.G., specificare i motivi di particolare necessità e urgenza che si è ritenuto sussistere - art. 113 att.) hanno dato luogo alla perquisizione del seguente luogo (indicare compiutamente il luogo pubblico o privato, abitazione, dove è avvenuta la perquisizione), dovendo ritenere, per motivi appresso indicati, che potessero qui trovarsi armi e/o munizioni e/o materie esplodenti non denunciate (oppure: non consegnate, o comunque abusivamente detenute).
Alla perquisizione si è proceduto in quanto, immediatamente prima, era stata acquisita da _____________________ la notizia secondo la quale ___________________ (riportare con la massima precisione il contenuto della notizia). Trattandosi di notizia circostanziata e pienamente affidabile perché (vanno sinteticamente indicati i motivi per i quali si è ritenuta l’affidabilità della notizia) e sussistendo i presupposti previsti dall’art. 41 T.U.L.P.S. per procedere a perquisizione a iniziativa (i presupposti concernono naturalmente il tipo di «cose» che si cercano. La perquisizione può essere iniziata anche in tempo di notte.

[Se si tratta di perquisizione domiciliare e cioè di una perquisizione locale compiuta in una abitazione o in luoghi chiusi adiacenti a essa o luoghi destinati a uso domestico o destinati al suo servizio o completamento, è opportuno precisare i motivi che hanno indotto - se del caso – al mancato rispetto dei limiti temporali – ore 07.00/20.00 – previsti per tale tipo di perquisizione dall’art. 251 c.p.p. A differenza di quel che accade per le perquisizioni disciplinate dal codice, la precisazione è opportuna, ma non indispensabile. La intrinseca pericolosità delle «cose» che si ricercano giustifica la deroga alla disposizione generale essendo evidente che un pur limitato ritardo nella esecuzione dell’atto può pregiudicarne l’esito].

  Segue ⇒

 

 

Perquisizione locale per la ricerca di armi: pagina n. 2

Si sono portati nei locali sopra specificati e qui hanno fatto presente a____________________ (indicare le generalità complete della persona intervenuta e la qualifica che riveste rispetto al luogo ove avviene la perquisizione) le ragioni del loro intervento rendendo la persona predetta edotta della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore di fiducia e/o da altra persona sempre di sua fiducia, senza che ciò potesse comportare ritardi nell’esecuzione dell’atto ______________________ (sarà specificato a seconda dei casi: a) avendone risposta negativa; b) a seguito di che ha dichiarato di volersi far assistere o rappresentare da __________________________ che ha provveduto ad avvisare a mezzo ________________ e che è (oppure: non è) intervenuto nel corso della perquisizione. L’atto può essere effettuato anche se la persona nei cui confronti è diretto non è presente. In tal caso, nel verbale, sarà indicato l’eventuale congiunto o coabitante o collaboratore ovvero, in mancanza, il portiere o chi ne fa le veci. Quando, per mancanza di persone idonee o per altra circostanze non è possibile ottemperare alle disposizioni suddette, si darà atto della situazione e degli atti compiuti per introdursi nel luogo. Ove gli operanti abbiano ritenuto di invitare la persona a consegnare la cosa, si darà atto di ciò e dell’esito dell’invito: se la cosa è consegnata non si procede a perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi egualmente per la completezza delle indagini – art. 248, co.1 c.p.p.)).
Eseguite accurate ricerche nel luogo _____________________ (in caso di esito negativo della perquisizione proseguire «nulla di quanto ricercato è stato rinvenuto») è stato rinvenuto _____________________ (indicare con la massima precisione il luogo nel quale la cosa è stata rinvenuta ed il modo in cui era eventualmente occultata) che è stato sottoposto a sequestro.
La perquisizione è stata conclusa alle ore ________ del _______________________________
(se il verbale non è stato redatto contestualmente, indicarne i motivi. Se vi è stata riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri).
La persona nei cui confronti la perquisizione è stata eseguita è stata invitata a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p. avvertendola dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e del fatto che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiararlo o eleggerlo, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio (se la perquisizione è effettuata presso un terzo – diverso cioè dalla persona indagata – questi non deve ovviamente eleggere domicilio, ma può farlo solo la persona indagata se intervenuta.. La dichiarazione o l’elezione del domicilio non va effettuata se la perquisizione non è il primo atto compiuto con l’intervento dell’indagato).
Si dà atto che la persona perquisita ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso ________________________________ (oppure: si è rifiutata di dichiarare o eleggere domicilio) e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’Avvocato ____________________ del foro di ___________________ ) (oppure: riservandosi di nominare il difensore di fiducia)
Di quanto sopra è stato formato il presente Verbale (se il verbale non è stato redatto contestualmente, indicarne i motivi in modo specifico. Se vi è stata riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri) che i verbalizzanti, unitamente a tutti gli intervenuti, viene riletto, confermato e sottoscritto e che sarà trasmesso senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della repubblica presso __________________ per la convalida (il P.M. è quello del luogo ove la perquisizione è stata eseguita).(*)

 


                                  
  Firma:

                                    - della persona perquisita     _______________________
                                    - dei militari operanti           _______________________

 

Segue ⇒

 

 

Perquisizione locale per la ricerca di armi: pagina n. 3

► Ricordare che:

(*) La polizia giudiziaria può ordinare che taluno, presente o sopraggiunto nel corso della perquisizione, non si allontani dal luogo prima che le operazioni siano concluse. Dell’ordine e dei motivi dello stesso va dato atto nel verbale. Chi trasgredisce all’ordine è trattenuto e ricondotto coattivamente sul posto e può rispondere del reato di cui all’art. 650 c.p. (art. 250 c.p.p.).

Le garanzie previste dal codice per le perquisizioni locali devono ritenersi applicabili anche a quella in esame. Sicché il verbale delle operazioni compiute (previa conservazione di copia) va trasmesso senza ritardo e comunque non oltre 48 ore dal loro compimento al P.M. del luogo dove la perquisizione è stata eseguita. Il P.M. convalida la perquisizione nelle 48 successive quando accerta che ne ricorrevano i presupposti.

► Ricordare che:

  1. La notizia che legittima il ricorso alla perquisizione può anche essere «confidenziale» o anonima (Cass. 4/6/1993). Le modalità di acquisizione della notizia vanno ovviamente specificate anche se, operando il disposto dell’art. 203, non deve essere indicato il nome dell’informatore.
  2. Il contenuto della notizia (anche se anonima o confidenziale) va però riportato nel verbale con la massima precisione per evidenziare che al compimento dell’atto non ha dato motivo un «generico sospetto», ma un significato «indizio» (= una situazione probatoria specifica che, pur non avendo il «livello di affidabilità» del «fondato motivo» previsto per le perquisizioni disciplinate dal codice, non è però assolutamente generica).
  3. L’affidabilità della notizia potrà perciò essere dedotta ad esempio, dalla accertata attendibilità della «fonte» della notizia stessa, dalla esistenza di elementi «esterni» che la confermano, dal numero e dal tipo di particolari che la corredano, dalla personalità o dai precedenti (penali e giudiziari) del soggetto nei cui confronti la perquisizione è eseguita.
  4. Dare sempre accuratamente atti del giorno e dell’ora in cui le operazioni sono iniziate e del giorno e dell’ora in cui si sono concluse.

 

Perquisizione sul posto

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ___________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

All. Nr._____________

 

Oggetto: Verbale di perquisizione sul posto eseguita, a norma dell’art. 4 L. 22 Maggio 1975 n. 152, nei confronti di ________________________ nato a ___________________________ il ________________ residente in __________________ via ____________________ n.° ____ Tel _________________ professione o mestiere ___________________________ identificato mediante _______________________ n° ________________________________ rilasciato da ____________________ il ____________________.

 

Il ____________ alle ore ______ in _________________ località _____________ i sottoscritti Ufficiali e Agenti di P.G._________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) riferiscono che durante lo svolgimento di una operazione di polizia disposta _______________________, hanno notato, alle ore_________ del ____________________ la persona indicata in oggetto il cui atteggiamento (ovvero: la cui presenza) destava sospetto in relazione al fatto che _______________________ [descrivere l’atteggiamento della persona e spiegare perché esso o la sola presenza non apparivano giustificabili in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo (ad esempio: la prossimità a un “obiettivo tutelato”) e di tempo (ad esempio: di notte)].
Ritenuto ricorrere il caso eccezionale di necessità e urgenza che non consentiva un tempestivo provvedimento del Pubblico Ministero, hanno proceduto alla immediata identificazione di detta persona e quindi alla sua perquisizione personale, allo scopo di reperire sulla stessa eventuali armi, esplosivi o strumenti di effrazione.
La perquisizione è stata estesa al mezzo a bordo del quale la persona su indicata era giunta sul posto _____________________ (tipo, targa, colore, estremi dei documenti di circolazione, ecc.).

 

Segue⇒

 

Perquisizione sul posto: pagina n. 2

(Naturalmente questa parte dello schema del Verbale va omessa se l’estensione della perquisizione al mezzo non vi è stata).
La perquisizione ha dato esito __________________________________________ [Indicare, a seconda dell’esito:

  1. _____________________ non è stato trovato in possesso di armi, esplosivi o strumenti di effrazione;
  2. _____________________ è stato trovato in possesso illegittimo di _______________ (ad esempio: una pistola Beretta cal.__________ matricola _______________________, con n. _________ pallottole efficienti, il tutto occultato nel ___________________________ ),
  3. materiale che viene sequestrato per essere posto a disposizione come reperto presso la segreteria del Procuratore della Repubblica presso _____________________________ di _______________________ al quale verrà trasmesso il presente atto. Se si procede all’arresto o al fermo si aggiunge: «In relazione ai fatti riferiti si è proceduto all’arresto/fermo di _____________________ e per tale atto si redige verbale a parte»].

Il presente Verbale, riletto, confermato e sottoscritto, viene redatto in triplice esemplare, di cui uno consegnato all’interessato (il Verbale va redatto contestualmente salvo che non sussistano insuperabili circostanze da indicare specificamente; il Verbale va consegnato all’interessato e trasmesso senza ritardo e comunque entro le 48 ore dalla esecuzione delle operazioni al Procuratore della Repubblica per la convalida. Se la perquisizione è estesa al mezzo di trasporto e per essa è stato redatto un autonomo verbale, di questo non è prevista la consegna all’interessato), reso edotto che l’originale sarà trasmesso al Procuratore della Repubblica entro 48 ore dal compimento delle operazioni.

La sintesi del presente verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI).

 

                               

 

                                     Firma:

                                     - della persona perquisita   _______________________
                                     - dei militari operanti          _______________________

 

Sequestro

 

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

CAPITANERIA DI PORTO DI _________________
________________________

 

 

Oggetto: Verbale di Sequestro effettuato:
a carico di ___________________ nato a ________________________ il _________________ Via ___________________________ n. ______ tel. _________________________ professione _____________________________
(identificato mediante ________________________ n. ______________ rilasciato il ___________________ da __________________________) e concernente ______________ (indicare quanto sequestrato).


Il ______________ alle ore _____________ negli uffici ________________________
il sottoscritto Ufficiale di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) collaborato dagli Agenti di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) dà atto che alle ore ________ odierne in ____________________________ (via, n°, località, ecc.) è intervenuto a seguito della commissione del reato di ______________________ (indicare il titolo del reato, ad esempio: esercitare la pesca mediante l’uso di energia elettrica, sostanze tossiche o materiale esplodente – art. 15 lett. d) legge 963/65 come sostituito dall’art. 5 legge. 381/88) (alle indagini sul quale si sta procedendo) e ha proceduto al sequestro dei corpi di reato e delle cose pertinenti al medesimo reato indicati in oggetto e ritenuti necessari per l’accertamento dei fatti _____________________ (il riferimento alla necessità del sequestro a fini dell’accertamento dei fatti può essere omesso se si tratta di “corpo di reato”).
Il sequestro è stato eseguito poiché il Procuratore della Repubblica legittimato alle indagini e gia avvertiro non poteva intervenire tempestivamente (oppure: sussisteva il pericolo che le cose , le tracce o i luoghi del reato si alterassero, si disperdessero o comunque si modoficassero) [specificare i motivi dai quali si poteva dedurre il pericolo di modificazione degli oggetti sottoposti a sequestro. Quando si tratta di manufatti edilizi abusivi, alla frase riportata tra parentesi nel testo, può aggiungersi, ad esempio: “nel periodo di tempo occorrente per procedere alle eventuali ispezioni e agli accertamenti tecnici opportuni al fine di valutare con competenza le caratteristiche e l’entità della violazione”; oppure, e sempre ad esempio: “in attesa del provvedimento del giudice, e sussisteva invece, la necessità di mantenere integra e inalterata la prova del reato”]. Al fine di assicurare le cose sottoposte a sequestro sono state adottate le cautele sotto descritte.

 

 

 

Sequestro: pagina n. 2

Delle cose sequestrate è stato formato apposito plico sigillato mediante _________________ sigilli in ceralacca con l’impronta dell’Ufficio. Il plico è stato affidato in custodia alla segreteria del pubblico ministero (art. 259 c.p.p.).
[Ad esempio, quanto alle cautele adottate nel caso di sequestro di cosa immobile e per le quali la formula dello schema è chiaramente inidonea, potrà dirsi: “Trattandosi di cosa immobile il sequestro è stato eseguito assicurando la totale chiusura dell’immobile e apponendo sulle chiusure n._______ sigilli di ufficio consistenti in ____________________ “; quanto alle modalità di custodia, nel caso di cose che non è possibile od opportuno custodire presso gli uffici giudiziari (segreteria del P.M. o cancelleria del giudice: art. 83 att.), si dirà. “Alla custodia delle cose sequestrate si è provveduto trattandosi di cosa che non era possibile od opportuno custodire presso gli uffici giudiziari, mediante affidamento __________________________ (indicare le generalità complete) persona idonea a norma dell’art. 120 c.p.p. e che, previa identificazione avvenuta mediante______________ è stato nominato custode. Il Sig. ________________ ha dichiarato di accettare l’incarico e di assumere gli obblighi di legge. Il custode è stato reso edotto dell’obbligo di custodire la cosa con la dovuta diligenza, di impedire che venga in qualsiasi modo manomessa, di preservarla da ogni alterazione e tenerla a disposizione dell’A.G. competente per ogni richiesta di questa: E’ stato infine avvertito delle pene comminate per la violazione dei doveri di custodia (artt. 334 3 335 c.p.)]

Si dà atto altresì che, prima di procedere alle attività sopra indicate, il Sig. __________________________, persona sottoposta alle indagini e che era presente sul posto, è stato reso edotto della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore di fiducia senza che ciò potesse comportare ritardi nell’esecuzione dell’atto. La persona sottoposta alle indagini ha dichiarato di: (1. non volersi far assistere dal difensore di fiducia; 2. volersi far assistere o rappresentare da ___________________ che ha provveduto ad avvisare a mezzo __________ e che è (oppure, non è) intervenuto all’atto)(*).
Di quanto sopra è stato contestualmente (se il Verbale non è stato redatto contestualmente, indicare i motivi; se vi è stata la riproduzione o ripresa audiovisiva, darne atto nel Verbale precisando le modalità di custodia e allegazione dei relativi nastri) redatto il presente Verbale che dai verbalizzanti, unitamente a tutti gli intervenuti (compreso il custode, se nominato), viene riletto, confermato e sottoscritto e copia del quale viene consegnata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate (il Verbale è trasmesso senza ritardo, è comunque non oltre le 48 ore al P.M., del luogo dove il sequestro è stato eseguito).

 

 

Firme ____________________________
         ____________________________

 

 

 


(*) Ovviamente, la parte del Verbale concernente l’assistenza del difensore ha ragione di essere se esiste un “indagato” e non anche se l’autore del fatto è ignoto. Se il difensore è intervenuto e ha formulato osservazioni, aggiungere :”formulando le seguenti osservazioni e i seguenti rilievi……”. Se si tratta del primo atto compiuto con il suo intervento, la persona sottoposta alle indagini è dunque invitata anche ad eleggere domicilio a norma dell’art. 161 c.p.p. Sarà usata una formula del genere : ”La persona sottoposta alle indagini che è presente viene invitata a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161 c.p.p. avvertendola dell’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e del fatto che, in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiararlo o eleggerlo, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore ancorché di ufficio. Si dà atto che la persona sottoposta alle indagini ha chiesto che ogni comunicazione le fosse notificata presso ________________ (oppure: ha rifiutato di dichiarare o eleggere domicilio) e ha nominato quale suo difensore di fiducia l’Avvocato __________ del Foro di __________________________ (oppure: riservandosi di nominare il difensore di fiducia)”.

 


 

Accertamenti urgenti

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

All. Nr._____________

 

Oggetto: Verbale di accertamenti urgenti...(rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici)

 

Il giorno _____________ alle ore _________ in ____________________________ nell'ufficio di ______________________ Noi sottoscritti (grado, cognome, nome e reparto dei militari operanti) diamo atto che alle ore ________ del_________________________ ci siamo recati in ___________________________________ perché _______________________ (indicare la ragione dell’intervento ed il fatto criminoso verificatosi). Qui abbiamo curato preliminarmente che le tracce e le cose pertinenti al reato fossero conservate e lo stato dei luoghi e delle cose non venisse mutato. In particolare abbiamo _______________________________ (indicare le tecniche operative usate per procedere al corretto svolgimento dell’attività conservativa). Sussistendo peraltro il pericolo di alterazione (dispersione o modificazione) delle tracce e delle cose pertinenti al reato e non potendo il P.M. presso ___________________________ di ___________________ immediatamente avvertito, intervenire tempestivamente, al fine di evitare che l’attività investigativa ed assicurativa rischiasse di non poter più essere utilmente compiuta se differita, abbiamo effettuato i seguenti accertamenti e/o rilievi (se gli accertamenti e i rilievi sono effettuati da ausiliari di P.G. o da personale specializzato, dovranno indicarsene generalità e qualifiche, precisando se la documentazione avverrà mediante altro verbale) (*)
Diamo atto, altresì, di aver effettuato i rilievi /o accertamenti appresso descritti anche sulla persona di ________________________ che era presente sul posto e con riferimento ai quali sussisteva la medesima situazione di pericolo per l’utile compimento della attività investigativa.

 

Segue ⇒

 

Accertamenti urgenti: pagina n. 2

Prima di procedere all’attività di P.G. sopra indicata, abbiamo reso edotto l’indagato della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore di fiducia senza che ciò potesse comportare ritardi nell’esecuzione dell’atto, ricevendone riposta negativa (oppure: appresa tale possibilità ha dichiarato di voler farsi assistere o rappresentare da _______________ che ha provveduto ad avvisare a mezzo ______________ e che è intervenuto all’atto).
Egli, altresì, invitato ad eleggere domicilio, ha dichiarato: «__________________________________________________________________________».
Al verbale, chiuso alle ore ________ del ________________, si allegano gli esisti dei rilievi e degli accertamenti effettuati.

Sintesi del verbale è fatta confluire nel Sistema informatico interforze (CED-SDI).

Riletto, confermato e sottoscritto.

Data _______________

 

                             Firma dei militari operanti  _______________________
                                                                    _______________________

 

 

 

 

 


(*) Indicare specificatamente l’attività svolta: ispezione dei luoghi e delle cose (descrizione dettagliata dello stato dei luoghi e delle cose in tutti i loro particolari), precisando anche accertamenti, rilievi ed ispezioni tecniche.


 

Arresto

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

 

Oggetto: Verbale di arresto in flagranza di ___________________________________ nato a ___________________ il _________________ residente a _____________________________ Via _______________________ n. _____ tel ________ professione ______________________ soprannome/pseudonimo ______________________ stato civile ________________ evidenti segni particolari ___________________ (se l’identificazione avviene mediante un documento di identità dire:” identificata mediante __________ n. ______ rilasciato il _______________ da ______________________________________ “)

 


Il _________________ alle ore_________ negli Uffici _________________________________ i sottoscritti Ufficiali – Agenti di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) in servizio presso _____________________________________ riferiscono che alle ore ________ del__________________ in ___________________________ hanno proceduto all’arresto della persona indicata in oggetto perché ___________________ (devono essere enunciate le ragioni che hanno determinato l’arresto mediante una succinta narrativa dalla quale devono risultare lo stato di flagranza e gli estremi del reato)(*)
L’arrestato, avvertito della relativa facoltà, ha dichiarato di nominare quale difensore di fiducia l’Avv. _____________________ del foro di _____________________ (oppure: di non essere in grado di nominare difensore di fiducia, dandosi atto che dal Procuratore della Reopubblica presso ________________ di ___________ in persona el dott. _______________________ è stato designato quale difensore di ufficio l’Avv. _____________________________________ ).
Con il consenso dell’arrestato è stata data notizia a ___________________________ residente a __________________________ Via ______________________ n. ______ tel. ____________
Familiare dell’arrestato in quanto suo _____________________ e ciò mediante comunicazione effettuata a mezzo ________________________________ il giorno ______________________
alle ore ______ (in caso contrario verbalizzare: “su specifica richiesta, l’arrestato ha dichiarato che non intende che dell’avvenuto arresto siano avvisati i suoi familiari”)

 

 


(*) Ricordare: quando si tratta di arresto facoltativo indicare sempre le ragioni che hanno indotto all’adozione della misura. Si raccomanda che siano sempre indicate le ragioni della gravità del fatto o della pericolosità del soggetto desunta dalla personalità dello stesso o dalle circostanze del fatto medesimo. Se si tratta di delitto perseguibile a querela, specificare anche “_________________________ e avendo la persona offesa (indicare le generalità) _________________________________
 

 

 

Arresto: pagina n. 2

I verbalizzanti attestano di aver dato notizia dell’arresto al Procuratore della Repubblica presso ___________________________ di ____________________ e di averne informato il difensore Avv. _____________________________ rispettivamente con comunicazioni effettuate a mezzo _______________________ alle ore_________ e alle ore _______ del giorno _____________.

 

Riletto, confermato e sottoscritto.


Firme   ____________________________
           ____________________________

 

 

 


Ricordare: Il Verbale va trasmesso al Pubblico Ministero (art. 386, co.3). Autonomamente o congiuntamente va trasmessa la documentazione relativa alle altre attività di indagine eventualmente svolte.

Nel caso di arresto per reati di competenza del Tribunale in composizione monocratica, può essere, se del caso, riportato nello stesso o in separato Verbale: “Si dà atto che il Procuratore della Repubblica presso il Giudice Unico _________________ ha disposto che l’arrestato fosse presentato direttamente al Giudice per la convalida e il contestuale giudizio. Con separato atto (che ha consegnato ai verbalizzanti) ha altresì formulato la imputazione”.

Nello stesso Verbale può essere dato atto dell’avvenuta consegna dell’arrestato all’istituto di custodia aggiungendo una formula del tipo: “Attestano altresì che, come emerge anche dall’allegata nota di consegna all’istituto di custodia, l’arrestato è stato condotto nell’istituto di _________________, luogo ove l’arresto è stato eseguito, alle ore ___________ del giorno ________________ “ Anche se ciò non avviene perché il Verbale viene «chiuso» prima della «conduzione in carcere» dell’arrestato, è peraltro di fondamentale importanza che la nota di consegna sia allegata al verbale. La nota (V. Consegna a istituto di custodia) deve comunque riportare la puntuale indicazione dell’ora e del giorno della consegna all’istituto di custodia. Tale indicazione riveste grande rilievo in quanto la P.G. mette l’arrestato o il fermato a disposizione del P.M. proprio attraverso la conduzione in carcere e tale messa a disposizione deve avvenire, a pena di inefficacia della misura, «al più presto e comunque non oltre 24 ore dall’arresto o dal fermo».

Nei casi in cui la consegna dell’arrestato all’istituto di custodia avviene dopo la redazione del verbale, questo dovrà riportare una espressione del genere: “Entro il termine di legge (e con riserva di darne immediato avviso anche mediante trasmissione della nota di consegna all’istituto di custodia), l’arrestato sarà condotto nell’istituto di custodia di ________________, luogo di esecuzione dell’arresto, e, in tal modo posto a disposizione del procuratore della Repubblica ______________________”.

Nei casi in cui l’obbligo di conduzione in carcere è derogato a norma dell’art. 386, il verbale potrà riportare una delle formulazioni che seguono:
“Attestano inoltre che alle ore _________ del giorno _______________ e come disposto dal P.M., l’arrestato è stato condotto presso la propria abitazione sita in ___________________ (o presso il luogo di privata dimora ________________ - o presso il luogo di cura – oppure: e come disposto dal P.M. per esigenze di indagine, presso la casa circondariale di ____________________)”.

Se il verbale precede la conduzione nell’abitazione, in altro luogo di privata dimora o nell’istituto di custodia specificamente individuato ovvero precede il ricovero in luogo di casa di cura, si potrà dire: “Entro il termine di legge (e con riserva di darne immediato avviso) e, come disposto dal P.M. dott. __________________ della Procura della Repubblica _________________, l’arrestato sarà condotto presso la propria abitazione sita in ____________________________________ (o presso il luogo di privata dimora ________________ - o presso il luogo di cura – oppure: e come disposto dal P.M. per esigenze di indagine, presso la casa circondariale di ____________________ ) per essere qui posto a disposizione del Sig. Procuratore della Repubblica di _____________________”.

Il verbale è trasmesso al più presto e comunque non oltre le 24 ore dall’arresto. Il P.M. può peraltro autorizzare una dilazione maggiore che, al massimo, potrà coincidere con il momento in cui lo stesso P.M. formula al GIP la richiesta di convalida (art.122 att.) (art. 390 c.p.p.: “Entro 48 ore dall’arresto _______________ richiede la convalida ________________”).
 

 

 

 

Fermo di indiziato di delitto

Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti

CAPITANERIA DI PORTO DI _________________
________________________

 

 

Oggetto: Verbale di fermo di indiziato di delitto a carico di __________________________ nato a ___________________ il _________________ residente a ____________________ Via ___________________________ n. __________ tel __________ professione ______________ soprannome/pseudonimo __________________ stato civile ________________ evidenti segni particolari ___________ ______(se l’identificazione avviene mediante un documento di identità dire:”identificata mediante _______________________ n. ______ rilasciato il______________ da _____________________________________ “)

 

Il ______________ alle ore_________ negli Uffici ________________________ i sottoscritti Ufficiali – Agenti di P.G. (indicare specificamente qualifica, cognome, nome) in servizio presso ______________________ riferiscono che alle ore ________ del__________________ in ______________________, non avendo ancora il Pubblico Ministero assunto la direzione delle indagini (oppure: non essendo stato possibile, per la situazione di urgenza appresso indicata, attendere il provvedimento del P.M.;
oppure: essendo stato individuato l’indiziato dopo l’assunzione della direzione delle indagini da parte del P.M.), hanno proceduto di propria iniziativa al fermo della persona indicata in oggetto. La misura è stata adottata per la sussistenza, nei confronti di detta persona di gravi indizi del delitto di ___________________ (indicare gli estremi del delitto per il quale si procede al fermo) consistenti ______________________________.
Sussisteva inoltre il fondato pericolo che l’indiziato si desse alla fuga (*) ed esso era desumibile da specifici elementi consistenti __________________________________
Il fermato, avvertito della relativa facoltà, ha dichiarato di nominare quale difensore di fiducia l’Avv. ________________ del foro di _____________________ (oppure: di non essere in grado di nominare difensore di fiducia, dandosi atto che dal Procuratore della Reopubblica presso ________________ di ___________ in persona el dott. _______________________ è stato designato quale difensore di ufficio l’Avv. ___________ ).
Con il consenso dell’arrestato è stata data notizia a _______________ residente a ___________________ Via ______________________ n. ______ tel. ____________
Familiare dell’arrestato in quanto suo ___________________ e ciò mediante comunicazione effettuata a mezzo ____________________

 

 

Fermo di indiziato di delitto: pagina n. 2

Alle ore ________(in caso contrario verbalizzare: “su specifica richiesta, il fermato ha dichiarato che non intende che dell’avvenuto fermo siano avvisati i suoi familiari”)
I verbalizzanti attestano di aver dato notizia del fermo al Procuratore della Repubblica presso ____________________ di ____________________ e di averne informato il difensore Avv. ___________________ rispettivamente con comunicazioni effettuate a mezzo _______________ alle ore______ e alle ore _____ del giorno _____________.

Riletto, confermato e sottoscritto.


Firme ____________________________
         ____________________________

 

 

 


Ricordare:

Quanto al fondato pericolo di fuga richiesto dall’art. 384, che esso sussiste solo quando ricorrono precise circostanze di fatto, concretamente apprezzabili, tali da far ritenere probabile la fuga del soggetto. Non bastano dunque generiche supposizioni soggettive basate su presupposti non concreti

Il Verbale va trasmesso al P.M. (art. 386, co.3). Autonomamente o congiuntamente va trasmessa la documentazione relativa alle altre attività di indagine eventualmente svolte.

Nello stesso Verbale può essere dato atto dell’avvenuta consegna del fermato all’istituto di custodia aggiungendo una formula del tipo: “Attestano altresì che, come emerge anche dall’allegata nota di consegna all’istituto di custodia, il fermato è stato condotto nell’istituto di _________________, luogo ove il fermo è stato eseguito, alle ore ___________ del giorno ________________ “ Anche se ciò non avviene perché il Verbale viene «chiuso» prima della «conduzione in carcere» del fermato, è peraltro di fondamentale importanza che la nota di consegna sia allegata al verbale. La nota (V. Consegna a istituto di custodia) deve comunque riportare la puntuale indicazione dell’ora e del giorno della consegna all’istituto di custodia. Tale indicazione riveste grande rilievo in quanto la P.G. mette il fermato a disposizione del P.M. proprio attraverso la conduzione in carcere e tale messa a disposizione deve avvenire, a pena di inefficacia della misura, «al più presto e comunque non oltre 24 ore dal fermo».

Nei casi in cui la consegna del fermato all’istituto di custodia avviene dopo la redazione del verbale, questo dovrà riportare una espressione del genere: “Entro il termine di legge (e con riserva di darne immediato avviso anche mediante trasmissione della nota di consegna all’istituto di custodia), il fermato sarà condotto nell’istituto di custodia di ________________, luogo di esecuzione del fermo, e, in tal modo posto a disposizione del procuratore della Repubblica ______________________”.

Nei casi in cui l’obbligo di conduzione in carcere è derogato a norma dell’art. 386, il verbale potrà riportare una delle formulazioni che seguono:
“Attestano inoltre che alle ore _________ del giorno _______________ e come disposto dal P.M., il fermato è stato condotto presso la propria abitazione sita in ___________________ (o presso il luogo di privata dimora ________________ - o presso il luogo di cura – oppure: e come disposto dal P.M. per esigenze di indagine, presso la casa circondariale di ____________________)”.

Se il verbale precede la conduzione nell’abitazione, in altro luogo di privata dimora o nell’istituto di custodia specificamente individuato ovvero precede il ricovero in luogo di casa di cura, si potrà dire: “Entro il termine di legge (e con riserva di darne immediato avviso) e, come disposto dal P.M. dott. __________________ della Procura della Repubblica _________________, il fermato sarà condotto presso la propria abitazione sita in ____________________________________ (o presso il luogo di privata dimora ________________ - o presso il luogo di cura – oppure: e come disposto dal P.M. per esigenze di indagine, presso la casa circondariale di ____________________ ) per essere qui posto a disposizione del Sig. Procuratore della Repubblica di _____________________”.

Il verbale è trasmesso al più presto e comunque non oltre le 24 ore dal fermo. Il P.M. può peraltro autorizzare una dilazione maggiore che, al massimo, potrà coincidere con il momento in cui lo stesso P.M. formula al GIP la richiesta di convalida (art.122 att.) (art. 390 c.p.p.: “Entro 48 ore dal fermo _______________ richiede la convalida ________________”).

 

 

Consegna Istituto di Custodia

Ministero delle Infrastrutture d dei trasporti

CAPITANERIA DI PORTO DI _________________
________________________

 

Oggetto: Consegna a istituto di custodia di __________________________ nato a ___________________ il _________________ residente a ____________________ Via ______________ n. _____ tel _____________ professione _____________________________ soprannome/pseudonimo _____________________ stato civile ________________ evidenti segni particolari ___________


Il Sig. Comandante del Corpo di polizia penitenziaria in servizio presso ____________
Vorrà ricevere e ritenere la persona nominata in oggetto, arrestata (o fermata) per il reato ________________ alle ore _________ del ____________ (luogo e data: la puntuale indicazione del giorno e dell’ora ha particolare rilievo perché la P.G. deve, a pena di inefficacia della misura, condurre in carcere l’arrestato o il fermato al più presto e comunque entro 24 ore dall’arresto e dal fermo) come titolo di custodia che si allega in copia anche ai fini dell’inserimento nella cartella personale. La persona indicata in oggetto deve ritenersi a disposizione di __________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria) che dagli atti risulta/non risulta aver disposto l’isolamento previsto dall’art. 33 Legge 26 luglio 1975, n. 354.(*).

 

Il Dirigente dell’Ufficio
______________________

 

INTESTAZIONE DELL’ISTITUTO DI CUSTODIA
_______________________________

Si attesta che alle ore ____________ del _______________ è stato ricevuto in consegna il Sig. _____________________ condotto in questo istituto___________ dal personale di P.G. in servizio presso l’Ufficio _______________________.

 

Il Comandante del Corpo di polizia penitenziaria
_______________________

 

 

 


(*) V. art. 94 att. E, quanto all’isolamento e alle modalità di disporlo, art. 22 DPR 29/4/1976, n. 431 – Reg. ordinamento penitenziario

 

Descrizione, ricognizione e riconoscimento di cadavere

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)


All. Nr._____________


Al Sig. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di _____________


Il giorno_______________ alle ore ________ circa, presso _________________________ (ad esempio: i locali dell’Ospedale Civile di _____________________ ), in ottemperanza a quanto disposto dalla S.V., noi sottoscritti Ufficiali di P.G. ____________________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome),

 

Diamo atto che:

su delega dell’Autorità Giudiziaria:

  1. ________________________________________________________________
  2. ________________________________________________________________
  3. ________________________________________________________________
  4. ________________________________________________________________
  1. Nei riguardi del tempo: ___________________________ (indicare il tempo presunto della morte);
  2. Nei riguardi del modo: __________________________ (indicare le presunte cause fisiche della morte);
  3. Nei riguardi del mezzo e delle circostanze: ______________________ (indicare gli eventi che hanno causato il decesso)
  1. _________________________________________________________________________
  2.  
  3. Rilievi fotografici del cadavere ispezionato:______________________________________

Letto, chiuso, confermato e sottoscritto.-


Gli Ufficiali di P.G.
___________________________
___________________________

 

Descrizione di cadavere: esempio

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________
(Intestazione dell’Ufficio)

 

 

All. Nr. 11

 

 

Al Sig. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di TEMPIO-PAUSANIA

 

Il giorno 22.12.2003 alle ore 17.15 circa, presso i locali dell’Ospedale Civile Paolo Merlo di la Maddalena (SS), in ottemperanza a quanto disposto dalla S.V., noi sottoscritti Ufficiali di P.G. 1° M.llo Np. SANZIO Raffaelo (Capo Sezione Uff. Contenzioso) e C° 2^ cl. Np. GRIGNANI Gianluca (Comandante M/V CP. 2017),

 

DIAMO ATTO CHE:

 

su delega dell’Autorità Giudiziaria:

  1. richieste le operazioni peritali al Dott. Carlo FRUZZA e Dott. Fausto LEALI – Medici presso il Reparto Iperbarica e Rianimazione dell’Ospedale Civile di la Maddalena, abbiamo proceduto ad espletare una descrizione e ricognizione del cadavere riconoscibile in ALEMANNI Franco, nato a Gela il 15.10.1986 e residente a Bologna in via Giotto n. 13 – in buone condizioni, rinvenuto in località: acque pubbliche marine – mezzo miglio a Sud/Ovest dell’Isola del Porco (Sud di Caprera del Comune di La Maddalena) alle ore 16.30 circa odierne recuparato da M/V CP. 2043 della Guardia Costiera di questo Comando (1° M.llo Np. LOIACONO Aldo e C°2^ cl. LORIA Carmine);
  2. Diamo atto, altresì, di avere in nostra presenza il sopra citato cadavere al fine di procedere al riconoscimento del medesimo e d alla sua ricognizione alla presenza dei Sig. ALEMANNI Giulio, nato a Gela il 18.10.1957 e MANGANO Elisa nata a Bologna il 13.07.1959, entrambi coniugi residenti a Bologna in via Giotto n. 13 – genitori del deceduto ALEMANNI Franco di cui sopra;
  3. Avendo proceduto all’ispezione esterna con relativa ricognizione del cadavere, i medici Dott. Carlo FRUZZA e Dott. Fausto LEALI – incaricati alle operazioni peritali, repertano quanto in allegato al presente atto viene descritto – (Vds. Allegato Referto Medico).
  4. Concludendo, per quanto sopra esposto, si può dedurre che:
  1. Nei riguardi del tempo: «La morte risale, verosimilmente, tra le ore 16.10 e le ore 1615 del 22.12.2003»;
  2. Nei riguardi del modo: «Decesso per annegamento»;
  3. Nei riguardi del mezzo e delle circostanze: «Il giovane ALEMANNI Franco, trovandosi a bordo del Motoscafo condotto dal genitore ALEMANNI Giulio, durante la navigazione da diporto, dal porto turistico di Cala gavetta di La Maddalena (SS) all’Isola di Caprera, giunti in località acque pubbliche marine – mezzo miglio a Sud/Ovest dell’Isola del Porco (Sud di Caprera – Comune di La Maddalena) sbalzava fuori bordo dal lato poppiero del Motoscafo finendo in mare. I genitori si accorgevano della mancanza dal Motoscafo del proprio figlio Franco, dopo circa cinque minuti di navigazione».
  1. Infine, si da atto nel presente verbale che nessuno oggetto di valore è stato rinvenuto sul cadavere.
  2. Per ordine dell’Autorità Giudiziaria si è proceduto al trasferimento della salma presso il Civico Cimitero di La Maddalena per essere messa a disposizione di codesta medesima A.G.
  3. Rilievi fotografici del cadavere ispezionato: ______________________________________

Letto, chiuso, confermato e sottoscritto.-


Gli Ufficiali di P.G.
C° 2^ cl. Np. GRIGNANI Gianluca
1° M.llo Np. SANZIO Raffaelo

 

 

Notificazione

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)

 

 

Oggetto: Relazione di notificazione

 

Il sottoscritto Ufficiale o Agente di P.G _________________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) certifica che, come da richiesta ___________________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria richiedente) ha notificato il presente atto (se la relazione di notificazione non è scritta in calce all’originale e alla copia notificata dell’atto, occorre invece precisare quale tipo di atto è stato notificato) a____________________________ (riportare le indicazioni necessarie per la identificazione della persona cui l’atto è destinato):

  1. consegnandone copia integrale nelle mani del destinatario;

   ovvero:

  1. presso la sua abitazione sita in ______________________ (ovvero dire: «presso il luogo ove abitualmente esercita la sua attività lavorativa sito in ________________________»; ovvero dire: «nel luogo di sua temporanea di mora o recapito sito in ______________________ essendone ignoti l’abitazione o il luogo di abituale esercizio dell’attività lavorativa» provvedendo - per la momentanea assenza dell’interessato – alla consegna di copia al portiere Sig. ______________________ ovvero al Sig. ________________ (riportare le generalità della persona cui l’atto è consegnato, i suoi rapporti con il destinatario, le funzioni/mansioni svolte, come ad esempio, collaboratore familiare, ecc.) che con il destinatario convive (indicare se temporaneamente o stabilmente) ____________ e che è persona idonea in quanto ha compiuto i 14 anni e non è in stato di manifesta incapacità di intendere o volere.

[Il sottoscritto dà atto che la consegna dell’atto è avvenuta in plico chiuso e che la relazione di notificazione è stata scritta all’esterno del plico stesso] (Il periodo scritto in parentesi va riportato solo se si tratta di notificazione all’indagato o imputato).

_________________ (Luogo e data)


                               La persona cui l’atto
                               è stato consegnato         ___________________

                               L’Ufficiale/Agente di P.G.  ___________________

 

 


  • Ricordare che:

Se l’atto è consegnato al portiere (o chi ne va le veci), la di lui sottoscrizione sull’originale dell’atto è prescritta a pena di nullità (art. 171 co.1 lett. g). Se l’atto è consegnato all’interessato o ad altra delle persone indicate dalla legge, la sottoscrizione non è prescritta.
La relazione di notificazione redatta in calce o a parte va immediatamente restituita, unitamente all’originale dell’atto, all’Autorità Giudiziaria.

 

Notificazione urgente

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)


Oggetto: Notificazione urgente a mezzo del telefono


Il sottoscritto Ufficiale o Agente di P.G ______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome), come da richiesta formulata in data _______________ da ____________________________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria richiedente) ha provveduto a convocare/avvisare ___________ il Sig: (indicare le generalità, risultanti dell’atto, della persona cui l’avviso o la comunicazione è diretto) ________________________ chiamando alle ore ________ del giorno _______________ il numero telefonico _____________________ corrispondente alla sua casa di abitazione (oppure: al luogo di sua temporanea dimora o recapito; oppure: al luogo di abituale esercizio della sua attività lavorativa). La comunicazione è stata ricevuta da persona qualificatasi per il destinatario (oppure: dal Sig. ________________________ - generalità - _____________, persona con funzioni/mansioni di ________________ in rapporto di ________________ (precisare in particolare se la persona che ha ricevuto la chiamata convive anche temporaneamente con il destinatario) ) con il destinatario


(L’Ufficiale/Agente di P.G.)
__________________________________

 


  • Ricordare che:

La P.G. deve annotare, sull’originale dell’avviso, il numero chiamato, il giorno e l’ora della telefonata, le funzioni o le mansioni di chi riceve la telefonata e il rapporto che esiste tra il destinatario e chi riceve la comunicazione; la comunicazione telefonica non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario o da chi convive con lui (anche temporaneamente).

La P.G. deve chiamare, nell’ordine, il numero, il numero dell’abitazione, quello del luogo di abituale lavoro, quello di temporanea dimora o recapito del destinatario. Nel caso di avviso telefonico al difensore (ad esempio, perché assista a un atto o all’udienza di convalida), l’avviso è valido anche se è stato ricevuto e registrato solo dalla segreteria telefonica.
La comunicazione telefonica deve essere seguita dall’invio di un telegramma di conferma. Il telegramma non serve, però, quando si tratta di atti dei quali va dato «avviso», ma che non devono essere «notificati». Alla spedizione del telegramma provvede sempre la segreteria del Pubblico Ministero o la cancelleria del Giudice se alla comunicazione telefonica ha provveduto la P.G.

 

Omessa notificazione

 

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Capitaneria di Porto di ____________________
_________________________

(Intestazione dell’Ufficio)


Oggetto: Omessa notificazione

 

Il sottoscritto Ufficiale o Agente di P.G ______________________ (indicare specificamente qualifica, cognome e nome) certifica di non aver potuto procedere, come da richiesta __________________ (indicare l’Autorità Giudiziaria richiedente) alla notifica di copia dell’atto (indicare il tipo di atto) a __________________ (riportare le indicazioni necessarie per la identificazione della persona cui l’atto è destinato) mediante consegna a mani del destinatario, di persone conviventi ovvero del portiere stante l’assenza degli stessi (oppure: la inidoneità degli stessi; oppure: il rifiuto di ricevere la copia dell’atto dagli stessi opposto). Certifica inoltre che la predetta impossibilità di procedere alla notifica è stata verificata nei due accessi eseguiti, a norma dell’art. 59 D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, nel giorno __________ alle ore _____ e nel giorno ___________ alle ore ______. A ragione di ciò, il sottoscritto ha proceduto, il giorno _____________ alle ore _____, al deposito di copia integrale dell’atto nella casa Comunale dove il destinatario ha l’abitazione (oppure: esercita abitualmente la sua attività lavorativa) e ha altresì, il giorno __________, affisso avviso del deposito alla porta della casa del destinatario dell’atto (oppure: alla porta del luogo dove il destinatario esercita la sua attività lavorativa).


L’Ufficiale/Agente di P.G.
_____________________

 


  • Ricordare che:

Se la notificazione non è stata possibile dopo il «secondo accesso» e non hanno dato esito neppure le procedure di deposito e affissione sopra indicate, l’Autorità Giudiziaria dispone nuove e autonome ricerche che affida alla P.G.
La P.G. deve ricercare l’imputato nei luoghi di nascita, di ultima residenza anagrafica, di ultima dimora, di esercizio abituale dell’attività lavorativa oltreché presso l’amministrazione carceraria centrale.
All’esito delle ricerche la P.G. redige una relazione nella quale indica i luoghi delle ricerche, gli ufficiali e gli agenti che le hanno eseguite, i familiari contattati e le notizie assunte relativamente all’imputato.
Se anche le ulteriori ricerche hanno dato esito negativo, L’A.G. emette decreto di irreperibilità dell’imputato (atto con il quale l’A.G. attesta, dopo appropriate ricerche, che l’imputato non è reperibile in alcun luogo conosciuto). Il decreto di irreperibilità contiene:

  1. la nomina del difensore di ufficio all’imputato che ne sia privo;
  2.  l’ordine di notifica all’imputato con la consegna dell’atto nelle mani del difensore (che da quel momento diviene il «sostituto» dell’imputato stesso)

Delega di indagine

 

PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI_______________________


Rif.  Fasc.  N°. _____ R.G. del ________________ (1)
e  N°. ____________ Reg. Dott. ______________ (2)


Al ______________________
di ______________________


Oggetto: Delega indagini per ___________________________________________________

Delego Comando in indirizzo ad __________________________________________________

In particolare:

  1. __________________________________________________;
  2. __________________________________________________;
  3. __________________________________________________.


________________ lì, _____________.-


Il Pubblico Ministero
___________________

 

 


(1) Registro Generale delle Notizie di Reato (NdR)
(2) Registro personale del P.M.

 

 

Deleda di indagine: esempio

 

PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI TEMPIO PAUSANIA


Rif. Fasc. N°. _____ R.G. del ________________ (1)
e N°. _________ Reg. Dott. _________________ (2)


All’ Ufficio Locale Marittimo
di PALAU (OT)

 


Oggetto: Delega indagini per
accertare violazioni in tema di scarichi ed inquinamento idrico

Delego Comando in indirizzo ad effettuare ampie indagini volte ad individuare fonti inquinanti dei fiumi, canali e specchi d’acqua rientranti nella competenza territoriale dell’Ufficio in indirizzo.

 

In particolare:

  1. si procederà se trattasi di scarichi da insediamenti produttivi o civili;
  2. si verificherà se sussistono le prescritte autorizzazioni;
  3. ci si avvarrà dei competenti Uffici Sanitari (A.S.L., ex L.I.P.) al fine di effettuare campionatura delle acque ed analisi delle stesse, fornendo all’esito ogni notizia utile per l’accertamento di fatti penalmente rilevanti.

Tempio lì, 19 Gennaio 2010.-


E’ copia conforme all’originale

 

 IL Pubblico Ministero
___________________

 


(1) Registro Generale delle Notizie di Reato (NdR)
(2) Registro personale del P.M.

 

 

La Depenalizzazione

La necessità di adeguare il sanzionamento delle violazioni al mutato ordine dei valori sociali, specie riferiti ai concetti di pericolosità ed allarme sociale, unitamente all’esigenza di defaticare la giustizia penale, hanno indotto più volte il legislatore a «depenalizzare» (rectius: decriminalizzare), condotte originariamente punite penalmente.
Il processo di depenalizzazione ha visto seguirsi nel tempo le Leggi 3 maggio 1967, n. 317 e 29 dicembre 1975, n. 706 ma fondamentalmente, in materia, è sicuramente la
«Legge 24 novembre 1981, n. 689» che, al suo Capo I, viene ad assumere quasi i contorni di un «Codice di rito» in materia di sanzioni amministrative.

La Legge n. 689/81 comunemente conosciuta come “Nuova legge sulla depenalizzazione” resta pertanto la legge-base in materia di trattamento degli illeciti depenalizzati, anche se ha visto seguirsi nel tempo profonde modifiche apportate prima dalla Legge del 25 giugno 1999, n. 205 e inseguito dal Decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 quest’ultimo considerato, l’ultimo sforzo consentito dal sistema penale vigente per trasformare reati in ipotesi di illecito amministrativo, con l’obiettivo di deflazionare il carico di lavoro degli uffici giudiziari e per consentire un più ordinato decollo della riforma del giudice di primo grado.

Le «sanzioni amministrative» inflitte ai responsabili di tali comportamenti consistono nel pagamento di una somma in denaro, e hanno quindi, con nome diverso, lo stesso contenuto di alcune pene previste per i reati («multa» per i delitti, e «ammenda» per le contravvenzioni): incidono, cioè, sul patrimonio del trasgressore. Alle sanzioni non si ricollega nessuno degli effetti propri delle condanne penali. In questo, e non nell'entità della somma da pagare, (che non di rado è anzi maggiore di quella prevista dalla legge penale per alcuni reati, e che in ogni caso deve essere effettivamente versata, non essendo ammessa per le sanzioni amministrative la sospensione condizionale), sta il vantaggio della depenalizzazione.


La legge 689/81 mutua, facendoli propri, parecchi «principi» già sanciti dal vigente Codice penale. Tra di essi ricordiamo i seguenti:

  1. Principio di legalità (art. 1)
  2. Capacità di intendere e di volere (art. 2)
  3. Elemento soggettivo (art. 3)
  4. Cause che escludono la responsabilità (art. 4)
  5. Concorso di più persone nella violazione (art. 5)
  6. Principio di solidarietà (art. 6)
  7. Non trasmittibilità (art. 7)
  8. Cumulo di sanzioni  (art. 8)
  9. Principio di specialità (art. 9)

 

 

I principi generali

L'illecito amministrativo è modellato sulla struttura del reato. Infatti, a conferma di ciò la Legge n. 689/1981 nella Sezione I del Capo I, dedicato ai principi generali delle sanzioni amministrative ricalca gli istituti penalistici del:

  1. principio di legalità (art. 1),
  2. capacità di intendere e di volere (art. 2),
  3. elemento soggettivo dell'illecito (art. 3),
  4. cause di esclusione della punibilità (art. 4),
  5. concorso di persone nell'illecito (art. 5),
  6. principio di solidarietà (che si estende all'ente impersonale - art. 6, persona giuridica, associazione priva di personalità, ecc.).
  7. non trasmittibilità (art. 7)
  8. cumulo di sanzioni (art. 8)
  9. principio i specialità (art.9)

A differenza del sistema penalistico, per le sanzioni amministrative non opera il principio del favor rei, ovvero nella successione delle leggi penali prevale quella più favorevole, quanto piuttosto il principio tempus regit actum, ovvero la sanzione è individuata sulla base della legge vigente al momento della commissione dell'illecito, anche se più sfavorevole per il trasgressore.

Tale principio non vale per le sanzioni amministrative tributarie che seguono una normativa peculiare, prevedendo il principio del favor rei.

 

Principio di legalità e riserva di legge

«Nullo crimin, nulla poena sine lege»....

Principio dominante nel nostro ordinamento, contenuto nell’art. 1 del Codice penale e riaffermato dall’art. 25, comma 2 della Costituzione.

  • Da esso discende che:
  1. nessun fatto può considerarsi illecito e quindi sanzionabile, se non in forza di una specifica previsione di legge (riserva di legge);
  2. all’illecito si possono applicare le sole sanzioni espressamente previste (divieto di analogia – art. 14 Disposizioni sulla legge in generale);
  3. le leggi che prevedono sanzioni trovano applicazione solo per il futuro (irretroattività – art. 11 Disposizioni sulla legge in generale)

A ragione l'art. 1 della Legge 689/1981, è titolato «Principio di Legalità» in quanto è doveroso riconoscere come il legislatore nei soli due commi che lo costituiscono, sia riuscito a delineare le regole fondamentali sia dell'illecito amministrativo depenalizzato che di quello ad esso assimilato dalla stessa Legge Depenalizzatrice (Vedasi l'art. 12). L'articolo in trattazione, ratificando il principio secondo il quale "nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commessa violazione", consacra la cosiddetta «riserva di legge», ormai dalla dottrina dominante definita di rango costituzionale e, da una sua lettura immediatamente è dato cogliere, come tra l'altro in tutta la sezione prima del capo primo della Legge Depenalizzatrice, l'ispirazione penalistica tenuta dal legislatore nella sua stesura, si osservi appunto il noto Principio di Legalità fissato dall'art. 1 del c.p.
Tale osservazione, è sostenibile prendendo atto dell'evidente simmetria esistente tra i due articoli sopraccitati e, l'art. 25 della Costituzione:

  1. più precisamente e, per quanto qui in trattazione, ci limiteremo solo a sottolineare come il primo comma dell'articolo 1 della Legge 689/1981, ricalchi fedelmente il secondo comma dell'art. 25 della Carta Costituzionale.

Rilevato ciò, non è possibile non evidenziare ancora il fatto che, l'art. 1 della Legge depenalizzatrice riposi anche sulle garanzie assicurate dai due successivi articoli della Costituzione, l'art. 23 e l'art. 97, nei quali è prevista una forma di riserva di legge rispettivamente riferita, alle prestazioni personali o, patrimoniali ed alle sanzioni disciplinari; tra l'altro una parte della dottrina ricollega l'obbligatorietà dell'irrogazione delle sanzioni al succitato art. 97 dal quale ne fa derivare una particolare forma di Principio di Legalità nel senso che all'accertamento di una violazione, è inevitabile fargli conseguire il procedimento d'irrogazione della sanzione.
Riguardo la riserva di legge, dalla dottrina distinta in riserva di legge relativa e, riserva di legge assoluta o, tendenzialmente assoluta, ci limiteremo a sostenere semplicemente ed in modo certamente riduttivo, che tale principio sancisce il criterio secondo il quale l'illecito amministrativo potrà essere sanzionato esclusivamente ad opera di una legge formale cioè, come ormai concordemente convenuto sia dalla dottrina che dalla S.C., individuabile solo tra fonti normative primarie, come sono le leggi statali e, regionali nonché i decreti legislativi ed i decreti legge in quanto fonti aventi forza di legge, prevedendo quindi l'esclusione di irrogazioni sanzionatorie derivanti da fonti subprimarie o regolamentari a meno che, non sia la legge stessa a censurare con una sanzione amministrativa, la violazione di una di queste norme regolamentari vedasi ad es. gli artt. 106 e 107 del R.D. del 3 Marzo 1934, nr. 383 - Testo unico delle Leggi comunali e Provinciali - (abrogato dall'art. 274 del T.U.E.L. e, facendo riferimento ora all'art. 7 - bis dello stesso Testo Unico, introdotto dall'art. 16 della legge nr. 3/2003) ai quali gli art. 16 e 17 della legge 689/1981 fanno espressamente riferimento per le modalità di pagamento.
In questa sede evitando di inoltrarci oltre sulla questione tuttora dibattuta sia in sede giurisprudenziale che in quella dottrinale, se per la riserva di legge prevista dall'art. 1 della Legge 689/1981 debba farsi riferimento all'art. 23 della Costituzione, lasciando all'illecito penale il riferimento all'art. 25, ci limiteremo a concludere che il Principio di Legalità espresso dall'articolo 1 della Legge Depenalizzatrice, fissa i seguenti tre punti fermi:

  1. esigenza di una esplicita previsione di legge (la riserva di legge di cui sopra) con divieto assoluto dell'applicazione dell'analogia ;
  2. anteriorità dalla previsione legislativa rispetto alla condotta sanzionabile;
  3. irretroattività e la non ultrattività della disposizione censuratrice.

La condizione di imputabilità: capacità di intendere e di volere

Come per gli illeciti penali e per quelli civili, anche per gli illeciti amministrativi è necessario che il soggetto per poter essere chiamato a rispondere della sua azione od omissione, abbia raggiunto un certo sviluppo intellettuale e non sia infermo di mente al momento della commissione del fatto.
Per le sanzioni amministrative il legislatore ha fissato regole precise che seguono essenzialmente lo schema penalistico. Nell'irrogare o meno la sanzione alla persona che ha commesso la violazione, l'Autorità amministrativa deve, allora, seguire le norme del codice penale in materia di «imputabilità».
Perché sia «assoggettabile» alla sanzione amministrativa il trasgressore deve trovarsi in «condizione di imputabilità» ossia avere, al momento in cui commise il fatto la «capacità di intendere e di volere», precisata in base ai criteri indicati nel codice penale con la eccezione della «regola sull’età» (art. 2 legge 689/81).
La capacità di intendere si concretizza nella comprensione, da parte dell’individuo, che l’azione che egli compie contrasta con le esigenze della vita sociale: è l’attitudine a percepire e valutare la realtà circostante.
La capacità di volere consiste nella determinazione autonoma della persona: è l’attitudine a stabilire e scegliere il proprio comportamento.
Perché vi sia «assoggettabilità» (= imputabilità) alla sanzione occorre che l'autore della violazione abbia, nel momento della commissione del fatto, entrambe le capacità.

L’articolo 2 Legge 689/81 differenzia la capacità di intendere e di volere rispetto al codice penale – sotto il profilo dell’età del minore. Infatti, mentre l’infradiciottenne ultradiciottenne, è punibile penalmente, anche se con pene attenuate, nel campo delle sanzioni amministrative il minore di anni 18 non è assoggettabile a sanzioni amministrative.
Questo, ovviamente, non significa che al minore non possa essere contestata la violazione e che questi non possa addivenire al pagamento il misura ridotta.

 

 

Elemento soggettivo

La condotta dell’autore della violazione deve essere cosciente e volontaria. Infatti nelle violazioni amministrative ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, sia dolosa o colposa. La condotta può definirsi cosciente e volontaria quando l’atto è attribuibile al volere del soggetto, e cioè può essere controllato dalla volontà. Di tali violazioni, quindi, si risponde sia nel caso di azione secondo l’intenzione (dolo), sia nel caso di azione non intenzionale ma causata da negligenza, imprudenza, imperizia (colpa).
Non sono, invece, punibili, i fatti compiuti per causa di forza maggiore o costringimento fisico.

Cause di esclusione della punibilità

La Legge 689/81, prende in considerazione le esimenti nel settore degli illeciti amministrativi, e anche in questo caso fa propri i principi del codice penale in tema di scriminanti (artt. 51, 52, 54 c.p.).
Non risponde, quindi, della violazione amministrativa chi commette il fatto nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica.

  • Si pensi, ad esempio, al conducente di un veicolo di polizia che, all’inseguimento di un’auto di rapinatori, violi le norme di comportamento imposte dal codice della strada.

Così come non risponderà chi si trovi in stato di necessità di salvare se od altri da un pericolo attuale e grave alla persona.

  • Si pensi, ad esempio, all’autista che guida ad alta velocità nel trasportare un ferito grave all’ospedale.

Se la violazione è commessa per ordine dell’Autorità pubblica, della stessa risponde chi ha impartito l’ordine.

 

 

Concorso di persone nell'illecito

L'illecito amministrativo, come il reato, può essere commesso da una sola persona, o da più persone insieme.
Nel caso di compartecipazione, l’art. 5 della Legge 689/81 prevede che tutti gli agenti rispondano della violazione. Questo sia nel caso di pluralità di autori e pluralità di trasgressioni, sia nel caso di concorso di autori della medesima violazione.
Questa disposizione è coerente con un sistema che considera la sanzione amministrativa non un risarcimento per un danno procurato allo Stato (nel qual caso la somma da pagare dovrebbe essere ripartita tra tutti i responsabili), ma una «punizione, che deve colpire tutti coloro che hanno tenuto un comportamento illecito».
 

  • Si pensi, ad esempio, ad un ordine di sgombero o di polizia in generale rivolto a più persone e dalle stesse non ottemperato ovvero, ancora, all’illecito amministrativo di estrazione abusiva di arena commessa da più persone contemporaneamente (artt. 51 e 1162 cod. nav.).

 

Principio di solidarietà

L’art. 6 delle Legge 689/81 introduce un principio di chiara matrice civilistica (art. 2055 Cod. civ.), prevedendo la responsabilità solidale a carico del proprietario della cosa che servì o fu destinata alla commissione dell’illecito o dell’usufruttuario o del titolare di diritto personale di godimento; della persona che esercita l’autorità di direzione o vigilanza; della persona giuridica, ente, imprenditore nel caso di violazione perpetrata dal rappresentante o dal dipendente.
Sappiamo che dalla violazione amministrativa sorge, a carico dell'autore, l'obbligo di pagare una somma di denaro, quale sanzione pecuniaria per il suo comportamento illecito. In certi casi però, il pagamento può essere richiesto, anziché all’autore dell'illecito, ad un soggetto diverso (=obbligato in solido). Quest’ultimo, dopo aver pagato quanto dovuto, può poi chiedere all’autore della violazione di essere rimborsato della somma versata (c.d. azione di regresso). In questi casi, l’Autorità amministrativa potrà indifferentemente rivolgersi per il pagamento della sanzione all’autore dell’illecito oppure all’obbligato in solido, scegliendo eventualmente il più solvibile, questo avviene quando tra i due soggetti esiste un particolare legame.
 

  • Si pensi, ad esempio, al caso di illeciti commessi dal Comandante di una nave, per cui può essere chiamata come obbligata in solido la società armatrice.

L’istituto della solidarietà svolge una funzione di garanzia del credito a vantaggio della pubblica amministrazione che può riscuotere coattivamente la sanzione agendo nei confronti di più soggetti e potendo pretendere l’intera prestazione dal singolo soggetto prescelto

► Questo avviene quando tra i due soggetti sussiste un particolare legame:

  1. il proprietario, l'usufruttuario o il titolare di un diritto personale di godimento della cosa utilizzata per commettere la violazione, risponde in solido con l'autore dell’infrazione, sempre ché non provi che la cosa è stata utilizzata contro la sua volontà. Questo tipo di responsabilità prescinde totalmente da qualunque colpa del proprietario o titolare di diritti reali sulla cosa, e serve solo ad assicurare che l'importo della sanzione sia comunque riscosso, anche se l'autore materiale della violazione non venisse individuato.
  2. se una violazione è commessa da chi è sottoposto all’altrui autorità, direzione o vigilanza (per le violazioni commesse dagli allievi, scolari, apprendisti, ecc.). è obbligata in solido la persona rivestita dell’autorità o incaricata della direzione o della vigilanza (art. 16 legge 689/81);
  3. infine, se la violazione è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica, o di un ente privo di personalità giuridica, o di un imprenditore, nell'esercizio delle sue funzioni o incombenze, è obbligato in solido al pagamento della somma dovuta l’imprenditore, l’ente o la persona giuridica.

La responsabilità in solido presuppone che la violazione sia stata commessa da persona capace di intendere e di volere. In caso contrario sarebbe chiamato a rispondere, non a titolo solidale ma in via primaria chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace. Se poi si fosse verificata una compartecipazione nell’illecito, anziché solidarietà si avrebbe un concorso di persone.

Si evidenzia, comunque, che l’art. 7 delle legge 689/81 sancisce la non trasmissibilità, in capo agli eredi, dell’obbligazione di pagare la sanzione.

 

 

 

 

Non trasmissibilità

L’art. 7 delle Legge 689/81 sancisce la non trasmissibilità, in capo agli eredi, dell’obbligazione di pagare la sanzione.

Cumulo di sanzioni

L’art. 8 delle legge 689/81, come integrato dall’art. 1-sexies della legge 31.01.1986, n. 11 (Più violazione di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative), prende in esame il «concorso formale» di illeciti amministrativi, che si concretizza quando l’Agente, con una sola azione od omissione, abbia commesso più illeciti, previsti da una o più norme di legge. In questo caso, trova applicazione il principio del «cumulo giuridico», tratto dall’art. 81, comma 1 c.p., in base al quale vi è la possibilità di applicare una sanzione pari a quella prevista per la violazione più grave, aumentandola sino al triplo.

  • Il concorso formale potrà essere:
  1. eterogeneo: più violazioni di diverse disposizioni di legge;
  2. omogeneo: più violazioni della stessa disposizione di legge.

Ovviamente, tale applicazione è rimessa alla discrezionalità dell’Autorità amministrativa competente e non all’apprezzamento dell’organo punitivo che, nella fase dell’accertamento, si limiterà all’elencazione delle singole norme violate ed alle modalità di pagamento secondo il criterio del «cumulo materiale». Tale criterio ricorre quando vengono commesse più infrazioni con più azioni od omissioni. In tal caso non sono previste delle agevolazioni e l’autore soggiace alla sanzione prevista per ogni singola violazione commessa.

 

Principio di specialità

Tale principio, di particolare importanza pratico-operativa, prende in esame il concorso apparente di norme amministrative o di norme amministrative e penali, rispetto alla commissione di un fatto illecito
In forza di tale principio, una norma si definisce «speciale» rispetto ad un’altra, quando la prima contiene tutti gli elementi della seconda ed in più possiede qualche elemento di specializzazione. Può capitare che uno stesso fatto sembri regolato da più norme amministrative, ovvero sembri ricadere sotto la previsione di una norma penale e di una norma amministrativa. Si rende allora necessario individuare, nelle varie ipotesi, quale delle due norme debba essere applicata.

► Riprendendo i principi contenuti nell’art. 15 c.p.. il legislatore ha stabilito che:

  1. quando concorrono più norme amministrative, sia esse statali o non, si applica la disposizione speciale.
  • Ad esempio, lo stesso fatto è previsto come illecito amministrativo sia dallo Stato che dalla Regione.
  1. quando concorrono norme amministrative e norme penali (ambedue statali), si applica la disposizione speciale.
  • Ad esempio, lo stesso fatto è previsto sia come reato che come illecito amministrativo.
  1. quando concorrono norme amministrative non statali (regionali o delle province autonome) e norme penali (che, come detto, possono derivare solo da leggi dello Stato), si applicano sempre le norme penali. Il motivo è ovvio, infatti, se si seguisse un principio diverso, si riconoscerebbe alle regioni e alle province autonome la facoltà di trasformare in illeciti amministrativi dei fatti previsti come reato, abrogando così di fatto le norme penali nel loro territorio.

Beninteso, il principio di specialità trova applicazione solo nei casi di concorso apparente e non anche nel concorso effettivo, che si ha nel caso di fattispecie che presentano elementi di diversità, ancorché coincidenti in tutto o in parte con riguardo alla condotta del trasgressore. In quest’ultimo caso, troveranno applicazione le rispettive sanzioni.

 

Nozione di illecito amministrativo

Danno luogo ad «illeciti amministrativi» quei comportamenti dei privati che si risolvono nella trasgressione di un «obbligo» nei confronti della pubblica Amministrazione.
L’obbligo violato può essere di "carattere generale", cioè comune alla generalità degli amministrati (ad esempio, illeciti di polizia, ecc.) oppure proprio di soggetti nei confronti dei quali la Pubblica Amministrazione si trova in una particolare posizione di "supremazia" (ad esempio, infrazioni dei rispettivi ordinamenti da parte di militari, impiegati, ecc.). in tale ultimo caso l’illecito assume il carattere di "illecito disciplinare".

Il «procedimento amministrativo sanzionatorio» non è disciplinato da regole generali uniformi: il legislatore, infatti, differenzia la disciplina ora in ragione della natura della sanzione irrogata (è il caso degli illeciti sanzionati con la sola pena pecuniaria, di cui alla L. 689/81), ora della natura dell’illecito (è il caso dell’illecito disciplinare di cui al T.U. Imp. civ., ecc.).
I principi che caratterizzano l’illecito amministrativo servono a distinguerlo sia dall’illecito civile sia dall’illecito penale, fermo restando che uno stesso comportamento può contemporaneamente costituire illecito amministrativo, civile e penale.
La distinzione dell’illecito amministrativo dall’illecito civile è fornita sostanzialmente dalla natura dell’interesse violato.
Nel primo caso, infatti, si tratta di un interesse di carattere non necessariamente patrimoniale, mentre nel secondo caso la lesione riguarda interessi individuali  e (per lo più) patrimoniali.
La distinzione tra illecito amministrativo ed illecito penale, va posta innanzitutto sulla "natura" della sanzione che, nel caso dell’illecito penale, può essere sia detentiva che pecuniaria, mentre per l’illecito amministrativo può essere solo pecuniaria.
Altro profilo risiede, poi, nel fatto che solo la norma penale presidia il mantenimento del generale ordine sociale mentre, nel caso d’illeciti amministrativi, l’interesse protetto o è specifico della Pubblica Amministrazione o comunque non assurge a quel grado di essenzialità da richiedere l’utilizzo della norma sanzionatrice penale.

► Le sanzioni amministrative possono essere:

  1. disciplinari (se incidono sullo status)
  • Ad esempio la censura, la sospensione dall’impiego a carico degli Ufficiali di polizia giudiziaria (artt. 16-19 disp. Att. c.p.p.)
  1. patrimoniali (se incidono sul patrimonio)
  • Ad esempio le sanzioni pecuniarie, le confische
  1. interdittive (se incidono sull’attività)
  • Ad esempio, il ritiro e la sospensione di una licenza, autorizzazioni e concessioni per l’uso dei beni pubblici, ecc.

 

 

Sanzione amministrativa pecuniaria: criteri per l'applicazione

La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a 6 (sei) € e non superiore a € 10.329.
In base a questo principio, se in una determinata norma il legislatore non ha precisato limite inferiore o il limite superiore, si deve fare riferimento a quello stabilito dall’art. 10 legge 689/81

  • Ad esempio, per le infrazioni al decreto ministeriale recante disposizioni applicative del D.L. 143/91 in materia di riciclaggio di denaro, è prevista una sanzione amministrativa fino a € 51645 Il minimo non è espressamente previsto, il che vuol dire che la sanzione è compresa tra 6 e 10.329 €.

Le sanzioni pecuniarie proporzionali non hanno un limite massimo, mentre quello minimo è di lire 6 €.
Per quanto concerne i criteri di applicazione, l’Autorità, per determinare in concreto la sanzione amministrativa pecuniaria che la legge astrattamente fissa tra un minimo e un massimo, deve avere riguardo:

  1. alla gravità della violazione;
  2. all’opera svolta dal soggetto per la eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze;
  3. alla personalità del soggetto e alle sue condizioni economiche.

A volte, in aggiunta alle sanzioni pecuniarie, la legge prevede anche delle «sanzioni accessorie» quali ad esempio: la sospensione di una licenza commerciale, la confisca delle cose utilizzate che sono il provento della violazione, ecc.

► Prescrizione

Il diritto di riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa si prescrive «entro cinque anni» dal giorno in cui è stata commessa l'infrazione.

L'interruzione della prescrizione, per espressa disposizione della legge 689, è regolata dalle norme del codice civile, e si verifica in seguito a:

  1. notificazione dell'accertamento dell'infrazione;
  2. ordinanza-ingiunzione di pagamento;
  3. opposizione all'ordinanza-ingiunzione.

 

Accertamento delle infrazioni

Il «procedimento» si apre con l’accertamento della violazione, al quale possono procedere: 

  1. Ufficiali e Agenti di polizia giudiziaria;
  2. Ufficiali e Agenti di pubblica sicurezza (art. 20 D.P.R. 616/77).
  3. altri Organi addetti all’osservanza delle violazioni amministrative (che non sono Ufficiali e Agenti di P.G.)
  • Si pensi ad esempio, a taluni tecnici delle ASL addetti alla vigilanza in materia di igiene.

► Procedimento per l’irrogazione delle sanzioni amministrative

Il procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative si articola in 4 fasi.

Le prime tre vengono svolte dalla Pubblica amministrazione:

  1. accertamento della violazione;
  2. contestazione (immediata o a mezzo di notifica);
  3. decisione dell’Autorità amministrativa.

La quarta invece compete all’A.G.:

  1. tutela giurisdizionale contro la decisione dell’autorità amministrativa

Non necessariamente il procedimento comprende tutte le quattro fasi.

Il procedimento inizia con l’«accertamento della violazione», da parte dell’Organo accertatore; successivamente avviene la «contestazione».

A questo punto, la persona cui è contestata la violazione ha due possibilità:

  1. può sottoporsi alla decisione dell’Autorità amministrativa, che valuterà i fatti in base al rapporto (= Verbale di accertamento) dell’organo accertatore e alle eventuali memorie difensive dell’interessato;
  2. oppure può sempre evitare di sottoporsi al giudizio dell’Autorità. Infatti ha la facoltà di effettuare entro 60 giorni, un pagamento di una somma di denaro (pagamento in misura ridotta) e di concludere il procedimento.

In altre parole la persona a cui è contestata una violazione, può ritenere preferibile di versare subito una somma in denaro anziché eventualmente ottenere più tardi dall’Autorità il riconoscimento delle sue ragioni.

Il «pagamento in misura ridotta» non costituisce ammissione di responsabilità, ma è una facoltà riconosciuta al cittadino. Pertanto si ritiene che, al pagamento in misura ridotta non può far seguito l’applicazione di una sanzione accessoria.
Se invece non viene effettuato il pagamento in misura ridotta, allora l’organo accertatore (qualora diverso dall’Autorità competente a decidere e quindi a ricevere il rapporto), dopo i 60 giorni, invia un rapporto con la prova delle eseguite contestazioni all’Autorità competente a decidere (Capitaneria di Porto, Regione, Comune, ecc.)

  • Ad esempio, ai sensi dell’art. 6, comma 6 della legge 8 luglio 2003, n. 172, in campo marittimo l’Autorità competente a ricevere scritti difensivi e quindi a decidere, è il Capo del Compartimento.

A conclusione dell’istruttoria, l’Autorità amministrativa, se riconosce che non è stata commessa alcuna violazione, dispone l’«archiviazione» (ordinanza motivata di archiviazione) dandone comunicazione all’organo che ha redatto il rapporto (=Verbale).

Se invece ritiene che la violazione sia stata commessa, stabilisce la sanzione ed emette una «ordinanza-ingiunzione».
Contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento, l’interessato può proporre «l’opposizione» prevista dall’art. 22 Legge. 689/81 innanzi al Giudice in sede civile (art. 7 Cod.civ. sostituito art. 17 Legge 21/10/1991, n. 374), secondo i casi
:

  1. Giudice di Pace
  2. Giudice del Tribunale monocratico

Viceversa l’organo accertatore non ha possibilità di ricorso o di opposizione contro l’eventuale archiviazione.

 

 

Poteri degli Organi addetti agli accertamenti amministrativi

L'art. 13 della legge 689/81 prevede che, ai fini dell’accertamento delle violazioni amministrative pecuniarie, gli organi addetti al controllo possano compiere alcuni atti già riconosciuti agli Ufficiali di polizia giudiziaria dall'art. 55 c.p.p., e precisamente:

  1. assumere informazioni;
  2. procedere ad ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora
  3. procedere a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica;
  4. procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e nei limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro di polizia giudiziaria.

Nel caso ad operare siano organi di polizia giudiziaria, procedere a perquisizione in luoghi diversi dalla privata dimora, previa "autorizzazione" dell’Autorità giudiziaria.

L’accertatore può chiedere informazioni, interpellare gli interessati e le persone informate sui fatti, prendere visione di registri e documenti, recarsi sui luoghi, ispezionare cose e luoghi diversi dalla privata dimora, effettuare rilievi e operazioni tecniche e procedere a sequestro cautelare.
Il cittadino è tenuto a non impedire l’esercizio di questa attività anche se, ovviamente, non ha l’obbligo di rendere dichiarazioni a lui sfavorevoli. La mancanza di collaborazione non può però trasformarsi in opposizione; quest’ultimo comportamento infatti, potrebbe integrare il reato di violenza, minaccia (art. 336 c.p.) o resistenza (art. 337 c.p.) a Pubblico Ufficiale.

Nella prassi operativa, quindi l’accertatore, di fronte al rifiuto di collaborazione dell’interessato non può porre in essere "poteri di coercizione" in quanto questi non rientrano nella funzione amministrativa di vigilanza (quando questi poteri sussistono, sono dalla legge attribuiti ad un’Autorità specificamente individuata).

  • Ad esempio, se un concessionario di area demaniale marittima rifiuta di esibire la documentazione o i registri obbligatori l’accertatore non potrà prenderli o riceverli con la forza.

Tuttavia, il rifiuto di collaborazione da parte dell’interessato, potrà in certi casi costituire violazione penale o amministrativa.

  • Ad esempio, il titolare di un albergo che non comunica il movimento delle persone è punito ai sensi dell’art. 109 T.U.L.P.S.
  • Ad esempio, nel caso di opposizione all’accesso dei luoghi per l’accertamento delle violazioni previste dal D.lgs. n. 152 /99 art. 54, comma 9, in materia di inquinamento marittimo di acque reflue provenienti da scarichi non autorizzati.

Questa è però cosa assolutamente diversa dal potere di esigere con la forza tale cooperazione.
Si evidenzia che se l’accertatore possiede anche la "qualifica" di Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria potrà richiedere l’autorizzazione alla perquisizione, prevista dall’art. 13 della legge 689/81

► Approfondimenti

L’agente accertatore non potrà avvalersi della facoltà di accedere in qualunque ora nei locali destinati all’esercizio di attività soggetta ad autorizzazione di polizia, in quanto detta facoltà compete solo ad Ufficiali ed Agenti di P.S., qualifica questa non rivestita dal personale delle Capitanerie di porto.
Quanto sopra fatta salva ovviamente l’attività svolta come attività di polizia giudiziaria intesa ad acquisire prove o tracce di eventuali reati (quale, ad esempio, quella disciplinata dall’art. 4 della L. 22.05.75, n° 152) - attività questa che può e deve esercitarsi parallelamente a quella di Polizia Amministrativa qualora nei fatti oggetto di accertamento possa ravvisarsi illecito penalmente perseguibile.
Altre forme di perquisizione in luoghi diversi dalla privata dimora[1] potranno – se necessario – essere richiesti al Magistrato del luogo (art. 13 L. 689/81), essendo anzi l’introduzione abusiva presso tali luoghi atto penalmente perseguibile ai sensi dell’art. 615 c.p.
Una applicazione analogica della norma in vigore e della relativa giurisprudenza porterebbe quindi a far rientrare anche la “nave” nel concetto si dimora, qualora il contravventore vi soggiorni oppure vi si trattenga sia per esplicare la propria attività professionale che per altre attività di natura privata.
Tale applicazione per analogia non può tuttavia estendersi anche agli autoveicoli, per perquisire i quali dovrà farsi riferimento alle ordinarie disposizioni in materia penale nonché dalle leggi speciali di P.S. (es. art. 4 L. 152/1975; art. 27 L. 55/1990; art. 103 D.P.R. 309/1990; art. 1 D.L.349/92).
Senza necessariamente utilizzare,tuttavia, l’istituto della perquisizione penale o amministrativa, per controllare i veicoli dovrà farsi ricorso al disposto dell’art. 192 comma 3 che consente la ”ispezione” degli stessi al fine di verificarne la corrispondenza alle norme costruttive e di circolazione: naturalmente se a seguito di detta ispezione l’agente accertatore rileverà la presenta di tracce o corpi di reato ovvero di beni o strumenti oggetto di confisca obbligatoria se non facoltativa, procederà al riguardo secondo le disposizioni vigenti - e secondo le norme del c.p.p.. in caso di ipotesi di reato accertato nel corso di tale attività.
Da quanto sopra evidenziato si rileva che – in mancanza di specifiche forme di coazione non previste dalla legge – il contravventore non ha l’obbligo di rendere dichiarazioni a lui sfavorevoli, come pure non può procedersi coattivamente nei confronti di terzi a ricercare eventuali elementi o tracce dell’illecito che si va a contestare, ovvero obbligare i medesimi ad eventuali esibizioni.
Quanto sopra naturalmente salve le facoltà e i poteri posti in capo all’Autorità Marittima, per i propri fini istituzionali,nei confronti degli interessati comunque soggetti alla giurisdizione amministrativa dell’Autorità medesima (es. iscritti all’art. 68 Cod. nav.; iscritti alla Gente di Mare, ecc.), ovvero nell’esercizio dei poteri di Polizia Amministrativa comunque conferiti all’Autorità Marittima in materia di Sicurezza della Navigazione e della vita umana in mare, prevenzione degli infortuni sul lavoro, ecc.[2], nonché per le violazioni previste dallo stesso art. 192 commi 6° e 7° in materia di ci rcolazione stradale.

 

 


[1] Cass. Pen, Sez. 1° del 05/03/76
[2] Cass. Pen., Sez. IV^,Sent. n° 7409 del 24.06.2000  in materia di violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro commessi a bordo di nave anche straniera)

 

Assumere sommarie informazioni

Significa «rivolgere domande» anche senza trascriverle in un Verbale, presso chiunque, quindi anche presso persone che non potrebbero essere obbligate a testimoniare nel processo penale e presso persino l'autore dell'illecito. Non è, però, prevista alcuna forma di coazione, né di sanzione, per le persone che rifiutano di collaborare. Né esse potranno essere perseguite per favoreggiamento personale o per testimonianza falsa o reticente, dal momento che l'accertamento verte su fatti che non costituiscono reato.

 

Le ispezioni

Sono consentite su luoghi diversi dalla «privata dimora», inteso come luogo ove la persona attualmente si trova. L’espressione privata dimora va intesa nel senso dell’art. 614 c.p. e comprende ogni luogo usato per lo svolgimento di attività private, non soltanto l’abitazione di una persona fisica ma, in generale l’ambiente in cui si esplica la sfera intima e privata di un soggetto.
Nella nozione di privata dimora, così intesa, rientrano l’appartamento cittadino, la villa isolata, la roulotte, il prefabbricato, la tenda o la baracca dei terremotati e dei villeggianti; ed anche lo studio professionale, il circolo privato, la camera d’albergo, il laboratorio dell’artigiano, il bar di uno stabilimento balneare nonché le dipendenze dell’abitazione e dei luoghi predetti (cortile, garage, cantina, orto, terrazzo,ecc.).
L’autoveicolo o il natante (inteso in senso generale) sono considerati come "un’estensione" dell’abitazione e come luogo privato, dal quale l’avente diritto può escludere legittimamente i terzi.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 23 Legge 963/1965 – (Ispezione alle navi e luoghi di deposito) gli incaricati della vigilanza sulla pesca marittima possono in ogni momento visitare le navi, i galleggianti, gli stabilimenti di pesca, i luoghi di deposito e di vendita ed i mezzi di trasporto dei prodotti della pesca, al fine di accertare l’osservanza delle norme sulla disciplina della pesca.
L’art. 26 comma 5, altresì, punisce con la sanzione amministrativa da 103 € a 1549 €, salvo che il fatto non costituisce reato (es. resistenza, minaccia o violenza a Pubblico Ufficiale), chiunque non consente o impedisce l’ispezione da parte degli addetti alla vigilanza sull’attività di pesca
Il veicolo o il natante possono essere certamente ispezionati nel loro aspetto esterno e nel loro funzionamento apparente.
Esistono norme di legge che consentono di effettuare lecitamente l’ispezione del veicolo e di ottenere l’apertura del vano portabagagli; ai valichi di confine é consentita una simile forma di controllo ispettivo per impedire il contrabbando; leggi finanziarie autorizzano lo spiombamento dei carichi e la verifica dei colli, per il riscontro della natura delle merci trasportate o della conformità dei documenti.
Gli organi che abbiano notizia o indizio dell’esistenza di armi o munizioni o esplosivi illecitamente detenuti, possono, ai sensi dell’art. 41 del T.U.L.P.S. perquisire luoghi pubblici e privati e, tra questi, l’automezzo; è consentita la perquisizione della persona e dell’automezzo o del natante, nel corso di operazioni di polizia, se per le circostanze di tempo e luogo e persona insorgano sospetti ed il sospetto riguardi la probabile esistenza di armi, esplosivi, munizioni o strumenti di effrazione.
Fatta eccezione per queste specifiche ipotesi, non è consentita l’ispezione dell’autoveicolo, ostandovi l’equiparazione sostanziale di quest’ultimo alla privata dimora.

  • Ispezione Amministrativa (art. 192 comma 3 C.d.S.)

Un caso particolare di Ispezione si ha in materia di controllo dei veicoli (art. 192 comma 3° C.d.S.): trattasi di un tipo di controllo tecnico finalizzato ad accertarne la rispondenza tecnica e la conformità del veicolo stesso alle norme sulla circolazione: non costituisce quindi una vera e propria perquisizione, ma di fatto dal controllo dello stesso potrebbero emergere elementi che potranno comportare un successivo provvedimento – effettuato quest’ultimo negli specifici modi e forme di legge - di sequestro amministrativo ovvero penale.

 

Rilievi segnaletici e operazioni tecniche

Significa poter acquisire le prove dell'infrazione mediante fotografie, planimetrie, controllo della velocità dei veicoli a motore, anche prelievo e successiva analisi di campioni, e così via.

Perquisizione amministrativa

Quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, gli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria (non gli altri organi addetti al controllo), oltre a compiere gli atti di cui sopra, possono procedere a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora (v. ispezioni), previa «autorizzazione motivata»[1] dell’Autorità Giudiziaria competente del luogo (art. 13 legge 689/81), con i seguenti limiti:

  1. deve essere impossibile acquisire, altrimenti, gli elementi di prova;
  2. deve trattarsi di luoghi diversi dalla privata dimora;
  3. occorre l'autorizzazione motivata dell’Autorità giudiziaria competente del luogo in cui si deve effettuare l'atto (si tratta infatti di una forma di perquisizione diversa da quella prevista dal codice di procedura penale).
  • La Polizia Giudiziaria deve tuttavia rispettare, per l’esecuzione, le formalità del c.p.p. e precisamente:
  1. la perquisizione non può iniziare prima delle ore 7 né dopo le ore 20 e non può essere eseguita in tempo di notte;
  2. all’interessato, o a chi assiste alla perquisizione, deve essere consegnata copia dell’autorizzazione dell’A.G.; deve inoltre essere dato avviso della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché prontamente reperibile.

E’ evidente che tale atto deve essere considerato quale estrema ratio e, comunque e sempre, limitato ai luoghi. Non si potrà mai, quindi, procedere a perquisizione personale in materia di illeciti amministrativi.

 

 


[1] Trattasi di atto che – pur se eseguito al solo fine di rilevare un illecito amministrativamente sanzionato - va sempre autorizzato preventivamente dal P.M. (vedi al riguardo Cass. Civ. – Sentenze n° 16424 del 21.11.02; n° 19690 del 29.09.04; n° 19689 del 01.10.04; n° 1699/05; e C.T.R Lazio – Sent. n° 186/19/05 del 30.11.05) ed è finalizzato al solo accertamento di materiali o beni oggetto di sequestro amministrativo – a seguito di illecito non penalmente rilevante.

 

  

Il sequestro amministrativo

La legge 689/81 prevede che possa essere disposta, come sanzione amministrativa accessoria, la “confisca” delle cose che servirono a commettere la violazione o che ne sono il prodotto, sempre ché appartengono ad una delle persone cui è ingiunto il pagamento.
Per garantire l'applicabilità di tale sanzione, gli organi preposti all'accertamento delle violazioni amministrative hanno la facoltà di procedere al «sequestro cautelare» delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa obbligatoria o facoltativa..
Tale potere non è indiscriminato, ma deve essere esercitato nei modi e con i limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro alla Polizia Giudiziaria: vale a dire quando vi è fondato motivo di temere che le cose oggetto di confisca possano essere alterate o disperse.
Il «sequestro» in seguito a violazioni amministrative non è, né una sanzione anticipata, né un mezzo di coercizione probatorio (per assicurare le prove della infrazione), ma: è solo una precauzione volta a rendere possibile l'applicazione di una sanzione accessoria (confisca) e per questo la legge n. 689/81 lo definisce «sequestro cautelare».
Possiamo quindi dire, che si tratta di un provvedimento cautelare prodromico alla confisca amministrativa, di cui all’art. 20 della legge depenalizzatrice.

Il sequestro amministrativo può essere «obbligatorio» o «facoltativo»: è sempre obbligatorio quando trattasi di beni od oggetti dei quali è vietato in modo assoluto la fabbricazione, la detenzione e l’utilizzo, oppure in altri casi espressamente previsti dalla legge, e cioè per i seguenti casi:

  1. di stupefacenti (art. 75/5 T.U. – art. 72/5 L. 685/75 – DPR 571/82) ;
  2. di veicoli utilizzati per trasporto di stupefacenti (art. 76 comma 1 lett.g) T.U. 309/90);
  3. di veicoli / natanti privi di assicurazione (L. 990/69 – art. 193 C.d.S.);
  4. di veicoli condotti da conducenti sprovvisti di patente (art. 116 C.d.S.) ;
  5. di veicolo non sottoposto a revisione (art. 17 C.d.S.) ;
  6. del bene / mezzo col quale è commesso l’illecito (art. 13 L.689/81).

Altra importante distinzione procedurale col sequestro penale è data dal fatto che il sequestro amministrativo non prevede convalida, ma solo opposizione dell’interessato all’Autorità competente a ricevere il rapporto: se l’opposizione non c’è, o viene rigettata, può procedersi a confisca (obbligatoria nei casi a) e b) nonché dei beni di cui è vietato in modo assoluto il possesso, la detenzione e la produzione).

 


 

Il sequestro obbligatorio

Gli Organi preposti all'accertamento non hanno da porsi particolari problemi quando il sequestro è «obbligatorio», e cioè se riferito alle seguenti violazioni:

  1. circolazione con veicolo per il quale non è rilasciato il documento di circolazione (art. 13, comma 3°);
  2. circolazione con veicolo a motore o unità da diporto non coperti dall'assicurazione obbligatoria (art. 13, comma 3°).

Il sequestro può considerarsi legittimo solo quando le circostanze dell'illecito, o la personalità del trasgressore, diano fondati motivi di sospettare che, nel caso concreto, le cose passibili di confisca saranno alienate o disperse.
Non può, inoltre, essere oggetto di sequestro cautelare la cosa che non è servita a commettere la violazione amministrativa, ma ne costituisce soltanto la prova; così come non può essere sequestrata una cosa che, pur essendo servita a commettere la violazione, non appartiene all'autore di essa, o a persona che sia con lui obbligata in solido, perché, in tal caso, non è possibile disporne la confisca.
Non può neppure essere effettuato il sequestro cautelare quando la cosa che servì a commettere la violazione sia proprietà di un minore, o di un incapace. Non possono, pertanto, essere sequestrati i documenti personali, quali ad esempio l'abilitazione al comando di unità, i documenti dell'unità stesse, sempre che i documenti predetti non costituiscano prova di illecito penalmente sanzionato, per cui si dovrà, nel caso, provvedere al sequestro penale e non cautelare amministrativo.
Oltre ai casi previsti espressamente dalla richiamata legge generale, l’art. 13 della legge 689/81 stabilisce che gli Ufficiali e gli Agenti di PG possono procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e nei limiti con cui il Codice di procedura penale consente il sequestro alla polizia giudiziaria.
Tra queste, quelle che con maggior frequenza trova richiamo nell'attività delle Capitanerie di Porto e nell'attività di prevenzione ed accertamento in ambito marittimo, è la Legge n. 963/65 sulla «disciplina della pesca marittima».
Nell'attuale formulazione, dopo le intervenute modifiche per effetto della Legge n. 381 del 25 agosto 1988, l'art. 27 della Legge 963/65 pone in stretto legame la violazione (intesa come mera azione illecita) all'art. 15 della stessa legge - commi a) e b) - in quanto attinenti la depenalizzazione) e la sanzione accessoria della confisca, tale che, mentre la sanzione principale (art. 26) deve essere diretta nei confronti degli autori del fatto illecito e degli eventuali obbligati in solido, la sanzione accessoria deve riguardare il pescato (prodotto di fatto illecito), gli strumenti, gli attrezzi e le apparecchiature usate in contrasto con la legge stessa (con esclusione delle navi) indipendentemente dall'appartenenza degli stessi all'autore della violazione, essendo esclusivamente rilevante il presupposto che le cose stesse siano state usate per commettere la violazione.
Per effetto dell'attuale formulazione della citata norma, nell'eventualità venga accertata la violazione ai commi a) e b) dell'art. 15, l'accertatore deve provvedere ad eseguire il sequestro (obbligatorio) delle cose indicate all'art. 27 della legge 963/65, poiché soggetti a confisca obbligatoria in relazione alla deroga contenuta nella norma speciale rispetto alla diversa previsione della norma generale (artt. 13 e 20 della Legge n. 689/81).
Ferma restando l'inderogabile previsione normativa che esclude l'applicazione della confisca alle navi, le quali, pertanto, non possono essere sequestrate, neppure facoltativamente, il sequestro dovrà riguardare, se illecitamente usati, le reti, le attrezzature da pesca (lampare, vongolare, ecc.) ed il pescato.

 

 


 

Il sequestro facoltativo

Il sequestro facoltativo eseguito dall'Agente accertatore, a differenza di quello obbligatorio, può legittimamente essere eseguito se riferito a:

  1. cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione (con l'esclusione degli attrezzi da pesca per i quali essendo prevista la confisca obbligatoria, il sequestro è obbligatorio e non facoltativo);
  2. cose che sono il prodotto della violazione, sempre che appartengono ad una delle persone cui sarà ingiunto il pagamento della sanzione, quale autore del fatto o obbligato in solido (con esclusione del pescato per il quale, essendo prevista la confisca obbligatoria, il sequestro è obbligatorio e non facoltativo);
  3. cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituiscono violazione amministrativa, a meno che esse appartengono a persona estranea alla violazione e che la fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione possono essere oggetto di autorizzazione amministrativa.

La stretta relazione tra sequestro e confisca induce a ritenere che non possono essere sequestrati i prodotti dell'azione illecita (escluso come detto il pescato) qualora all'accertamento risulti che le cose che costituiscono il prodotto dell'azione stessa appartengano a persona estranea alla violazione (cose non confiscabili); inoltre non possono essere sequestrate le cose, la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione ha costituito violazione amministrativa, se all'accertatore risulti che appartengano a persona estranea alla violazione e se per esse possa essere rilasciata l'autorizzazione che consenta il legittimo uso, porto, detenzione, alienazione o fabbricazione.

Dalle su accennate considerazioni emerge che l’obbligatorietà della confisca e del sequestro è direttamente collegata con l’uso illecito dell’attrezzatura stessa, piuttosto che dalla constatazione se l’attrezzatura stessa è o meno di uso potenzialmente illecito in sé, quali ad esempio le reti con le maglie di dimensioni inferiori a quelle previste.

 

Esecuzione del sequestro

L'esecuzione del sequestro di cose o beni, che come detto possono o devono essere sequestrate, consta di due aspetti tra loro collegati:

  1. aspetto amministrativo
  2. aspetto tecnico

L'aspetto amministrativo riguarda gli «adempimenti amministrativi cui l'accertatore ha l'obbligo di attenersi», mentre quello tecnico è riferito alle «modalità del sequestro».

► Adempimenti amministrativi per l'esecuzione del sequestro

Gli adempimenti amministrativi per l'esecuzione del sequestro consistono nella compilazione di un apposito «Processo Verbale» con il quale si dà atto del sequestro effettuato con l'indicazione dei seguenti elementi, per consentire l'esame della liceità del provvedimento adottato da parte dell'amministrazione competente, nonché per consentire alla parte interessata di proporre opposizione:

  1. data e luogo in cui il sequestro è avvenuto;
  2. generalità dell'accertatore che lo ha eseguito;
  3. descrizione dei beni o cose sequestrati, stato di conservazione ed elenco delle pertinenze del bene o cose sequestrate;
  4. generalità, se conosciute, del soggetto che deteneva le cose o i beni sequestrati;
  5. descrizione dell'illecito commesso con le cose sottoposte a sequestro e relative norme violate;
  6. dichiarazioni eventuali rilasciate dal detentore delle cose sequestrate;
  7. modi in cui sono stati apposti gli eventuali sigilli per impedire che quanto oggetto di sequestro sia posto in uso ovvero alterato;
  8. luogo di custodia e generalità del custode provvisorio o del custode definitivo.

Gli elementi predetti debbono essere indicati in modo chiaro sul Verbale che dovrà essere sottoscritto a cura dell’Agente accertatore che ha compiuto il sequestro e dallo stesso consegnato in copia al detentore delle cose sequestrate.

Altra copia del Verbale dovrà essere immediatamente inviata all'Amministrazione competente, ai sensi dell'art. 1 del D.P.R. n. 571/82 quali ad esempio, la Capitaneria di Porto nel caso di sequestri operati rispettivamente per violazione a norme del Codice della Navigazione, della legge sulla pesca marittima (n. 693/75), della legge sulla nautica da diporto (n. 171/05), oppure alla Prefettura competente per territorio nel caso di violazione alla legge sull'obbligo della assicurazione sulla responsabilità civile (n. 990/69).
L'obbligo di inviare "immediatamente" copia del Verbale di sequestro all'Amministrazione interessata, scaturisce da una duplice esigenza:

  1. facoltà consentita (art. 19 legge n. 689/81) agli interessati di proporre, anche immediatamente, opposizione al sequestro, con l'obbligo per l'Amministrazione di emettere, come avremo modo di parlare, la «ordinanza motivata» di risposta all'opposizione entro il 10° giorno successivo alla proposizione dell’opposizione, in assenza della quale, entro i suddetti termini, l'opposizione s'intende accolta ( c.d. silenzio accoglimento);
  2. nel caso di sequestro di cose suscettibili di alterazione (quali ad esempio il pescato) l'Amministrazione competente, se ritiene di confermare il sequestro perché l'illecito commesso risulta sufficientemente provato, può autorizzare l'alienazione o la distruzione di quanto oggetto di sequestro, salva la necessità di disporre il prelievo di campioni o di eseguire fotografie o altre riproduzioni.

Emerge dalle predette considerazioni che la pratica, peraltro non inconsueta, di far gettare in mare il pescato dopo l'accertamento di un illecito in materia di pesca è sicuramente soggetta a censura alla luce della obbligatorietà del sequestro nei modi previsti dalla legge.
Può essere, però, motivo di deroga la rilevata cattura di specie ittiche protette ovvero ancora in vita per cui, la reimmissione in mare appare giustificata; in tale ipotesi, tuttavia, di determinante importanza, sarà la possibilità di effettuare preliminari «rilievi fotografici» ovvero rilievi ritenuti necessari ed opportuni, fermo restando l'obbligo di verbalizzare la relativa circostanza nell'apposito Verbale.

Le cose sequestrate devono essere annotate su apposito “Registro delle cose sottoposte a sequestro” (art. 9 DPR 29/7/1982, n. 571) nel quale si devono indicare:

  1. gli estremi del procedimento a cui si riferiscono;
  2. l’autorità cui è stato inviato il Verbale di sequestro;
  3. le generalità del trasgressore e della persona cui appartengono le cose sequestrate;
  4. il luogo in cui sono custodite;
  5. le generalità del custode eventualmente nominato ai sensi dell’art. 7 e 8;
  6. gli eventuali estremi dei provvedimenti che autorizzano l’eliminazione o la distruzione, la confisca o la restituzione con la data di esecuzione.

► Adempimenti tecnici per l'esecuzione del sequestro

Per quanto attiene gli adempimenti tecnici riguardanti il sequestro occorre fare riferimento alla disposizione indicata nell'art. 5 del D.P.R. n. 571/82, la quale prevede che «le cose sequestrate vengono assicurate con il sigillo dell'Ufficio cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro».
Lo scopo della apposizione del «sigillo» è quello di impedire l'uso o l'alterazione di quanto sequestrato, tale che l'eventuale intervenuta violazione agli obblighi di custodia non possa sfuggire a specifica verifica.
La condizione indicata in precedenza deve essere osservata soprattutto qualora l'oggetto del sequestro (esclusi i natanti, consegnati ai soggetti già previamente individuati), per sua natura o in presenza di motivi di opportunità, venga temporaneamente affidato in custodia, dal che ha eseguito il sequestro, allo stesso soggetto che lo deteneva al momento dell'accertamento della violazione amministrativa, in attesa della convalida del procedimento di affidamento al custode nominato dal titolare dell'Ufficio cui appartiene l'accertatore.

Per quanto attiene alle concrete modalità di attuazione dell'apposizione del sigillo, potrà ricorrersi a taluno dei sistemi già noti nella prassi giudiziaria, quali l'uso della carta gommata, spago, ceralacca, piombo, avendo in ogni caso cura di apporre sul sigillo il timbro o il marchio dell'Ufficio cui appartiene il verbalizzante.

 


 

Il sequestro di navi

Per quanto attiene al sequestro di navi, anche se il D.P.R. n. 571 del 1982 ammette in ipotesi la possibilità che le unità sequestrate possano essere conservate presso la sede dell'Ufficio cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro ed affidate al custode appositamente incaricato, o alla custodia di terza persona, si ha fondato motivo di ritenere, almeno per quanto attiene le Capitanerie di Porto, che ben difficilmente esistano sedi in possesso delle necessarie aree ed attrezzature per poter adeguatamente custodire le unità stesse.
In relazione a ciò, si ritiene doveroso suggerire che gli accertatori si avvalgano della speciale facoltà prevista dall'art. 8 del richiamato D.P.R. n. 571/82, il quale esonera l'accertatore dall'onere di assicurare con il sigillo dell'Ufficio l'unità sequestrata. Tale adempimento è sostituito dal solo Verbale di consegna dell'unità sequestrata al custode già preventivamente individuato, sulla base dei requisiti tecnici e personali stabiliti dal Comandanti di Porto Capi di Circondario Marittimo.

È consentito al che ha eseguito il sequestro dell'unità di stabilire le necessarie prescrizioni per il trasporto al luogo di custodia, con l'eventuale ausilio degli ormeggiatori e del pilota, sentito, se del caso, anche l'ente tecnico (art. 8 D.P.R. n. 571/82).
Nell'ipotesi di violazione alle disposizioni sull'obbligo assicurativo dell'unità, il Verbale di consegna al custode dovrà essere immediatamente inviato, unitamente al Verbale di sequestro del mezzo, alla Prefettura competente per territorio, alla quale dovrà, altresì, essere data notizia dell'eventuale ausilio fornito da terzi soggetti per le operazioni preliminari alla custodia, al fine di consentire che in occasione dell'eventuale provvedimento di «dissequestro» ovvero di «confisca» sia tenuto conto delle spese da liquidare agli intervenuti ed al custode.

 

 

 

Il sequestro di attrezzi e oggetti

Con riferimento alle cose sequestrate bisogna distinguere tra:

  1. a quelle il cui uso è per se stesso lecito, ma sequestrate per il modo con il quale sono state utilizzate (ad esempio: bombole da sub, utilizzate dal pescatore sportivo; reti con maglie regolari, utilizzate in zona vietata) o quelle parimenti lecite (ad esempio: reti da posta) ma il cui uso è da considerare illecito perché utilizzate dal soggetto al quale erano precluse (ad esempio: pescatore sportivo);
  2. quelle illecite in sé, per le quali non si prevede un uso legittimo e quindi illecitamente utilizzate;
  3. quelle illecite in sé e quindi illecitamente utilizzate (ma che se sottoposte a lieve modifica possono essere considerate lecite);
  4. quelle che costituiscono il prodotto dell'attività illecita (quale ad esempio il pescato).

In proposito, si ritiene opportuno raccomandare che la facoltà di affidare in custodia al possessore degli oggetti sequestrati (normalmente l'autore stesso dell'illecito) sia da adottare esclusivamente nei casi di effettiva ed inderogabile necessità, e sia, in ogni caso, da evitare nel caso di sequestro di pescato e nel caso di sequestro di oggetti o cose illecite in sé, ma che se sottoposte a lievi modifiche possono essere ritenute lecite.

Particolare attenzione deve essere posta all'attenta verifica e corretta individuazione di quanto può essere sequestrato.
Anche per il sequestro valgono le considerazioni già espresse riguardo alla redazione del relativo Verbale nel senso che solamente ciò che con assoluta certezza è attinente l'illecito può essere sequestrato senza che dall'accertatore possano essere verbalizzate deduzioni personali non coordinate con quanto ha personalmente constato.

  • Ad esempio, in occasione di accertamenti in materia di pesca marittima dovrà, se possibile, essere individuato, tra il pescato presente a bordo dell'unità da pesca e oggetto di precedente attività, il quantitativo costituente prodotto dell'azione illecita oggetto di contestazione e da sottoporre a sequestro; ciò in particolare quando sia possibile ottenere la prova che anche in precedenza siano state commesse azioni illecite.

Così, analogamente, anche per quanto attiene gli attrezzi utilizzati illecitamente, si dovrà eseguire il sequestro solamente con riferimento a quelli che erano in uso al momento in cui è avvenuta la cognizione dell'illecito ovvero al momento della contestazione del fatto.

Nel caso, poi, pur essendo stata constatata l'avvenuta commissione dell'illecito non sia possibile eseguire il sequestro (perché, ad esempio, l'attrezzatura è stata abbandonata in mare, in un momento immediatamente successivo alla avvenuta contestazione) è consigliabile provvedere a sequestrare, se possibile, la parte dell'attrezzatura (ad esempio: i tronconi dei cavi tagliati) che sono rimasti a bordo, quale rafforzativa dell'illecito che verrà descritto nel contesto del Verbale di accertamento.

Si ritiene che il termine attrezzature indicato nel contesto dell'art. 27 della Legge n. 963/65, debba essere inteso con riferimento a tutta l'attrezzatura che è stata utilizzata «attivamente» per commettere l'illecito (ad esempio: reti, divergenti, cavi) con esclusione della attrezzatura che costituisce dotazione di bordo, ancorché funzionale ovvero necessaria per l'impiego della attrezzatura stessa.

 

Il sequestro di beni deperibili

Il caso che con maggior frequenza si presenta all'Amministrazione marittima, quale Autorità amministrativa competente, è il caso di sequestro di «prodotto ittico» proveniente da illecita attività di pesca.
In mancanza della disponibilità di adeguati mezzi per la conservazione del pescato a cura del custode, all'Amministrazione stessa si pone il problema dell'alienazione o distruzione del prodotto ittico, sempre che dall'Amministrazione stessa sia ovviamente riconosciuto che il sequestro è stato legittimamente effettuato.

  • Per quanto attiene l'alienazione è necessario operare la duplice considerazione:
  1. che l'art. 17 del D.P.R. n. 571/82 impone per la vendita delle cose sequestrate (e di quelle confiscate) l'osservanza delle norme per la contabilità dello Stato;
  2. che la Legge n. 963/65 (art. 24 e seguenti) non ammette, per il sequestro amministrativo, a differenza del sequestro penale, la restituzione all'interessato di quanto sequestrato, previo deposito da parte dello stesso di una somma di denaro di importo equivalente al valore commerciale del bene sequestrato.

In merito alla su accennata casistica, competente pertanto, in via generale, all'alienazione dei beni mobili di pertinenza del patrimonio disponibile dello Stato, nel cui ambito rientrano certamente i beni confiscati e quindi acquisiti alla proprietà dello Stato, è la «Direzione Regionale delle entrate» (ex Intendenza di Finanza) del luogo ove i beni stessi si trovano, sempre che non vi siano particolari disposizioni legislative che, per specifici settori o materie, individuino competenze diverse.
In relazione alla particolare situazione in cui si trovano le cose da alienare ed agli oneri che ne derivano alle Amministrazioni interessate, emerge chiaramente la necessità di provvedere con la massima urgenza e quindi la possibilità del ricorso in via normale alla «licitazione privata».
Si dovrà, invece, procedere col sistema della «trattativa privata» per la vendita delle cose sequestrate deperibili, sempre che il bene non sia già alterato (nel qual caso sarà distrutto ai sensi dell'art. 17, quarto comma, del decreto), e purché i tempi procedurali siano compatibili con lo stato di deperibilità del bene stesso.
Il ricavato delle vendite delle cose deperibili di cui all'art. 5, secondo comma, del decreto, dovrà essere versato in Tesoreria a titolo di deposito provvisorio di modo che l'amministrazione marittima interessata ne abbia la disponibilità cosi da poterne disporre al termine del procedimento o l'incameramento, se il procedimento stesso si sarà concluso con un provvedimento di confisca (da intendersi quale versamento all'erario nel caso dell'amministrazione marittima) o la restituzione all'avente diritto.
In relazione alle predette disposizioni è incontestabile che nel caso di sequestro di beni soggetti a rapida deperibilità, l'Amministrazione Marittima potrà senz'altro disporre la distruzione, purché il relativo provvedimento sia adeguatamente motivato.
Il provvedimento con il quale si dispone la distruzione delle cose sequestrate dovrà essere comunicato al custode delle stesse e dovrà contenere, anche in forma sintetica, le modalità da seguire per la distruzione, nonché l'obbligo, per il custode stesso, di certificare l'avvenuta distruzione con apposita «dichiarazione» da conservare agli atti della Amministrazione disponente.

 

Il custode dei beni sequestrati

Nell'ambito del procedimento amministrativo ed, in particolare, con riferimento al sequestro operato per effetto di avvenute violazioni a norme punite con la sanzione amministrativa, il D.P.R. n. 571/82 individua tre figure di «custode», tutte legittimate a mantenere la custodia delle cose sottoposte a sequestro ed individuate come segue:

  1. custode nominato dall'accertatore al momento del sequestro (quando lo richiedono le circostanze o per validi motivi di opportunità), sempre che non esistano le preclusioni indicate nel codice di procedura penale;
  2. custode nominato dal Comandante del Compartimento Marittimo, al quale è affidata la custodia di «natanti» sequestrati per effetto dell'avvenuta violazione sulla assicurazione obbligatoria;
  3. custode esistente presso ogni Ufficio al quale appartiene il legittimato ad eseguire accertamenti di illeciti.

Ai sensi del sesto comma dell'art. 7 del D.P.R. n. 571/82, il che ha proceduto al sequestro può, per la particolare natura degli oggetti sequestrati o per motivi di opportunità, disporre provvisoriamente che gli oggetti sequestrati siano affidati in custodia temporaneamente a soggetto diverso (c.d.«custode provvisorio») dal custode designato dal titolare dell'Ufficio cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro. Nel qual caso il custode nominato dal titolare dell'Ufficio (o il titolare dell'Ufficio stesso) deve convalidare o modificare la decisione di affidamento in custodia entro 5 giorni dalla data di avvenuto sequestro.

Il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro, ove non ritenga di affidare la custodia delle cose sequestrate al custode provvisorio, deve consegnarle al titolare dell'Ufficio medesimo. Nel caso, invece, di sequestro di «unità» il Pubblico Ufficiale che ha proceduto al sequestro può disporre che gli stessi qualora per motivi di praticità ed opportunità non possano essere custoditi dai soggetti sopraindicati, vengano custoditi (art. 8 D.P.R. n. 571/82) dai soggetti pubblici o privati già previamente individuati dai Comandanti di Porto Capi di Circondario (c.d.«custodi definitivi»).

 


 

Ulteriori accertamenti a cura dell'agente accertatore

Prima di indicare quali sono gli adempimenti che debbono essere compiuti dall'accertatore dopo la compilazione del Verbale e la notifica o contestazione, occorre fare riferimento alla fattispecie contemplata dall'art. 24 della legge n. 689/81 (connessione obiettiva con un reato).
Più chiaramente, esiste, in genere, la connessione qualora la cognizione di un illecito influisce sulla cognizione e prova di un altro illecito entrambi commessi in occasione di una infrazione attuata da un singolo soggetto attivo.

Quando si verifica tale connessione in quanto l'esistenza di un reato dipende dall'accertamento di una violazione non costituente reato (per esempio, illecito amministrativo), e per questa non sia effettuato il pagamento in misura ridotta, la competenza a decidere sulla violazione amministrativa, è attribuita al Giudice penale competente a conoscere del reato commesso.

Ovviamente non è possibile indicare anticipatamente tutti i casi nei quali detta connessione potrà esistere

  • A titolo di esempio, ci si potrà trovare in presenza di connessione allorquando l'«accertamento della misura delle maglie delle reti da pesca (=illecito amministrativo)» sia collegato alla concomitante circostanza dell'«uso di dette reti per la pesca di frodo (=illecito penale)».

In tale ipotesi il Giudice penale è competente a decidere anche sulla violazione amministrativa connessa.
Non è, pertanto, necessario che, al ricorrere di tale ipotesi, l'accertatore provveda ad eseguire nei modi rituali la contestazione o notifica dell'illecito amministrativo, il quale per effetto del richiamato art. 24, andrà segnalato unitamente al fatto penale, alla competente Procura della Repubblica presso il Tribunale.

Non appare poi possano sorgere particolari difficoltà attuative nel caso si debba operare contestualmente all'accertamento dell'illecito, anche il sequestro che, per effetto della connessione, dovrebbe riguardare esclusivamente l'aspetto penale piuttosto che quello amministrativo.

► Accertamento mediante analisi di campioni

Nel caso in cui, per l’accertamento di violazioni amministrative, siano state compiute «analisi di campioni», il responsabile del laboratorio è tenuto a comunicare l’esito all’interessato, mediante raccomandata A.R.

Il trasgressore o l’obbligato in solido hanno la facoltà di richiedere la revisione, con partecipazione di un tecnico di loro fiducia, ed anche in questo caso il dirigente del laboratorio deve comunicare gli esiti agli interessati.
La comunicazione degli esiti delle analisi tiene luogo alla contestazione delle violazioni.

 

 

Gli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria mediante analisi di campioni

L’atto di accertamento amministrativo costituisce il primo passo nel sistema sanzionatorio punitivo: è l’atto mediante il quale i soggetti abilitati (accertatori) riscontrano che in un luogo definito, in una certa data ed ora determinata si è consumata la violazione di una norma che è punita in via amministrativa. Ovviamente, alla fattispecie concreta andrà associata la fattispecie astratta prevista dal legislatore e assoggettata a sanzione. Talune violazioni presuppongono, per il loro accertamento, una analisi tecnica di laboratorio, come ad esempio l’accertamento di eventuali scarichi in acque pubbliche o private. È intervenuta, in materia amministrativa, la Legge 24 novembre 1981, n. 689, la quale, ad ulteriore precisazione, oltre alle disposizioni in materia di redazione del verbale di violazione amministrativa, l’art. 15, consente agli organi di controllo, e quindi organi che non devono obbligatoriamente possedere la qualifica di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria, ma semplicemente dipendenti di Enti Pubblici o, ancora di più, dipendenti di Enti Privati (es. ditte che hanno in appalto il servizio A.T.O.) di effettuare prelievi di campioni, anche all’interno delle ditte, per verificare il livello di contaminazione o non contaminazione. Lo stesso art. 15, inoltre, al fine di consentire il diritto alla difesa, pone il cittadino nella condizione di chiedere la revisione delle analisi dei campioni prelevati dagli organi accertatori prima dell’irrogazione della sanzione o del compimento degli effettivi atti del procedimento.

  • Gli accertamenti compiuti dagli Organi di polizia giudiziaria ai sensi del c.p.p. – Art. 223 disp. att. c.p.p

In materia penale, ovverosia nel caso in cui a seguito l’analisi del campione emerge una violazione avente carattere penale, è intervenuto l’art. 223[1] [65] delle disposizioni di attuazione del c.p.p. (Analisi di campioni e garanzie per l’interessato).

“…se è logico che l’autorità amministrativa, cui compete il diritto di effettuare i campionamenti delle acque, non abbia l’obbligo di preavvisare il titolare dello scarico circa il momento in cui verranno effettuate le operazioni di prelievo per evitare che possano esser apportate modifiche agli scarichi e di conseguenza fatte sparire le tracce di ogni irregolarità, non altrettanto può dirsi per quanto riguarda il momento delle analisi delle acque campionate. Infatti queste debbono essere esaminate con la massima tempestività stante la loro deteriorabilità e pertanto le analisi non sarebbero utilmente ripetibili nel corso del successivo procedimento penale.

In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, la Corte costituzionale con Sentenze n. 248/83 e 15/86[3] [65] della ha voluto sottolineare che, sebbene, al momento iniziale di prelievo di campioni, non è possibile venire a conoscenza se dall’analisi risulterà un superamento che rientra nella fattispecie penale, e quindi il prelievo può essere sempre eseguito ai sensi dell’art. 15 della L. 689, ma, nella ipotesi in cui il superamento rientra nel penale, l’operatore avrebbe dovuto seguire le procedure di cui all’art. 223 delle disp di att. del c.p.p. Pertanto, tale sentenza, impone a tutti gli operatori di adeguarsi ai principi dettati dalla c.p.p. in quanto assumono efficacia probatoria le analisi compiute con un vero e proprio accertamento assimilabile,nella sostanza, ad una perizia, fonte, quindi, di convincimento del Giudice; tanto più che le relazioni sulle analisi sono allegate agli atti del procedimento penale e di esso lo stesso Giudice può tener conto e darne lettura a norma dello stesso art. 466 c.p.p. Proprio questa particolare efficacia probatoria del risultato delle analisi impone che sia dato avviso alla parte onde consentirne la presenza con l’eventuale assistenza di un consulente tecnico. Circoscritta, quindi, la norma di cui al D.L.vo 152/06 sopra elencata, in riferimento al controllo sugli scarichi (art. 101), in riferimento all’art. 24 della Costituzione, il prelievo, originariamente amministrativo, ma con le tecniche dettate dal c.p.p. va riconosciuto valido a tutti gli effetti, e quindi considerato atto irripetibile da poter inserire nel fascicolo del giudice.

  • Corte costituzionale, Sentenze n. 248/83 e 15/86

In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, secondo quanto stabilito dalle sentenze n. 248/83 e 15/86 della Corte Costituzionale[3] [65], il diritto di difesa con riferimento alle analisi dei campioni è limitato al preavviso della data dell’inizio delle operazioni e del luogo, onde consentire l’eventuale presenza di un consulente privato. Poiché l’accertamento non ha natura di perizia processuale, non è prevista la presenza del difensore e neppure la redazione di un verbale, secondo le modalità del nuoivo codice di procedura penale negli articoli 134-137 e ss., applicabili eslusivamente alla documentazione degli atti assunti nel corso del procedimento penale. Le modalità tecniche delle analisi sonolasciate alla discrezionalità dell’amministrazione, la quale è tenuta a certificare soltanto il prelievo, l’apertura dei campioni e l’esito delle operazioni. Il certificato di analisi può, pertanto, essere legittimamente inserito nel fascicolo del dibattimento ed essere utilizzato quale mezzo di prova – Cass. III, sent. 512 del 22.1.1993 (ud. 22.10.92) rv. 192732.

 


[1] [65]Art. 223 (Analisi di campioni e garanzie per l’interessato)

1. Qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione, a cura dell’organo procedente è dato, anche oralmente, avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi verranno effettuate. L’interessato o persona di sua fiducia appositamente designata possono presenziare alle analisi, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall’art. 230 del Codice.

2. Se leggi o decreti prevedono la revisione delle analisi e questa sia richiesta dall’interessato, a cura dell’organo incaricato della revisione, almeno tre giorni prima, deve essere dato avviso del giorno, dell’ora e del luogo ove la medesima verrà effettuata all’interessato e al difensore eventualmente nominato. Alle operazioni di revisione l’interessato e il difensore hanno diritto di assistere personalmente, con l’assistenza eventuale di un consulente tecnico. A tali persone spettano i poteri previsti dall’art. 230 del Codice[2] [65].

3. I verbali di analisi non ripetibili e i verbali di revisione di analisi sono raccolti nel fascicolo per il dibattimento (431 c.p.p.), sempre che siano state osservate le disposizioni dei commi 1 e 2.

[2] [65].Art. 230  (Attività dei consulenti tecnici)

1. I consulenti tecnici (225, 2332; 38 att.) possono assistere al conferimento dell’incarico al perito (223 coord.) e presentare al giudice richieste, osservazioni e riserve, delle quali è fatta menzione nel verbale.

2. Essi possono partecipare alle operazioni peritali, proponendo al perito specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve, delle quali deve darsi atto nella relazione (227, 3603).

3. Se sono nominati dopo l’esaurimento delle operazioni peritali (228), i consulenti tecnici possono esaminare le relazioni e richiedere al giudice di essere autorizzati a esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto della perizia.

4. La nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento della loro attività non può ritardare l’esecuzione della perizia e il compimento delle altre attività processuali.

[3]  [65]Corte costituzionale, Sentenze n. 248/83 e 15/86

In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, secondo quanto stabilito dalle sentenze n. 248/83 e 15/86 della Corte Costituzionale, il diritto di difesa con riferimento alle analisi dei campioni è limitato al preavviso della data dell’inizio delle operazioni e del luogo, onde consentire l’eventuale presenza di un consulente privato. Poiché l’accertamento non ha natura di perizia processuale, non è prevista la presenza del difensore e neppure la redazione di un verbale, secondo le modalità del nuoivo codice di procedura penale negli articoli 134-137 e ss., applicabili eslusivamente alla documentazione degli atti assunti nel corso del procedimento penale. Le modalità tecniche delle analisi sonolasciate alla discrezionalità dell’amministrazione, la quale è tenuta a certificare soltanto il prelievo, l’apertura dei campioni e l’esito delle operazioni. Il certificato di analisi può, pertanto, essere legittimamente inserito nel fascicolo del dibattimento ed essere utilizzato quale mezzo di prova – Cass. III, sent. 512 del 22.1.1993 (ud. 22.10.92) rv. 192732.

L’obbligo di comunicare all’interessato l’esito delle analisi

La comunicazione a mezzo raccomandata costituisce la prima notizia dell’infrazione. Per la contestazione delle violazioni il cui accertamento richiede l’effettuazione di analisi su campioni, l’art. 15/689 detta disposizioni precise in materia. Tali violazioni sono tipiche ipotesi di trasgressione alle norme sulla genuinità degli alimenti e bevande, inquinamento idrico ed atmosferico, composizione dei carburanti.

La necessità delle analisi impone che l’accertamento della violazione avvenga in un momento successivo rispetto al tempo del prelevamento di campioni, perché solo successivamente all’esito si accerta il tipo di violazione. E’ quindi da questo momento che diventa possibile dare notizia al trasgressore dell’addebito che gli si ascrive. Infatti, poiché le analisi vengono quasi sempre eseguite all’interno di laboratori (A.R.P.A.), non è mai utilizzabile la procedura di contestazione immediata ex art. 14/689.

Invece, in materia di mancata comunicazione all’interessato, la Cassazione Civile, con Sentenza 13.07.2004, n. 12952, ha stabilito che , qualora per l’accertamento della violazione siano compiute analisi di campioni e i relativi risultati non siano stati comunicati all’interessato con lettera raccomandata, così come sancito dall’art. 15, comma 1 L. 689, la contestazione della violazione deve comunque seguire le normali procedure di cui all’art. 14 della medesima legge, e, pertanto, deve contenere gli estremi essenziali della violazione, quali risultanti dalle analisi compiute sul campione, riportando con esattezza l’esito delle analisi, allo scopo di garantire comunque il diritto alla difesa all’interessato, esercitabile anche mediante la richiesta di revisione delle analisi.

Il momento in cui cominciano a decorrere i termini per la contestazione della violazione

Ai fini della determinazione del dies a quo del termine di novanta giorni previsto dall’art. 14/689 per la notificazione del verbale irrogativo della sanzione amministrativa, deve aversi riguardo nella ipotesi di infrazione concretamente percepibile da parte degli Agenti competenti, e quindi, rileva a detti fini solo quando, dopo le rilevazioni eseguite da quegli Agenti, l’accertamento dell’infrazione risulti da verificare attraverso e per effetto di successivi esami o analisi rispetto al momento del prelievo (Cass. Civ. 29.03.1999, n. 3001).

Per le notifiche a mezzo posta, la Cassazione ha individuato la concreta applicazione delle norme dettate in materia civile, individuando il momento in cui deve ritenersi perfezionata la comunicazione nel momento in cui vi sia l’effettiva ricezione del piego raccomandato. Nessuna rilevanza è attribuita alla data di spedizione della raccomandata, ma soltanto dalla data risultante nella ricevuta di ritorno iniziano a decorrere i vari termini a disposizione dell’interessato.

Punto di prelievo dei campioni e Autorità compente per il controllo

Il punto di prelievo campioni di acque, sui quali effettuare le analisi chimico-fisiche dirette a verificare il superamento delle concentrazioni di sostanze inquinanti consentite dalle vigenti norme di legge, deve essere individuato - in osservanza ai principi di proporzionalità e precauzione - immediatamente prima dell'immissione di tali reflui industriali nel mare e non, invece, in corrispondenza del singolo impianto produttivo, ubicato all'interno dello stabilimento industriale.

Consiglio Stato, sez. V, 09 settembre 2005, n. 4648

La Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e la Direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrti provenienti da fonti agricole, sono state recepite dall’abrogato D.L.vo 152/1999 e dall’attuale D.L.vo 152/2006 (art. 101 commi 3 e 4). Le disposizioni summenzionate rispettivamente recitano: “Gli scarichi devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell’autorità competente per il controllo nel punto assunto per la misurazione. La misurazione degli scarichi, si intende effettuata subito a monte del punto di immissione in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne o marine, nonché in fognature, sul suolo o nel sottosuolo” e “per le acque reflue industriali contenenti le sostanze della tabella allegata, il punto di misurazione dello scarico si intende fissato subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo, ed esattamente nel punto preciso ove tali scarichi si immettono in un corso d’acqua. L’autorità competente può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostante sostanze della tabella allegata siano tenuti separati dallo scarico generale”.

Tutti gli organi tecnici di cui all’art. 13 l. 689/81. L’art. 101 comma 4 del D.L.vo 152/2006 recita: “L’autorità competente per il controllo è autorizzata a effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai parametri fissati subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale”.

Il compito dell’organo accertatore, quale organo di Polizia amministrativa o Polizia giudiziaria, è, dunque, quello di stabilire quale sia, nello specifico, l’uscita dello stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo, ovvero, in altri termini, se il prelievo di campioni di acqua, onde controllare la conformità ai limiti tabellari, dovesse effettuarsi in corrispondenza dell’uscita dei reflui dall’impianto dello stabilimento o, piuttosto, immediatamente prima dell’immissione degli stessi nel fiume, nel canale, o nel mare, una volta depurati all’interno dello stabilimento.

Procedure di alienazione e distruzione del materiale sequestrato e confiscato

Le procedure di alienazione e di distruzione di materiale, pericoloso per la salute pubblica oppure non deperibile, confiscato dal personale delle Capitanerie di Porto, e del materiale dissequestrato e non ritirato, proveniente, in particolare, dalle condotte illecite in materia di pesca sia sportiva che professionale, si conformano a quanto previsto dal D.P.R. 22 luglio 1982, n. 571 nonché dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 10 Dicembre 1984.

► Tali procedure si articolano come segue:

  • Materiale confiscato pericoloso per la salute pubblica
  1. Richiesta d'intervento, da parte del Capo dell'Ufficio Marittimo cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro, all’ A.S.L. competente per territorio ai necessari accertamenti (ad esempio, per quei materiali che possono essere da nocumento per salute pubblica);
  2. di tali accertamenti, effettuati per ogni oggetto confiscato, dovrà essere inviata copia alla Capitaneria di Porto competente per territorio con elenco dettagliato del materiale cui l’accertamento si riferisce, della data in cui si è proceduto al sequestro, del numero e della data della “Ordinanza di Confisca”;
  3. una volta ricevuta la suddetta documentazione, la Capitaneria di Porto competente dovrà provvedere in tempi brevi all’emanazione della “Ordinanza di Distruzione” che può essere cumulativa per tutti i materiali;
  4. dell’avvenuta distruzione, da parte del personale dell'Ufficio cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro, dovrà essere inviato alla Capitaneria di Porto competente apposito Verbale, per la successiva comunicazione all' Autorità Finanziaria.
  • Materiale confiscato non deperibile e non alterato

Solo quando il provvedimento che dispone la confisca diventa inoppugnabile, ovvero quando avverso lo stesso non è stato presentato ricorso entro 30 giorni dalla sua emanazione, si procederà alla alienazione del bene confiscato con la seguente procedura:

  1. Richiesta d’intervento, da parte del Capo dell'Ufficio cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro, di un rappresentante dell'Ufficio Tecnico Erariale (UTE) competente per territorio per la determinazione del valore residuo degli oggetti confiscati;
  2. stesura del Verbale di accertamento del valore commerciale residuo del materiale;
  3. invio alla Capitaneria di Porto competente per territorio, di un elenco dettagliato con accurata descrizione del bene, riportante la data in cui si è proceduto al sequestro, il numero e la data dell’ordinanza di confisca e l’indicazione del valore commerciale residuo stimato;
  4. la Capitaneria di Porto competente, ricevuta detta documentazione, provvederà in tempi brevi all’emanazione di una “Ordinanza di Alienazione” di detto materiale (anche cumulativa), che sarà trasmessa, in quanto competente all’alienazione di beni di pertinenza del patrimonio disponibile, al e per conoscenza al Comando che a suo tempo eseguì il sequestro e che, di fatto, ne ha la custodia;
  5. le somme ricavate dalle vendite saranno devolute - a cura dell'Amministrazione che ha eseguito la vendita - all'Erario ed imputate al Capitolo 2650 (entrate eventuali e diverse) del Capo VII Demanio ed al medesimi capitolo saranno imputate le somme relative alle spese di custodia e di conservazione del materiale;
  6. qualora la vendita non avesse luogo per mancanza di offerenti, o nel caso in cui il valore commerciale stimato residuo sia nullo, verrà ordinata dalla Capitaneria di porto competente la procedura di distruzione con le modalità di rito (lett. a).
  • Materiale sequestrato deperibile – pescato
  1. L'Ufficio cui appartiene il che ha eseguito il sequestro, informa la Capitaneria di Porto competente la quale, se ritiene di dover mantenere il sequestro, autorizzerà il citato Ufficio a procedere alla alienazione o distruzione;
  2. in caso di alienazione, la vendita del pescato dovrà essere effettuata dal personale dell'Ufficio cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro, presso il mercato ittico locale al valore di libero mercato, con dichiarazione di rito prevista dalle leggi di Contabilità Generale dello Stato;
  3. del ricavato della vendita dovrà essere effettuato versamento in Tesoreria a titolo provvisorio;
  4. in caso di distruzione, la stessa dovrà avvenire con le modalità di rito sopra indicate;
  5. nel caso in cui il pescato sia di modestissima quantità e di scarso valore economico, può essere presa in considerazione la possibilità di devolvere tale pescato in beneficenza ad un Ente assistenziale locale, previo rilascio, da parte del Veterinario dell’ASL, di un documento attestante la commestibilità del prodotto;
  6. dell’avvenuta devoluzione, l’Ente assistenziale beneficiario, dovrà rilasciare idonea attestazione all'Ufficiale accertatore che provvederà ad inviarla, unitamente al processo Verbale di sequestro, alla Capitaneria di Porto competente;
  7. nel caso in cui il pescato sequestrato sia ancora vivo, lo stesso può essere rigettato in mare e, di tale operazione, dovrà esserne fatta annotazione sul Verbale di sequestro a cura dell’agente accertatore;

Qualsiasi sia la procedura adottata, una volta ultimata, ne sarà data comunicazione alla Capitaneria di Porto competente per la successiva comunicazione all’ Autorità Finanziaria.

  • Materiale dissequestrato e non ritirato
  1. se decorsi 6 (sei) mesi da quando il provvedimento che dispone la restituzione delle cose sequestrate è divenuto inoppugnabile ed il soggetto a favore del quale è stata disposta la restituzione del materiale non provvede a ritirarle, del mancato ritiro ne dovrà essere informata l’Autorità che ha disposto la restituzione;
  2. di detto materiale, a cura di detta Autorità, ne verrà disposta l’alienazione che dovrà essere eseguita con le modalità di rito (lett. b);
  3. ultimata la procedura, ne darà comunicazione alla Capitaneria di Porto competente per la successiva comunicazione all’ Autorità Finanziaria.
  • Materiale di cui al 4° comma dell'art. 20 L. 689/81
  1. Nel caso in cui l’oggetto del sequestro è costituito da materiale la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisce violazione amministrativa, ovvero quando detto materiale non è conforme a quanto previsto dalle Leggi e dal Regolamento sulla pesca marittima, dello stesso verrà disposta dalla Capitaneria di Porto competente la confisca con la quale si ordinerà direttamente la distruzione;
  2. la distruzione dovrà avvenire con le modalità di rito (lett. a).
     

 

 

Contestazione e notificazione

In via principale, l’art. 14 della legge 689/81 prescrive che in caso di accertamento di violazione amministrativa, si debba procedere se possibile, «immediatamente» alla contestazione, sia al trasgressore che alla eventuale persona obbligata in solido.

Con il termine di «contestazione» si indica l'attività diretta ad informare il trasgressore e l'obbligato in solido del fatto illecito.

Lo scopo della norma è, prima di tutto, quello di consentire all'interessato una «efficace difesa».

Le violazioni amministrative, infatti, consistono nella stragrande maggioranza in comportamenti (azioni od omissioni) istantanei, privi di evento, per cui il trasgressore a volte, quando ha agito senza dolo, non si rende conto nemmeno di aver commesso il fatto illecito, ed in ogni caso non ne conserva il ricordo che per brevissimo tempo.

La legge prevede due forme di contestazione:

  1. quella «immediata o personale»;
  2. quella «differita o per notificazione».

La contestazione ha importanza fondamentale, perché con questo atto la Pubblica amministrazione partecipa al trasgressore la sua pretesa di pagamento di una somma in denaro a titolo di sanzione per un illecito, e instaura il necessario contraddittorio.

L'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti sia stata omessa la notificazione nel termine prescritto (art. 14 L. 689/81).

È censurabile l'operato dell'accertatore che, pur potendo effettuare la contestazione immediata, la omette, e provvede in un secondo tempo alla notifica; ma gravemente scorretta ci sembra anche la prassi secondo la quale, avvenuta la contestazione, l'accertatore si limita a prendere nota delle generalità del trasgressore per inviargli in un secondo tempo il Verbale di notificazione a domicilio, ponendo a suo carico le relative spese.

L'omissione della contestazione, anche se sanabile con la successiva notificazione, non è comunque priva di conseguenze per l'accertatore, il quale potrà andare incontro a sanzioni disciplinari e, se ha agito con dolo, anche a procedimento penale, per «omissioni di atti d'ufficio» o perfino, a seconda dei casi, per «falsità ideologica».

 

 

Identificazione: trasgressore e obbligato in solido

Nel redigere il Verbale, appare opportuno procedere ad «identificare» compiutamente sia il trasgressore che l’obbligato in solido, riportandone le esatte generalità oltre che gli estremi del documento di identificazione (per il trasgressore) ovvero dell’atto che qualifichi la figura dell’obbligato in solido (contratto di noleggio o di leasing finanziario, visura camerale da cui si identifichi la persona fisica del legale rappresentante; attestazione P.R.A. da cui si evinca l’intestatario del veicolo, intestatario della concessione, ecc.).
Tali soggetti andranno distintamente e separatamente riportati sul processo verbale redatto dagli Agenti accertatori, alle relative voci “contravventore” e “obbligato in solido”.
Occorre rammentare l’importanza che una corretta identificazione del trasgressore ed il riportare quindi i precisi dati anagrafici del medesimo riveste per la successiva procedura per la formazione dei «Ruoli esattoriali», in quanto può comportare il c.d. “scarto del nominativo” per errore anagrafico e conseguentemente un ingiustificato ritardo nell’iscrizione a Ruolo con relativo aggravio di spese.

  • Accertamento dell'identità personale del trasgressore

Preliminarmente rilevasi come la persona nei cui confronti vengono svolti gli accertamenti in merito all’illecito amministrativo è tenuta a fornire indicazioni sulla propria identità personale, la cui omissione è punita ai sensi dell’art. 651 c.p. - che è cosa diversa dall’obbligo di recare con se un documento di identità e di esibirlo ad ogni richiesta di Agenti e Ufficiali di P.S. (qualifica questa non rivestita dal personale delle Capitanerie di Porto) - procedura questa prevista dall’art. 4 del T.U.L.P.S. (approvato con R.D. 18/6/1931, n. 773) e dall’art. 11 D.L. 21/3/1978, n. 59 (conv. con modif. nella Legge 18/5/1978, n. 191) solo nei confronti delle persone pericolose e sospette, nei cui confronti l’Autorità di P.S. medesima (e solo quella) può disporre l’accompagnamento coattivo in caserma per successiva identificazione.

I documenti di identità "equipollenti" alla carta di identità sono elencati dall’art. 292 del R.D. 06.05.1940, n° 635, e come tali riportati dall’art. 35 del successivo D.P.R. 445/2000, e cioè:

  1. passaporto
  2. patente di guida
  3. patente nautica
  4. titolo matricolare (libretto di vavigazione di I^ e II^ Ctg. G.d.M. e Foglio di ricognizione)
  5. libretto di pensione
  6. il porto d’armi
  7. il patentino di conduzione impianti termici
  8. la nuova patente di guida plastificata[1]
  9. qualsiasi documento di identità munito di fotografia rilasciata da un’Amministrazione dello Stato (ai sensi dell’art. 35 del citato D.P.R. 445/2000).

Si rileva, al riguardo, come il conducente del veicolo trovato sprovvisto del documento di guida può ottemperare all’invito di esibizione di detto documento – ex art. 180 C.d.S. – anche inviando a mezzo fax al Comando cui appartiene l’accertatore copia fotostatica della patente medesima (Circolare Comando P.M. di Roma n° 92 del 14.06.06).
Il contrassegno di assicurazione deve essere esposto sul parabrezza (art. 181 C.d.S) e deve altresì essere sempre perfettamente leggibile[2].
L’accompagnamento negli Uffici del Comando previsto inoltre dall’art. 11 della L. 18.05.78, n° 191 (c.d. “ fermo di pubblica sicurezza”) assolve a funzioni essenzialmente preventive, e trova applicazione esclusivamente se la persona rifiuta di dichiarare le proprie generalità, ovvero ricorrano sufficienti indizi per ritenere false le generalità fornite ovvero i documento di identità esibiti.
Tale atto ha funzione diverse rispetto a quelle previste dall’art. 349 comma 4 c.p.p. che consente alla Polizia Giudiziaria (quindi anche al personale del Corpo delle Capitanerie) di accompagnare nei propri Uffici per la identificazione i potenziali testimini, ovvero le persone nei cui confronti vengono svolte le indagini.

  • All’atto pratico, non potendo conoscere altrimenti l’identità di una persona ovvero qualora si dubiti delle generalità dalla stessa fornite, sarà opportuno richiedere l’intervento di personale con qualifica di P.S. (Polizia di Stato, Carabinieri e G.d.F. ) per procedere all’identificazione.

Tale procedura è obbligatoria se si è in presenza di cittadini «extracomunitari» per verificare l’eventuale sussistenza di provvedimenti di espulsione già emanati a carico dei medesimi (art. 13 T.U. 25/07/98, n. 286, così come sostituito dall’art. 13 bis della L. 106/2002), poiché in questo caso scatterebbero le procedure di arresto obbligatorio ovvero di espulsione prefettizia con accompagnamento coattivo alla frontiera (art. 14 T.U.).

 

 


[1] Giusta Circolare n° M/2413/8 del 14.03.2000 del Ministero dell’Interno

[2] Cass. Civ. - Sent. n° 18109 del 12.09.05

 

Identificazione: minore

Se il trasgressore risulta essere un «minore», la notifica andrà fatta nei confronti di un genitore convivente ovvero nei confronti di chi risulti legalmente essere il tutore dello stesso [1]; in caso di separazione dei genitori l’atto andrà notificato nei confronti del genitore convivente che eserciti la potestà di genitore sul minore - il quale ultimo - essendo giuridicamente “incapace” – non può essere destinatario di alcuna contestazione formale (ex art. 2 L.689/81 e art. 195 C.d.S.), mentre il genitore risponde ex lege della condotta (c.d culpa in vigilando) del proprio figlio minorenne – anche se non risiede con lo stesso e viva separatamente dal ragazzo[2].
Nel verbale pertanto dovrà essere indicato quale effettivo trasgressore la persona tenuta alla sorveglianza nei confronti del minore medesimo[3] .
Parimenti se l’infrazione commessa dal minore comporta decurtazione di punteggio, questa non può essere effettuata nei confronti del genitore o dell’esercente la potestà di genitore.


 


 


[1] Sentenza Cass. Civ. n. 4286 del 26.4.2002

[2] Cass. Civ. – Sent. n° 6685 del 21.03.07

[3] Circolare n° 300/A/1/41491/131/S/1/1 del 26.05.05 del Ministero degli Interni

[2] Parere Mininterno n° 300/A/1/45328/13/S/1/1 del 10.11.05.

Identificazione: conducente di un veicolo

L’ intestatario del veicolo andrà identificato mediante la residenza, il domicilio o sede del soggetto risultante dalla carta di circolazione, dalla patente di guida e dagli archivi del P.R.A. e della M.C.T.C. ai sensi dell’art. 201 comma 3 del C.d.S., al fine di evitare un difetto di notifica se il contravventore avesse omesso di aggiornare le propria residenza anagrafica sui documenti automobilistici.
In base al corrente orientamento giurisprudenziale, il conducente dell’autoveicolo risponderebbe anche dell’operato dei passeggeri per le violazioni commesse da questi ultimi .

  • Ad esempio, omesso utilizzo delle cinture di sicurezza, apertura degli sportelli senza previo accertamento del sopraggiungere di altri veicoli o persone, ecc).

Il trasgressore – quale persona fisica – che si avvalga della facoltà di "oblazione" in via breve, non ha più, una volta pagato, alcun titolo per fare ricorso (art. 204 bis)[1], salvo che trattasi di persona diversa dall’intestatario del veicolo, e per le sole sanzioni accessorie[2].

 

 


[1] Come confermato anche dalla Corte Costituzionale (Ordinanza n° 46 del 20.02.07)

[2] Cass. Civ. a SS.UU. – Sent. n° 20544 del 29.07.08

 

Identificazione: persona giuridica

La notifica dell’accertamento della contestazione deve essere fatta nei confronti di chi risulta essere «legale rappresentante» pro-tempore della Società o dell'Ente; mentre se si intende notificare una copia al «dipendente» che ha commesso materialmente la violazione di cui la società debba rispondere occorre accertarsi della effettiva "qualifica" e "mansione" societaria ricoperta dal dipendente medesimo, al fine di evitare che venga notificato un atto nei confronti di un soggetto che svolga mansioni esterne o occasionali o addirittura non sia affatto dipendente della società alla quale si intende addossare la responsabilità del fatto illecito contestato.
A tal riguardo la giurisprudenza ha considerato valida la notifica effettuata nei confronti di un socio o di un collaboratore presso la sede dell’azienda[1], mentre la cancellazione di una società non produce effetti presso i terzi creditori anteriori ancora sussistenti, con conseguente legittimazione del liquidatore a ricevere gli atti pur dopo il provvedimento di cancellazione[2].
Si rileva tuttavia come (specialmente per le c.d.”Auto aziendali”) – qualora il proprietario abbia pagato la sanzione – il conducente possa comunque ricorrere avverso la «sanzione accessoria» della decurtazione del punteggio sulla patente, perché ha un interesse diretto e concorrente a quello del proprietario[3], significandosi comunque che il pagamento in misura ridotta non preclude la possibilità di espletare successivo rcorso per le eventuali sanzioni accessorie non pecuniarie[4].

 

 


[1] Cass. Civ. – Sent. n° 24622 del 03.10.08
[2] Cass. Civ. - Sez. Trib. – Sen. n° 25472 del 20.10.08

[3] Sent. n° 53 del 23.02.05 del G.d.P.di Abbiategrasso

[4] Cass. Civ. a SS.UU. – Sent. n° 20544 del 29.07.08

 

Identificazione: cittadino straniero

Per i trasgresori "cittadini stranieri" e residenti all’estero, dovranno essere adottate le disposizioni imposte dalla «Convenzione Europea di Strasburgo» del 24.11.77, ratificata con Legge 21.03.83, n° 149, tenendo presente che alcuni Paesi non forniscono generalità né notificano atti giudiziari ai propri cittadini[1] , per cui le notifiche andranno tradotte nella lingua originaria e trasmesse alle Autorità Centrali (Regolamento 1348/2000).

Se il trasgressore risulta "cittadino extracomunitario", particolare attenzione andrà riportata alle procedure di preventiva identificazione al fine di verificare la presenza a suo carico di eventuali provvedimenti già emanati di espulsione dal territorio nazionale, che ne comporterebbero l’arresto ovvero l’accompagnamento coattivo alla frontiera o a un centro di accoglienza secondo le modalità previste dal combinato disposto del T.U. 286/98 come modificato dalla Legge 106/2002.
Per i soli «cittadini rumeni» si applicano inoltre disposizioni di cui alla Legge 01.11.07, n° 181 in materia di allontanamento dal territorio nazionale – provvedimento questo assunto dal Prefetto competente per territorio – che dovrà essere notiziato in materia per l’adozione dei provvedimenti di competenza[2].

Si evidenzia inoltre come per i soli automobilisti stranieri di «madrelingua tedesca» la contestazione deve essere fatta anche nella lingua originale[3].
Se la violazione contestata concerne il Codice della Strada, troverà invece applicazione l’art. 207 C.d.S., che obbliga il contravventore a procedere all’immediato pagamento ovvero – in alternativa – al versamento di cauzione, a prestare fideiussione in mancanza delle quali si procederà al ritiro della patente ovvero al fermo del veicolo.

 


[1] Giusta Circolare n° 099/102/4342 emanata in data 09.06.99 dal Ministero Affari Esteri)

[2] Circolare del Ministero dell’ Interno n° 555/410/2007 del 03.11.07
[3] Consiglio di Stato – Sez. VI^ - Sent. n° 2630 del 11. 05.06

 

Contestazione immediata

L’art. 14 della L. 689/81 prevede che la violazione debba “quando è possibile”, essere contestata immediatamente al "contravventore" nonché all’ "obbligato in solido".
Tale obbligo assume un rilievo essenziale per la correttezza del procedimento sanzionatorio, in quanto la mancata contestazione immediata potrebbe configurare violazione di legge che rende illegittimi i successivi eventuali atti del procedimento amministrativo, per violazione dei diritti della difesa a favore della parte[1] .
Chi è preposto istituzionalmente all'accertamento delle violazioni o chi ha facoltà di procedervi (Ufficiali o Agenti di P.G.) deve immediatamente, quando è possibile, «contestare» il fatto al trasgressore.

La «contestazione immediata» serve a mettere in grado il trasgressore di rendersi conto dell'infrazione commessa, il che gli consente di far valere le proprie eventuali ragioni. Nello stesso tempo, come vedremo, essa facilita una sollecita risoluzione del procedimento amministrativo, attraverso l'istituto del pagamento in misura ridotta (la c.d.«conciliazione»).
Oggetto della contestazione è l'enunciazione chiara ed esplicita del fatto commesso in violazione di precise disposizioni di legge; destinatari della contestazione sono l'autore della violazione e la persona eventualmente obbligata in solido, perché entrambi tenuti al pagamento della somma dovuta a titolo di sanzione e quindi interessati al contraddittorio con la pubblica amministrazione.

Come la giurisprudenza ha in più occasioni affermato, «contestazione immediata» non equivale a «contestazione contestuale».

  • È infatti possibile che la contestazione venga differita nel tempo, sia pure di poche ore :
  1. perché il trasgressore non può essere avvicinato sul momento (condizioni avverse del mare);
  2. perché, anche se avvicinato, non è in grado di riceverla (per ubriachezza, per malattia od altra incapacità temporanea di intendere e di volere);
  3. perché, in casi estremi, il trasgressore può non ottemperare all'intimazione di fermarsi e darsi alla fuga (e il caso di violazioni commesse da conducenti di veicoli o natanti a motore );
  4. perchè l'agente accertatore ha finito il blocco dei verbalì (.....e ciò può capitare dopo un'attività giornaliera operativa intensa).

È intuitivo, pertanto, che non in tutti i casi la contestazione immediata è possibile. Rinunciare, in questi casi, ad applicare la sanzione amministrativa costituirebbe un premio per quanti riescono, anche dolosamente, e persino compromettendo l'incolumità altrui, a sottrarsi alla contestazione immediata.

La «contestazione immediata» consiste sia nel far presente all’ interessato il fatto (azione od omissione) commesso, sia nell'indicare la disposizione di legge con la quale tale fatto si pone in contrasto. La contestazione immediata serve quindi a mettere in grado il trasgressore di rendersi conto dell'infrazione commessa il che gli consente, come abbiamo detto in precedenza, di far valere le proprie eventuali ragioni.
La preferenza del legislatore va a questa agile forma di contestazione, che consente al trasgressore non solo una difesa pronta e non appannata dal decorso del tempo, ma anche, in certi casi, una definizione immediata della pendenza, con vantaggio non solo del trasgressore ma anche della pubblica amministrazione.

Per la validità della contestazione immediata è richiesta la sussistenza della «capacità naturale», cioè quella minima di intendere e di volere, nel consegnatario del Verbale di contestazione e, ad esempio, non è stata ritenuta valida quella fatta a persona in stato di ubriachezza.

 

 


[1] Sentenze n° 12833 del 31.05.07; n° 26311 del 07.12.06 e n° 4010 emanata in data 03/04/2000 dalla Cassazione Civile – Sez. III

 

Contestazione differita

Qualora non sia possibile procedere a contestazione immediata (per assenza del conducente, per impossibilità di avvicinarsi a sufficienza all’unità interessata alla violazione, per stato di ubriachezza, per fuga del contravventore, ecc.) ciò andrà espressamente riportato in «calce» al Verbale con le relative e succinte motivazioni, significandosi tuttavia che anche l’impossibilità di fermare il trasgressore per contestargli la violazione costituisce una valutazione degli agenti accertatori, e come tale suscettibile di valutazione da parte del Giudice, che dovrà valutare tale circostanza sulla base delle condizioni della strada, del traffico e della condotta del conducente[1].

L'art. 14 della legge n. 689/81 stabilisce che, quando non sia possibile procedere alla contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone interessate (trasgressori e obbligati in solido) si fa luogo alla contestazione successiva, per «notificazione».

La notificazione è la «contestazione differita» delle violazioni amministrative, che per essere valida va compiuta entro un termine perentorio.

  • Gli estremi della violazione debbono essere notificati:
  1. entro 90 (novanta) giorni, se il trasgressore risiede in Italia[2] ;
  2. entro 360 (trecento sessanta) giorni, se il trasgressore

Tali termini decorrono dalla data dell'accertamento. Nel caso che essa non avvenga entro i termini suddetti si estingue l’obbligazione ed il trasgressore non è più obbligato a pagare la somma dovuta per la violazione.
Nell’eseguire la notificazione bisogna attenersi alle norme previste dal c.p.c. dagli artt. 138, 149 e dalla legge 20/11/82, n. 890 relativa alla notificazione a mezzo posta di atti e comunicazioni di carattere giudiziario.

La notificazione può essere effettuata oltre che dall’Ufficiale giudiziario (art. 137 c.p.c.), anche da un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione (art. 14 Legge 689/81) ovvero da un Ufficiale o Agente di PG (art. 14, comma 4 Legge 689/81): il notificatore e l’accertatore debbono, comunque, sempre appartenere alla stessa amministrazione.

 

 


[1] Cass. Civ. – Sez.I° - Sentt. n° 18271 del 30.08.07 e n° 1406 del 27.01.04.

[2] 90 gg. per le violazioni al Codice della Strada

Adempimenti e regole da osservare

  • L'Agente accertatore deve:
  1. Formare un numero di copie conformi uguale a quello dei destinatari con l’aggiunta di una copia che deve fungere da originale;
  2. la relata di notifica va apposta, possibilmente, in calce o sul retro dell’ atto o sul foglio aggiunto con il timbro tondo dell’ufficio apposto sulla giuntura dei fogli;
  3. di ogni notificazione effettuata fare attestazione, mediante relazione datata e sottoscritta dall’Ufficiale o dall’Agente di polizia giudiziaria sull’originale dell’atto e sulla copia che viene consegnata (art. 148, comma 1 c.p.c.);
  4. se l’atto viene consegnato al portiere o a un vicino di casa, la relata di notifica deve essere sottoscritta anche da questi (art. 139, comma 4 c.p.c);
  5. sulla relazione di notifica devono essere indicati: la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità nonché il luogo della consegna, oppure le ricerche anche anagrafiche fatte, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario (art. 148, comma 2 c.p.c.).
  • Modalità di esecuzione della notificazione:

    La notificazione deve essere eseguita:

  1. mediante consegna della copia nelle mani del destinatario ovunque si trovi (art. 138, comma 1 c.p.c.), se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, bisogna darne atto alla relazione e alla notificazione si considera fatta a mani proprie (art. 138, comma 2 c.p.c.);
  2. se la consegna non è possibile a mani del destinatario, la notificazione deve essere fatta nel comune di residenza del destinatario ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ ufficio o esercita l’ industria o il commercio (art. 139 c.p.c.),
  3. se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, copia dell’ atto viene consegnata ad una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o l’azienda, purché non minore di quattordici anni e non palesemente incapace (art. 139, comma 2 c.p.c.);
  4. in mancanza delle persone suddette, la copia è consegnata al portiere dello stabile dov’è l’abilitazione, l’ufficio o l’azienda e, quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla (art. 139, comma 3 c.p.c.); il portiere o il vicino di casa deve sottoscrivere l’ originale e della consegna deve essere data notizia al destinatario dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento (art. 139, comma 4 c.p.c.);
  5. se il destinatario vive abitualmente a bordo di una nave mercantile, l’atto può essere consegnato al capitano o a chi ne fa le veci (art. 139, comma 5 c.p.c.);
  6. quando non è noto il comune di residenza, la notificazione si fa nel comune di dimora e, se anche questa è ignota, nel comune di domicilio osservando, in quanto possibile, le disposizioni precedenti (art. 139, comma 6 c.p.c.);
  7. se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone suddette, la copia dell’atto da notificare deve essere depositata nella “casa del comune” dove la notificazione deve eseguirsi affiggendo avviso di deposito alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario dandogliene notizia per raccomandata con avviso di ricevimento (art. 140 c.p.c.);
  8. se non sono conosciuti la residenza, la dimora e il domicilio del destinatario e non è stato nominato procuratore, la notificazione si esegue mediante deposito di copia dell’atto nella casa comunale (vedi modello N. 3) dell’ultima residenza o, se questa è ignota, in quella del luogo di nascita del destinatario o mediante affissione di altra copia nell’albo dell’ufficio giudiziario davanti alla quale si procede (art. 143, comma 1 c.p.c.).

 

 

 

Forme e modalità dell'atto di notifica

Le forme e le modalità della notifica sono previste dalla Legge 890/1982 e dal Codice di Procedura Civile – art. 137 e ss.
Recentemente la Suprema Corte ha statuito come l’effetto delle variazioni anagrafiche ai fini delle notificazioni degli atti è immediata[1].
La notifica deve essere effettuata – quando possibile – immediatamente nei confronti del contravventore (cioè del soggetto responsabile della violazione), mediante consegna allo stesso di copia del relativo verbale.
Qualora non sia possibile la contestazione immediata e contestuale notifica del fatto illecito accertato, le procedure da attuare per una corretta notifica del provvedimento sanzionatorio assumono una importanza fondamentale per la validità della stessa contestazione, in considerazione anche dei termini perentori di notifica a pena di decadenza dalla potestà di legittimamente contestare l’infrazione medesima, nei termini rispettivamente previsti dall’art. 14 della L. 689/81 (90 giorni) e dall’art. 201 del D.lgs. 285/92 (C.d.S.) (150 giorni).

L’eventuale "difetto di notifica" comporta la possibilità per l’interessato di adire in giudizio per l’esercizio del mezzo di tutela previsto dalla legge riguardo agli atti sanzionatori[2].
Si rilevi peraltro come – in specie per le violazioni al Codice della strada – la notifica del fatto contestato può essere legittimamente effettuata anche successivamente, qualora la complessità degli accertamenti non consenta una ricostruzione immediata della dinamica dei fatti e quindi una immediata contestazione delle violazioni al contravventore[3].

  • La notifica può essere eseguita (casi più frequenti):
  1. presso il domicilio del contravventore
  2. a mezzo affissione albo pretorio
  3. a mezzo servizio postale
  4. a mezzo di funzionario dell’amministrazione

 

 


[1] Cass. Civ. – Sez. Tributaria – Sent. N° 26542 del 05.11.08

[2] Cass. a Sezioni Unite – Sentenza n° 562 del 10.08.2000.

[3] Cass. Civ. – Sez.II^ - Sent. n° 7131 del 17.03.08

 

Notifica presso il domicilio del trasgressore

La notifica si intende regolarmente eseguita se effettuata presso quello che risulta essere il «domicilio anagrafico» del trasgressore, nelle mani dello stesso, oppure presso persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con il destinatario o a persona detta alla casa o dal servizio di essa (collaboratrice domestica), al portiere dello stabile, oppure a persona che – vincolata da rapporto di lavoro continuativo, è tenuta alla distribuzione della posata al destinatario (segreteria dell’ufficio della persona giuridica, collaboratore o dipendente dell’azienda identificata quale obbligato in solido, socio della stessa [1], ecc.), e purchè il consegnatario non sia manifestamente affetto da malattia mentale e non abbia età inferiore a 14 anni (art. 139 C.p.c.).
Pertanto nella relata di notifica andrà espressamente indicato a chi è stato materialmente consegnato il plico contenente l’atto amministrativo. In ogni caso la Pubblica Amministrazione, dovrà fornire la prova dell’avvenuta notifica del verbale a domicilio del contravventore[2].

 

 


[1] Cass.Civ. – Sent. n° 24622 del 03.10.08

[2] Cass. Civ. – Sez. II^ - Sent. n° 5789 del 15.03.06

 

Notifica a mezzo affissione Albo pretorio

Tale procedura è prevista dagli art. 140 e ss. C.p.c. mediante affissione all’Albo della «Casa Comunale» tramite l’Ufficio dei messi notificatori – così come regolamentato dalla Legge 03.08.99, n. 265 e dal D.M. 14.03.2000, da applicare in caso di irreperibilità del destinatario di cui sia però nota la residenza anagrafica. Ciò naturalmente purchè non risulti possibile notificare altrimenti la violazione contestata.
Qualora sia "ignota" anche la residenza anagrafica dello stesso, potrà trovare invece applicazione l’art. 143 C.p.c., significandosi tuttavia che la giurisprudenza costante della Cassazione legittima l’applicazione di tale procedura solo quando il destinatario dell’atto sia ripetutamente assente dal luogo di residenza anagrafica, richiedendo al riguardo particolari accertamenti[1] .

 

 


[1] Cass. Civ. n° 3743 del 02.06.88.

 

Relazione di notificazione: modello

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO
GUARDIA COSTIERA
______________________

 

 

Oggetto: Relazione di notificazione mediante deposito dell’atto nella Casa Comunale.

 


Il sottoscritto Ufficiale o Agente di PG ________________________________ in servizio presso ___________________ dà atto che il giorno _________________ alle ore ______________ in _________________________ ha notificato gli estremi della violazione amministrativa di cui al soprascritto/retroscritto verbale mediante deposito nella Casa comunale di ____________________________________ non avendo rinvenuto all’indirizzo indicato né esso destinatario né alcuna alcuna persona idonea e disposta a ricevere l’atto; di ciò è stato affisso alla porta il prescritto avviso ed altro avviso è stato spedito ad esso destinatario a mezzo di Raccomandata, A.R. n. ____________ spedita oggi ________________ ex artt. 157-140 c.p.c.

oppure

a mani del Sig. ______________________________ obbligato in solido con il trasgressore Sig. _____________________________.
Il Sig. ________________________ obbligato in solido, ha dichiarato ____________________

 

Letto,confermato e sottoscritto.

 

 

Il Ricevente       _____________________

Il Verbalizzante  _____________________

 

 

Avviso di notificazione: modello

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO
GUARDIA COSTIERA
______________________



Oggetto: Avviso di notificazione mediante deposito nella Casa Comunale (da affiggere alla porta) ex art. 140 c.p.c. e art. 4 R.D. 1.12.1941, n. 1368

  

Il sottoscritto Ufficiale o Agente di PG ________________________________ in servizio presso ___________________ in esecuzione dell’art. 140 c.p.c., comunica che in data ____________ ha notificato a ______________________________ gli estremi della violazione amministrativa n° ___________ prevista dall’art. ____________ accettata il giorno ____________________ in ___________________ mediante deposito di copia nella Casa Comunale di ______________ e affissione dell’avviso dell’avvenuto deposito alla porta dell’abitazione/ufficio/azienza del destinatario.-oppure a _________________ (persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio, all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace – art. 159 Codice di Procedura Civile).

 

Luogo e data _______________


Firma deIl’Ufficiale o Agente di PG
_______________________
_______________________

 

 

Avviso di deposito: modello

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO
GUARDIA COSTIERA
______________________


Racc/ta A.R.


Il sottoscritto Ufficiale o Agente di PG ______________________________________ in servizio presso ___________________________

 

Dà notizia

al Sig. ________________________ abitante a _______________ via ____________________ n° _________ che, dovendo notificargli un atto di _____________ a norma dell’art. 14, comma 2 della Legge 689/81 ad istanza di __________________ non avendo trovato esso destinatario nella sua casa di abitazione o dove ha l’ufficio o l’azienda e, stante l’incapacità, l’irreperibilità – il rifiuto delle persone indicate nell’art. 139 c.p.c., ha depositato copia dell’atto suddetto nella casa Comunale di _________________________________ in data ______________________.


Luogo e data _______________


Firma deIl’Ufficiale o Agente di PG
_______________________
_______________________

 

 

 

Notifica a mezzo servizio postale

Se non è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi anche a mezzo del servizio postale (art. 149, comma 1 c.p.c.); in tala caso la «relazione di notificazione» viene scritta sull’originale e sulla copia dell’atto facendo menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale viene spedita la copia al destinatario in "piego raccomandato" con avviso di ricevimento che deve essere allegato all’originale (art. 149 c.p.c.).

Per la notifica a mezzo posta bisogna munirsi di buste e moduli per avvisi di ricevimento entrambi di colore verde e conformi al modello prestabilito dall’Amministrazione postale (art. 2 Legge 890/1982).

  • La copia dell’atto da notificare deve essere presentata all’ufficio postale in busta chiusa sulla quale vanno apposti:
  1. nome, cognome, residenza e dimora o domicilio del destinatario con l’aggiunta di ogni particolare idoneo ad agevolare la ricerca;
  2. il numero del registro cronologico, la sottoscrizione ed il sigillo dell’Ufficio (art. 3 Legge 890/82).

La consegna effettiva del piego raccomandato al destinatario è fatta dall’agente postale secondo le regole previste dalla legge in proposito e cioè: a mani del destinatario, di una persona di famiglia o di un addetto alla casa o al servizio, oppure, in mancanza di tali soggetti, al portiere o ad altra persona tenuta alla distribuzione della posa.
Il rifiuto da parte del destinatario di ricevere il piego, o di firmare il registro di consegna, equivale alla eseguita notifica (art. 7 Legge 890/1982).
Si ribadisce che l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto.

► Approfondimenti

Tale procedura è prevista dalla Legge 20.11.82, n. 890 e segnatamente dall’art. 8, commi 2° e 3°, che prevede come la notificazione si abbia per eseguita decorsi 10 giorni dalla data del deposito.
Il perfezionamento della notifica avviene pertanto il decimo giorno computato a partire da quello successivo di spedizione della comunicazione di avvenuto deposito, sia in caso di mancato ritiro da parte del destinatario, sia in caso di effettivo ritiro presso l’Ufficio postale dall’undicesimo al novantesimo giorno dell’avviso di deposito in raccomandazione (C.A.D.).
Qualora il postino non reperisca il contravventore presso il domicilio indicato, l’Amministrazione postale è tenuta ad inviare allo stesso una seconda raccomandata[1].
Per tale procedura assume la massima importanza una corretta e preventiva identificazione del contravventore e/o obbligato in solido, riportandosi con esattezza le generalità anagrafiche dei medesimi sull’indirizzo che verrà riportato sulla busta “Raccomandata A.G.”, ciò considerando che una errata identificazione del destinatario può causare la nullità della notifica e conseguentemente del relativo verbale[2].
In ogni caso la notifica del verbale deve considerarsi perfezionata – per la Forza di Polizia – con la consegna del verbale all’Ufficio postale, mentre per il contravventore si perfeziona con la ricezione[3].
La notifica a mezzo servizio postale del verbale consente altresì di legittimamente riportare nello stesso le "motivazioni" che hanno precluso di effettuare la contestazione immediata[4] .
Eventuali errori nell’indirizzo del contravventore devono in ogni caso ritenersi sanati – e conseguentemente la contestazione è valida – se la notifica avviene comunque nei confronti del contravventore[5].
In ogni caso è la Pubblica Amministrazione. che deve fornire la prova dell’avvenuta notifica[6].
Rilevasi al riguardo come l’art. 36 del c.d. «Decreto Milleproroghe 2008» ha ampliato le garanzie delle notifiche a mezzo servizio postale, disciplinate dalla Legge n° 890/1982, disponendo che in caso di notif ica avvenuta a mezzo consegna a un familiare, a un vicino o ad altro soggetto abilitato, il destinatario deve essere comunque di ciò avvisato a mezzo apposita raccomandata.

 

 


[1] Cass.Civ. – Sez.II^ - Sent. n° 7815 del 04.04.06

[2] Cass. Civ. Sez. I n° 1079 del 22.01.04

[3] Circolare n° 300/A/1/26466/127/9 del 20.08.77 del Ministero dell’Interno

[4] Cass. Civ. – Sez. I^ - Sent. n° 21649 del 08.11.05

[5] Cass. Civ. – Sent. n° 15030/07

[6] Cass. Civ. – Sez. II^ - Sent. n° 5789 del 15.03.06

 

Modello

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO
GUARDIA COSTIERA
______________________

 

 

Oggetto: Notificazione a mezzo del servizio postale.

  

Il sottoscritto Ufficiale o Agente di PG ________________________________ in servizio presso _____________________________ dà atto di aver notificato l’atto che procede (o retroscritto) a ___________________________ (generalità del destinatario) a mezzo del servizio postale a norma dell’art. 149 c.p.c. con racc. A.R. n. ___________________ spedita dall’Ufficio postale di ___________________.

 

Luogo e data _______________


 

Firma deIl’Ufficiale o Agente di PG
_______________________

 

 

 

 

Notifica a mezzo di funzionario dell’amministrazione

Tale procedura è consentita soltanto se eseguita da personale della stessa Amministrazione che ha proceduto all’accertamento ed alla contestazione; risulterebbe "nulla" se eseguita da personale di altra Amministrazione come stabilito dalla giurisprudenza[1].

  • Ad esempio, Polizia di Stato, Carabinieri, Vigili del fuoco per verbali elevati da personale delle Capitanerie di Porto

In caso di materiale impossibilità della notifica per irreperibilità dell’interessato presso la propria residenza anagrafica, ed in assenza di eventuale immigrazione presso altro Comune o altro indirizzo (da accertare presso l’Ufficio Anagrafe ovvero la locale Polizia Municipale), potrà richiedersi l’accertamento dell’effettivo domicilio tramite le Forze di Polizia insistenti sul territorio ove è situato l’ultimo domicilio noto.

 

 


[1] Cass. Civ. – Sez. 1° - Sent. n° 563 del 21.01.94

 

 

Omissione della contestazione

La contestazione ha importanza fondamentale, perché con questo atto la Pubblica amministrazione partecipa al trasgressore la sua pretesa di pagamento di una somma in denaro a titolo di sanzione per un illecito, e instaura il necessario «contraddittorio».
L'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti sia stata omessa la notificazione nel termine prescritto (art. 14 L. 689/81).

È censurabile l'operato dell'accertatore che, pur potendo effettuare la contestazione immediata, la omette, e provvede in un secondo tempo alla notifica; ma gravemente scorretta ci sembra anche la prassi secondo la quale, avvenuta la contestazione, l'accertatore si limita a prendere nota delle generalità del trasgressore per inviargli in un secondo tempo il "Verbale di notificazione" a domicilio, ponendo a suo carico le relative spese.

L'omissione della contestazione, anche se sanabile con la successiva notificazione, non è comunque priva di conseguenze per l'accertatore, il quale potrà andare incontro a «sanzioni disciplinari» e, se ha agito con dolo, anche a procedimento penale, per «omissioni di atti d'ufficio» o perfino, a seconda dei casi, per «falsità ideologica».

 

Il verbale di accertamento

Per  “accertamento” si intende la valutazione, compiuta dall’agente accertatore, che un determinato comportamento – in relazione alle circostanze di tempo, di luogo, alle norme, alle Ordinanze locali, o quant’altro da singola disposizione espressamente specificato – viola una specifica disposizione normativa o regolamentare, e dalla successiva identificazione del soggetto responsabile.
La redazione del processo verbale di accertamento e contestazione amministrativa costituisce quindi atto dovuto al fine di consentire al trasgressore di esercitare il «diritto di difesa», e deve riportare il fatto contestato, le violazioni riscontrate e le dichiarazioni difensive rese dal contravventore.

Dopo la contestazione del fatto e della norma violata è necessario redigere «Verbale di contestazione»[1]. Detto verbale deve inoltre riportare lo specifico illecito che viene contestato al contravventore[2].

  • Sul processo Verbale (detto di “accertamento e contestazione in via amministrativa”), devono essere indicati i seguenti elementi:
  1. giorno, ora e località dove è stata accertata l’infrazione;
  2. tipo di veicolo a mezzo del quale è stata commessa l’infrazione (eventuale);
  3. sommaria esposizione del fatto accertato e contestato;
  4. indicazione della norma che si intende violata (e relativa disposizione punitiva);
  5. modalità per avvalersi della facoltà di effettuare il pagamento in misura ridotta;
  6. Autorità amministrativa competente a stabilire la sanzione, ed alla quale potranno presentarsi scritti difensivi o documenti o richiesta di audizione, entro 30 giorni dalla data della contestazione o notifica (60 giorni per le infrazioni al C.d.S.);
  7. avvertenza che nel caso in cui il soggetto non si avvalga della facoltà di effettuare il pagamento in misura ridotta entro i termini, l’accertatore inoltrerà rapporto all’Autorità amministrativa competente
  8. indicazione e sottoscrizione dell’agente accertatore, e dell’Ufficio da cui dipende.

Tale ultima formalità potrà essere sostituita mediante indicazione a stampa dei soggetti responsabili artt. 383 comma 4 e 385 comma 3 e 4 Reg. C.d.S. – art. 3 D.Lgs.12.02.93, n° 39)[3].
La mancanza di uno o di alcuni dei suddetti dati potrebbe infatti concretizzare un vizio di forma che rende nullo il verbale[4].
Qualora il contravventore sottoscriva tuttavia anche successivamente il relativo verbale, ove si attesti anche la presa visione dello stesso, la notifica si intende quindi regolarmente effettuata[5].

Si rileva inoltre come le contestazioni che comportino anche decurtazione del punteggio sulla patente, devono al riguardo anche richiamare il relativo art. 126 bis C.d.S. per consentire al trasgressore di verificare la corretta decurtazione del punteggio[6].
Benché il verbale di accertamento redatto con le forme di legge costituisca e fa normalmente piena prova fino a querela di falso dei fatti che il Pubblico Ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza ex art. 2700 Cod. civ.(salva la facoltà del contravventore di provare l’erronea percezione del fatto contestato da parte dei PP.UU.)[7], la puntuale e precisa contestazione nei confronti del contravventore e dell’obbligato in solido del fatto illecito attestato costituisce elemento fondamentale del relativo procedimento, i cui vizi – anche se apparentemente banali - si possono ripercuotere sul relativo atto causandone la nullità, e ciò per la particolare valenza giuridica delle norme poste dal legislatore a tutela della parte interessata.

Si esaminano pertanto di seguito dei casi particolari che possono verificarsi, e costituire – se applicati in modo erroneo – causa di nullità della contestazione medesima e quindi del procedimento:

  1. La contestazione è compiutamente formalizzata mediante consegna di «copia» del Verbale di accertamento, completo in ogni sua parte tanto all'autore dell'illecito amministrativo che all'obbligato in solido, purché tale consegna avvenga, come detto, nell'immediatezza dell'accertamento. Essa è poi ulteriormente perfezionata con la sottoscrizione del destinatario della contestazione sulla copia del Verbale che viene conservata dall'accertatore, quale prova della avvenuta consegna.
  2. Qualora il destinatario della contestazione rifiuti di sottoscrivere in segno di ricevuta di copia, la sottoscrizione mancante può essere legittimamente sostituita dalla «dichiarazione» con la quale l'accertatore fa rilevare che la consegna della copia è stata effettuata nonostante il rifiuto del trasgressore alla sottoscrizione.
  3. Qualora la contestazione non sia stata effettuata per una valida ragione è necessario che la circostanza che ha determinato l'impedimento emerga dal contesto del Verbale al fine di giustificare l'omissione della contestazione da parte dell'accertatore, il quale dovrà, comunque, provvedere alla notifica al trasgressore entro i termini stabiliti.
  • E’ il caso, ad esempio, del Comandante della Motovedetta della Guardia Costiera che a causa delle condizioni avverse del mare sia impossibilitato a contestare immediatamente il Verbale al trasgressore: dovrà comunque provvedere a notificarlo entro i termini stabiliti e cioè entro 90 giorni se residente in Italia ovvero 360 se all’estero.
  1. Poiché è difficilmente ipotizzabile che il trasgressore e l'obbligato in solido siano sempre congiuntamente presenti ogni volta che avviene la commissione di un illecito, si dovrà necessariamente, anche per uno stesso fatto, effettuare una contestazione o una notifica agli obbligati in solido.
  2. Analogamente, qualora la responsabilità di uno stesso fatto sia ascrivibile a più soggetti, dei quali solo uno è autore materiale dell'illecito (art. 5 legge 689/81), anche nei confronti degli altri responsabili (e non agli obbligati in solido) dovrà procedersi a notifica.
  3. Nell'ipotesi che la norma sanzionatrice non preveda un minimo limitandosi ad indicare solamente il limite pecuniario massimo si applica «un terzo del massimo edittale» (art. 16 della legge n. 689/81).

 

 


[1] Sentenze di Cass. civ. n. 12105 del 27.9.2001 e n. 1015 del 10.7.2002, Sez. I.

[2] Cass. Civ. Sez. II^ - Sent. n° 1083 del 18.01.07

[3] Cass.Civ. – Sez.I^ - Sent. n° 1923/99 

[4] Cass.Civ. – Sent. n° 23506/2007

[5] Cass.Civ. – Sent. n° 24553/2008

[6] Vedi in proposito Sent. G.d.P. di Faenza, n° 566 del 26.07.05

[7] Sentenze Cass. Civ. n° 9909/2001, n° 1406 del 27.01.04; n° 18271 del 30.08.07; n° 21816/2008

 

 

Descrizione dell'illecito

Il Verbale di accertamento di illecito è prova, ai sensi dello art. 2700 del Codice civile, sino a querela di falso, della provenienza del documento del Pubblico Ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il Pubblico Ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Proprio per effetto del richiamato art. 2700 nel processo Verbale è indispensabile evidenziare che il fatto stesso è avvenuto in presenza dell'accertatore.
Ad ulteriore chiarimento, e ciò al fine di evitare ogni possibile contestazione nell'eventualità che venga proposta «opposizione» alla successiva «Ordinanza-ingiunzione» di pagamento, è da sottolineare che la tutela posta alla fede della dichiarazione dell'accertatore è limitata ai soli fatti e non alle deduzioni dello stesso o sue convinzioni che spesso vengono indicate nel Verbale in luogo della descrizione dei fatti illeciti accertati.
In relazione a ciò, in assenza di specifica descrizione dei fatti accertati nel relativo Verbale, ancorché risultino indicate le deduzioni, ovvero il convincimento dei verbalizzanti, potrebbero configurarsi "irregolarità" tali da invalidare l'atto di accertamento, con impedimento per l'Amministrazione di perseguire il trasgressore nei termini di legge ovvero, con impegno per la stessa di acquisire posteriormente, i necessari elementi probatori con conseguente difficile riscontro a causa del tempo trascorso.

Il caso di errata o incompleta compilazione di processo Verbale di accertamento si manifesta con maggiore frequenza nelle ipotesi di illeciti amministrativi in materia di «pesca marittima».

Si verifica, infatti, assai spesso che l'illecito venga dichiarato dall'accertatore come sua convinzione o come sua deduzione, con il ricorso alle "tipiche affermazioni":

  1. «…stava pescando in zona vietata»
  2. «…usava attrezzi non consentiti»
  3. «…pescava un quantitativo eccedente il limite ammesso»

….senza procedere ad una circostanziata rilevazione e descrizione della condotta illecita mediante la narrazione della dinamica dei fatti.

  • Nel caso, ad esempio, di «pesca a strascico», l'illecito dovrà essere descritto con l'indicazione :
  1. della distanza dalla costa;
  2. della profondità del fondale nella zona dell' occorso illecito;
  3. del mezzo (meccanico) utilizzato;
  4. dichiarando anche i modi (rilevamenti) o sistemi (scandaglio a mano) utilizzati per accertare tali elementi.
  • Nel caso, invece, venga contestato l'«uso di attrezzi vietati» per la pesca, nel contesto del Verbale di accertamento si dovranno descrivere:
  1. gli attrezzi stessi;
  2. la caratteristica che li rende non ammessi.
  • Mentre nel caso venga contestata la «pesca di prodotti ittici» eccedenti il quantitativo massimo consentito, nel contesto del Verbale si dovrà dare atto:
  1. del peso effettivo del pesce catturato.

Nell'ipotesi in cui la violazione sia segnalata da privati, il personale che la riceve deve prendere atto della segnalazione (la omissione è sanzionata dall'art. 328 c.p.) atteso che il perseguimento delle violazioni amministrative non costituisce un fatto meramente discrezionale ma un preciso dovere istituzionale.
Pertanto dopo l'esperimento delle necessarie indagini ed accertamenti si dovranno «notificare» i fatti all'autore degli stessi ed agli eventuali obbligati in solido.

► Nel verbale devono essere obbligatoriamente riportati:

  1. il luogo ove la contestazione è avvenuta ( es. “banchina sud del porto..... ” se la violazione contestata è riferita ad un punto specifico precluso da un’Ordinanza);
  2. la data e l’ora del fatto (per evitare possibili contestazioni connesse all’eventuale assenza sul posto – nell’ora indicata sul verbale – del trasgressore);
  3. la targa ed il tipo del veicolo a mezzo del quale è stata commessa l’infrazione.

Quanto sopra assume particolare rilevanza in caso di opposizione avverso il provvedimento di Ordinanza-Ingiunzione , che si propone – ex art 22 L. 689/81 – innanzi al Giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione[1].
Al riguardo appare opportuno rammentare come la giurisprudenza ha precisato che l’omessa indicazione del tipo di veicolo – pur se non produce, di per sé, l’invalidità del verbale – può incidere tuttavia sull’efficacia probatoria dello stesso, rendendo incerto l’identificazione del veicolo a mezzo del quale la violazione si assume commessa[2].
Il verbale deve essere obbligatoriamente sottoscritto dagli agenti accertatori, a meno che trattasi di atto redatto con sistema meccanizzato (artt. 383 e 384 Reg.C.d.S.) [3] di cui l’originale – ovvero il relativo rapporto di servizio redatto ex art.17 Legge 689/81 riportante l’accertamento effettuato – sia depositato agli atti dell’Ufficio; procedura in mancanza della quale l’accertamento è da ritenersi nullo.
Non è obbligatorio invece l’apposizione anche della sottoscrizione del contravventore; circostanza questa che però andrà riportata sul verbale, menzionando sulla relativa voce la dicitura “si rifiuta di firmare”, riportando altresì l’indicazione “si è proceduto comunque alla consegna del medesimo”.
Appare obbligatorio invece riportare in calce al verbale le dichiarazioni rese dal contravventore – che costituiscono il primo elemento di difesa a favore del medesimo – anche aggiungendole in calce su altra parte del verbale, qualora lo spazio a ciò destinato si rivelasse insufficiente.

 

 


[1] Cass. Civ., Sez. I^,- Sent. n° 18075 del 08.09.04

[2] Cass. Civ., Sez. I, n° 1445 del 14.02.94

[3] Cass. Civ. - Sent. n° 1923/99

Esatta indicazione della norma violata

Appare fondamentale riportare sul verbale l’esatta violazione contestata al trasgressore, con l’indicazione della relativa norma di legge violata.
Infatti una erronea indicazione della norma violata non può in alcun modo essere successivamente emendata in sede di ordinanza ingiunzione, in quanto ciò costituirebbe violazione del principio della corrispondenza tra violazione contestata e norma posta a fondamento dell’ordinanza ingiunzione, con conseguente menomazione del "diritto di difesa", in applicazione dell’analogo principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato[1] .
Per le stesse motivazioni, qualora la norma di legge applicata non indichi ovvero non riporti specificatamente il comportamento costituente violazione, l’agente accertatore non potrà applicare una eventuale circolare applicativa che comporti la conseguente sanzionabilità del comportamento di terzi, e ciò in virtù del principio di legalità e divieto di interpretazione analogica che preclude di estendere l’applicabilità della sanzione a condotte non previste dalla legge[2], dovendosi pertanto specificare nel verbale sia la norma violata sia il consequenziale dispositivo punitivo previsto dalla stessa o da altre norme.


Sul verbale devono inoltre essere riportate le eventuali sanzioni accessorie previste in caso di violazione (es. ritiro targa, ritiro patente, ritiro carta di circolazione, fermo amministrativo del veicolo; decurtazione dei punti sulla patente, ecc.), nonché gli estremi dell’eventuale provvedimento di sequestro amministrativo per il quale andrà redatto separato verbale.

 

 


[1] Sent. Cass. Civ., Sez.II^ - Sent. n° 1083 del 18.01 .07 e Sez. I^, n°13267 del 05.06.2000

[2] Sent. Cass. Civ., Sez.I, n° 1081 del 22.01.04

 

Obbligo di comunicazione avvio procedimento sanzionatorio

In applicazione dei principi stabiliti dall’art. 7 della Legge 241/90, la cui applicabilità parrebbe ormai estesa anche al provvedimento amministrativo contenzioso (vedi art. 1 D.M. 18.04.03, n° 124) - l’ Ufficio Legislativo del Ministero dei Trasporti e della Navigazione – con Nota n° 1573 del 26.03.99, ha ritenuto doveroso per l’Autorità competente all’emanazione del provvedimento ingiuntivo, l’obbligo di comunicare l’«avvio del procedimento ingiuntivo» nei confronti dei soggetti (trasgressore ed obbligato in solido) nei confronti dei quali lo stesso provvedimento sanzionatorio potrà esplicare i suoi effetti.
Non parrebbe sussistere invece alcuno specifico e parallelo onere – in capo al contravventore – di comunicare all’ Amministrazione procedente l’avvenuto pagamento[1], anche se ciò di fatto corrisponde ad un effettivo interesse del trasgressore, onde evitare eventuali e successive procedure esecutive avviate dall’Amministrazione medesima.
Tuttavia il trasgressore deve essere messo nelle condizioni di adempiere l’obbligazione pecuniaria, e segnatamente di esercitare la facoltà di pagamento in misura ridotta prevista dall’art. 16 della L. 689/81, per cui allo stesso dovranno essere comunicati gli esatti codici tributari necessari per il pagamento della sanzione.

In considerazione che la procedura relativa ad un eventuale contenzioso in materia di illeciti amministrativi connessi alla "circolazione stradale", comunque successivo all’accertamento, è di competenza del Prefetto ex artt. 203 e 204 C.d.S., i compiti degli accertatori devono intendersi limitati agli atti di notifica (art. 201 C.d.S.,385 e 386 Reg.) ed al rapporto (art. 203 c.2° C.d.S.) in caso di scritti difensivi.

  • Si evidenzia in tale ultimo caso la specifica procedura imposta dal Codice della Strada rispetto alla L. 689/81, e cioè:
  1. l’ obbligo di trasmettere al Prefetto il rapporto entro 60 giorni dalla ricezione del ricorso;
  2. l’ obbligo di dover effettuare al riguardo le necessarie controdeduzioni degli agenti accertatori (c.d. “deduzioni tecniche”) – art. 203 comma 2° C.d.S.

 

 


[1] Cass. Civ., Sez.I, n° 10300 del 16.07.02

Il pagamento in misura ridotta

L'art. 16 della legge n. 689/81 consente all'autore della violazione e all'obbligato in solido, di effettuare il pagamento di una somma desumibile sulla base dei criteri indicati nell'articolo stesso, con riferimento al massimo ed al minimo edittale rispettivamente previsti quali limiti alla sanzione della norma punitiva per la violazione.

Per i residenti all'estero con residenza, dimora e domicilio sconosciuti, la facoltà di pagamento in misura ridotta è esercitabile fino alla scadenza del termine utile per l'opposizione all'ordinanza-ingiunzione (art. 22, comma 2° «il termine è di 60 giorni se l'interessato risiede all'estero»).

Sono fatte salve le norme speciali ed, in particolare, la disciplina sanzionatoria del Codice della Strada e delle norme contenute nel regolamento ed ordinanze locali regolate dal T.U.L.C.P. (artt. 106 e ss. non abrogati dalla legge 142/90).

Possiamo considerare il «pagamento in misura ridotta» come un premio, o almeno un incentivo, che lo Stato offre al trasgressore il quale, rinunciando a difendersi, consente una sollecita definizione del procedimento. 

L'entità della somma da pagare non è rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione, ma viene prefissata per legge, onde consentire all'interessato una precisa valutazione sulla scelta del comportamento:

 

«è pari alla terza parte del massimo della sanzione edittale o, se più favorevole qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale (art. 52 D.lgs. 213/98), pari al doppio del minimo edittale, oltre alle spese».

 

  • Per cui, se la sanzione amministrativa è fissata, per esempio, tra le 51 e le 258 €, il terzo del massimo sarà 86 €, e sarà più favorevole del doppio del minimo, che è di 103 €; nel caso in cui la sanzione sia fissata tra le 25 e le 258 €, invece sarà più favorevole il doppio del minimo, che è pari a 51 €.

Alla somma dovuta al titolo di sanzione vanno aggiunte, per espressa disposizione di legge, le spese del procedimento.
Il pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta viene effettuato dall'interessato all'«Ufficio delle Entrate o altro ufficio competente» del luogo dove è stata accertata l'infrazione ed al quale è inviata pertanto, copia del Verbale di contestazione a cura dell'organo accertatore.

Pertanto, anche tale indicazione deve essere specificatamente riportata sul verbale, nel quale andranno indicati i relativi importi della sanzione, l’ente a cui favore va effettuato il pagamento nonché la facoltà di effettuare l’oblazione in misura ridotta, e ciò a pena di possibile nullità del relativo provvedimento ingiuntivo[1].
Qualora non sia possibile effettuare l’oblazione in misura ridotta detta limitazione deve essere parimenti riportata sul verbale.

  • E' il caso, ad esempio, delle violazioni in materia di inquinamento – art. 56 D.Lgs. n° 152/99; in materia igienico – sanitario - art. 3 D.Lgs n° 5 07/99; art.202 c.3° e 3° bis C.d.S. etc.

Sul verbale andranno indicate altresì le modalità per effettuare l’oblazione, allegando copia pre-compilata del «Mod. F-23» riportante gli specifici "codici di versamento" (art. 3 D.Lgs. 237/97) per proventi destinati alle Amministrazioni dello Stato; mentre qualora detti proventi vadano introitati dagli Enti Locali (Regione, Provincia, Comune) sarà sufficiente indicare gli estremi del conto corrente e/o della Tesoreria dell’Ente medesimo.

► Il pagamento può essere effettuato:

  1. Se i proventi sono destinati all’Ente locale (Regione, provincia, Comune), alla Tesoreria dell’Ente o sul conto corrente n. _________ (indicarlo);
  2. Se i proventi sono destinati allo Stato:
  1. allo sportello del concessionario riscossione tributi (ex esattoria) competente per territorio in relazione al luogo della violazione;
  2. allo sportello di una dipendenza di Azienda di Credito (banca) compresa nel territorio ove è avvenuta la violazione;
  3. allo sportello di Ufficio postale, sul conto corrente vincolato, intestato al concessionario riscossione tributi competente per territorio in relazione al luogo ove è avvenuta la violazione o Ufficio postale sul Mod. F23 dell’Agenzia delle entrate (modello di pagamento tasse, imposte, sanzione ed altre entrate) .

Di tale pagamento dovrà essere esibita od inviata «copia» o «fotocopia» all'Ufficio cui appartiene l'agente accertatore, onde evitare che quest’ultimo inoltri all’Ufficio competente, alla scadenza dei 60 giorni, il prescritto rapporto (=verbale)
Di tale adempimento, che viene riportato sul Verbale, è opportuno dare comunicazione, anche a “voce”, all’interessato all’atto della contestazione o notificazione.
Tale pagamento libera l'autore dell'illecito e l'obbligato in solido dalle ulteriori conseguenze previste, fatta salva l'applicazione, a cura dell'amministrazione interessata, delle eventuali sanzioni accessorie.
In relazione agli effetti del pagamento ridotto nei confronti degli adempimenti riservati all'accertatore della violazione, è necessario rilevare che questi qualora il pagamento sia stato effettuato per l'importo previsto ed entro i termini stabiliti deve provvedere alla «archiviazione» dei relativi atti.
Per quanto attiene la somma da versare, il relativo importo deve apparire sul Verbale di accertamento, anche in considerazione del fatto che l'Ufficio incaricato di ricevere il pagamento non può determinare l'importo dovuto al versante.
In merito alla somma che, se versata, libera l'autore del fatto e l'obbligato in solido dalle conseguenze pecuniarie per la violazione commessa, può talvolta apparire difficoltoso desumere l'importo dovuto, soprattutto per fattispecie previste dal codice della navigazione, le cui norme punitive non sempre prevedono il minimo o il massimo della sanzione. In proposito possono presentarsi diversi casi:

  1. risulta indicato sia l'ammontare della sanzione minima che di quella massima. Tale circostanza non pone particolari problemi per l'indicazione della somma liberatoria da versare, che deve essere calcolata secondo i criteri indicati nella norma richiamata, collegando l'ipotesi del pagamento più favorevole (doppio del minimo della sanzione edittale oltre le spese del procedimento) all'interesse dell'autore del fatto e non dell'amministrazione.
  2. risulta indicato il solo ammontare della sanzione massima. In tale caso il limite minimo della sanzione da assumere a calcolo è costituito dal minimo generale (edittale) previsto per le sanzioni amministrative e stabilito dall'art. 10 della legge n. 689/81, di 6 (sei) €
  3. risulta indicato il solo ammontare della sanzione minima. In tale eventualità, per analogia, il limite massimo deve essere desunto dal massimo generale stabilito dall'art. 10 della legge 689/81, di 10.329 (diecimilatrecentoventinove) €..
  4. risulta indicata una somma fissa. In tale caso si ritiene che il pagamento ridotto deve coincidere con la somma indicata dalla norma punitiva, poiché ogni altra interpretazione (doppio della somma minima - ed unica - o un terzo della somma massima - ed unica) e terminerebbe una somma comunque non in linea con il criterio espresso dal legislatore mediante la fissazione di una sanzione unica predeterminata. Qualora in occasione di un unico accertamento compiuto nei confronti di uno stesso soggetto, vengano accertate «più violazioni» amministrative a carico dello stesso (afferenti una stessa norma o normative diverse), nel contesto del Verbale di accertamento dovranno essere descritte tutte le violazioni e la relativa sanzione in misura ridotta dovrà comprendere la «somma aritmetica» dei singoli importi riferiti ad ogni violazione accertata.

 

 


[1] Sent. Cass.Civ., Sez.I, n° 10724 del 02.12.1996

 

Modalità di pagamento

La procedura da seguire per la riscossione e il versamento delle somme dovute quali sanzioni per le violazioni amministrative, consiste nell’allegare al Verbale, il «modello (F23) di pagamento tasse», imposte, sanzioni e altre entrate approvato dal Ministero dell’Agenzia e delle Entrate (con provvedimento 14 novembre 2001) che è possibile trovare presso il concessionario del servizio riscossione tributi o presso qualsiasi sportello bancario.

Il modello è di colore "celeste cieco" e si compone di "tre copie", in fogli singoli di carta bianca formato A4:

  1. una per il soggetto che effettua il versamento;
  2. una per il concessionario/Banca/Poste
  3. l’altra per la prestazione dell’Ufficio

Il modello può essere riprodotto anche con stampa monocromatica realizzata in colore nero mediante l’utilizzo di stampanti laser o di altri tipi di stampante che ne garantiscono la chiarezza e l’intelligibilità del modello stesso nel tempo. Il modello è reso disponibile gratuitamente in formato elettronico e può essere prelevato su:

«Internet www.finanze.agenziaentrate.it»

In alto troviamo le informazioni relative anagrafiche relative a due soggetti. A seconda del tipo di pagamento sarà necessario riempire solamente una oppure entrambe tali anagrafiche. A titolo esemplificativo per l'imposta di registrazione di atti pubblici o atti privati autenticati dovranno essere riportati solo i dati del notaio, per la registrazione di altri atti dovranno essere riportati i dati del richiedente e di una delle controparti, per i contratti di locazione dovranno essere indicati il proprietario e il locatario.
Segue poi una sezione dove andranno indicati dati identificativi generali (ufficio o ente responsabile, anno, numero, causale, ecc). Questi campi andranno riempiti secondo le indicazioni prescritte per il singolo pagamento.
La parte successiva, suddivisa in varie righe, è utilizzata per inserire il codice dell'importo da versare e l'importo stesso. Per ogni tipologia di imposta, tassa o contributo deve essere utilizzata una singola riga.

Il modello F23 ha uno schema aperto in quanto deve essere il versante ad inserire il codice del tributo nelle apposite caselle. Il vantaggio di tale impostazione è che in caso di nuove tipologie di tributo non sarà necessario variare il modello ma semplicemente creare un nuovo codice.

A pagamento avvenuto, è consigliabile che l’interessato presenti al Comando a cui appartiene l’agente accertatore che ha operato, la relativa quietanza (di cui è opportuno fare fotocopia da allegare alla copia del Verbale da inserire agli atti dell’Ufficio). Di tale adempimento (non obbligatorio), che viene riportato sul Verbale è opportuno darne comunicazione anche verbalmente all’interessato al momento della contestazione immediata o notificazione.

 

 

Modello F23

Pagamento rateale della sanzione pecuniaria

Per gli illeciti amministrativi è data la possibilità all'interessato di chiedere all'Autorità amministrativa che ha applicato la sanzione pecuniaria (es. Capo del Compartimento) di poter pagare «in più soluzioni» il suo debito.
Per essere ammessi al beneficio bisogna versare in condizioni economiche disagiate e ciò va dimostrato a cura del richiedente, ad esempio mediante la produzione di opportuna certificazione.
L'Autorità amministrativa può accogliere la richiesta e concedere la dilazione, fissando il numero e l'ammontare delle rate mensili; ciascuna rata, però, non può essere inferiore a 15 € e il frazionamento non può essere inferiore a «tre rate» e superiore a «trenta». Quindi, si può chiedere il pagamento rateale solo per una sanzione non inferiore a € 46.
In qualsiasi momento il debito residuo può essere estinto mediante un unico pagamento. L'Autorità che accorda il beneficio deve stabilire anche il termine per il pagamento mensile. Se però, anche per una sola rata, il pagamento non viene effettuato nei termini prefissati, quale che ne sia il motivo, il beneficio è revocato ed il residuo ammontare della sanzione deve essere estinto in un unica soluzione.

 

Opposizione all'accertamento: scritti difensivi

Nel contesto del Verbale deve essere indicata la "facoltà" per l'autore o per gli autori della violazione e per gli obbligati in solido (qualora non intendono avvalersi del pagamento in forma ridotta) di presentare «opposizione» all'accertamento con l'indicazione dell'Amministrazione competente a ricevere l'opposizione, nonché del termine entro il quale questa può essere presentata.

L'art. 18 della Legge n. 689/81 consente, infatti, agli interessati (autore del fatto ovvero obbligato in solido) di far pervenire all'Autorità amministrativa competente a ricevere il rapporto «scritti difensivi» e documenti ovvero, chiedere alla stessa di essere sentiti personalmente (c.d. richiesta di audizione).

  • Ad esempio, il trasgressore, entro il termine prescritto, può avvalersi della facoltà di effettuare il pagamento in misura ridotta, il cui importo viene calcolato secondo i criteri indicati all’art. 16 L. 689/81 o può, invece, preferire di rimettersi al giudizio dell’Autorità competente (ad esempio, la Capitaneria di Porto, Prefetto, ecc.), la quale stabilirà in concreto la sanzione. In questo caso egli potrà limitarsi a lasciar trascorrere i 60 giorni dalla contestazione o notifica, ovvero potrà entro 30 giorni far pervenire all’Autorità stessa (che deve essere indicata nel Verbale di accertamento) memorie, scritti difensivi, richieste di audizione, ecc.

Tale facoltà può essere esercitata entro 30 (trenta) giorni dalla data di contestazione o di notifica del fatto commesso (60 giorni per le infrazioni al Codice della strada). La "richiesta" deve essere presentata per iscritto, su carta semplice.

Scopo dello scritto difensivo (o della richiesta di audizione), è quello di instaurare un contraddittorio indiretto tra l'accertatore e l'interessato, al fine di consentire all'amministrazione sanzionante di confermare o ridurre, o escludere la responsabilità contestata.
I motivi esposti dall'interessato dovranno essere succintamente riportati in un «Verbale» che sarà sottoscritto dagli interessati e dal rappresentante dell'amministrazione (incaricato o delegato dal Capo del Compartimento).
Unitamente allo scritto difensivo o in occasione dell'audizione, gli interessati oltre a formulare proprie interpretazioni dei fatti contestati, potranno produrre anche «dichiarazioni scritte» (con sottoscrizione autenticata) di possibili testimoni il cui valore probatorio è rimesso alla libera valutazione dell'Autorità amministrativa sanzionante (Capo del Compartimento), sempre che tali dichiarazioni non siano rivolte a contestare il valore probatorio del processo Verbale, il quale come detto costituisce prova sino a querela di falso.
L'Autorità amministrativa incaricata ad emanare l'ordinanza-ingiunzione (es. Prefetto, Capo del Compartimento), sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi, se ritiene fondato l'accertamento, determina con «Ordinanza motivata» la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento insieme con le spese, all'autore della violazione ed alle persone che vi sono obbligate solidamente; altrimenti emette «Ordinanza di archiviazione» degli atti, comunicandola integralmente all'organo accertatore.
Si evidenzia che l'amministrazione competente ad emanare l'ordinanza-ingiunzione, nel caso venga ad essa presentata opposizione all'accertamento non è ancora a conoscenza dell'esistenza dell'avvenuta commissione di illecito, poiché, come si è detto, il termine per presentare l'opposizione (30 giorni) è inferiore al termine (scaduti i 60 giorni) oltre il quale il deve inviare ad essa il «rapporto», con la prova delle eseguite contestazioni e notificazioni.
In questo caso, pertanto, è necessario che l'amministrazione provveda a richiedere all'accertatore la copia del Verbale di accertamento, sia per poter conoscere gli elementi contestati, ma soprattutto per verificare la data in cui l'accertamento stesso è stato contestato o notificato all'autore della violazione e la data in ipotesi successiva in cui lo stesso fatto è stato notificato agli eventuali obbligati in solido.

 

Fac-Simile

 

Alla Spett. le Capitaneria di Porto
CAP _____________________

  

 

Oggetto: Scritti Difensivi giusta art. 18 comma 7 Legge 689 del 24 Novembre 1981.-

  

Il sottoscritto _____________, nato a ______________ il _____________________ e residente a _____________________ in via/piazza ___________________ n° _________, in relazione al Processo Verbale di Illecito Amministrativo n° _________ prot. n° __________________ datato ____________________ della Capitaneria di Porto Guardia Costiera La Maddalena (SS) riferito all’autoveicolo ____________________ targato ______________________, notificatomi in data ___________________ ed inerente la violazione dell’art. ___________________ dell’Ordinanza n. ____________ della medesima, in data _______________ in quanto (ad esempio: “sostava in area portuale ove vige il divieto di sosta permanente”.

 

C H I E D E   A   S. E.

 

  • ad esempio: (1. L’autoveicolo FIAT targato SS 352656, in data 18 febbraio 2003 è stato venduto con ogni garanzia di Legge alla Sig.ra VERONESI Margherita nata il 15 luglio 1969 a VILLAURBANA (OR) e residente in via Cairoli n. 52 a LA MADDALENA come si evince dal certificato di proprietà allegato in copia, (l’originale del documento è di pertinenza del nuovo proprietario), mentre l’illecito summenzionato è stato commesso cinque giorni dopo e precisamente in data 23 febbraio 2003 alle ore 11,40).-

 

l’Archiviazione del P.V. in questione per la notifica al legittimo proprietario per la seguente motivazione_____________

 

____________, lì

 

  IL RICHIEDENTE
________________________

 


 

Reiterazioni delle violazioni

Tale disposizione è stata introdotta dall’art.8 bis della L. 689/81 così come modificato dall’art. 94 del D.Lgs. 507/99, che ha introdotto il concetto di «recidività reiterata», che si pone in essere quando il contravventore commette una violazione della stessa indole nei 5 anni successivi alla prima, se accertate con un edimento esecutivo (es. Ordinanza-ingiunzione non opposta, convalida Ordinanza con Sentenza del Giudice, ecc.), salvo che il contravventore si sia avvalso del pagamento in misura ridotta, che assume ex lege solamente fini liberatori a favore del contravventore.
Trattasi cioè della stessa disposizione o di diverse disposizioni le quali – per la natura dei fatti o le modalità della condotta - presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni (es. in materia di circolazione stradale, pesca, diporto, ecc.).

Si avrà invece “reiterazione specifica” quando risulta violata la medesima disposizione.
Assume pertanto la massima importanza - alla luce di quanto disposto dall’art.10 della L. 689/81 – l’accertamento della recidività del contravventore, onde consentire al Capo del Compartimento o Prefetto di procedere ad una opportuna graduazione della sanzione inflitta.

 

Il concorso delle violazioni

Può capitare che l’azione commessa dal contravventore non sia esattamente individuabile in una specifica e singola fattispecie di illecito ben individuata, potendo potenzialmente "concretizzare più violazioni" oppureo costituire "potenziale elemento costitutivo di illecito penale"; oppure trattarsi di situazione ben definita, ma disciplinata tra più norme ovvero fra disposizioni amministrative aventi pari gerarchia, ma poste in essere da soggetti istituzionali diversi (Prefettura, Capitanerie, Regione, Province, Comuni, ecc.) come di seguito si cercherà meglio di specificare: 

► Concorso Formale

Tale situazione si realizza quanto il contravventore con una sola azione o omissione commette più illeciti previsti da una stessa o più norme di legge

  • Ad esempio, guidare sprovvisto di patente in una zona interdetta alla circolazione, ecc.

In tale fattispecie si applica la sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo (art. 198 C.d.S. – art. 8 L. 689/81)[1].

Eccezione a detta norma è costituita dal 2^ comma del citato art. 198 – che concerne il transito nelle zone a traffico limitato (ZTL) – dove il contravventore soggiace ad una sanzione per ogni singola violazione; tuttavia al riguardo la recente giurisprudenza ha ammesso la prova contraria, qualora il contravventore dimostri l’unicità della propria condotta di guida[2]

► Concorso Materiale

Tale fattispecie si pone in essere quando vengono commesse più violazioni mediante più azioni od omissioni fra loro collegate....

  • Ad esempio, esercitare illegalmente la pesca e successivamente mettere abusivamente in vendita il prodotto ittico così procurato, ecc.

In tal caso si soggiace alla sanzione prevista per ogni singola violazione commessa, salvo che trattasi di violazioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria (es. L. 250/58 in materia di previdenza ed assistenza marinara, ecc.).

Al riguardo la Suprema Corte ha stabilito che – in caso di violazioni reiterate della stessa fattispecie prevista dal C.d.S. (nel caso di specie: transito ripetuto più volte in ZTL) può configurare una sola violazione, purchè il trasgressore dimostri l’unicità della propria condotta di guida[3].

► Concorso Apparente

Tale circostanza segue il principio di specialità delle norme, verificandosi quando un medesimo fatto può ricadere, apparentemente, sotto la previsione di più norme ed occorre quindi individuare la esatta disposizione da applicare, secondo le modalità di seguito indicate:

  1. In via generale, quando lo stesso fatto è punito da una disposizione generale ed una speciale, si applica la «disposizione speciale»...
  • Ad esempio, il D.lgs. 18.07.05, n° 171 in materia di navigazione da diporto trova applicazione in luogo del Codice della Navigazione quando la violazione concerne la navigazione da diporto).
  1. Se trattasi invece di fattispecie di illecito disciplinata sia da norma penale che da norma amministrativa, si applica in ogni caso la «disposizione penale»...
  • Ad esempio, deve farsi ricorso al riguardo, al disposto dell’art. 221 C.d.S., laddove prevede che qualora l’esistenza di un reato dipenda dall’accertamento di una violazione amministrativa, è il Giudice penale competente a conoscere detto reato è anche competente a valutare la sanzione amministrativa e ad applicare quindi la relativa sanzione (art. 24 Legge 689/81 - Connessione obiettiva con il reato)

Vi sono tuttavia fattispecie di illecito le quali – benché sanzionate da norme penali – comportano l’applicazione di specifiche "sanzioni amministrative"...

  • Ad esempio, l’ art. 1174 Cod. nav. rispetto all’analogo art. 650 c.p. [4]; l’art 180 comma 8 C.d.S. rispetto sempre al relativo art. 650 c.p.; l’art. 1 lett. m) L. 172/2003 in luogo dell’art. 1231 Cod nav., ecc.).

Quanto sopra evidenziato – e che costituisce applicazione del c.d.”principio di specialità” della norma - è stato anche richiamato dalla Cassazione giusta Sentenza n° 83/85 del 15.07.98 della Sez. I^ Penale.

Può, altresì, capitare che la stessa fattispecie di comportamento c.d. ”plurioffensivo” concretizzi sia un illecito amministrativo che una violazione penalmente rilevante...

  • Ad esempio, la violazione di cui all’art. 1251 comma 6 Cod nav. può contestualmente costituire violazione dell’art. 594 c.p., ecc.

In tal caso,fermo restando l’obbligo di procedere a contestazione in via amministrativa, per successiva valutazione da parte dell’Organo competente, l’Agente accertatore - nella sua qualifica di Ufficiale o Agente di polizia giudiziaria - ha parimenti l’obbligo di riferire il fatto all’ Autorità Giudiziaria competente, essendo allo stesso esclusa ogni forma di valutazione su un fatto comunque penalmente rilevante.

 

 


[1] Cass. Civ. – Sez. Tributaria – Sent. n° 2823 del 11.02.05

[2] [3] Corte Costituzionale – Ordinanza n° 14 del 26.01.07

[4] Cass. Pen., Sez.I, n° 3943 del 24.01.08; n° 5755 del 07.05. 99 e n° 13048 del 11.112.98

Obbligo del rapporto

Allo spirare del termine fissato dalla legge per il pagamento in misura ridotta sorge, a carico del funzionario o agente che ha accertato la violazione l'obbligo di riferire sull'illecito alla competente Autorità amministrativa[1]
Questo «obbligo», la cui violazione è sanzionata penalmente in forza dell'art. 328 c.p., scatta però solo quando non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta o nel caso si verifichi che:

  1. il pagamento sia avvenuto per un importo inferiore a quello stabilito;
  2. il pagamento sia stato effettuato per l'importo stabilito, ma sia stato eseguito dopo il termine di sessanta giorni;
  3. il pagamento ridotto non sia stato effettuato entro detto termine.

Il «rapporto» va inoltrato con la “prova” [2] delle eseguite contestazioni o notificazioni. È richiesta la forma scritta, con esposizione dettagliata dei fatti, con l’indicazione delle violazioni accertate, degli autori delle stesse, degli eventuali obbligati in solido e l'esito degli eventuali accertamenti.

È consentito redigere il rapporto su un «modello stampa» e il più delle volte la copia del Verbale di accertamento è sufficiente rapporto, che può essere arricchito di allegati vari (per esempio, risultato di analisi, verbali di ispezioni e di perquisizioni), dai quali sia possibile desumere l'avvenuta contestazione (ove non appaia direttamente nel contesto del Verbale) o notifica agli autori del fatto illecito ed agli obbligati in solido.
La legge non prescrive un termine, minimo o massimo, per l'inoltro del rapporto. Sembra logico pensare che l'Ufficio prima di inviarlo, debba attendere almeno 60 (sessanta) giorni concessi all'interessato per effettuare il pagamento in misura ridotta; termine che, si noti, è esattamente il doppio di quello (trenta giorni) entro il quale egli può, se crede, inviare all'Autorità competente (es. Capo del Compartimento) a ricevere il rapporto stesso scritti e documenti difensivi, o chiedere di essere sentito personalmente.
Con la conseguenza che detta Autorità potrebbe ricevere uno scritto difensivo od una richiesta di udienza senza avere ancora ai propri atti il rapporto cui si riferiscono; così come potrebbe accadere che il trasgressore, dopo avere inviato le proprie difese, cambi idea e decida, prima che scadono i sessanta giorni dalla contestazione, di effettuare il pagamento in misura ridotta.
Esigenze di logica e di coordinamento impongono dunque di ritenere che gli organi accentratori debbano provvedere alla contestazione del fatto ed alle notifiche, e trasmettere poi il rapporto al più presto possibile; le notifiche potranno avvenire anche successivamente all'invio del rapporto e la prova di esse potrà essere aggiunta in seguito agli atti già trasmessi.

L'esame dell'Ufficio competente, esteso sia all'accertamento del fatto che alla valutazione della responsabilità, nonché alla regolarità formale degli atti, può concludersi con:

  1. giudizio di non assoggettabilità a sanzione (perché il fatto non sussiste, perché non costituisce violazione amministrativa, perché non è stato commesso dall'interessato, per la presenza di cause di giustificazione, per mancanza o nullità della contestazione)
  2. giudizio di fondatezza dell'accertamento.

Nel primo caso, l'Ufficio marittimo emette «Ordinanza motivata di archiviazione» che viene comunicata integralmente all'Ufficio accertatore. Ciò allo scopo di realizzare un coordinamento tra gli organi preposti alla vigilanza e gli organi competenti a ricevere il rapporto; a far conoscere cioè agli accertatori quando, ed a quali condizioni, l'autorità decidente ritiene fondato l'accertamento.
Nel secondo caso, determina l'entità della sanzione tra il minimo ed il massimo previsti dalla legge tenendo conto degli elementi indicati dall'art. 11 legge 689/81 (gravità della violazione, comportamenti del trasgressore, sua personalità e sue condizioni economiche). Emette, quindi «Ordinanza-ingiunzione di pagamento».

  • Insieme all'ordinanza di archiviazione o di ingiunzione di pagamento, l'Ufficio pronuncia una decisione sull'eventuale «dissequestro» o «confisca» delle cose che servirono a commettere la violazione, o sull'applicazione di altre «sanzioni amministrative accessorie».

 

 


[1] Capo del Compartimento ai sensi dell’art. 6, comma 6 Legge 8 luglio 2003, n. 172
[2] Sono a tutti gli effetti prova di avvenuta contestazione o notificazione, la sottoscrizione da parte del trasgressore della copia del verbale ovvero la copia e gli estremi dell’invio del modello 23F o della relata notifica.

 

Autorità competente a ricevere il rapporto

Il rapporto (e l’eventuale verbale di sequestro), debbono essere inviati all’Autorità competente, individuata dall’art. 17 della legge n. 689/81, la quale "differisce" a seconda delle materie cui si riferisce la violazione, e in particolare:

  1. se la violazione riguarda una materia di competenza del Ministero dei Trasporti, dell’Ambiente o delle Politiche Agricole e Forestali, è il Comandante della Capitanerie di Porto;
  2. se la violazione riguarda una materia di competenza regionale, è il Presidente della Giunta regionale. Se si considera che, ai sensi del D.lgs. n. 112/98, letto in combinato disposto con gli articoli. 16, 103 comma 1, e 104 comma 1 del D.lgs. n. 507/1999, che ha disposto il conferimento dei poteri di gestione del demanio marittimo alle regioni a Statuto ordinario, per le sanzioni in materia di demanio marittimo competente a ricevere il rapporto è la Regione o se delegato il Comune;
  3. per la violazione a regolamenti provinciali, è il Presidente della Giunta provinciale;
  4. se la violazione riguarda regolamenti comunali, è il Sindaco.

Per quanto riguarda la competenza per territorio, ha rilievo il luogo in cui è stata commessa la violazione.

  • Casi di competenza dell’Autorità Giudiziaria in luogo dell’Autorità amministrativa nell’applicazione delle sanzioni amministrative.

La legge n. 689/81 prevede un caso in cui la sanzione amministrativa è inflitta dall’Autorità Giudiziaria (in sede penale), anziché dalla competente Autorità amministrativa. Ai sensi dell’art. 24, perché ciò accada devono ricorrere due contemporanee condizioni:

  1. l’esistenza di un reato dipende dalla violazione amministrativa;
  2. per la violazione amministrativa, l’interessato non si avvale della facoltà di effettuare il pagamento in misura ridotta.

In questo caso il rapporto sulla violazione amministrativa sarà inviato (a seguito di notizia di reato ex art. 347 c.p.p.), anche senza che si sia proceduto alla notificazione, all’Autorità Giudiziaria, la quale potrà disporre anche per la notifica della violazione amministrativa.

  • Decisione dell’Autorità competente a ricevere il rapporto

Quando non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta, l’Autorità competente, in base agli elementi acquisiti dal rapporto dell’organo accertatore e dalle eventuali dichiarazioni e scritti difensivi avanzati dall’interessato, adotta la decisione, con «ordinanza motivata».
L’Autorità può disporre l’archiviazione degli atti, dandone comunicazione all’organo accertatore) ovvero stabilire la somma da pagare a titolo di sanzione ingiungendone il pagamento (c.d. ordinanza ingiunzione di pagamento),
L’ordinanza ingiunzione costituisce «titolo esecutivo», ma può essere impugnata innanzi al Giudice competente (Giudice di Pace o Tribunale).

Nel caso di mancato pagamento, l’Autorità provvederà alla formazione dei «Ruoli», per avviare le procedure di riscossione coatta di competenza dell’Ufficio di riscossione.

 

 

Ordinanza - Ingiunzione

L'«ordinanza-ingiunzione» è un atto amministrativo mediante il quale l'Autorità amministrativa (ad esempio: il Capo del compartimento marittimo) competente per territorio «determina» (Ordinanza) la somma dovuta quale sanzione nei confronti del riconosciuto responsabile della violazione e dell'obbligato in solido ed «intima» (Ingiunzione) il pagamento della stessa comminando anche, eventualmente la sanzione accessoria della confisca. Una volta emessa, l'ordinanza-ingiunzione deve essere «notificata» alle persone obbligate al pagamento.
Tale pagamento deve essere effettuato all'Ufficio delle Entrate o altro ufficio competente (indicato sull'ordinanza-ingiunzione) entro «trenta» o «sessanta» giorni dalla notifica di detto provvedimento a seconda che il trasgressore risieda rispettivamente in Italia o all'estero.
Entro «trenta» giorni, l'Ufficio delle Entrate o altro ufficio competente che ha ricevuto il pagamento deve darne comunicazione al Capo del Compartimento che ha emesso il provvedimento.

  • La forma del provvedimento è quella scritta e si compone:
  1. di una «intestazione» (che comprende l'indicazione dell'autorità amministrativa che emana l'0rdinanza-Ingiunzione. Sono legittimati ad emanare il provvedimento ai sensi dell'art. 1 del D.P.R. 29 luglio 1982, n. 571 - Voce Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (ex Ministero dei trasporti e della Navigazione) - per le sole violazioni amministrative al Codice della Navigazione, alla legge sulla pesca marittima ed al Codice sulla nautica da diporto, le Capitanerie di Porto aventi giurisdizione sulla zona nell'ambito della quale è stato commesso il fatto).
  2. del «preambolo» o le premesse (con riferimento ai dati d'individuazione dell'illecito amministrativo; con l'indicazione delle generalità degli autori della violazione e degli eventuali obbligati in solido dei fatti commessi, delle norme violate e di quelle punitive);
  3. della «motivazione» (con l'indicazione dei motivi per cui si è ritenuto fondato l'accertamento);
  4. del «dispositivo» (con l'indicazione della somma ingiunta, del termine entro il quale tale pagamento dovrà avvenire e dell'ufficio competente a riceverlo, della facoltà di presentare opposizione all'ordinanza-ingiunzione ed il relativo termine entro il quale l'opposizione è ammessa);
  5. della «sottoscrizione» (firma del provvedimento da parte del titolare dell'ufficio che ha emanato l'atto, nonché luogo di emissione e data).

L'ordinanza deve essere notificata agli interessati; le forme della notifica sono quelle indicate all'art. 14 legge 689/81. Più comunemente, però, viene effettuata tramite il servizio postale a mezzo di «lettera raccomandata» con avviso di ritorno (A.R.), e alla quale l'Autorità sanzionante allega «Ordine di Introito» di pagamento da presentare al competente Ufficio delle Entrate o altro ufficio competente
Oltre gli estremi della violazione, la notifica deve indicare, le modalità con cui può essere effettuato il pagamento della sanzione pecuniaria e l'obbligo da parte del destinatario di inviare entro «dieci giorni» dal pagamento medesimo, «copia» della ricevuta del versamento all'Autorità amministrativa sanzionante la quale dovrà successivamente chiudere il contesto ed archiviare gli atti.

Non tutti questi elementi sono indispensabili per l'esistenza o comunque per la validità dell'ordinanza-ingiunzione. L'ordinanza-ingiunzione consiste, infatti, in un provvedimento articolato di una "premessa" (nella quale si dà atto delle risultanze del rapporto, dei documenti, delle osservazioni ricevute, degli accertamenti effettuati), in una "motivazione" generalmente succinta e nella "parte dispositiva" vera e propria del provvedimento.

L'atto amministrativo si redige in un unico originale che viene inserito nell'apposito «Registro Ordinanze-Ingiunzione», da cui prende il numero progressivo.

 


 

Fac-simile

 

 

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
CAPITANERIA DI PORTO
GUARDIA COSTIERA
______________________

 

Protocolo n ____/___

Reg. Ordinanze n. ____/__
Rif. Reg. verb. n. ____/___


ORINANZA-INGIUNZIONE DI PAGAMENTO DI SANZIONE AMMINISTRATIVA

   IL CAPO DEL COMPARTIMENTO

  

ESAMINATO il rapporto del Comando _______________________________ con il quale viene segnalata la violazione ________________________________________________accertata nel Compartimento marittimo di ____________________ in località _________________________ avente per oggetto ______________________________________________________________
RILEVATO che la responsabilità è da ascriversi a
 

Trasgressore Obbligato in solido
Cognome
Cognome
Nome
Nome
Nato il  Nato il
a a
Res. in
Res. in
Via n.°               Via n.°
quale quale

ATTESO che

□ gli interessati non si sono avvalsi della facoltà di pagamento in misura ridotta;
□ per la violazione non era ammesso il pagamento in misura ridotta;
PRESO ATTO:
□ che gli interessati non hanno presentato scritti difensivi, documenti o richiesta di audizione;
□ che gli interessati hanno presentato scritti difensivi, documenti o richiesta di audizione, ed esaminati gli stessi;
□ delle risultanze emerse dall’audizione del: _______________________________________
RITENUTA la fondatezza dell’accertamento e la regolarità della contestazione e/o notificazioni;
TENUTO CONTO, delle modalità e circostanze dei fatti, per la quantificazione della somma dovuta quale sanzione;
VISTE LE NORME VIOLATE;
VISTA la legge 24 novembre 1981, n. 689;
VISTA la legge 8 giugno 1990, n. 142 e ss.mm.ii.;
VISTO il Decreto legislativo 30 dicembre 199, n. 507;

ORDINA

Ai signori: __________________________________ meglio di anzi generalizzati, il pagamento della somma di € _______ ( _________________ )

quale sanzione per la violazione ascritta.

INGIUNGE

Ai medesimi di versare, entro 30 giorni dalla notificazione del presente atto, la somma complessiva di:

sanzione                                                         €. ________ ( ________________________ )
spese di procedimento                                     €. ________ ( ________________________ )
bolli                                                                €. ________ ( ________________________ )
per complessive                                               €. ________ ( ________________________ )
con versamento sul C.C. post n. ______________ intestato a __________________________
ovvero con versamento bancario _________________________
sempre indicando nella causale il numero della presente ordinanza-ingiunzione..
Avverso il presente provvedimento, gli interessati potranno presentare opposizione, entro 30 giorni dalla notificazione, avanti a:

□ Giudice di pace di _________________________
□ Tribunale di          _________________________

In caso di inottemperanza, si darà corso all’esecuzione d’0ufficio ai sensi dell’art. 27 della legge 24 novembre 1982, n. 689.

Ai sensi degli artt. 3, comma IV e 5, comma III della legge 7 agosto 1990, n. 241 avverte che:

• Il responsabile del procedimento è ______________________________________________;
• Avverso il presente provvedimento, gli interessati possono presentare opposizione, entro 30 giorni dalla notificazione, avanti a:
□ Giudice di pace di _________________________
□ Tribunale di           _________________________

 

____________ lì, ______________.-

 

IL COMANDANTE
DELLA CAPITANERIA DI PORTO

_______________________

 


 

 

Opposizione all' O.I.

Dal momento in cui al trasgressore è notificata l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione, decorre un termine di «trenta giorni» per effettuare il pagamento della sanzione, trascorso il quale si procede alla «esecuzione forzata».

Avverso l’ordinanza-ingiunzione e avverso l’ordinanza che dispone la sola confisca, l'interessato può, entro il termine di 30 (trenta) giorni (60 se all’estero) dalla notifica del provvedimento, fare «opposizione» in sede civile all’Autorità Giudiziaria competente che può essere, in base alle materie oggetto di contestazione, o il Giudice di Pace o il Tribunale del luogo in cui l’infrazione è stata commessa. Al ricorso deve essere allegata (nel suo originale) l'ordinanza notificata all'opponente.
È solo dall'ordinanza, infatti, che il Giudice può ricavare l'esatta indicazione dell'Autorità amministrativa che ha emesso il provvedimento esecutivo contro il quale è presentata l'opposizione e, conseguentemente, la esatta indicazione della parte legittimata ad assumere la veste di «resistente» o contro interessata nel giudizio.
Inoltre, solo leggendo la motivazione dell'ordinanza il Giudice può avere precisa cognizione dei fatti al fine di accogliere, anche se in via provvisoria ed urgente, una eventuale richiesta di sospensione dell'esecutività dell'ingiunzione stessa.

Il Giudice se il ricorso è tardivo per decorrenza del termine, lo dichiara inammissibile, con ordinanza ricorribile solo per cassazione. Diversamente se il ricorso è tempestivamente proposto il Giudice fissa la «udienza di comparizione» con decreto, steso in calce al ricorso, ordinando all'Autorità che ha emesso il provvedimento di presentare «dieci» giorni prima dell'udienza, copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione.

L'opponente e l'Autorità che ha emesso l'ordinanza possono stare in giudizio personalmente; all'Autorità è consentito valersi anche di propri funzionari di porto appositamente delegati.
La mancata presentazione, senza legittimo impedimento, dell'opponente o del suo procuratore (termine unico di 60 giorni per comparire) provoca, la convalida del provvedimento dell'Autorità amministrativa. A ciò il Giudice provvede con ordinanza, ricorribile per cassazione, con la quale pone a carico dell'opponente anche le spese successive all'opposizione.

  • Terminato il procedimento il Giudice può:
  1. rigettare l'opposizione, ponendo a carico dell'opponente le spese del procedimento;
  2. accogliere l'opposizione, annullando in tutto o in parte la ordinanza o modificandola anche limitatamente all'entità della sanzione dovuta.

La "sentenza" del Giudice è inappellabile ma è ricorribile per Cassazione (in sede civile).

L’opposizione non sospende l’esecuzione del provvedimento, salvo che il Giudice adito, ricorrendo gravi motivi, disponga diversamente con ordinanza inoppugnabile.
L'opposizione si propone mediante «ricorso», presso la Cancelleria del Giudice territorialmente competente. Il ricorso deve essere depositato a pena di inammissibiltà, entro 30 giorni dalla data di notificazione del provvedimento sanzionatorio (Ordinanza-Ingiunzione).

  • Il ricorso che consiste in una domanda scritta, diretta al giudice, deve contenere:
  1. la sommaria esposizione dei fatti;
  2. le generalità del proponente;
  3. le richieste;
  4. la dichiarazione di residenza;
  5. l'elezione di domicilio o l'indicazione del procuratore;
  6. la sottoscrizione.

 

 

Competenza per il giudizio di opposizione

Nell’attuare il riparto di competenza tra «Giudice di pace» e «Tribunale monocratico», il legislatore ha seguito diversi criteri, anche se il principio generale è che l’opposizione ex art. 22, viene presentata al Giudice di pace.

Le ipotesi "eccettuate" alla regola generale della competenza del Giudice di pace concernono le seguenti materie:

  1. tutela del lavoro, igiene sui luoghi di lavoro e prevenzione degli infortuni sul lavoro;
  2. previdenza e assistenza obbligatoria;
  3. urbanistica ed edilizia (fuori dei casi di competenza del Giudice amministrativo);
  4. circolazione stradale (D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285);
  5. tutela dell’ambiente dall’inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette;
  6. igiene degli alimenti e delle bevande;
  7. società e intermediari finanziari (fuori dei casi di competenza della Corte d’Appello…);
  8. tributaria e valutaria (eccettuate, per la prima, le ipotesi di competenza delle commissioni tributarie).
  9. se per la violazione è prevista una sanzione superiore nel massimo a 15.493 €

 

 

 

Le sanzioni amministrative accessorie

Se la "violazione" consiste nell’inosservanza di prescrizioni per l’esercizio di attività soggette ad autorizzazione o comunque in casi in cui le leggi speciali prevedano sanzioni accessorie (artt. 1083 bis, 1083 ter e 1175 cod. nav.), l’Autorità competente a ricevere il rapporto (=Verbale) può applicare, con l’ordinanza di ingiunzione o il Giudice penale con sentenza di condanna (connessione obbiettiva con un reato art. 24 L. 689/81), come sanzioni amministrative le «sanzioni accessorie», previste in campo penale, consistenti nella privazione o sospensione di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti amministrativi.

► In sintesi:

  1. interdizione o la sospensione da una professione o da un’arte;
  2. interdizione o sospensione da uffici direttivi di persone giuridiche e imprese aventi natura giuridica pubblica;
  3. decadenza o sospensione da autorizzazioni o licenze.
  • Ad esempio, l’Autorità competente a ricevere il rapporto, può applicare con l’ordinanza-ingiunzione, la sanzione amministrativa della sospensione dell’attività o gli altri ordini di sospensione (sospensione dai titoli o dalla professione ex art. 1175 Cod. nav.) per un periodo non superiore a 3 mesi (art. 17 quater).

Nel caso delle sanzioni amministrative accessorie previste dal Codice della Navigazione (artt. 1083 bis e 1083 ter) la competenza all’applicazione spetta al Capo del Compartimento marittimo.

  • Supponiamo, ad esempio, che il Comandante di una nave mercantile, in possesso di regolare titolo professionale marittimo (art. 123 Cod. nav.), contravvenga a quanto stabilito dall’art. 1170 Cod. nav.. (inosservanza dell’obbligo di assumere un pilota). Il fatto è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.032 € a 6.197 €. e importa, altresì, l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione dai titoli o dalla professione. L’operatore di polizia amministrativa contesta il fatto e redige il Verbale; dopo di ché attende che trascorrano i 60 giorni concessi dalla legge al marittimo per effettuare il pagamento in misura ridotta. Nel frattempo l’organo accertatore invia copia del Verbale al Capo del Compartimento competente, il quale ordina, in via immediata, ai sensi dell’art. 1175 Cod. nav., la sospensione dell’attività, per un periodo non inferiore a 15 giorni e non superiore ad 1 anno (ad esempio 3 mesi): il marittimo ottempera (in caso contrario commetterebbe il reato punito dall’art. 650 c.p.). L’ordine di sospensione viene revocato.A questo punto possono verificarsi due situazioni:
  1. il marittimo effettua il pagamento in misura ridotta e la pratica viene archiviata;
  2. il marittimo non si avvale della facoltà di effettuare il pagamento in misura ridotta. Trascorsi i 60 giorni viene inviato il rapporto al Capo del Compartimento marittimo competente che infligge, con l’ordinanza-ingiunzione, la sanzione prevista e può applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione dell’attività per un periodo non superiore a tre mesi.
    In teoria nell’ipotesi b) il marittimo potrebbe vedersi infliggere, a causa di un’eventuale riduzione in sede di ricorso, una sanzione pecuniaria di importo minore, ma potrebbe dover sospendere l’attività per un periodo massimo di sei mesi (tre inflitti immediatamente all’atto dell’accertamento e tre dall’autorità che emette l’ordinanza-ingiunzione).

In linea generale, l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria ha come presupposto l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione di pagamento. Il legislatore ha voluto, in questo modo, garantire che l’adozione del provvedimento accessorio sia successiva all’affermazione della responsabilità del trasgressore.
Le sanzioni amministrative accessorie non sono applicabili fino a che è pendente il giudizio di opposizione contro il provvedimento di condanna o, nel caso di connessione (art. 24), fino a che il provvedimento stesso non sia divenuto esecutivo.
In via eccezionale e nei soli casi espressamente previsti dalla legge, si può procedere all’irrogazione di sanzioni accessorie in via provvisoria.
Numerose leggi speciali prevedono per singole materie (Codice della Navigazione, legge quadro sulla Pesca Marittima, Codice sulla Nautica da diporto, ecc.) sanzioni amministrative accessorie che a norma dell’art. 12 legge depenalizzatrice, si devono ritenere ricondotte ad un’unica disciplina generale. Tra queste ricordiamo:

  • Ad esempio, il ritiro o la sospensione di licenze, autorizzazioni, concessioni date dall’Autorità marittima per l’uso di beni pubblici o l’esercizio di attività particolari, allorché vengano dal concessionario violate norme di legge o di regolamento oppure disposizioni impartite per la disciplina della concessione, autorizzazioni e simili. La decadenza della concessionario costituisce sanzione accessoria tipica per le trasgressioni in questa materia.

 

La confisca amministrativa

Il provvedimento in esame si concretizza, sostanzialmente, con la "espropriazione delle cose (sequestrate) strettamente collegate con il fatto illecito". Essa trova giustificazione nell’intento di prevenire la commissione di nuove trasgressioni, rimuovendo i beni che potrebbero costituire in definitiva un premio per l’attività illecita o mantenere vivo il ricordo.

Il quadro tracciato dall’art. 20 L. 689/81, evidenzia la possibilità di una :

  1. confisca obbligatoria
  2. confisca facoltativa

Concettualmente si può aggiungere altresì un’ipotesi di confisca «necessaria».

In particolare, la confisca è «obbligatoria» per le cose che costituiscono il prodotto della violazione amministrativa, intendendo con tale termine, qualsiasi cosa che rappresenta non solo il prodotto in senso stretto (ad esempio: le sostanze illecitamente fabbricate), ma anche il prezzo o il valore lucrato della trasgressione, a condizione che l’oggetto del sequestro appartenga ad una delle persone cui è ingiunto il pagamento (art. 20, comma 3).
E’ altresì disposta obbligatoriamente la confisca, che alcuno definisce «necessaria»[1], anche prescindendo dall’emissione dell’ordinanza-ingiunzione ex art. 18, nel caso di cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca violazione amministrativa (art. 20, comma 4).

  • Ad esempio, la confisca del veicolo a motore o del natante posto in circolazione senza copertura assicurativa per danni a terzi, nel caso che risulti che l’assicurazione non sia stata pagata nel termine prefissato dall’autorità, ai sensi dell’art. 21 ovvero la confisca del veicolo posto in circolazione prima che sia rilasciato il documento di circolazione, secondo la previsione di cui all’art. 21: altro caso di confisca necessaria.

Tale ultima sanzione non si applica nel caso di cose appartenenti a persone estranee alla violazione ed la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione siano possibili mediante autorizzazione amministrativa.
Provvedimento immediato, finalizzato a consentire la confisca da parte dell’Autorità amministrativa competente, è il «sequestro amministrativo», effettuato dagli organi di vigilanza e controllo, del quale si è trattato in precedenza.
Qualora la confisca non sia obbligatoria, rientra nelle facoltà discrezionali dell’Autorità amministrativa competente ad irrogare la sanzione o nelle facoltà del giudice penale, allorché questi debba provvedere anche in ordine ad una violazione sanzionata amministrativamente.
Ai sensi dell’art. 11, per l’uso di queste facoltà discrezionali, dovrà tenersi conto della gravità della violazione, dell’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché della personalità del trasgressore e delle sue condizioni economiche.

 
 


[1] Bartolini, op. cit.
 

Procedure di alienazione e distruzione del materiale sequestrato e confisca

Le procedure di alienazione e di distruzione di materiale, pericoloso per la salute pubblica ovvero non deperibile, confiscato dal personale delle Capitanerie di Porto, e del materiale dissequestrato e non ritirato, proveniente, in particolare, dalle condotte illecite in materia di pesca sia sportiva che professionale, si conformano a quanto previsto dal D.P.R. 22 luglio 1982, n. 571 nonché dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 10 Dicembre 1984.

► Tali procedure si articolano come segue:

  • Materiale confiscato pericoloso per la salute pubblica
  1. richiesta d'intervento, da parte del Capo dell'Ufficio Marittimo cui appartiene il che ha eseguito il sequestro, all’ A.S.L. competente per territorio ai necessari accertamenti (ad esempio, per quei materiali che possono essere da nocumento per salute pubblica);
  2. di tali accertamenti, effettuati per ogni oggetto confiscato, dovrà essere inviata copia alla Capitaneria di Porto competente per territorio con elenco dettagliato del materiale cui l’accertamento si riferisce, della data in cui si è proceduto al sequestro, del numero e della data della “Ordinanza di Confisca”;
  3. una volta ricevuta la suddetta documentazione, la Capitaneria di Porto competente dovrà provvedere in tempi brevi all’emanazione della “Ordinanza di Distruzione” che può essere cumulativa per tutti i materiali;
  4. dell’avvenuta distruzione, da parte del personale dell'Ufficio cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro, dovrà essere inviato alla Capitaneria di Porto competente apposito Verbale, per la successiva comunicazione all' Autorità Finanziaria.
  • Materiale confiscato non deperibile e non alterato

Solo quando il provvedimento che dispone la confisca diventa inoppugnabile, ovvero quando avverso lo stesso non è stato presentato ricorso entro 30 giorni dalla sua emanazione, si procederà alla alienazione del bene confiscato con la seguente procedura:

  1. richiesta d’intervento, da parte del Capo dell'Ufficio cui appartiene il che ha eseguito il sequestro, di un rappresentante dell'Ufficio Tecnico Erariale (UTE) competente per territorio per la determinazione del valore residuo degli oggetti confiscati;
  2. stesura del Verbale di accertamento del valore commerciale residuo del materiale;
  3. invio alla Capitaneria di Porto competente per territorio, di un elenco dettagliato con accurata descrizione del bene, riportante la data in cui si è proceduto al sequestro, il numero e la data dell’ordinanza di confisca e l’indicazione del valore commerciale residuo stimato;
  4. la Capitaneria di Porto competente, ricevuta detta documentazione, provvederà in tempi brevi all’emanazione di una “Ordinanza di Alienazione” di detto materiale (anche cumulativa), che sarà trasmessa, in quanto competente all’alienazione di beni di pertinenza del patrimonio disponibile, al e per conoscenza al Comando che a suo tempo eseguì il sequestro e che, di fatto, ne ha la custodia;
  5. le somme ricavate dalle vendite saranno devolute - a cura dell'Amministrazione che ha eseguito la vendita - all'Erario ed imputate al Capitolo 2650 (entrate eventuali e diverse) del Capo VII Demanio ed al medesimi capitolo saranno imputate le somme relative alle spese di custodia e di conservazione del materiale;
  6. qualora la vendita non avesse luogo per mancanza di offerenti, o nel caso in cui il valore commerciale stimato residuo sia nullo, verrà ordinata dalla Capitaneria di porto competente la procedura di distruzione con le modalità di rito (lett. a).
  • Materiale sequestrato deperibile – pescato
  1. l'Ufficio cui appartiene il che ha eseguito il sequestro, informa la Capitaneria di Porto competente la quale, se ritiene di dover mantenere il sequestro, autorizzerà il citato Ufficio a procedere alla alienazione o distruzione;
  2. in caso di alienazione, la vendita del pescato dovrà essere effettuata dal personale dell'Ufficio cui appartiene il Pubblico Ufficiale che ha eseguito il sequestro, presso il mercato ittico locale al valore di libero mercato, con dichiarazione di rito prevista dalle leggi di Contabilità Generale dello Stato;
  3. del ricavato della vendita dovrà essere effettuato versamento in Tesoreria a titolo provvisorio;
  4. in caso di distruzione, la stessa dovrà avvenire con le modalità di rito sopra indicate;
  5. nel caso in cui il pescato sia di modestissima quantità e di scarso valore economico, può essere presa in considerazione la possibilità di devolvere tale pescato in beneficenza ad un Ente assistenziale locale, previo rilascio, da parte del Veterinario dell’ASL, di un documento attestante la commestibilità del prodotto;
  6. dell’avvenuta devoluzione, l’Ente assistenziale beneficiario, dovrà rilasciare idonea attestazione all'Ufficiale accertatore che provvederà ad inviarla, unitamente al processo Verbale di sequestro, alla Capitaneria di Porto competente;
  7. nel caso in cui il pescato sequestrato sia ancora vivo, lo stesso può essere rigettato in mare e, di tale operazione, dovrà esserne fatta annotazione sul Verbale di sequestro a cura dell’agente accertatore;

Qualsiasi sia la procedura adottata, una volta ultimata, ne sarà data comunicazione alla Capitaneria di Porto competente per la successiva comunicazione all’ Autorità Finanziaria.

  • Materiale dissequestrato e non ritirato
  1. se decorsi 6 (sei) mesi da quando il provvedimento che dispone la restituzione delle cose sequestrate è divenuto inoppugnabile ed il soggetto a favore del quale è stata disposta la restituzione del materiale non provvede a ritirarle, del mancato ritiro ne dovrà essere informata l’Autorità che ha disposto la restituzione;
  2. di detto materiale, a cura di detta Autorità, ne verrà disposta l’alienazione che dovrà essere eseguita con le modalità di rito (lett. b);
  3. ultimata la procedura, ne darà comunicazione alla Capitaneria di Porto competente per la successiva comunicazione all’ Autorità Finanziaria.
  • Materiale di cui al 4° comma dell'art. 20 L. 689/81
  1. Nel caso in cui l’oggetto del sequestro è costituito da materiale la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione costituisce violazione amministrativa, ovvero quando detto materiale non è conforme a quanto previsto dalle Leggi e dal Regolamento sulla pesca marittima, dello stesso verrà disposta dalla Capitaneria di Porto competente la confisca con la quale si ordinerà direttamente la distruzione;
  2. la distruzione dovrà avvenire con le modalità di rito (lett. a).
     

Esecuzione forzata

L'«esecuzione forzata» consiste nel recupero coatto della somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa, nel caso sia decorso il termine fissato per il pagamento senza che lo stesso sia avvenuto.
L'Autorità che ha emesso l'ordinanza-ingiunzione procede alla riscossione delle somme dovute mediante «Ruoli» secondo il sistema della esazione delle imposte dirette (D.P.R 29 settembre 1973, n. 602).
Il Ruolo è un atto di natura ricognitiva in forma di elenco (eventualmente redatto con sistema meccanografico) che indica i soggetti che nel Comune interessato sono tenuti a pagare l'imposta cui di volta in volta si tratta e l'ammontare dovuto da ciascuno di essi.

  • L'Amministrazione che ha emesso l'ordinanza-ingiunzione dovrà procedere alla formazione di una «minuta di ruolo», la quale deve contenere:
  1. le generalità complete dei trasgressori;
  2. la sede e la ragione sociale (nel caso di soggetti diversi da persona fisica);
  3. gli estremi dell'ordinanza-ingiunzione di pagamento;
  4. l'indicazione della norma violata;
  5. l'ammontare della sanzione distinta dall'ammontare delle eventuali spese del procedimento davanti al Giudice;
  6. l'indicazione dell'autorità alla quale dovranno affluire le somme recuperate (Ufficio delle Entrate o altro ufficio competente).

Si suggerisce in proposito di evitare per quanto possibile la compilazione di più ruoli, provvedendo a raggruppare in un unico procedimento più nominativi.
La minuta del ruolo contenente tali dati dovrà essere inviata alla «esattoria comunale» che dovrà perfezionarla apponendovi il «numero meccanografico» (=di codice) dei contribuenti.
Pervenuta la minuta ruolo, l’Autorità amministrativa dovrà inviarla al “Centro elettronico del consorzio nazionale degli esattori” competente per territorio che provvederà alla predisposizione dei Ruoli i quali verranno trasmessi poi all'amministrazione sanzionante (es. Capitaneria di Porto).
Questa dovrà inviarli, unitamente agli «originali» delle ordinanze-ingiunzione e dopo averne verificata la corretta compilazione alla «Direzione Regionale delle Entrate» competente per territorio per ottenere il «visto di esecutorietà» (previsto dall'art. 23 D.P.R. 603/1973) dell'amministrazione finanziaria sui Ruoli ad essa trasmessi.
Avuti in restituzione i Ruoli resi esecutivi, questi dovranno essere trasmessi per il successivo carico all’esattore, all'«esattoria» competente (relativa al comune di residenza del contribuente) per la riscossione. Gli esattori procederanno agli atti esecutivi nei confronti dell'obbligato c.d. «procedimento di esecuzione forzata».
Salvo quanto previsto nell'art. 26, in caso di ritardo nel pagamento la somma dovuta è maggiorata di un decimo per ogni semestre decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile e fino a quello in cui il Ruolo è trasmesso all'esattore. La maggioranza assorbe gli interessi eventualmente previsti dalle disposizioni vigenti.
Dopo la consegna dei Ruoli all'esattoria, questa dovrà provvedere alla notifica della «cartella di pagamento». Il pagamento deve essere effettuato presso la sede dell'esattoria entro «otto giorni» dalla scadenza. In caso di mancato pagamento, scatta l'avviso di mora, con invito a pagare entro «cinque giorni», e quindi si avvia la «espropriazione forzata», con onere di preventiva esecuzione sui beni mobili (Ufficiale Giudiziario).

 

 

 

La procedura di esecuzione forzata: il Ruolo Esecutivo

Ai sensi dell'art. 27 della Legge 689/81, nel caso in cui sia decorso inutilmente il termine fissato per il pagamento, l'Autorità che ha emesso l'Ordinanza Ingiunzione (es. Capo del Compartimento Marittimo) procede alla riscossione delle somme dovute in base alle norme previste per la esazione delle imposte dirette, trasmettendo il «Ruolo» all'esattore per la riscossione in un'unica soluzione; detta modalità di riscossione viene denominata «procedimento di esecuzione forzata», il quale si articola nelle fasi di seguito riportate:

  1. Comunicazione del numero del contribuente

Periodicamente l'Ente impositore (es. Capitaneria di Porto) redige l'elenco dei morosi utilizzando un particolare modulo e lo invia all'esattoria comunale territorialmente competente, per l'apposizione del "numero del codice del contribuente" necessario per l'emissione della "cartella esattoriale". Tale elenco deve essere inviato con congruo anticipo sui tempi di presentazione della "minuta dei ruolo esecutivo" al Centro elettro contabile del territorio che sono fissati per il giorno 5 dei mesi di ottobre, dicembre, maggio e luglio.

  1. Stesura della minuta del ruolo

Accertato il codice del contribuente, deve essere predisposta la "minuta del ruolo" da inviare al centro elettrocontabile al fine della stesura del "ruolo meccanizzato". Il modello adottato per la compilazione della minuta del ruolo, deve essere compilato in ogni sua parte; in particolare, l'importo della somma dovuta corrisponde alla somma della sanzione amministrativa di cui all'Ordinanza Ingiunzione (che comprende anche le spese di notifica) e dal quantum ricavato dal calcolo della maggiorazione della sanzione corrispondente ad un decimo della sanzione per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è diventata esigibile e fino a quando il ruolo non viene trasmesso all'esattore.
Comunque è stato adottato, dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto, un programma software il quale, all'inserimento dei dati richiesti, calcola direttamente le somme dovute le quali vengono divise anche per “codici di tributo” di nostra competenza che sono così riassumibili:

  • 5014 - SANZIONI AMMINISTRATIVE Legge 24.11.1981 n. 689; CAPITANERIADI PORTO
  • 5015 - MAGGIORAZIONE RITARDATO PAGAMENTO Legge 24.11.1981 n.689; CAPITANERIA DI PORTO
  • 5016 - SANZIONI AMMINISTRATIVE Legge 24.11.1981 n.689; ERARIO e TRAMITE TESORERIA PROVINCIALE DELLO. STATO (CAPITANERIA DI PORTO)
  • 5017 - MAGGIORAZIONE RITARDATO PAGAMENTO Legge. 24.11.1981 n. 689; ERARIO TRAMITE TESORERIA  PROVINCIALE DELLO STATO (CAPITANERIA DI PORTO).

Il modello predetto, contenente tutti i dati necessari alla compilazione del ruolo, deve pervenire al Centro elettrocontabile nei termini di cui sopra; con l'entrata in vigore della Legge Finanziaria 1998, nella compilazione del ruolo è divenuto un dato obbligatorio anche il codice fiscale o la partita I.V.A. (se trattasi di società) ed il sesso del moroso.

  1. Trasmissione del ruolo meccanizzato

Una volta stampato, il Centro elettrocontabile trasmette il ruolo meccanizzato all'ente impositore ( es. Capitaneria di Porto) per l'ulteriore corso di legge; saranno pertanto trasmessi:

  1. 2 copie del ruolo meccanizzato
  2. 3 copie del relativo frontespizio
  3. 5 copie del riepilogo del ruolo
  1. Obblighi dell'ente impositore (art. 11 D.M. 28 dicembre 1989)
  1. si accerta la corrispondenza tra i dati riportati nel ruolo meccanizzato e la minuta del ruolo;
  2. il Capo Sezione Contenzioso sottoscrive i ruoli, il frontespizio ed il riepilogo;
  3. si trasmettono le copie del ruolo meccanizzato completo del relativo frontespizio ed il riepilogo completo del visto di esecutorietà del Comandante del Porto entro il giorno 15 dei mesi di febbraio, luglio, settembre e dicembre (ex art.4 del D.M. 28 dicembre 1989). La lettera di trasmissione deve specificare che le somme da riscuotere coattivamente sono dovute ad Ordinanze Ingiunzione divenute esecutive e contro le quali non è stata avanzata opposizione. Copia del frontespizio debitamente siglato dal Capo Sez. Contenzioso nonché copie del riepilogo dei ruoli vengono trasmesse anche al Dir. Regionale delle entrate.
  1. Obblighi dell'esattore (art. 25 D.P.R. 602/73)

Gli esattori, non oltre il giorno 5 del mese dì scadenza della prima rata successiva alla consegna dei ruoli, devono notificare al contribuente la "cartella di pagamento" (=cartella esattoriale). Detta notifica è eseguita in ottemperanza all'art 26 del D.P.R. 602/73. Se entro 30 giorni dalla notifica il contribuente non provvede al pagamento, l'esattoria provvede a notificare un avviso di mora con il quale si invita il contribuente ad effettuare il pagamento entro 5 giorni. Trascorsi inutilmente cinque giorni, l'esattore procede all'espropriazione forzata in virtù del ruolo.

► L'espropriazione forzata può dare origine a due ipotesi:

  1. pignoramento fruttifero (del cui esito comunque non viene data notizia alla Capitaneria di Porto);
  2. pignoramento infruttifero: nel caso in cui il pignoramento sia infruttifero per nullatenenza, ed il credito sia superiore a € 258, alla Capitaneria di Porto giunge entro 90 giorni il verbale di pignoramento negativo (con allegato il certificato d residenza del contribuente) che, nel caso in cui non abbia elementi utili per l'esperimento di ulteriori procedure esecutive (in tal caso si ritrasmette detto verbale con preghiera di ripetere la procedura alla luce dei nuovi elementi acquisiti) viene vistato dal Capo Sezione Contenzioso entro 6 mesi dalla ricezione e trasmesso all'esattoria; nel caso in cui la causa del pignoramento infruttifero sia l'irreperibilità, viene trasmesso alla Capitaneria di Porto il verbale di irreperibilità che dovrà essere vistato entro 6 mesi dalla ricezione e trasmesso nuovamente all'esattoria.

Dei verbali di infruttuosa esecuzione vistati, si attenderà la "domanda di discarico" delle somme non riscosse ad essi relative; si consiglia di autorizzare la discarica dai ruoli solo delle somme relative ai verbali di infruttuosa esecuzione vistati, la cui copia sia presente agli atti della Sezione Contenzioso.

 

Disciplina sanzionatoria Codice della Strada

L’art. 194 del Deccreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 [66][1] [50] contiene il principio fondamentale in base al quale per le sanzioni amministrative previste dal Codice della Strada si applicano, in via generale, i «principi» contenuti nella Legge 24 novembre 1981, n. 689 [67] (art. 1 - 43).

Per quanto attiene, invece, l’iter sanzionatorio, il Codice della Strada differisce dalla legge di depenalizzazione, prevedendo modalità e termini particolari.
Il successivo art. 195 fissa al comma 1, i limite minimo (15 €) e massimo (9.296 €), modificato dall’art. 23, comma 1 D.lgs. 507/99) delle sanzioni pecuniarie previste dal Codice della Strada, prevedendo al comma 2 che tali limiti vengano aggiornati ogni due anni sulla base delle variazioni, accertate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
Il secondo comma dell’art. 195 riprende la disposizione contenuta nell’art. 11 della legge 689/81 che, desumendoli dagli artt. 133 e 133 bis del Codice penale, individua i "criteri" per la determinazione delle sanzioni pecuniarie fissate dal Codice fra il minimo e il massimo.

A tale riguardo l’Autorità amministrativa dovrà tenere conto dei seguenti «criteri»:
 

SOGGETTIVI OGGETTIVI
Gravità del fatto Personalità del trasgressore
  Condizione economica

Condotta successiva alla violazione

 

► Principio di solidarietà 

L’art. 196 del Codice della Strada (C.d.S.) riprende, sostanzialmente, i principi contenuti nell’art. 6 della legge 689/81, di chiara matrice civilistica (art. 2055 Cod. civ.), prevedendo la responsabilità solidale a carico del proprietario del veicolo, o in sua vece, dell’usufruttuario, dell’acquirente con patto di riservato dominio o l’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria (leasing). Nel caso di locazione senza conducente (art. 84 C.d.S.), risponde solidamente il locatario e, per i ciclomotori, l’intestatario del contrassegno di identificazione.
Quando la violazione sia commessa da una persona capace di intendere e di volere ma sottoposta alla altrui autorità, direzione o vigilanza, la persona rivestita dell’autorità o incaricata della direzione o della vigilanza è obbligata in solido come l’autore della violazione (culpa in vigilando).
Le persone coobbligate sono responsabili a meno che non riescano a provare che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la loro volontà.
Per le violazioni commesse dal rappresentante o dipendente di una persona giuridica o ente o associazione privi di responsabilità giuridica o comunque da un imprenditore, nell’esercizio delle proprie funzioni ed incombenze, sono obbligati in solido la persona giuridica, l’ente, associazione o imprenditore (culpa in vigilando). Il coobbligato ha «diritto di regresso» nei confronti del trasgressore.
E’ evidente la funzione di garanzia a vantaggio della Pubblica amministrazione che può riscuotere coattivamente la sanzione agendo nei confronti di più soggetti e potendo pretendere l’intera prestazione dal singolo soggetto prescelto. 

► Concorso di persone

L’illecito può essere commesso da una sola persona o più persone. Nel caso di compartecipazione, l’art. 197 C.d.S., riprendendo i disposti dell’art. 5 della legge 689/91, prevede che tutti gli Agenti rispondano della violazione. Anche questo principio è tratto dal Codice penale ed in particolare dall’art. 110.
In concorso nella violazione amministrativa, in sintesi, è da intendersi come la compartecipazione di più soggetti nella violazione dello stesso precetto, che può essere:

Comparteciapzione
  1. fisica o materiale
  2. psichica
  3. preparatoria (istigatoria)
  4. successiva (favoreggiamento)

 

Il concorso di persone non deve essere confuso con il «concorso necessario» in un illecito amministrativo, che si configura quando l’illecito può essere realizzato solamente da più persone che, normalmente, non rispondono tutte ma solo una (generalmente, il conducente). 

  • Si pensi, ad esempio, ai precetti contenuti nell’art. 170 sul trasporto di persone ed oggetti sui veicoli a motore: nel caso di condotta di un ciclomotore trasportando altre persone oltre al conducente, il trasportato concorre necessariamente nell’illecito ma non soggiace a sanzione.

Esistono, infine, casi nei quali il concorso necessario nell’illecito amministrativo comporta l’applicazione delle sanzioni a tutti i compartecipi.

  • Come, ad esempio, nel caso del divieto di gareggiare in velocità previsto dall’art. 141 Cds.

Nella pratica, il concorso di persone nell’illecito amministrativo è difficilmente accertabile salvi i casi nei quali esso è espressamente previsto come, per esempio, nelle violazioni agli articoli 10 e 167 Cds. 

► Cumulo di sanzioni

Il legislatore ha previsto che, a differenza di quanto indicato nell’art. 8 delle legge 689/91 nel caso di concorso formale omogeneo o eterogeneo, l’Autorità amministrativa competente non possa applicare il cumulo giuridico, ma debba sempre e comunque irrogare la sanzione secondo il principio del cumulo materiale (art. 198 Cds).

  • Ad esempio, l’art. 198, co. 2 Cds, in deroga a quanto disposto dal comma 1, nell’ambito delle aree pedonali urbane e delle zone a traffico limitato, il trasgressore ai divieti di accesso o limitazioni soggiace alle sanzioni previste per ogni singola violazione.

 


[1 [50]] [50]  Modificato dalla Legge n. 120 del 29 luglio 2010 sulle "Disposizioni in materia di sicurezza stradale" (G.U. n. 175 del 29.07.2010 - Suppl. Ordinario n. 271).

 

Contestazione e notificazione

La violazione quando è possibile, deve essere «contestata immediatamente» al trasgressore ed alla persona obbligata in solido (artt. 201 e 202 C.d.S.). A questo riguardo, gli agenti operanti redigono un Verbale che, a norma dell’art. 383 del regolamento di esecuzione di attuazione del Codice, approvato con D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, deve contenere i seguenti «elementi essenziali»:

  1. indicazione del giorno, dell’ora e della località nei quali è avvenuta la violazione;
  2. generalità e residenza del trasgressore;
  3. ove del caso, indicazione del proprietario del veicolo o del soggetto solidale;
  4. estremi della patente di guida;
  5. tipo di veicolo e targa di riconoscimento; sommaria esposizione del fatto;
  6. citazione della norma violata;
  7. eventuali dichiarazioni delle quali il trasgressore chiede l’inserzione;
  8. modalità pagamento in misura ridotta (in Lire ed in Euro).

Debbono inoltre essere fornite al trasgressore le modalità per addivenire al pagamento in misura ridotta, precisando l’ammontare della somma da pagare in Lire ed i Euro (art. 51 del D.lgs. 24 giugno 1988, n. 213), ed essere indicata l’Autorità alla quale presentare l’eventuale ricorso.

L’art. 201 C.d.S. prevede che, qualora non sia materialmente possibile addivenire alla contestazione immediata, si possa fare ricorso alla notificazione e l’art. 384 del Regolamento indica, in via non esaustiva, i casi per i quali si concretizza tale impossibilità:

  1. impossibilità di raggiungere un veicolo lanciato ad eccessiva velocità;
  2. attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante luce rossa;
  3. sorpasso in curva;
  4. accertamento di una violazione da parte di un funzionario o di un Agente a bordo di un mezzo di trasporto;
  5. accertamento della violazione per mezzo di appositi apparecchi di rilevamento che consentono la determinazione dell’illecito in tempo successivo ovvero dopo che il veicolo oggetto del rilievo sia già a distanza dal posto di accertamento o comunque nella impossibilità di essere fermato in tempo utile o nei modi regolamentari;
  6. accertamento della violazione in assenza del trasgressore o del proprietario del veicolo.

I termini per la «notificazione» della violazione ai residenti in Italia vengono fissati in «90 giorni» (anziché 150 come in precedenza).[1]

Approfrondimenti

Con la Legge nr.120 del 29.07.2010, entrata in vigore dal 10.08.2010, sono state introdotte delle novità e modificato disposizioni esistenti. Tra le modifiche apportate, quella che oggi prendiamo in considerazione è la modifica dei termini di notifica dei verbale di accertamento delle violazioni . Se in precedenza i termini erano di 150 giorni dall’accertamento della violazione, con le nuove disposizioni, oggi la notifica deve essere effettuata entro 90 giorni dall’accertamento. Se questa è la regola generale esistono poi delle deroghe che fanno innalzare il limite temporale entro il quale la violazione deve essere notificata. I casi in cui questi tempi variano sono:

  • l’impossibilità di poter procede immediatamente all’individuazione dell’autore della violazione (ad esempio violazione commessa con un veicolo noleggiato). In questo caso, oltre i 90 giorni canonici, si hanno altri 60 giorni di tempo per effettuare la notifica;
  • se la violazione è stata contestata nell’immediatezza al trasgressore il termine per la notifica è di 100 giorni;
  • ai residenti all’estero la notifica deve essere invece fatta entro 360 giorni.

Qualora la violazione non sia stata immediatamente contestata al trasgressore (i casi in cui si può omettere la contestazione immediata sono esplicitamente previsti dal Codice della Strada) il verbale deve indicare la motivazione per cui questa non sia stata fatta, oltre alla data, ora, luogo  e accertatori.

Se la notifica dovesse essere stata effettuata oltre i termini previsti, è possibile rivolgersi al Prefetto competente territorialmente per il luogo dove è stata commessa l’infrazione, chiedendo l’annullamento del verbale.

Il ricorso va presentato, entro 60 giorni dalla notifica del Verbale, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno o depositato personalmente. La presentazione (a mano o a mezzo raccomandata) può essere fatta anche presso gli uffici dell’organo che ha accertato ed elevato la contravvenzione, che si può desumere dal verbale notificato.

 


 

[1] L’art. 386 del Regolamento C.d.S., prevede che quando viene effettuata la notificazione all’intestatario del certificato di proprietà o ad uno dei soggetti indicati nell’art. 196 del C.d.S. e questi, con dichiarazione contenente, nel caso di alienazione, gli estremi dell’atto notarile, informa l’ufficio o il Comando procedente che non è proprietario del veicolo, né titolare di alcuno dei diritti di cui al medesimo articolo 196 alla data dell’accertamento della violazione per il quale si procede, l’Ufficio o Comando interessati, se riscontrano l’esattezza delle notizie fornite, rinnovando la notificazione all’effettivo responsabile, con relativo addebito delle ulteriori spese, entro i termini previsti dall’art. 201 del codice. Tali termini decorrono dalla data di ricezione da parte dell’Ufficio o Comando delle notizie fornite dal destinatario della precedente notificazione.

Specifici casi nei quali la contestazione può non essere immediata

L’art. 201 comma 1 bis del Codice della Strada ha introdotto tuttavia alcuni "specifici casi" nei quali la contestazione può non essere immediata, casi che non dovrebbero peraltro essere intesi come tassativi, avendone la giurisprudenza ampliato la portata, anche alle contestazioni effettuate da personale agente in incognito con auto provviste di targa di copertura[1] e consentendo la contestazione differita senza che questi comporti l’arresto repentino del veicolo [2], anche se tale valutazione può essere oggetto di contestazione e passibile di diverso apprezzamento da parte del Giudice.
Una importante distinzione fra “contestazione” e "verbalizzazione” è stata invece fatta dalla Suprema Corte, laddove ha ritenuto che, ricorrendone le circostanze di tempo e di luogo che precludevano agli accertatori, una volta contestata verbalmente la violazione al contravventore, di verbalizzare poi la stessa, operazione questa “distinta e successiva” rispetto alla contestazione già avvenuta oralmente, il diritto di difesa del contravventore non risulta leso, essendo quindi perfettamente valido il successivo verbale, che conserva validità fino a querela di falso dei fatti che il Pubblico Ufficiale attesta avvenuti in sua presenza[3].
D’altra parte, la Suprema Corte ha anche ristretto l’ambito d’applicazione dell’istituto della mancata contestazione immediata, ritenendo, ad esempio, non sufficiente la mera enunciazione delle circostanze richiamate dal citato art. 201 comma 1 bis , ma che i motivi della stessa vengano dettagliati dagli accertatori, e ciò per non ledere il diritto di difesa del contravventore[4].
In particolare, la Suprema Corte ha rimesso al Giudice l’apprezzamento, in relazione alle concrete circostanze di tempo e di luogo, sulla impossibilità di contestare la violazione al contravventore[5], specie per alcune violazioni quale la guida pericolosa o il sorpasso vietato che richiedono, per la S.C., un immediato contraddittorio con l’automobilista[6] .
Tale orientamento è stato peraltro recepito da alcuni Giudici di Pace, laddove gli stessi hanno ritenuto che “.... la mancata contestazione immediata di violazioni accertate con la mera percezione sensoriale di pochi secondi impedisce un controllo obiettivo e rigoroso,…e conseguentemente …inidoneo ad incidere sull’efficacia probatoria dell’atto di accertamento....” [7].
Invece eventuali errori nell’indirizzo del contravventore debbono essere ritenuti sanabili se la notifica nei confronti dello stesso comunque avviene, perché il diritto alla difesa non viene comunque leso[8].
Normalmente, qualora le figure del contravventore e dell’obbligato in solido non coincidano, la violazione può essere contestata anche successivamente nei confronti dell’obbligato in solido, a mezzo del servizio postale, ovvero con le modalità di seguito meglio specificate.

Per «obbligato in solido», infatti, si intende, rispettivamente: l’armatore, il proprietario, l’usufruttuario, l’utilizzatore (se il bene è concesso in leasing); il titolare di un diritto personale di godimento (della cosa utilizzata per commettere la violazione, veicolo, unità, attrezzo da pesca, ecc.); la persona rivestita dell’autorità (per minori, incapaci e inabilitati, conducenti del veicolo,del natante, ecc.); incaricata della direzione o vigilanza (per le imprese, soggetti iscritti ex art. 68 Cod. nav.; armatori, comandanti di nave, ecc.); l’imprenditore; ente o persona giuridica (per fatti commessi da rappresentate o dipendente nell’esercizio delle proprie funzioni , assistente bagnante; marinaio; ecc.); il datore di lavoro per violazioni commesse dall’autista suo dipendente (combinato disposto art. 196 C.d.S. e art. 6 L. 689/81).
Quanto sopra a meno che l’obbligato non provi che la circolazione (ovvero l’uso illecito del mezzo impiegato per compiere materialmente la violazione) è avvenuto contro la sua volontà (esibendo, ad esempio. una denuncia di furto) ovvero che, nonostante ogni precauzione adottata e la vigilanza esercitata, non sia stato materialmente possibile impedire il fatto.
Devono essere invece espressamente riportati in calce al processo verbale di accertamento dell’illecito le motivazioni che hanno precluso all’agente accertatore l’attività di immediata notifica nei confronti del trasgressore.
Infatti la mancata contestazione immediata, come pure l’aver omesso di riportare sul verbale le dichiarazioni eventualmente rese dal contravventore (le quali ultime andranno riportate integralmente anche utilizzando, se del caso, foglio stralcio del verbale), pur se non costituiscono espressa causa di nullità dell’atto medesimo, di fatto possono potenzialmente precludere nella fase iniziale del procedimento l’attività difensiva del contravventore[9], potendo conseguentemente costituire elemento per avanzare opposizione avverso il Giudice di Pace, e costituire comunque, se non adeguatamente motivata, omissione procedimentale passibile di rilevanza in sede disciplinare nei confronti dell’accertatore[10].

 


[1] Cass. Civ. – Sent. n° 17573 del 31.08.05

[2] Cass. Civ. – Sent. n° 22364 del 05.09.08

[3] Cass. Civ. – Sent. n° 14668 del 03.06.08

[4] Cass. Civ. – Sez. II^ - Sent. n° 8837 del 28.04.05

[5] Cass. Civ. – Sent. n° 18271 del 30.08.07 – conforme n° 263111 del 07.12.06; n° 7332/2005; n° 352/2005; n° 11971/2003; n° 2494/2001 )

[6] Cass. Civ. – Sent. n° 15324 del 21.07.05

[7] G.d.P. di Acerra – Sent. 19.11.07

[8] Cass. Civ. – Sent. n° 15030/2007

[9] Sent. Cass. Civ., Sez. III, n° 4010 del 03.04.2000

[10] Cass. Civ., Sez. III, n° 10036 del 01.08.2000, Sez. I, n° 6527 del 29.05.92 e n° 8356 del 26.07.93).

 

 

 

Notifica per le violazioni al C.d.S.

Un caso particolare di notifica è contemplato a seguito di violazione al Codice della Strada, in quanto se non è nota la residenza, domicilio o dimora del contravventore, la notifica nei confronti di quest’ultimo non assume carattere di obbligatorietà ma va effettuata nei confronti del solo obbligato in solido (intestatario dell’autoveicolo).
In ogni caso la notifica si intende comunque validamente eseguita quando effettuata presso la residenza, domicilio o sede del soggetto, risultante dalla carta di circolazione o dall’archivio nazionale dei veicoli istituito presso la Direzione generale della M.C.T.C. o dal P.R.A. o dalla patente di guida del conducente (art. 201 comma 3 C.d.S.).
Al riguardo sia la Corte Costituzionale (Ordinanza n° 185 del 12.06.07 ) che il Ministero dell’Interno (Circolare n° 300/A/1/264696/127/9 del 20.08.07) hanno stabilito che l’Amministrazione ha
150 giorni di tempo per notificare al contravventore l’ingiunzione di pagamento emanata.

 

 

Preavviso di accertamento: validità

In caso di infrazione commessa a mezzo autoveicolo, la posizione all’esterno della vettura di un «foglietto di preavviso» risponde ad una mera prassi, e non costituisce equipollente della contestazione dell’infrazione; per cui l’omissione di tale prassi è priva di effetti giuridici non costituendo obbligo per l’Amministrazione[1], essendo detto preavviso un mero atto prodromico alla successiva ordinanza e non assimilabile quindi né a questa, né al verbale di accertamento e contestazione, e conseguentemente non è impugnabile[2].
Si richiama al riguardo quanto disposto dalla Circolare n° 82/056963/II del 11.09.98 di Maricogecap sulla non impugnabilità del verbale, atteso che lo stesso costituisce atto preliminare che non lede direttamente alcun interesse del ricorrente, nonché la Sentenza n° 6485 emanata in data 19.05.2000 dalla Cass. Civ. – Sez. III^ in materia di applicabilità – per le violazioni in materia da diporto delle norme della L. 689/81 e non del C.d.S.
Quanto sopra potrebbe comportare l’annullabilità, in via di autotutela e giusta quanto disposto dalla Circolare n° 66 prot. n° M/2413 del 17.05.95 del Ministero dell’Interno, dello stesso preavviso, qualora effettuato nei confronti di un soggetto erroneo (art.386 Reg. Es. C.d.S.), senza necessità di inoltro alla Prefettura competente per l’emanazione di eventuale Ordinanza di Archiviazione (vedasi al riguardo Corte dei Conti – Sez. Giurisdizionale Centrale – Sent. del 02.09.98).
Qualora tuttavia si dovesse ricorrere a tale procedura, si avrà cura di fornire comunque idonea informazione al contravventore, specificando che a tale atto seguirà l’emanazione del relativo verbale di accertamento e contestazione amministrativa, unico provvedimento questo che assume valore di atto amministrativo secondo le formalità previste dalla L.689/81,ivi comprese le relative forme di tutela.
Decorso inutilmente il termine per il pagamento, verrà emessa la relativa Ordinanza - Ingiunzione la quale – analogamente alla sentenza di rigetto dell’eventuale ricorso emanata dal Giudice adito dal contravventore – costituisce titolo esecutivo per l’iscrizione a ruolo esattoriale e successiva esecuzione coattiva,secondo il disposto del D.P.R. n°602/1973 e del C.P.C.

L’eventuale cancellazione dal ruolo potrà essere quindi autorizzata solamente dall’Ente che ha originariamente imposta la sanzione mediante la relativa procedura di discarica esattoriale, che potrà essere legittimamente adottata solo qualora l’interessato dimostri di aver regolarmente effettuato l’oblazione in via breve, ovvero il pagamento della somma ingiunta con Ordinanza nei termini di legge.

 

 


[1] Sentenza Cassazione Sez. 1^ - n. 2683 del 02.06.1989

[2] Cass. Civ. , Sez. II^ - Sent. n° 5447 del 09.03.07 – conforme – Sez. I^ - Sent. n° 5875 del 24.03.04).

 

Il pagamanto in misura ridotta

Per le sanzioni amministrative pecuniarie, il C.d.S. (art. 202) prevede la possibilità di addivenire al «pagamento in misura ridotta di una somma pari al minimo fissato per le singole norme», da effettuarsi entro 60 giorni dalla contestazione o notificazione del verbale (art. 202, comma 1).

La possibilità di pagamento in misura ridotta è preclusa quando il trasgressore non abbia ottemperato all’invito di fermarsi ovvero, si sia rifiutato di esibire il documento di circolazione, la patente di guida o qualsiasi altro documento che debba avere con sé.

In questo caso il Verbale di violazione deve essere trasmesso «entro 10 giorni», al Prefetto (art. 202, comma 3).

Non è consentito il pagamento a mani dell’agente accertatore. Per ogni pagamento in misura ridotta, deve essere compilata «apposita quietanza», mentre per i pagamenti a mezzo posta o banca, valgono le rispettive ricevute (art. 387 Regolamento C.d.S. ).

Nel caso di mancato pagamento, la riscossione coattiva viene effettuata con le modalità di cui all’art. 27 della citata legge 689/81.

 

Ricorso e provvedimenti del Prefetto - Opposizione avanti all'A.G.

Il trasgressore o le persone obbligate in solido, «entro 60 giorni» dalla contestazione o notificazione del Verbale, possono presentare ricorso al Prefetto del luogo di commessa violazione, con atto esente da bollo da trasmettersi al Comando accertatore.

Il responsabile del Comando o Ufficio accertatore, nei successivi 30 giorni  trasmette il ricorso al Prefetto unitamente alle controdeduzioni e con la prova delle avvenute contestazioni o notificazioni (art. 203, comma 1 e 2 C.d.S.).

Il Prefetto, se ritiene fondato l’accertamento, entro 90 giorni[1] dal ricevimento de«l ricorso, emette «ordinanza-ingiunzione» per il pagamento di una somma non inferiore al doppio del minimo edittale, da pagarsi «entro 30 giorni» dalla notificazione dell’atto agli interessati. Nel caso in cui, invece, ritiene fondato il ricorso, dispone l’archiviazione.

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 20 giugno 1994, il ricorso avverso il Verbale di accertamento è altresì esperibile, nel termine di «30 giorni» dalla contestazione o notificazione, avanti all’Autorità Giudiziaria.

In deroga a quanto previsto dall’art. 17 della legge 689/81, nei casi in cui non sia intervenuto il pagamento in misura ridotta e non sia stato presentato ricorso, il “Verbale costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo edittale oltre le spese di procedimento” (art. 203, comma 3 C.d.S. ).

Avverso l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto è esperibile l’opposizione avanti all’Autorità giudiziaria, «entro 30 giorni» dalla notificazione del provvedimento. Allo stato attuale, l’opposizione va presentata al Giudice di pace del luogo della commessa violazione ed il procedimento è regolato dai disposti degli artt. 22 e 23 della legge 689/81.

 


[1] Termine modificato dall’art. 18 della Legge 24 novembre 2000, n. 340
 

 

 

Riscossione coattiva dei proventi – Veicoli immatricolati all'estero o con targa EE

Nel caso di mancato pagamento, la «riscossione coattiva» viene effettuata con le modalità di cui all’art. 27 della citata legge 689/81.
I Ruoli vengono resi esecutivi dallo stesso ente che li ha emessi (art. 24 legge 27 dicembre 1997, n. 449).

Nel caso di pagamento effettuato in misura inferiore a quanto dovuto, la somma versata non estingue l’illecito ma viene tenuta in acconto e l’eventuale importo da iscrivere a ruolo è dato dalla differenza tra la somma dovuta (metà del massimo edittale) e l’acconto fornito. La somma dovuta nel caso di pagamento effettuato oltre il termine di 60 giorni ma prima della formazione del Ruolo, è pari alla metà del massimo edittale oltre alle spese di procedimento (art. 389 Regolamento C.d.S. ).

In deroga al principio generale della non oblabilità nelle mani dell’agente accertatore, l’art. 207 C.d.S. prevede che quando la violazione alle norme del C.d.S. riguardi un veicolo immatricolato all’estero o munito di targa EE, il trasgressore possa essere ammesso ad effettuare il pagamento immediato. Nel qual caso l’Agente rilascerà apposita quietanza.

Se il trasgressore non si avvale di tale facoltà, deve versare all’agente accertatore una "somma a titolo cauzionale", pari alla metà del massimo della sanzione ovvero, fornire apposita "polizza fideiussoria" a garanzia della somma dovuta. Residualmente, mancando le forme di garanzia di cui sopra, viene disposta la misura cautelare del ritiro della patente di guida, mancando la quale trova applicazione il fermo amministrativo del veicolo.

  • Prescrizione

Il diritto a riscuotere le somme dovute quali sanzioni pecuniarie, si prescrive nel termine di 5 anni dalla commessa violazione, calcolate le interruzioni a norma del codice civile.

 

 

Sanzioni accessorie

Il Codice della Strada ha introdotto diverse fattispecie di «sanzioni accessorie» oltre a quelle pecuniarie – sanzioni che colpiscono:

  1. sia la persona fisica (ritiro patente, perdita punti, divieto di guidare in orari notturni);
  2. sia le attività (obbligo di sospendere una determinata attività, obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi, ecc.);
  3. sia lo stesso mezzo di trasporto

Tali ultime sanzioni consistono, in particolare, in:

  1. Fermo amministrativo del veicolo (art. 214);
  2. Rimozione o blocco del veicolo (art. 215);
  3. Ritiro dei documenti di circolazione (art. 216);
  4. Sospensione della carta di circolazione (art. 217);
  5. Sequestro di veicolo (art. 213).

Le sanzioni disciplinari si applicano di diritto (art. 210 C.d.S.) e, così, come quelle pecuniarie, non sono trasmissibili agli eredi.
 

Fermo amministrativo del veicolo

Provvedimento innovativo nell’ambito della disciplina sanzionatoria amministrativa che ha quale unico precedente simile, il sequestro amministravo a tempo determinato introdotto dalla Legge 11 gennaio 1986, n. 3 sul casco obbligatorio.

► Volendolo sintetizzare, possiamo rilevare nell’art. 214 C.d.S. tre diversi ipotesi operative:

  1. fermo del veicolo in genere
  2. fermo del ciclomotore
  3. fermo di veicolo a seguito della sospensione della carta di circolazione

Nel caso di accertata violazione alla quale consegue il «fermo amministrativo di un veicolo in genere» gli Agenti accertatori provvedono a far cessare la circolazione ed a far ricoverare il mezzo con le modalità previste dal Regolamento. Si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni sul sequestro, di cui all’art. 394 del Regolamento.
Trattandosi di provvedimento che si concretizza con l’affidamento in custodia del veicolo a terzi, nel caso di violazione agli obblighi di custodia trovano applicazione le norme contenute nel Codice penale.

Il «fermo amministrativo del ciclomotore» si effettua con ricovero presso il luogo indicato dal conducente o, in caso di impossibilità, presso l’ufficio o comando operante ovvero in depositeria.
Nel caso in cui ricorrano motivi ostativi di sicurezza stradale, il ciclomotore non viene affidato al conducente ma rimosso o ricoverato. Contestualmente si provvede al ritiro del certificato di idoneità tecnica.

  • Ad esempio, tali motivi di sicurezza potrebbero sussistere anche quando il conducente sia sprovvisto al seguito del casco protettivo, anche perché non si vede come gli Agenti operanti potrebbero “legittimamente” la conduzione del mezzo, dal luogo della violazione al luogo di deposito, in violazione dell’art. 171 Cds.

Chiunque circola con un ciclomotore sottoposto a fermi amministrativo, soggiace alla sanzione amministrativa prevista dall’art. 214, comma 8. C.d.S. Viene disposta la custodia del veicolo in depositeria.

Quando sia previsto il provvedimento di «sospensione della carta di circolazione», consegue il fermo ai sensi dell’art. 214 comma 7 C.d.S.
Il veicolo sottoposto al ritiro della carta di circolazione per la successiva sospensione, è affidato al conducente il quale indica il luogo ove intende ricoverare il mezzo, mentre con il fermo del ciclomotore, visto in precedenza, viene immediatamente interrotta la circolazione del veicolo, con affidamento in custodia.
Nel caso di circolazione con veicolo avente la carta di circolazione sospesa e, conseguentemente, sottoposto a fermo, troverà applicazione la sanzione di cui all’art. 217 C.d.S.

Il ricorso e l’opposizione alla sanzione principale si estendono alla sanzione accessoria.
Il Verbale di fermo va notificato al proprietario se diverso dal conducente, ed ai genitori o chi ne fà le veci, nel caso di affidamento del veicolo al conducente minorenne.

Trascorso il periodo di fermo, il veicolo viene restituito all’avente diritto o, nel caso di trasgressore minorenne, a chi esercita la potestà dei genitori o a persona maggiorenne appositamente delegata.

 

Rimozione o blocco del veicolo

Sanzioni accessorie che trovano applicazione nelle violazioni alle norme sulla sosta dei veicoli.
Quando sia prevista la «rimozione», l’Organo accertatore provvede affinché il mezzo sia trasportato e custodito in appositi siti, indicando l’applicazione della sanzione accessoria sul Verbale di contestazione. Per il trasporto, l’Organo di polizia utilizza veicoli di proprietà dell’amministrazione ovvero automezzi di diluite convenzionate, aventi le caratteristiche di cui all’art. 12 del Regolamento C.d.S.. Per l’applicazione del «blocco», con attrezzi a chiave utilizzati di tipo omologato dal Ministero del LL.PP., occorre che il veicolo in sosta vietata non crei, comunque, intralcio o pericolo alla circolazione. L’Organo procedente comunica l’avvenuta rimozione o blocco all’interessato. Qualora quest’ultimo giunga durante le operazioni, il veicolo può essere restituito immediatamente, previo pagamento delle spese.
I veicoli rimossi o bloccati sono restituiti agli aventi diritto dietro pagamento delle spese di rimozione e custodia, con redazione di apposito Verbale e possibilità di applicazione del «diritto di ritenzione» ai sensi dell’art. 2756 c.c.

Il ricorso avverso la sanzione principale si estende alla sanzione accessoria in esame.
Trascorsi 90 giorni dalla notificazione del Verbale di violazione senza che l’avente diritto si presenti a reclamarne la restituzione, il veicolo potrà essere alienato o demolito con le identiche modalità della confisca indicate in precedenza.

 

Ritiro dei documenti di circolazione, della targa o della patente di guida.

Nelle ipotesi in cui le norme del C.d.Ss. prevedono la sanzione accessoria in esame, i documenti vengono ritirati dall’organo accertatore contestualmente all’accertamento di violazione, ed inviati nei successivi cinque giorni agli uffici competenti (art. 216 Cds).

 

Documenti da sottoporre a ritiro
Ufficio competente
Carta di circolazione
Dir. Gen. MCTC
Certificato di idoneità macchine agricole
Dir. Gen. MCTC
Autorizzazione autotrasporto Dir. Gen. MCTC
Licenza autotrasporto
Dir. Gen. MCTC
Targa Dir. Gen. MCTC
Patente di guida Prefettura

 

Del ritiro viene fatta menzione nel Verbale di contestazione, ove è pure apposta la specifica annotazione prevista dall’art. 399 del Regolamento C.d.S. affinché l’utente possa raggiungere il luogo da lui stesso indicato. Nei casi di ritiro della targa, si provvede solo dopo che il veicolo sia stato depositato nel luogo indicato dall’avente diritto. In quest’ultimo caso, si procede a redigere apposito Verbale.
Nel caso in cui l’avente diritto non sia in grado di indicare il luogo di ricovero, l’Organo accertatore provvede alla custodia con le modalità di cui all’art. 394 del Regolamento, in quanto applicabili.
La restituzione del documento è richiesta dagli interessati quando abbiano adempiuto alle formalità omesse.
Il ricorso presentato avverso la sanzione principale, si estende alla sanzione accessoria che viene confermata in caso di rigetto del ricorso stesso.

 

Sospensione della carta di circolazione

Quando ad una violazione del C.d. S. consegua la sanzione accessoria della «sospensione della carta di circolazione», il documento viene ritirato dall’Organo di polizia che ne fa menzione sul Verbale di contestazione, rilasciando, a mezzo di annotazione sul medesimo Verbale, un «permesso provvisorio di circolazione» onde il conducente possa raggiungere il luogo da lui stesso indicato, per la via più breve.

Il documento viene inviato entro 5 giorni, unitamente a copia del Verbale di violazione, alla MCTC che, nei 15 giorni successivi, emette la «ordinanza di sospensione» nei limiti indicati dalla singola norma violata. L’ordinanza di sospensione viene comunicata al Prefetto ed il periodo di sospensione decorre dal giorno in cui è stato materialmente effettuato il ritiro del documento.
In caso di documento rilasciato da uno Stato estero, la MCTC sospende la validità al fine della circolazione in Italia e comunica al corrispondente ufficio estero per l’annotazione sulla carta di circolazione.
Nel caso in cui suddetta ordinanza non sia emessa entro il termine di 15 giorni, l’interessato ha diritto di ottenere la restituzione del documento da parte della MCTC.

Il documento viene restituito, sempre a cura della Motorizzazione, con comunicazione al Prefetto ed al P.R.A., al termine del periodo di sospensione.
Con l’ordinanza di sospensione gli interessati possono proporre autonomo ricorso al Prefetto.

 


 

Sospensione della patente di guida

Quando ad una violazione del C.d.S. consegua la sanzione accessoria della «sospensione della patente di guida», l’Agente accertatore ritira il documento facendone menzione nel Verbale di contestazione. Provvede, altresì, al rilascio del «permesso provvisorio di guida», mediante annotazione sul Verbale, onde consentire al trasgressore di raggiungere il luogo di custodia da lui stesso indicato.

Nei successivi 5 giorni, il documento viene inviato alla Prefettura del luogo di commessa violazione che, nei 15 giorni successivi, emette la «ordinanza di sospensione». Il periodo di sospensione decorre dal giorno del ritiro del documento.
Quando, invece, la sospensione della patente consegua a più violazioni della medesima disposizione, gli Agenti accertatori possono:

  1. procedere al ritiro “su strada” nel caso in cui le precedenti violazioni siano desumibili dall’iscrizione sulla patente del trasgressore;
  2. segnalare la violazione al Prefetto (ed alla MCTC), nel caso in cui non siano utilizzabili le iscrizioni sulla patente del trasgressore.

Avverso il provvedimento di sospensione della patente disposto ai sensi dell’art. 218 C.d.S., è ammesso ricorso al Giudice di pace.
La patente di guida è altresì sospesa a tempo indeterminato quando, in sede di accertamento sanitario per la conferma della validità o per la revisione disposta ai sensi dell’art. 128 C.d.S., si evidenzi che la perdita temporanea dei requisiti fisici o psichici ex art. 119 C.d.S. In questo caso la sospensione viene adottata dalla MCTC e contro il provvedimento è ammesso ricorso al Ministero dei trasporti.

 

Revoca della patente di guida

La «revoca» quale sanzione accessoria di competenza del Prefetto, trova applicazione nella sola ipotesi di guida con la patente sospesa (art. 218, comma 6 C.d.S.).

L’art. 130 del C.d.S., invece, disciplina la revoca quale atto dovuto da parte della MCTC e conseguente al venire meno dei requisiti essenziali per il rilascio e la conferma della patente.
Nei casi in esame, il comando operante, nei 5 giorni successivi all’accertamento, da notizia al Prefetto del luogo di commessa violazione. Avverso il provvedimento che dispone la revoca è ammesso ricorso al Ministero dei trasporti, entro 20 giorni dalla comunicazione della relativa ordinanza.

 

Il sequestro del veicolo

Classico "provvedimento cautelare" finalizzato a consentire la sanzione accessoria della confisca amministrativa del veicolo (art. 213 C.d.S.).
Quando, appunto, sia prevista la confisca, l’Organo di polizia procede al sequestro, con conseguente rimozione del veicolo e ricovero presso la depositeria. A norma dell’art. 394 del Regolamento, come modificato dall’art. 222 del D.P.R. 610/96, il veicolo viene condotto nel luogo di custodia a cura del conducente e sotto la vigilanza dell’organo procedente ovvero, su percorso espressamente indicato dall’organo stesso.

  • La norma appare alquanto discutibile sotto il profilo della sicurezza della circolazione laddove si pensi, ad esempio, al caso della circolazione senza assicurazione.

La custodia del veicolo, ove non sia possibile presso l’ufficio o comando procedente, avviene presso la sede di uno dei soggetti pubblici o privati indicati nell’elenco annuale della Prefettura. Il titolare del sito è nominato custode giudiziario e degli obblighi conseguenti è fatto menzione nel Verbale di sequestro.
Nello stesso verbale deve darsi atto dell’eventuale apposizione dei sigilli, mentre si deve aver cura di segnalare la condizione di veicolo sotto sequestro mediante apposizione di uno o più adesivi, delle dimensioni di cm. 20 x 30, sulla parte anteriore o sul parabrezza, recanti l’indicazione “Veicolo sottoposto a sequestro” e gli estremi del provvedimento che lo ha disposto. Copia del Verbale deve essere consegnata al custode ed all’interessato il quale, ai sensi dell’art. 19 della legge 689/81 e degli artt. 203 e 213 C.d.S. può presentare ricorso al Prefetto avverso il solo provvedimento di sequestro, con atto esente da bollo.
Ovviamente, in caso di declaratoria di infondatezza dell’accertamento, l’ordinanza di archiviazione si estende anche alla sanzione accessoria.
Trascorsi 90 giorni dal rigetto del ricorso al Prefetto o dalla scadenza del termine per ricorrere o dalla scadenza del termine del sequestro, l’organo accertatore trasmette alla Direzione regionale delle entrate, copia del Verbale di sequestro, con la relativa ordinanza di confisca e prova delle avvenute notificazioni. Il predetto Ufficio cura l’alienazione o la distruzione dei veicoli.
La confisca non può essere disposta se il veicolo è di proprietà di persona estranea alla violazione.

► Fra le violazioni più comuni che comportano il sequestro e/o la confisca del mezzo si riportano le seguenti:

  1. art. 83 comma 5° (ritiro carta di circolazione per i nosservanza disposizioni sul trasporto di persone);
  2. art. 116 comma 18° (guida di veicoli senza aver conseguito la patente);
  3. art. 122 comma 8° (fermo amm.vo veicolo per esercitazioni guida senza istr);
  4. art. 170 comma 7° (trasporto persone o guida irregolare ciclom da minore);
  5. art. 171 comma 3° (guida motoveicolo sprovvisti di casco);
  6. art. 176 comma 22 (circolazione di veicolo sprovvisto di revisione in autostrada) ;
  7. art. 193 comma 4° (circolazione di veicolo sprovvisto di assicurazione).

A tali disposizioni vanno aggiunte quelle specifiche - e relative disposizioni – di cui agli artt. 19, 20 e 21 della L. 689/81 – e segnatamente quest’ultimo per quanto concerne la circolazione di veicoli sprovvisti di copertura assicurativa, di cui all’art. 193, comma 4°.
Con Circolare n° 300/1/31772/101/20/21/4 del 10.05.04 e n° 300 del 21.09.07 il Ministero dell’Interno ha fornito disposizioni esplicative in materia di sequestro e custodia dei mezzi – e segnatamente sull’affidamento degli stessi, in via preferenziale, agli stessi contravventori, disponendone la custodia a cura del conducente o del proprietario, il quale, entro 30 gg. dall’emanazione del provvedimento di confisca, li trasferirà in un deposito autorizzato dal Prefetto. Analoghe disposizioni sono previste anche in caso di “Fermo amministrativo” del veicolo.
Il proprietario del veicolo sequestrato è comunque tenuto a pagare le spese di custodia del mezzo, anche se in precedenza lo stesso era incidentato, dal momento in cui questo, a seguito delle riparazioni, ritornava in condizioni di poter circolare [1].
Appare importante, al fine di tenere indenne l’Amministrazione da eventuali responsabilità al riguardo, che gli accertatori effettuino una accurata descrizione del veicolo oggetto di sequestro, e ciò per evitare possibili contestazioni all’atto di una eventuale contestazione, redigendo a tal proposito apposito verbale che ne dettagli le modalità esecutive e lo stato apparente all’atto del sequestro.
Per quanto concerne il sequestro dei veicoli reperiti sul "Pubblico Demanio Marittimo", può rilevarsi al riguardo quanto stabilito dall’Avvocatura Distrettuale de L’Aquila che, con Nota n° 20901 del 17.12.99 ha confermato come, se la rimozione del mezzo venga disposta ex art. 1161 Cod. nav., andranno parimenti seguite le modalità applicative di cui all’art. 215 C.d.S.

 

 

 


[1] Cass. Civ. – Sent. n° 7493/2007

 

Espletamento dei servizi di polizia stradale

L'espletamento dei servizi di "Polizia Stradale" spetta (art. 12 C.d.S.):

  1. in via principale alla specialità Polizia stradale della Polizia di Stato;
  2. alla Polizia di Stato;
  3. alla F.A.dei Carabinieri;
  4. al Corpo della Guardia di Finanza;
  5. alla Forza Armata dei carabinieri;
  6. ai Corpi e ai servizi di polizia municipale nell’ambito del territorio di competenza;
  7. ai funzionari del Ministero dell’interno addetti al servizio di polizia stradale;
  8. alla Polizia Penitenziaria e il Corpo Forestale dello Stato in relazione ai propri compiti.

Il nuovo codice della strada (D.lgs. n. 285/1992 ha opportunamente preso in considerazione una fattispecie “sui generis” quale quella della «circolazione in porto», fissando il principio che, per quanto concerne le «strade interne all’uso pubblico», la competenza a disciplinare la materia spetti, con Ordinanza, al Comandante del Porto Capo del Circondario (art. 6 comma 7).
L’istituzione delle Autorità Portuali, e la conseguente cessione ad esse di molte delle attribuzioni amministrative precedentemente gestite dalle locali Autorità marittime, è andata ad incidere anche sulla “viabilità”, creando alcuni conflitti e molti dubbi interpretativi.
A tal proposito il Ministro dei trasporti è intervenuto per ribadire alcuni basilari concetti sulla differenziazione delle posizioni delle Autorità interessate peraltro avvallate da un importante parere dell’Avvocatura generale dello Stato. Coerentemente alla consueta direttrice amministrazione/polizia-sicurezza, il Dicastero, nell’ambito della suddivisione dei compiti, ha evidenziato come spetti all’Autorità Portuale, ad esempio:

  1. consentire l’apertura di spazi portuali alla circolazione, individuando quelle aree stabilmente destinate al transito, parcheggio ed alla sosta dei vecoli;
  2. individuare il titolo di ammissione delle diverse categorie di utenti, tenendo comunque presente che:si tratta di mera attività ricognitiva, con riferimento ai soggetti che hanno comunque titolo di operare in porto; i contrassegni per automobili sono finalizzati a consentire una immediata ed agevole individuazione da parte degli organi svolgenti attività di polizia;
  3. apporre e mantenere la segnaletica stradale, in considerazione delle funzioni gestorie sue proprie (e dei fondi a disposizione, ecc.

All’Autorità Marittima, spetta adottare i provvedimenti relativi alla «disciplina della circolazione» concernenti:

  1. il comportamento degli utenti, al fine di salvaguardare la sicurezza e consistenti nella fissazione dei limiti di velocità, determinazione dei sensi di marcia, imposizione di preecedenze, ecc, sentendo preventivamente l’Autorità Portuale per il coordinamento delle attività.

La sovrapposizione di discipline concorrenti ha imposto un necessario distinguo delle aree portuali, coincidente con le finalità di utilizzo delle stesse, sulla base del quale applicare, in caso di violazione, sanzioni diverse.

In particolare nei porti si è distinto tra:

  1. aree operative, destinate alle attività tipiche del porto (banchine, aree di stoccaggio, aree di parcheggio temporaneo dei T.I.R. coinvolti nel carico/scarico di merci, ecc.) e generalmente, ma non necessariamente, coincidenti con le aree in concessione ai terminalisti o impiegate dalle Società autorizzate all’espletamento delle operazioni/servizi portuali di cui agli artt. 16 e 18 legge n. 84/1994. In tali casi l’infrazione tipica implica l’applicazione dell’art. 1174 comma 2 del Cod. nav. (salva l’ipotesi residuale di occupazione a mezzo autoveicolo, punita dall’art. 1161 comma 2 Cod. nav, in assenza di regolamentazione);
  2. aree aperte all’uso pubblico, individuate come quelle il cui uso sia consentito a chiunque; a coloro che siano in possesso del permesso di accesso al porto; coloro che rivestono una determinata qualifica professionale; escluse le aree operative. In tali ipotesi le sanzioni irrogabili sono quelle previste dal Codice della strada e gli eventuali ricorsi andranno presentati al Prefetto, con le modalità previste all’art. 203 del D. lgs. N. 285/1992.

La riforma sulla “sicurezza in ambito portuale” (D.lgs. n. 22/99) ha apportato alcune significative modifiche in tema di disciplina stardale; in particolare:

  1. l’art. 31 comma 2 ha previsto il limite di 30 Km/h per tutti gli autoveicoli circolanti all’interno del “terminal”;
  2. l’art. 33 ha imposto al “datore di lavoro” di provvedere affinché la velocità di spostamento dei mezzi meccanici di sollevamento e movimentazione non superi i 20 Km/h;
  3. l’art. 4 comma 1 lettera g) ha imposto al terminalista di adottare le opportune misure per la cicolazione all’interno dell’area in concessione, specificandole nel “documento di sicurezza”.

Ciò ha inciso anche sull’aspetto sanzionatorio della materia, in quanto ai sensi dell’art. 57 comma 3 lettera c), quest’ultimo è soggetto ad arresto sino a 2 mesi o ad ammenda da 500.000 a 2.000. 000, in aggiunta alle disposizioni dell’art. 1174 cod. nav., operative per il conducente, ferma restante la possibilità di estinguere las contravvenzione sulla base dell’adeguamento alle prescrizioni fissate dall’organo di vigilanza (A.U.S.L.).

► Alcune considerazioni:

Alcuni problemi sono sorti per le ipotesi in cui le infrazioni fossero compiute all’interno delle “aree operative”: la ristrettezza delle fattispecie disciplinate dal Codice della navigazione ha fatto emergere la necessità di ampliare lo spettro sanzionatorio, mediante un rinvio al codice della strada.
Si pensi ai casi di veicoli circolanti ad una velocità superiore a 40 Km/h (constatabile mediante strumentazione tecnica per la corretta rilevazione delle infrazioni inerenti il superamento dei limiti di velocità imposti all’interno del porto) rispetto ai limiti fissati o privi dell’assicurazione obbligatoria. In tali casi la soluzione prospettata è quella di affiancare all’art. 1174 Cod. nav. le sanzioni accesorie indicate agli artt. 210 e ss. Del codice della strada ovvero contemplate in altre leggi (ad esempio, Legge n. 990/69). In questo modo il ritiro della patente, il sequestro del veicolo, l’eventuale rimozione forzata, risulterebbero analogicamente applicabili in situazioni identiche a quelle configurate dal D.lgs. 285/92. Rimarrebbe tuttavia il dubbio sull’Autorità competente a dirimere il possibile ricorso, data la non “omogeneità” tra sanzione principale (codice della navigazione – Capo del Compartimento marittimo) ed accessoria (codice della strada – Prefetto): si potrebbe prospettare una sorta di “scissione” procedurale, consapevoli comunque delle difficoltà che si genererebbero nel separare giudizi sorti per la medesima azione od omissione.
La ”specificità” del porto, anche dal punto di vista degli organi competenti ad irogare le sanzioni in materia di viabilità, è stata attentamente valutata dal legislatore che, all’art. 12 comma 3 lettera f) del codice della strada, ha espressamente indicato i militari della Capitaneria di porto, quali soggetti autorizzati all’accertamento delle violazioni, alla tutela ed al controllo dell’uso delle strade, limitatamente a quelle di competenza dell’Autorità marittima, previo superamento di un esame di qualificazione (art. 23 Reg. esec. Codice della strada).

Alla luce di quanto detto, la prevenzione e l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale e la tutela e il controllo sull’uso delle strade possono, essere effettuati, previo superamento di un esame di qualificazione secondo quanto stabilito dal Regolamento di esecuzione al C.d.S., dai militari del Corpo delle Capitanerie di Porto (art. 12, n. 3 lettera f ), nell’ambito delle aree di cui all’art. 6, co. 7 C.d.S.

Ne consegue che nell’ambito delle aree portuali, la competenza a disciplinare la circolazione delle strade interne al porto aperte all’uso è riservata al Comandante del porto Capo di Circondario, il quale vi provvede a mezzo di «Ordinanza», in conformità alle norme del Codice della strada (le sanzioni previste per le violazioni delle Ordinanze a tal fine emanate sono quelle previste dal Codice della strada).
Abbiamo avuto modo di dire che l’art. 202 C.d.S. prevede che il trasgressore è ammesso a pagare, in via conciliatoria, entro 60 giorni dalla contestazione/notifica, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme. Per alcune violazioni, tuttavia, il pagamento in misura ridotta non è consentito. In tali casi il Verbale di contestazione della violazione deve essere trasmesso al Prefetto entro 10 giorni.

  • Ad esempio, il parcheggio e la sosta di veicoli in aree portuali aperte all’uso , in cui è vietata la sosta/parcheggio con ordinanza (art. 6, comma 4 lettera d Cds), è punito con la sanzione pecuniaria da 31 a 125 €. Pagamento in misura ridotta pari a 31 € (art. 6, comma 14 Cds.). Autorità competente a ricevere il “rapporto” è la Prefettura.

Qualora la sosta si prolunghi oltre le 24 ore, la sanzione è applicata per ogni periodo di 24 ore per il quale si protrae la violazione.

Le violazioni delle norme che disciplinano, invece, la circolazione nel demanio (ad esempio: aree portuali nonaperte all’uso), sarà sanzionata ai sensi dell’art. 1174 Cod. nav. [1]

 


[1] Circolare Mintrasnav – Dir. Gen. Demanio e Porti – prot. 5203367 del 19 settembre 1995.

 


 

Servizi di polizia stradale espletati dal personale delle Capitanerie di porto

Le Capitanerie di Porto sono un Corpo tecnico-amministrativo della M.M., posto alle dirette dipendenze funzionali del Ministero dei Trasporti: in tale veste esplicano funzioni di Polizia Giudiziaria ed Amministrativa per i reati marittimi, quelli comuni (nel solo ambito portuale - art. 1235 Cod. nav.) e quelli infine previsti dalle Leggi speciali (quale il Codice della Strada nella parte in cui le violazioni in esso riportate assumano rilevanza penale).
Nello svolgimento di tali ultime funzioni di polizia il Corpo opera anche per il Ministero dell’Interno, il cui Organo periferico (Prefetto) è l’Autorità deputata a ricevere il «rapporto» di cui all’art. 17 L. 689/81), come di seguito meglio specificato.
Le funzioni di Polizia Stradale sono esercitate normalmente quale "Polizia Amministrativa di Sicurezza" nei modi e nelle forme di cui alla L. 689/81; per le violazioni penali previste dalle medesime leggi sono svolte invece quale attività di Polizia Giudiziaria applicando le forme ed i modi procedurali stabiliti dal Codice di Procedura Penale.
L’attività di Polizia Stradale, quindi, se esercitata quale Polizia Amministrativa (come avviene per gli ordinari controlli) costituisce quindi attività di Polizia preventiva e di sicurezza; se esercitata invece quale Polizia Giudiziaria (come avviene in caso di incidenti con feriti o vittime) concretizza pertanto attività di polizia successiva e repressiva.

La Polizia Stradale, pertanto, assolve sia funzioni di Polizia Amministrativa e di Sicurezza (consistenti nella regolazione del traffico, nella rilevazioni di incidenti, nell’accertamento della violazioni) che di Polizia Giudiziaria, la quale ultima si attiva automaticamente sia nella fase di accertamento delle violazioni al C.d.S. qualificate come reato (ad esempio, guida in stato di ebbrezza), sia qualora, a seguito di accertamento effettuato in via amministrativa, vengano accertati fatti penalmente rilevanti (ad esempio, lesioni o decessi a seguito di incidente stradale).
In quest’ultimo caso il personale preposto ad operare dovrà procedere – a norma dell’art. 220 C.d.S. – secondo le norme del Codice di Procedura Penale, in primis effettuando gli accertamenti e le indagini previste, e riferendo quindi senza indugio al P.M. competente (art. 347 C.P.P.).

 

Individuazione dell'istituto

L’espletamento dei servizi di Polizia Stradale per il personale del Corpo è disciplinato dall’art. 12, lett. f) del D.lgs 30.04.92, n° 285 (Nuovo Codice della Strada), sebbene le limitazioni all’ambito portuale poste dall’art. 6, comma 7° della medesima norma appaiono antitetiche rispetto alle attribuzioni del personale appartenente ad altre Amministrazioni dello Stato o di Enti locali, anche rivestente qualifiche funzionali inferiori, (ad esempio, cantonieri, dipendenti ANAS, ecc.) in possesso della medesima abilitazione ottenuta, ai sensi del D.M. 21.02.96, previo superamento dello stesso “corso” previsto dal D.P.R. 16.12.92, n° 495 (Reg. Es. C.d.S.) come modificato dal D.P.R. 16.09.96, n° 610.
Appare opportuno rilevare al riguardo come, sebbene il Pubblico Ufficiale abilitato all’espletamento di tali servizi ha la facoltà di derogare, giusta art. 177 C.d.S., ai divieti ed obblighi in materia di circolazione stradale, tale facoltà non esime comunque dall’obbligo di una guida improntata alle regole di comune prudenza e diligenza, dovendo in caso contrario, qualora a causa di ciò dovesse verificarsi un incidente, rispondere delle conseguenze patrimoniali dello stesso per ipotesi di danno erariale[1] .

  • I “Servizi di Polizia Stradale” sono definiti dall’art. 11 C.d.S. e costituiscono, rispettivamente, in :
  1. Accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale
  2. Rilevazione degli incidenti stradali
  3. Predisposizione e d’esecuzione dei servizi diretti a regolare il traffico
  4. Scorta per la sicurezza della circolazione
  5. Tutela e controllo sull’uso della strada

Inoltre, in materia di reati connessi alla circolazione stradale, la Cassazione ha confermato l’attribuzione dei compiti di accertamento e prevenzione di tali reati anche agli “altri Ufficiali ed Agenti di P.G.”[2], stabilendo altresì la legittimità dell’azione penale qualora “la contestazione della violazione sia seguita da successivo rapporto all’Organo di polizia stradale competente per l’esecuzione dei necessari accertamenti”, dal che si può desumere un obbligo di riferire la violazione (il fatto) all’Organo competente alla relativa contestazione[3] .
Rilevasi tuttavia come, mentre l’accertamento e la repressione di ogni violazione penale ed amministrativa, punita quest’ultima ai sensi della L. 689/81, spetta genericamente ad ogni Ufficiale ed Agente di P.G. giusta art. 13 della stessa Legge, l’accertamento e la repressione delle violazioni al C.d.S. spetta esclusivamente ai soggetti indicati dall’art. 12 C.d.S.
In relazione a quanto sopra, sorge il problema di reprimere le violazioni al C.d.S. commesse in ambito portuale ed accertate “incidenter tantum” dal personale delle Capitanereie di porto che non possegga tuttavia l’abilitazione di cui all’art. 23 Reg. Es. C.d.S.

A tal proposito, può farsi ricorso all’istituto dell’analogia, e segnatamente al disposto degli artt.14, comma 2° lett. b) e 192, commi 5° e 6° C.d.S. così come richiamato dall’art. 22, comma 4° Reg. Es. C.d.S., che espressamente prevedono che “il personale militare di cui all’art. 12, comma 4° (scorta ai convogli) segnala agli Organi di cui al comma 1 (le Forze di Polizia) le infrazioni di chiunque non abbia ottemperato gli ordini impartiti dal personale militare suddetto”.
Tale considerazione è stata del resto recepita dal Comando Generale del Corpo che con la Circolare n° 82/4216 del 04.02.93 prevede l’invio del processo verbale di accertamento (che fa piena prova fino a querela di falso) ad una Forza di Polizia (come indicata dal comma 1° dell’art.12 C.d.S.) per la successiva contestazione da parte dell’Organo competente.
Si evidenzia tuttavia che – poiché la Capitaneria di Porto dispone comunque di personale abilitato ex art. 23, normalmente sarà lo stesso Comando cui appartiene il militare accertatore ad effettuare la prevista contestazione.
Quanto sopra a maggior ragione se il fatto accertato risulta penalmente sanzionabile (ad esempio, guida in stato di ebbrezza), in quanto l’obbligo di informativa di cui all’art. 1236 Cod. Nav. (la cui omissione è sanzionata con la denuncia di cui all’art. 361 c.p.), costituisce comunque atto dovuto, e ciò anche in funzione del disposto dell’art. 81 Cod. Nav. in materia di compiti e funzioni di P.S. esercitati in via surrogatoria dall’Autorità Marittima, nel caso di specie in esplicazione dei servizi di Polizia Stradale, e ciò al fine del normale svolgimento del traffico veicolare, onde permettere l’ordinato svolgimento delle operazioni portuali.
Al riguardo appare opportuno richiamare la Circolare n° 1729 del Commissario del Governo per la Provincia Autonoma di Trento, che ha stabilito come – su conforme parere del Ministero dell’Interno (vedasi Circolare del 02.12.04 di Mininterno) – la modulistica utilizzata per le contestazioni e per le sanzioni amministrative al C.d.S. – di cui all’art. 383 - non è utilizzabile: in tale ipotesi infatti – in applicazione del disposto dell’art. 220 C.d.S. – devono trovare applicazione le disposizioni di cui all’art. 347 c.p.p. che impongono all’organo accertatore di documentare le attività di indagine compiuta secondo le forme e le modalità indicate dal Codice di Procedura Penale.
Per quanto concerne invece le aree portuali, la violazione di una Ordinanza emanata ex art. 59 Reg. Es. Cod. nav. in materia di circolazione deve essere perseguita ai sensi dell’art.1174, comma 2° Cod. Nav., e ciò in virtù del sopra citato principio di specialità di cui all’art. 9, comma 1° L. 689/81, atteso che il provvedimento che si assume violato è finalizzato a garantire la sicurezza delle attività portuali in una zona che “strictu sensu” costituisce il “porto”.
Per completezza di informazione deve citarsi infine una particolare forma di regolamentazione della circolazione stradale - per motivi tuttavia esclusivamente di Polizia Giudiziaria oltre che di Pubblica Sicurezza e non ai fini della regolamentazione del traffico - quando viene sospesa la circolazione di persone e veicoli durante le operazioni di ricerca di latitanti,di armi o esplosivi su edifici o blocchi di edifici (art. 25 bis comma 2° D.L. 08.06.92, n° 306 convertito in L. 07.08.92, n°25.

 

 


[1] Corte dei Conti – Sez. Veneto – Sent. n° 968 del 19.09.08

[2] Cass. Pen., Sez. VI°, 29.03.71

[3] Cass. Pen., Sez. IV° - 06.06.61

 

Reati previsti dal C.d.S.

Si premette come in tema di sanzioni amministrative, il principio secondo il quale, in materia di infrazioni al Codice della Strada, è consentita l’opposizione immediata in sede giurisdizionale avverso il "processo verbale di accertamento" non può essere esteso anche a violazioni soggette a sanzione penale.
Infatti il presupposto dell’eccezionale opponibilità del verbale di infrazioni al Codice della Strada risiede nella sua potenziale attitudine a divenire titolo esecutivo, ponendosi, per l’effetto, come atto terminale al procedimento sanzionatorio in luogo dell’ordinanza-ingiunzione (così giustificando l’immediata opposizione in sede giurisdizionale), mentre, nel caso delle suddette violazioni, il medesimo verbale di accertamento, con il quale gli organi accertatori si limitano a constatare il fatto, ma non procedono a contestazione, essendo, invece, tenuti a farne rapporto all’autorità giudiziaria inquirente, è privo di tale potenziale efficacia e non è, pertanto, direttamente impugnabile in sede giurisdizionale[1].

  • Quanto sopra premeso,le violazioni sanzionate penalmente dal C.d.S. sono le seguenti:
  1. art. 9 bis comma 1° (Organizzazione/partecipazione a competizioni non autorizzate);
  2. art. 9 bis comma 4° (Effettuare scommesse sulle gare/competizioni non autorizzate);
  3. art. 9 ter comma. 3° (Gareggiare in velocità con veicoli a motore);
  4. art. 100 comma 14° (Falsificazione o alterazione di targhe, o uso di siffatte targhe);
  5. art. 113 comma 5° (Falsificazione o alterazione di targhe, o uso di siffatte targhe con macchina agricola);
  6. art. 114 comma 7° (Falsificazione o alterazione di targhe, o uso di siffatte targhe con macchina operatrice);
  7. art. 116 comma 13°bis (Guidare autoveicoli senza aver conseguito la patente);
  8. art. 186 c0mma 2° (Guida in stato di ebbrezza da bevande alcoliche);
  9. art. 187 comma 7° (Guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti) ;
  10. art. 189 comma 6° (Non fermarsi in caso di incidente con danni a persone);
  11. art. 189 comma 7° (Omettere il soccorso in caso di incidente con danni alle persone);
  12. art. 212 comma 4° (Inosservanza obbligo di sospendere un’attività  - art. 650 c.p..).

Trattasi di reati che, per la loro gravità, sono stati attribuiti dal legislatore alla competenza del Giudice Unico (in composizione monocratica) e sottratti quindi alla giurisdizione del Giudice di Pace.

Il D.lgs. 03.08.07, n° 117 ha depenalizzato, peraltro, il "rifiuto di sottoporsi ad accertamenti per l’assunzione di alcool o di sostanze stupefacenti".
Prima di effettuare i test con l’etilometro, tuttavia, gli agenti accertatori devono informare, ai sensi degli artt. 354 e 356 c.p.p., della possibilità per l’interessato di farsi assistere da un legale[2]; tuttavia, l’obbligo di deposito dello scontrino del test con l’etilometro (accertamento urgente ex art. 354 c.p.p.) non è stato considerato dalla giurisprudenza quale “atto urgente” la cui mancata effettuazione comporti l’invalidità dell’accertamento[3].

 

 


[1] Cass. Pen. - Sez. I – Sent. n° 13207 del 20.06.05

[2] Tribunale de L’Aquila – Sent. del 22.11.04

[3] Cass. Pen. – Sez. IV° - Sent. n° 6014 del 16.02.06

 

Procedure di arresto e fermo veicoli: posti di blocco

L’art. 43, comma 3° C.d.S., l’art. 192 C.d.S. e l’ art. 24 Reg. Es. C.d.S. impongono all’automobilista di doversi arrestare qualora venga intimato il relativo «ordine» da parte dell’Agente accertatore in divisa, ovvero munito di paletta o regolari segni distintivi della propria funzione, secondo quando disposto dagli artt.181, 182 e 183 Reg. Es. C.d.S.

Contrariamente al Codice Penale, che punisce analoghe inottemperanze con l’art. 650, ovvero del Codice della navigazione che per analoghe fattispecie rende applicabile l’art. 1174  (norma amministrativa in bianco depenalizzata), il C.d.S. prevede solo una specifica sanzione amministrativa[1], non considerando quali esimenti eventuali giustificazioni di carattere sanitario esibite al riguardo[2], configurando in taluni casi la fuga dal posto di blocco il reato di resistenza a Pubblico Ufficiale[3].
In tal caso l’utente può evitare la relativa sanzione solo presentandosi tempestivamente presso un Comando di Polizia, essendo l’omissione di tale presentazione e non anche la delazione dell’effettivo conducente la condizione scriminante per evitare il relativo verbale[4]; ovvero trasmettendo il documento richiesto (patente) a detto ufficio anche a mezzo fax; mentre il segnalare la presenza di posti di blocco ad altri utenti può configurare il reato di “interruzione di pubblico servizio”[5].
I segnali che possono fare gli agenti del traffico sono disciplinati dall’art. 43 C.d.S., e dagli artt. 181 e 182 Reg.C.d.S.
In via amministrativa essi sono da qualificare quali “ordini di polizia” cioè un atto amministrativo posto in essere mediante segnali, alla cui inottemperanza si applicano delle sanzioni oltre a responsabilità sia civilistiche che penali per eventuali incidenti stradali causati dall’inosservanza delle segnalazioni medesime.
Analoga norma si applica con gli artt. 1164 e 1174 Cod. nav. per violazioni commesse sul pubblico demanio marittimo a mezzo autoveicoli, laddove in area portuale non risulta applicabile il Codice della Strada.
Pertanto in entrambe le fattispecie l’eventuale violazione è sanzionata soltanto in via amministrativa (essendo stati depenalizzati i relativi articoli del Cod. nav.), contrariamente ad altre fattispecie previste dalle leggi ordinarie che vedono punite penalmente tutte le situazioni in cui la violazione si concretizza in una inosservanza di un ordine dell’Autorità (art. 650 c.p.).
Si rammenta, nfine, come controlli e ispezioni di polizia giudiziaria sui veicoli e i loro occupanti possono essere fatti, oltre che per l’accertamento di tracce di reati, per accertare la presenza a bordo di:

  1. Armi, munizioni o esplosivi e strumenti di effrazione (art. 4 L.152/75);
  2. Stupefacenti o sostanze psicotrope (art. 103 T.U.- D.P.R. 309/90);
  3. Immigranti clandestini (art. 12 comma 9 bis. T.U. Immigrazione).

 

 


[1] Cass. Pen. – Sez. I^ - Sent. n° 3943 del 24.01.08

[2] G.d.P. di Gemona del Friuli – Sent. del 13.10.05 e n° 134 del 20.12.05
[3] Cass. Pen. – Sent. n° 35826 del 01.10.07

[4] G.d.P. di Priverno – Sent. 13.06.06

[5] Cass. Pen.– Sent. n° 6890 del 19.12.07

 

Distinzione fra C.d.S. e Cod. nav. : applicabilità della Legge 689/81

Le procedure sanzionatorie e le fattispecie di illecito, rispettivamente contemplate dal Codice della Strada e dal Codice della Navigazione (queste ultime sanzionate ai sensi della L. 689/81), si distinguono fra loro sia per alcune tipologie di violazione, che pur se apparentemente simili risultano tuttavia disciplinate in modo diverso, sia per le procedure di contestazione e difesa, che nel C.d.S. appaiono più dettagliate e vincolate nelle rispettive fasi procedimentali.

A titolo meramente esemplificativo, si riportano di seguito alcuni istituti contemplati da entrambi i Codici, con i relativi elementi di raffronto:

► Autorità competente a ricevere il rapporto:

  • C.d.S.       = Prefetto (art. 203);
  • Cod. nav.   = Capo del Compartimento (art. 1 D.P.R. 571/82).

► Pagamento in misura ridotta:

  • C.d.S.       = previsto nella misura del minimo edittale (art. 202)
  • Cod. nav.   = previsto rispettivamente 1/3 max o il doppio del minimo edittale. (art. 16 L. 689/81 e art. 52 D.lgs. 213/98).

► Pagamento immediato sanzione:

  • C.d.S.       = Previsto solo per i contravventori stranieri (art. 203);
  • Cod. nav.   = Non previsto.

► Aumento istat sanzioni:

  • C.d.S.       = previsto ogni 2 anni (art.195 comma 3°)
  • Cod. nav.   = Non previsto.

► Termini per ricorso avverso verbale:

  • C.d.S.       = 60 gg. (art. 203 comma 1°);
  • Cod. nav.   = 30 gg. (art. 18 comma 1° L. 689/81).

► Modalità’ della mancata contestazione immmediata:

  • C.d.S.       = Espressamente specificate (art. 201 comma 1° bis);
  • Cod. nav.   = Non specificate (art. 14 L. 689/81).

► Controdeduzioni accertatori per scritti difensivi:

  • C.d.S.       = Previste in caso di opposizione del contravventore (art. 203 comma 2°);
  • Cod. nav.   = Non previste (contemplato solo il rapporto ex art 17 e 14 L.689/81):

► Ricorso al Giudice di pace contro il verbale:

  • C.d.S.       = Consentito alternativamente al ricorso gerarchico (art. 204 bis)
  • Cod. nav.   = Non previsto (Circolare n° 37621 del 20.05.05 di Maricogeap).

► Importo sanzione irrogabile con ordinanza:

  • C.d.S.       = Obbligatoriamente il doppio del minimo edittale (art. 204 comma 1°)
  • Cod. nav.  = Variabile discrezionalmente dal minimo al massimo edittale (art. 18 comma 2° L.689/81).

► Interruzione termini procedimento in caso di audizione:

  • C.d.S.      = Previsto espressamente dal Codice (art. 204 comma 1° ter)
  • Cod.nav.   = Non previsto (art. 18 L. 689/81).

► Termini per emanare l’ordinanza-ingiunzione:

  • C.d.S.       = da 150 (art.204 comma 2) a 240 gg. (art.203 commi 1 bis e 2)
  • Cod. nav.   = 90 gg. (art. 18 L. 689/81 - D.M. 18.04.03 n° 124)

► Obbligo instalazione segnaletica monitoria:

  • C.d.S.       = Obbligatoria per l’Ente proprietario della strada (art. 146);
  • Cod. nav.   = Non prevista espressamente.

► Sequestro obbligatorio del mezzo:

  • C.d.S.       = Previsto in alcuni casi per il veicolo (art. 193 comma 4°; art. 217);
  • Cod. nav.   = Previsto solo quello obbligatorio per i beni oggetto di violazione (art. 19 L. 689/81);

► Gettito rifiuti in strada:

  • C.d.S.        = Sanzionato da una specifica norma (art. 15 comma 1° lett. f);
  • Cod. nav.    = Costituisce autonoma violazione (artt. 71 e 1166);

► Inosservanza di ordine di arresto mezzo:

  • C.d.S.       = Espressamente sanzionato per i conducenti dei veicoli (art. 192 );
  • Cod. nav.   = Penalmente sanzionato per i comandanti delle navi (art. 201)
  • Cod. nav.   = Inosservanza dell’ordine del’A.M. sanzionata in via generale (art. 1174)

La discipilna assicurativa del diporto

Importante nell'ambito del diporto in generale è la nuova normativa sull'Assicurazione RC per i natanti. Infatti, è già entrato in vigore il Decreto Legislativo 7 settembre 2005 n. 209, concernente "il Codice delle Assicurazioni Private", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 13 ottobre 2005 - Supplemento Ordinario n. 163. Con l'entrata in vigore del nuovo Codice è stata espressamente abrogata la Legge 24/12/1969 nr. 990, che sino ad allora disciplinava le regole dell'Assicurazione RC per gli autoveicoli ed i natanti.

Attualmente, così, la materia di assicurazione di imbarcazioni e natanti da diporto e motori fuoribordo, risulta disciplinata in particolare dall'art. 123 del novello Codice[1], che prevede l'assicurazione obbligatoria per tutte le unità da diporto munite di motore in navigazione in acque ad uso pubblico o su aree a queste equiparate (1° comma); sono altresì soggette all'obbligo assicurativo tutti i motori amovibili di qualsiasi potenza, indipendentemente dall'unità ove vengono installati, risultando assicurato, in tal caso, il natante sul quale di volta in volta viene collocato il motore.

Alle unità da diporto, ai natanti ed ai motori amovibili così individuati, con l'entrata in vigore della suddetta normativa si applicano, in quanto compatibili, le norme previste per l'assicurazione obbligatoria per la R.C.A. derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (4° comma dell'art. 123 T.U., art. 180 e ss. del Codice della Strada). In particolare, l'art. 193 del C.d.S. per la navigazione senza la copertura assicurativa, l'art. 180 del C.d.S. in caso si mancata presenza a bordo del tagliando assicurativo, l'art. 181 del C.d.S. in caso di contrassegno assicurativo non esposto a bordo.

Ciò è confermato dalla Circolare del 28 giugno 2006 del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, con cui dirime tutti i dubbio in materia ("...devono ritenersi applicabili alle unità da diporto in navigazione che risultino sprovviste di assicurazione le sanzioni previste dal nuovo Codice della Strada...").

Restano come prima le prescrizioni circa il combinato disposto degli articoli 13, 3° comma, e 21, 1° comma, della Legge 689/1981, in materia di sequestro obbligatorio e confisca del mezzo, ed in materia di fermo amministrativo del natante, quando ricorrano i presupposti dell'art. 127 del nuovo Codice.

Infine, è da tenere presente che, in linea, con le altre violazioni del Codice della Strada, le sanzioni devono essere adeguate secondo gli eventuali aumenti disposti dalle varie Leggi Finanziarie (come nel 2007).

 


[1] Art. 123. Natanti
1. Le unità da diporto, con esclusione delle unità non dotate di motore, non possono essere poste in navigazione in acque ad uso pubblico o su aree a queste equiparate se non siano coperte dall'assicurazione della responsabilità civile verso terzi prevista dall'articolo 2054 del codice civile, compresa quella dell'acquirente con patto di riservato dominio e quella del locatario in caso di locazione finanziaria, per danni alla persona. Il regolamento, adottato dal Ministro delle attività produttive su proposta dell'ISVAP, individua la tipologia dei natanti esclusi dall'obbligo di assicurazione e le acque equiparate a quelle di uso pubblico.
2. Sono altresì soggetti all'obbligo assicurativo i natanti di stazza lorda non superiore a venticinque tonnellate che siano muniti di motore inamovibile di potenza superiore a tre cavalli fiscali e adibiti ad uso privato, diverso dal diporto, o al servizio pubblico di trasporto di persone.
3. L'obbligo assicurativo è esteso ai motori amovibili, di qualsiasi potenza, indipendentemente dall'unità alla quale vengono applicati, risultando in tal caso assicurato il natante sul quale è di volta in volta collocato il motore.
4. Alle unità da diporto, ai natanti e ai motori amovibili si applicano, in quanto compatibili, le norme previste per l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore.

Normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi

Per lo specifico settore portuale e marittimo, la normativa generale sulla "Sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro" dettata con Decreto Legislativo n° 626 del 19/09/94 [68] e successive integrazioni e modifiche, è stata integrata con il Decreto Legislativo 27 luglio 1999, n. 271 [69] recante “Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi mercantili e da pesca nazionali, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485" e con Decreto Legislativo 27 luglio 1999, n. 272 [70] recante “Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell’espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485".

In particolare, il decreto n. 271/1999, ha lo scopo di adeguare la vigente normativa sulla sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, alle particolari esigenze dei servizi espletati su tutte le navi o unità mercantili, nuove ed esistenti, adibite a navigazione marittima ed alla pesca nonché alle navi o unità mercantili in regime di sospensione temporanea di bandiera, alle unità veloci e alle piattaforme mobili,  in modo da:

  1. assicurare, in materia di sicurezza del lavoro, la tutela della salute e la prevenzione dagli  infortuni e dalle malattie professionali;
  2. determinare gli obblighi e le responsabilità specifiche da parte di armatori, marittimi ed altre persone interessate in relazione alla valutazione dei rischi a bordo delle navi;
  3. fissare, in materia di igiene del lavoro, i criteri relativi alle condizioni di igiene ed abitabilità degli alloggi degli equipaggi;
  4. definire i criteri relativi al l'organizzazione del sistema di prevenzione, igiene e sicurezza del  lavoro a bordo ed all'impiego dei dispositivi di protezione individuale;
  5. definire la durata dell'orario di lavoro e del periodo di riposo del personale marittimo;
  6. dettare le misure di sicurezza in presenza di particolari condizioni di rischio;
  7. assicurare l'informazione e la formazione degli equipaggi;
  8. prevedere i criteri per il rilascio delle certificazioni e attestazioni dell'avvenuta formazione.

Procedura sanzionatoria: cenni

Giusta quanto previsto dagli artt. 20 e ss del Decreto Legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 [71], allo scopo di eliminare la sanzione prevista per i reati in materia di "igiene e sicurezza del lavoro" puniti con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, l’Organo di vigilanza nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, impartisce ai contravventori un’apposita «prescrizione» fissando un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario alla regolarizzazione (art. 20).

Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore per la particolare complessità e per l’oggettiva difficoltà dell’adempimento: in nessun caso può superare i 6 mesi, anche se il contravventore può richiedere un ulteriore proroga di 6 mesi quando specifiche circostanze a lui non imputabili determinano un ritardo nella regolarizzazione.
Con la prescrizione, l’Organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la salute o per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro.

Relativamente alla "estinzione" delle contravvenzioni previste dal D.lgs. 271/1999, l’Organo di vigilanza è la "Capitaneria di porto"; le "Aziende Sanitarie Locali" (ASL) per il procedimento diretto alla estinzione delle contravvenzioni previste dal D.lgs. 272/1999.
Resta comunque l’obbligo da parte dell’Organo di vigilanza di inoltrare la "
notizia di reato" nei tempi prescritti dall’art. 347 c.p.p. all’Autorità Giudiziaria competente.
Qualora, il Pubblico Ministero prende notizia di reato di iniziativa ovvero la riceve da privati o altro Organo di polizia giudiziaria, ne dà notizia all’Organo di vigilanza per le determinazioni inerenti la prescrizione necessaria ad eliminare la contravvenzione.
In tale caso, lo stesso Organo di vigilanza
informa entro 60 (sessanta) giorni dalla data di ricezione della comunicazione, il Pubblico Ministero delle proprie determinazioni.
Il procedimento penale per la contravvenzione è “sospeso” (art. 23) dal momento dell’iscrizione della notizia criminis nel Registro delle N.d.R. di cui all’art. 335 c.p.p. fino al momento in cui il Pubblico Ministero riceve, dall’Organo di vigilanza, una delle comunicazioni previste dall’art. 21 , commi 1 e 2 D.lgs. 758/1994, ossia:

  1. adempimento della prescrizione;
  2. inadempimento della prescrizione.

Il procedimento penale riprende il suo corso qualora l’Organo di Vigilanza informa il Pubblico Ministero che non ritiene di dover impartire una prescrizione, ovvero alla scadenza del termine dei 60 giorni (art. 22, comma 2), se il predetto Organo omette di informare il P.M. delle proprie determinazioni inerenti alla prescrizione.
Il
reato-contravvenzione "si estingue" se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’Organo di Vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento in via conciliatoria della sanzione prevista dall’art. 21. comma 2.
In fatti, in caso di adempimento della prescrizione imposta, entro 60 (sessanta) giorni dalla scadenza del termine così fissato, l’Organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare, in sede amministrativa, nel termine di
30 giorni, una somma pari al...

...quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa

Entro 120 (centoventi) giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’Organo di vigilanza comunica al Pubblico Ministero competente l’adempimento della prescrizione, nonché l’eventuale pagamento della predetta somma.

  • La contravvenzione è estinta ed il Pubblico Ministero richiede l’archiviazione.
  • In caso di inadempimento, invece, l’Organo di vigilanza ne da comunicazione all’Autorità Giudiziaria entro 90 (novanta) giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione (art. 21): ilprocedimento penale riprende il suo corso.

 
 

Sanzioni amministrative

Ai sensi dell’art. 40 del D.lgs. 271/1999, qualora l'Autorità marittima riscontri che a bordo dell'unità mercantile o da pesca nazionale vi siano "difformità" rispetto al "piano di sicurezza" approvato ed al relativo "Certificato di sicurezza dell'ambiente di lavoro" che comportino rischi per l'igiene e la sicurezza del lavoratore marittimo, provvede, ai sensi dell'art. 181, comma 3 del Codice della navigazione, non concedendo il "rilascio delle spedizioni".
[…]
Le spedizioni non possono essere rilasciate qualora risulti che l’armatore o il comandante della nave non ha adempiuto agli obblighi imposti dalle "norme di polizia", da quelle impartite per la "sicurezza della navigazione", nonché agli obblighi relative alle visite ed alle prescrizioni impartite dalle competenti Autorità.
Del pari le spedizioni non possono essere rilasciate qualora risulti che l’armatore o il comandante della nave non ha compiuto gli adempimenti sanitari, fiscali e doganali ovvero non ha provveduto al pagamento dei diritti portuali o consolari, al versamento delle cauzioni eventualmente richieste a norma delle vigenti disposizioni di legge o regolamenti, nonché in tutti gli altri casi previsti da disposizioni di legge.

L’art. 646 Codice della navigazione (Provvedimenti per impedire la partenza della nave) – Il Giudice competente alla adozione di misure cautelari, come il sequestro giudiziario e conservativo di navi e galleggianti ai sensi dell’art. 643 Cod. nav., e, ove ricorra l’urgenza il Comandante del porto o l’Autorità di polizia giudiziaria del luogo, nel quale si trova la nave, possono prendere i provvedimenti opportuni per impedire la partenza della nave.
 
I datori di lavoro, i dirigenti, i preposti, il medico competente ed i lavoratori sono soggetti, oltre alle particolari sanzioni previste dal Titolo IV del D.lgs. n. 272/1999, anche alle sanzioni previste dalla normativa generale sulla sicurezza ed igiene del lavoro e contenute nel Titolo IX del D.lgs. n. 626/1994 e successive modificazioni e integrazioni.
 

 

Ipotesi contravvenzionali

"Sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo”

  • Mancata predisposizione, da parte dell’Armatore, del piano di sicurezza dell’ambiente di lavoro (art. 6 comma 1 D.lgs. 271/99);
  • Mancata trasmissione, da parte dell’armatore, del piano di sicurezza al Ministro dei trasporti (art. 6 comma 2 D.lgs 271/99);
  • Mancato aggiornamento, da parte dell’armatore, del piano di sicurezza dell’ambiente di lavoro (art.6 comma 3 D.lgs. 271/99);
  • […];
  • Mancata ottemperanza, da parte dell’armatore, dell’obbligo di fornire e mantenere a bordo dotazioni mediche, medicinali ed attrezzature sanitarie adeguate (art. 24 comma 1 D.lgs. 271/99);
  • Violazione, da parte dell’armatore, dei doveri relativi all’informazione ed alla formazione dei lavoratori marittimi (art. 27 D.lgs. 271/99).
  • Violazioni, da parte del Comandante, dell’obbligo di sostituire, di iniziativa, le dotazioni che presentino deterioramenti o deficienze tali da compromettere l’igiene e la sicurezza dell’ambiente di lavoro (art. 22 D.lgs. 271/99);
  • Violazione, da parte del comandante, degli obblighi relativi alla custodia ed alla gestione del materiale sanitario (art. 24 comma 2 D.lgs 271/99);

Penale: arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 1.549 € a 4.131 € (art. 35 D.lgs. 271/99)


 

  • Violazioni, da parte del lavoratore marittimo, degli obblighi di cui all’art. 8 del D.lgs. 271/99, e cioè degli obblighi di:
  1. Osservare le misure disposte dall’armatore e del comandante ai fini dell’igiene e della sicurezza;
  2. Non compiere, di iniziativa, operazioni o manovre che possono compromettere la sicurezza;
  3. Utilizzare correttamente attrezzi, macchinari, dispositivi di sicurezza e di protezione;
  4. Segnalare a chi di dovere eventuali deficienze;
  5. Cooperare per dare piena attuazione agli obblighi imposti dagli Organi di vigilanza e ispezione o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro;
  6. Sottoporsi ai prescritti controlli sanitari;
  7. Attuare con diligenza le procedure previste per emergenze.

Penale: arresto fino a 1 mese o ammenda da 206 € a 619 € (art. 36 D.lgs. 271/99)


 

“Sicurezza e salute dei lavoratori nell’espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di manutenzione, riparazione e trasformazione di navi in ambito portuale marittimi a bordo” 

 

  • Violazioni, da parte del datore di lavoro e del dirigente, degli obblighi di sostituirei cui all’art. 46 comma 1, 3 e 6 del D.lgs. 272/99, e cioè:
  1. Effettuazione di lavori a bordo con uso di fiamma, saldatura, ecc., senza aver ottenuto il nulla-osta da parte dell’Autorità marittima (comma 1);
  2. Violazione delle prescrizioni imposte con il nulla-osta da parte dell’Autorità marittima all’esecuzione di lavori a bordo (comma 3);
  3. Effettuazione di lavori a bordo con uso di fiamma, saldatura, ecc., senza aver ottenuto il certificato di “gas free” (comma 6).

Penale: arresto fino a 2 anni o ammenda da 258 € a 1.032 € (art. 57 comma 2 D.lgs. 272/99)

 

 

Disciplina dei beni pubblici demaniali marittimi: cenni

Per «demanio» in genere si intendono il complesso di beni mobili e immobili di proprietà dello Stato destinati, per natura o per legge, al soddisfacimento di una funzione pubblica e perciò sottratti al commercio, beni con i quali la collettività entra in rapporto di fruizione diretto e gratuito.
Ne fanno parte come prescrive l’art. 822 Codice civile il lido del mare, la spiaggia, le rade, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia, le opere destinate alla difesa nazionale, le strade statali, le autostrade, le strade ferrate, gli aerodromi, gli acquedotti, gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche, ecc.

Il demanio destinato a soddisfare gli «usi pubblici del mare» - quelli concernenti le attività in connessione diretta col mare (pesca, navigazione, traffico marittimo, ecc.) e quelli che presuppongono l'utilizzazione indiretta a favore della collettività (diporto, balneazione, ecc.) - rientra nella categoria del «demanio marittimo».

I beni demaniali marittimi fanno parte del "demanio necessario". Il demanio necessario comprende tutti quei beni immobili che devono essere demaniali ipso facto: sono in altre parole demaniali per natura.
La natura demaniale di tali beni si fonda, primariamente, sulla potenziale utilizzabilità degli stessi per i cosiddetti usi pubblici del mare (diporto, balneazione, pesca, ecc.) coerentemente con la loro naturale destinazione.
I beni del demanio marittimo costituiscono, per la vastità dell’estensione territoriale e la particolarità delle utilizzazioni, la categoria di beni pubblici di maggiore rilievo ambientale.
I beni facenti parte del demanio marittimo sono elencati nell’
art. 28 del Codice della navigazione (generalmente considerato come una specificazione integrativa dell’art. 822 del codice civile).

 

 

Il «mare territoriale» non è incluso fra i beni demaniali. Tale esclusione, però, non costituisce ostacolo alla possibilità di concessione amministrativa (art. 524 norme trans. e complementari) per l'uso di quel mare (è un esempio di concessione al fine di produzione, in cui il bene demaniale si pone esso stesso come mezzo di produzione: concessioni di pesca, per lo sfruttamento del fondo marino, per l'estrazione e la raccolta di arena e di ghiaia, ecc.).
E’ comunque pacifica la natura demaniale del mare territoriale che in quanto res communis omnium, non può essere ritenuto di proprietà statale Il mare territoriale non rientrando tra i beni demaniali è da considerarsi nella sua totalità (acqua, fondo, sabbia, ecc.) «res nullius» (non costituisce furto l'esportazione di sabbia dal fondo del mare).

La dottrina più recente ha suddiviso il demanio marittimo in «demanio portuale» e «demanio costiero», individuando le differenze intercorrenti tra le due categorie nel carattere naturale del demanio costiero a fronte dell’artificialità e della strutturazione economico-imprenditoriale del demanio portuale.

I beni demaniali in quanto appartengono allo Stato e sono destinati, per natura o per legge, al soddisfacimento di una funzione pubblica e in particolare non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti da leggi specifiche per la materia in oggetto. Da ciò consegue la loro:

  • inalienabilità
  • incommerciabiltà
  • inespropriabilità

Possono tuttavia essere dati in concessione d’uso. L’attribuzione ai privati di diritti di godimento su beni del demanio marittimo si realizza attraverso provvedimenti unilaterali di "concessione", provvedimenti rientranti nell’ampio concetto di “provvedimenti di polizia amministrativa”, e non attraverso contratti di diritto comune; ed il loro godimento a scopi lucrativi (da parte dei privati) non può avvenire gratuitamente.
L'
art. 36 del Cod. nav. prevede la possibilità di concessione dell'occupazione e uso, per fini compatibili con le esigenze dell'interesse pubblico, di zone del mare territoriale.

  • La gestione del demanio marittimo, spetta all’Amministrazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per quanto attiene: 
  1. la conservazione fisica e funzionale dei beni demaniali marittimi;
  2. la polizia demaniale (art. 30 Cod. nav.);
  3. la regolamentazione delle vicende del demanio marittimo;
  4. la disciplina dei modi d’uso dei beni.

Le funzioni amministrative aventi finalità turistiche e ricreative, concernenti l’utilizzazione a tali scopi del demanio marittimo, sono state demandate alle Regioni a statuto ordinario dall’art.30 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

Con D.lgs. 3 marzo 1998, n. 112 (in attuazione della Legge Bassanini n. 59/97), tutta la gestione amministrativa dei beni demaniali marittimi è stata trasferita alle "Regioni a statuto ordinario" ad eccezione dell’amministrazione dei beni demaniali afferenti le “fonti di approvvigionamento di energia” che rimangono, sotto la gestione statale (ad esempio, concessione ad industrie petrolchimiche per occupazioni di aree demaniali e di specchi acquei, concessione per impianti di rifornimento carburante su area demaniale, ecc)
Dalla gestione regionale rimangono esclusi i beni che interessano la difesa dello Stato o la difesa del territorio nazionale.
    

I beni demaniali marittimi

I beni facenti parte del demanio marittimo sono elencati nell’art. 28 del Codice della navigazione (generalmente considerato come una specificazione integrativa dell’art. 822 del Codice civile).

  • Fanno parte del demanio marittimo:
  1. il lido del mare, ovvero quella porzione del litorale che si trova a immediato contatto con il  mare, e che si estende fin dove arrivano le massime mareggiate invernali, con esclusione dei momenti di tempesta. Nella nozione di lido rientrano anche le scogliere, gli scogli, i massi scogliosi, le dighe naturali, i promontori e le punte, in quanto si presentano in aderenza con il mare.
  2. la spiaggia, è costituita dalla zona che dal margine interno del lido si estende verso terra. Essendo una zona soggetta a modificazioni, in quanto si può restringere a causa dell’azione delle forze erosive del mare, oppure ampliarsi qualora le acque si ritirano, in essa vige il principio secondo il quale il mutamento dello stato dei luoghi è idoneo a mutare il regime  pubblico, senza che occorra un apposito provvedimento. Inoltre, qualora si verifichi un ampliamento, vengono a crearsi gli “arenili”, cioè tratti di terraferma che sono relitti del  naturale ritirarsi delle acque, che, pur avendo perso un’immediata idoneità ai pubblici usi del  mare, ne conservano la potenzialità. Gli arenili hanno natura demaniale marittima fino a  quando non intervenga un decreto di sdemanializzazione da parte del Ministero dei trasporti di  concerto con quello per le Finanze, su proposta del Capo del Compartimento Marittimo,  come previsto dall’art. 35 Cod. nav.
  3. i porti, sono quei tratti di costa, naturali o artificiali, idonei ad offrire rifugio ed agevolare l’approdo delle navi al riparo di venti e dalle onde. Questa nozione di porto appare di  ampia portata in quanto non si riferisce alla sola destinazione commerciale e per questo rappresenta un’innovazione rispetto ai vecchi Codici (T.U. n. 3095 del 1885) che suddividevano i porti in due categorie, quelli che interessavano la sicurezza della navigazione  in generale e la difesa militare dello Stato e quelli che interessavano il commercio. Tale innovazione è stata completata con la legge n. 84 del 28 gennaio 1994 che classifica i porti in base alle loro funzioni caratteristiche (militari, commerciali, industriali, petroliferi, pescherecci,  turistici e da diporto);
  4. le rade, sono le zone di mare, normalmente prospicienti o prossime al porto, ma anche di  mare aperto, che offrono la possibilità di una sosta temporanea alle navi in quanto al riparo dai venti e dai marosi. Le radi sono naturali se il riparo è dovuto ad elementi naturali (isole, banchinamenti), oppure in protetta o foranee se il riparo è offerto da tutte o alcune direzioni.
  5. le lagune, sono gli specchi acquei situati nelle vicinanze con il mare. Si distinguono in lagune vive, se comunicanti con il mare, lagune morte, se separate o stagnanti. Nelle lagune vive le aperture comunicanti con il mare prendono il nome di “bocche di porto”.
  6. i bacini d’acqua salsa o salmastra, sono bacini di basso fondale di origine sia marina sia  fluviale, esistenti nella terraferma, in cui lo stato dei luoghi rende possibile la penetrazione ed il riflusso dell’acqua del mare, anche solo una parte dell’anno. La comunicazione può avvenire anche attraverso canali costruiti dall’uomo purché l’acqua del mare possa affluire liberamente al bacino senza l’ausilio di mezzi meccanici. Non è necessario che l’acqua del mare sia l’unica acqua del bacino, purché la miscela sia almeno salmastra;
  7. le foci dei fiumi, sono state incluse nell’art. 28 Cod. nav. (che considera solo le foci dei fiumi che sboccano in mare) per non interrompere il principio di continuità e di contiguità delle coste e poiché rileva la loro utilizzabilità ai pubblici usi marittimi (es. porti fluviali).
  8. i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo, corsi d’acqua artificiali costruiti in prossimità della costa che penetrando nella terraferma, collegano gli approdi interni con il mare. Sono assoggettati al demanio marittimo indipendentemente dalla natura delle acque, in quanto  strumentali agli usi pubblici del mare;
  9. le pertinenze demaniali marittime, ossia le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato che esistono entro i limiti del demanio marittimo o del mare territoriale (art. 29 Cod. nav.). Tali opere(fari, moli, ecc.) sono caratterizzate da un rapporto di accessorietà rispetto al bene  demaniale, col quale si immedesimano.

La dottrina più recente ha suddiviso il demanio marittimo in «demanio portuale» e «demanio costiero», individuando le differenze intercorrenti tra le due categorie nel carattere naturale del demanio costiero a fronte dell’artificialità e della strutturazione economico-imprenditoriale del demanio portuale.

Non fanno parte del demanio marittimo, il "mare territoriale" (si estende per 12 miglia verso il largo a partire dalla linea di base, detta anche "linea verde" (carta ufficiale 330 L.B.) che, in quanto res communis omnium , non può essere ritenuto di proprietà statale, nonché i golfi, i seni e le baie (art. 2 Cod. nav.). Il mare territoriale non rientrando tra i beni demaniali è da considerarsi nella sua totalità (acqua, fondo, sabbia, ecc.) «res nullius» (non costituisce furto l'esportazione di sabbia dal fondo del mare). Ad ogni modo, per l’occupazione e l’uso di zone del mare territoriale (concessioni di pesca, sfruttamento del fondo marino, estrazione e raccolta di arena e di ghiaia, ecc.). e per l’esercizio della polizia sul mare territoriale si applicano le disposizioni del Codice della navigazione e del relativo Regolamento di esecuzione ((art. 524 norme trans. e complementari). Le rade demaniali, ai fini del diritto internazionale, sono classificate non come mare territoriale, ma come acque marittime interne (e così pure i porti e le acque comprese tra più isole).

 

 

I procedimenti regolanti le vicende del demanio marittimo

Riguardo alla «gestione» del demanio marittimo, il Codice della navigazione detta norme di carattere generale atte a regolare l’estensione esatta fra questo ed i beni privati prevedendo il ricorso a specifici «procedimenti» per le più significative vicende dei beni demaniali marittimi.

  • Trattasi di procedimenti di:
  1. fissazioni dei limiti (art. 31 Cod. nav.), atto ricognitivo rivolto alla determinazione dei confini tra  il demanio marittimo e zone appartenenti ad altre specie di demanio (aeronautico, idrico,  militare, ecc.).Tale determinazione è fatta con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei  trasporti, di concerto con quelli delle finanze e dei lavori pubblici, nonché con gli altri ministeri  interessati;
  2. delimitazione (art. 32 Cod. nav.), che è un procedimento ricognitivo ad effetto certificativo  rivolto alla fissazione dei limiti tra beni del demanio marittimo e zone di proprietà privata. La delimitazione è promossa dal Capo del Compartimento marittimo (anche su istanza dei  soggetti interessati) e si attiva in contraddittorio con i privati intervenuti;
  3. ampliamento (art. 33 Cod. nav.), consistente in una integrazione, previa dichiarazione di pubblico interesse, ad opera del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il  Ministro delle Finanze, del demanio marittimo con zone di proprietà privata adiacenti, di  limitata estensione e di modico valore;
  4. modificazione funzionale (art. 34 Cod. nav.), che si ha quando, previa richiesta dell'amministrazione interessata, determinate parti del demanio marittimo vengono temporaneamente destinate ad altri usi pubblici;
  5. riduzione territoriale (art. 35 Cod. nav.), procedimento diretto all'esclusione dal demanio  marittimo di zone reputate inutilizzabili per i pubblici usi del mare.

 

Delimitazione: picchetti lapidei

 

Aspetti dominicali

  • Alla luce nel nuovo quadro normativo introdotto dalla riforma Bassanini...

L’originario quadro normativo, delineato sia dal Codice della Navigazione, sia dal Regolamento della navigazione marittima, è stato modificato sulla spinta dell’evoluzione socio-economica e politica dello Stato, che ha portato alla formazione di un complesso di leggi, che pian piano ha "svuotato" di contenuti il tradizionale principio posto dall’art. 30 Cod. nav. (“L’amministrazione delle Infrastrutture e dei Trasporti regola l’uso del demanio marittimo e vi esercita la polizia”) dell’esclusiva competenza dell’Autorità Marittima sulla gestione dei beni demaniali marittimi.

Con la riforma «Bassanini» (D.lgs. nn. 59 e 127 del 1997), passando per il D.lgs n. 112/98, per finire alla L. n. 172/2003, infatti, è profondamente mutano il regime della gestione dei beni demaniali marittimi, e tale cambiamento mal si concilia col vigente Codice della navigazione cui, tra l’altro, tali leggi dedicano poche norme e, tra queste, quelle dedicate al demanio marittimo sono appena accennate.
La disciplina dei beni demaniali marittimi, ed il conseguente esercizio degli svariati poteri di polizia amministrativa latu sensu (rilascio, revoca, decadenza delle concessioni e/o autorizzazioni, regolamentazione degli spazi demaniali, potere di ingiungere lo sgombero, emanazione di ordinanze di polizia marittima, ecc.), è oggi notevolmente variata a causa del conferimento di tali poteri alle Regioni e agli Enti locali cui ha fatto, inevitabilmente, seguito il delinearsi di una disciplina normativa ed amministrativa di non facile interpretazione.
L’art. 105 del D.lgs. n. 112/1998 (in attuazione alla legge Bassanini n. 59/1997) ha conferito tutta la gestione amministrativa dei beni demaniali marittimi dallo Stato alle «Regioni a Statuto ordinario» ad eccezione dell’amministrazione dei beni demaniali afferenti le “
fonti di approvvigionamento di energia” (es. concessioni demaniali per industrie petrolchimiche, per piattaforme petrolifere, ecc.) e di quelli ricadenti nei “porti e nelle aree di interesse preminente nazionale” (individuate dal D.P.C.M. 21 dicembre 1995), che, quindi, rimangono sotto la gestione statale.
Le Regioni a Statuto ordinario e, per ulteriore delega ex art. 42 del D.lgs. n. 96/1999, i Comuni destinatari della riforma di cui si è detto, sono oggi chiamati a svolgere funzioni nuove e di vasta portata anche in termini di innovazione rispetto ai precedenti sistemi di gestione statale
Tutto ciò comporta inevitabili "conflitti d’attribuzioni" tra le diverse amministrazioni coinvolte (Autorità marittime, Autorità portuali, Autorità regionali ed Enti locali) e, di conseguenza, notevoli difficoltà che si ripercuotono nel concreto esercizio delle funzioni di polizia amministrativa dei beni demaniali, che non di rado si tramutano in problematiche operative sul piano dell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria.
Peraltro, occorre evidenziare che la suddetta riforma lascia ovviamente inalterate le funzioni di polizia giudiziaria in capo al personale militare del Corpo delle Capitanerie di porto, in virtù dei poteri ad esso conferiti dal Codice di Procedura Penale (artt. 55 e 57) e dal Codice della navigazione (artt. 1235 e ss.).
 

  • Sulle aree assentite in concessione dalle Regioni o dagli Enti locali e più in generale su tutte le aree demaniali marittime, il personale militare del Corpo delle Capitanerie di porto, quindi, continua ad effettuare in concorso e in collaborazione con le altre amministrazioni, oltre i previsti controlli di polizia amministrativa di natura preventiva, quelli di polizia giudiziaria di natura più strettamente repressiva.

 

Il nuovo riparto di competenze sul demanio marittimo

  • La fase transitoria del processo di conferimento di funzioni e compiti amministrativi afferenti il demanio marittimo ed il mare territoriale alle Regioni ed agli Enti Locali è stata caratterizzata da dubbi interpretativi, peraltro accresciuti da una continua evoluzione normativa, nonché dalla disaffezione delle precedenti amministrazioni, titolari delle relativi funzioni, di abbandonare i loro tradizionali poteri, specie per quanto concerne i porti.

Solo dopo diverse pronunce della Corte Costituzionale, l'ultima in ordine di tempo la n. 344/2007, è stato definitivamente chiarito il nuovo quadro normativo, anche per quanto concerne i porti d'interesse regionale ed interregionale, a mente del quale spettano alle Regioni e per il principio di sussidiarietà ai Comuni, le competenze relative all'esercizio delle funzioni amministrative nei porti di 2^ categoria, classe III (porti di interesse regionale ed interregionale con funzione turistica e peschereccia).
La Corte Costituzionale, riprendendo i principi statuiti in altre sentenze (255/2007, 90/2006) ha stabilito infatti, che non spetta allo Stato affermare la propria competenza nella materia delle concessioni demaniali marittime portuali nei porti turistici e commerciali di rilevanza economica regionale ed interregionale, così come definiti dall'articolo 4 della legge 84/94: riferendosi, cioè a quei porti o specifiche aree portuali, che non sono finalizzati alla difesa militare o alla sicurezza dello Stato, ne sono sedi di Autorità Portuale. Quanto stabilito dal Giudice delle Leggi è la diretta conseguenza del nuovo impianto normativo, coltivato nel tempo e che è sbocciato nella Legge Costituzionale 3/2001 che ha modificato il Titolo V della Costituzione.

  • A seguito del nuovo quadro normativo il Comune è oggi titolare delle funzioni amministrative sul demanio marittimo, incluso quello portuale, che il Codice della Navigazione affidava alle Capitanerie di Porto e che consentono all'Ente Locale, l'amministrazione diretta dei beni demaniali marittimi.

Diverse Regioni, con diverse leggi regionali, hanno conferito ai propri Comuni costieri l'esercizio di tutte le funzioni amministrative relative al demanio marittimo, intendendosi per beni demaniali – come si è avuto modo di dire - quelli elencati nell'art. 822 del c.c. e 28 del codice della navigazione. Ciò altro non è che il risultato del nuovo assetto costituzionale che, introduce una profonda ridislocazione di poteri dal centro alla periferia, e che hanno aperto la strada al potenziamento delle autonomie.
L'attribuzione ai Comuni delle funzioni amministrative sul demanio marittimo rientra in un principio di organizzazione dello Stato finalizzato ad avvicinare, nella massima possibile misura, la gestione della res pubblica ai cittadini, permettendo da un lato di adeguare l'azione degli amministratori alle specifiche e differenziate richieste della collettività sottostanti attraverso un più intenso dialogo tra cittadini e P.A., volto ad arricchire di contenuti partecipativi l'azione dei pubblici poteri, secondo i principi di una corretta e funzionale democrazia, e dall'altro di evitare l'accentramento burocratico ed il conseguente formarsi di una grossa burocrazia regionale.

 

Funzioni amministrative dello Stato sul demanio marittimo

Lo Stato mantiene le funzioni amministrative in materia di demanio solo nelle sottoelencate tipologie di Porti e zone del demanio marittimo:

  • Porti rientranti nella giurisdizione territoriale delle Autorità Portuali;
  • Porti militari, per intero o in parte, per tali intendendosi anche le aree portuali destinate unicamente alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato, nonché gli specchi acquei collegati funzionalmente con i suddetti porti ed aree, non permanentemente soggetti agli usi pubblici;
  • Aree e specchi acquei, interni ai porti, nonché opere, ivi esistenti, destinate ai compiti di difesa e sicurezza dello Stato perseguiti dalle Forze Armate, dal Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia Costiera, dalle Forze dell'Ordine, dai Vigili del Fuoco, ovvero oggetto di consegna per i medesimi compiti;
  • Aree e specchi acquei, interni ai porti, nonché opere, ivi esistenti, destinate alla realizzazione del sistema VTS ed alla sicurezza della navigazione in genere;
  • Porti non rientranti nella giurisdizione territoriale delle Autorità portuali, ma ascritti alla competenza statale, in quanto movimentano un volume di prodotti petroliferi e combustibili pari o superiore a cinquecentomila tonnellate per anno, dovendo per tale ragione essere considerati prevalentemente destinati all'approvvigionamento di energia.
  • aree demaniali marittime, specchi acquei e opere in consegna ai soggetti istituzionali ai sensi dell'articolo 34 del Codice della Navigazione e 36 del regolamento per l'Esecuzione del Codice della Navigazione;
  • aree demaniali marittime, specchi acquei e opere funzionali all'approvvigionamento di energia;
  • aree demaniali marittime, specchi acquei e opere destinate alla realizzazione del sistema VTS ed alla sicurezza della navigazione in genere, nonché di impiego diretto da parte del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, quale organo periferico del Ministero dei Trasporti.

Sono, infine, impregiudicate le competenze statali che riguardano tutte le attività che afferiscono agli aspetti dominicali, inerenti la configurazione giuridica dei beni demaniali, nonché la materia della polizia dei porti, che è del tutto peculiare e specifica, investendo il profilo tecnico-operativo della sicurezza della navigazione e portuale (materia, quest'ultima, distinta e separata dall'utilizzazione dei beni demaniali marittimi e dalle funzioni amministrative a questa attinenti), nonché tutte le altre competenze, eventualmente, escluse per effetto di specifiche disposizioni normative.

 

Funzioni amministrative dei Comuni sul demanio marittimo

    Oggi i Comuni sono titolari delle seguenti funzioni amministrative sul demanio marittimo:

  • Rilascio di concessioni demaniali marittime (in attesa dell'approvazione del Piano Regionale delle Coste) ai sensi dell'art. 36 del codice della navigazione;
  • Rilascio dell'atto di concessione provvisoria ai sensi dell'art. 10 del codice della navigazione;
  • Rinnovo di concessioni demaniali marittime ai sensi dell'art. 36 del codice della navigazione;
  • Variazione del contenuto della concessione ai sensi dell'art. 24 regolamento di esecuzione del codice della navigazione);
  • Comparazione di istanze ai sensi dell'art. 37 del codice della navigazione;
  • Anticipata occupazione di aree demaniali marittime ai sensi dell'art. 38 del codice della navigazione;
  • Autorizzazione a costituire ipoteca sulle opere costruite dal concessionario ai sensi dell'art. 41 del codice della navigazione;
  • Revoca totale o parziale di concessioni demaniali marittime ai sensi dell'art. 42 del codice della navigazione e 31 del relativo regolamento di esecuzione;
  • Domande incompatibili sensi dell'art. 43 del codice della navigazione;
  • Modifica o estinzione della concessione per cause naturali ai sensi dell'art. 45 del codice della navigazione;
  • Affidamenti ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione ai sensi dell'art. 45 bis del codice della navigazione;
  • Subingresso nella concessione ai sensi dell'art. 46 del codice della navigazione e art. 30 del regolamento di esecuzione;
  • Decadenza della concessione ai sensi dell'art. 47 del codice della navigazione.

Funzioni amministrative delle Capitanerie di porto sul demanio marittimo

Restano ascritti alla competenza statale ed in particolare al Corpo delle Capitanerie di Porto le funzioni relative a:

  • Delimitazione di zone del demanio marittimo ai sensi dell'art. 32 del Codice della Navigazione;
  • Risoluzione delle contestazioni che sorgono nel corso della delimitazione ai sensi dell'art. 34 del  Codice della Navigazione;
  • Escluso di zone del demanio marittimo ai sensi dell'art. 35 del codice della navigazione;
  • Predisposizione delle Tabelle indicante i luoghi nei quali è possibile eseguire la raccolta e l'estrazione di arena, ghiaia, e altri materiali.

Abusi sul demanio marittimo

Gli abusi sul demanio marittimo possono configurarsi in molteplici modi e con diversa consistenza. Essi sono correlati alle differenti modalità di utilizzazione dei beni demaniali, nonché all’esistenza o meno del «titolo concessorio» ed al contenuto dello stesso.
Le fonti del diritto speciale che disciplinano il "
rilascio di concessioni" di beni del demanio e di zone di mare territoriale (art. 524 trans.), l’autorizzazione alla "esecuzione di nuove opere" in prossimità del demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare oppure le occupazioni e le innovazioni abusive sono:

  1. Art. 30 Cod. nav. (Uso del demanio marittimo)
  2. Art. 36 Cod. nav. (Concessione di beni demaniali)
  3. Art. 54 Cod. nav. (Occupazioni o innovazioni abusive)
  4. Art. 55 Cod. nav. (Nuove opere in prossimità del demanio marittimo)
  5. Art. 27 Reg. Cod. nav. (Vigilanza)
  6. Art. 499 disposizioni penali e disciplinari Reg. Cod. nav. (Servizio ronda)
  7. Art. 1161 Cod. nav. (Abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata)
  8. Art. 1164 Cod. nav. (Inosservanza di norme sui beni pubblici).

Atteso che compete comunque alla Amministrazione dei Trasporti, di regolare l'uso del demanio marittimo e di esercitarvi la “polizia” (=polizia demaniale), il potere dell'Amministrazione marittima, per quanto ampio, non è esclusivo: l'estrinsecazione dei poteri delle altre amministrazioni interessate deve essere in ogni caso sottoposta ad un'opera di coordinamento e di armonizzazione a cura della predetta Amministrazione.
 
L'Autorità amministrativa preposta, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo (art. 36 Cod. nav.). Le concessioni sono generalmente «temporanee»; tuttavia, in circostanze speciali, possono anche essere «senza limiti di tempo».
Nel primo caso il rilascio della concessioni spetta all'Autorità amministrativa competente, mentre per le concessioni senza limiti di tempo occorre una legge. È opportuno premettere che il carattere demaniale del bene concesso presuppone sempre la «revocabilità» della concessione.
Chiunque intenda occupare per qualsiasi uso una zona demaniale o farvi una qualsiasi innovazione tendente a variare o modificare la proprietà demaniale, o ad indurre limitazioni o impedimenti agli usi per cui essa è destinata, ovvero a pregiudicare i diritti ad essa inerenti deve ottenete la “concessione“ dall'Amministrazione competente previa presentazione di opportuna domanda.
 
La materia degli "abusi" sul demanio marittimo è disciplinata, per quanto riguarda la parte amministrativa dall’art. 54 Cod. nav., per la parte relativa alle disposizioni penali dall’art. 1161, comma 1 Cod. nav. e ss. E per la parte privatistica delle norme sulla proprietà contenute nel Codice civile.
Si evidenzia che gli articoli 54 e 1661 Cod. nav. si applicano anche alle "innovazioni abusive" eseguite entro il limite dei 30 metri dal demanio marittimo (c.d. zona di rispetto), tale limite può essere aumentato, per ragioni speciali, in determinate località, qualora queste non siano previste in piani regolatori generali o particolareggiati già approvati dagli Enti Locali competenti, d’intesa con le Autorità Marittime ai sensi dell’art. 55 Cod. nav.
L’art. 54 Cod. nav. enuncia: “Qualora siano abusivamente occupate zone del demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il Capo del Compartimento Marittimo (o altra Autorità competente) ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino stato entro il termine a tal fine stabilito e, in caso di mancata esecuzione dell’ordine, provvede d’ufficio a spese dell’interessato”.

  • Il Capo del Compartimento, ad esempio, in caso di occupazioni o innovazioni abusive sul demanio marittimo (o in prossimità di esso), deve “ingiungere” al contravventore la rimessa in pristino stato dell’area e, nell’ipotesi di mancata esecuzione, deve provvedere d’ufficio ponendo a carico del contravventore stesso le spese relative; inoltre, qualora le innovazioni abusive consistano in opere permanenti ed inamovibili, l’Amministrazione marittima potrà, alternativamente alla demolizione, procedere, qualora utile, all’acquisizione gratuita al demanio delle opere abusivamente realizzate.

Il «provvedimento ingiuntivo di sgombero» rappresenta, quindi, l’atto consequenziale rispetto all’azione preventiva di polizia, finalizzata alla vigilanza e alla repressione degli abusi sul suolo demaniale; mentre l’esecutorietà d’ufficio dell’ordine costituisce una forma di "autotutela" speciale alla quale fare ricorso, in via sostitutiva, per il ripristino della legalità venuta meno per l’effetto dell’abuso perpetrato in danno del pubblico demanio marittimo.
Nel caso in cui non sia possibile "individuare i contravventori", l’ordinanza di cui all’art. 54 Cod. nav., dovrà essere emessa “ad incertam persona”; questa potrà essere affissa sulla porta o sulle strutture dell’abusiva costruzione ed eventualmente, per maggior cautela, nell’Albo pretorio del Comune, ciò al fine di predisporre, comunque, un atto prodromico alla successiva procedura di demolizione di ufficio.
 
L’art. 1161 Cod. nav. tipicizza sostanzialmente le seguenti forme alternative di condotta penalmente rilevante:

  1. Occupare abusivamente il demanio marittimo, ossia senza alcun titolo concessorio valido ed  efficace rilasciato  all’Autorità  amministrativa competente;
  2. Impedirne l’uso pubblico;
  3. Fare innovazioni non autorizzate, ossia realizzare qualsiasi tipo di modifica ad una situazione di  fatto che comporti un mutamento, ovvero una limitazione all’uso pubblico del bene demaniale,  ovvero una sua utilizzazione difforme dalle   previsioni del titolo concessorio.
  4.  

 

L’art. 1164, comma 1 Cod. nav. stabilisce, infine, che nel caso di occupazione senza titolo di beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero nel caso di utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, il responsabile è tenuto alla corresponsione di un indennizzo: è punito, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa di una somma da Euro 1.032 a Euro 3.098

 
 

Vigilanza e controllo: modus operandi

Il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, ha tra i vari compiti, quello della vigilanza e del controllo sul demanio pubblico marittimo (art. 30 Cod. nav.- Uso del demanio marittimo; art. 27 Reg. Cod. nav. - Vigilanza)
Questi controlli vengono effettuati da personale del Corpo, in quanto Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria (art. 1235 Cod. nav. - Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria).
I controlli inerenti il demanio pubblico marittimo sono molteplici e vanno dal controllo dei limiti della concessione demaniale, dei limiti sulla proprietà privata, dell’abusiva occupazione del suolo demaniale al rispetto dell’ordinanza balneare emessa dal Capo del Circondario Marittimo.
Si rappresentano di seguito, per una più facile interpretazione, alcuni controlli demaniali tipo, che posso presentarsi durante il servizio.

► Parte Amministrativa:

  • Controllo sul rispetto dell’Ordinanza Balneare:

Il personale, giunto presso lo "stabilimento balneare", si reca dal concessionario, o da colui che ha in gestione la concessione (art. 45 bis - Affidamento ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione - Il concessionario, in casi eccezionali e per periodi determinati, previa autorizzazione dell'Autorità competente, può affidare ad altri soggetti la gestione delle attività secondarie nell'ambito della concessione), dopo le presentazioni di rito, comunica allo stesso che deve effettuare un controllo per il rispetto dell’ordinanza balneare.
Durante detto controllo, viene compilato un apposito «questionario», in duplice esemplare del quale una copia viene rilasciata al concessionario.

Il controllo verte principalmente sulla "sicurezza", vengono quindi controllate le "dotazioni" prescritte dall’ordinanza quali:

  1. la presenza dell’assistente bagnanti/bagnino
  2. l’esposizione dell’ordinanza balneare,
  3. l’infermeria con le relative dotazioni,
  4. gli estintori,
  5. le bandiere in dotazione che all’occorrenza vengono issate per segnalare le condizioni del mare.

Nel caso in cui vi fosse la mancanza di una delle dotazioni di sicurezza o si verificasse il non adempimento di uno degli articoli/punti dell’ordinanza, il concessionario incorrerebbe in una "sanzione amministrativa" per la violazione della stessa, punita dall’articolo 1164 comma 1 Cod. Nav (Inosservanza di norme sui beni pubblici); la sanzione è fissata tra un minimo di € 1.032 ed un massimo di € 3.098 (art. 10 Legge 689/81 - Sanzione amministrativa pecuniaria e rapporto tra limite minimo e limite massimo ) e per la stessa è ammesso il pagamento in misura ridotta pari al doppio del minimo o un terzo del massimo - quella più favorevole per il sanzionato ( art. 16 del Legge 689/81 Pagamento in misura ridotta ) in questo caso si applica un terzo del massimo quindi la sanzione è di € 1.032.

  • Inosservanza da parte di un cittadino dell’Ordinanza Balneare:

Nel caso in cui la violazione ad uno degli articoli/punti dell’ordinanza viene effettuata da una persona che si trova in spiaggia o in acqua per motivi ludico ricreativi (per esempio, giocare a pallone sulla battigia), l’articolo punitivo è il 1164 comma 2 Cod. Nav. (Inosservanza di norme sui beni pubblici); la sanzione è fissata tra un minimo di € 100 ed un massimo di € 1.000  e in questo caso si applica il doppio del minimo quindi la sanzione è di € 200. 

  • Sosta di veicoli sul Pubblico Demanio Marittimo:

Durante il corso dell’estate ci si può imbattere in una occupazione, da parte di un veicolo, del suolo demaniale marittimo.
Questo tipo di illecito è punito dal Codice della Navigazione in ottemperanza all’art. 1161 comma 2 (Abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata); la sanzione è fissata tra un minimo di € 103 ed un massimo di € 619, in questo caso si applica il doppio del minimo quindi la sanzione è di € 206.
Lo stesso può essere regolamentato o dall’ordinanza balneare o da ordinanza della locale Amministrazione Comunale.

► Parte Penale:

  • Abusiva Occupazione di spazio Demaniale Marittimo:

Nel caso in cui venga abusivamente occupato uno spazio demaniale marittimo (art. 1161 comma 1 del Cod. Nav. ) gli accertatori di detto reato devono tempestivamente far cessare lo stesso contestandolo al suo autore l'illecito ed in seguito si provvede ad identificare la persona e ad invitarla in Ufficio.

      ► Azioni da intraprendere:

  1. Rilievo fotografico dell’intera area, con relative opere realizzate, oggetto del reato
  2. Delimitazione della stessa con apposizione di cartello recante la dicitura “Area sottoposta a Sequestro Penale“
  3. In Ufficio si provvede all'identificazione formale e ricezione della dichiarazione ed elezione di domicilio della persona interessata, con apposito verbale dello stesso (art. 349 c.p.p.)
  4. Si stende un rapporto di servizio (=relazione) per gli atti interni al comando ed una annotazione di polizia giudiziaria da allegare all’Informativa (o comunicazione) di notizia di reato
  5. Si redige, quindi, apposita Informativa di Reato da inviare alla Procura della Repubblica competente, unitamente alla documentazione di cui ai punti precedenti.

Successivamente viene emessa apposita «ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi» da parte del Capo del Compartimento entro un termine stabilito, ed in caso di mancata esecuzione della stessa, questi vi provvede d’ufficio a spese dell’interessato ex art. 54 Cod. Nav (Occupazioni e innovazioni abusive) .

  • Abusiva Occupazione di spazio Demaniale Marittimo da parte di un concessionario:

Nel caso di un concessionario, i contesti in cui ci si può imbattere possono essere:

  1. ampliamento della costruzione autorizzata;
  2. delocalizzazione di cabine;
  3. installazione, senza la prescritta autorizzazione di docce, fontane o gazebo fissi.

Nei casi su citati le azioni da intraprendere sono le stesse esplicate nel punto precedente.

In seguito, per le opere abusivamente realizzate/delocalizzate, viene elevato «processo verbale amministrativo» ex art. 1164 comma 1 Cod. nav., e successivamente viene emessa apposita ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi dal Capo del Compartimento entro un termine stabilito, ed in caso di mancata esecuzione della stessa, questi vi provvede d’ufficio a spese dell’interessato ex art. 54 Cod. Nav (Occupazioni e innovazioni abusive ). Per quanto riguarda il concessionario, lo stesso può presentare domanda di «sanatoria» per le stesse. Nel caso in cui la richiesta di sanatoria venisse accetta, si eseguirà in seguito un ulteriore "sopralluogo" durante il quale si provvederà a controllare, tramite la "relazione tecnica", le "planimetrie" e gli "indici di piano", che effettivamente quello chiesto in sanatoria coincida con lo stato dei luoghi.
Nel caso in cui durante il sopralluogo emergano degli ulteriori abusi, perpetrati dopo il primo sopralluogo, si dovrà dare inizio ad un ulteriore procedimento penale a carico del concessionario. 

  • Realizzazione di opere di difficile rimozione sul Demanio Marittimo:

Può capitare che alcuni concessionari realizzino la struttura autorizzata da apposito titolo concessorio (Mod. 77), non con materiali di "facile rimozione" come prescritto dal Codice della Navigazione e come esplicato all’interno delle more del Mod. 77, bensì usando materiali (gettata in opera di pavimentazione o saldando tra di loro i pannelli prefabbricati in cemento armato vibrato) che rendono detta struttura di "difficile rimozione".
Nel caso in cui si verifichi tale situazione, bisogna interessare, l’Agenzia del Demanio (competente per provincia), il Genio delle Opere Marittime, l’U.T. del Comune ove si trovi la costruzione, l’Agenzia delle Dogane, e con appositi tecnici effettuare dei sopralluoghi mirati a constatare se la struttura è di facile o di difficile rimozione.
Dal sopralluogo, "ogni tecnico" dei rispettivi Organi menzionati, redigerà apposita «relazione» e, nel caso in cui la struttura risultasse di difficile rimozione, si darà inizio al procedimento per "l’incameramento" della struttura stessa, redigendo apposito «Testimoniale di Stato» (tale commissione può esprimersi favorevolmente in ordine alla proficuità dell’acquisizione ed incameramento della stessa tra le pertinenze del Demanio Marittimo, in quanto qualificata come opere inamovibile di difficile rimozione e, come tale, da acquisire allo Stato mediante la loro iscrizione nel “Registro Inventario dei beni immobiliari demaniali dello Stato" - Mod. 23.D1) (Art. 49 - Devoluzione delle opere non amovibili).

  • Nuove opere in prossimità del Demanio Marittimo (art. 55 Codice della Navigazione):

Tutte le opere di nuova costruzione che si trovano "entro una zona di trenta metri" dal demanio marittimo (c.d. linea verde) o dal ciglio dei terreni elevati sul mare è sottoposta all'autorizzazione (nulla-osta) del Capo del Compartimento.
Per alcune località, per ragioni speciali, in seguito all’emanazione di apposito Decreto del Presidente della Repubblica, l’estensione della zona entro la quale l'esecuzione di nuove opere è sottoposta alla predetta autorizzazione, può essere determinata in misura superiore ai trenta metri.
L' autorizzazione ad effettuare i lavori sopra menzionati, si intende accolta se entro 90 (novanta) giorni l'Amministrazione non ha rigettato la domanda[1] dell' interessato; la stessa non è richiesta quando le costruzioni che si trovano in prossimità del mare sono previste dai piani regolatori o di ampliamento già approvati dall'Autorità Marittima.

Nel caso in cui, all’interno della fascia menzionata si verifichi la costruzione abusiva di opere, si procederà allo sgombero e al ripristino dei luoghi ai sensi dell’art. 54 del Cod. nav. (Occupazioni e innovazioni abusive).

Sequestro di boe abusive

 


[1] Il silenzio dell'Amministrazione competente equivale a provvedimento di "accoglimento" della domanda senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima Amministrazione non comunica all'interessato, entro 90 giorni, il provvedimento di diniego (vedi in proposito la Legge 7 agosto 1990, n. 241 in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso, nonchè del D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300).

 

Disciplina della circolazione in ambito demaniale marittimo

Un particolare aspetto del "potere normativo" esercitato dal Comandante del Porto ex art. 59 Reg. Cod. nav., si ha nell’esercizio del potere-dovere di disciplina della circolazione stradale in ambito portuale, finalizzato, in questo caso, a disciplinare l’ordinato svolgimento della circolazione veicolare all’interno delle aree portuali.

  • Come è noto, l’art. 12, comma 3 lettera f) del D.lgs. 285/92 (Nuovo Codice della Strada), sull'espletamento dei servizi di polizia stradale, consente al Capo del Circondario Marittimo di disciplinare con propria "Ordinanza" la circolazione stradale nell’ambito delle aree di cui all’art. 6, comma 7 – con ciò concretizzandosi anche tale attività in espletamento di Polizia Amministrativa. 

Gli spazi portuali aperti alla circolazione delle auto sono quindi da intendersi quali “strade aperte all’ uso pubblico” ex art. 6, comma 7 C.d.S[1], intendendosi come tale sia la strada il cui uso è consentito a chiunque[2], sia quella il cui uso è limitato ad una sola determinata categoria di soggetti in possesso di idoneo titolo (es. biglietto di imbarco) ovvero rivestenti una determinata qualifica (es. spedizionieri, agenti marittimi) - e ciò trattandosi anche in questo caso, e nonostante la limitazione del fine, di “uso diffuso” [3].

Nell’area portuale si vengono pertanto a creare “due distinte zone” sulle quali esplicano i loro effetti due diverse norme; tuttavia, fra queste due zone, quella destinata a strada pubblica è funzionale a quella portuale, per cui le relative esigenze restano subordinate alle esigenze portuali – cosa delle quali il Capo di Circondario dovrà tenere conto nel disciplinare con propria Ordinanza la relativa circolazione stradale portuale.
Su tali aree il personale delle Capitanerie di porto in possesso della relativa «qualifica» esercita quindi il servizio di “
Polizia Stradale” di cui all’art. 12 C.d.S., attività questa che può quindi qualificarsi come “Polizia di Sicurezza” secondo la definizione sopra indicata.

In base quindi alle suddette disposizioni, nonché alle "Circolari" interpretative ministeriali, sulla destinazione delle aree portuali in base all’utilizzo delle stesse, può rilevarsi quanto segue:

  1. la destinazione delle aree portuali alla circolazione o al traffico, fermo restando le specifiche  competenze dell’Autorità Portuale ove questa è istituita, spetta al "Comandante del Porto Capo del Circondario", che vi provvede tramite «Ordinanza» (integrata da eventuale Regolamento  esecutivo) in modo tale da conciliare le prioritarie esigenze di sicurezza portuale con l’ordinato  svolgimento dei traffici portuali e delle altre operazioni commerciali che si esplicano nel bacino portuale;
  2. la potestà sanzionatoria per le violazioni alle disposizioni dallo stesso emanate spetta invece, giusta combinato disposto dell’art. 17 L. 689/81 con l’art. 1 del D.P.R. 571/82, al "Capo del Compartimento Marittimo" nella cui giurisdizione insiste il sorgitore, tranne che trattasi di violazioni al C.d.S., nel qual caso sarà compente il "Prefetto" giusta art. 203 C.d.S. 
  3. la distinzione fra aree ove risulta applicabile il Codice della navigazione ed aree ove risulta applicabile il Codice della strada,   è individuata con riferimento alle «finalità di utilizzo» delle singole aree demaniali, nell’ambito della  realtà fisica del porto. Pertanto la stessa dovrà necessariamente fare riferimento, rispettivamente, alla ripartizione fra “aree operative”ed “aree aperte all’uso pubblico”.
  • Rientrano, ad esempio, fra le "aree operative", le aree tipiche del porto destinate allo stoccaggio di merci, al parcheggio temporaneo di TIR coinvolti nel carico e scarico di merci, mezzi  meccanici, gru, ecc.); rientrano fra le “aree aperte all’uso pubblico”, per esclusione, quelle  destinate esclusivamente alla circolazione di autoveicolo, riservate ai titolari di permesso d’accesso, a coloro che rivestono una determinata qualifica professionale, ed in genere a chiunque abbia titolo per accedervi.

Nel primo caso, infatti, le eventuali infrazioni andranno ad incidere sulla esigenza, in senso tecnico, "di ordinate e sicure operazioni e manovre portuali" (così come richiamate dagli artt. 81 Cod. nav. e 59  Reg. Cod. nav); nel secondo caso, invece, l’esigenza da tutelare con la norma è quella di una "ordinata circolazione stradale" (e andrà applicato quindi il C.d.S.). 
Infatti, in virtù del “principio di specialità” di cui all’art. 9 della Legge n. 689/81, le infrazioni commesse nelle c.d. “Aree Operative”, pur se commesse a mezzo autoveicol, poiché incidono comunque sulla "funzionalità di strutture ed attività portuali" (movimentazione mezzi meccanici, gru, carrelli elevatori, locomotrici di manovra, autoarticolati, ecc.), attraggono alla fattispecie concreta normalmente disciplinata dal Codice della Navigazione, alla quale si ricollega del resto la ancor più specialistica disposizione dettata dal D.Lgs. 272/99 in materia di "limitazione della velocità", rispettivamente, degli autoveicoli e dei mezzi meccanici.
Per analogia, anche il Ministero dei Trasporti[4] ha chiarito l’applicabilità del C.d.S. nelle aree private, in relazione alla natura ed alle funzioni degli spazi significando che il C.d.S. trova comunque applicazione nelle aree pubbliche e private soggette a pubblico passaggio che è tale quando “può circolarvi indiscriminatamente chiunque, escludendo invece tale fattispecie quando l’accesso sia limitato solo a particolari categorie”[5].
In concreto, quindi, la cogenza di tali norme realizza una sovrapposizione di discipline il cui ambito di applicabilità è individuabile con riferimento alle "finalità di utilizzo" delle singole aree demaniali nell’ambito della realtà fisica del porto, per cui negli spazi destinati «esclusivamente alla circolazione stradale» la disciplina sarà quella del Codice della Strada (ex art. 6, comma 7° e 14°- 2° periodo C.d.S.); mentre nelle aree destinate «esclusivamente ad attività portuali» la norma da applicare sarà quella di cui all’art. 1174, comma 2° Cod. nav.

  


[1] Giusta quanto richiamato dalla Circolare n° 82/1059/II del 22.01.99 del Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Maricogecap)
[2] Cass. Civ. - Sent. n° 4603 del 11.04.2000
[3] Conforme parere del 1977 dell’ Avvocatura Generale dello Stato
[4] Nota n° 58836 del 19.06.07 confermata dal successivo Parere n° 16789/2008
[5] Cass. Civ. - Sentenza n° 4603 del 11.04.2000).

 

Prevenzione ed accertamento in materia di circolazione stradale

La prevenzione e l’accertamento delle violazioni in materia di «circolazione stradale» e la «tutela ed il controllo sull’uso delle strade»[1], possono essere espletati, previo superamento di un “esame di qualificazione” [2], secondo quanto stabilito dal Regolamento di esecuzionedel C.d.S. (D.P.R. 495/92), dal personale del Corpo delle Capitanerie di porto, nell’ambito delle aree di cui all’art. 6, comma 7 del C.d.S. (Regolamentazione della circolazione fuori dei centri abitati): nelle aree portuali, la competenza a disciplinare la circolazione delle strade interne aperte all’uso pubblico (=non operative) è riservata al Comandante di porto Capo del Circondario, il quale vi provvede a mezzo di Ordinanze, in conformità del C.d.S.).

  • Così, ad esempio, per le zone non operative, individuate come quelle il cui uso sia consentita all’utenza in genere e in particolare a coloro, aventi titolo, che siano cioè in possesso del permesso di accesso al porto o che rivestono una determinata qualifica professionale, come: spedizionieri, autotrasportatori ovvero che che usano la via d’accesso al porto limitatamente al tempo di imbarco.

Su tali aree il personale in possesso della relativa qualifica esercita quindi il servizio di “Polizia Stradale” di cui all’art. 12 C.d.S., attività questa che può quindi qualificarsi come “Polizia di Sicurezza” secondo la definizione sopra indicata.

Nel caso di violazioni delle norme che disciplinano la «circolazione» nelle aree portuali operative cc.dd. “aree portuali non aperte all’uso”, si applica l’art. 1174 comma 2 Cod. nav.

  • Così, ad esempio, per le aree destinate alle attività tipiche del porto, quali: banchine, aree di stoccaggio, aree di parcheggio temporaneo dei T.I.R. coinvolti nel carico/scarico di merci, ecc.

Nella pratica, il militare operante (es. del servizio N.O.I.P.), accertata l’infrazione, si limiterà a redigere l’apposito modulo di “Avviso di accertamento” che provvederà poi ad apporre, ad esempio, sul parabrezza del mezzo, documentando in un secondo momento, una volta raggiunto il proprio Comando, l’attività svolta, gli accadimenti con apposita “Relazione di Servizio” da presentare all’Ufficio competente a riceverla (es. sezione Contenzioso della Capitaneria di Porto) i cui addetti provvederanno a redigere il relativo «Verbale di contestazione» e a sottoscriverlo[3].
Copia del Verbale, unitamente alla relazione di servizio, all’avviso di accertamento e ad eventuali altri rilievi, è conservato presso l’Ufficio predetto.

 


[1] Per quanto concerne la definizione di “strada”, questa deve considerarsi quale “area ad uso pubblico destinata alla circolazione di pedoni, veicoli ed animali” (art. 2, c.1^ C.d.S.). Tale definizione viene integrata dal successivo art. 3, che distingue – oltre ai vari tipi di strada, anche le parti della stessa, quali ad es. le “banchine”, le “aree e bracci di intersezione”, le “corsie”, le “fasce di pertinenza e di rispetto”, le “carreggiate”, oltre alle definizioni di “corsia”, di “circolazione”, ecc.

[2] Abilitazione ottenuta – ai sensi del D.M. 21.02.96 - previo superamento dello stesso “corso” previsto dal D.P.R. 16.12.92, n° 495 (Reg. Es. C.d.S.) come modificato dal D.P.R. 16.09.96, n° 610.

[3] Cass. Civile Sez. I, Sentenze  n. 12105 del 27 settembre 2001 e n. 10015 del 10 luglio 2002 – […] ne deriva, in relazione al caso di specie, l’accoglimento del profilo del motivo relativo alla (erroneamente) ritenuta nullità dell’Ordinanza di Ingiunzione per non essere stato il Verbale di contestazione sottoscritto dagli Agenti accertatori, non dovendo, come si visto, il Verbale di contestazione essere sottoscritto necessariamente da essi, ma (se non redatto con sistemi meccanizzati, nel qual caso non è affatto necessaria la sottoscrizione), da qualsiasi soggetto che faccia parte dell’Ufficio o Comando al quale appartiene l’organo accertatore a ciò abilitato…..

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Il potere normativo del Capo del circondario marittimo

L’Autorità Marittima esercita normalmente sia funzioni di "Polizia Amministrativa" in senso lato (cioè in forma normativa), sia di "Polizia di Sicurezza" (cioè in forma repressiva) in senso stretto.

Tradizionalmente dette funzioni sono ripartite secondo la seguente dicotomia :

  • Attività amministrativa nei porti e sul demanio marittimo e cioè:
  1. polizia dei porti in senso stretto;
  2. disciplina dei servizi e del lavoro nei porti;
  3. gestione del demanio marittimo
  • Attività amministrativa relativa alla navigazione e cioè:
  1. esercizio dei poteri all’arrivo ed alla partenza delle navi;
  2. polizia di bordo e della navigazione (al di fuori dell’ambito portuale);
  3. costituzione ed esecuzione dei servizi di linea;
  4. regolamentazione del cabotaggio;
  5. regolamentazione e disciplina del diporto;
  6. regolamentazione e disciplina della pesca.

Inoltre, il «Comandante del porto-Capo del Circondario Marittimo»[1]. pone in essere alcune specifiche attività che, pur essendo proprie dell’Amministrazione statale, di fatto incidono direttamente sui "rapporti fra privati", quali:

  1. la ricezione dei contratti di arruolamento;
  2. la tenuta dei Registri delle navi;
  3. attività connesse alla ricezione di atti di stato civile redatti in corso di navigazione;
  4. redazione processi verbali di ricezione di atti di scomparimento in mare.

Infine l’Autorità Marittima periferica suddetta esercita direttamente altre attività amministrative, di natura sia concessoria, sia certificativa, sia ricognitiva, quali il rilascio, per esami e per titoli, di certificazioni ed abilitazioni incidenti sullo status dei privati, quali le abilitazioni alla condotta di unità da diporto, ed il rilascio di titoli professionali marittimi.

Il «potere normativo e regolamentare» attribuito al Comandante del Porto Capo di Circondario, quale Organo periferico dell’Amministrazione Marittima ed Autorità locale competente a disciplinare l’utilizzo del Pubblico Demanio Marittimo e portuale, si esplica mediante gli «atti tipici» che lo stesso emana, in base al Codice della Navigazione, quale appunto Amministrazione Marittima periferica, e cioè mediante:

  1. Ordinanze
  2. Regolamenti
  3. Autorizzazioni
  4. Ordini

Detto potere trova la sua fonte normativa, rispettivamente, nell’ art. 67 del Cod. nav. “Il Comandante del Porto regola e vigila…” ; nell’art. 81 “Il Comandante del Porto provvede...” (trattasi quindi di un potere-dovere); nell’art. 59 del Reg. Cod. nav. “il Capo del Circondario marittimo regola con propria Ordinanza, per i porti e le altre zone del demanio marittimo e del mare territoriale...qualora lo ritenga necessario...” (così assumendo tale regolamentazione un carattere di discrezionalità).
 
Tali poteri si sommano a quelli concessori – peraltro attualmente residuali dopo il passaggio della potestà concessoria dei beni demaniali con caratteristiche “
turistico-ricreative” agli Enti locali, mediante appositi atti amministrativi (la natura contrattuale di tali atti è stata recentemente esclusa[2].
I provvedimenti così emanati dal Comandante del Porto costituiscono quindi, in virtù del potere normativo che la legge gli riconosce, atti amministrativi in senso formale a contenuto obbligatorio e vincolante per tutti i destinatari.
Al riguardo rilevasi come il legislatore del 1942 è andato ben oltre l’attribuzione di specifici poteri, introducendo, negli artt. 1164, 1174, 1231 Cod. nav., una norma "penale in bianco" (analoga al corrispondente art. 650 c.p.), che sancisce l’equiparazione alla norma di legge o di regolamento, ai fine degli effetti penali, dei provvedimenti legalmente dati dalle Autorità competenti, rispettivamente, in materia di demanio marittimo, polizia dei porti e sicurezza della navigazione.
Con la depenalizzazione introdotta nell’ordinamento nazionale prima dalla Legge n. 689/81 poi dalla Legge n. 205/99 e, infine, dal D.lgs. 507/99, tuttavia, le prime due fattispecie di illecito sono state derubricate ad illeciti amministrativi, mentre penalmente perseguibili sono rimaste le sole violazioni in "materia di sicurezza della navigazione" di cui al citato art. 1231, oltre alle altre violazioni tuttora penalmente rilevanti contemplate dal Codice della Navigazione.
 
Alla figura del “Capo di Compartimento Marittimo” quale Organo dell’Amministrazione periferica è attribuita inoltre una specifica «
potestà sanzionatoria», giusta L. 689/81 e relativo Regolamento (art. 1 D.P.R. 29.07.82, n° 571), in alcune materie di specifica competenza, fra le quali rientra:

  1. la "disciplina e la vigilanza sulla circolazione stradale in ambito portuale" (potestà che tuttavia su detta materia si esercita in concorrenza con altra specifica figura che è il Prefetto ex art. 203 C.d.S. e D.P.R. 571/82);
  2. la "disciplina della pesca marittima"
  3. la "disciplina della distanza dalla costa delle unità da diporto" (per quanto attiene la nautica da diporto).

 

 


[1] Il circondario è il territorio rivierasco dove il Comandante del porto Capo del Circondario ha potere normativo, ossia il potere di emanare atti aventi forza di legge (Ordinanze). In deroga all’art. 59 del regolamento Cod. nav., le ordinanze di polizia marittima concernenti la "disciplina dei limiti di navigazione rispetto alla costa" e in materia di "pesca marittima" sono emanate dal Capo del compartimento marittimo (art. 8 della Legge 8 luglio 2003, n. 172 sulle “Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico”)

[2] Sentenza n° C-174/06 del 25.10.07 della Corte di Giustizia della Comunità Europea – Sez. II^.

 

Ordinanza di polizia marittima

Per poter esplicare le sue funzioni di controllo e disciplina delle attività svolte in ambito portuale e demaniale, l'Autorità Marittima non può prescindere da uno strumento di fondamentale importanza, quale la facoltà di emanare «atti normativi» aventi forza di legge.
Attraverso un tipico atto come l’ «Ordinanza di polizia marittima» [1] il Comandante del Porto-Capo del Circondario Marittimo, regola, integrando il corpo normativo in relazione alla necessità emergenti della situazione locale, le attività che si esercitano nei porti e nelle altre zone di sua generale, nell’ambito della propria circoscrizione marittima, disciplinando l’uso degli spazi portuali, del demanio marittimo e del mare territoriale[2].
Le "Ordinanze Marittime" sono l'espressione del "potere normativo" di polizia amministrativa portuale del Comandante del Porto (... regola e vigila – provvede). Sono atti a contenuto libero che creano obblighi e divieti, ed in sostanza impongono “
ordini” e, per costituire “fonte di diritto”, devono avere carattere normativo, creare cioè regole generali ed astratte, che non possono tuttavia contrastare con la Costituzione e, di norma, con le leggi ordinarie, né contenere disposizioni penali.
Tali provvedimenti sono dotati di “
autoritarietà” (possibilità di produrre unilateralmente nella sfera giuridica su terzi le modificazioni giuridiche previste dalle proprie statuizioni) e di “esecutorietà” (facoltà della Pubblica Amministrazione di eseguire coattivamente il provvedimento – solo nei casi previsti dalla legge).

Attraverso l’Ordinanza di polizia marittima il Capo del Circondario Marittimo, regola, integrando il corpo normativo in relazione alla necessità emergenti della situazione locale, le attività che si esercitano nei porti e nelle altre zone di sua competenza, per assicurare l’ordinato svolgimento delle attività portuali, marittime e demaniali evitando eventuali danni e pericoli che potrebbero derivare alla collettività da attività svolte arbitrariamente dai singoli.

Spesso si tratta di disposizioni legate a fatti limitati nel tempo o contingibili ed urgenti. Altre volte si stabiliscono regole destinate a durare, quali ad esempio la destinazione di accosti a banchine e calate, in questo caso l’Ordinanza può prendere la forma di approvazione di un regolamento ad essa legato come parte integrante dell’ordinanza stessa.
L’inosservanza delle disposizioni dell’Autorità Marittima e, quindi, anche il mancato rispetto delle suddette Ordinanze, costituisce, salvo che il fatto non sia perseguibile a titolo di reato, illecito amministrativo (ex. artt. 1164 e 1174 Cod. nav.) punito con sanzioni principali a carattere pecuniario e sanzioni accessorie di vario tipo; o sicuramente illecito penale nel caso di norme attinenti la sicurezza della navigazione (ex art. 1231 Cod. nav.).
Nell’ambito del concetto di "polizia marittima" le suddette disposizioni punitive, previste dall’art. 1164 Cod. nav. per i beni pubblici marittimi, dall’art. 1174 Cod. nav. per la polizia dei porti e dell’art. 1231 Cod. nav. per quanto attiene la sicurezza della navigazione, assurgono al rango di «norme in bianco» e, quindi, adattabili alle situazioni concretamente verificatesi.

La "struttura" di una Ordinanza Marittima - a prescindere dalla sua tipologia, costituisce un provvedimento complesso, che soggiace ad una precisa formulazione, ed enunciato normalmente con il seguente schema:

  1. preambolo
  2. premessa
  3. motivazione
  4. dispositivo
  5. notifica
  6. repressione

 


[1] In deroga all’art. 59 del regolamento Cod. nav., le ordinanze di polizia marittima concernenti la disciplina dei limiti di navigazione rispetto alla costa sono emanate dal Capo del compartimento marittimo (art. 8 della Legge 8 luglio 2003, n. 172 sulle “Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico”)
[2] L’art. 524 (Mare territoriale) delle norme transitorie e complementari cod. nav., stabilisce che per l’occupazione e l’uso di zone di mare territoriale e per l’esercizio della polizia sul mare territoriale si applicano le disposizioni stabilite per il demanio marittimo dal codice della navigazione e dal regolamento. Per le concessioni per allevamento di pesci, per coltivazione e deposito di mitili, il Capo del compartimento marittimo promuove il parere del medico provinciale per quanto concerne l’igiene e la sanità.

 

Ordinanza: struttura

Le "Ordinanze", vengono numerate (con numero progressivo) per ogni anno solare da ogni singolo «Ufficio di Circondario» (Capitaneria di porto e Ufficio Circondariale marittimo) e si articolano in:

  1. Preambolo: in esso si cita innanzitutto il Titolare del potere di regolamentazione che procede – avendone titolo - all’emanazione dell’atto........................................
  • Ad esempio,... il C.V. sottoscritto, Comandante del Porto di ......................... e Capo del Compartimento Marittimo/del Circondario Marittimo di ………............................ 
  1. Premessa: in essa si rende noto l’iter formativo, e quindi la motivazione del provvedimento; ciò per evitare impugnazioni per difetto di motivazione o eccesso di potere...........
  • Ad esempio, Vista l’istanza prodotta dal……………………..; Visto l’art……… ; Vista la Legge…………. ; Esaminato il parere del………………… ; Preso atto di…………………
  1. Motivazione: la stessa giustifica l’interesse pubblico posto alla base dell’adozione del provvedimento...
  • Ad esempio, ..........ritenuta la necessità di disciplinare, a salvaguardia della sicurezza della navigazione e della Pubblica incolumità, il...................... 
  1. Dispositivo: esso costituisce il momento di “ordine” del provvedimento stesso, con cui si dispone di fare/non fare alcunché...
  • Ad esempio, a far data dal…sono vietati i………………………/è fatto obbligo a tutti i…………………… di procedere, prima di prendere le spedizioni, a………………………); in tale prescrizione devono essere specificati l’eventuale durata e l’ambito di applicazione territoriale del provvedimento stesso
  1. Notifica: questa rende noto il contenuto agli interessati l’evento disciplinato con Ordinanza (il c.d. “Rende Noto”)...
  • A esempio, solo per i provvedimenti recettivi: …………….copia del presente provvedimento sia notificato a………………. – sia esposto all’Albo……………………………
  1. Repressione: costituisce il dispositivo finale sanzionatorio del provvedimento..., in cui si richiama l'obbligo per chiunque spetti di osservare e fare osservare l'Ordinanza, nonché le disposizioni sanzionatorie, con richiami agli articoli di legge che - qualora il fatto non costituisca più grave reato - prevedono le sanzioni in caso di inosservanza.
  • Ad esempio, i contravventori alla presente Ordinanza saranno puniti – salvo che il fatto non costituisca diverso e più grave reato – ai sensi e per gli effetti degli artt….… (quivi si specifica se si applica la legge sul Diporto/sulla Pesca/il Codice della Navigazione/altro (c.p., Leggi speciali, ecc.). 

Per quanto concerne la «pubblicazione» di tali atti normativi, essa avviene mediante affissione all'Albo dell'Ufficio, prevista dall'art. 59 Reg. Cod. nav., ma è ormai prassi consolidata la diffusione dell'Ordinanza attraverso l'invio di copia di essa ai soggetti interessati allo svolgimento delle attività in questione ed agli organi di informazione.

 

 

Ordinanza: tipologia

Il termine «Ordinanza» è adoperato dalla dottrina per quegli atti del potere esecutivo (Pubblica Amministrazione e Governo), caratterizzati dalla "eccezionalità" e dalla "temporaneità" nella loro efficacia. In questo senso sono considerate "Ordinanze normative" anche i decreti-legge emanati dal Governo, ma si tratta di una classificazione astratta. Le Ordinanze "in senso stretto" son atti amministrativi, generali e particolari, non predeterminati quanto al contenuto, ed emanati in casi di particolare necessità e urgenza da Autorità amministrative diverse dal Governo.

Le Ordinanze sono figure atipiche, il cui contenuto cioè può essere il più vario possibile, esse sono amissibili solo in determinate materie (es. sanità  e igiene pubblica, ecc.) e solo per particolari motivi di urgenza (es. pericolo di epidemia). 

Possono anche modificare la legge ordinaria, a causa della loro eccezionalità, ma devono essere adeguatamente motivate, e perdono efficacia col venir meno dei presupposti di necessità e urgenza che le hanno richieste. Non possono mai derogare dalla Costituzione.

  • Il potere normativo, può esplicarsi nelle «seguenti forme» :

 a) Ordinanze normative in senso lato - che a loro volta si dividono in:

  1. Ordinanze in senso stretto (c.d. ”libere”): fanno riferimento a situazioni specifiche benché astratte, riferendosi a destinatari che, sebbene non determinati all’atto dell’emanazione della stessa, diventano tuttavia determinabili in relazione alle circostanze di tempo e di luogo che detto provvedimento astrattamente disciplina.
  • Ad esempio, …con la disposizione “è fatto obbligo a chiunque navighi nella zona interdetta....” il destinatario si individua all’atto della circolazione/navigazione nella zona da parte di un determinato soggetto - che in quel momento diventa specifico e non astratto).
  1. Ordinanze di Urgenza: sono provvedimenti di polizia che hanno natura eccezionale e fanno riferimento a situazioni concrete e specifiche di urgenza e grave necessità, il cui contenuto non è predeterminato dal legislatore, ma è demandato alla valutazione dell’Autorità Amministrativa. Le stesso sono poste in capo, alternativamente, a varie Autorità Pubbliche quali il Prefetto, il Sindaco, il Comandante del Porto Capo di Circondario (art. 82 Cod. nav., per situazioni di ordine pubblico in assenza di Autorità di P.S. - Artt. 69 e 70 - adozione di provvedimenti d’urgenza in caso di naufragio o altro sinistro (in questo caso in assenza dell’Autorità Marittima subentra l’Autorità Comunale - es. rimozione di cose sommerse per garantire la sicurezza della navigazione).
    L’Ordinanza di Urgenza costituisce quindi un provvedimento extra ordinem, che consente ad un Organo pubblico di apporre un rimedio limitato nel tempo ad una situazione straordinaria, e solo fino alla durata della situazione medesima.
    Detto provvedimento normativo di urgenza deve quindi necessariamente contenere un termine finale all’efficacia del provvedimento medesimo, in mancanza del quale il provvedimento stesso risulterebbe annullabile per sviamento di potere[1]  
    Tale natura di eccezionalità e di urgenza comporta anche l’esclusione di tali atti dall’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento di cui all’art. 7 della L. 241/90[2], salvo che ciò risulti in concreto compatibile con il procedimento posto alla base del provvedimento[3], anche mediante affissione di appositi avvisi ovvero contattando le associazioni di categoria[4].
  • Ad esempio, …con la disposizione “è fatto obbligo a chiunque navighi nella zona interdetta” il destinatario si individua all’atto della circolazione/navigazione nella zona da parte di un determinato soggetto - che in quel momento diventa specifico e non astratto).
     
    Tali casi sono individuabili, in genere, nei poteri di regolamentazione del Comandante del Porto, disciplinati dall’art. 81 Cod. nav., nonché nelle fattispecie regolate dagli artt. 50, comma 1°, 52, comma 3°; 67; 68, comma 2°; 77, comma 2°; 78, comma 1° Cod. nav., e naturalmente in quelle disciplinate dal C.d.S. in quanto applicabili.
  1. Ordinanze sanzionatorie (art.18 L.689/81): sono espressione della potestà sanzionatoria, in via amministrativa, posta in capo ad alcuni Organi periferici di Amministrazioni centrali (quali il Prefetto, il Comandante del Porto) ovvero di Enti locali (Sindaco, Presidente della Provincia, Presidente della Regione) in presenza di determinati illeciti concernenti materie per le quali è intervenuta depenalizzazione del fatto in illecito amministrativamente sanzionato.
    Trattasi sempre di estrinsecazione del potere di supremazia della Pubblica Amministrazione, che si esplica quale altra forma di Polizia Amministrativa da parte di un’Autorità/Ente statale o Locale, limitatamente a determinate materie ma nei confronti di tutti i soggetti indeterminatamente.
    A differenza di altri tipi di Ordinanza (quali ad esempio, quelle di necessità ed urgenza) questo tipo di provvedimento deve essere sempre e dettagliatamente motivato, a pena di nullità[5], e deve naturalmente essere sottoscritto dal Comandante[6].

In tal caso è la Legge 689/81 che determina tuttavia esattamente in quale forma detto potere può esplicitarsi. Le principali differenze con le altre Ordinanze emanate dall’Autorità Marittima sono:

  1. l’obbligo di motivazione del provvedimento;
  2. la destinazione dello stesso nei confronti di soggetti ben determinati;
  3. la tassatività delle relative procedure di contestazione e difesa ;
  4. la fissazione ex lege di termini precisi per le singole fasi procedimentali ;
  5. la ricorribilità dei provvedimenti medesimi presso l’Autorità Giudiziaria Ordinaria ;
  6. l’esecutorietà coattiva di sanzioni pecuniarie a mezzo riscossione esattoriale.

Le «Ordinanze sanzionatorie» possono, a loro volta, dividersi in:

  1. ordinanza-ingiunzione
  2. ordinanza di archiviazione
  3. ordinanza di sequestro

 


[1] T.A.R. Veneto, Sez. II^, Sent. n° 3807 del 30.11.07

[2] C.d.S. – Sez. V^ - Sent. n° 4448 del 13.08.07
[3] T.A.R. Liguria – Genova – Sez. I^ - Sent. n° 3 del 02.01.08 e T.A.R. Calabria – Catanzaro – Sez. I^ - Sent. n°692 del 27.04.05 in materia di Ordinanze sindacali
[4] T.A.R. Liguria – Sez. II^ - Sent. n° 1270 del 05.12.01.
[5]  Da ultimo Cass. Civ., Sez. 1^ - Sent. n° 519 del 13.01.05
[6] Sebbene per le Ordinanze-Ingiunzioni prefettizie sia stata ritenuta ammissibile la sottoscrizione da parte di un Funzionario da questi delegato – Cass. n° 4861/2007; Giudice di Pace di Rivarolo Canadese (TO) – Sent. n° 144 del 14.06.08.

 

Ordinanza sanzionatoria: tipologia

 Le «Ordinanze sanzionatorie» possono, altresì, dividersi in:

  1. Ordinanza-ingiunzione: tale provvedimentio costituisce esercizio della potestà sanzionatoria e di autotutela decisoria ed esecutiva, estrinsecatesi in un atto che fa assumere efficacia diretta nella sfera giuridica e patrimoniale del privato che col proprio fare ha commesso una violazione amministrativa. Anche tali provvedimenti sono soggetti all’obbligo di motivazione[1] .
  1. Ordinanza di archiviazione: detto provvedimento si estrinsa di fatto in un ulteriore esercizio del potere di autotutela decisoria della Pubblica Amministrazione – prevista dall’art. 18 della L. 689/81 e richiamata parimenti da altre norme (art. 21 octies della Legge n. 241/90 - così come introdotto dalla Legge n. 15/05)  e richiamata anche dalla giurisprudenza quale esercizio di un potere discrezionale riservato alla  Pubblica Amministrazione. In questo caso la Pubblica Amministrazione giudicante agisce in posizione di terzietà, ma assume comunque una tutela di un pubblico interesse (che si concretizza nel principio di  imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione: prova ne è il fatto che, mentre l’Ordinanza-Ingiunzione può essere impugnata dal contravventore se in essa vede leso il diritto di difesa o quant’altro a suo favore, analoga facoltà non è riconosciuta all’Organo di appartenenza  dell’agente accertatore, al quale l’ordinamento e la giurisprudenza non riconoscono titolo per  impugnare invece l’ordinanza di archiviazione[2].
  1. Ordinanza di sequestro: trattasi di attività prevista espressamente dall’art. 19 della L.689/81; in questo caso tuttavia si tratta di un atto ricognitivo in quanto si limita a riaffermare la validità di un sequestro già effettuato in prima facie dagli agenti accertatori, con una fase però valutativa con la quale si rigetta la richiesta contraria prodotta da colui che aveva subito il sequestro medesimo. Normalmente costituisce "atto prodromico" alla successiva confisca – altro provvedimento amministrativo previsto dagli artt. 20 e 21 della citata legge - di natura ablativa e a titolo definitivo, esercitato parimenti a mezzo Ordinanza.

 


[1] Cass. Civ. – Sez. I^ - Sent. n° 519 del 13.0105.

[2] Cass. Civ., - Sez. I^ - Sent. n° 3038 del 15.02.07 )

 

I Regolamenti

I «Regolamenti marittimi» sono provvedimenti c.d. ”delegati”, cioè quelli per i quali una disposizione legislativa autorizza una Autorità amministrativa a disciplinare, mediante norme regolamentari, una determinata materia.
Gli stessi sono parimenti connaturati dai requisiti di astrattezza e generalità, e servono generalmente per specificare attività già previste dall’Ordinanza, che assumono carattere «continuativo» (il che li distingue dall’Ordinanza che serve invece per disciplinare un evento occasionale o transitorio per il quale l’emanazione di un Regolamento sarebbe superfluo), e possono concernere una molteplicità di situazioni, quali quelle disciplinate dall’art. 49 Reg. Cod. nav. 

Detti provvedimenti sono atti normativi (art. 14 D.P.R. 24.11.71, n° 1199), di natura formalmente amministrativa, emanati da Organi del potere esecutivo, aventi forza normativa in quanto ditetti ad innovare nell'ordinamento giuridico. Rientrano fra gli atti/provvedimenti tipici di alcune Amministrazioni, con i quali le stesse disciplinano le attività estrinsecatesi nei settori in cui dette Pubbliche Amministrazioni operano.
Gli stessi sono quindi espressioni di una potestà regolamentare (=amministrativa) attribuita all’Amministrazione, attraverso i quali vengono disciplinati in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolamentazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativi rispetto all’ordinamento giuridico esistente, a mezzo di precetti aventi carattere di generalità ed astrattezza[1].

Il potere regolamentare dell’Autorità Marittima discende dagli articoli 30, 62 e 81 Cod. nav., e segnatamente dall’esercizio della disciplina sulle attività che si svolgono nei porti, negli approdi e delle altre zone marittime della circoscrizione, per tutto ciò che attiene la sicurezza e la polizia delle strutture medesime (quindi anche in materia di circolazione stradale in ambito portuale).

I Regolamenti sono soggetti alla formalità della "pubblicazione" all’Albo dell’Autorità Marittima che li ha emanati (art. 59 Reg. Cod. nav.).

 


[1] Cass. Civ. a SS. UU. - Sent. n° 10124 del 28.11.94 e n°1 972 del 22.02.2000.

 

Autorizzazioni e Ordini di polizia

► Le «Autorizzazioni» consistono in provvedimenti amministrativi attraverso i quali si rimuove un limite all’attività esercitabile dal privato. Hanno quindi natura personale, sono necessariamente limitate nel tempo e sono soggette a decadenza.

Nella specie delle Autorizzazioni di Polizia costituiscono un particolare genus , risolventesi nella fattispecie quali atti di Polizia Portuale, intesi ad evitare che alcune manifestazioni dell’attività umana possano turbare l’ordinato e sicuro svolgimento delle attività portuali

  • Ad esempio, autorizzazione all’accesso in porto a mezzo autoveicolo.

Costituiscono, altresì, "Autorizzazioni di polizia", ad esempio:

-  le “Licenze” (art. 8 Reg. Cod. nav. - Concessioni demaniali marittime) ;
-  le “Approvazioni” (art.9, comma 2 Reg. Cod. nav. - concessioni ultraquadriennali);
-  le “Iscrizioni” in appositi Registri (iscrizione art. 68 per esercitare attività demaniali).
 
Per analogia possono individuarsi quelle di cui all’art. 14 T.U.L.P.S. (che prevedono tuttavia l’esecuzione d’ufficio a mezzo della Forza Pubblica): licenze, iscrizioni in appositi registri, approvazioni, trasferiti in parte agli Enti Locali giusta art. 19 del D.P.R. 24.07.77, n° 616. 

► Gli «Ordini di polizia» sono provvedimenti, emanati nell’ambito delle potestà di polizia, mediante i quali l’Autorità Marittima limita la sfera di libertà del singolo imponendogli un preciso dovere di condotta attraverso un comando o tramite un decreto (rispettivamente se trattasi di obblighi di facere (comandi) (vedi ad es. art. 192 C.d.S.) o di non facere (divieti) (vedi art. 212 C.d.S., e Cod. nav. artt. 50, 52, 65, comma 1, 66, 68, 77, casi specifici sono l’ordine di rimozione ex art. 73 e quello di cui all’art. 81).

  • Ad esempio,  il T.U.L.P.S. prevede l’ordine di cessazione di una attività illecita (art. 17 ter – art. 9 L. 135/2000) ovvero di sospensione dell’attività medesima; l'art. 14 comma 5° bis D. lgs. 286/1998, prevede che il Questore possa ordinare allo straniero di lasciare entro 5 giorni il territorio nazionale ; e ancora, l'art. 122 C.d.S. obbliga la sospensione di una determinata attività da parte dall’agente accertatore a seguito di violazioni al Codice della Strada.

La particolarità di detti atti amministrativi consiste nel fatto che gli stessi sono rivolti a destinatari già individuati, o comunque preventivamente determinabili in base a circostanze di fatto.

  • Ad esempio, “chiunque abbia effettuato il parcheggio di veicoli lungo la Banchina Sud......” – “tutte le unità che navighino al traverso di.…chiunque abbia effettuato l’ormeggio nella banchina di................…”

Ciò necessariamente comporta l’onere della notifica degli stessi, sia pure senza particolari forme ad substantiam come invece richiesto per altri atti o provvedimenti amministrativi; deve comunque essere impartito in forma scritta, deve essere adeguatamente motivato, deve comprendere il relativo termine di esecuzione dello stesso, e deve infine specificare le sanzioni previste a carico del soggetto inadempiente, fatte salve le situazioni di urgenza connesse con esigenze di sicurezza portuale e della navigazione (art. 63 Cod. nav. in materia di manovre di emergenza).
 
Costituiscono “Ordini di Polizia”, ad esempio:

  1. l’art. 63 Cod. nav. (Ordine di ormeggio e di altre manovre) ;
  2. l’art. 64 Cod. nav. (Ordine di rimozione materiali depositati in aree portuali) ;
  3. l’art. 70 Cod. nav. (Ordine alle navi di prestare soccorso) ;
  4. l’art. 73 Cod. nav. (Ordine di rimozione dei relitti).

Le sanzioni, corrispondenti all’art. 650 c.p., possono trovarsi negli art. 1164, 1174, 1231 Cod. nav., e nella parte sanzionatoria del Codice della Strada.

Una specie particolare di Ordini sono le «Segnalazioni»: trattasi di ordini impartiti anche in forma orale dall’Agente, concretizzandosi quindi in un atto amministrativo posto in essere mediante segnali.

  • Ad esempio, l'ordine di accostare l’unità ex art. 201 e 1211 (c.d. ”inchiesta di bandiera”); l'ordine di sciogliere l’assemblea o la manifestazione (art. 22 T.U.L.P.S.); l'ordine di arrestare la marcia del veicolo all’intimazione degli agenti (art. 192 C.d.S.); ordine di rispettare i segnali degli agenti del traffico (art. 43 C.d.S.); l'ordine di sospendere una determinata attività (art. 212 C.d.S.); e infine, l'ordine di arrestarsi – a mezzo segnali luminosi - alle navi sospette sorprese in zona di vigilanza doganale (art. 6 L. 04.03.58, n° 100).

 

Attività di polizia marittima esercitata in corso di navigazione

L’attività di "polizia marittima" in corso di navigazione è disciplinata dal Capo III del Codice della Navigazione, e segnatamente dagli artt. 200 (Polizia esercitata dalle Navi da Guerra); 201 (Inchiesta di Bandiera) e 202 (Cattura di nave sospetta di tratta di schiavi).
A tali tradizionali disposizioni, dettate dal Codice del 1942, se ne aggiungono altre più recenti e più specifiche, connesse alla repressione di particolari e specifiche tipologie di illecito, quali il T.U. sugli «stupefacenti» (D.P.R. 309/90) ed il T.U. sulla «immigrazione clandestina» (D.lgs. 286/98).

Dette attività di polizia marittima, ognuna delle quali disciplinata da specifica norma, coinvolgono quindi direttamente anche le Unità del Corpo delle Capitanerie di porto qualora impegnate in specifiche attività ed azioni di polizia esercitate in "alto mare", quali:

  1. Art. 201 del Cod. nav. ”Inchiesta di Bandiera”: attività di polizia in alto mare esercitata nei confronti delle navi mercantili nazionali, che debbono fermarsi all’intimazione della nave da guerra o in servizio di polizia (vedasi anche Convenzione di Montego Bay – art.111);[1]
  2. Art. 6 della Legge 04.03.58, n° 100 “ Uso delle armi da parte di militari e P.G. in servizio di frontiera”: consente l’uso delle armi contro navi mercantili nella zona di vigilanza demaniale marittima qualora i Comandanti non ottemperino all’intimazione di fermo, impartita con segnalazioni luminose e con esplosione di almeno 3 colpi in aria;
  3. Artt. 9 bis, 9 ter e 9 quater del D.Lgs. 25.07.98, n° 286 (T.U. Immigrazione): consentono alle navi italiane in servizio di Polizia ed alle unità della M.M. di fermare, ispezionare e quindi sequestrare conducendole in porto le navi sospette di coinvolgimento in immigrazione clandestina trovate nel mare territoriale o nella zona contigua;
  4. Artt. 1-10 del D.M. 14.07.03 “Contrasto all’immigrazione clandestina” : consente alle Unità della Guardia Costiera di effettuare in acque internazionali (art. 7) “Inchiesta di Bandiera” ed esercitare “Diritto di vista” sulle unità sospettate di trasportare immigranti clandestini. In particolare l’art. 6 comma 1, prevede che dette unità effettuino attività di sorveglianza e controllo a fini preventivi, procedendo in caso di emergenza a compiti di soccorso e contestualmente anche ai relativi atti di polizia giudiziaria
  5. Art. 99 del D.P.R. 09.10.90, n° 309 (T.U. Stupefacenti), art. 25 comma 1° della Legge  26.06.90, n° 162 e art. 84 quater della Legge n. 685/75: consente alla nave da guerra o in servizio di polizia di fermare, sottoporre a visita, perquisire e quindi catturare e condurre in porto la nave nazionale, anche da diporto, trovata in acque territoriali o in alto mare sospettata di essere adibita al trasporto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
  6.  

 

 


[1] Vedasi anche L. 979/81 – Corte Appello Palermo n° 274 del 25.01.07 – Cass. Pen. – Sez. III^ - Sent. n° 31403 del 21.09.06 e n°12326 del 13.12.88

 

Immigrazione clandestina

Ponte tra l'Europa e il sud del Mediterraneo, il nostro Paese è spesso una tappa obbligata per coloro che desiderano emigrare nell'Occidente più ricco e sviluppato, alla ricerca di migliori condizioni di vita.
Ma l'Italia non è solo terra d'
immigrazione. Essa ha conosciuto anche un lungo passato di emigrazione. Secondo i dati del ministero degli Affari Esteri, nell'arco di circa cento anni, dal 1876 al 1986, oltre 26 milioni di italiani hanno lasciato la propria terra per recarsi in altri Paesi. Due i momenti storici interessati in modo particolare all'esodo: l'epoca post-unitaria e il secondo dopoguerra.
I primi grandi flussi migratori si sono verificati infatti tra il 1875 e il 1900, ed hanno interessato inizialmente il Piemonte, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, e solo in un secondo momento anche le regioni del meridione, Sicilia e Campania prime fra tutte. Tra le destinazioni principali le terre d'America e alcuni paesi europei e, solo in misura minore, anche l'Australia e l'Africa.
In seguito all'avvento della prima guerra mondiale, l'esodo di migranti italiani ha subito una fase di arresto ed è ripreso in modo significativo solo al termine della seconda guerra mondiale, diretto soprattutto verso l'Argentina, il Canada e il Venezuela.
Fra la metà degli anni cinquanta e gli anni settanta, il flusso è cresciuto notevolmente grazie ad accordi bilaterali tra il nostro Governo e alcuni Stati europei ed extraeuropei, e il numero di chi ha deciso di lasciare il nostro Paese arriva, tra il 1945 e il 1965, a quasi 6 milioni.
In questa fase, gli italiani che emigrano sono prevalentemente di origine meridionale e sono diretti soprattutto verso Paesi europei come il Belgio, la Svizzera o la Germania, che conoscono uno sviluppo più rapido del nostro e presentano una maggior offerta lavorativa nell'industria pesante, nelle miniere e nel settore edilizio.
Negli stessi anni, in seguito al boom economico, crescono anche le migrazioni interne di chi dalle regioni del Sud raggiunge le aree più industrializzate del Nord. Tra il 1951 e il 1974, sono più di 4 milioni i meridionali che emigrano verso il centro e il nord d'Italia, e di questi la maggioranza si stabilisce nel cosiddetto triangolo industriale: Torino, Milano, Genova.
Sul finire degli anni settanta lo scenario muta ancora, e da paese di emigranti l'Italia diventa "terra d'immigrazione". Verso le sue frontiere e le sue coste cominciano a dirigersi migliaia di persone provenienti prima dai Balcani, poi dal Sud del Mediterraneo e infine dall'Europa orientale. In questo periodo, l'immigrazione straniera si affianca all'emigrazione italiana, cominciando a catturare l'attenzione dell'opinione pubblica.
Nel corso degli anni settanta e ottanta, i flussi in ingresso nel Paese sono ancora di entità modesta. Si tratta in prevalenza di donne che dall'America Latina, dalle Filippine e dai paesi del Corno d'Africa vengono in Italia per lavorare come domestiche, e di braccianti, per la maggior parte provenienti dalla Tunisia, che lavorano stagionalmente in Sicilia.
Solo all'inizio degli anni novanta i flussi divengono più intensi e si trasformano in vere e proprie "ondate" migratorie. Mete principali sono soprattutto le coste delle regioni meridionali. Inizialmente è l'Albania il principale paese di origine del flusso migratorio, che si riversa sulle coste pugliesi attraverso il canale di Otranto. Ad esso, si affiancherà presto l'esodo dei profughi dall'ex Jugoslavia, che giungono in Italia attraverso i confini di terra a loro più vicini.
Successivamente, altri flussi più intensi provenienti dall'Africa mediterranea e sub-sahariana, diretti verso le coste siciliane, sostituiranno le migrazioni dalla regione balcanica. Ma queste non cesseranno mai del tutto e riprenderanno con forte intensità nel 1997, in coincidenza col dissesto economico e finanziario dell'Albania, e nel 1999 in occasione della guerra in Kosovo.
L'accresciuta collaborazione con l'Italia da parte delle Autorità di alcuni paesi di origine e di transito dei flussi migratori (in particolare Sri Lanka, Albania, Turchia ed Egitto), ha drasticamente ridimensionato il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare. Sono stati azzerati i flussi provenienti dall’Albania e dalla Turchia, diretti rispettivamente in Puglia e Calabria, ed il fenomeno interessa ormai unicamente Lampedusa e le coste siciliane.
Negli ultimi venti anni, la legislazione italiana ha cercato più volte di regolamentare il fenomeno dell'immigrazione e di affrontare le problematiche ad esso connesse.
Sono state così approvate diverse "leggi in materia", ma solo recentemente questo corpo di norme è stato armonizzato attraverso un testo che riordina tutta la normativa precedente, il "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", poi modificato dalla "
Legge 30 luglio 2002, n. 189 [72]", meglio nota come legge Bossi-Fini.

 

 

 

Evoluzione della normativa in materia di contrasto all'immigrazione clandestina

Normativa italiana

Negli ultimi venti anni, la "legislazione italiana" ha cercato più volte di regolamentare il fenomeno dell'immigrazione e di affrontare le problematiche ad esso connesse. Sono state così approvate diverse leggi in materia, ma solo recentemente questo corpo di norme è stato armonizzato attraverso un testo che riordina tutta la normativa precedente, il "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", poi modificato dalla "Legge 30 luglio 2002, n. 189 [72]", meglio nota come legge «Bossi-Fini».
A partire dagli anni settanta è iniziata una graduale trasformazione del nostro Paese da terra di emigrazione a terra di immigrazione, verso cui si dirigono flussi sempre più intensi di immigrati. La legislazione italiana ha cercato di fronteggiare questo fenomeno, mettendo a punto una serie di interventi normativi che sono stati raccolti e riordinati solo con l'approvazione del "
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 [60]" (Testo Unico sull'Immigrazione). Obiettivo comune è sempre stato quello di governare le emergenze poste dai flussi migratori, garantendo al tempo stesso adeguate condizioni di vita al cittadino straniero che risiede nel nostro Paese, favorendone l'integrazione e l'inserimento socio-culturale.
I primi interventi in materia d'immigrazione risalgono agli anni ottanta, quando viene approvata la "Legge n. 943 del 1986", che disciplina le condizioni di lavoro dei cittadini stranieri, introducendo le prime forme di tutela e avviando la prima procedura di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari. Negli stessi anni, aspetti come il soggiorno e le espulsioni sono ancora regolati dal Regio Decreto n. 733 del 1931, relativo alle norme di pubblica sicurezza. Solo a partire dagli anni novanta, di fronte all'intensificarsi del fenomeno migratorio, si cerca di dare maggiore organicità alle norme sull'immigrazione e si adottano misure più incisive.

A questo proposito, due sono le leggi che hanno caratterizzato la normativa sull'immigrazione nel corso degli anni novanta:

  1. la "Legge 28 febbraio 1990, n. 39 [73]" (Legge Martelli). Si tratta del primo intervento che ha disciplinato in maniera organica la materia dell'immigrazione, introducendo disposizioni relative a ingresso, soggiorno, espulsione e diritto d'asilo. Tale legge converte il precedente Decreto n. 416 del 30 dicembre 1989 e tenta di fare fronte all'emergenza migratoria, affrontandola principalmente come una questione di ordine pubblico. In particolare, la legge introduce per la prima volta lo strumento della programmazione dei flussi di immigrati, con cui si disciplina l'accesso di coloro che intendono risiedere e lavorare nel nostro Paese. Sulla base di queste disposizioni, ancora oggi vengono fissate, per mezzo di decreti annuali, quote d'ingresso che stabiliscono il numero massimo di lavoratori ammessi sul territorio italiano, allo scopo di fare fronte alle esigenze dell'economia nazionale e di favorire l'incontro tra domanda e offerta sul mercato del lavoro.
  2. Dopo l'emanazione di una serie di decreti (Decreto Legge 18 novembre 1995, n. 489) che integrano o modificano la legge Martelli per fronteggiare i crescenti sbarchi clandestini nel nostro Paese, viene approvata la "Legge 6 marzo 1998, n. 40 [74]" (Legge Turco-Napolitano), che riorganizza la disciplina dell'immigrazione e supera la logica di emergenzialità che aveva influenzato la normativa precedente. La legge, oltre a regolamentare ingresso, soggiorno ed espulsione, specifica quali sono diritti e doveri dello straniero e prevede l'introduzione di una carta di soggiorno di durata illimitata. In seguito all'esigenza di armonizzare le varie norme sull'immigrazione, nello stesso anno la Legge n. 40 viene fatta confluire nel Decreto legislativo 286/98.

Successivamente all'approvazione del Testo Unico sull'Immigrazione, altri dispositivi di legge sono stati adottati in materia. Alcuni di essi hanno semplicemente dato attuazione alle disposizioni contenute nella Legge Bossi-Fini.
Nel settembre del 2002, è entrato in vigore il "Decreto Legge n. 195", poi convertito nella "Legge n. 222 dell'ottobre 2002", che reca "Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari". Questo provvedimento, nato con l'intento di accompagnare la Legge 189 con norme finalizzate all'emersione del lavoro nero, ha consentito di regolarizzare la posizione di tutti i cittadini stranieri che hanno dichiarato, congiuntamente ai datori di lavoro, la loro condizione di occupati irregolari. La procedura prevista non è stata rivolta alla generalità degli immigrati, ma solo ai lavoratori appartenenti alle categorie dei subordinati e dei collaboratori domestici.

Per fronteggiare il «fenomeno dell'immigrazione via mare», è stato emanato il " Decreto 14 luglio 2003 [75]", in cui viene configurata, con precisione, l’attività coordinamento, di vigilanza, prevenzione e contrasto via mare a tale fenomeno da parte dei mezzi aeronavali della Marina militare, delle Forze di Polizia e delle Capitanerie di Porto.
Per quanto riguarda l'anno 2004, sono stati emanati dal Governo i decreti relativi alla programmazione annuale dei flussi di stranieri, che secondo le disposizioni del Testo Unico stabiliscono il numero massimo di ingressi ammessi sul territorio italiano entro il 30 novembre di ogni anno.
Infine, il Dipartimento per la Pubblica Sicurezza del ministero dell'Interno ha emanato una "circolare" rivolta a tutte le Questure e alla Polizia di Frontiera, relativa alle procedure di espatrio per chi è in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno. La circolare prevede che nel periodo compreso fra il 1° luglio e il 30 settembre, i cittadini extracomunitari possano lasciare il territorio nazionale, purché attraversino lo stesso valico di frontiera sia all'uscita che al rientro e non transitino per altri Paesi dell'area Schengen. Dovranno inoltre esibire la copia del permesso di soggiorno, la ricevuta della presentazione dell'istanza di rinnovo e un documento di viaggio valido.
Il 10 febbraio 2005 è stato pubblicato il nuovo "Regolamento di attuazione della Legge Bossi–Fini". Si tratta di un Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334) che reca modifiche e integrazioni al Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, in materia d’immigrazione.
In ultimo, la "
Legge 15 luglio 2009, n. 94 [76]" recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, ha destinato un significativo numero di norme al fenomeno dell’immigrazione, modificando il D.lgs. 286/2009 e introducendo, tra l'altro, nuove ipotesi di reato (si pensi, tra tutte, a quella di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, di cui all’art. 10 bis del T.U.) e prevedendo pene più severe per molte disposizioni penali già esistenti.

 

In Europa

In campo europeo, nel 2005, l’Italia ha anche recepito la "Direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 [77]" recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Il Decreto legislativo di attuazione della direttiva – Decreto Legislativo 30 maggio 2005, n. 140 [78] - ha lo scopo di stabilire le norme sull'accoglienza degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato nel territorio nazionale, in linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati, in particolare la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.
Il 9 novembre 2007, invece, il Governo italiano ha emanato i decreti legislativi di recepimento della "
Direttiva 2004/83/CE [79]" recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale (c.d. "direttiva qualifiche"), nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta e della "
Direttiva 2005/85/CE Del Consiglio" [80] recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (c.d. "direttiva procedure"). I due decreti modificano in maniera sostanziale le normative sull’asilo, abolendo, ad esempio, il trattenimento dei richiedenti asilo ed introducendo l’effetto sospensivo del ricorso contro il diniego della domanda d’asilo e la possibilità, anche per coloro cui è stata concessa una protezione umanitaria, di ottenere il ricongiungimento familiare.

 

 

Legge n. 943 del 1986

Con la Legge 30 dicembre 1986 (Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine) viene disciplinato il "fenomeno dell’immigrazione straniera", anche in attuazione della convenzione internazionale dell’Organizzazione internazionale del lavoro del 24 giugno 1975, n. 143, ratificata con la legge 10 aprile 1981, n. 158.
La Legge n. 943/1986 contiene, quanto meno a livello di enunciazione di principio, i fondamentali elementi di garanzia per i lavoratori extracomunitari: all’articolo 1 si legge, infatti, che la Repubblica italiana garantisce i diritti relativi all’uso dei servizi sociali e sanitari, al mantenimento dell’identità culturale, alla scuola e alla disponibilità dell’abitazione, vengono istituite apposite commissioni presso il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale e presso il Ministero degli Affari Esteri sia per quanto attiene le possibilità occupazionali che per quanto attiene ai flussi migratori. L’articolo 4 poi già prevede il diritto al ricongiungimento con il coniuge e i figli minori.
Peraltro, la disciplina, contenuta nel Titolo II della legge riguardante la programmazione dell’occupazione dei lavoratori subordinati extracomunitari, non appare concretamente volta a controllare i flussi migratori in stretta correlazione con le possibilità occupazionali. Infatti tale controllo è rimesso alla disciplina delle procedure per l’accesso all’occupazione: si prevede che l’ingresso in Italia per motivi di lavoro di extracomunitari è ammesso solo se lo straniero sia in possesso del "visto" rilasciato dall’Autorità consolare sulla base dell’autorizzazione al lavoro concessa dal competente ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione.
Come si vede il complesso normativo non prevede una vera e propria programmazione, bensì disciplina gli accessi, caso per caso, in relazione alle disponibilità occupazionali di volta in volta manifestatesi; le quali tra l’altro, sono subordinate al previo accertamento di indisponibilità di lavoratori italiani e comunitari aventi qualifiche professionali per le quali è stata richiesta l’autorizzazione.
La normativa del 1986 è piena di buoni propositi per garantire al lavoratore extracomunitario una piena parità di trattamento con quello nazionale (escluso evidentemente l’accesso al lavoro), nonché condizioni di vita idonee a un inserimento nella società, prevedendo riconoscimento di titoli professionali, corsi di lingua, programmi culturali, corsi di formazione e inserimento al lavoro).
Non è prevista una disciplina specifica dell’espulsione che viene invece genericamente rimessa ai principi di pubblica sicurezza.
Peraltro, con la Legge 943/1986, s’inaugura la serie delle regolarizzazioni a sanatoria, che esclude ogni forma di punibilità per illeciti pregressi a fronte della positiva volontà degli interessati, sia lavoratori che datori di lavoro, tesa a consentire l’emersione del fenomeno immigratorio clandestino.

 

 

Legge 39/1990

Alla fine degli anni '80 il Governo italiano si rende conto in maniera più precisa dell’entità del fenomeno immigratorio, e cerca di dettare una disciplina più ampia della precedente, nel tentativo di ricomprendere in un corpus unitario la regolamentazione del fenomeno immigratorio extracomunitario.
La nota Legge 28 febbraio 1990, n. 39, cd. Martelli, si presenta formalmente come provvedimento in materia di rifugiati e profughi, argomento principale del testo di legge disciplinando sia il riconoscimento dello "status di rifugiato" che "l’ingresso" in Italia di cittadini extracomunitari per qualsiasi ragione, non limitatamente cioè ai motivi occupazionali: è previsto che detti cittadini possono entrare in Italia per motivi di turismo, studio, lavoro subordinato o autonomo, cura, familiari e di culto.
Il tentativo di un’effettiva programmazione dei flussi migratori per ragioni di lavoro si fa più serio – almeno nella disciplina legislativa – prevedendosi allo scopo decreti interministeriali a cadenza annuale che tengano conto sia dell’economia nazionale, che delle concrete disponibilità finanziarie e delle strutture amministrative volte ad assicurare adeguata accoglienza, che delle richieste di soggiorno per lavoro di cittadini extracomunitari già presenti sul territorio nazionale per altri motivi, e di quelli già iscritti nelle liste di collocamento.
La legge Martelli prevede due tipi di “filtro” per l’accesso in Italia di extracomunitari: il primo direttamente alla "frontiera", ove andrà valutata la regolarità dei documenti e l’insussistenza di cause ostative. Il secondo presso la "Questura" del luogo di dimora, ove l’Autorità valuterà se rilasciare il "permesso di soggiorno", in relazione ai motivi dell’ingresso in Italia, stabilendone anche la durata (ove non espressamente prevista dalla legge).
La legge 39/1990 comunque appare particolarmente significativa per avere introdotto nell’ordinamento la specifica procedura dell’espulsione del cittadino extracomunitario, disciplinando con una certa precisione le varie ipotesi e rimedi giurisdizionali; invero norme sul soggiorno e sull’espulsione degli stranieri erano già previste nella legislazione italiana (articoli 142 e seguenti del testo unico delle norme di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 e relative disposizioni di attuazione). Si trattava, tuttavia, di disciplina a carattere generale e non molto puntuale, abrogata dalla legge Martelli (articolo 13) anche a motivo del fatto che essa non poteva comunque più valere per i cittadini comunitari.
Nemmeno la legge 39/1990 è poi sfuggita alla logica della “sanatoria”, alla quale anzi è stato conferito particolare rilievo e interesse, disponendo modalità tese ad assicurare la più ampia diffusione per la conoscenza dei sistemi di regolarizzazione previsti dalla legge stessa.
Per quanto riguarda la lotta all’immigrazione clandestina, la legge Martelli introduce per la prima volta pene detentive e pecuniarie, aggravate dalla circostanza del concorso per delinquere. Pene lievi, se si considerano quelle attualmente in vigore: la reclusione fino a due anni o una multa fino a 516 €, aumentati a sei anni più una multa da 5.164 a 25.822 € in caso di concorso o lucro.
La legge Martelli fissa inoltre i parametri iniziali del meccanismo generalizzato dell’espulsione quale mezzo di controllo degli immigrati socialmente pericolosi o clandestini, mediante provvedimento del Prefetto disposto con decreto motivato. Esso si sostanzia nella intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni, con l’accompagnamento alla frontiera solo in caso di violazione. La permanenza dello straniero sul territorio italiano viene subordinata al rilascio di un "permesso di soggiorno" da parte della Questura o del Commissariato di Pubblica sicurezza territorialmente competente, che indica il motivo della permanenza, dal quale dipende la durata del permesso, che va da un minimo di tre mesi a un massimo di due anni.
In materia di lavoro, la legge Martelli sembra più tesa a sanare la situazione pregressa che non a tracciare un quadro organico per il futuro, sostanziandosi con una moratoria atta a sanare le irregolarità a cui erano spesso sottoposti i lavoratori stranieri, per necessità più inclini a lavorare "in nero" e a salari più bassi.
Nonostante il poco respiro della normativa nel suo complesso, la legge Martelli ha comunque impostato la lenta e iniziale stabilizzazione dei migranti, attraverso i primi interventi volti all’integrazione e alla partecipazione alla vita pubblica.
Il rapido evolversi del fenomeno, conseguenza del mutamento degli assetti internazionali, ha tuttavia evidenziato nel giro di pochi anni l’inadeguatezza del testo in vigore, inducendo il parlamento all’emanazione di una normativa più esaustiva, la Legge 40/1998 c.d. Turco-Napolitano, confluita successivamente nel Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero (D.L. 286/1998). È questo l’assetto su cui l’intervento legislativo più recente, la Legge 189/2002 c.d. Bossi-Fini, è andato a incidere, in senso vessatorio e punitivo.
Nonostante la Bossi-Fini costituisca formalmente solo una modifica al Testo unico, che riprendeva l’impianto della Turco-Napolitano, essa vi introduce significative modifiche, da un lato rendendo più difficoltoso l’ingresso e il soggiorno regolare dello straniero e agevolandone l’allontanamento, dall’altro riformando in senso restrittivo la disciplina dell’asilo. Il meccanismo fondamentale di controllo dell’immigrazione rimane la politica dei flussi, quantificata annualmente dal governo mediante un decreto che fissa il numero di stranieri che possono fare ingresso in Italia per motivi di lavoro. Chiaro l’intento, peraltro ereditato dalla normativa precedente, di controllare il fenomeno attraverso la limitazione numerica degli ingressi imposta dall’autorità.

 

Decreto Legge 18 novembre 1995, n. 489

A cadenza quinquennale, quasi regolare, interviene il Decreto legge 18 novembre 1995, n. 489 (Disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei paesi non appartenenti all'unione europea)  che tenta di riconsiderare la materia alla luce delle esperienze maturate, ma che s’innesta sul corpus più completo della legge Martelli, disciplinando aspetti specifici.
In primo luogo i "flussi d’ingresso" per lavori stagionali, che si è dimostrato fenomeno di rilevantissima portata, con la conseguenza però di una stabilizzazione a tempo indeterminato del cittadino extracomunitario sul territorio italiano; alcune particolari fattispecie in materia di ingresso e di soggiorno; e quindi con intervento di più ampia portata, una nuova regolamentazione delle "espulsioni".
Non poteva peraltro mancare una normativa sulle regolamentazioni, che contiene interessanti spunti per quanto attiene alle ipotesi di "ricongiungimento" ai familiari.
Come si può rilevare dall’excursus normativo delineato sin qui, la materia dell’immigrazione presenta molteplici aspetti, che riguardano istituti giuridici appartenenti a diverse discipline: così principalmente quelli prettamente giuslavoristici, relativi all’avviamento al lavoro e alla previdenza e assistenza; quelli penalistici, riguardanti le varie ipotesi di reato che rendono obbligatoria l’espulsione dal territorio nazionale, nonché l’attività di intermediazione di clandestini tale da configurare un loro sfruttamento; e anche aspetti rientranti nella disciplina del diritto amministrativo, per quanto riguarda i permessi di soggiorno, le espulsioni e i riconoscimenti dello status di rifugiato.
E anzi, può dirsi che sotto il profilo della tutela giurisdizionale, il giudice amministrativo risultato progressivamente nel tempo, quello maggiormente investito dalla problematica degli extracomunitari, sia verosimilmente come volume di contenzioso, che comunque come rilevanza delle questioni, avendo con la legge Martelli in particolare, assunto una competenza generale sui provvedimenti di espulsione, che configurano senz’altro il problema più importante per il cittadino non appartenente all’unione europea e residente nello Stato italiano.
Peraltro, sotto tale specifico motivo, il decreto legge rappresenta una certa inversione di tendenza, giacché introduce diverse ipotesi di espulsione di competenza del giudice penale, con conseguente incardinamento del possibile contenzioso nell’ambito della giurisdizione penale; contenzioso che, in relazione alle ipotesi previste di espulsione come misura di sicurezza, come misura di prevenzione ovvero a richiesta di parte, è destinato probabilmente ad assumere entità e rilevanza sempre più ampie.

 

 

Legge n. 40 del 6 marzo 1998

Con la Legge 6 marzo 1998, n. 40, c.d. Turco-Napolitano (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) poi confluita nel Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico sull’immigrazione) è stato elaborato un provvedimento di più ampia portata rispetto a quelli assunti e sottoposti nel passato al Parlamento per disciplinare l’immigrazione e insieme, anche se non in modo esaustivo, la "condizione dello straniero".
L’esperienza concreta del periodo più recente – la difficile gestazione, prima, e la mancata conversione poi, del decreto legge del novembre 1995, l’intenso confronto parlamentare sul disegno di legge di salvaguardia degli effetti di quel decreto, e insieme, al di là delle vicende legislative, gli sviluppi reali del fenomeno – avevano d’altronde messo in piena evidenza l’insufficienza e la non riproponibilità di provvedimenti parziali e di emergenza e di ricorrenti sanatorie, la necessità di definire ormai un quadro normativo certo, generale e unitario.

  • La Legge 6 marzo 1998, n. 40 si prefigge tre obiettivi:
  1. contrasto dell’immigrazione clandestina e dello sfruttamento criminale dei flussi migratori;
  2. realizzazione di una puntuale politica di ingressi legali limitati, programmati e regolati;
  3. avvio di realistici ma effettivi percorsi di integrazione per i nuovi immigrati legali e per gli stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia.
  • La normativa si articola attorno ai seguenti temi:
  1. modalità di ingresso e dei controlli alle frontiere, disciplina dell’accesso al lavoro, regolamentazione del lavoro autonomo e del lavoro stagionale;
  2. disciplina più efficace del respingimento alle frontiere e delle espulsioni;
  3. norme penali e processuali finalizzate al contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono l’immigrazione clandestina;
  4. garanzie per l’immigrato legale: di poter passare da una condizione di temporaneità ad una maggiore stabilità, mediante la previsione di strumenti nuovi come la carta di soggiorno; di vedere tutelato il diritto a salvaguardare la propria famiglia o a costruirne una nuova; di ottenere il riconoscimento di diritti di cittadinanza quali i diritti alla salute, all’istruzione, ai servizi sociali, alla rappresentanza e al voto amministrativo.
  • Le soluzioni che sono state adottate comportano:
  1. un’ampia iniziativa sul piano internazionale, per la definizione e lo sviluppo di un sistema di accordi di cooperazione e di specifica collaborazione in materia di immigrazione con i paesi di maggior provenienza del flusso migratorio;
  2. un impegno sistematico di adeguamento delle strutture amministrative ai compiti loro affidati dalla nuova legge, e di stretta concertazione interministeriale;
  3. la più ampia collaborazione con gli enti locali e con le Regioni, cui spetta un ruolo determinante specie per la realizzazione di una politica dell’accoglienza, dell’integrazione, dei diritti.
  • La legge è suddivisa in sette titoli:

Nel titolo I sono previste le disposizioni generali e di principio che definiscono l’ambito di applicazione della legge (art. 1), il trattamento dello straniero (art. 2), nonché uno strumento di programmazione dei flussi, alla base del sistema di governo del fenomeno dell’immigrazione che si propone (art. 3).
Quanto all’articolo 1, si segnala oltre alla definizione dei destinatari della legge, il richiamo alle norme comunitarie e internazionali più favorevoli agli stranieri comunque vigenti nel territorio dello stato e la qualificazione delle norme della legge, come principi fondamentali, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, al fine di indirizzare l’esercizio delle competenze legislative regionali.
Relativamente all’articolo 2, va precisato che i diritti fondamentali della persona umana sono riconosciuti indiscriminatamente, nel territorio dello stato, compresa la linea di frontiera, a tutti gli stranieri, indipendentemente dalla regolarità o meno dell’ingresso o del soggiorno.
Non c’è dubbio che fra i diritti fondamentali vanno considerati quelli relativi alla garanzia giurisdizionale in ordine ai provvedimenti che concernono i destinatari della presente legge.
E’ invece agli stranieri regolarmente soggiornanti che si assicura pienezza di diritti in materia civile nell’ambito della disciplina della legge e delle convenzioni internazionali, fino a configurare uno status particolare, comprendente la facoltà di partecipare alla vita pubblica a livello locale, per gli stranieri in possesso della “carta di soggiorno” disciplinata dall’articolo 7.
L’articolo 3 realizza un nuovo strumento di governo del fenomeno migratorio, costituito da un documento programmatico triennale per la politica dell’immigrazione, che il Presidente del Consiglio sottopone all’approvazione del Consiglio dei Ministri e presenta al Parlamento, e da uno o più decreti che definiscono annualmente, o per il più breve periodo relativo al lavoro stagionale, le quote degli immigrati per i quali è ammesso l'ingresso.
Il documento programmatico indica inoltre le azioni e gli interventi che lo Stato italiano si propone di attuare anche in cooperazione con altri paesi europei, con le organizzazioni internazionali, con le istituzioni comunitarie, e con le organizzazioni non governative.
Si prevede inoltre un ruolo attivo delle regioni, delle province e dei comuni e di altri enti locali, che concorrono alle iniziative volte a favorire l’integrazione e l’inserimento degli stranieri nel tessuto sociale. A tal fine sono stati istituiti, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l’immigrazione, i Consigli territoriali per l’immigrazione, in cui sono principalmente rappresentati gli Enti locali, per il coordinamento e la promozione degli interventi da attuare a livello locale.

Il titolo II concerne l’ingresso, il soggiorno, il respingimento e le espulsioni.
Oltre alle norme sui visti (art. 4) e sugli ordinari controlli alla frontiera, sono precisate le modalità del rilascio del permesso di soggiorno (art. 5) con riferimento ai diversi motivi dell’ingresso e del soggiorno nel territorio dello stato (affari, turismo, lavoro stagionale, visite, studio e formazione, lavoro autonomo, lavoro subordinato, motivi familiari, ecc.). A questo proposito, il comma 1 dell’articolo 6 disciplina la facoltà di “conversione“ del titolo di soggiorno anche per gli studenti, riportandolo nell’ambito di quelle quote che costituiscono uno degli strumenti più innovativi e rilevanti della legge. Le altre disposizioni dell’articolo 6 riprendono, invece, la disciplina tradizionale dei controlli in materia di soggiorno.
E’ di rilievo, come si è detto, l’articolo 7 che disciplina il rilascio della “carta di soggiorno”, un titolo permanente, ancorché il documento comprovante possa avere durata periodica come gli altri documenti abilitativi e di riconoscimento, di cui potrà fruire lo straniero regolarmente soggiornante in Italia da almeno sei anni, purché immune da pregiudizi penali di rilievo o da provvedimenti di prevenzione di maggiore gravità. La “carta di soggiorno” consentirà allo straniero lo svolgimento di ogni attività lecita (con eccezione di quelle riservate al cittadino italiano), l’accesso ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione e il diritto di elettorato attivo e passivo nelle lezioni comunali e circoscrizionali, secondo la particolare disciplina dell’articolo 38. La carta di soggiorno costituisce pertanto uno strumento essenziale per consolidare il percorso di cittadinanza prefigurato dalla nuova normativa.
Proprio in considerazione di ciò, la revoca della carta di soggiorno come l’espulsione nei confronti di coloro che ne sono in possesso può avvenire solo per gravi motivi.
Il capo II del Titolo II è integralmente dedicato alla materia del respingimento e delle espulsioni. In questa parte della legge trova espressione l’intento di rendere efficace la disciplina delle espulsioni prevedendosi, al contempo, la massima garanzia di controllo giurisdizionale.
L’articolo 8 prevede, in particolare, l’adozione del respingimento, oltre che sulla linea di frontiera, anche nei confronti di chi sia colto subito dopo l’ingresso in Italia in luoghi diversi dai valichi autorizzati e di coloro che siano ammessi nel territorio per interventi di pronto soccorso e assistenza. In tale eventualità trova applicazione il successivo articolo 12 concernente i centri di permanenza e di assistenza
Per quanto l’articolo 8 non ne faccia menzione, la ricorribilità dei provvedimenti di respingimento è assicurata dalla disciplina generale in materia di provvedimenti amministrativi, mentre il trattenimento nei centri è disciplinato nel ricordato articolo 12.
Gli articoli 9 e 10 intendono potenziare l’azione di contrasto delle immigrazioni clandestine, sia attraverso più incisive misure di controllo e di coordinamento, sia attraverso norme sanzionatorie più severe e articolate sul piano penale o amministrativo. Relativamente alla sanzione penale nei confronti di chi favorisce l’immigrazione clandestina e il traffico illecito di mano d’opera, va precisato che la norma (art. 10) non intende colpire in alcun modo l’intervento umanitario nei confronti di chi abbia varcato, sia pure illecitamente la linea di frontiera.
Con l’articolo 11 si disciplinano le espulsioni amministrative, ridotte a due ipotesi: la prima concerne l’espulsione disposta dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato; la seconda è quella disposta dal Prefetto nei confronti del clandestino che è entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera, ovvero nei confronti dell’irregolare che non abbia ottemperato agli obblighi previsti per il rinnovo del permesso di soggiorno, ovvero ancora nei confronti degli stranieri pericolosi per la sicurezza pubblica, secondo i tradizionali parametri stabiliti dalle norme vigenti per l’applicazione di una misura di prevenzione.
Anche in ottemperanza al Protocollo 7 aggiuntivo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 9 Aprile 1990, n° 98), l’espulsione è eseguita con accompagnamento immediato alla frontiera in casi limitati (espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale, espulsioni già disposte e rimaste indebitamente ineseguite, una volta esauriti i rimedi giurisdizionali), ovvero quando ricorrono circostanze obbiettive che fanno ritenere concreto il pericolo che l’interessato si sottragga al provvedimento.
Negli altri casi, l’espulsione è adottata mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni.
Nelle ipotesi in cui lo straniero clandestino sia colto in fragranza di reato, si prevedono opportune forme di raccordo per assicurare sia l’effettività dell’espulsione, sia la garanzia del diritto di difesa dell’imputato, che può chiedere l’autorizzazione al rientro nel territorio dello stato al fine di partecipare al processo penale a suo carico.
In tutti i casi è assicurata la possibilità di ricorrere al giudice, con diritto al patrocinio gratuito dei non abbienti.
Trattandosi di misure amministrative, di per sé estranee al fatto reato si è ritenuto di attribuire la competenza al Tribunale civile, con un procedimento rapidissimo, destinato ad esaurirsi in quindici giorni, salvo ulteriore ricorso per Cassazione e senza escludere eventuali provvedimenti cautelari (la cosiddetta “sospensiva”).
La scelta a favore del giudice ordinario civile, quale autorità giurisdizionale competente a decidere sul ricorso contro l’espulsione, oltre che della legittimità della misura di cui all’articolo 12, risponde a criteri funzionali e sistematici. Sotto il primo profilo si osserva che solo il giudice ordinario, per struttura ed organizzazione diffuse sul territorio appare in grado di operare entro i termini brevi previsti dalla legge (48 ore per la convalida del provvedimento di trattenimento di cui all’art. 12, e 10 giorni per la decisione sul ricorso contro l’espulsione). In secondo luogo si osserva che la rigida ripartizione delle competenze tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in presenza di ricorsi contro provvedimenti della pubblica amministrazione, appare più volte derogata da varie disposizioni (esempio, il ricorso al Tribunale avverso le sanzioni amministrative), e pertanto, la scelta operata a causa delle suddette ragioni funzionali, non trova particolari ostacoli dal punto di vista sistematico.
Solo nel caso di espulsione disposta dal Ministro dell’interno, per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale, si è ritenuto di mantenere la tradizionale competenza del giudice amministrativo, trattandosi di provvedimenti a contenuto altamente discrezionale.
Per quanto specificamente riguarda la misura prevista dall’articolo 12, tendente ad assicurare l’effettività delle espulsioni disposte con accompagnamento alla frontiera e dei respingimenti, si prevede il trattenimento dell’interessato in appositi Centri.
La misura può essere disposta, nei casi tassativamente indicati dalla legge, quando è impossibile procedere con la necessaria immediatezza all’esecuzione dell’espulsione o del respingimento: in particolare, quando sia necessario procedere ad accertamenti supplementari o all’acquisizione di documenti e visti, ovvero quando debba predisporsi un vettore o un mezzo di trasporto non immediatamente disponibile.
I centri di permanenza ed assistenza temporanea a tal fine previsti, gestiti a cura dell’Amministrazione dell’interno, sono comunque estranei al circuito penitenziario, tant’è che è assicurata, oltre all’assistenza, anche la libertà di comunicazione con l’esterno, mentre l’azione di polizia – esterna ai centri – è esclusivamente finalizzata ad impedire eventuali tentativi di elusione della misura.
Nel rispetto del disposto dell’art. 13 della Costituzione, il provvedimento del questore che dispone il trattenimento deve essere trasmesso entro 48 ore al Tribunale e convalidato nelle 48 ore successive, sentito l’interessato. E’ favorita la contemporanea trattazione, nel merito, dell’eventuale ricorso contro il provvedimento di espulsione. La misura del trattenimento può avere durata massima di venti giorni ed è prorogabile per ulteriori dieci giorni qualora sia imminente l’eliminazione dell’impedimento all’espulsione o al respingimento. Trascorso tale termine il provvedimento perde efficacia.
La misura suddetta costituisce una novità per l’ordinamento italiano, ma trova un comune denominatore nella quasi totalità dei paesi europei ed un fondamento autorevolissimo - peraltro sorretto dall’articolo 10, primo e secondo comma, della Costituzione - nell’articolo 5, comma 1 lettera f) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. Tale norma, infatti, contempla la possibilità di misure custodiali provvisorie preordinate all’esecuzione del provvedimento di espulsione.
Con gli articoli 13 e 14, infine, sono disciplinate le espulsioni disposte dall’autorità giudiziaria: sia a titolo di misura di sicurezza – nel caso di rinvio a giudizio o di condanna per uno dei gravi reati previsti dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale – sia nell’ipotesi di sostituzione della misura dell’espulsione alla detenzione, in caso di patteggiamento della pena ovvero di condanna per un reato non colposo punito entro il limite di due anni.
Al capo III sono introdotte per la prima volta, dopo la breve esperienza del decreto legge n. 477 del 13 settembre 1996, norme volte alla tutela delle vittime del traffico di clandestini, in modo particolare per sfruttamento sessuale. Tutti gli stranieri, donne, uomini e minori, che intendono sottrarsi alle condizioni di sfruttamento nelle quali sono costretti a vivere, non incorreranno nell’espulsione, ma potranno usufruire del permesso di soggiorno e partecipare a un programma di assistenza ed integrazione sociale. Si intende con questa norma aiutare le vittime e proteggerle da ritorsioni da parte dei loro sfruttatori, anche valorizzando le loro denunce in un quadro di più forte azione di contrasto alle organizzazioni criminali che sono all’origine di questi fenomeni.
Completano le norme contenute nel capo II le disposizioni a carattere umanitario che vietano l’espulsione nei confronti di particolari soggetti (es. minori, possessori di carta di soggiorno, donne in stato di gravidanza), e quelle che prevedono speciali misure di protezione temporanea (art. 18) per eventi eccezionali quali disastri naturali, conflitti armati e simili situazioni di grave pericolo.

Il titolo III riguarda la disciplina del lavoro che integra ed innova profondamente la legge n° 943 del 1986. Nell’ambito di questo titolo sono definite le modalità di ingresso in Italia per lavoro, sulla base delle quote di ingresso determinate nei decreti di cui all’art. 3, conseguenti al documento programmatico del Governo ivi previsto.
Gli ingressi in Italia per lavoro potranno avvenire dietro chiamata nominativa del datore di lavoro, con il tradizionale sistema della preventiva autorizzazione degli Uffici del lavoro, attraverso liste di prenotazione predisposte nel paese di origine e trasferite in Italia a cura delle autorità diplomatiche e consolari italiane, ovvero attraverso la garanzia di soggetti, individuali o collettivi, operanti in Italia.
L’articolo 21, infatti, prevede, che cittadini italiani o stranieri regolarmente residenti in Italia, enti o associazioni del volontariato, rispondenti ai criteri di idoneità da definirsi con le norme di attuazione, possano nell’ambito delle quote definite a norma dell’articolo 3, prestare idonee garanzie, cui si accompagna l’obbligo di provvedere all’alloggio ed ai mezzi di sostentamento necessari per lo straniero, per consentire a quest’ultimo di fare regolare ingresso in Italia per cercare lavoro, realizzando così la condizione occorrente per un positivo incontro fra domanda e offerta di lavoro. Inoltre viene regolamentato in via generale e permanente l’ingresso per lavori a tempo determinato e stagionale (art. 22), riconoscendo la priorità di reingresso a coloro che avranno fatto rientro nel paese di origine nei termini fissati nel permesso di soggiorno.
Per quanto concerne il lavoro autonomo (art. 24) si prevede che, per l’esercizio delle attività industriali, artigianali e commerciali, lo straniero che intenda stabilirsi in Italia debba fornire adeguate garanzie circa le risorse personali, quelle da impiegare nell’attività prescelta e circa la sua capacità imprenditoriale. E’ comunque necessario un attestato di disponibilità delle autorità amministrative competenti al rilascio delle autorizzazioni o licenze eventualmente necessarie. Nel caso di attività ambulanti competente è il comune.

Il titolo IV disciplina il diritto all’unità familiare e la tutela del minore. La materia dei ricongiungimenti familiari è stata rielaborata sotto la denominazione di “Diritto all’unità familiare e tutela dei minori”, tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 28/95, che ha aperto la strada alla configurazione del ricongiungimento familiare come diritto soggettivo.
Accanto ad alcune norme di principio (art. 26), il diritto a mantenere o a riacquistare le proprie relazioni familiari è tutelato in maniera piena a favore degli stranieri regolarmente soggiornanti per un periodo congruo, per lavoro autonomo, per studio, per motivi familiari, per residenza elettiva, o per asilo umanitario. La regola generale è che qualora la persona straniera soggiornante in Italia chieda l’ingresso dei familiari, questi hanno diritto al rilascio del visto di ingresso e di un permesso di soggiorno di durata equivalente. L’effettivo esercizio del diritto al ricongiungimento familiare è tuttavia condizionato alla disponibilità di un alloggio e di un reddito la cui entità è stabilita in misura crescente in rapporto al numero dei familiari da ricongiungere (art. 27).
E’ di particolare rilievo la norma (art. 27 comma 4 e 5) che prevede anche l’ingresso al seguito dei familiari, purché concorrano tutti i requisiti per il ricongiungimento.
La condizione giuridica del minore straniero è particolarmente tutelata (art. 29); essa segue quella del genitore convivente o la più favorevole fra quella dei genitori conviventi. Il minore è iscritto nel permesso di soggiorno del genitore fino a 14 anni. Successivamente può essergli rilasciato un permesso autonomo fino al compimento della maggiore età.
Particolarmente avanzata, nella tutela dei fanciulli, è la disposizione dell’articolo 29, comma 3, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno, da parte del Tribunale per i minorenni, a favore di un familiare del fanciullo in difficoltà, quando assolutamente necessario per l’integrità psico-fisica del minore.

Il titolo V disciplina gli aspetti più rilevanti nella definizione di una condizione di godimento dei cosiddetti “diritti civili” o “diritti di cittadinanza per lo straniero presente in territorio italiano".
Il capo I, in materia di assistenza sanitaria, prevede l’equiparazione, ai fini assistenziali e contributivi, dei lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti, ai cittadini italiani che si trovano nella medesima condizione. Tuttavia, anche ai non iscritti al servizio sanitario nazionale e agli stranieri in posizione irregolare viene garantito il diritto alle cure urgenti ospedaliere per malattie, infortuni e maternità. Particolare rilevanza è dedicata alla tutela sociale della gravidanza e della maternità (come previsto dalle leggi n. 485/75 e 194/78) e alla tutela della salute del minore, in esecuzione della Convenzione di New York ratificata con legge n. 176/91. Infine sono anche disciplinate le modalità relative al soggiorno e all’ingresso in Italia per cure mediche, per le quali si richiede la dimostrazione di idonea capacità di pagamento delle cure medesime e sono regolamentate le attività professionali sanitarie. Le norme sull’istruzione, contenute nel capo II, prevedono innanzitutto l’estensione dell’obbligo scolastico ai minori stranieri comunque presenti nel territorio nazionale, con il corollario di tutte le disposizioni a garanzia del diritto allo studio. Oltre al coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nell’attivazione di corsi per l’apprendimento della lingua italiana, si introducono disposizioni di principio sull’integrazione nelle scuole, sull’educazione alla multiculturalità e si rinvia al regolamento di attuazione (DPR n. 394/99) sulla realizzazione di progetti specifici a livello nazionale o locale per la realizzazione di corsi di formazione del personale della scuola e per il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati nei paesi di provenienza.
Quanto all’istruzione universitaria si prevedono norme promozionali di attività di orientamento e di accoglienza nonché la possibilità dell’erogazione di borse di studio e di sussidi agli studenti stranieri da parte delle Università, nell’ambito dell’autonomia loro riconosciuta.
Al capo III, in riferimento all’accoglienza e all’accesso all’abitazione si prevedono sia misure disposte dalle regioni, in cooperazione con le associazioni e le organizzazioni di volontariato, ai fini della predisposizione di centri di accoglienza, sia la possibilità per gli stranieri regolarmente soggiornanti di accedere ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, eventualmente ristrutturati con contributi regionali. L’accesso degli stranieri a strutture pubbliche e di alloggio, che non si configura come diritto soggettivo, risponde a una esigenza sociale primaria, anche al fine di prevenire situazioni di emarginazione e di deterioramento del tessuto sociale.
Il capo V introduce nuove disposizioni per l’integrazione economica e sociale degli immigrati, pur nel rispetto delle proprie culture e credo religioso e contro le attività discriminatorie: per quanto riguardale politiche di integrazione, l’art. 39 prevede che lo stato, le regioni, le province e i comuni, in collaborazione con le associazioni di volontariato e con le associazioni degli immigrati, mettano in atto ogni forma di attività volta a ridurre gli ostacoli che lo straniero incontra per una piena integrazione nel tessuto sociale e a preservare contemporaneamente le specificità culturali, linguistiche e religiose di ciascuno.
Al fine di promuovere con la partecipazione dei cittadini stranieri le iniziative idonee oltre le iniziative delle regioni e degli enti locali, si prevede l’istituzione presso il CNEL di un organismo consultivo, aperto alla partecipazione delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato, con la funzione di monitorare l’applicazione della legge, presentare proposte per migliorare la condizione degli stranieri nel nostro Paese, favorire la loro partecipazione alla vita pubblica.
Per quanto riguarda le norme sulle discriminazioni razziali, gli articoli 40 e 41 tendono a definire i comportamenti discriminatori per motivi di razza, colore, ascendenza o origine nazionale od etnica, religione e a prevedere un’azione civile per la loro cessazione e per il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, con sanzioni penali nei confronti di chi elude i provvedimenti del giudice, individuato anche in questo caso dal Tribunale.
E’ prevista infine (art. 42) l’istituzione di un Fondo nazionale per le politiche migratorie destinato al finanziamento di programmi annuali o pluriennali dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali.
Pur se i provvedimenti più incisivi in materia di integrazione sociale degli immigrati sono prevalentemente di competenza delle regioni, delle Province e dei Comuni, l’intervento del Fondo è apparso necessario sia per il supporto finanziario occorrente, sia al fine di garantire omogeneità a livello nazionale degli interventi volti alla realizzazione di condizioni di pari opportunità per gli stranieri presenti sul territorio nazionale.

► Il Fondo può essere utilizzato per:

  1. campagne di informazione sulla legge e sulla sua applicazione, rivolte agli stranieri, ma anche agli operatori pubblici e del volontariato presenti in questo settore;
  2. ormazione di funzionari pubblici di strutture nazionali;
  3. ricerca e monitoraggio sull’applicazione della legge, sulla condizione degli immigrati nella scuola, nel mondo del lavoro;
  4. incentivazione dell’associazionismo e della partecipazione degli immigrati alla vita pubblica;
  5. incentivazione di esperienze di pari opportunità per gli immigrati nella scuola, nel lavoro, nell’accesso ai servizi.;
  6. realizzazione di esperienze di ritorno in patria dell’assistito.

Il titolo VI (art, 43) è rivolto ai cittadini comunitari, con una delega al governo per la definizione unitaria e aggiornata delle disposizioni che li concernono, con particolare riguardo a quelle relative all’ingresso e al soggiorno in Italia e all’eventuale allontanamento.

Il titolo VII, infine, contiene le abrogazioni (art. 44), l’armonizzazione delle disposizioni tuttora vigenti del Testo Unico delle leggi di p.s. e della legge sui lavoratori migranti, nonché la delega per eventuali disposizioni correttive (art. 45) della legge entro due anni dalla sua entrata in vigore. L’articolo 46 contiene, da ultimo, la clausola di copertura finanziaria.


 

Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286

Negli ultimi venti anni, la legislazione italiana ha cercato più volte di regolamentare il fenomeno dell'immigrazione e di affrontare le problematiche ad esso connesse. Sono state così approvate diverse leggi in materia, ma solo recentemente questo corpo di norme è stato armonizzato attraverso un testo che riordina tutta la normativa precedente, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, poi modificato dalla Legge n. 189 del 30 luglio 2002, meglio nota come legge Bossi-Fini.
Il Decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998, è il principale testo di riferimento in materia d'immigrazione. Tale decreto regola la condizione degli stranieri in Italia e riunisce tutte le disposizioni di legge che dagli anni settanta in poi regolamentavano il fenomeno migratorio nel nostro Paese (Legge 40/98, Rd 773/31 Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, Legge 943/86 e Legge 335/95).
Questo decreto, meglio noto come "Testo Unico sull'Immigrazione", corrisponde ad un corpo di norme unico, coerente e organico, finalizzato ad assicurare un approccio integrato alla risoluzione dei problemi dell'immigrazione. Con esso, si è inteso dare risposta all'esigenza, emersa più volte, di armonizzare le molteplici norme prodotte in materia e di riorganizzare l'intera disciplina.
Le disposizioni del Testo Unico regolano i principali aspetti della politica migratoria in Italia. Ad esse, si aggiungono le integrazioni e le modifiche previste dalla successiva legge n. 189 del luglio 2002, meglio nota come legge Bossi-Fini.
Disposizioni in materia di ingresso. Il Testo Unico ha stabilito che possono entrare in Italia tutti i cittadini non comunitari in possesso di un "visto d'ingresso" e di documenti di viaggio validi, ad eccezione di coloro che sono stati dichiarati pericolosi per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. La legge Bossi-Fini ha in seguito vietato l'accesso anche a coloro che sono stati condannati per i reati previsti dagli artt. 380 e 381 del Codice di Procedura Penale o per reati inerenti il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Disposizioni in materia di "permesso di soggiorno". Il Testo Unico ha disposto che possono richiedere il permesso di soggiorno tutti i cittadini stranieri che sono entrati regolarmente in Italia, prevedendo per coloro che risiedono da oltre un certo numero di anni anche il rilascio della "carta di soggiorno". La successiva legge Bossi-Fini ha stabilito che il cittadino straniero che richiede o rinnova il permesso di soggiorno venga sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.
Disposizioni in materia di lavoro ai cittadini stranieri. Il Testo Unico ha inoltre disposto specifiche misure in materia di lavoro agli stranieri, ribadendo che il numero di lavoratori non comunitari ammessi in Italia resti vincolato alle quote fissate ogni anno dal "decreto flussi".
La legge Bossi-Fini ha previsto che tale decreto venga emanato entro il 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto stesso. La stessa legge ha anche istituito un nuovo ufficio presso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo, che prende il nome di Sportello Unico per l'Immigrazione. Tale Sportello è responsabile per l'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato, assunti secondo i criteri stabiliti nella nuova figura del contratto di soggiorno per lavoro subordinato.
Disposizioni in materia di diritti dei cittadini stranieri. Il Testo Unico tutela e riconosce al cittadino straniero una serie di diritti in parità con i cittadini italiani, come il diritto all'unità familiare, il diritto a ricevere assistenza sanitaria e sociale e il diritto a ricevere un' istruzione.
Il Testo Unico dispone inoltre alcune misure che intendono favorire l'integrazione sociale, quali l'istituzione di un Fondo nazionale per le politiche migratorie, con cui finanziare i programmi regionali o locali che sostengono l'inserimento sociale degli immigrati, e l'istituzione di una Commissione per le politiche di integrazione, che redige ogni anno un rapporto sullo stato di attuazione delle politiche a favore dell'integrazione sociale.
Il complesso normativo scaturito dal Testo Unico si muove nel rispetto della disciplina comunitaria e intende dare riconoscimento ad uno dei principi fondamentali dell'Unione Europea, il diritto alla libertà di circolazione delle persone. A tale riguardo, i principali riferimenti sono il "Trattato di Amsterdam", firmato nell'ottobre del 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, e l'"Acquis di Schengen", applicato in Italia a partire dal 1997.

 

 

Strumenti di contrasto all'immigrazione

Il Capo II del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero) è dedicato alle misure di contrasto all’immigrazione clandestina, alla repressione dello sfruttamento criminale dei flussi migratori, al respingimento dal territorio nazionale ed alle espulsioni.
La disciplina precedente in materia è stata fortemente innovata nell’intento di potenziare sensibilmente le misure di contrasto delle immigrazioni clandestine, anche in relazione ai doveri assunti dall’Italia nei confronti dei "partners" europei, per i quali l’Italia costituisce la "linea di frontiera avanzata", oltre che per meglio tutelare il lavoro e le condizioni di vita di coloro che - cittadini o stranieri - risiedono regolarmente nel nostro Paese.
Per tutte le nuove misure è stata prevista, al contempo, la massima garanzia del controllo giurisdizionale.
L’articolo 10 disciplina il «respingimento» prevedendone l’applicazione oltre che sulla linea di frontiera, ovvero nella sua area tradizionale di applicazione, anche sul territorio, nei confronti degli stranieri che non hanno titolo a varcare legittimamente i confini.

  • Infatti, è stabilito che:
  1. la polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dalla legge per l’ingresso nel territorio dello Stato;
  2. il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal Questore nei confronti degli stranieri che, entrati nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all’ingresso o subito dopo ovvero di quelli che sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso.

Da sottolineare il fatto che, nei casi in cui non sia possibile comprovare la stretta relazione causale e temporale fra il momento dell’ingresso clandestino e il momento dell’individuazione nel territorio, occorrerà procedere all’espulsione e non al respingimento.
Il respingimento non è comunque ammesso per i richiedenti asilo e per coloro nei cui confronti devono essere adottati provvedimenti di protezione temporanea.

L’articolo 13 disciplina, con profili spiccatamente innovativi, l’istituto della «espulsione amministrativa», mentre è rimasta sostanzialmente invariata l’espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, disposta dal Ministro dell’Interno, informando preventivamente il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli Affari Esteri.

  • L’espulsione amministrativa è disposta dal "Prefetto" quando lo straniero:
  1. è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell’articolo 10;
  2. si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato richiesto il rinnovo;
  3. appartiene a taluna delle categorie indicate nell’articolo 1 della legge 1423/1956 (persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità) o nell’articolo 1 della legge 575/65
    (indiziati di associazione di tipo mafioso).

Nel caso di persona sottoposta a procedimento penale occorre il nulla osta del Giudice competente (in relazione allo stato del procedimento), che è rilasciato salvo inderogabili esigenze processuali.

L’esecuzione dell’espulsione è curata dal "Questore". Essa avviene con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica nei seguenti casi:

  1. nei confronti dello straniero espulso dal Ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato;
  2. nei confronti degli stranieri già espulsi che si siano trattenuti indebitamente nel territorio dello Stato oltre il termine fissato con l’intimazione;
  3. nei confronti degli stranieri espulsi dal Prefetto perché appartenenti ad una delle categorie di persone pericolose per la sicurezza pubblica quando vi è il concreto pericolo che lo straniero si possa sottrarre all’esecuzione del provvedimento;
  4. nei confronti dello straniero espulso dal Giudice a titolo di sanzione sostitutiva della detenzione, anche se la sentenza di condanna non è irrevocabile;
  5. nei confronti dello straniero espulso dal Prefetto perché entrato in Italia eludendo i controlli di frontiera (cosiddetto "clandestino", nei casi in cui non è giuridicamente possibile il respingimento), solo se sussistono due ulteriori condizioni:
  1. che si tratti di persona priva di documenti che ne attestano l’identità e la nazionalità;
  2. che sia accertato dal Prefetto il concreto pericolo che l’interessato si sottragga all’esecuzione dell’espulsione, tenuto conto di circostanze obiettive riguardanti il suo inserimento sociale, familiare e lavorativo.

Secondo quanto stabilito da apposite circolari ministeriali, la competenza primaria all’«accompagnamento alla frontiera» dei cittadini stranieri nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di espulsione, ricade sulla Polizia di Stato, mentre l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza forniscono la loro collaborazione soltanto in ipotesi eccezionali, riferite a situazioni di particolare necessità ed urgenza, da valutare in seno al Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.
In ogni altro caso, l’espulsione è eseguita mediante l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro il termine dei quindici giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione all’ufficio di polizia di frontiera.
Nei confronti dell’espulsione disposta dal Ministro dell’Interno è esperibile il tradizionale ricorso giurisdizionale al Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, in osservanza delle disposizioni vigenti circa la tutela degli interessi legittimi e la competenza territoriale del Giudice amministrativo.
Avverso l’espulsione disposta dal Prefetto, per i motivi previsti dalla legge, è invece concesso il ricorso al Giudice Ordinario, secondo la procedura di cui all’articolo 737 e seguenti del Codice di Procedura Civile (procedimenti in camera di consiglio).
Viene, infine, stabilito un termine temporale al divieto di rientro sul territorio nazionale connesso all’espulsione (5 anni, a meno che il pretore con il provvedimento che decide sul ricorso non stabilisca un termine diverso, comunque non inferiore ai tre anni).

Particolare rilevanza assumono, poi, le disposizioni che riguardano il potenziamento e il coordinamento dei controlli di frontiera e l’apparato sanzionatorio introdotto per i delitti connessi all’immigrazione clandestina.
Per quanto concerne il primo aspetto, il 3° comma dell’articolo 11, prevede che nell’ambito e in attuazione delle direttive adottate dal Ministro dell’Interno, i Prefetti delle province di confine terrestre ed i prefetti dei capoluoghi delle regioni interessate alla frontiera marittima promuovono le misure occorrenti per il coordinamento dei controlli di frontiera e della vigilanza marittima e terrestre, d’intesa con i Prefetti delle altre province interessate, sentiti i Questori e i dirigenti delle zone di polizia di frontiera, nonché le Autorità marittime e militari ed i responsabili degli organi di polizia, di livello non inferiore a quello provinciale.
In materia penalistica, il Testo Unico prevede la punibilità di alcune condotte dirette a favorire o a trarre vantaggio dall’immigrazione clandestina.

 

Apparato sanzionatorio

In materia penalistica, il Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero) prevede la punibilità di alcune condotte dirette a favorire o a trarre vantaggio dall’immigrazione clandestina.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato violando le disposizioni di legge è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 15.493 €.

► La pena è aumentata: 

  • se il fatto è commesso a fine di lucro o da tre o più persone in concorso fra loro, ovvero riguarda l’ingresso di cinque o più persone, e nei casi in cui il fatto è commesso mediante l’utilizzazione di servizi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti (reclusione da 4 a 12 anni e multa di 15.493 € per ogni straniero introdotto illegalmente);
  • se il fatto è commesso al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, ovvero riguarda l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento (reclusione da 5 a 12 anni e multa di 25.822 € per ogni straniero introdotto illegalmente).

Nei casi indicati è obbligatorio l’arresto in flagranza ed è disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per i medesimi reati, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Fuori dalle ipotesi sopra prescritte e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a 15.493 €. chiunque favorisce la permanenza nel territorio dello Stato in violazione delle norme di legge ovvero al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero.
In quest’ultimo caso, è evidente il riferimento a ipotesi di sfruttamento di tale condizione di illegalità (es. per lavoro nero, impiego in attività di traffico e spaccio di stupefacenti, prostituzione). La disposizione si pone idealmente in rapporto con quella dell’art.18 che tende ad agevolare, anche attraverso specifiche forme di protezione sociale, l’allontanamento dello straniero, oggetto di sfruttamento, dai condizionamenti dell’organizzazione delinquenziale.
Proprio allo scopo di contrastare il fenomeno del lavoro nero, il Testo Unico sull’immigrazione, nel disciplinare le modalità per l’instaurazione e l’esecuzione di rapporti di lavoro con i cittadini stranieri, prevede apposite sanzioni penali (arresto da tre mesi ad un anno o ammenda da 1.032 a 3.098 €) per il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri in condizioni di irregolarità (artt. 22, comma 10, e 24 comma 6).

La legge (art. 12, 6° comma) ha, poi, previsto anche alcuni obblighi in capo ai "vettori" (marittimi, aerei o terrestri), i quali sono tenuti a:

  • accertarsi che gli stranieri trasportati siano in possesso dei documenti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato;
  • riferire all’organo di polizia di frontiera l’eventuale presenza a bordo di stranieri in posizione irregolare.

In caso di inosservanza anche di uno solo dei citati obblighi, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 516 a 25.822 € per ciascuno degli stranieri trasportati. Nei casi più gravi, è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione inerenti all’attività professionale svolta e al mezzo di trasporto utilizzato.
Relativamente ai poteri concessi alle forze di polizia per una più adeguata azione di contrasto, si segnala che gli Ufficiali e gli Agenti di p.s. operanti nelle province di confine e nelle acque territoriali possono procedere al controllo e all’ispezione dei mezzi di trasporto e delle cose trasportate, ancorché soggetti a speciale regime doganale, quando, anche in relazione a specifiche circostanze di tempo e di luogo, sussistono fondati motivi di ritenere che possano essere utilizzati per uno commettere uno dei reati sopra indicati. Dell’esito dei controlli e delle ispezioni è redatto processo verbale, da trasmettere entro 48 ore al Procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, lo convalida nelle successive 48 ore.
Nelle medesime circostanze gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono altresì procedere a perquisizioni, con l’osservanza delle disposizioni del codice di procedura penale.

Importanti novità sono state introdotte dal D.lgs.113/99 alla disciplina dei beni sequestrati e confiscati.
I beni sequestrati nel corso di operazioni di polizia finalizzate alla prevenzione e repressione dei reati in materia di immigrazione clandestina sono affidati dall’Autorità giudiziaria procedente in custodia giudiziale, salvo che vi ostino esigenze processuali, agli Organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego in attività di polizia ovvero ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale.
I mezzi di trasporto non possono essere in alcun caso alienati, onde evitare che gli stessi possano, indirettamente, ritornare nella disponibilità delle organizzazioni criminali.
I beni acquisiti dallo Stato, a seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono, a richiesta, assegnati all’amministrazione o trasferiti all’ente che ne abbiano avuto l’uso ovvero sono alienati. I mezzi di trasporto che non sono assegnati o trasferiti per le finalità indicate dalla legge non possono essere alienati e sono distrutti.
Per quanto riguarda le somme di denaro confiscate a seguito di condanna, nonché le somme ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei medesimi reati, anche a livello internazionale mediante interventi finalizzati alla collaborazione e all’assistenza tecnico-operativa con le forze di polizia dei Paesi interessati
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Visto di ingresso

Il cittadino straniero che desidera entrare e soggiornare in Italia, deve innanzitutto possedere un "visto d'ingresso" che viene rilasciato dal Ministero degli Affari Esteri e dalla sua rete di Uffici diplomatico-consolari italiani, presenti nei Paesi di origine dei cittadini che intendono emigrare in Italia. I cittadini dell'Unione Europea non devono munirsi di visto.
Il visto rappresenta l'autorizzazione a soggiornare o transitare nel territorio italiano o in un altro Paese concessa al cittadino straniero, e consiste in uno "
sticker" applicato sul passaporto o su un altro documento di viaggio valido.
Per fare domanda di visto, è necessario rivolgersi alla "
Rappresentanza diplomatico-consolare italiana" presente nel proprio Paese e presentare un modulo accompagnato da una foto formato tessera e un documento di viaggio valido. Occorre inoltre esplicitare la finalità del viaggio, elencare i mezzi di trasporto che si useranno, descrivere i mezzi finanziari di cui si dispone e le condizioni di alloggio. Per chi viene a lavorare in Italia, occorre presentare anche l'autorizzazione al lavoro e il nulla osta della Questura italiana.
Il visto non può essere applicato su documenti scaduti e la durata di validità del documenti di viaggio deve essere superiore di almeno
tre mesi a quella del visto.
Dopo aver fatto domanda, la Rappresentanza provvederà ad eseguire i controlli previsti per legge, e nel caso di una valutazione positiva rilascerà il visto
entro 90 giorni dalla richiesta. Il visto potrà essere negato nel caso di persone già espulse dall'Italia o da un altro Paese dello spazio Schengen o dichiarate pericolose per l'ordine pubblico e la sicurezza.
Il visto potrà inoltre essere revocato, se la Rappresentanza dovesse venire a conoscenza in ritardo di situazioni che avrebbero impedito l'autorizzazione al visto.

I visti che si possono richiedere sono di diverso tipo:

  • Visto di Schengen Uniforme (Vsu). Si tratta del visto valido in tutti gli Stati dell'area Schengen per effettuare un transito aeroportuale (tipo A) o un transito terrestre (tipo B) e per soggiorni di viaggio con una durata massima di 90 giorni (tipo c). Per il suo rilascio è competente la rappresentanza dello Stato Schengen che costituisce la meta unica o principale del soggiorno, oppure lo Stato di primo ingresso nel caso di viaggi che non abbiano una sola destinazione ma coinvolgano più Paesi.
  • Visto a validità territoriale limitata (Vtl). Si tratta del visto valido nel solo Stato dell'area Schengen che rilascia l'autorizzazione all'ingresso ed impedisce l'accesso al territorio degli altri Stati. Esso costituisce una deroga eccezionale al regime del visto uniforme e si applica solo nel caso di emergenze umanitarie, per motivi di interesse nazionale o per obblighi internazionali. Questo visto può essere concesso solo su iniziativa della Rappresentanza che, per particolari ragioni d'urgenza o gravità, ritiene opportuno concedere l'autorizzazione, anche se non ci sono le condizioni per rilasciare visti uniformi.
  • Visto per soggiorni di lunga durata o visto nazionale (Vn). Si tratta del visto valido per soggiorni che hanno durata superiore a 90 giorni con uno o più ingressi in un solo Stato Schengen (tipo D) e per transiti di durata inferiore a cinque giorni negli altri Stati. Per il suo rilascio è competente la Rappresentanza dello Stato Schengen che costituisce la destinazione di lungo soggiorno. Tra i visti nazionali, rientra anche il visto nazionale avente altresì il valore di visto di soggiorno per breve durata in un altro Paese (Vdc).
     

Permesso di soggiorno

I cittadini extracomunitari che entrano regolarmente in Italia e desiderano soggiornare sul nostro territorio, devono in primo luogo richiedere il "permesso di soggiorno", cioè il documento con cui lo Stato italiano concede il diritto di soggiornare nel nostro Paese.
Per richiedere questo documento, è necessario presentarsi al Questore della Provincia in cui si intende risiedere, entro otto giorni dall' ingresso in Italia. Sono esenti da questo obbligo i frontalieri, i diplomatici, i funzionari di organismi internazionali e i militari della Nato.
A partire dall’11 dicembre 2006, inoltre, è in vigore una nuova procedura per il rilascio e il rinnovo del permesso e della carta di soggiorno, che assegna agli uffici postali, anziché le questure, il compito di ricevere le istanze per alcune tipologie di permesso.
Una volta in possesso dei requisiti richiesti, di sufficienti mezzi di sussistenza e di un alloggio, e se non ci sono ragioni contrarie di ordine pubblico o sanitario, il permesso viene rilasciato entro un termine ordinatorio di venti giorni, che decorrono dalla data in cui è stata presentata l'istanza.
Quando si richiede l'autorizzazione a soggiornare in Italia, è possibile usufruire di diversi tipi di permesso di soggiorno che variano a seconda dello durata e dei motivi per cui sono richiesti:

  1. Permesso di soggiorno per lavoro
  2. Permesso di soggiorno di breve durata
  3. Permesso di soggiorno di lunga durata
  4. Permesso di soggiorno per motivi religiosi

La durata del permesso di soggiorno, ad eccezione di quello per motivi di lavoro, coincide con la durata prevista per il visto d'ingresso rilasciato dalle Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane presenti nei Paesi di appartenenza.
Al momento del ritiro del permesso, chi intende soggiornare per più di trenta giorni dovrà dimostrare di avere adempiuto agli obblighi in materia sanitaria, iscrivendosi al Servizio Sanitario Nazionale o stipulando una polizza assicurativa.
Una volta ottenuto, il permesso di soggiorno potrà essere revocato solo se verranno a mancare i requisiti previsti. Nel caso le Autorità preposte non abbiano concesso il permesso di soggiorno, entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento si può presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) competente per territorio.

 

 

Carta di soggiorno

I cittadini stranieri che risiedono regolarmente in Italia da almeno sei anni possono richiedere il rilascio della "carta di soggiorno", che vale come documento di identificazione personale e autorizza il suo possessore a soggiornare sul territorio italiano per un periodo di tempo indeterminato.

  • I requisiti richiesti per ottenerla sono:
  1. risiedere in Italia da almeno sei anni;
  2. possedere un permesso di soggiorno che può sia suscettibile di rinnovi senza soluzione di continuità;
  3. percepire un reddito sufficiente al proprio mantenimento pari al minimo sociale (se si desidera richiedere la carta anche per i propri familiari, occorre dimostrare che tale reddito sia sufficiente per l'intera famiglia);
  4. non avere procedimenti penali in corso, non essere stato condannato, anche in via non definitiva, per i reati previsti dall'art. 381 del Codice di Procedura Penale e non essere in giudizio per uno dei reati previsti dall'art. 380 del c.p.p.

La carta è soggetta a "vidimazione" su richiesta dell'interessato entro dieci anni dal rilascio. Deve perciò essere rinnovata su iniziativa del suo titolare. Come documento di identità, la validità è per soli cinque anni dalla data del rilascio o del rinnovo.
Con questa carta, si può entrare e uscire dall'Italia senza obbligo del visto, svolgere ogni attività lecita che non sia espressamente riservata ai soli cittadini italiani, accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione e partecipare alla vita pubblica (anche se non consente di votare).
Se si possiedono i requisiti previsti la Questura rilascia la carta di soggiorno. Nell'eventualità di un rigetto della domanda, si hanno sessanta giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale. 
La carta può essere richiesta anche per il proprio coniuge e i figli minori. In questo caso, occorre dimostrare di avere un reddito sufficiente e un alloggio idoneo. Inoltre, è necessario presentare i certificati rilasciati dal Paese d'origine che attestino il grado di parentela dei propri familiari, tradotti e legalizzati dall'Autorità Consolare Competente.

 

 

Decreto flussi

In attuazione alle disposizioni di legge vigenti, entro il 30 novembre di ogni anno il Governo italiano fissa, con un apposito decreto, le quote massime di lavoratori stranieri dipendenti, autonomi e stagionali che possono entrare nel nostro Paese. Tale decreto prende il nome di "decreto flussi".
I dati su cui vengono calcolate queste quote vengono elaborati dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tenendo conto dell'andamento dell'occupazione nazionale e della effettiva richiesta di lavoro sul mercato italiano a livello regionale e provinciale.
Parte di queste quote sono "quote preferenziali", in quanto riservate a categorie particolari di lavoratori. I cittadini di origine italiana che possono dimostrare una parentela di terzo grado in linea retta d'ascendenza con un cittadino italiano hanno diritto ad accedere a queste quote. Possono infatti iscriversi in apposite liste presso le "Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane" nel loro Paese d'origine e specificare le loro qualifiche professionali.
Altre quote preferenziali sono riservate ai cittadini degli Stati che mostrano di collaborare con le istituzioni italiane nella lotta all'immigrazione clandestina, attraverso accordi che li impegnano a regolamentare i flussi d'immigrati e a favorire le procedure di riammissione dei propri cittadini. Sono invece previste restrizioni numeriche all'ingresso per i lavoratori di Paesi che non collaborano adeguatamente alle misure di contrasto dell'immigrazione illegale.

  • Il decreto flussi non prevede invece nessuna restrizione all'ingresso di altre categorie particolari di lavoratori dipendenti, quali:
  1. dirigenti o personale specializzato di società estere aventi sedi o filiali in Italia;
  2. professori universitari, ricercatori, lettori universitari di madre lingua e di scambio, traduttori, interpreti;
  3. infermieri professionali;
  4. collaboratori domestici a tempo pieno di cittadini che si trasferiscono in Italia;
  5. lavoratori impegnati in un lavoro occasionale nell'ambito di programmi rivolti ai giovani e persone alla pari;
  6. lavoratori dipendenti di società estere che svolgono in Italia prestazioni oggetto di un contratto di appalto;
  7. lavoratori marittimi o lavoratori ammessi solo temporaneamente per svolgere compiti specifici;
  8. giornalisti, corrispondenti ufficiali;
  9. sportivi che svolgono attività professionistica presso società sportive italiane;
  10. cittadini stranieri che seguono corsi professionali e che per questo svolgono attività di addestramento;
  11. lavoratori dello spettacolo, come circensi, personale tecnico e artistico di spettacoli teatrali, ballerini e musicisti impiegati in locali d'intrattenimento, artisti di enti o imprese pubbliche e private. L'autorizzazione all'ingresso per questa categoria di lavoratori viene concessa dall'Ufficio speciale di collocamento dei lavoratori dello spettacolo e dura sei mesi, salvo una maggiore durata del rapporto di lavoro.

 

 

Legge n. 189 del 30 luglio 2002

La Legge n. 189/2002 c.d. Bossi-Fini (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) rivede sistematicamente la legislazione italiana concernente gli stranieri. Il provvedimento intende realizzare un intervento ampio e organico sui principali testi legislativi concernenti gli stranieri provenienti dai paesi non appartenenti all’Unione Europea (il testo unico 25 Luglio 1998, n° 286 ed il decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416).
L’esigenza di innovare profondamente l’attuale disciplina in materia di immigrazione, ad oltre tre anni dall’entrata in vigore del testo unico approvato con decreto legislativo 25 Luglio 1998, n. 286, costituisce oramai una necessità ineludibile, unanimemente avvertita, tra coloro che, a vario titolo, operano nelle istituzioni e nella società civile e che si trovano nell’impossibilità di offrire soluzioni adeguate alle problematiche che il fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria ha assunto nel nostro paese.
La linea guida dell’intervento normativo è quella di giustificare l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per soggiorni duraturi solo in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa sicura e lecita, di carattere temporaneo o di elevata durata. A questa condizione sono garantite adeguate condizioni di lavoro e di alloggio, collegando il contratto di lavoro ad un impegno del datore di lavoro nei confronti del lavoratore e dello Stato e restando sempre possibile il rientro volontario nel paese di origine, mediante una garanzia dei mezzi necessari.

► Gli "elementi qualificanti" della iniziativa legislativa concernono:

  1. l’orientamento della cooperazione internazionale e degli aiuti a favorire l’adozione, da parte degli stati non appartenenti all’Unione Europea, di politiche di effettivo contrasto nei confronti dello sfruttamento criminale dell’immigrazione clandestina, e quindi di condivisione degli obiettivi di lotta al traffico degli esseri umani ed a quelli connessi relativi al traffico di droga, di armi di prostituzione;
  2. integrazione dell’extracomunitario fondata sul reale inserimento nel mondo del lavoro. In tale prospettiva, ed in linea con la suindicata proposta di direttiva europea, viene prevista la nuova figura del contratto di soggiorno per lavoro, caratterizzato dalla prestazione da parte del datore di lavoro di una garanzia di adeguata sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero nonché dall’impegno assunto dallo stesso datore di lavoro al pagamento delle spese del rientro del lavoratore medesimo. Tale contratto diviene requisito essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Con il sistema delineato, all’immigrato non comunitario si punta a garantire condizioni di vita e di lavoro decorose, invece della mera iscrizione nelle liste di collocamento, e lo inserisce in un circuito di legalità che riduce i rischi di eventuali tentativi di reclutamento della criminalità. La stipula del contratto di soggiorno avviene presso lo sportello unico per l’immigrazione, appositamente istituito presso la prefettura – Ufficio Territoriale del Governo non solo per facilitare l’incontro fra la domanda l’offerta di lavoro, ma anche al fine di snellire gli adempimenti burocratici connessi;
  3. la durata del permesso di soggiorno per lavoro viene commisurata alla durata del relativo contratto di soggiorno per lavoro;
  4. la determinazione delle quote di ingresso per motivi di lavoro, che sarà predisposta anche con decreti infrannuali in base ai dati sull’effettiva richiesta di lavoro, prevedendo, tra l’altro, quote riservate ai lavoratori di origine italiana residenti in paesi non comunitari;
  5. la soppressione dell’istituto dello sponsor, che nella sua attuazione non ha raggiunto l’obiettivo di favorire l’ingresso nella realtà lavorativa dei lavoratori stranieri. E’ stata contestualmente, introdotta una disposizione che privilegia gli stranieri che hanno svolto un percorso formativo nei loro paesi di origine, sulla base di programmi di formazione professionale approvati da pubbliche amministrazioni italiane;
  6. l’immediata operatività dell’espulsione dell’irregolare, con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, in sostituzione delle vigenti disposizioni che prevedono un provvedimento preventivo di intimazione a lasciare il territorio dello stato che nella sua applicazione si è rivelato una forma per eludere sostanzialmente l’effettiva espulsione;
  7. la razionalizzazione dei ricongiungimenti familiari, in particolare, eliminando la possibilità per lo straniero di ricorrere all’istituto del ricongiungimento familiare per i parenti entro il terzo grado;
  8. una procedura semplificata per il riconoscimento del diritto di asilo, garantendo la tutela da discriminazioni di qualsiasi tipo, ma al tempo stesso evitando che l’asilo sia impropriamente utilizzato per aggirare le disposizioni sull’immigrazione;
  9. il coordinamento e il monitoraggio della normativa attraverso un apposito Comitato nazionale, che viene istituzionalizzato.

Infine, la Legge n. 189/2002 pone mano ad un vecchio problema ancora irrisolto. In attesa di una disciplina organica in materia di "diritto di asilo", che si ritiene comunque di rinviare a quando saranno definite le procedure minime – identiche per tutta l’Unione Europea – attualmente in discussione a Bruxelles, mutuando proprio le norme attualmente al vaglio del Consiglio Europeo, è stato ritenuto almeno di risolvere il problema costituito dalle domande di asilo realmente strumentali, ossia presentate al solo scopo di sfuggire all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento ormai imminente. Finora la normativa vigente – l’articolo 1 della cd. legge Martelli – imponeva non solo la sospensione del provvedimento di allontanamento, ma anche la concessione di un permesso di soggiorno provvisorio in attesa del giudizi della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato che non sarebbe mai arrivato in quanto circa il novanta per cento dei presentatori di queste domande strumentali facevano poi perdere le loro tracce. La disciplina introdotta, invece, precedendo l’applicazione della direttiva in esame, instaura – per quelle domande che si ritengono manifestamente infondate – una “procedura semplificata” che si concluderà entro i tempi previsti per il trattenimento nei Centri di permanenza temporanei.

► La legge, composta di 38 articoli, prevede:

  • misure agevolative in materia fiscale per favorire le elargizioni per le iniziative di carattere umanitario nei paesi non appartenenti all’OCSE e orienta, nel quadro degli accordi internazionali, la cooperazione internazionale e gli aiuti non a scopo umanitario, all’adozione, da parte dei paesi non appartenenti all’Unione Europea, di politiche di attiva collaborazione al fine di contrastare efficacemente le organizzazioni criminali operanti nell’immigrazione clandestina, nello sfruttamento della prostituzione, nel traffico degli stupefacenti, di armamenti, nonché in materia di cooperazione giudiziaria;
  • la costituzione di un comitato per il coordinamento ed il monitoraggio dell’attuazione delle norme contenute nel testo unico. E’ questa una grave lacuna della normativa vigente alla quale si è tentato, fin ora di sopperire con provvedimenti amministrativi di dubbia efficacia e legati a più persone che a istituti. Il testo unico è una normativa complessa che prevede di continuo provvedimenti interministeriali anche di una certa difficoltà. Un tavolo di lavoro, diviso nei livelli politico ed amministrativo servirà a dirimere problemi insorti ed a facilitare quella collaborazione delle diverse amministrazioni che dovrebbe essere la regola in ogni stato moderno, visto che anche il cittadino chiede e pretende la soddisfazione dei suoi diritti dallo stato e non fa distinzione fra i diversi ministeri ed altre amministrazioni assimilate.
  • differimento al 31 dicembre dell’anno precedente a quello al quale il decreto di programmazione di ingressi si riferisce, il termine per la sua emanazione. Ciò per evitare ritardi che si ripercuotano sull’efficacia del sistema. Inoltre viene abrogata la disposizione per la quale, in caso di mancata emanazione del decreto di programmazione dei flussi di lavoro, valgono le quote dell’anno precedente con una presunzione che non ha ragione di essere.
  • nuova disciplina dell’ingresso per lavoro. Infatti, accanto ai normali requisiti per l’ingresso, il permesso di soggiorno potrà esser rilasciato solo a avvenuta stipula di un “contratto di soggiorno”, incontro della volontà del datore di lavoro e del lavoratore, certificato, all’estero, dalla nostra rappresentanza diplomatica o consolare. La medesima certificazione potrà essere rilasciata, sempre dalla rappresentanza diplomatica o consolare e prima dell’ingresso dello straniero sul territorio nazionale, per l’accertamento dei requisiti per lo svolgimento di un lavoro autonomo.
    Una particolare cautela è stata posta per evitare contraffazioni dei documenti di ingresso e soggiorno, sia prevedendo particolari caratteristiche degli stessi, sia una particolare fattispecie criminosa.
  • istituzione della nuova fattispecie civile del contratto di soggiorno per lavoro stipulato fra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia ed un prestatore di lavoro, cittadino di uno stato non appartenente all’Unione Europea o apolide, da sottoscriversi presso lo sportello unico per l’immigrazione, istituito presso ciascuna prefettura – ufficio territoriale del Governo – mediante il quale si prevede, a pena di nullità, la garanzia da parte del datore di lavoro di un’adeguata sistemazione alloggiativa per il lavoratore nonché l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di rientro del lavoratore nel paese di provenienza.
  • sanzionato l’obbligo, già previsto dal testo unico, di comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza dell’ospitalità concessa allo straniero o della sua assunzione.
  • elevato da cinque a sei anni il periodo di soggiorno per poter ottenere la carta di soggiorno. Appare questo un periodo di tempo assai più congruo per poter giudicare il complessivo inserimento dello straniero.
  • più stringenti le norme poste a contrasto del favoreggiamento all’immigrazione clandestina: è prevista la confisca dei beni sequestrati e le navi militari o in servizio di polizia possono fermare in acque nazionali o internazionali imbarcazioni che si sospetta portino clandestini.
  • capovolgimento dell’attuale impostazione della disciplina dell’espulsione. Se l’espulsione era, di regola, effettuata mediante intimazione e solo in determinati casi con accompagnamento alla frontiera, con le modificazioni introdotte dalla legge n. 189/02 l’espulsione con accompagnamento alla frontiera diviene la regola ordinaria. L’intimazione rimane solo per alcuni limitati casi di mancato rinnovo del permesso di soggiorno, assistita comunque dalla possibilità del trattenimento presso i Centri di permanenza qualora sia rilevato un pericolo di fuga. Il periodo di divieto di reingresso previsto dall’articolo 13, comma 13, è portato a 10 anni. Il termine dei 10 anni è temperato dalla possibilità della sua riduzione, fino a cinque anni, in fase di adozione del decreto di espulsione.
  • nuove norme sull’esecuzione dell’espulsione. L’esperienza ha dimostrato che i trenta giorni ora previsti come massimo per il trattenimento nei Centri di permanenza temporanea non sono sufficienti per assicurare il riconoscimento del clandestino, presupposto indispensabile per il suo rimpatrio. Il nuovo termine di sessanta giorni dovrebbe consentire il riconoscimento della quasi totalità dei trattenuti.
  • nuove disposizioni in tema di espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione. La norma prevede che lo straniero entrato illegalmente in Italia e detenuto in via definitiva con una pena, anche residua, di due anni, sia espulso in via alternativa alla rimanente pena da scontare. Se rientra illegalmente la detenzione in carcere è ripristinata.
  • riformato integralmente la normativa sul lavoro subordinato a tempo determinato ed indeterminato; sono previsti, in luogo dello sponsor i titoli di prelazione nel collocamento dei lavoratori stranieri derivanti dall’aver frequentato corsi di formazione e aggiornamento professionale organizzati all’estero da enti abilitati; è punito anche con la revoca del permesso di soggiorno per chi produce, smercia o distribuisce prodotti falsi o contraffatti.
  • il compito di determinare il limite massimo annuale di ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico spetta al Ministro per i beni e le attività culturali.
  • ridotta la possibilità del ricongiungimento familiare al coniuge e ai figli minori. Modula diversamente il ricongiungimento del genitore a carico, prevedendosi l’ipotesi dell’impossibilità di altro sostegno nel paese di origine.
  • le misure di integrazione sociale sono riservate agli immigrati in regola con il permesso di soggiorno.
  • la revoca del permesso di soggiorno nelle ipotesi di matrimonio simulato e finalizzato unicamente ad ottenere la possibilità di soggiornare in Italia.
  • riviste le norme in materia di diritto d’asilo con riferimento alle domande presentate in modo strumentale, al solo fine di procrastinare ed evitare un provvedimento di allontanamento per irregolarità di soggiorno.

Il riconoscimento dello status di rifugiato è, infatti, ancora regolato dall’articolo 1 del decreto legge 30 dicembre 1989 n° 416, convertito nella legge 28 febbraio 1990 n. 39.
Tale normativa prevede che a chi presenti una domanda di asilo - indipendentemente dalla sua posizione di regolare, irregolare, sottoposto a procedimento di allontanamento o altro - sia concesso un permesso di soggiorno in attesa della definizione della richiesta.
Molte sono le istanze proposte da clandestini al solo scopo di procrastinare gli effetti o evitare del tutto - facendo perdere le tracce – il provvedimento di allontanamento.
In sede comunitaria è in discussione un progetto di direttiva che regola lo standard minimo delle procedure che gli stati membri devono adottare per il riconoscimento dello status di rifugiato. Tale progetto prevede, all’interno del principio generale della non trattenibilità dei richiedenti asilo per il mero fatto di esaminare la loro istanza, alcune eccezioni (articolo 11), nonché una c.d. procedura semplificata (art. 27 e segg.) per esaminare quelle domande che si presumono manifestamente infondate; l’esito sfavorevole di questa procedura semplificata, salvo l’obbligo di rispondere (art. 33, comma 3) – anche negativamente – all’istanza del richiedente asilo che chiede di rimanere sul territorio nazionale per tutta la durata dell’intero ricorso, non impone agli Stati membri di sospendere gli effetti di una decisione sfavorevole di primo grado, in attesa dell’esito del ricorso.
In attesa di una disciplina organica sul diritto di asilo, il disegno di legge intende correggere l’obbligatorietà della concessione del permesso di soggiorno contenuto nell’articolo 1 della legge Martelli, mutuando proprio dalla proposta di direttiva attualmente in discussione a Bruxelles i casi in cui è possibile trattenere il richiedente asilo (comma 1 dell’articolo 1 bis proposto), nonché la possibilità di allontanamento dopo il primo grado concessa dalla procedura accellerata (comma 5, dell’art. 1 ter proposto).
Vengono così disciplinati una serie di casi per i quali è possibile trattenere o continuare a trattenere i richiedenti asilo, sulla base di un procedimento – quale quello conseguente alla violazione delle norme di ingresso sul territorio – già avviato prima della richiesta di asilo. Il trattenimento dovrebbe durare fino all’esito della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.
Ovviamente, perché la procedura funzioni, è necessario che la procedura accellerata si esaurisca prima dello scadere del termine previsto per il trattenimento. Per tale ragione appare comunque opportuno un potenziamento della Commissione centrale per la concessione dello status di rifugiato o la creazione di sue sezioni periferiche.

  • la regolarizzazione di tutti i lavoratori adibiti ad attività di collaboratore domestico e di assistenza ai familiari.

 

D.M. 14 luglio 2003

In base al Decreto del Ministro dell’Interno (di concerto con i Ministri della Difesa, dell’Economia e delle Finanze e delle Infrastrutture e dei Trasporti) del 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all'immigrazione clandestina), emanato con un certo ritardo dall’entrata in vigore della Legge 189/2002, le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina «via mare» sono svolte dai mezzi aeronavali della Marina militare, delle Forze di Polizia e delle Capitanerie di Porto. Il raccordo delle operazioni e l’acquisizione delle informazioni sono svolti dalla "Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza".
Gli Enti e le Amministrazioni interessate comunicano con immediatezza alla Direzione Centrale tutte le informazioni e i dati relativi alle unità che, per comportamenti o altri indizi, possano ragionevolmente essere sospettate di essere coinvolte nel traffico o nel trasporto di migranti.

  • L'attività di prevenzione e contrasto del traffico di migranti via mare si sviluppa attraverso le seguenti "tre fasi":
  1. nei Paesi di origine dei flussi o interessati al transito, tramite attività di carattere prevalentemente diplomatico con l’obiettivo di prevenire il fenomeno alla fonte;
  2. nelle acque internazionali, tramite il dispositivo aeronavale della Marina Militare, della Guardia di Finanza, del Corpo delle Capitanerie di Porto e delle altre unità navali o aeree in servizio di polizia. L’intervento si estrinseca nell’esercizio dei "poteri di polizia dell’alto mare" diretti al monitoraggio, alla sorveglianza, all’individuazione, al controllo degli obiettivi navali in navigazione ed all’accertamento dei flussi migratori clandestini;
  3. nelle acque territoriali, tramite le unità ed i mezzi navali in servizio di polizia, con il concorso, ove necessario, delle navi della Marina Militare ai sensi dell'articolo 12, comma 9-ter T.U..

L’intervento è finalizzato all’attività istituzionale delle Forze di Polizia diretta alla repressione dei reati ed alla scoperta delle connessioni con le organizzazioni transnazionali che gestiscono l’illecito traffico, al fine di sequestrare e confiscare i patrimoni d’illecita provenienza. 

  • Le attività in mare possono assumere il carattere di:
  1. sorveglianza;
  2. intervento di soccorso, il cui coordinamento è di competenza del Corpo delle Capitanerie di Porto;
  3. intervento di polizia, la cui competenza è attribuita, in via prioritaria, alle Forze di Polizia.

L'attività di sorveglianza, orientata sulla base delle informazioni e delle situazioni oggettive che caratterizzano il flusso migratorio via mare, si articola, di massima, su:

  1. dati operativi integrati provenienti dalla rete radar costiera della Marina Militare e dagli analoghi dispositivi di scoperta delle altre Amministrazioni che effettuano vigilanza nelle acque territoriali;
  2. pattugliamento delle unità navali specificamente impiegate per tali attività;
  3. sorveglianza coordinata a lungo raggio a mezzo velivoli di pattugliamento marittimo della Marina Militare e di aeromobili della Guardia di Finanza e del Corpo delle Capitanerie di Porto;
  4. concorso eventuale di tutti gli altri assetti aeronavali della Marina Militare, della Guardia dì Finanza, delle altre Forze di Polizia e delle Capitanerie di Porto che perseguono i fini istituzionali delle proprie Amministrazioni quali compiti primari;
  5. valorizzazione delle informazioni provenienti da altri comandi operativi internazionali operanti nel bacino del Mediterraneo o da organismi di intelligence.

Ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti in "acque internazionali" è assicurata una costante attività di sorveglianza finalizzata alla localizzazione, alla identificazione e al tracciamento di unità navali sospettate L’attività di identificazione è svolta prevalentemente con il concorso dei mezzi aerei.
La "fase di tracciamento" deve essere condotta, compatibilmente con la situazione contingente e con i sensori disponibili, in forma occulta al fine di non vanificare l'intervento repressivo nei confronti delle organizzazioni criminali che gestiscono l'illecito traffico.
Il Comando in Capo della Squadra Navale svolge la necessaria azione di raccordo delle fasi di pianificazione dell'attività in stretta cooperazione con il Comando Generale della Guardia di Finanza e con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto.
Nella fase esecutiva ciascuna Amministrazione/Ente è responsabile dell'emanazione delle direttive attuative ai mezzi dipendenti, tenendo debitamente informati gli altri.
Ferme restando le competenze dei Prefetti dei capoluoghi di Regione nelle acque territoriali e interne italiane, le unità navali delle Forze di Polizia "svolgono attività" di sorveglianza e di controllo ai fini della prevenzione e del contrasto del traffico illecito di migranti. Le unità navali della Marina Militare e delle Capitanerie di Porto "concorrono" a tale attività attraverso la tempestiva comunicazione dell’avvistamento delle unità in arrivo o mediante tracciamento e riporto delle unità stesse, in attesa dell'intervento delle Forze di Polizia. Quando in relazione agli elementi meteomarini ed alla situazione del mezzo navale sussistano gravi condizioni ai fini della salvaguardia della vita umana in mare, le unità di Stato presenti provvedono alla pronta adozione degli interventi di soccorso curando nel contempo i riscontri di polizia giudiziaria.
Al fine di rendere più efficace l’intervento delle Forze di Polizia nelle acque territoriali è stabilita una "fascia di coordinamento" che si estende fino al limite dell'area di mare internazionalmente definita come zona contigua nelle cui acque il coordinamento delle attività navali connesse al contrasto dell'immigrazione clandestina, in presenza di mezzi appartenenti a diverse Amministrazioni, è affidato al Corpo della Guardia di Finanza.
L’azione di contrasto è sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona. Le unità navali procedono, ove ne ricorrano i presupposti, all'effettuazione dell' inchiesta di bandiera, alla visita a bordo, qualora sussista un’adeguata cornice di sicurezza, ed al fermo delle navi sospettate.
In acque internazionali, qualora a seguito dell'inchiesta di bandiera se ne verifichino i presupposti, può essere esercitato il diritto di visita. Nell'ipotesi di navi battenti bandiera straniera, l'eventuale esercizio di tale diritto sarà richiesto formalmente dal Ministro dell'Interno una volta acquisito, tramite Ministero degli Affari Esteri, l’autorizzazione del Paese di bandiera. Parimenti, l’esercizio del diritto di visita può essere richiesto formalmente dal Ministro dell' Interno anche nell’ipotesi di interventi da effettuarsi su unità prive di bandiera e dei quali non si conosce il porto di partenza.
Quando navi mercantili, a seguito di interrogazione da parte dei mezzi aeronavali in pattugliamento, appaiano ragionevolmente sospette sulla natura del carico, porto di partenza o di arrivo, la Direzione Centrale, immediatamente informata dalle Amministrazioni di appartenenza, intraprende le opportune iniziative per verificare l'attendibilità di tale notizie e per l’adozione di conseguenti misure.

 

 

D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334

Il 10 febbraio 2005 è stato pubblicato il nuovo "Regolamento di attuazione della Legge Bossi – Fini" (L.30 luglio 2002, n.189), entrata in vigore il 25 febbraio. Si tratta di un Decreto del Presidente della Repubblica (DPR. 18 ottobre 2004, n. 334) che reca modifiche e integrazioni al Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, in materia d’immigrazione.

  • Nel regolamento sono presenti, tra le altre, alcune novità e specifiche in materia di:
  1. Legalizzazione di certificati provenienti dall’estero
  2. Comunicazioni allo straniero
  3. Documentazione dell’alloggio per l’ingresso in Italia
  4. Ingresso per turismo
  5. Iscrizione anagrafica in fase di rinnovo permesso del soggiorno
  6. Il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato
  7. Variazioni del rapporto di lavoro, variazione del contratto di soggiorno

► Legalizzazione di certificati provenienti dall’estero.

Per i cittadini stranieri che devono utilizzare certificati provenienti dall’estero, ad esempio per il ricongiungimento familiare (certificato di nascita o di matrimonio), il regolamento precisa che in mancanza di autorità straniera riconosciuta, oppure, in caso di presunta inaffidabilità di documenti attestanti qualità che non possono essere oggetto di autocertificazione, provvede l’autorità diplomatica consolare con indicazione sostitutiva.
Ciò significa che, per esempio, di fronte a una procedura di ricongiunzione familiare - ovvero quando già il lavoratore straniero regolarmente soggiornante in Italia ha ottenuto il nullaosta alla ricongiunzione familiare da parte della questura o, d’ora in poi dello Sportello Unico presso la Prefettura, nel momento in cui presso l’Ambasciata italiana del paese di provenienza bisogna documentare con certificati di quel paese lo stato di famiglia, l’autorità consolare italiana ha la possibilità di limitarsi a presumere l’inaffidabilità dei documenti e dei certificati rilasciati dalle competenti autorità del paese d’origine dell’interessato.
In questo caso, se l’autorità consolare dubita dell’affidabilità di questi certificati può procedere in proprio a una verifica, che, per quanto riguarda la nascita e la maggiore età, potrà essere fatta con il test del DNA oppure con quello della densimetria ossea. Tutto questo dovrà avvenire a spese degli interessati.

► Comunicazioni allo straniero.

La comunicazione, sia pure in forma sintetica in lingua straniera, di tutti i provvedimenti può essere fatta legittimamente in lingua francese, inglese, spagnola, a scelta dell’interessato, solo nel caso in cui, però, non sia disponibile personale idoneo alla traduzione del provvedimento nella lingua madre dell’interessato.
Questo significa che gli stranieri hanno il diritto di ricevere comunicazione dei provvedimenti che li riguardano nella lingua madre, a meno che non sia possibile la presenza di un traduttore, nel qual caso è legittima la possibilità di ricevere la comunicazione in un’altra lingua scelta dall’interessato tra francese, inglese e spagnolo 

► Documentazione dell’alloggio per l’ingresso in Italia.

Nel nuovo Regolamento di attuazione è stato inserito l’articolo 8 bis (Contratto di soggiorno per lavoro subordinato) relativo alla documentazione relativa all’alloggio per i lavoratori candidati all’ingresso in Italia per ragioni di lavoro. Questo prevede che il datore di lavoro, al momento della richiesta di assunzione di un lavoratore straniero, deve indicare con un'apposita dichiarazione inserita nella richiesta di assunzione del lavoratore straniero, nonché nella proposta di contratto di soggiorno, un alloggio fornito dei requisiti di abitabilità e idoneità igienico sanitaria, o che rientri nei parametri previsti dal testo unico, e deve impegnarsi, nei confronti dello Stato, al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.
Non sarà necessario fornire la documentazione relativa alla disponibilità dell’alloggio al momento della domanda di autorizzazione all’ingresso per motivi di lavoro, bensì solo nel momento in cui il lavoratore è giunto in Italia e deve stipulare il contratto di soggiorno presso l’Ufficio Territoriale del Governo (UTG).

► Ingresso per turismo.

In caso di soggiorno per turismo di durata non superiore a trenta giorni, gli stranieri appartenenti a Paesi in regime di esenzione di visto turistico possono richiedere il permesso di soggiorno al momento dell'ingresso nel territorio nazionale alla frontiera, attraverso la compilazione e la sottoscrizione di un apposito modulo. La ricevuta rilasciata dall'ufficio di polizia equivale a permesso di soggiorno per i trenta giorni successivi alla data di ingresso nel territorio nazionale.

► Iscrizione anagrafica in fase di rinnovo permesso di soggiorno.

L’articolo 14 del Regolamento introduce un’interessante disposizione che prevede per gli stranieri iscritti all’anagrafe l'obbligo di rinnovare all'ufficiale d’anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo e, comunque, l’iscrizione non decade nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno.
Questo risolve una serie di problemi pratici, si pensi alla richiesta della patente ad esempio, per i quali si aveva la necessità di presentare la propria iscrizione anagrafica. Con la nuova normativa, il fatto che il permesso di soggiorno sia in fase di rinnovo non dovrebbe comportare più alcun problema relativamente alla continuità di iscrizione all’anagrafe della popolazione residente presso un determinato comune.

► Il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

L’art. 12 del Regolamento (che modifica l’art. 13 del dpr 393/99) prevede che il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro è subordinato alla sussistenza di un contratto di soggiorno per lavoro, nonché alla consegna di autocertificazione del datore di lavoro attestante la sussistenza di un alloggio del lavoratore.

► Variazioni del rapporto di lavoro, variazione del contratto di soggiorno.

Sempre in riferimento al rinnovo del permesso di soggiorno è stato aggiunto l’art. 36 bis che dispone per l'instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, fermo restando quanto previsto dall'articolo 37, la sottoscrizione di un nuovo contratto di soggiorno per lavoro, anche ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno. Il datore di lavoro deve comunicare allo Sportello Unico, entro 5 giorni dall'evento, la data d'inizio e la data di cessazione del rapporto di lavoro con il cittadino straniero, ai sensi dell'articolo 37, nonché il trasferimento di sede del lavoratore, con la relativa decorrenza
Secondo la nuova normativa, quindi, non è più sufficiente che uno straniero si presenti presso la questura alla scadenza del permesso di soggiorno, ma deve farlo anche nel caso in cui per qualsiasi causa – dimissioni, licenziamento, riduzione di personale – perda il lavoro prima della scadenza del permesso di soggiorno. Dovrà presentarsi presso l’UTG per formalizzare il nuovo contratto di soggiorno e, in pratica, per rinnovare il permesso di soggiorno anche se ancora valido
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Legge 5 luglio 2009 n. 94

La Legge 5 luglio 2009, n. 94 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, destina un significativo numero di norme al fenomeno dell’immigrazione, modificando il D.lgs. 286/2009.
Il legislatore, in detta materia, ha introdotto nuove ipotesi di reato (si pensi, tra tutte, a quella di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, di cui all’art. 10 bis del TU imm.) ed ha aggravato le pene di molte disposizioni penali già esistenti.
Sono state modificate le "condizioni di ingresso" dello straniero nel nostro territorio (art. 4 T.U. imm.) ed è stato previsto, altresì, il nuovo istituto dell’ “accordo di integrazione”.
Con riferimento alle condizioni di ingresso dello straniero, tale ingresso non è ora consentito nel caso in cui questi non “abbia i mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno” e per il rientro nel Paese di provenienza; nel caso in cui “sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato”; nel caso, ancora, in cui sia stato condannato per taluni reati, tassativamente specificati (tra cui quelli relativi a stupefacenti, alla libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina).
l legislatore della novella ha poi deciso di istituire un “doppio binario” con riferimento alla gravità del fatto di reato.
Mentre, infatti, l’applicazione della pena su richiesta delle parti e la condanna con sentenza non definitiva per una serie di reati più gravi costituisce ragione ostativa all’ingresso nel territorio dello Stato; per ottenere lo stesso effetto impeditivo, occorre, invece, una condanna definitiva con riferimento ad alcuni reati “meno gravi”, relativi alla tutela del diritto d’autore, per il reato previsto dall’art. 473 c.p. (contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali) o per il reato di cui all’art. 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi).

  • Queste le principali novità in materia di immigrazione in essa contenute:
  1. Reato d’ingresso e/o di soggiorno illegale

La legge introduce un nuovo reato rubricato “ingresso e soggiorno illegale nello Stato”, attraverso l'inserimento del nuovo art. 10-bis nel Testo Unico sull'Immigrazione (d.lgs. 286/98), che punisce con l'ammenda da € 5.000 a € 10.000 lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato.
In conseguenza di questa previsione, qualunque straniero che venga soggetto a controlli sulla regolarità del suo status, potrà essere sottoposto a procedimento penale, dinanzi al Giudice di pace, e condannato. L’espulsione potrà essere eseguita comunque, anche in pendenza del procedimento penale (che però si estinguerà una volta eseguita l’espulsione), e con un canale preferenziale e, in quanto, per questo reato, non è necessario attendere il nulla osta dell’Autorità giudiziaria. Derogando alle disposizioni del codice penale, tale reato (previsto come contravvenzione) non si può estinguere mediante pagamento in misura ridotta (oblazione).

Aggravante clandestinità
Se chi commette un reato si trova illegalmente sul territorio nazionale le pene sono aumentate di un terzo. La nuova aggravante di clandestinità viene applicata sia agli immigrati extracomunitari che ai cittadini di stati membri dell’unione europea irregolarmente entrati in Italia.

  1. Carcere e confisca casa per chi lucra su affitti a irregolari

Carcere da sei mesi a tre anni per chi, a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio a uno straniero privo di titolo di soggiorno in un immobile di cui abbia disponibilità, o lo cede allo stesso anche in locazione. Con la condanna scatta anche la confisca del bene.
Il trattenimento nei C.I.E. (Centri di identificazione ed espulsione, ex CPT) può raggiungere i 180 giorni (contro i 60 di prima)
La procedura prevede dapprima la richiesta di autorizzazione al trattenimento di ulteriori 30 giorni dopo i primi 30 concessi.
Successivamente, trascorsi altri 60 giorni al termine dei quali, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, può essere concessa un’ulteriore proroga di 60 giorni.

  1. L’obbligo di esibizione del titolo di soggiorno per la presentazione di istanze o l’ottenimento di autorizzazioni od atti riguardanti lo stato civile delle persone

Tale obbligo per l’accesso ai servizi pubblici, pertanto, impedisce il compimento di atti di stato civile fondamentali, primi fra tutti la richiesta delle pubblicazioni per il matrimonio e la stessa formazione degli atti di nascita dei minori stranieri, con grave pregiudizio per la certezza dei rapporti familiari e di stato civile.

  1. Incapacità matrimoniale

In linea con la previsione del punto precedente, il decreto sicurezza esclude espressamente per lo straniero privo del permesso di soggiorno la possibilità di contrarre matrimonio con effetti civili, limitando gravemente i diritti della comunità familiare.

  1. Cittadinanza da parte del coniuge del cittadino italiano

Per inoltrare la domanda occorrerà attendere che siano decorsi 2 anni (e non più sei mesi, come prima) dalla data di iscrizione nell’albo dei residenti , ovvero tre anni se il matrimonio sia stato celebrato all’estero. I tempi sono tuttavia dimezzati in presenza di figli nati o adottati dai coniugi.
Inoltre, in generale, viene introdotto il pagamento di un contributo, consistente in non meno di 200 euro, per ogni tipo di domanda/istanza relativa alla cittadinanza.

  1. Il divieto di iscrizione anagrafica

In mancanza della disponibilità di un alloggio dotato di idonea certificazione dei requisiti igienico-sanitari è previsto tale divieto, sia per i residenti italiani che per quelli stranieri regolarmente soggiornanti.

  1. Permessi di soggiorno

La legge ha introdotto il pagamento di una tassa (da 80 a 200 euro) per chiedere il rinnovo/rilascio del permesso di soggiorno.

  1. Accordo di integrazione

Il rilascio del permesso di soggiorno è subordinato alla stipula di un accordo di integrazione, articolato in crediti con cui lo straniero si impegna a conseguire non meglio specificati obiettivi di integrazione, pena la perdita dei punti/crediti e la successiva espulsione. Unica eccezione alla stipula dell’Accordo sono i cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno per richiesta asilo, asilo, protezione sussidiaria, protezione umanitaria, motivi familiari, permesso di soggiorno di lungo periodo, carta di soggiorno per familiare straniero di cittadino dell’Unione europea.

  1. Test di conoscenza della lingua italiana

In relazione al permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ex carta di soggiorno è
divenuto obbligatorio il superamento di un test di lingua italiana, ma non sono dettate le modalità di effettuazione del test, che dovranno essere individuate da un futuro provvedimento ministeriale.

  1. Minori stranieri non accompagnati

Per la conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età, la legge chiede ora espressamente che sussistano congiuntamente i requisiti dell’affidamento (ovvero della sottoposizione a tutela) e della frequenza di un progetto di integrazione per almeno 2 anni essendo entrati in Italia almeno 3 anni prima del compimento dei 18 anni, mentre in precedenza la legge li prevedeva come alternativi.

  1. Ronde cittadine

I sindaci sono autorizzati ad avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini al fine di segnalare alle forze di polizia eventi che possano recare danno alla sicurezza urbana, ovvero
situazioni di “disagio sociale”. I presupposti, compiti, limiti, modalità d’azione di tali iniziative private non sono ancora stabiliti, essendo demandati a provvedimenti successivi.

La legge 94 del 2009 nella parte relativa alle norme sull’immigrazione è chiaramente ispirata alla necessità ed alla volontà di scoraggiare i flussi migratori illegali a contrastare coloro i quali, cavalcando il bisogno del cittadino straniero di emigrare, lasciandosi alle spalle storie di povertà, violenza e disperazione, rendono possibile il sogno della fuga, garantendo il viaggio verso un paese, anche a costi di doverne attraversare diversi. Il tutto quasi sempre a fronte del pagamento di un corrispettivo.

 

 

Accordo di Schengen

L’azione di contrasto all’immigrazione clandestina ed ai fenomeni criminali ad essa connessi posta in essere dall’Italia e, più in generale, dai Paesi dell’Unione Europea ha subito nell’ultimo decennio un profondo mutamento a seguito dell’introduzione di uno specifico corpus normativo, maturato in ambito comunitario, costituito dall’Accordo di Schengen e dalla relativa Convenzione di Applicazione.
L’Accordo prevede, in estrema sintesi la "soppressione dei controlli di polizia alle frontiere interne" (cioè le frontiere terrestri comuni tra i Paesi Schengen, nonché gli aeroporti ed i porti adibiti al solo traffico interno) e la "libera circolazione delle persone - sia cittadini comunitari che extracomunitari regolarmente entrati e soggiornanti in uno Stato membro - nell’ambito del territorio di tutti gli Stati contraenti".

Al riguardo, la "Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen" firmata il 19 giugno del 1990 (composta da 142 articoli, suddivisi in otto titoli), prevede che:

  1. le frontiere interne (cioè le frontiere terrestri comuni tra i Paesi Schengen, nonché gli aeroporti ed i porti adibiti al solo traffico interno) possono essere attraversate in qualunque punto senza che venga effettuato alcun controllo sulle persone, salvo che sussistano esigenze di sicurezza nazionale e di ordine pubblico (articolo 2);
  2. le frontiere esterne (cioè con Paesi terzi, ossia qualunque Stato diverso da quelli aderenti a Schengen) possono essere attraversate, in via di principio, soltanto ai valichi di frontiera e durante le ore di apertura stabilite (art. 3).

Negli aeroporti i controlli dovranno essere effettuati solo dove arrivano e partono aerei da e per Paesi terzi (art. 4);

Il controllo alle frontiere esterne viene rafforzato e applicato seguendo principi uguali per tutti gli Stati Schengen (art. 6):

  1. controllo alle persone e delle vetture, nonché delle merci trasportate, con riguardo all’ordine pubblico e alla sicurezza nazionale;
  2. i cittadini extracomunitari devono essere sottoposti a un controllo accurato: del possesso e della validità dei documenti necessari (fra cui i visti), nonché della sussistenza delle condizioni per l’ingresso, il soggiorno, l’esercizio di un’attività lavorativa, l’uscita dal Paese.

L’abolizione di ogni verifica alle «frontiere interne» e, quindi, la libera circolazione delle persone ha comportato come necessaria conseguenza l’attuazione di un controllo più efficace nei confronti di chi attraversa le frontiere esterne, al fine di evitare una diminuzione del livello di sicurezza per i cittadini, mentre nel momento in cui l’attraversamento delle frontiere interne (non costituisce più l’atto che dà origine al controllo, questo intervento dello Stato viene a trasferirsi con una maggiore attenzione sul territorio nazionale).
A questo riguardo, la stessa Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen fa del resto salva la possibilità, da parte di ogni Stato membro di derogare "per esigenze di ordine pubblico e di sicurezza nazionale alla soppressione dei controlli alle frontiere interne".
Il passo successivo è stato quello di adottare, insieme all’abolizione dei controlli alle frontiere interne, «misure di accompagnamento» volte ad assicurare adeguati standard di sicurezza attraverso il controllo dell’immigrazione dai Paesi terzi, la lotta contro il terrorismo, la criminalità ed il traffico di stupefacenti.
Nel 1997, lo spazio senza controlli alle frontiere interne si è esteso anche all’Italia, determinando importanti cambiamenti sia nella struttura organizzativa facente capo alla c.d. polizia di frontiera, sia nelle concrete metodologie e strumenti di contrasto.

Acquis di Schengen

L'obiettivo della disciplina europea è quello di contribuire alla creazione effettiva di uno "spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia", all'interno del quale le persone possano circolare liberamente, così come previsto dall'Acquis di Schengen, che rappresenta l'insieme di disposizioni e misure comuni adottate dagli Stati membri in materia di ingresso e concessione dei visti, diritto d'asilo, controllo delle frontiere esterne e cooperazione fra Polizie e dogane.
Gli atti che costituiscono questo insieme di disposizioni sono gli Accordi di Schengen del 1985, ma anche la Convenzione di applicazione degli Accordi del 1990 e tutti i successivi protocolli di adesione firmati dagli Stati partecipanti (l'Italia ha aderito nel 1990, ma ha iniziato ad applicare gli accordi solo a partire dal 26 ottobre 1997, per concludere la soppressione dei controlli alle frontiere terrestri e marittime il 31 marzo 1998). 
Al fine di riconoscere questo "spazio di libertà", il Trattato di Amsterdam ha previsto, in un suo protocollo finale, l'integrazione dell'Acquis di Schengen nella normativa comunitaria.
In questo modo, i Paesi europei firmatari hanno accettato di eliminare progressivamente i controlli alle frontiere comuni e di introdurre un regime di libera circolazione per i propri cittadini.
L'insieme dei territori di questi Paesi costituisce oggi lo spazio o area Schengen, formato da Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Islanda e Norvegia.
Nell'imminente futuro, tuttavia, l'ingresso di nuovi Stati membri nell'Unione Europea lo scorso 1 maggio, lascia prevedere che questo spazio verrà ulteriormente allargato.

 Monumento in onore degli Accordi di Schengen

Polizia di frontiera

La "Polizia di frontiera" è quella parte della polizia di sicurezza che ha lo scopo di garantire l’osservanza delle norme di diritto pubblico internazionale e delle convenzioni multilaterali o in vigore con singoli Stati, delle disposizioni contenute negli atti normativi della Comunità Europea, nonché delle leggi italiane di emigrazione e di polizia che regolano il traffico delle persone e delle cose attraverso le linee del confine terrestre e negli scali marittimi ed aerei.
Il servizio di polizia di frontiera, regolato dal D.M. 2 agosto 1977, è posto sotto l’egida ed alle dipendenze del "Ministero dell’Interno – Dipartimento della P.S. – Direzione Centrale per la polizia stradale, ferroviaria, di frontiera e postale".
L’espletamento del servizio è affidato, in primo luogo, agli agenti della Polizia di Stato, organizzati in apposita "specialità", e in via concorsuale all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza che agiscono sempre sotto la direzione dei funzionari di p.s..
Al riguardo, sussiste una ripartizione dei valichi terrestri, marittimi ed aerei fra le tre Forze di Polizia ispirata a criteri di razionalizzazione delle risorse al fine di evitare duplicazioni sul territorio.

In particolare:

  • la Polizia di Stato esercita in via esclusiva il servizio:
  1. ai valichi ferroviari (ove già è presente la specialità della Polizia Ferroviaria);
  2. ai valichi permanenti stradali;
  3. presso i valichi stradali, marittimi e aerei dislocati nei capoluoghi di provincia e nei comuni sede di Commissariato o Posto fisso di P.S.;
  • l’Arma dei Carabinieri ha assunto in via esclusiva il servizio:
  1. nei valichi terrestri, marittimi ed aerei in quelle località al di fuori dei capoluoghi di provincia ove non esiste alcun presidio della P.S.;
  • la Guardia di Finanza svolge il servizio:
  1. presso valichi terrestri, per lo più di 2^ categoria e stagionali, ove essa è già dislocata per lo svolgimento di compiti istituzionali di polizia doganale. In tale ottica, l’inserimento della Guardia di Finanza nella organizzazione generale dei servizi di polizia di frontiera è da considerare collegato agli altri servizi che il Corpo esplica lungo la linea di confine, tra cui il concorso alla difesa politico-militare delle frontiere, cui è obbligatoriamente tenuto in base a quanto disposto dalla legge ordinativa n. 189/59.

Il "controllo di polizia alla frontiera" consiste nell’esame dei documenti dei viaggiatori, al fine di verificarne l’identità ed accertare che essi soddisfino i requisiti previsti dalla Convenzione di Schengen, la quale prevede che possano essere autorizzate ad entrare nel territorio per un breve soggiorno le persone che non beneficiano del diritto comunitario (ovvero soggetti provenienti da Paesi che non aderiscono all’Accordo di Schengen) le quali:

  1. siano in possesso di un valido documento di viaggio o di un visto valido per la durata del soggiorno previsto;
  2. siano in grado di esibire documenti che giustifichino lo scopo e le condizioni del soggiorno o del transito previsto;
  3. dispongano o siano in grado di procurarsi dei mezzi di sussistenza sufficienti sia per la durata del soggiorno o del transito sia per il ritorno nel paese di origine per il viaggio verso uno Stato terzo in cui sia garantita la loro ammissione;
  4. non costituiscano una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale e le relazioni internazionali.

Ove non sussistano le predette condizioni, l’ingresso nel territorio dello Stato deve essere rifiutato.

Il controllo delle persone che attraversano i valichi di frontiera autorizzati non comprende soltanto la verifica dei documenti di viaggio o delle altre condizioni di ingresso, di soggiorno, di lavoro e di uscita, bensì anche l’eventuale adozione di misure per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico delle Parti contraenti. Il controllo riguarda anche i veicoli e gli oggetti in possesso delle persone che attraversano la frontiera.
Nell’esercizio di questi compiti, gli agenti hanno competenza di Polizia di frontiera e competenza generale, definita in conformità alla legislazione nazionale.

Quanto alle modalità del controllo può distinguersi un «controllo minimo» ed un «controllo più approfondito», qualora se ne ravvisi la necessità.

Il controllo minimo consiste nell’accertare l’identità della persona in base ai documenti di viaggio presentati o esibiti e nel verificare in modo semplice e rapido la validità del documento che consente di attraversare la frontiera e la presenza di indizi di falsificazione o contraffazione.

I controlli più approfonditi  comprendono un esame più attento dei documenti o dei visti, la verifica che la persona disponga di mezzi di sussistenza necessari sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno o per il transito verso un Paese esterno, ovvero se detta persona sia in grado di ottenere legalmente tali mezzi.

Si procede poi alla consultazione immediata dei dati (relativi alle persone e agli oggetti di cui agli articoli da 95 a 100 della Convenzione) nel "Sistema di Informazione Schengen" e negli archivi nazionali di ricerca. Nel caso in cui questa prima "interrogazione" dia esito positivo, si procede ad una seconda interrogazione, questa rivolta agli Uffici S.I.RE.N.E. acronimo di Supplementary Information Request at the National Entry., che forniscono all’operatore di frontiera un «supplemento di informazione», cui consegue una certa condotta da seguire.
Nell’ambito del controllo approfondito si dovrà poi verificare che la persona, il suo veicolo e gli oggetti da essa trasportati non costituiscano un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale.
Ma al fine di prevenire ingressi abusivi nel territorio dell’Unione Europea – è logico che le persone in difetto ben raramente cercano di attraversare la frontiera per i varchi autorizzati, dove andrebbero incontro ad un sicuro controllo ma tentano di passare per l’aperto confine – le Forze di Polizia svolgono, altresì, una importantissima azione di vigilanza alle frontiere esterne, al di fuori dei valichi di frontiera.
Tale azione è assicurata da unità mobili che svolgono i loro compiti sotto forma di pattuglie o di postazioni in posti riconosciuti o su posti "sensibili", allo scopo di fermare le persone che attraversano illegalmente la frontiera. Per contrastare al massimo tale attraversamento illegale e combattere la criminalità transfrontaliera che organizza questo traffico clandestino, la sorveglianza è eseguita con cambiamenti frequenti e improvvisi della zona controllata, in modo da rendere l’attraversamento non autorizzato della frontiera un rischio permanente.
In tale contesto, assume particolare rilievo l’attività della Guardia di Finanza che, nel settore della vigilanza lungo la linea di confine terrestre c.d. "ideale" (cioè priva di ostacoli), ha un ruolo pressoché esclusivo.
Infatti, i reparti della G. di F. hanno tra i compiti istituzionali proprio quello di assicurare la vigilanza del confine "aperto" per finalità anticontrabbando, nonché per contrastare altri traffici illeciti che avvengono all’atto dell’attraversamento della frontiera.
Altrettanto fondamentale per impedire e reprimere l’ingresso clandestino di persone è l’azione svolta lungo il confine "aperto" marittimo. Infatti, il dispositivo di controllo alle frontiere terrestri è ulteriormente integrato da specifici piani di vigilanza in mare e sulle coste che vedono la partecipazione di tutte le forze di Polizia (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza) nonché delle Capitanerie di Porto e della Marina Militare, impegnate con uomini e mezzi nell’attività di contrasto al fenomeno dell’immigrazione illegale.
Sulla specifica materia è intervenuta, di recente, un’apposita direttiva del Ministro dell’Interno avente l’obiettivo di realizzare il migliore impiego delle risorse disponibili per l'azione di polizia sul mare, tenuto conto del rilievo delle condotte illecite ivi perpetrate (contrabbando, traffici di stupefacenti e di armi, emigrazione e immigrazione clandestina, ecc.) e, soprattutto, dell'accresciuta responsabilità dell'Italia a tutela della frontiera esterna comune dei Paesi aderenti all'accordo di Schengen.
Al riguardo, il provvedimento ministeriale prevede che, fermi restando i compiti e le relative responsabilità operative di ciascuna Forza di Polizia, le risorse navali della Guardia di Finanza concorrono con quelle della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri all'espletamento di servizi coordinati di controllo del territorio e di sicurezza delle frontiere marittime sul mare, nell'ambito delle pianificazioni operative predisposte dal Dipartimento della pubblica sicurezza, a norma dell'articolo 6 della legge n. 121 del 1981, e delle conseguenti direttive.

Il Sistema d'Informazione Schengen - SIS

L'art. 92 e segg. della Convenzione di Schengen ha previsto la creazione di una «banca dati informatizzata» accessibile a tutti gli Stati contraenti (c.d. Sistema d’informazione Schengen - SIS) contenente un complesso di informazioni idoneo ad agevolare i controlli di frontiera, di polizia e di dogana (e relativo fra l’altro alle persone ricercate per l’arresto a fine di estradizione, agli stranieri segnalati per motivi di ordine pubblico, alle persone implicate nella criminalità organizzata, ai beni ricercati a fini di sequestro personale).
Gli organi nazionali di collegamento con il S.I.S. sono denominati S.I.RE.N.E., acronimo di Supplementary Information Request at the National Entry., che forniscono all’operatore di frontiera un «supplemento di informazione», cui consegue una certa condotta da seguire.
Il S.I.S. è costituito da una sezione nazionale presso ciascun Paese aderente all’accordo (indicata come N-SIS) e da un’unità di supporto tecnico situata a Strasburgo (ed indicata come C-SIS). Ciascuna struttura (sia N-SIS che C-SIS) possiede una copia identica della base informativa. La base informativa del C-SIS costituisce il riferimento di tutto il sistema. È proprio il C-SIS che coordina e controlla l’aggiornamento in tempo reale di tutte le altre basi informative a partire dalla richiesta di un N-SIS.
L’unità N-SIS italiana dipende dal Ministero dell’Interno e coinvolge nel suo funzionamento i Ministeri di Grazia e Giustizia e degli Affari Esteri. Coerentemente alla struttura di ogni altro N-SIS, anche quello italiano è integrato da un Ufficio S.I.RE.N.E., dipendente dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale di Polizia Criminale.
Si tratta, in sostanza, di una struttura operativa che impegna il personale delle tre forze di polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza) in funzione 24 ore su 24.

Migliaia di terminali permettono nell'Area di Schengen di accedere in qualsiasi momento

al Sistema di Informazione (Keystone)

Inseguimento transfrontaliero

L’articolo 41 della Convenzione di Schengen consente di continuare sul territorio di un altro Stato contraente l’inseguimento di un evaso ovvero di una persona colta in flagranza o imputata di un grave reato (omicidio, stupro, incendio doloso, estorsione, sequestro di persona, tratta di persone, traffico di stupefacenti, di armi e di esplosivi).
L’inseguimento può essere effettuato anche in assenza di una preventiva autorizzazione da parte delle Autorità dello Stato sul cui territorio esso avviene; queste ne vanno però informate immediatamente (e comunque non oltre il momento in cui è attraversata la frontiera) e possono disporne la cessazione.
Se ne fanno richiesta gli agenti impegnati nell’inseguimento, le Autorità localmente competenti sono peraltro tenute a fermare la persona inseguita per verificarne l’identità e, se del caso, procedere al suo arresto.

  • Gli agenti impegnati nell’inseguimento:
  1. devono essere facilmente identificabili (in base all’uniforme o al bracciale di riconoscimento utilizzato o in base ai dispositivi luminosi montati sull’auto);
  2. non devono vestire abiti civili e contestualmente usare mezzi di "copertura";
  3. all’esito dell’inseguimento, devono presentarsi all’Autorità locale, redigere un rapporto sull’attività svolta e, se richiesti, restare a disposizione per ogni esigenza di giustizia.
  4. possono portare le armi di ordinanza, ma possono farne uso solo per legittima difesa.

L’inseguimento può avvenire attraverso la frontiera terrestre o marittima e non consente l’ingresso nei domicili e nei luoghi non aperti al pubblico.
In via generale, la Convenzione, che vieta agli agenti impegnati nell’inseguimento di procedere autonomamente al fermo dell’inseguito, consente di derogarvi quando ricorrono situazioni particolari, che, tra l’altro, non consentono alle autorità locali di intervenire tempestivamente.

In merito, la disciplina relativa alle modalità di esecuzione - in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del citato Accordo di Adesione e, comunque, limitatamente al solo diritto di inseguimento attraverso la frontiera comune italo-francese -, è stata prevista nei rapporti tra Italia e Francia secondo due dichiarazioni unilaterali dei rispettivi Governi, di contenuto sostanzialmente identico, in virtù delle quali:

  1. gli agenti inseguitori non disporranno del diritto di fermo (interpellazione, nel testo francese);
  2. gli inseguimenti potranno effettuarsi entro un raggio di 10 chilometri nel territorio dell’altra Parte oltre la frontiera;
  3. gli inseguimenti potranno effettuarsi nel caso di commissione di uno dei reati enunciati all’articolo 41, paragrafo 4, punto a) della Convenzione.

Anche quando è consentito, il fermo ha comunque effetto solo fino al momento in cui le Autorità locali non hanno potuto verificare l’identità della persona inseguita o hanno proceduto al suo arresto.
Nell’ipotesi di fermo, gli agenti "inseguitori" possono far uso di manette, sequestrare gli oggetti in possesso del "fermato" ed effettuare la sua "perquisizione di sicurezza".
Per la Guardia di Finanza, secondo gli artt. 2 e 3 dell’Accordo di Adesione alla Convenzione, l’esercizio dell’osservazione e dell’inseguimento è stato limitato agli illeciti relativi alla falsificazione di denaro, al traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope, al traffico di armi e esplosivi nonché al trasporto di rifiuti tossici e nocivi, mentre per la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri è stata considerata una competenza piena per i reati previsti dagli artt. 40 e 41 della Convenzione.

 

Trattato di Amsterdam

Nel corso degli ultimi anni, la crescita intensa dei flussi migratori verso gli Stati europei ha messo in evidenza la necessità di adottare una politica comune in materia di immigrazione e asilo e di avviare un processo di cooperazione tra i vari Paesi.
Le basi di tale politica comune sono state poste durante il "Consiglio Europeo di Amsterdam", tenutosi nel giugno del 1997. In quella occasione, con la stesura del Trattato omonimo, sono state introdotte alcune novità che hanno portato alla redazione del Titolo IV del Trattato che istituisce la Comunità Europea (Trattato CE), dedicato a Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone (artt. 61-69).
Le nuove disposizioni prevedevano che entro un periodo di cinque anni a decorrere dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (cioè a partire dal 1 maggio 1999), il Consiglio dell'Unione Europea definisse norme e procedure minime, comuni a tutti gli Stati membri, in materia di controllo delle frontiere esterne (cioè con Paesi terzi, ossia qualunque Stato diverso da quelli aderenti a Schengen), ingresso, soggiorno (sia di breve sia di lunga durata), contrasto all'immigrazione clandestina e rimpatrio dei cittadini irregolari. Era inoltre prevista l'adozione di norme comuni relative alla politica di asilo e alla cooperazione giudiziaria e amministrativa.
In seguito agli eventi dell' 11 settembre 2001, tuttavia, la scadenza fissata ad Amsterdam è stata rivista e gli obiettivi inizialmente previsti sono stati ridefiniti. La priorità della lotta al terrorismo ha imposto di riservare maggiore attenzione al contrasto dell'immigrazione clandestina e al controllo delle frontiere esterne, e ha collocato in secondo piano tutti gli altri interventi, che sono ancora in fase di definizione.

I flussi di immigrazione illegali

Il Corpo delle Capitanerie di porto: attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare

Il nostro Paese, come ben sappiamo, per la sua posizione centrale nel Mediterraneo è un naturale crocevia di traffici, leciti ed illeciti, che si dispiegano lungo  le  rotte marittime. In particolare  è  il traffico  di  clandestini  che  si sta configurando come il più lucroso ma anche il più infimo, in quanto sfrutta la disperazione della gente. I flussi migratori sono oggi un fenomeno molto preoccupante, in quanto “le migrazioni clandestine si svolgono quasi sempre con modalità e mezzi tali da mettere in pericolo la vita stessa di coloro che, per necessità, cercano fortuna al di fuori del loro paese”.
La quasi totalità degli ingressi clandestini (a parte il caso del confine italo-sloveno e di pochi ingressi tramite via aerea) avviene infatti sulle nostre coste a bordo delle cosiddette “carrette” del mare. Il crescente flusso migratorio clandestino che attraversa le nostre frontiere marittime richiede quindi al personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, unitamente alle FF.AA. e alle Forze di polizia, un ulteriore sforzo per fronteggiare i conseguenti problemi di soccorso e ordine pubblico.
Per fronteggiare la situazione il Comando Generale delle Capitanerie di Porto ha disposto l’impiego di numerosi mezzi navali. Di recente, in base a quanto disposto in materia di contrasto all’immigrazione clandestina dal D.M. 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all'immigrazione clandestina) è stata configurata con precisione l’attività di vigilanza, prevenzione e contrasto via mare a tale fenomeno.

L’art. 1 della legge assegna le «attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell'immigrazione clandestina via mare», a norma dell'art. 12 del Testo Unico di cui al D.lgs 25 Luglio 1998, n. 286, di seguito denominato «testo unico» ai mezzi aeronavali della marina militare, delle Forze di polizia e delle Capitanerie di porto, lasciando però il raccordo degli interventi operativi in mare e i compiti di acquisizione ed analisi delle informazioni alla direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.

Nell’art. 2 vengono delineate le «fasi» attraverso cui si sviluppa l’attività di prevenzione e contrasto, prima di tutto si cerca di intervenire diplomaticamente direttamente nei Paesi di origine dei flussi con l’obiettivo di prevenire il fenomeno. In acque internazionali invece si interviene attraverso l’esercizio dei "poteri di polizia dell’alto mare", diretti al monitoraggio, alla sorveglianza, alla individuazione, al controllo degli obiettivi navali in navigazione ed all’accertamento di flussi migratori clandestini utilizzando i mezzi aeronavali della Marina Militare, del Corpo delle Capitanerie di Porto e della Guardia di Finanza.
Nelle "acque territoriali" infine, l’intervento è diretto all’attività istituzionale delle forze di polizia, diretta alla repressione dei reati ed alla scoperta delle connessioni con le organizzazioni transnazionali che gestiscono il traffico illecito, ed è svolto con unità e mezzi navali in servizio di polizia, con il concorso se necessario della marina Militare.
Nel caso cui dovesse presentarsi la necessità di intervenire in soccorso di una di queste unità, sempre l’art. 2 riafferma le competenze del Corpo delle Capitanerie di Porto in materia di salvaguardia della vita umana in mare e conferma il coordinamento degli interventi di soccorso. C’è da notare che, purtroppo, questo aspetto ha portato a situazioni in cui, sempre più spesso, ogni unità che effettui il traffico di clandestini si dichiari in stato di emergenza, trasformando così l’immigrazione clandestina in una situazione SAR (Search and Rescue) a cui solo il Corpo delle Capitanerie di porto è chiamato per legge ad intervenire per prestare soccorso.

  • Le attività in mare di cui abbiamo accennato sopra, possono assumere il carattere di:
  1. intervento di soccorso, quindi S.A.R.;
  2. di semplice sorveglianza, che si realizza con la raccolta di dati operativi provenienti dai radar di scoperta costiera della marina Militare, con un’incessante opera di pattugliamento effettuata con unità navali e con aeromobili di marina, Capitanerie e Guardia di Finanza ed infine con la valorizzazione delle informazioni provenienti da altri comandi operativi internazionali operanti nel bacino del mediterraneo (es. Malta);
  3. di intervento di polizia giudiziaria vero e proprio.

Quest’ultimo è attribuito in via prioritaria alle Forze di polizia secondo i piani regionali, di coordinata vigilanza nelle acque territoriali ed interne, aspetto questo abbastanza contorto in quanto, esistendo già il Corpo delle Capitanerie di Porto che svolge anche funzioni di polizia giudiziaria e può intervenire per espletare funzioni di P.G., non si riesce a capire per quale motivo altri corpi di polizia debbano svolgere quest’attività in un ambiente a loro poco congeniale, come quello marino.
In acque internazionali, l’art. 5 della legge ci dice che deve essere “assicurata una costante attività di vigilanza” per localizzare, identificare e tracciare le unità sospette, per far ciò bisogna ricorrere principalmente ai mezzi aerei che garantiscono la copertura di una più vasta superficie e grazie anche ai sistemi moderni di tracciamento una maggiore riservatezza.
In questi casi è CINCNAV che assume il coordinamento operativo, svolge l’attività di raccordo delle fasi di pianificazione dell’attività con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Centrale Operativa) e dirama ai mezzi coinvolti le direttive di intervento, difatti i mezzi aeronavali delle Capitanerie di Porto e delle altre Forze di polizia, devono stabilire collegamenti radio con le unità della marina.
Nelle acque territoriali e nella zona contigua l’attività di vigilanza, controllo e contrasto al traffico di clandestini, ai sensi dell’art. 6 della legge, viene svolta dalle unità delle Forze di polizia, mentre le unità della marina e delle Capitanerie di Porto concorrono a tale attività con la tempestiva comunicazione dell’avvistamento di unità in arrivo, in attesa dell’intervento delle Forze di polizia.
Nell’art. 7 della legge vengono infine delineate, al verificarsi di una delle qualsiasi operazioni citate, nel caso che la nave sospetta sia in effetti malintenzionata, un caso di "inseguimento transfrontaliero", principalmente se ci si trova in acque internazionali dove, lo ricordiamo, può essere esercitato il “diritto di visita”, previa autorizzazione del paese di bandiera. Si tratta comunque di una eventualità remota, perché sappiamo che i cosiddetti scafisti abbandonano le loro vittime prima di raggiungere la costa o per sfuggire alla cattura si mimetizzano con gli altri clandestini, comunque le unità con cui essi giungono sulle nostre coste, soprattutto negli ultimi anni, non sono quasi mai idonei alla navigazione, tantomeno per un inseguimento.

 

Traffico illecito di stupefacenti

L’illecito consiste nel detenere a bordo di una nave mercantile (nella cui nozione rientrano ovviamente le unità della flotta lusoria) sostanze stupefacenti o psicotrope al fine di fabbricarle, distribuirle, trasportarle, trasbordarle o venderle. Esso è, come naturale, perseguibile nelle acque marittime interne, nelle acque territoriali e nella zona contigua secondo la legislazione nazionale dello Stato costiero; la sua commissione in queste zone giustifica anche l’esercizio del «diritto di inseguimento».
In alto mare tale illecito non costituisce viceversa, allo stato attuale del diritto internazionale, un illecito internazionale (crimen juris gentium) con la conseguenza che non è perseguibile né dalle navi da guerra, né dalle navi in servizio governativo, né dagli aeromobili militari aventi bandiera diversa della nave che effettua il traffico di droga.

Poteri di intervento in alto mare, in presenza di casi del genere, sono invece riconosciuti alle "unità militari", soltanto ove ciò:

  • sia previsto da un apposito accordo bilaterale, come nel caso del trattato tra l’Italia e la Spagna del 23.3.1990 per la repressione del traffico di sostanze stupefacenti che riconosce poteri di enforcementalle unità militari delle due parti nei confronti di navi mercantili dell’altra parte;
  • sia stato autorizzato dallo Stato di bandiera della nave dedita all’attività illecita, nell’ambito di una richiesta di collaborazione rivolta agli altri stati (UNCLOS 108);
  • sia stato concesso dallo Stato di bandiera della nave incriminata, su esplicita richiesta dello Stato che intende far intervenire proprie unità militari per stroncare il traffico illecito. La normativa di riferimento per questo caso è costituita dall’art. 17 della Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope adottata a Vienna il 20.12.1988;
  • derivi dal fatto che la nave sospetta di attività illecite, a seguito di accertamenti svolti presso lo Stato cui dichiara di appartenere, risulti non autorizzata a battere bandiera e, quindi, debba considerarsi priva di nazionalità.

Un‘iniziativa concreta intesa a rafforzare gli sforzi della comunità internazionale per contrastare il traffico di droga in mare è stata assunta dal Consiglio d’Europa con l’Accordo di Strasburgo del 31 gennaio 1995, «Agreement on Illicit Traffic by Sea, implementing article 17 of the United Nations Convention against Illicit Traffic in Narcotic Drugs and Psychotropic Substances» riportato in Annesso E.
Esso è applicativo dell’art. 17 della Convenzione di Vienna del 1988 e, senza introdurre sostanziali varianti al regime consensuale del diritto di visita codificato nella Convenzione del Diritto del Mare del 1982, si limita a introdurre misure per facilitare la cooperazione tra i Paesi aderenti al Consiglio d’Europa (Organizzazione garante della sicurezza democratica basata sul primato del diritto, che è distinta dall’Unione Europea ma di cui fanno tuttavia parte tutti i Paesi che compongono l’Unione).

Di rilievo sono le disposizioni dell’Accordo che prevedono la possibilità per gli Stati parte di:

  1. intervenire in alto mare nei confronti di mercantili senza bandiera (Nazionalità della nave) sospetti di essere coinvolti nel traffico di droga;
  2. esercitare giurisdizione verso tali navi «stateless»;
  3. usare la forza «minima necessaria» durante le azioni di fermo e abbordaggio tenendo conto che «The use of firearms against, or on, the vessel shall be reported as soon as possible to the flag State»;
  4. richiedere l’assistenza di altri Stati parte, con il consenso dello Stato di bandiera, per il dirottamento di navi che, a seguito di visita in mare, risultino implicate nell’illecito. Un ulteriore esempio di cooperazione regionale è quello adottato dai Paesi caraibici (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Olanda compresi) con l’«Agreement concernine co-operation in suppressing Illicit Maritime and Air Trafficking in Narcotic Drugs and Psychotropic Substances in the Caribbean Area of 10 April 2003» (così detto Aruba Agreement)

La legislazione italiana sulla disciplina degli stupefacenti (D.P.R. 9.10.1990, n.309, art. 99) stabilisce in materia, nel quadro della normativa suindicata, che:

  • la nave italiana da guerra o in servizio di polizia, che incontri nel mare territoriale o in alto mare una nave nazionale, anche da diporto, che si sospetta essere adibita al trasporto di sostanze stupefacenti o psicotrope, può fermarla, sottoporla a visita e a perquisizioni del carico, catturarla e condurla in un porto dello stato o nel porto estero più vicino, in cui risieda un’autorità consolare;
  • gli stessi poteri possono esplicarsi su navi non nazionali nelle acque territoriali e, al di fuori di queste, nei limiti previsti dalle norme dell’ordinamento internazionale quando ricorrano i presupposti per l’esercizio del diritto di inseguimento;
  • le disposizioni su menzionate si applicano, in quanto compatibili, anche agli aeromobili militari.


 

Elementi di tanatologia forense

Particolare importanza assume, nell’ambito dell’attività investigativa volta alla risoluzione, nel caso di «rinvenimento di un cadavere», l’attività tecnico-scientifica diretta a stabilire l’epoca della morte.
La «Tanatologia»
(dal greco θάνατος, thànatos - "morte", e λόγος, lògos - "discorso" o "studio") ha il compito di studiare i fenomeni della morte ed i cambiamenti di ordine fisico, chimico e morfologico che si svolgono sul cadavere. In particolare, la “tanatologia forense” è quel capitolo di tale disciplina che studia il cadavere in relazione alle esigenze giudiziarie, amministrative e professionali connessi all’avvenimento stesso della morte.
Si tenga presente che la morte non è un atto che si completa nell'immediato, ma è prolungata nel tempo, con la vita che continua in organi e apparati anche a decesso avvenuto, in modo a noi impercettibile. È proprio su questo principio che si basa la progressione dei fenomeni cadaverici.
Tali cambiamenti fenomenici avvengono nella struttura del corpo e, quando possono essere osservati dall'esterno, come avviene in sede di sopralluogo e autopsia, vengono definiti «segni».

  • Ad esempio, la rigidità cadaverica che si riscontra nel cadavere è un segno. Responsabile di tale rigidità è tuttavia un complesso di fenomeni non osservabili direttamente (cito solo uno di questi fenomeni alla base del segno rigidità: la degenerazione dei legamenti muscolari di actina-miosina, provocata dalla scomparsa dell'acido adenosintrifosforico, detto anche ATP, con conseguente blocco muscolare in uno stato di accorciamento).

I fenomeni cadaverici comprendono l’insieme dei cambiamenti della struttura organica e dello stato fisico-chimico, cui va incontro il corpo dopo la morte. A scopo didattico essi vengono suddivisi in tre gruppi:

  1. abiotici (immediati e consecutivi)
  2. trasformativi (distruttivi e speciali)

I fenomeni sono detti «abiotici» quando dipendono dalla cessazione delle attività vitali; ecco perché i segni che li rivelano all'osservatore sono "negativi".
Si differenziano dai fenomeni «trasformativi», che determinano modificazioni importanti del cadavere. I segni che li rivelano sono pertanto detti "positivi".

Di seguito, uno schema riassuntivo del loro significato e del periodo di comparsa, tenendo sempre presente che ci sono molte variabili, intrinseche (del corpo) ed estrinseche (dell'ambiente) che si combinano tra loro in vario modo, così da non rendere sempre attendibile la cronologia riportata (da intendersi dunque come parametro medio a condizioni standard).

► Classificazione dei fenomeni cadaverici

  Abiotici immediati:

  1. perdita della coscienza
  2. perdita della sensibilità
  3. perdita della motilità
  4. perdita del tono muscolare
  5. cessazione del circolo
  6. cessazione del respiro

  Abiotici consecutivi:

  1. raffreddamento
  2. disidratazione
  3. ipostasi
  4. acidificazione
  5. eccitabilità neuromuscolare
  6. rigidità cadaverica

  Trasformativi distruttivi:

  1. autolisi
  2. autodigestione
  3. putrefazione

  Trasformativi speciali:

  1. macerazione
  2. mummificazione
  3. saponificazione
  4. corificazione

 

 

Fenomeni abiotici immediati

I «fenomeni abiotici immediati» fanno parte integrante della fenomenologia della morte e rappresentano i primi segni esteriori della morte stessa, mostrando lo stato in cui viene a trovarsi il corpo subito dopo la cessazione delle attività vitali. I fenomeni sono detti "abiotici" quando dipendono dalla cessazione delle attività vitali; ecco perché i segni che li rivelano all'osservatore sono «negativi».

La "perdita della coscienza" e delle "altre facoltà cerebrali superiori" è il primo e più evidente dei fenomeni che si manifestano al momento della morte.
La "abolizione della sensibilità generale e specifica" è un altro aspetto indicativo del cessare della funzione autonoma del sistema nervoso centrale e pari significato hanno la "perdita della motilità volontaria" e il "rilassamento del tono muscolare".

L’arresto della respirazione polmonare e dell’attività cardio-circolatoria, con la fenomenologia che ne consegue, completa il quadro dei segni indicativi della realtà della morte.

  • Generalmente per risolvere il quesito sulla "cronologia" della morte rivestono particolare importanza:
  1. raffreddamento del cadavere
  2. rigidità cadaverica
  3. ipostasi
  4. vari stadi della putrefazione
  • In presenza di un "corpo umano inanimato", sottoposto ad indagine giudiziaria, si pongono i seguenti quesiti:
  1. realtà della morte;
  2. epoca alla quale questa risale;
  3. causa della morte;
  4. mezzi che l’hanno prodotta;
  5. identificazione del soggetto divenuto cadavere.

Tali quesiti, di regola, vengono risolti dal Magistrato inquirente al perito Medico legale. L’ Ufficiale di polizia giudiziaria, tuttavia, deve conoscere la sintomatologia ed i procedimenti che consentono di fornire la risposta ai quesiti proposti in modo da poter intervenire efficacemente nelle prime indagini rilevando i dati (immediati) utili agli accertamenti medico-legali, che in genere sono successivi.

  • La morte può essere accertata con sicurezza soltanto ad una certa distanza dal decesso. Infatti, appena cessate le funzioni fondamentali della vita, l’accertamento può basarsi solo sui “sintomi apparenti di morte”, quali:
  1. perdita della coscienza (il soggetto chiamato non risponde),
  2. insensibilità (il soggetto stimolato non reagisce)
  3. immobilità (mancanza di riflessi nervosi);
  4. cessazione della respirazione (assenza dei movimenti inspiratori e espiratori, se si avvicina alla bocca uno specchio od un vetro terso, questo non si appanna);
  5. cessazione della circolazione (mancanza dei battiti del poso e del cuore).

Nonostante la constatazione di questi fatti di rilievo immediato, dei dubbi più o meno fondati possono comunque sorgere sulla realtà della morte. Può esistere, infatti, la possibilità di stati "catalettici" che possono ridurre le più appariscenti manifestazioni vitali a minime espressioni di difficile rilievo ma dai quali l’organismo potrebbe riaversi.

Sono, invece, sintomi reali di morte i fenomeni "abiotici consecutivi" (il raffreddamento, la disidratazione, l’ipostasi,
l’irrigidimento muscolare) e quelli "trasformativi" (la putrefazione, la macerazione, la saponificazione e la mummificazione).

 

 

 

Fenomeni abiotici consecutivi

I fenomeni cadaverici comprendono l’insieme dei cambiamenti della struttura organica e dello stato fisico-chimico, cui va incontro il corpo dopo la morte.
Sono sintomi reali di morte i fenomeni «abiotici consecutivi» (il raffreddamento, la disidratazione, l’ipostasi, l’irrigidimento muscolare). I fenomeni sono detti "abiotici" quando dipendono dalla cessazione delle attività vitali; ecco perché i segni che li rivelano all'osservatore sono «negativi».

 

 

  • Raffreddamento del cadavere

Con il cessare delle atttività produttive di calore (termogenesi), il cadavere va incontro ad un progressivo abbassamento della temperatura, la quale si disperde attraverso la superficie del corpo, fino a livellarsi con quella dell’ambiente esterno. Il raffreddamento inizia, in genere, dopo alcune ore dal decesso mediante la perdita di un grado ogni ora. Verso la 22° - 23° ora dal decesso il cadavere raggiunge la temperatura dell’ambiente. Questa osservazione può permettere di determinare approssimativamente l’ora della morte (entro le prime 24 ore) mediante il rilievo della temperatura del cadavere con appositi termometri rettali a squadra in dotazioni ai Comandi delle Forze di polizia.
Non è di questa sede lo studio analitico della c.d. curva di raffreddamento del cadavere, dato che numerose condizioni estrinseche ed intrinseche al cadavere possono determinare sensibili modifiche all’andamento della curva stessa.
Tra le condizioni estrinseche (ossia dipendenti dall’ambiente) si pone la temperatura, l’umidità ambientale e l’acqua, la ventilazione, l’inverno e l’estate mentre tra quelle intrinseche (es. stato febbrile, l’adiposità, l’ipertonia, gli stati algidi, l’età -cadaveri dei bambini si raffreddano più rapidamente) in cui si trovava il soggetto al sopraggiungere della morte.
In alcuni casi, poi, il raffreddamento si può trasformare dal fenomeno abiotico consecutivo in fenomeno abiotico immediato. In tali casi il cadavere si raffredda immediatamente subito dopo il decesso (es. morte per scannamento a causa della perdita di sangue; morte per anemia acuta).

  • Disidratazione

L’arresto della circolazione sanguigna e linfatica fa sì che i tessuti non vengono riforniti di liquidi e ciò porta all’essiccamento della cute e di altri tessuti.
L’essiccamento cutaneo compare alcune e dopo la morte dove l’epidermide è più sottile come lo scroto, le pinne nasali e le labbra.
Evidenze della disidratazione sono le modificazioni del bulbo oculare (tanatoftalmologia) apprezzabili dopo 12-24 ore dalla morte:

  1. Segno di Louis: diminuita tensione endoculare e l’afflosciamento del bulbo;
  2. Tela di Winslow: opacamento della cornea con sfaldamento dell’epitelio;
  3. Macchia nera di Sommer: comparsa delle macchie nere agli angoli degli occhi dovute al trasparire del pigmento della coroide per disseccamento della sclera quando le palpebre restano aperte.
  • Perdita dell’eccitabilità neuromuscolare

È tra i fenomeni della vita residua. La perdita di questa proprietà fondamentale dell’organismo vivente costituisce un fenomeno cadaverico abiotico, di comparsa consecutiva. La perdita dell’eccitabilità neuromuscolare è collocabile tra i segni certi della morte, mentre meno sicuri sono i criteri di tanatocronologia fondati su tale fenomeno.

  • Acidificazione

Nell’organismo vivente i tessuti ed i liquidi hanno reazione leggermente alcalina. Nel cadavere, invece, la reazione dei liquidi e dei tessuti diviene nettamente acida, fenomeno significativo che è dovuto all’arresto delle ossidazioni organiche e nell’accumulo di cataboliti nei tessuti, particolare dell’acido lattico che deriva dalla glicolisi post-mortale.
L’acidificazione inizia assai presto e si completa tra le 4 e 7 ore dopo la morte. L’acidità cadaverica cessa con il sopraggiungere della putrefazione, che provoca l’alcalinità dei tessuti.

  • Ipostasi (o macchie ipostatiche)

Col cessare della circolazione il sangue per forza di gravità, si sposta nelle regioni declivi del cadavere e riempie i vasi del derma che si dilatano passivamente facendo comparire nella cute una colorazione rosso vinosa (Vedi figura).
La sede delle ipostasi (macchie ipostatiche) varia a seconda della posizione del corpo: nella posizione supina, esse, si formano alla nuca, alle orecchie, al dorso e alla faccia posteriore degli arti; nella posizione prona, le ipostasi sono ventrali; nel decubito laterale esse compaiono nell’emisoma venuto a trovarsi in posizione declive.
Negli impiccati si formano nelle parti distali degli arti, disposte a guanto o a calzino.
Si formano anche le ipostasi paradosse (in sede epistatica) per spostamento dl sangue dovuto alla residua attività contrattile delle arteriole.
Il tempo di comparsa è variabile. In genere le postasi iniziano a comparire circa mezz’ora dopo la morte ma sono ancora tenui, scarse e rosa pallido; cominciano a confluire e a rendersi evidenti dopo 4-6 ore e raggiungono la massima estensione e intensità tra la 12° e la 18° ora. Sono precoci ed intense negli stati di fluidità del sangue (asfissie acute, morte improvvisa, avvelenamento da anticoagulanti); sono tardive e scarse nella rapida coagulazione del sangue (ustioni), nelle disidratazioni, e nella morte per dissanguamento.

  • Cronologicamente il fenomeno si vide in tre fasi:
  1. fase di migrazione totale (prime 6-8 ore) durante la quale le ipostasi si attenuano fortemente o scompaiono dalla sede dove si sono inizialmente formate e compaiono nella nuova sede divenuta declive;
  2. fase di migrazione parziale (8-12 ore) o di fissità relativa in cui spostando il cadavere le macchie ipostatiche primitive impallidiscono ma non scompaiono del tutto, mentre nuove ipostasi si formano tenui nelle nuove zone declivi.
  3. fase di fissità assoluta ( 15 ore) resta immodificata l’ipostasi primitiva e non si formano nuove ipostasi.

Il colore delle ipostasi, normalmente rosso vinoso, assume tonalità cianotica nelle morte asfittiche, rosso vivo nell’avvelenamento da CO, per formazione di carbossi-emoglobina, rosso acceso nell’avvelenamento da cianuri.
Le ipostasi sono rosso rosee nei cadaveri di annegati, di sommersi, di assiderati; quando sopraggiunge la putrefazione le macchie ipostatiche assumono colore verdastro; negli stati putrefattivi più avanzati divengono brunastre per la trasformazione dell’emoglobina in metaemoglobina e in ematina.

 

 

  • Irrigidimento muscolare (rigidità cadaverica)

Subito dopo la morte la muscolatura scheletrica perde il tono vitale e l’intero corpo assume un atteggiamento di completo abbandono.
La rigidità cadaverica compare in genere dopo tre/quattro ore dal momento della morte. Evidenziandosi, dapprima, nei muscoli della mandibola ed in quelli mimici del viso, poi nei muscoli della nuca, in quelli degli arti superiori e del tronco ed infine nei muscoli degli arti inferiori, pur non essendo rare possibili anomalie nella diffusione del c.d. rigo mortis. Come già detto a proposito del raffreddamento del cadavere, anche qui influiscono fattori intrinseci (grado di sviluppo muscolare, età dell’individuo, il genere di morte, ecc.) ed estrinsechi (temperatura ambientale, umidità e ventilazione).

Agli effetti dell’indagine giudiziaria è necessario tener presente che l’instaurazione progressiva del fenomeno permette di individuare tre periodi distinti: La rigidità cadaverica segue infatti un ordine nell’insorgenza e nella scomparsa attraverso tre fasi secondo la legge di Nysten:

  1. fase di insorgenza (periodo di invasione): la rigidità si rende evidente dapprima nei muscoli della faccia 2-3 ore dopo la morte; si estende ai muscoli della nuca, agli arti superiori, al tronco, infine agli arti inferiori e si completa dopo 12-24 ore seguendo un ordine cranio-caudale;
  2. fase di stabilizzazione (periodo culminante): l’irrigidimento totale del corpo si mantiene stazionario per circa 36-48 ore dalla morte;
  3. fase di risoluzione (periodo di risoluzione): la rigidità comincia a risolversi gradualmente seguendo lo stesso ordine (cranio caudale) dopo 72-84 ore.

Secondo i moderni orientamenti la rigidità cadaverica è ritenuta una forma speciale di contrazione muscolare in cui avrebbe un ruolo determinante all’ATP: quando questo componente scompare dopo la morte si avrebbe la gelificazione dei filamenti di miosina e di actina con la formazione di un’acto-miosina insolubile che manterrebbe le fibre muscolari in uno stato di rigidità. La risoluzione spontanea della rigidità cadaverica si avrebbe quando l'autolisi post-mortale e l'iniziale putrefazione provocano la lisi dei miofilamenti e il distacco dell'actina dalla miosina, col risultato di un completo e definitivo rilasciamento della rigidità post-mortale.

La rigidità cadaverica può essere influenzata da numerosi fattori :

  1. Fattori intrinseci: l'età, lo sviluppo delle masse muscolari il genere di morte influenzano l’insorgenza del rigor. È tenue e di breve durata nei neonati. Insorge prima, ma è meno intensa e più breve negli individui cachettici e defedati. In tutti gli stati di iperattività muscolare (convulsioni, tetano, l'epilessia, l'asfissia acuta) la rigidità è intensa e precoce.
  2. Fattori estrinseci : temperatura, l'umidità e la ventilazione dell'ambiente. Le basse temperature ritardano la comparsa e la diffusione della rigidità, ma ne favoriscono l'intensità e la durata; al contrario, le temperature elevate ne anticipano la comparsa ma ne accelerano la risoluzione.

La rigidità cadaverica, vinta meccanicamente forzando il movimento delle articolazioni, si ripristina dopo le prime ore dalla morte, poi non più: ciò può accadere per le manipolazioni impresse al cadavere durante le manovre di trasporto o di vestizione.

  

Fenomeni trasformativi distruttivi

I fenomeni cadaverici comprendono l’insieme dei cambiamenti della struttura organica e dello stato fisico-chimico, cui va incontro il corpo dopo la morte. I fenomeni «trasformativi» determinano modificazioni importanti del cadavere. I segni che li rivelano sono pertanto detti "positivi".

  • Autolisi e autodigestione

L’autolisi prende avvio quando cessano nella cellula le attività della vita residua e comincia l'acidificazione del mezzo ambiente. Questa autodistruzione avviene a opera degli enzimi endocellulari, contenuti nei lisosomi, i quali distruggono le strutture fondamentali della cellula, modificandone l'aspetto.
Al microscopio è possibile osservare: vacuolizzazione e granulosità del citoplasma, picnosi e disfacimento del nucleo nonché rottura della membrana cellulare. L'autolisi è presente in tutti gli organi, ma in particolare la mucosa gastrica, il pancreas e la midollare surrenale.
Oltre l'autolisi, nel cadavere avvengono processi di autodigestione vera e propria, dovuta ai fermenti proteolitici e lipolitici contenuti nei succhi gastrico e pancreatico. Avvenuta la morte, questi succhi attaccano le cellule devitalizzate iniziando dagli organi in cui essi sono prodotti e poi interessando quelli vicini.

  • Putrefazione

Questo dato tanatologico si evidenzia come fenomeno di trasformazione cadaverica dovuto all’attività di particolari fattori che distruggono la materia organica, così da scinderla in composti chimici più semplici quali l’acqua, l’anidride carbonica. In determinate circostanze la putrefazione viene sostituita da anomale trasformazioni del cadavere, quali:

  1. macerazione (tale processo si svolge soltanto quando il cadavere non contiene germi putrefattivi, dissolvendosi all’infuori della loro influenza a causa di fenomeni di autolisi);
  2. mummificazione (il cadavere si presenta con la pelle secca, di colore giallo, con consistenza di cuoio o di pelle nera, con i tessuti sottostanti fortemente disidratati, la cui caratteristica va rinvenuta nello stato di grande leggerezza del cadavere);
  3. saponificazione (processo trasformativo che avviene in particolari condizioni d’ambiente, ad esempio quando il cadavere si trova sommerso o inumato in terreno umido o sommerso, assistendosi ad una trasformazione degli acidi grassi, che infiltrano la cute in saponi agevolati dalla loro combinazione con basi alcaline di natura terrosa di origine ambientale).

Il meccanismo putrefattivo consiste nella degradazione e decomposizione dei tessuti ad opera di germi anaerobi e aerobi, i cui enzimi provocano la fermentazione putrida dei tessuti stessi con formazione di gas.
I germi, in prevalenza anaerobi, sono per gran parte ospiti abituali dell’intestino, dove vivono come saprofiti; altri batteri provengono dall'esterno e penetrano nel cadavere attraverso le aperture naturali o le eventuali soluzioni di continuo della cute.
I principali microrganismi della putrefazione appartengono al gruppo dei B. perfrigens, dei putrifici, dei clostridi, dei protei, dei cocchi e dei coli, i quali, superata la parete intestinale, si diffondono a tutto il corpo.
Per azione dei germi vengono scisse le proteine, che sono degradate a peptidi, aminoacidi, amine libere e gas (idrogeno solforato, ammoniaca, azoto e altri gas putrifici). Dalla decomposizione putrefattiva delle sostanze organiche si formano, composti basici azotati, dette ptomaine.

► La putrefazione è influenzata da fattori di diversa natura:

Tra i fattori intrinseci si ricordano: l’età, (la putrefazione è rallentata nei feti per la sterilità del canale digerente); la costituzione fisica (la putrefazione è più rapida nei soggetti pletorici rispetto a quelli magri poiché la quantità di liquidi nei tessuti).
Importante è il genere di morte poiché la putrefazione è precoce e rapida nei soggetti defedati ed in deceduti a seguito di infezioni settiche.
Anche le morti asfittiche accelerano i processi putrefattivi poiché lo stato fluido del sangue favorisce la moltiplicazione e la diffusione dei germi.
Per contro, vi sono cause di morte che ritardano la putrefazione (morte per anemia acuta, terapia antibiotica ).
Tra i fattori estrinseci va ricordata la temperatura ambientale: quella compresa tra i 25° e i 35 °C è ottimale per lo sviluppo dei germi putrefattivi. L'influenza delle condizioni ambientali, climatiche e stagionali è stata compendiata nella regola seguente: il grado di putrefazione raggiunto in un'ora nel periodo estivo equivale a quello di un giorno nel periodo invernale.
È nota la formula (x = 1,2,8) enunciata così da Casper: se il grado di putrefazione di un cadavere esposto all'aria in condizioni medie richiede tempo 1, questo tempo sarà del doppio quando il cadavere è stato sott'acqua e sarà 8 volte maggiore se il cadavere è stato sotto terra.

 

 

 

► Il processo della putrefazione viene suddiviso in quattro periodi o stadi:

  1. cromatico,
  2. enfisematoso,
  3. colliquativo
  4. di riduzione scheletrica.

Periodo Cromatico: detto così a causa della colorazione verde assunta dalla superficie cutanea del cadavere. Il processo colorativo inizia in sede iliaca destra, corrispondente all'intestino cieco, dove maggiormente pullulano i germi putrefattivi. La macchia verde compare mediamente tra le 18 e le 36 ore dalla morte. La colorazione verde putrefattiva è dovuta alla presenza di idrogeno solforato, prodotto dalla scissione delle sostanze proteiche, il quale si diffonde nei tessuti e si combina col pigmento ematico liberato dalla lisi dei globuli rossi, formando la solfometaemoglobina, cui è dovuta la tinta verde.
Dalla sede ileo-cecale la macchia verde si estende alla parete addominale, poi al tronco, alla testa e agli arti, seguendo il decorso dei vasi venosi superficiali, che si rendono evidenti in forma di arborizzazioni di colorito rosso scuro e poi verdastro (reticolo venoso putrefattivo) alla cui formazione contribuisce lo sviluppo dei gas che dilata i vasi e spinge il sangue verso le aree periferiche.

Periodo Enfisematoso: (3-4 giorni d’estate, 7 giorni d’inverrno) così definito per la formazione dei gas putrefattivi (azoto, idrogeno libero e solforato, anidride carbonica, etc.) ad opera dei germi anaerobi.
In tal modo il cadavere è sottoposto a una distensione notevole, che ne modifica profondamente l'aspetto esteriore. L'addome è tumido, timpanico e di forma batraciana; il volto è tumefatto, le palpebre e le labbra sono rigonfie, i bulbi oculari e la lingua protrudrono (facies negroide). A questo punto l'intero cadavere assume un volume enorme (aspetto gigantesco). La cute conserva
in parte il colorito verdastro, poi vira verso il bruno - nerastro; lo strato corneo è scollato e sollevato da vescicole contenenti sierosità e si distacca a larghi lembi alle mani e ai piedi formando stampi a guisa di guanto o di calza (epidermolisi putrefattiva). Anche i capelli si staccano a ciocche. La pressione dei gas provoca lo spostamento del sangue dentro i vasi (circolazione post-mortale), il sanguinamento delle ferite, la perdita di feci, il prolasso del retto e della vagina e, nelle donne morte gravide, l'espulsione del feto (il c.d. parto nella bara).

Periodo Colliquativo: esso consiste nella fusione putrida dei tessuti, già imbibite rammolliti dai precedenti stadi della putrefazione (malacia cadaverica). Tale processo inizia assai precocemente ma si rende evidente col passare del tempo, cioè dopo 2-3 settimane dalla morte in estate e dopo alcuni mesi in inverno.
Gli organi e i tessuti, attaccati dai processi distruttivi, colliquano non contemporaneamente ma in tempi variabili secondo la struttura parenchimatosa o fibrosa. Gli organi interni perdono la loro elasticità naturale e divengono flaccidi, friabili, pastosi, ridotti di volume e di colorit
o rosso-scuro o bruno- verdastro. La maggiore resistenza alla putrefazione è offerta dai tendini, dai legamenti, dalle fasce aponeurotiche e dai grossi vasi arteriosi alla cui distruzione possono occorrere 3 - 5 anni. La colliquazione dei tessuti molli richiede minore tempo (come accade nelle surrenali, nella milza e nel pancreas). La prostata e l'utero a riposo colliquano tardivamente, per la loro compatta struttura fibro-muscolare (importante per identificare il sesso del cadavere in avanzata putrefazione).

Periodo della Scheletrizzazione: la riduzione scheletrica del cadavere si completa in media dopo 3-5 anni. Avvenuta la distruzione delle parti molli, scompaiono poi i tessuti fibrosi, tendinei e cartilaginei e restano le sole ossa, isolate dalla primitiva impalcatura scheletrica. Col passare del tempo le ossa si liberano anche dai più piccoli residui i parti molli ancora adesi, essiccati o incrostati. Dopo molti anni avviene la decalcificazione che rende i resti ossei leggeri, porosi, friabili e suscettibili di polverizzazione al minimo contatto. In particolari condizioni, grazie a lenti processi di mineralizzazione, le ossa possono fossilizzare.

 


 

Fenomeni trasformativi speciali: altre forme di distruzione del cadavere

Alla distruzione del cadavere, oltre i processi ordinari della putrefazione, possono partecipare la «fauna», rappresentata da animali di varia specie (larve di insetti, insetti, crostacei, uccelli, mammiferi roditori e carnivori) e la «flora» (miceti) che attaccano le parti molli dei cadaveri abbandonati all'aperto, immersi nell'acqua o inumati a poca profondità.

La «fauna cadaverica» è costituita soprattutto da insetti i quali, nei cadaveri esposti all'aria, si avvicendano a «squadre», attratti dai prodotti organici della decomposizione post-mortale. Già nel periodo cromatico compare la prima squadra, formata da ditteri, cioè la comune mosca domestica, la calliphora e la curtoneura.
Quando inizia l'enfisema putrefattivo, compare la seconda squadra di mosche, del genere Lucilia, Sarcophaga e Cynomya. Dopo 3-6 mesi interviene la terza squadra, composta da coleotteri e lepidotteri.
In seguito, attratta dai liquami putridi, interviene la quarta squadra, costituita da altre specie di mosche e da alcuni coleotteri, che invade il cadavere dopo circa un anno dalla morte.
Una volta iniziata la colliquazione putrida, si presentano altre specie di ditteri e di coleotteri, formanti la quinta squadra, quali i generi Tyreophor, Ophyra.
Quando è stata distrutta gran parte della materia organica, entra in campo la sesta squadra, formata da acari prosciugatori che assorbono la maggior parte dei liquami cadaverici.
Le parti molli così disseccate vengono attaccati dalla settima squadra, composta da alcuni coleotteri e lepidotteri, cioè farfalle e scarafaggi che provvedono alla riduzione scheletrica operando a distanza di circa 1-3 anni dalla morte.
Gli ultimi resti di sostanza organica ancora presenti vengono eliminati dalla ottava squadra, formata da piccoli coleotteri, che dal quarto al quinto anno completano la scheletrizzazione.
L'ordine di successione dei cosiddetti «lavoratori della morte» può essere utilizzato, con le dovute cautele,tenuto conto delle regioni e dei climi, per dedurre l'epoca a cui risale la morte.

La «flora cadaverica», è rappresentata da talune specie di funghi che possono colonizzare nel cadavere inumato o tumulato, interessa la tanatologia. Queste muffe, tipo aspergilli, penicilli, chenomiceti, trichoderma, ecc., limitano la loro azione ai piani superficiali della cute perciò il potere distruttivo esercitato sui tessuti cadaverici è minimo.
Qualche interesse può avere lo studio delle diverse colonizzazioni fungine per fissare l'epoca della morte.

  • Macerazione

È un processo trasformativo che consiste nell'imbibizione idrica dei tessuti quando il cadavere soggiorna in ambiente liquido.
La forma di macerazione tipica, in assenza di germi putrefattivi, è quella subita dal feto morto nell'utero, il quale ha il canale digerente ancora sterile ed è immerso nel liquido amniotico, a membrane integre.
Negli stadi iniziali il liquido imbeve l'epidermide, che rigonfia, si solleva in pieghe e in bolle e si distacca in larghi lembi, mettendo a nudo i tessuti sottostanti, che appaiono di colore rosso-roseo, umidi e viscidi. I feti macerati, rimasti nell'utero da una a tre settimane e più, mostrano l’accentuazione dei fenomeni di macerazione cutanea, gli organi e i tessuti fortemente imbibiti e infiltrati di sierosità ematica (feto sanguinolento).
Il cervello è ridotto a una massa poltigliosa; le cavità celomatiche sono piene di liquido tinto in rosso pallido; i polmoni e il fegato sono molli e friabili. Nel feto avviene il riassorbimento della parte liquida; in un secondo tempo, sui tessuti disseccati si possono formare precipitazioni calcaree trasformando il feto in litopedio, calcificatosi per la lunga ritenzione nell'utero.
La macerazione, nel cadavere annegato, si rende evidente nell'epidermide, specie dove questa è spessa e callosa (palmo delle mani e pianta dei piedi) la quale, già dopo qualche ora di permanenza in acqua, rigonfia, rammollisce, diviene bianca, viscida e grinzosa. Dopo vari giorni di sommersione il rivestimento cutaneo comincia a distaccarsi a modo di guanto o di calza.

  • Mummificazione

La mummificazione consiste in un processo di essiccamento dei tessuti del cadavere, i quali, in determinate condizioni ambientali, subiscono una rapidissima disidratazione e si prosciugano assumendo aspetto e consistenza coriacei. Questo fatto priva i tessuti cadaverici dell'acqua necessaria allo sviluppo dei germi della putrefazione, che viene perciò inibita (Vedi figura).
Le condizioni naturali che favoriscono la mummificazione sono, in primo luogo, la temperatura elevata e la buona ventilazione dell'ambiente, che rendono secca l'aria e agevolano in tal modo l'evaporazione e la sottrazione dei liquidi dal cadavere. La mummificazione avviene anche in ambienti freschi, purché molto asciutti e ventilati, ad esempio, nel buio delle caverne e dei sotterranei. Si conoscono località (cimiteri, chiostri, chiese, cripte, ecc.) nelle quali i cadaveri vanno incontro alla mummificazione in modo quasi costante.
Le condizioni individuali sono altrettanto importanti, poiché la mummificazione avviene più facilmente nei cadaveri di persone magre, denutrite, morte per cachessia, per profuse emorragie o in stato di disidratazione.
Tranne le mummificazioni molto rapide, avvenute dopo alcune settimane, o dopo 2-3 mesi, il processo si completa generalmente entro un anno e tale si mantiene per decenni o per secoli.
È nota la mummificazione cui può andare incontro il feto morto entro l'utero in presenza di scarso liquido amniotico, così detto feto papiraceo, i cui tessuti assumono aspetto pergamenaceo.

  • Saponificazione

La saponificazione, come dice il nome, consiste nella formazione dei saponi ad opera di batteri che producono enzimi (lecitinasi) capaci di scindere i grassi del cadavere, trasformandoli in adipocera.
L' adipocera è costituita in parte da acidi grassi liberi (oleico, palmitico, stearico) e in parte da saponi insolubili (acidi grassi del cadavere si combinano coi sali di calcio, di sodio e di magnesio presenti nell'acqua o nel terriccio).
Secondo ipotesi recenti non si avrebbe la saponificazione vera e propria dei tessuti, bensì avverrebbe l'idrolisi dei trigliceridi (in massima parte di acido palmitico) con trasformazione degli acidi grassi insaturi in acidi saturi e in altri composti oleici (ossiacidi, idrossiacidi, ecc.). L'adipocera si presenta come una sostanza biancastra, untuosa, viscida, più o meno consistente, di odore rancido simile a quello del formaggio alterato.

  • Corificazione

La corificazione, cioè la trasformazione in cuoio, è un fenomeno che si osserva nei cadaveri chiusi ermeticamente in casse foderate con rivestimento metallico di zinco o di piombo. In queste condizioni si ha un notevole rallentamento dei processi putrefattivi (dovuto probabilmente all'azione chimica di composti metallici) e si verifica una singolare modificazione della cute, la quale si prosciuga alquanto ma senza essiccarsi, mantiene elasticità e morbidezza e assume l'aspetto gialliccio del cuoio di concia recente. La cute corificata, si retrae e si modella sul cadavere, si infossa a barca sull'addome e pone in evidenza le salienze dello scheletro.
I visceri, preservati dalla putrefazione e protetti dall'involucro corificato, sono asciutti, ridotti di volume e di consistenza pastosa.
Il processo di corificazione, già palese dopo un anno di permanenza nella cassa metallica, si completa nel corso del secondo anno di morte. A processo ultimato, residua sul fondo della cassa un liquame bruno e torbido.

Mummificazione: processo di essiccamento dei tessuti del cadavere

Ispezione e rimozione di un cadavere

Il personale del Corpo delle Capitanerie di porto - a seguito della segnalazione della presenza di un cadavere in prossimità del lido o di una spiaggia - può imbattersi in un'attività di indagine rivolta alla sua "identificazione" e alla sua "ispezione".

Un'apposita disposizione di attuazione del Codice di rito (art. 116 - Indagini sulla morte di una persona per la quale sorge sospetto di reato) prevede, in generale, che spetta al Pubblico Ministero competente procedere alla identificazione e alla ispezione del cadavere oltre all'accertamento delle cause della morte. Così come al medesimo compete anche ordinarne la rimozione e darne nulla-osta per la sepoltura. Trattandosi di persona sconosciuta, ordina che il cadavere sia esposto nel luogo pubblico a ciò designato e, occorrendo sia fotografato.

Ciò non vuol dire, tuttavia, che la Polizia Giudiziaria (ad esempio, il personale del Corpo delle Capitanerie nel caso in cui ne abbia avuto per prima notizia) non possa svolgere, a iniziativa o su delega, attività di indagine rivolta alla identificazione e alla ispezione di un cadavere oltre che all'accertamento delle cause della morte.
La Polizia Giudiziaria può infatti procedere "a iniziativa" al compimento di rilievi e ispezioni sul cadavere quando sussistono i «presupposti» che legittimano l'accertamento urgente (art. 354 commi 2 e 3 c.p.p.).

  • Tale situazione si verifica, ad esempio, quando si teme che le tracce del reato possano venir meno (alterarsi) per fenomeni di putrefazione accellerati dalle condizioni ambientali ed il P.M. non può intervenire tempestivamente. Può consistere nella descrizione delle vesti e degli oggetti rinvenuti in prossimità del cadavere, assicurandole la custodia.

Su delega del P.M. e quando questi non ritiene di intervenire la Polizia Giudiziaria può poi procedere a "rimuovere il cadavere". Quando non ricorrono i presupposti dell'accertamento urgente (art. 354 c.p.p.) oppure manca l'autorizzazione del P.M., la Polizia Giudiziaria non può autonomammente procedere alla rimozione del cadavere.
Tra i rilievi che la Polizia Giudiziaria autonomamente o su delega può compiere sul cadavere non rientra «l'autopsia». Questa rientrando tra gli "accertamenti tecnici non ripetibili" (art. 360 c.p.p.) può essere compiuta solo dal P.M. e non è delegabile alla Polizia Giudiziaria in quanto incompatibile con l'attività di polizia giudiziaria. 

 Rinvenimento di cadavere

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[58] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1931/06/26/031U0773/sg
[59] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=5&ved=0ahUKEwiB_beThu_bAhUJvRQKHQuXCj4QFgheMAQ&url=http%3A%2F%2Fwww.edizionieuropee.it%2FLAW%2FHTML%2F46%2Fzn81_03_001.html&usg=AOvVaw3j2cQXGKzzlW6vPCHdAcGb
[60] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1998/08/18/098G0348/sg
[61] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1990-10-31&atto.codiceRedazionale=090G0363
[62] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario;jsessionid=nKiSCjSj1Z8W0oxClx46Ag__.ntc-as2-guri2b?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2005-08-01&atto.codiceRedazionale=005G0179&elenco30giorni=false
[63] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/04/19/001G0167/sg
[64] https://www.esteri.it/mae/normative/normativa_consolare/visti/acquis_di_schengen.pdf
[65] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%2311
[66] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=4&ved=0ahUKEwjomIaP3_HbAhUEvhQKHX88ArYQFghUMAM&url=http%3A%2F%2Fwww.gazzettaufficiale.it%2Fatto%2Fserie_generale%2FcaricaDettaglioAtto%2Foriginario%3Fatto.dataPubblicazioneGazzetta%3D1994-03-22%26atto.codiceRedazionale%3D093A6158%26elenco30giorni%3Dfalse&usg=AOvVaw3yduOOuaybtmu8hX5240ef
[67] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1981/11/30/081U0689/sg
[68] http://archivio.pubblica.istruzione.it/news/2001/allegati/dlgs626-94.rtf
[69] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=3&ved=0ahUKEwjz5si44fHbAhVJSBQKHdlBCaoQFghFMAI&url=http%3A%2F%2Fwww.gazzettaufficiale.it%2Feli%2Fid%2F1999%2F08%2F09%2F099G0350%2Fsg&usg=AOvVaw0FSiwWk9IDv60UopVeMpjF
[70] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1999/08/09/099G0351/sg
[71] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario;jsessionid=I91WLmFmrSra4z+ZfSAN7g__.ntc-as2-guri2b?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1995-01-26&atto.codiceRedazionale=095G0039&elenco30giorni=false
[72] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2002/08/26/002G0219/sg
[73] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1990/02/28/090G0075/sg
[74] http://www.camera.it/parlam/leggi/98040l.htm
[75] http://gazzette.comune.jesi.an.it/2003/220/1.htm
[76] http://www.gazzettaufficiale.it/gunewsletter/dettaglio.jsp?service=1&datagu=2009-07-24&task=dettaglio&numgu=170&redaz=009G0096&tmstp=1248853260030
[77] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=10&ved=0ahUKEwjxoZjb8_bbAhVJXhQKHYe0CIcQFgiJATAJ&url=http%3A%2F%2Funipd-centrodirittiumani.it%2Fpublic%2Fdocs%2FDirett2003_9_CEaccoglienza.pdf&usg=AOvVaw1CSJinWILqXGZ6dggVUnq4
[78] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0ahUKEwiY_Yvq9PbbAhUH7xQKHRK0AYkQFggpMAA&url=https%3A%2F%2Fwww.unhcr.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2015%2F12%2FD.Lgs_30_maggio_2005_n._140.pdf&usg=AOvVaw2SuUec-yoai0YOQFjOxfO5
[79] https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0ahUKEwjAyZm09fbbAhUCaxQKHSrWDuMQFggoMAA&url=http%3A%2F%2Feur-lex.europa.eu%2FLexUriServ%2FLexUriServ.do%3Furi%3DOJ%3AL%3A2004%3A304%3A0012%3A0023%3AIT%3APDF&usg=AOvVaw1jG6wkzAFLv0YYDXOIWsll
[80] http://unipd-centrodirittiumani.it/public/docs/Dirett2005_85_CEprocedure.pdf