Gli articoli 97 e 98 c.p. prevedono rispettivamente che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni” e che “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e volere; ma la pena è diminuita”.
La non punibilità è determinata dalla condizione di immaturità che caratterizza i soggetti minori. Al riguardo il nostro diritto distingue due diverse «fasce di età» del minore:
Le nuove disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni, dettate dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 488 «Nuove disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni», hanno accentuato notevolmente la funzione di prevenzione e rieducazione sociale del processo penale relativo ai minori. In particolare, è stata prevista una nuova causa di non punibilità che è data dalla «irrilevanza del fatto». Afferma, infatti, l’art. 27 del D.P.R. citato che... durante le indagini preliminari, se risulta la tenuità del fatto e la occasionalità del comportamento, il Pubblico Ministero può chiedere al Giudice[1] una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minore.
Il minore riconosciuto non imputabile viene prosciolto, tuttavia, se risulta socialmente pericoloso sono applicabili nei suoi confronti le "misure di sicurezza" del riformatorio giudiziario e della libertà vigilata.
[1] E’ prevista, la possibilità per il Giudice di sospendere il processo e affidare in prova il minore ai Servizi minorili; decorso il periodo di prova, il Giudice se ritiene che quest’ultima abbia avuto esito positivo, dichiara con sentenza estinto il reato (artt. 28 e 29 del D.P.R 22.9.1988, n. 488).