L'illecito amministrativo è modellato sulla struttura del reato. Infatti, a conferma di ciò la Legge n. 689/1981 nella Sezione I del Capo I, dedicato ai principi generali delle sanzioni amministrative ricalca gli istituti penalistici del:
A differenza del sistema penalistico, per le sanzioni amministrative non opera il principio del favor rei, ovvero nella successione delle leggi penali prevale quella più favorevole, quanto piuttosto il principio tempus regit actum, ovvero la sanzione è individuata sulla base della legge vigente al momento della commissione dell'illecito, anche se più sfavorevole per il trasgressore.
Tale principio non vale per le sanzioni amministrative tributarie che seguono una normativa peculiare, prevedendo il principio del favor rei.
«Nullo crimin, nulla poena sine lege»....
Principio dominante nel nostro ordinamento, contenuto nell’art. 1 del Codice penale e riaffermato dall’art. 25, comma 2 della Costituzione.
A ragione l'art. 1 della Legge 689/1981, è titolato «Principio di Legalità» in quanto è doveroso riconoscere come il legislatore nei soli due commi che lo costituiscono, sia riuscito a delineare le regole fondamentali sia dell'illecito amministrativo depenalizzato che di quello ad esso assimilato dalla stessa Legge Depenalizzatrice (Vedasi l'art. 12). L'articolo in trattazione, ratificando il principio secondo il quale "nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commessa violazione", consacra la cosiddetta «riserva di legge», ormai dalla dottrina dominante definita di rango costituzionale e, da una sua lettura immediatamente è dato cogliere, come tra l'altro in tutta la sezione prima del capo primo della Legge Depenalizzatrice, l'ispirazione penalistica tenuta dal legislatore nella sua stesura, si osservi appunto il noto Principio di Legalità fissato dall'art. 1 del c.p.
Tale osservazione, è sostenibile prendendo atto dell'evidente simmetria esistente tra i due articoli sopraccitati e, l'art. 25 della Costituzione:
Rilevato ciò, non è possibile non evidenziare ancora il fatto che, l'art. 1 della Legge depenalizzatrice riposi anche sulle garanzie assicurate dai due successivi articoli della Costituzione, l'art. 23 e l'art. 97, nei quali è prevista una forma di riserva di legge rispettivamente riferita, alle prestazioni personali o, patrimoniali ed alle sanzioni disciplinari; tra l'altro una parte della dottrina ricollega l'obbligatorietà dell'irrogazione delle sanzioni al succitato art. 97 dal quale ne fa derivare una particolare forma di Principio di Legalità nel senso che all'accertamento di una violazione, è inevitabile fargli conseguire il procedimento d'irrogazione della sanzione.
Riguardo la riserva di legge, dalla dottrina distinta in riserva di legge relativa e, riserva di legge assoluta o, tendenzialmente assoluta, ci limiteremo a sostenere semplicemente ed in modo certamente riduttivo, che tale principio sancisce il criterio secondo il quale l'illecito amministrativo potrà essere sanzionato esclusivamente ad opera di una legge formale cioè, come ormai concordemente convenuto sia dalla dottrina che dalla S.C., individuabile solo tra fonti normative primarie, come sono le leggi statali e, regionali nonché i decreti legislativi ed i decreti legge in quanto fonti aventi forza di legge, prevedendo quindi l'esclusione di irrogazioni sanzionatorie derivanti da fonti subprimarie o regolamentari a meno che, non sia la legge stessa a censurare con una sanzione amministrativa, la violazione di una di queste norme regolamentari vedasi ad es. gli artt. 106 e 107 del R.D. del 3 Marzo 1934, nr. 383 - Testo unico delle Leggi comunali e Provinciali - (abrogato dall'art. 274 del T.U.E.L. e, facendo riferimento ora all'art. 7 - bis dello stesso Testo Unico, introdotto dall'art. 16 della legge nr. 3/2003) ai quali gli art. 16 e 17 della legge 689/1981 fanno espressamente riferimento per le modalità di pagamento.
In questa sede evitando di inoltrarci oltre sulla questione tuttora dibattuta sia in sede giurisprudenziale che in quella dottrinale, se per la riserva di legge prevista dall'art. 1 della Legge 689/1981 debba farsi riferimento all'art. 23 della Costituzione, lasciando all'illecito penale il riferimento all'art. 25, ci limiteremo a concludere che il Principio di Legalità espresso dall'articolo 1 della Legge Depenalizzatrice, fissa i seguenti tre punti fermi:
Come per gli illeciti penali e per quelli civili, anche per gli illeciti amministrativi è necessario che il soggetto per poter essere chiamato a rispondere della sua azione od omissione, abbia raggiunto un certo sviluppo intellettuale e non sia infermo di mente al momento della commissione del fatto.
Per le sanzioni amministrative il legislatore ha fissato regole precise che seguono essenzialmente lo schema penalistico. Nell'irrogare o meno la sanzione alla persona che ha commesso la violazione, l'Autorità amministrativa deve, allora, seguire le norme del codice penale in materia di «imputabilità».
Perché sia «assoggettabile» alla sanzione amministrativa il trasgressore deve trovarsi in «condizione di imputabilità» ossia avere, al momento in cui commise il fatto la «capacità di intendere e di volere», precisata in base ai criteri indicati nel codice penale con la eccezione della «regola sull’età» (art. 2 legge 689/81).
La capacità di intendere si concretizza nella comprensione, da parte dell’individuo, che l’azione che egli compie contrasta con le esigenze della vita sociale: è l’attitudine a percepire e valutare la realtà circostante.
La capacità di volere consiste nella determinazione autonoma della persona: è l’attitudine a stabilire e scegliere il proprio comportamento.
Perché vi sia «assoggettabilità» (= imputabilità) alla sanzione occorre che l'autore della violazione abbia, nel momento della commissione del fatto, entrambe le capacità.
L’articolo 2 Legge 689/81 differenzia la capacità di intendere e di volere rispetto al codice penale – sotto il profilo dell’età del minore. Infatti, mentre l’infradiciottenne ultradiciottenne, è punibile penalmente, anche se con pene attenuate, nel campo delle sanzioni amministrative il minore di anni 18 non è assoggettabile a sanzioni amministrative.
Questo, ovviamente, non significa che al minore non possa essere contestata la violazione e che questi non possa addivenire al pagamento il misura ridotta.
La condotta dell’autore della violazione deve essere cosciente e volontaria. Infatti nelle violazioni amministrative ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, sia dolosa o colposa. La condotta può definirsi cosciente e volontaria quando l’atto è attribuibile al volere del soggetto, e cioè può essere controllato dalla volontà. Di tali violazioni, quindi, si risponde sia nel caso di azione secondo l’intenzione (dolo), sia nel caso di azione non intenzionale ma causata da negligenza, imprudenza, imperizia (colpa).
Non sono, invece, punibili, i fatti compiuti per causa di forza maggiore o costringimento fisico.
La Legge 689/81, prende in considerazione le esimenti nel settore degli illeciti amministrativi, e anche in questo caso fa propri i principi del codice penale in tema di scriminanti (artt. 51, 52, 54 c.p.).
Non risponde, quindi, della violazione amministrativa chi commette il fatto nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica.
Così come non risponderà chi si trovi in stato di necessità di salvare se od altri da un pericolo attuale e grave alla persona.
Se la violazione è commessa per ordine dell’Autorità pubblica, della stessa risponde chi ha impartito l’ordine.
L'illecito amministrativo, come il reato, può essere commesso da una sola persona, o da più persone insieme.
Nel caso di compartecipazione, l’art. 5 della Legge 689/81 prevede che tutti gli agenti rispondano della violazione. Questo sia nel caso di pluralità di autori e pluralità di trasgressioni, sia nel caso di concorso di autori della medesima violazione.
Questa disposizione è coerente con un sistema che considera la sanzione amministrativa non un risarcimento per un danno procurato allo Stato (nel qual caso la somma da pagare dovrebbe essere ripartita tra tutti i responsabili), ma una «punizione, che deve colpire tutti coloro che hanno tenuto un comportamento illecito».
L’art. 6 delle Legge 689/81 introduce un principio di chiara matrice civilistica (art. 2055 Cod. civ.), prevedendo la responsabilità solidale a carico del proprietario della cosa che servì o fu destinata alla commissione dell’illecito o dell’usufruttuario o del titolare di diritto personale di godimento; della persona che esercita l’autorità di direzione o vigilanza; della persona giuridica, ente, imprenditore nel caso di violazione perpetrata dal rappresentante o dal dipendente.
Sappiamo che dalla violazione amministrativa sorge, a carico dell'autore, l'obbligo di pagare una somma di denaro, quale sanzione pecuniaria per il suo comportamento illecito. In certi casi però, il pagamento può essere richiesto, anziché all’autore dell'illecito, ad un soggetto diverso (=obbligato in solido). Quest’ultimo, dopo aver pagato quanto dovuto, può poi chiedere all’autore della violazione di essere rimborsato della somma versata (c.d. azione di regresso). In questi casi, l’Autorità amministrativa potrà indifferentemente rivolgersi per il pagamento della sanzione all’autore dell’illecito oppure all’obbligato in solido, scegliendo eventualmente il più solvibile, questo avviene quando tra i due soggetti esiste un particolare legame.
L’istituto della solidarietà svolge una funzione di garanzia del credito a vantaggio della pubblica amministrazione che può riscuotere coattivamente la sanzione agendo nei confronti di più soggetti e potendo pretendere l’intera prestazione dal singolo soggetto prescelto
► Questo avviene quando tra i due soggetti sussiste un particolare legame:
La responsabilità in solido presuppone che la violazione sia stata commessa da persona capace di intendere e di volere. In caso contrario sarebbe chiamato a rispondere, non a titolo solidale ma in via primaria chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace. Se poi si fosse verificata una compartecipazione nell’illecito, anziché solidarietà si avrebbe un concorso di persone.
Si evidenzia, comunque, che l’art. 7 delle legge 689/81 sancisce la non trasmissibilità, in capo agli eredi, dell’obbligazione di pagare la sanzione.
L’art. 7 delle Legge 689/81 sancisce la non trasmissibilità, in capo agli eredi, dell’obbligazione di pagare la sanzione.
L’art. 8 delle legge 689/81, come integrato dall’art. 1-sexies della legge 31.01.1986, n. 11 (Più violazione di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative), prende in esame il «concorso formale» di illeciti amministrativi, che si concretizza quando l’Agente, con una sola azione od omissione, abbia commesso più illeciti, previsti da una o più norme di legge. In questo caso, trova applicazione il principio del «cumulo giuridico», tratto dall’art. 81, comma 1 c.p., in base al quale vi è la possibilità di applicare una sanzione pari a quella prevista per la violazione più grave, aumentandola sino al triplo.
Ovviamente, tale applicazione è rimessa alla discrezionalità dell’Autorità amministrativa competente e non all’apprezzamento dell’organo punitivo che, nella fase dell’accertamento, si limiterà all’elencazione delle singole norme violate ed alle modalità di pagamento secondo il criterio del «cumulo materiale». Tale criterio ricorre quando vengono commesse più infrazioni con più azioni od omissioni. In tal caso non sono previste delle agevolazioni e l’autore soggiace alla sanzione prevista per ogni singola violazione commessa.
Tale principio, di particolare importanza pratico-operativa, prende in esame il concorso apparente di norme amministrative o di norme amministrative e penali, rispetto alla commissione di un fatto illecito
In forza di tale principio, una norma si definisce «speciale» rispetto ad un’altra, quando la prima contiene tutti gli elementi della seconda ed in più possiede qualche elemento di specializzazione. Può capitare che uno stesso fatto sembri regolato da più norme amministrative, ovvero sembri ricadere sotto la previsione di una norma penale e di una norma amministrativa. Si rende allora necessario individuare, nelle varie ipotesi, quale delle due norme debba essere applicata.
► Riprendendo i principi contenuti nell’art. 15 c.p.. il legislatore ha stabilito che:
Beninteso, il principio di specialità trova applicazione solo nei casi di concorso apparente e non anche nel concorso effettivo, che si ha nel caso di fattispecie che presentano elementi di diversità, ancorché coincidenti in tutto o in parte con riguardo alla condotta del trasgressore. In quest’ultimo caso, troveranno applicazione le rispettive sanzioni.