Tra le attività di pesca professionale disciplinate dal Regolamento sulla disciplina della pesca marittima (art. 10 – Impianti da pesca) è ricompresa, anche l’«acquacoltura».
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2135 de Cod. civile, la «acquacoltura» come definita dall’art. 3 del D.lgs. n.4/2012, è l'attività economica organizzata, esercitata professionalmente, diretta all'allevamento o alla coltura di organismi acquatici attraverso la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, in acque dolci, salmastre o marine.
Sono connesse all'acquacoltura le attività, esercitate dal medesimo acquacoltore, dirette a:
Rientrano nella pesca da impianti, quell'insieme di attività umane, distinte dalla pesca, finalizzate alla produzione controllata di organismi acquatici, esercitata mediante lo stabilimento di apprestamenti fissi o mobili, temporanei o permanenti, destinati alla (art. 10 D.P.R. n. 1639/68):
- cattura di specie migratorie;
- piscicoltura;
- molluschicoltura;
- crostaceicoltura;
- allo sfruttamento di banchi marini (alghicoltura).
L'attività acquicola e la gestione delle lagune costiere, dotate di controlli idraulici e apparati idonei alla cattura dei pesci pur se finalizzate, come è chiaro, all'incremento della produttività, costituiscono l'anello di congiunzione tra pesca in senso stretto e acquacoltura. Infatti, il passaggio dall'una all'altra si attua nel momento in cui l'intervento dell'uomo, non più limitato alla cattura o alla raccolta, si concretizza in una vera e propria attività di allevamento.
Oggi la missione dell'acquacoltura è soddisfare la crescente domanda di prodotti che la pesca oceanica non può coprire. La ricerca scientifica e tecnologica sta lavorando al fine di ampliare la gamma delle specie allevabili, di migliorare la qualità dei prodotti e di ridurre l'impatto ambientale che le attività produttive possono generare.
Le navi utilizzate dalle imprese che operano in impianti di pesca hanno un vincolo di destinazione, contenuto nell’annotazione posta sulla Licenza di pesca (“l’unità asservita ad impianto”), da cui si rileva che le stesse vengono utilizzate per un tipo di pesca diverso da quello contemplato dall’art. 11 della legge n. 388/2000.
► Si distinguono:
L'acquacoltura “estensiva“, in cui minore è l'intervento dell'uomo, si basa sull'utilizzo delle risorse trofiche degli ecosistemi confinati da parte degli organismi allevati.
Le tecniche di cattura sono poi quelle tipiche della pesca artigianale, con l'impiego di sistemi fissi o reti, trappole ed ami.
L'acquacoltura “intensiva“ in cui, invece, l'attività umana diventa determinante soprattutto per quel che riguarda la somministrazione di alimenti alle specie allevate. Essa comporta che le specie di interesse vengano allevate in vasche, al di fuori del loro ambiente naturale, o in gabbie e recinti, le aree impiegate sono inferiori rispetto all'acquacoltura estensiva, mentre aumenta notevolmente la densità di allevamento. Le specie allevate con il metodo intensivo dipendono dall'uomo che fornisce loro cibo, ossigeno e rimuove i cataboliti al fine di ottimizzarne la produzione.
Infine esiste una metodica produttiva che risulta intermedia tra l'estensivo e l'intensivo: l'allevamento “semintensivo”. L'obiettivo è quello di ottenere produzioni superiori a quelle possibili con le sole risorse trofiche naturali presenti nell'ambiente di allevamento, senza però modificare eccessivamente il territorio interessato.
L'intervento antropico viene così in questo caso limitato alla somministrazione di alimenti integrativi, alla concimazione a base di azoto e fosforo che esaltano la produttività naturale, e al mantenimento di condizioni di allevamento ottimali (scambi idrici adeguati e buoni tassi di ossigeno disciolto).
L'acquacoltura, in quanto attività innovativa, è una forma produttiva in grande espansione. La possibilità di gestione di impianti in mare aperto teoricamente non pone limiti spaziali al suo sviluppo; anche il processo di modernizzazione dell'acquacoltura coincide con un processo di crescita scientifica e tecnologica che meglio permettono di controllare le varie fasi del ciclo vitale e di mettere a punto trattamenti di qualità, nonché di intensificare le produzioni.
La normativa nazionale (art. 524 norme transitorie e complementari Cod. nav.[2]) prevede, nel caso di un’area da adibire ad impianto di maricoltura, il rilascio di una concessione demaniale e la sua delimitazione con le segnalazioni previste dal codice della navigazione e stabilite dalla capitaneria di porto e dal Maridipart di competenza.
Inoltre la Legge n. 472 del 07/12/1999 emanata dal Ministero dei Trasporti stabilisce che le unità asservite agli impianti di maricoltura in acque marine con gabbie galleggianti devono essere inquadrate come unità “per uso proprio” e quindi non assoggettate alla tenuta del Ruolino di equipaggio.
Impianti acquacoltura: estensiva e intensiva
Approfondimenti:
In Italia coesistono tipi di pesca differenti; quello che ha più legami con le tradizioni marinare italiane, è la Pesca Costiera Locale. Può essere effettuata anche dove non esistono grandi porti pescherecci, avendo bisogno soltanto di piccole baie per il ricovero delle unità e di ridotte attrezzature a terra per la manutenzione.
Ciò ha determinato nel passato la nascita dei borghi pescherecci più caratteristici. Viene effettuata generalmente entro le tre miglia dalla costa con motopesca dotate di un equipaggio di 2 o 3 persone, solitamente tra familiari. La gran parte di queste unità non ha ghiacciaia. Le uscite sono normalmente giornaliere. E’ il tipo di pesca che ha subito negli ultimi anni la più forte crisi, a causa dell’inquinamento lungo le coste e della concorrenza della pesca costiera a strascico. Il pescato è utilizzato per il fabbisogno del luogo.
La cosiddetta pesca costiera a strascico, o più propriamente, Pesca Costiera Ravvicinata, si differenzia dalla prima perché è praticata normalmente entro 20 miglia dalla costa, ma fuori dalle tre miglia. Le unità utilizzate sono dei motopescherecci di10-100 tsl, normalmente dotati di radio, ecoscandaglio, gps, computer di bordo, cellulare, radar, e di ghiacciaie per la conservazione del pescato. Le uscite durano 24-48 ore e l’equipaggio è composto di 4-6 persone, di cui gran parte familiari. Le reti che vengono utilizzate per questa pesca sono a strascico o pelagiche. Il pescato prende la via dell’Italia e dell’Europa.
La Pesca d’Altura è quella effettuata con le unità più moderne ed ha bisogno di cospicue attrezzature a terra per la manutenzione e rimessaggio. Si effettua tutto l’anno con cicli di pesca che durano 30-40 giorni, mediante motopescherecci di oltre 160 tsl, il cui equipaggio è formato di circa una dozzina di persone.
Questo tipo di pesca richiede un'attrezzatura sia per la lavorazione del pesce catturato sia per il mantenimento e conservazione. Poiché essa viene effettuata dalle unità italiane nel Mediterraneo, al largo delle coste, spesso si sono avuti contrasti con i paesi rivieraschi (Nord Africa, ex Jugoslavia).
E’ un tipo di pesca che richiede lavoro faticoso, lunghe permanenze in mare e si ricorre spesso a mano d’opera proveniente dai paesi africani. Altri tipi di pesca caratteristici sono: quelle del Pesce Spada e del Tonno che sono praticate lungo le coste sicule e calabre.
[2] L’art. 524 (Mare territoriale) delle norme transitorie e complementari cod. nav., stabilisce che per l’occupazione e l’uso di zone di mare territoriale e per l’esercizio della polizia sul mare territoriale si applicano le disposizioni stabilite per il demanio marittimo dal codice della navigazione e dal regolamento. Per le concessioni per allevamento di pesci, per coltivazione e deposito di mitili, il Capo del compartimento marittimo promuove il parere del medico provinciale per quanto concerne l’igiene e la sanità.
Le unità da pesca stabilmente destinate a servizi di impianti da pesca non sono inserite in flotta. Per la sua iscrizione occorre dimostrare il possesso di una “concessione” a mare che giustifichi il suo utilizzo.
► Circolare Comando Generale Capitanerie di porto
Lunghezza fino 5- 6 metri - potenza max 105 CV
Lunghezza fino 6-8 metri - potenza max 155 CV
Può arrivare fino a 500 CV con una stazza di 15 Tonn.
Unità adibita alla raccolta delle vongole in allevamento: V° Categoria.
► Imbarcazioni utilizzate per la raccolta dei molluschi
Rientrano nella V° categoria (registro imprese di pesca DPR. 1639 art. 63) e possono suddividersi in 4 principali tipologie:
► D.M. 29 settembre 1995 (Autorizzazione all'esercizio della pesca negli impianti di acquacoltura)
Art.1.
Art. 2.
Art. 3.
omissis.
Art. 5.
omissis
Art. 7.
Approfondimenti:
Lo sviluppo della pesca d'alto mare e, soprattutto, l'industrializzazione di questa, hanno portato alla specializzazione delle “unità da pesca” (=pescherecci), in particolare per ciò che riguarda gli impianti di bordo necessari a un buono svolgimento di questa attività.
Tra i pescherecci moderni si menzionano: quelli per la “pesca mediterranea“, piccole navi in legno o in acciaio, molto slanciate, specie verso prora, con cavallino molto pronunciato e notevole coefficiente di finezza, dotate di stive refrigerate, di uno o due radar di navigazione, di radiotelefono, eventuale ecoscandaglio; le “navi congelatrici“, variabili tra le 500 e le 2000 tonnellate di stazza lorda, destinate alla pesca oceanica operano isolatamente e sono in grado di effettuare a bordo le operazioni di pulizia e surgelamento del pescato; i “pescherecci che operano in flottiglie” attorno alle cosiddette "navi fattoria", alle quali fanno capo per scaricare il prodotto della pesca, per rifornirsi, per ottenere ogni genere di assistenza, compreso lo svago e il riposo dell'equipaggio: anch'essi destinati alla pesca oceanica, di dimensioni più modeste di quelle delle navi congelatrici, sono dotati di girobussola, pilota automatico, centrali di comando in plancia per la manovra a distanza dei verricelli e bozzelli idraulici per le reti e dell'apparato motore, ecoscandaglio per la scoperta dei banchi di pesci e sistemi per attirarli e agevolarne la cattura. Tutti i pescherecci operano usando reti.
Per il futuro si pensa anche a possibili “pescherecci sottomarini”, all'utilizzazione del sonar per determinare velocità e direzione dei banchi di pesce, mentre si fanno studi e ricerche di biologia marina per individuare le forme di pesca più adatte e redditizie e quindi realizzare navi più idonee al compito indicato.