Trattasi, infatti, di un «potere» in quanto ogni persona è tenuta ad ottemperare alla richiesta del Pubblico Ufficiale, ma, al tempo stesso, di un «dovere» in quanto la sopra citata norma considera necessario che la Polizia Giudiziaria stabilisca la identità del soggetto nei cui confronti vengono svolte le indagini (indagato) e dei soggetti che possono fornire informazioni sui fatti oggetto delle medesime (potenziali testimoni).
Chi rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità, sul proprio stato o su altre qualità personali, commette il reato di cui all'art. 651 c.p.. Chi, anziché frapporre un rifiuto, fornisce generalità false commette i reati di cui agli artt. 495 e 496 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un Pubblico Ufficiale sulla identità o qualità proprie o di altri).
Qualora, però, sia l’indagato che la persona informata sui fatti "rifiutano" di farsi identificare, oppure "forniscono generalità o documenti di identificazione in ordine ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità", vengono «accompagnati» (anche coattivamente) dalla Polizia Giudiziaria in Ufficio ed ivi "trattenuti" per il tempo strettamente necessario per l’identificazione (c.d. fermo per l’identificazione).
Un particolare "accompagnamento per l’identificazione" è quello che, in base all’Accordo di Schengen [1](Legge 30.9.1993, n. 358), può essere compiuto nei confronti della persona evasa oppure della persona colta nella flagranza di un grave reato (omicidio, storsione, stupro, traffico di stupefacenti o sostanze psicotrope, armi o esplosivi, immigrazione clandestina, ecc.) il cui atteggiamento sia continuato oltre la frontiera terrestre o marittima (c.d. inseguimento transfrontaliero) da parte di Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad uno Stato aderente all’Accordo (vale a dire, per quel che direttamente interessa, appartenenti, in via principale, agli Stati italiani, francesi e austriaci). Per questa ipotesi, l’Accordo di Schengen prevede che, su richiesta deli Ufficiali o Agenti di polizia giudiziaria, quelli del Paese ove l’inseguimento si è concluso possono procedere al fermo e alla “perquisizione di sicurezza”[3] dell’inseguito al fine di verificarne la identità provvedendo poi, se ne ricorrono le condizioni e sempre su richieta, al relativo arresto.
Peraltro il potere dovere di identificazione può spettare agli Organi di polizia, sia per finalità di polizia giudiziaria che per “finalità di polizia di sicurezza” ovvero per coloro che, pur in mancanza della qualifica di pubblica sicurezza, si trovano ad operare nel campo della "polizia amministrativa", volta a far rispettare le prescrizioni ed i limiti imposti dalle leggi e dagli atti amministrativi.
Di tutte le operazioni compiute a norma dell’art. 349 c.p. è redatto Verbale. La documentazione è conservata in apposito fascicolo (fascicolo delle indagini) presso l’ufficio del P.M. La documentazione è posta a disposizione del P.M.; copia dell’atto è conservata presso gli Uffici di polizia.
Carta d'identità digitale
[1] In base alle leggi di pubblica sicurezza, la «carta di identità» è considerata mezzo di identificazione ai fini di polizia (art. 288 del Reg. di esecuzione al T.U.L.P.S.), mentre tutti gli altri documenti sono definiti titoli equipollenti alla carta di identità (l’art. 292 del reg. T.U.-L.P.S. considera tali i documenti muniti di fotografia e rilasciati da un’Amministrazione dello Stato). Sono, pertanto, documenti validi per l’identificazione: i libretti ferroviari di cui sono muniti gli impiegati civili e militari dello Stato; le patenti di cui sono muniti i conducenti di veicoli; le tessere di riconoscimento postali; i libretti di porto d’armi; i passaporti per l’estero.
[2] Per “generalità” si intendono: nome, cognome, paternità, maternità, data e luogo di nascita (identità); residenza, domicilio, stato di coniugato, divorziato, di filiazione, o di parentela, attività lavorativa, cittadinanza (stato); professione, titoli di studio, professionali ed onorifici, situazione patrimoniale, rapporti con la giustizia (qualità personali).
[3] Rientra tra le perquisizioni previste dalle leggi speciali anche la c.d. perquisizione personale di sicurezza (con eventjuale successivo sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti) che le autorità di polizia di uno Stato aderente all’Accordo di Schengen (e quindi quelle italiane, francesi e austriache) possono compiere all’esito di un inseguimento tranfrontaliero conclusosi con il fermo per identificazione dell’inseguito (evaso o persona colta in flaqgranza per gravi di reati). Malgrado la denominazione, non si tratta di perquisizione a carattere preventivo, ma di perquisizione di polizia giudiziaria. Essa infatti viene compiuta dopo la commissione di un reato (evasione o altro reato commesso in flagranza).
Nell’ambito della attività di polizia, il personale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera che procede all’identificazione, «invita» la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ed i soggetti in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto, a «dichiarare le proprie generalità». Trattasi di un atto dovuto che ha inizio sul luogo e può avere seguito anche in Ufficio.
Nell’ambito dell’attività di polizia in genere, le "necessità identificative" possono essere assolte, sia con la carta di identità, che con qualsiasi altro titolo equipollente.
[1] Art. 10, co. 2 D.L. 144/2005 conv. Legge 158/2005.
Il primo e più semplice "controllo" va effettuato per accertare se il documento esibito risulti denunciato rubato o smarrito da parte del titolare.
Tali notizie sono contenute in apposito «schedario elettronico», del "Centro Elaborazioni Dati" (C.E.D.) in uso alle Forze di Polizia, nel quale vengono inseriti i numeri identificativi dei documenti che vengono denunciati rubati o smarriti.
E’ sufficiente, pertanto, interrogare al terminale il numero del documento[1]. Tale accesso telematico consente di conoscere se lo stesso è stato rubato o smarrito e da chi, in che data e presso quale ufficio di polizia denunciato. In caso positivo, ovviamente, il possessore è illecito (se ne sarà appropriato direttamente o l’avrà acquisito da altri e vi avrà, quanto meno, cambiato la fotografia, in quanto utilizza un documento rubato o smarrito facendo proprie le generalità del titolare)
In "terza pagina", frapposto tra la fotografia e la pagina stessa, viene impresso un timbro a secco punzonato (ossia, che non lascia un segno con l’inchiostro, ma un rilievo, appunto, di punzonatura).
A tale proposito, è opportuno accertare che vi sia perfetta coincidenza tra la parte del timbro impresso sulla fotografia e la parte invece impressa sulla pagina; inoltre, che la dicitura del timbro a secco sia la stessa del timbro ad inchiostro esistente sulla parte sottostante della medesima pagina (Comune di _____________ ).
Per verificare se vi è stata sostituzione di foto si può anche controllare, utilizzando uno spillo, se esiste la necessaria corrispondenza tra le depressioni del timbro a secco originale (visibile sulla quarta pagina) e quelle esistenti sulla fotografia. Infine, poiché il falsificatore potrebbe aver completato la circonferenza dell’impronta usando un compasso, è opportuno riscontrare se esistono tracce di punta del suddetto strumento al centro della timbratura.
Oltre agli schedari ed archivi elettronici nazionali del CED possono essere effettuate ricerche presso gli archivi delle utenze telefoniche della TELECOM (contiene i nominativi e gli indirizzi di tutti gli intestatari di utenze telefoniche), dell’A.C.I., del P.R.A. e della Motorizzazione Civile (contengono i dati identificativi degli autoveicoli e dei loro proprietari), della Suprema Corte di Cassazione (raccoglie le sentenze civili e penali della Corte e le massime Ufficiali del Consiglio di Stato) e dell’Unione Camere di Commercio (contiene i dati e le informazioni, di natura pubblica, raccolti dalle Camere di Commercio, relativi a società e ditte), ricchi serbatoi di dati ed informazioni.
Possono essere effettuate ricerche presso i gli archivi cartacei presso l’Anagrafe al fine di consultare gli Atti dello Stato Civile (residenza e stato di famiglia, sia attuali che storici, morte, matrimonio), l’Ufficio Elettorale (elenco dei cittadini che godono dei diritti politici), l’Ufficio Carte di identità.
Altri informazioni di interesse possono essere assunte presso gli Enti che erogano servizi e forniture (Enel, Italgas, Aziende Municipalizzate o Private locali, ecc.) dai quali si possono spesso acquisirsi dati necessari per individuare la dimora di una persona che, come chiunque, non potrà far certo a meno di tali servizi di prima necessità (anche estendendo la ricerca al nome di familiari o di persone legate da vincoli affettivi, di amicizia o di colleganza).
► Inoltre, presso la Questura sono accessibili:
Presso la Prefettura è ubicato l’ Ufficio Patenti, nei cui archivi sono accessibili i atti anagrafici e le fotografie di tutti i titolari di patenti di guida rilasciate nella provincia. Nel Tribunale, il Casellario Giudiziario che contiene le notizie riguardo alle condanne passate in giudicato dei cittadini nati nel circondario, il Registro Generale Penale per i carichi pendenti raccoglie le indicazioni in ordine ai procedimenti in corso, mentre il Registro delle Imprese ed il Registro della Stampa sono consultabili per i dati relativi alle imprese ed alle testate giornalistiche registrate.
Ricordiamo, infine, il Catasto Edilizio Urbano e Terreni ove sono conservate le piante catastali, rispettivamente degli immobili urbani e rurali, la Conservatoria dei Registri Immobiliari, nel cui archivio possono essere attinte notizie utili in ordine alla proprietà degli immobili, gli Albi Professionali, gli Uffici di Collocamento, gli Uffici Finanziari (Uffici Tecnici Erariali, Uffici delle entrate, Intendenze di Finanza, ecc.).
L’elencazione di cui sopra, che non ha certamente la pretesa di avere carattere esaustivo, fornisce, tuttavia, un’idea sull’ampia gamma di mezzi conoscitivi di indagine, tramite i quali l’investigatore può trarre evidenti benefici di carattere informativo da aggiungere a quanto contenuto nei propri "Archivi cartacei" che, è bene ricordarlo e sottolinearlo, anche nell’era della telematica rappresentano una miniera ricca e facilmente attingibile di notizie.
[1] Ad esempio, il numero della carta di identità e quello del passaporto vengono stampigliati su moduli in bianco presso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, i quali vengono consegnati alle Prefetture per la successiva distribuzione ai Comuni (carte d’identità) ed al Ministero degli Esteri per la successiva distribuzione alle Questure (passaporti).
Per quanto riguarda i «cittadini stranieri», a norma dell’art. 144 del T.U.L.P.S. (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza) l’Autorità di P.S. la facoltà di invitare, in ogni tempo, lo straniero ad esibire i documenti di identificazione di cui è provvisto e a dare contezza di sé; qualora vi sia motivo della identità personale dello straniero, questi può essere sottoposto a rilievi segnaletici.
La identificazione può avvenire normalmente mediante l’esibizione di un "documento di riconoscimento" rilasciato dallo Stato di appartenenza dell’interessato, come ad esempio:
Mentre per i "cittadini comunitari" la patente di guida ed il passaporto sono conformi ai modelli europei fissati dalla normativa comunitaria, quindi, facilmente intellegibili e valutabili in sede di controllo, gli "stranieri extracomunitari" sono dotati di documenti tra loro diversi a seconda dello Stato di appartenenza, scritti in lingue e caratteri alfabetici diversificati e difficilmente traducibili.
Risulta così difficile, anche per il personale del Corpo delle Capitanerie di Porto, viste le proporzioni sempre più rilevanti del fenomeno dell’arrivo, sulle coste dell’Italia meridionale, di migliaia di persone provenienti, per lo più, da Paesi dell’Africa maghrebina, dell’area balcanica (Europa centro-orientale) e del Medio Oriente, giudicare l’autenticità del documento di riconoscimento mostrato dallo straniero e, di conseguenza, acquisire la sua veridicità.
Al fine di una migliore valutazione di siffatti documenti, possono essere interpellati l’Ufficio Stranieri della Questura o, più direttamente, l’Ambasciata o il Consolato in Italia dello Stato di provenienza dello straniero e, quindi, di emissione del documento.
Va ricordato, comunque, che molti stranieri, residenti da anni nel nostro Paese, possono essere muniti di "carta di identità italiana" (che non ha, ovviamente, validità per l’espatrio) o, anche di "patente di guida italiana".
Il cittadino straniero extracomunitario, oltre al "passaporto" di cui deve comunque essere munito perché solo con questo gli è consentito l’ingresso in Italia (salvo i casi di clandestini che hanno successivamente sanato la loro posizione in virtù di particolareggiate e limitate disposizioni di legge, come quelle sul ricongiungimento familiare e regolarizzazione per offerta di lavoro), deve essere munito del «permesso di soggiorno»[1] che, ai sensi dell’art. 4 della Legge 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d. Legge MARTELLI), va richiesto entro otto giorni dalla data di ingresso ed ha diversa durata a seconda del titolo per cui viene rilasciato (non superiore a tre mesi per motivi di turismo, a due anni per motivi di lavoro, di studio e di cura, illimitata qualora coniugato con cittadino italiano da più di tre anni risiedendo nel territorio italiano).
In base al successivo art. 6, lo straniero in possesso del permesso di soggiorno ha diritto all’iscrizione anagrafica presso il Comune di residenza e, successivamente, al rilascio della "carta di identità italiana", di validità limitata al territorio nazionale ed alla durata del permesso di soggiorno medesimo.
In virtù del comma 4 dell’art. 4 comma 4, Legge n. 39/90, il "permesso di soggiorno" deve essere esibito ad ogni richiesta degli Ufficiali ed Agenti di pubblica sicurezza.
Eventuali inosservanze dello straniero ai suddetti obblighi devono essere segnalate all’Ufficio Stranieri della Questura per le opportune determinazioni in ordine alla eventuale espulsione ai sensi dell’art, 7 comma 2, Legge n. 39/90.
[1] Il permesso di soggiorno è costituito da un foglio sul quale sono trascritte le generalità complete ed i dati riguardanti lo straniero (nome, cognome, luogo e data di nascita, nazionalità, residenza all’estero, recapito in Italia, data d’ingresso, data e motivo del visto, motivo e scadenza del soggiorno, data del rilascio) e sul quale è apposta una fotografia del titolare.
I cittadini "extracomunitari" che entrano regolarmente in Italia e desiderano soggiornare sul nostro territorio, devono in primo luogo richiedere il "permesso di soggiorno", cioè il documento con cui lo Stato italiano concede il diritto di soggiornare nel nostro Paese.
Per richiedere questo documento, è necessario presentarsi al Questore della Provincia in cui si intende risiedere, entro otto giorni dall' ingresso in Italia. Sono esenti da questo obbligo i frontalieri, i diplomatici, i funzionari di organismi internazionali e i militari della Nato.
A partire dall’11 dicembre 2006, inoltre, è in vigore una nuova procedura per il rilascio e il rinnovo del permesso e della carta di soggiorno, che assegna agli "Uffici postali", anziché le Questure, il compito di ricevere le istanze per alcune tipologie di permesso.
Una volta in possesso dei requisiti richiesti, di sufficienti mezzi di sussistenza e di un alloggio, e se non ci sono ragioni contrarie di ordine pubblico o sanitario, il permesso viene rilasciato entro un termine ordinatorio di venti giorni, che decorrono dalla data in cui è stata presentata l'istanza.
La durata del permesso di soggiorno, ad "eccezione" di quello per motivi di lavoro, coincide con la durata prevista per il visto d'ingresso rilasciato dalle Rappresentanze diplomatiche o consolari italiane presenti nei Paesi di appartenenza.
Al momento del ritiro del permesso, chi intende soggiornare per più di trenta giorni dovrà dimostrare di avere adempiuto agli obblighi in materia sanitaria, iscrivendosi al Servizio Sanitario Nazionale o stipulando una polizza assicurativa.
Una volta ottenuto, il permesso di soggiorno potrà essere revocato solo se verranno a mancare i requisiti previsti. Nel caso le Autorità preposte non abbiano concesso il permesso di soggiorno, entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento si può presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) competente per territorio.
I «cittadini stranieri» che risiedono regolarmente in Italia da almeno sei anni possono richiedere il rilascio della "carta di soggiorno", che vale come documento di identificazione personale e autorizza il suo possessore a soggiornare sul territorio italiano per un periodo di tempo indeterminato.
La carta è soggetta a "vidimazione" su richiesta dell'interessato entro dieci anni dal rilascio. Deve perciò essere rinnovata su iniziativa del suo titolare. Come documento di identità, la validità è per soli "cinque anni" dalla data del rilascio o del rinnovo.
Con questa carta, si può entrare e uscire dall'Italia senza obbligo del visto, svolgere ogni attività lecita che non sia espressamente riservata ai soli cittadini italiani, accedere ai servizi della Pubblica Amministrazione e partecipare alla vita pubblica (anche se non consente di votare).
Se si possiedono i requisiti previsti la Questura rilascia la carta di soggiorno. Nell'eventualità di un rigetto della domanda, si hanno sessanta giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale.
La carta può essere richiesta anche per il proprio coniuge e i figli minori. In questo caso, occorre dimostrare di avere un reddito sufficiente e un alloggio idoneo. Inoltre, è necessario presentare i certificati rilasciati dal Paese d'origine che attestino il grado di parentela dei propri familiari, tradotti e legalizzati dall'Autorità Consolare Competente.
Consistendo l’identificazione in un potere, come tale contrapposto ad una situazione di soggezione da parte della persona nei cui confronti è stato esercitato il potere di identificazione, il nostro ordinamento penale prevede delle "specifiche sanzioni" per chi ne ostacola il libero e legittimo esercizio.
Infatti l’art. 651 c.p. punisce, quale reato contravvenzionale (arresto fino ad 1 mese o ammenda di € 206) chi, richiesto da un Pubblico Ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali.
In primo luogo, quindi, occorre una "esplicita richiesta" del Pubblico Ufficiale che sta esercitando la propria funzione. Non è sindacabile la necessità o la fondatezza della richiesta del Pubblico Ufficiale, in quanto questi può chiedere a chiunque le generalità purché sia nell’esercizio delle proprie funzioni (Sent. Corte di Cassazione 28 aprile 1995). Tale limite, dell’esercizio delle pubbliche funzioni, significa, pertanto, che siffatto potere deve essere esercitato non in maniera "indiscriminata", ma deve risultare una necessità o un’opportunità connessa al libero e completo svolgimento della funzione medesima.
Il "rifiuto" configura comunque il reato in questione, anche se, poco dopo, il soggetto fornisca spontaneamente le proprie generalità. Non costituisce reato, invece, il non fornire dati non espressamente richiesti dal Pubblico Ufficiale.
Chi, al contrario, "dichiara generalità mendaci", trattandosi di condotta bel più grave rispetto alla precedente, in quanto tende ad indurre in errore il Pubblico Ufficiale che le riceve, incidendo sulla fede pubblica, risponde del delitto previsto dall’art. 496 c.p., punito con la reclusione fino ad 1 anno o con la multa fino a 516 €.
Anche in tale ipotesi criminosa occorre che il Pubblico Ufficiale sia nell’esercizio delle proprie funzioni (o del proprio servizio) ed abbia "esplicitamente interrogato" la persona sulla sua identità, il suo stato e le sue qualità personali.
La pena è della reclusione fino a 3 (tre) anni, quando le dichiarazioni o le attestazioni al siano destinate ad essere ricevute in un atto (art. 495 c.p.).
Oltre che per l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 651 c.p., anche per le due figure di delitto sopra menzionate non è consentito l’arresto nella flagranza di reato ed è competente il Tribunale monocratico.
La Cassazione con Sent. N. 6864 del 9 aprile 1993 stabiliva che il rifiuto di consegnare il documento di riconoscimento al Pubblico Ufficiale integrava gli estremi del reato di cui all’art. 221 del Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S in relazione all’art. 294[1] dello stesso Regolamento e non il reato di cui all’art. 651 c.p.
Il D.lgs. 13.7.1994, n. 480 ha introdotto l’art. 221 bis che punisce la violazione di cui all’art. 221 con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 154 € a 1.032 €.
[1] Art. 294 T.U.L.P.S. – La carta di identità od i titoli equipollenti devono essere esibiti ad ogni richiesta degli Ufficiali e degli agenti di pubblica sicurezza.
Nel campo della «polizia amministrativa», volta a far rispettare le prescrizioni ed i limiti imposti dalle leggi e dagli atti amministrativi (polizia tributaria, sanitaria, urbanistica, stradale, ambientale, demaniale, dei porti e della navigazione), il «potere di identificazione», per coloro che sono in possesso della qualifica di “Ufficiale ed Agente di P.S.”, deriva dalla generale disposizione dell’art. 294 del Regolamento di esecuzione al T.U.L.P.S., quando viene esplicato al fine di esercitare la attribuzione, prevista dall’art. 1 del T.U. medesimo, consistente nel curare l’osservanza delle leggi e dei regolamenti dello Stato nonché delle ordinanze dell’Autorità.
In tale testo normativo manca, in realtà, una precisa disposizione che abiliti all’esercizio del “potere di identificazione” nel corso dello svolgimento dell’attività disciplinata.
Se ne desume, però, la necessità e, quindi, l’implicita previsione, quando agli artt. 13 e 14 vengono regolati gli atti di accertamento e la contestazione e notificazione, tutte azioni amministrative che non possono prescindere da una previa o contestuale identificazione dei soggetti interessati.
L’esigenza primaria volta a garantire agli Organi deputati alla tutela della pubblica sicurezza una efficiente azione di prevenzione fornisce agli stessi uno strumento operativo determinante che consiste nel potere-dovere di identificare le "persone pericolose" e "sospette"[1] o quelle, comunque, delle quali ritengano opportuno conoscere la identità per l’espletamento dei propri compiti istituzionali.
In questi casi, l’attività di controllo e identificazione prescinde dalla commissione di un reato e non è attività di polizia giudiziaria, ma di “polizia di sicurezza” (art. 11 Decreto Legge 21 marzo 1978, n. 59 [2] convertito con modificazioni nella Legge 18 maggio 1978, n. 191[2] ed art. 4 T.U.L.P.S.)
Anche di tale accompagnamento e del successivo rilascio va dato «avviso» al Procuratore della Repubblica, il quale può disporre l’immediato rilascio. In questa previsione normativa la durata massima del trattenimento in ufficio (c.d. fermo o accompagnamento per l’identificazione di p.s.) è fissata in 24 ore.
L’istituto del “fermo per identificazione”, di cui all’art. 11 D.L. n. 59/78, è strutturato in modo analogo all’accompagnamento negli uffici di polizia previsto dall’art. 349 del c.p.p.
Trattandosi di istituto concernente l’attività della polizia di sicurezza, l’istituto del fermo per identificazione appena illustrato non ha cessato di avere vigore neppure dopo l’introduzione dell’art. 349 del codice di procedura penale.
L’art. 11 del D.L. 21/3/78, n. 59 recita: “gli Ufficiali e gli Agenti di polizia possono accompagnare nei propri uffici chiunque, richiestone, rifiuta di dichiarare le proprie generalità ed ivi trattenerlo per il tempo strettamente necessario al solo fine dell’identificazione o comunque non oltre le 24 ore“.
La disposizione si applica anche «...quando ricorrono sufficienti indizi per ritenere la falsità delle dichiarazioni della persona richiesta sulla propria identità personale o dei documenti d’identità da essa esibiti». Dell’accompagnamento e dell’ora in cui è stato compiuto è data immediata notizia al Procuratore della repubblica, il quale, se riconosce che non ricorrono le condizioni di cui ai commi precedenti ordina il rilascio della persona accompagnata.
Al Procuratore della Repubblica è data altresì immediata notizia del rilascio della persona accompagnata e dell’ora in cui è avvenuto.
Alla identificazione della persona può procedersi, ove occorra, anche eseguendo rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici, nonché qualsiasi altro accertamento non tipizzato che lo sviluppo tecnico-scientifico dovesse prospettare come idoneo ai fini identificativi, ad esclusione di quei rilievi che possano incidere sulla libertà fisica e morale, specialmente quando impongano un mancato riguardo al pudore ed alla dignità della persona medesima. Se gli accertamenti di cui trattasi comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell’interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, dal Pubblico Ministero. [3]
Di tutte le operazioni compiute a norma dell’art. 11 del D.L. 59/78 è redatto Verbale. La documentazione è conservata in apposito fascicolo (fascicolo delle indagini) presso l’ufficio del P.M. La documentazione è posta a disposizione del P.M.; copia dell’atto è conservata presso gli Uffici di polizia.
[1] Per persone pericolose devono intendersi ad esempio: i pericolosi sociali, gli oziosi ed i vagabondi abituali; i mendicanti, gli intossicati, i malati di mente. Per persone sospette, invece, quelle che, con la loro condotta, diano luogo a giudizio sfavorevole circa la regolarità della loro vita di relazione, in particolare coloro che fuori del loro Comune, destando sospetti con la loro condotta, si rifiutano o non possono dare contezza di sé, alla richiesta di Ufficiali ed Agenti di P.S., mediante l’esibizione di una carta d’identità o documento equipollente.
[2] Le disposizioni previste da codice ricalcano, in maniera quasi letterale, l’art.11 D.L. 21.3.1978 n.59, convertito con modificazioni nella Legge 18 maggio 1978 n.191, rispetto al quale prevede la riduzione da 24 a 12 ore del termine massimo per il quale la persona può essere trattenuta. Trattandosi di leggi che regolano la stessa materia, il predetto D.L. n.59/78 dovrebbe pertanto ritenersi abrogato a far tempo dall’entrata in vigore del nuovo codice.
[3] A norma dell’art. 10, comma 4 quater, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2005, n. 155 per l’identificazione di pubblica sicurezza si osservano le stesse disposizioni dell’art. 349. 2 bis c.p.p.
Links:
[1] https://www.studiocataldi.it/normativa/immigrazione/schengen/
[2] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1978/03/22/078U0059/sg