Negli ultimi venti anni, la legislazione italiana ha cercato più volte di regolamentare il fenomeno dell'immigrazione e di affrontare le problematiche ad esso connesse. Sono state così approvate diverse leggi in materia, ma solo recentemente questo corpo di norme è stato armonizzato attraverso un testo che riordina tutta la normativa precedente, il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, poi modificato dalla Legge n. 189 del 30 luglio 2002, meglio nota come legge Bossi-Fini.
Il Decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998, è il principale testo di riferimento in materia d'immigrazione. Tale decreto regola la condizione degli stranieri in Italia e riunisce tutte le disposizioni di legge che dagli anni settanta in poi regolamentavano il fenomeno migratorio nel nostro Paese (Legge 40/98, Rd 773/31 Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, Legge 943/86 e Legge 335/95).
Questo decreto, meglio noto come "Testo Unico sull'Immigrazione", corrisponde ad un corpo di norme unico, coerente e organico, finalizzato ad assicurare un approccio integrato alla risoluzione dei problemi dell'immigrazione. Con esso, si è inteso dare risposta all'esigenza, emersa più volte, di armonizzare le molteplici norme prodotte in materia e di riorganizzare l'intera disciplina.
Le disposizioni del Testo Unico regolano i principali aspetti della politica migratoria in Italia. Ad esse, si aggiungono le integrazioni e le modifiche previste dalla successiva legge n. 189 del luglio 2002, meglio nota come legge Bossi-Fini.
Disposizioni in materia di ingresso. Il Testo Unico ha stabilito che possono entrare in Italia tutti i cittadini non comunitari in possesso di un "visto d'ingresso" e di documenti di viaggio validi, ad eccezione di coloro che sono stati dichiarati pericolosi per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. La legge Bossi-Fini ha in seguito vietato l'accesso anche a coloro che sono stati condannati per i reati previsti dagli artt. 380 e 381 del Codice di Procedura Penale o per reati inerenti il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Disposizioni in materia di "permesso di soggiorno". Il Testo Unico ha disposto che possono richiedere il permesso di soggiorno tutti i cittadini stranieri che sono entrati regolarmente in Italia, prevedendo per coloro che risiedono da oltre un certo numero di anni anche il rilascio della "carta di soggiorno". La successiva legge Bossi-Fini ha stabilito che il cittadino straniero che richiede o rinnova il permesso di soggiorno venga sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.
Disposizioni in materia di lavoro ai cittadini stranieri. Il Testo Unico ha inoltre disposto specifiche misure in materia di lavoro agli stranieri, ribadendo che il numero di lavoratori non comunitari ammessi in Italia resti vincolato alle quote fissate ogni anno dal "decreto flussi".
La legge Bossi-Fini ha previsto che tale decreto venga emanato entro il 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto stesso. La stessa legge ha anche istituito un nuovo ufficio presso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo, che prende il nome di Sportello Unico per l'Immigrazione. Tale Sportello è responsabile per l'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato, assunti secondo i criteri stabiliti nella nuova figura del contratto di soggiorno per lavoro subordinato.
Disposizioni in materia di diritti dei cittadini stranieri. Il Testo Unico tutela e riconosce al cittadino straniero una serie di diritti in parità con i cittadini italiani, come il diritto all'unità familiare, il diritto a ricevere assistenza sanitaria e sociale e il diritto a ricevere un' istruzione.
Il Testo Unico dispone inoltre alcune misure che intendono favorire l'integrazione sociale, quali l'istituzione di un Fondo nazionale per le politiche migratorie, con cui finanziare i programmi regionali o locali che sostengono l'inserimento sociale degli immigrati, e l'istituzione di una Commissione per le politiche di integrazione, che redige ogni anno un rapporto sullo stato di attuazione delle politiche a favore dell'integrazione sociale.
Il complesso normativo scaturito dal Testo Unico si muove nel rispetto della disciplina comunitaria e intende dare riconoscimento ad uno dei principi fondamentali dell'Unione Europea, il diritto alla libertà di circolazione delle persone. A tale riguardo, i principali riferimenti sono il "Trattato di Amsterdam", firmato nell'ottobre del 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, e l'"Acquis di Schengen", applicato in Italia a partire dal 1997.
Il Capo II del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero) è dedicato alle misure di contrasto all’immigrazione clandestina, alla repressione dello sfruttamento criminale dei flussi migratori, al respingimento dal territorio nazionale ed alle espulsioni.
La disciplina precedente in materia è stata fortemente innovata nell’intento di potenziare sensibilmente le misure di contrasto delle immigrazioni clandestine, anche in relazione ai doveri assunti dall’Italia nei confronti dei "partners" europei, per i quali l’Italia costituisce la "linea di frontiera avanzata", oltre che per meglio tutelare il lavoro e le condizioni di vita di coloro che - cittadini o stranieri - risiedono regolarmente nel nostro Paese.
Per tutte le nuove misure è stata prevista, al contempo, la massima garanzia del controllo giurisdizionale.
L’articolo 10 disciplina il «respingimento» prevedendone l’applicazione oltre che sulla linea di frontiera, ovvero nella sua area tradizionale di applicazione, anche sul territorio, nei confronti degli stranieri che non hanno titolo a varcare legittimamente i confini.
Da sottolineare il fatto che, nei casi in cui non sia possibile comprovare la stretta relazione causale e temporale fra il momento dell’ingresso clandestino e il momento dell’individuazione nel territorio, occorrerà procedere all’espulsione e non al respingimento.
Il respingimento non è comunque ammesso per i richiedenti asilo e per coloro nei cui confronti devono essere adottati provvedimenti di protezione temporanea.
L’articolo 13 disciplina, con profili spiccatamente innovativi, l’istituto della «espulsione amministrativa», mentre è rimasta sostanzialmente invariata l’espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, disposta dal Ministro dell’Interno, informando preventivamente il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli Affari Esteri.
Nel caso di persona sottoposta a procedimento penale occorre il nulla osta del Giudice competente (in relazione allo stato del procedimento), che è rilasciato salvo inderogabili esigenze processuali.
L’esecuzione dell’espulsione è curata dal "Questore". Essa avviene con accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica nei seguenti casi:
Secondo quanto stabilito da apposite circolari ministeriali, la competenza primaria all’«accompagnamento alla frontiera» dei cittadini stranieri nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di espulsione, ricade sulla Polizia di Stato, mentre l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza forniscono la loro collaborazione soltanto in ipotesi eccezionali, riferite a situazioni di particolare necessità ed urgenza, da valutare in seno al Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.
In ogni altro caso, l’espulsione è eseguita mediante l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro il termine dei quindici giorni e ad osservare le prescrizioni per il viaggio e per la presentazione all’ufficio di polizia di frontiera.
Nei confronti dell’espulsione disposta dal Ministro dell’Interno è esperibile il tradizionale ricorso giurisdizionale al Tribunale Amministrativo del Lazio, sede di Roma, in osservanza delle disposizioni vigenti circa la tutela degli interessi legittimi e la competenza territoriale del Giudice amministrativo.
Avverso l’espulsione disposta dal Prefetto, per i motivi previsti dalla legge, è invece concesso il ricorso al Giudice Ordinario, secondo la procedura di cui all’articolo 737 e seguenti del Codice di Procedura Civile (procedimenti in camera di consiglio).
Viene, infine, stabilito un termine temporale al divieto di rientro sul territorio nazionale connesso all’espulsione (5 anni, a meno che il pretore con il provvedimento che decide sul ricorso non stabilisca un termine diverso, comunque non inferiore ai tre anni).
Particolare rilevanza assumono, poi, le disposizioni che riguardano il potenziamento e il coordinamento dei controlli di frontiera e l’apparato sanzionatorio introdotto per i delitti connessi all’immigrazione clandestina.
Per quanto concerne il primo aspetto, il 3° comma dell’articolo 11, prevede che nell’ambito e in attuazione delle direttive adottate dal Ministro dell’Interno, i Prefetti delle province di confine terrestre ed i prefetti dei capoluoghi delle regioni interessate alla frontiera marittima promuovono le misure occorrenti per il coordinamento dei controlli di frontiera e della vigilanza marittima e terrestre, d’intesa con i Prefetti delle altre province interessate, sentiti i Questori e i dirigenti delle zone di polizia di frontiera, nonché le Autorità marittime e militari ed i responsabili degli organi di polizia, di livello non inferiore a quello provinciale.
In materia penalistica, il Testo Unico prevede la punibilità di alcune condotte dirette a favorire o a trarre vantaggio dall’immigrazione clandestina.
In materia penalistica, il Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero) prevede la punibilità di alcune condotte dirette a favorire o a trarre vantaggio dall’immigrazione clandestina.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato violando le disposizioni di legge è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 15.493 €.
â–º La pena è aumentata:
Nei casi indicati è obbligatorio l’arresto in flagranza ed è disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per i medesimi reati, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Fuori dalle ipotesi sopra prescritte e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a 15.493 €. chiunque favorisce la permanenza nel territorio dello Stato in violazione delle norme di legge ovvero al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero.
In quest’ultimo caso, è evidente il riferimento a ipotesi di sfruttamento di tale condizione di illegalità (es. per lavoro nero, impiego in attività di traffico e spaccio di stupefacenti, prostituzione). La disposizione si pone idealmente in rapporto con quella dell’art.18 che tende ad agevolare, anche attraverso specifiche forme di protezione sociale, l’allontanamento dello straniero, oggetto di sfruttamento, dai condizionamenti dell’organizzazione delinquenziale.
Proprio allo scopo di contrastare il fenomeno del lavoro nero, il Testo Unico sull’immigrazione, nel disciplinare le modalità per l’instaurazione e l’esecuzione di rapporti di lavoro con i cittadini stranieri, prevede apposite sanzioni penali (arresto da tre mesi ad un anno o ammenda da 1.032 a 3.098 €) per il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri in condizioni di irregolarità (artt. 22, comma 10, e 24 comma 6).
La legge (art. 12, 6° comma) ha, poi, previsto anche alcuni obblighi in capo ai "vettori" (marittimi, aerei o terrestri), i quali sono tenuti a:
In caso di inosservanza anche di uno solo dei citati obblighi, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 516 a 25.822 € per ciascuno degli stranieri trasportati. Nei casi più gravi, è disposta la sospensione da 1 a 12 mesi, ovvero la revoca della licenza, autorizzazione o concessione inerenti all’attività professionale svolta e al mezzo di trasporto utilizzato.
Relativamente ai poteri concessi alle forze di polizia per una più adeguata azione di contrasto, si segnala che gli Ufficiali e gli Agenti di p.s. operanti nelle province di confine e nelle acque territoriali possono procedere al controllo e all’ispezione dei mezzi di trasporto e delle cose trasportate, ancorché soggetti a speciale regime doganale, quando, anche in relazione a specifiche circostanze di tempo e di luogo, sussistono fondati motivi di ritenere che possano essere utilizzati per uno commettere uno dei reati sopra indicati. Dell’esito dei controlli e delle ispezioni è redatto processo verbale, da trasmettere entro 48 ore al Procuratore della Repubblica il quale, se ne ricorrono i presupposti, lo convalida nelle successive 48 ore.
Nelle medesime circostanze gli Ufficiali di polizia giudiziaria possono altresì procedere a perquisizioni, con l’osservanza delle disposizioni del codice di procedura penale.
Importanti novità sono state introdotte dal D.lgs.113/99 alla disciplina dei beni sequestrati e confiscati.
I beni sequestrati nel corso di operazioni di polizia finalizzate alla prevenzione e repressione dei reati in materia di immigrazione clandestina sono affidati dall’Autorità giudiziaria procedente in custodia giudiziale, salvo che vi ostino esigenze processuali, agli Organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego in attività di polizia ovvero ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale.
I mezzi di trasporto non possono essere in alcun caso alienati, onde evitare che gli stessi possano, indirettamente, ritornare nella disponibilità delle organizzazioni criminali.
I beni acquisiti dallo Stato, a seguito di provvedimento definitivo di confisca, sono, a richiesta, assegnati all’amministrazione o trasferiti all’ente che ne abbiano avuto l’uso ovvero sono alienati. I mezzi di trasporto che non sono assegnati o trasferiti per le finalità indicate dalla legge non possono essere alienati e sono distrutti.
Per quanto riguarda le somme di denaro confiscate a seguito di condanna, nonché le somme ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni confiscati sono destinate al potenziamento delle attività di prevenzione e repressione dei medesimi reati, anche a livello internazionale mediante interventi finalizzati alla collaborazione e all’assistenza tecnico-operativa con le forze di polizia dei Paesi interessati.
Il cittadino straniero che desidera entrare e soggiornare in Italia, deve innanzitutto possedere un "visto d'ingresso" che viene rilasciato dal Ministero degli Affari Esteri e dalla sua rete di Uffici diplomatico-consolari italiani, presenti nei Paesi di origine dei cittadini che intendono emigrare in Italia. I cittadini dell'Unione Europea non devono munirsi di visto.
Il visto rappresenta l'autorizzazione a soggiornare o transitare nel territorio italiano o in un altro Paese concessa al cittadino straniero, e consiste in uno "sticker" applicato sul passaporto o su un altro documento di viaggio valido.
Per fare domanda di visto, è necessario rivolgersi alla "Rappresentanza diplomatico-consolare italiana" presente nel proprio Paese e presentare un modulo accompagnato da una foto formato tessera e un documento di viaggio valido. Occorre inoltre esplicitare la finalità del viaggio, elencare i mezzi di trasporto che si useranno, descrivere i mezzi finanziari di cui si dispone e le condizioni di alloggio. Per chi viene a lavorare in Italia, occorre presentare anche l'autorizzazione al lavoro e il nulla osta della Questura italiana.
Il visto non può essere applicato su documenti scaduti e la durata di validità del documenti di viaggio deve essere superiore di almeno tre mesi a quella del visto.
Dopo aver fatto domanda, la Rappresentanza provvederà ad eseguire i controlli previsti per legge, e nel caso di una valutazione positiva rilascerà il visto entro 90 giorni dalla richiesta. Il visto potrà essere negato nel caso di persone già espulse dall'Italia o da un altro Paese dello spazio Schengen o dichiarate pericolose per l'ordine pubblico e la sicurezza.
Il visto potrà inoltre essere revocato, se la Rappresentanza dovesse venire a conoscenza in ritardo di situazioni che avrebbero impedito l'autorizzazione al visto.
I visti che si possono richiedere sono di diverso tipo:
I cittadini extracomunitari che entrano regolarmente in Italia e desiderano soggiornare sul nostro territorio, devono in primo luogo richiedere il "permesso di soggiorno", cioè il documento con cui lo Stato italiano concede il diritto di soggiornare nel nostro Paese.
Per richiedere questo documento, è necessario presentarsi al Questore della Provincia in cui si intende risiedere, entro otto giorni dall' ingresso in Italia. Sono esenti da questo obbligo i frontalieri, i diplomatici, i funzionari di organismi internazionali e i militari della Nato.
A partire dall’11 dicembre 2006, inoltre, è in vigore una nuova procedura per il rilascio e il rinnovo del permesso e della carta di soggiorno, che assegna agli uffici postali, anziché le questure, il compito di ricevere le istanze per alcune tipologie di permesso.
Una volta in possesso dei requisiti richiesti, di sufficienti mezzi di sussistenza e di un alloggio, e se non ci sono ragioni contrarie di ordine pubblico o sanitario, il permesso viene rilasciato entro un termine ordinatorio di venti giorni, che decorrono dalla data in cui è stata presentata l'istanza.
Quando si richiede l'autorizzazione a soggiornare in Italia, è possibile usufruire di diversi tipi di permesso di soggiorno che variano a seconda dello durata e dei motivi per cui sono richiesti:
La durata del permesso di soggiorno, ad eccezione di quello per motivi di lavoro, coincide con la durata prevista per il visto d'ingresso rilasciato dalle Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane presenti nei Paesi di appartenenza.
Al momento del ritiro del permesso, chi intende soggiornare per più di trenta giorni dovrà dimostrare di avere adempiuto agli obblighi in materia sanitaria, iscrivendosi al Servizio Sanitario Nazionale o stipulando una polizza assicurativa.
Una volta ottenuto, il permesso di soggiorno potrà essere revocato solo se verranno a mancare i requisiti previsti. Nel caso le Autorità preposte non abbiano concesso il permesso di soggiorno, entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento si può presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) competente per territorio.
I cittadini stranieri che risiedono regolarmente in Italia da almeno sei anni possono richiedere il rilascio della "carta di soggiorno", che vale come documento di identificazione personale e autorizza il suo possessore a soggiornare sul territorio italiano per un periodo di tempo indeterminato.
La carta è soggetta a "vidimazione" su richiesta dell'interessato entro dieci anni dal rilascio. Deve perciò essere rinnovata su iniziativa del suo titolare. Come documento di identità, la validità è per soli cinque anni dalla data del rilascio o del rinnovo.
Con questa carta, si può entrare e uscire dall'Italia senza obbligo del visto, svolgere ogni attività lecita che non sia espressamente riservata ai soli cittadini italiani, accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione e partecipare alla vita pubblica (anche se non consente di votare).
Se si possiedono i requisiti previsti la Questura rilascia la carta di soggiorno. Nell'eventualità di un rigetto della domanda, si hanno sessanta giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale.
La carta può essere richiesta anche per il proprio coniuge e i figli minori. In questo caso, occorre dimostrare di avere un reddito sufficiente e un alloggio idoneo. Inoltre, è necessario presentare i certificati rilasciati dal Paese d'origine che attestino il grado di parentela dei propri familiari, tradotti e legalizzati dall'Autorità Consolare Competente.
In attuazione alle disposizioni di legge vigenti, entro il 30 novembre di ogni anno il Governo italiano fissa, con un apposito decreto, le quote massime di lavoratori stranieri dipendenti, autonomi e stagionali che possono entrare nel nostro Paese. Tale decreto prende il nome di "decreto flussi".
I dati su cui vengono calcolate queste quote vengono elaborati dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tenendo conto dell'andamento dell'occupazione nazionale e della effettiva richiesta di lavoro sul mercato italiano a livello regionale e provinciale.
Parte di queste quote sono "quote preferenziali", in quanto riservate a categorie particolari di lavoratori. I cittadini di origine italiana che possono dimostrare una parentela di terzo grado in linea retta d'ascendenza con un cittadino italiano hanno diritto ad accedere a queste quote. Possono infatti iscriversi in apposite liste presso le "Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane" nel loro Paese d'origine e specificare le loro qualifiche professionali.
Altre quote preferenziali sono riservate ai cittadini degli Stati che mostrano di collaborare con le istituzioni italiane nella lotta all'immigrazione clandestina, attraverso accordi che li impegnano a regolamentare i flussi d'immigrati e a favorire le procedure di riammissione dei propri cittadini. Sono invece previste restrizioni numeriche all'ingresso per i lavoratori di Paesi che non collaborano adeguatamente alle misure di contrasto dell'immigrazione illegale.