Il procedimento penale ha inizio con l'acquisizione della notizia di reato da parte della Polizia Giudiziaria (art. 330 c.p.p.) o del Pubblico Ministero. All'acquisizione segue una prima fase della procedura (fase delle indagini preliminari) che ha per protagonista la Polizia Giudiziaria la quale, fino a quando il P.M. non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini..., raccoglie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto ed alla individuazione del colpevole (art. 348, comma 1 c.p.p.).
La Polizia Giudiziaria ha il compito di informarsi sul fatto ma anche di informare tempestivamente il P.M. dell'intervenuta acquisizione della notizia di reato.
Le indagini compiutre dal P.M. e dalla Polizia Giudiziaria mirano a consentire al P.M. di assumere le sue determinazioni in ordine o meno dell'azione penale (art. 326 c.p.p.).
Gli Organi che svolgono le indagini preliminari, sono il «Pubblico Ministero» e la «Polizia Giudiziaria». Nel modello processuale vigente il Pubblico Ministero è solo organo inquirente e di azione penale con funzioni direttive della Polizia giudiziaria che è l’altro organo deputato delle indagini. In particolare il P.M., pur essendo Autorità giudiziaria, svolge un ruolo di parte, in posizione di sostanziale parità con la persona indagata.
Da ciò deriva che il P.M. non ha poteri sulla libertà personale di quest’ultima (salvo il potere-dovere di fermo che ha, però carattere provvisorio ed eccezionale).
L’attuale sistema non attribuisce al Pubblico Ministero e alla Polizia giudiziaria il potere di formare la prova e di incidere sui diritti costituzionali garantiti dell’indagato/imputato. Tali poteri, infatti, possono appartenere solo ad un soggetto che non svolge né funzione di investigazione né funzione di accusa e che, invece, è rigorosamente estraneo alla contesa tra le parti (Pubblico Ministero e imputato).
Anche se la fase delle indagini preliminari ha natura essenzialmente investigativa, è tuttavia previsto, che durante la fase operi un Giudice: il Giudice per le indagini preliminari (=G.I.P). Questo Giudice che è singolo (monocratico) e privo di qualsiasi funzione investigativa, è istituito presso i Tribunali ordinari ed i Tribunali per i minorenni (ove opera, come Giudice collegiale nell’Udienza Preliminare).
Il G.I.P., non svolge indagini preliminari, ma esercita su di esse «funzioni di controllo». Interviene, infatti, in funzione di garanzia delle posizioni di libertà dell’indagato ed in funzione di controllo e garanzia sui tempi di svolgimento delle indagini e sull’esercizio dell’azione penale.
Spetta ancora al GIP autorizzare il compimento delle intercettazioni telefoniche (art. 267) richieste dal P.M.: trattandosi, infatti, di un mezzo insidioso che può incidere sulla riservatezza delle relazioni personali dell’indagato, non è consentito a chiunque captarne le comunicazioni, ma solo a chi indaga su certi reati particolarmente gravi e dietro autorizzazione del Giudice. Il GIP proroga i termini previsti per le indagini (artt. 406-415) ovvero provvede sulla richiesta di archiviazione (artt. 408 ss.)
Il tal modo il G.I.P. controlla che le indagini siano correttamente svolte e che non si verifichino delle irregolarità investigative che incidano sul corretto andamento del procedimento penale.
Abbiamo detto in precedenza che il G.I.P. è l’organo delle indagini in Tribunale, presso il quale svolge le sue funzioni anche con riferimento ai procedimenti per reati di competenza della Corte d’Assise.
Nei procedimenti di mafia, le funzioni di GIP sono svolte da un magistrato operante nel Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di Appello «c.d. G.I.P. distrettuale».
Il G.I.P. è, altresì, organo con poteri di decisione nella fase successiva alla chiusura delle indagini e nell’esercizio dell’azione penale in quanto chiamato a decidere sul rinvio a giudizio dell’indagato.
Questa duplicità di ruoli distingue il Giudice per le indagini preliminari dagli altri Giudici ordinari ai quali spettano sempre poteri di decisione, connessi, per lo più, allo svolgersi di una udienza dibattimentale.
E', nel nuovo Codice di procedura penale, il Giudice cui competono gli «atti giurisdizionali» più importanti nella fase delle indagini preliminari.
Il Giudice per le indagini preliminari (detto nel linguaggio corrente G.I.P.), non svolge indagini preliminari, ma sostanzialmente esercita il «controllo» sulle attività di ricerca della prova a «garanzia» dei diritti di coloro nei cui confronti tale attività viene effettuata.
► Il G.I.P. interviene infatti:
Il Pubblico Ministero è organo inquirente rispetto al quale il cittadino assume posizione di soggezione, almeno sino a che non viene formalmente esercitata l'azione penale: al G.I.P. sono rimesse tutte le decisioni che maggiormente incidono sulla conduzione del procedimento o che più da vicino concernono la libertà dell'indagato (intercettazioni telefoniche, incidente probatorio, convalida del fermo e dell'arresto, applicazione di misure cautelari, convalida del sequestro, ecc.)
In casi eccezionali, tassativamente elencati dall'art. 392 c.p.p., è previsto che singoli atti possano essere "richiesti" sia dallo stesso P.M. che dalle altre parti interessate al G.I.P. e che, in tal modo, l'assunzione di tali atti avvenga dinanzi al G.I.P. e nel contraddittorio tra gli interessati. Si chiama, dunque, «incidente probatorio» lo speciale procedimento per mezzo del quale si assume una prova dinanzi al G.I.P.
Infine, è sottoposta al vaglio di fondatezza del G.I.P. anche la "richiesta di rinvio a giudizio" (nelle sue varie forme: rinvio a giudizio ordinario, giudizio immediato) nonché le altre forme di definizione abbreviata del procedimento, quali il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena su richiesta delle parti.
Il G.I.P. proroga i termini previsti per le indagini (artt. 406-415) ovvero provvede sulla richiesta di archiviazione (artt. 408 ss.)
Il G.I.P. svolge le proprie funzioni presso il Tribunale, presso il quale svolge le sue funzioni anche con riferimento ai procedimenti per reati di competenza della Corte d’Assise.
Nei procedimenti di mafia, le funzioni di G.I.P. sono svolte da un magistrato operante nel Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di Appello c.d. G.I.P. distrettuale.
Normalmente le prove vengono acquisite al dibattimento. In via eccezionale, vi sono dei casi in cui il legislatore, in previsione dei rischi che il rinvio al dibattimento presenta nell’attesa (rischio di inquinamento della loro genuinità, modificazione, alterazione naturale o indotta, scomparsa), dispone che certe prove possano essere raccolte prima, nella fase delle indagini preliminari, ma non dal P.M., bensì da un Giudice, il G.I.P., attraverso lo strumento dell’«incidente probatorio».
L’incidente probatorio consiste quindi nella anticipata acquisizione della prova non rinviabile al dibattimento. Non potendo la prova attendere il dibattimento, i meccanismi dibattimentali di formazione della prova sono anticipatamente azionati innanzi allo stesso G.I.P., nel contraddittorio delle potenziali parti e con le stesse formalità della “cross examination” (=esame incrociato). Trattasi, invero, di vero e proprio incidente (o parentesi o segmento) processuale.
Mediante l'incidente probatorio, il G.I.P. compie dunque un atto che potrebbe essere tardivo tentare di compiere in dibattimento e il cui compimento da parte della Polizia Giudiziaria o del P.M., invece, non potrebbe produrre effetti ai fini della decisione del Giudice del dibattimento (poiché si configurerebbe quale atto di indagine e cioé come un atto inidoneo a costituire prova).
► I casi di incidente probatorio sono tassativamente elencati dall'art. 392 c.p.p., e si verificano quando:
Gli atti compiuti con incidente probatorio sono, fin dall’inizio, acquisiti al fascicolo del dibattimento e hanno la stessa utilizzabilità di quelli compiuti in giudizio.
Poiché l’incidente probatorio prevede il contraddittorio delle potenziali parti (Pubblico Ministero, difensore e, nella gran parte dei casi, anche l’indagato), di conseguenza, fa scoprire al Pubblico Ministero la direzione delle indagini.
Occorre, quindi, fare un uso molto accorto dell’incidente probatorio: Pubblico Ministero e Polizia giudiziaria devono valutare attentamente se ricorrere ad esso o rischiare che la prova si inquini o si deteriori o divenga impossibile la ripetizione.
Nel precedente sistema processuale sin dal primo atto di istruzione il Giudice Istruttore o il Pubblico Ministero doveva inviare all'imputato la «comunicazione giudiziaria» (c. d. avviso di garanzia).
Nel nuovo modello processuale, invece, la stessa comunicazione «c.d. informazione di garanzia» va inviata solo se vi è nelle indagini preliminari il compimento di un atto al quale il difensore ha diritto di assistere (art. 369 c.p.p.).
I difensori hanno altresì il diritto di assistere, ma senza avviso, per gli atti di "perquisizione" o di "sequestro" (art. 365 c.p.p.), atti «c.d a sorpresa».
Pertanto tutti gli altri atti di indagine possono essere compiuti (ad esempio, esame di persone che possono riferire sulla notizia di reato - futuri testimoni) senza l'invio della informazione di garanzia.
La fase delle indagini preliminari è «perimetrata» entro precisi confini temporali. Il legislatore, nell'intento di assicurare ritmi accelerati alla fase dell indagini e di tutelare possibili interessi dell'indagato e della persona offesa ad una tempestiva definizione delle indagini, ha prefissato termini "massimi" di durata.
Il termine di durata delle indagini è di 1 (un) anno quando si procede per uno dei delitti indicati nell’art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p. e cioè che riguardano ipotesi di delitti riconducibili al concetto di criminalità organizzata (eversiva, terroristica o tipo mafioso). Per gli altri reati, il termine delle indagini è di soli 6 (sei) mesi.
Il termine delle indagini preliminari (sia esso di sei mesi o di un anno) può essere "prorogato" una o più volte dal G.I.P. su richiesta del Pubblico Ministero. La richiesta di proroga contiene l’indicazione della notizia di reato e l’esposizione dei motivi che la giustificano. Deve essere notificata (a cura del G.I.P.) all’indagato e alla persona offesa che, nella notizia di reato (ad esempio, nella querela o nella denuncia) o successivamente alla sua presentazione, ha dichiarato di volerne essere informata.
La notificazione della richiesta di proroga non è prevista quando si procede per uno dei delitti di mafia.
La proroga è concessa o negata dal G.I.P. La prima proroga, di durata non superiore a 6 (sei) mesi, può essere concessa per qualsiasi giusta causa. Le altre, solo quando la giusta causa consiste nella particolare complessità delle indagini o nella oggettiva impossibilità di concluderle.
In totale, computate tutte le proroghe, la durata delle indagini non può superare i 18 (diciotto) mesi.
Il termine di durata delle indagini può essere di "quattro anni" quando si procede per i delitti di più grave allarme sociale (art. 407 comma 2 lett. b c.p.p.).
Entro i termini prefissati il Pubblico Ministero, valutati i risultati delle indagini compiute, deve operare la scelta fra l’archiviazione o l’esercizio dell’azione penale.
La notizia di reato deve essere ritenuta "infondata" dal Pubblico Ministero quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio e ciò al fine di evitare processi e dibattimenti inutili.
Sulla richiesta di archiviazione, è particolarmente intenso il controllo del G.I.P. che quando è in disaccordo rispetto alle conclusioni del P.M. può anche "imporgli di compiere nuove indagini o di formulare l’imputazione".
L'impostazione garantistica che ha animato la c.d. riforma del Giudice Unico ha accresciuto i diritti dell'imputato anche in riferimento al momemto conclusivo delle indagini.
All'approssimarsi della scadenza del termine per le indagini, "originario" (mesi 6 o, per i reati di criminalità organizzata, anni 1) o "prorogato", il P.M. può limitarsi a richiedere l'archiviazione (per improcedibilità dell'azione penale, per infondatezza della notizia criminis o per essere ignoti gli autori) senza altri adempimenti.
Quando, invece, intende esercitare l'azione penale (mediante richiesta di rinvio a giudizio per i reati attribuiti al Tribunale colleggiale o, nei casi consentiti, al Tribunale monocratico, overo mediante citazione diretta a giudizio innanzi al tribunale monocratico), il P.M. procedente fa "notificare" all'indagato e al suo difensore, prima della scadenza del termine delle indagini preliminari (art. 415 comma 2 c.p.p.), se non deve formulare la richiesta di archiviazione ai sensi degli artt. 408 e 411 c.p.p., l'avviso delle concluse indagini (art. 415bis c.p.p.).
La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall’avviso previsto dall’art. 415 bis c.p.p., nonché dall’invito a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell’art. 375 co. 3 c.p.p. qualora la persona sottoposta alle indagini a seguito del predetto avviso abbia chiesto di essere sottoposta a interrogatorio.
E’ questo il momento in cui inizia il «processo vero e proprio» ed in cui la persona sottoposta alle indagini acquista la qualità di «imputato».
Quando il P.M. esercita l’azione penale mediante la “richiesta di rinvio a giudizio” si apre una fase giurisdizionale nella quale il "Giudice dell’Udienza Preliminare" (G.U.P.) nel pieno contraddittorio delle parti, verifica se l’ipotesi di accusa formulata dal P.M. appare o no fornita di quel tanto di fondatezza che giustifica il giudizio.
La sede a ciò destinata è la «Udienza Preliminare», che funziona come una sorta di "filtro" rispetto alle accuse mosse dal P.M. e di garanzia per l’imputato.
Il Giudice fissa la data dell’udienza entro 5 (cinque) giorni dal deposito da parte del P.M. della richiesta di rinvio a giudizio.
L’udienza si svolge in camera di consiglio con la necessaria presenza del P.M. e del difensore dell’imputato (laddove questi non compaia e sempre che sia stato ritualmente avvisato, il Giudice deve nominargli un sostituto, ai sensi dell’art. 97 co. 4 c.p.p.).
Nel corso dell’udienza, il Pubblico Ministero e il difensore formulano e illustrano le loro rispettive «conclusioni» utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini.
L’Udienza Preliminare svolge nel procedimento penale una "funzione di controllo giurisdizionale", in ordine alla consistenza degli elementi addotti dal Pubblico Ministero a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio.
L’udienza è anche la sede deputata alla "definizione anticipata del processo", ove le parti facciano richiesta di «rito abbreviato» o di «applicazione di pena su richiesta» (c.d. riti alternativi al dibattimento o pre-dibattimentali).
Il legislatore ha previsto che per tutti i reati, siano essi attribuiti alla cognizione del Giudice collegiale o del Giudice monocratico, si proceda con Udienza Preliminare, fatta eccezione per alcune ipotesi di reato per le quali, in relazione alla minore rilevanza (contravvenzioni, delitti puniti con la reclusione non superiore a quattro anni) o alla ampia diffusione (furto aggravato, ricettazione), non è apparso opportuno prevedere il controllo del Giudice sulla richiesta di giudizio del Pubblico Ministero (art. 550 e ss.c.p.p.).
In sostanza, l’Udienza Preliminare, in contraddittorio tra le parti, dinanzi al Giudice terzo (G.U.P.), rappresenta un passaggio obbligatorio per la gran parte dei processi di primo grado. E’ caratteristica tipica del Giudizio Ordinario e può avere luogo solo dopo che il processo è già iniziato e, quindi, dopo che è stata promossa l’azione penale e l’indagato ha acquisito la qualità di imputato.
L'art. 415 bis c.p.p.[1] dispone che, prima della scadenza del termine delle indagini preliminari, anche se prorogato, il P.M., se non deve formulare richiesta di archiviazione, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore «avviso della conclusione delle indagini preliminari».
L’atto è finalizzato a consentire all’indagato un "contraddittorio anticipato" allo scopo di evitargli incriminazioni infondate o non adeguatamente ponderate. Pertanto, l’avviso deve contenere l’enunciazione del fatto-reato addebitato e deve essere accompagnato dal deposito dell’intero fascicolo del P.M.
Nei successivi 20 giorni l’indagato ha facoltà di presentare elementi a sua difesa, prendere visione ed estrarne copia degli atti di indagine e può presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa alle investigazioni difensive, nonché presentarsi per rilasciare dichiarazioni spontanee, ovvero chiedere di essere sottoposto a interrogatorio o di compiere ulteriori atti di indagine, che devono essere "espletati dal Pubblico Ministero", nei successivi trenta giorni, termine prorogabile dal G.I.P per una sola volta, al massimo, fino a sessanta giorni.
E’ evidente che se all’esito delle investigazioni svolte la notizia di reato si è rilevata priva di fondamento, o, in ogni caso, l’azione penale non può essere iniziata per altri motivi non vi è ragione di sollecitare l’indagato a prospettare ulteriori approfondimenti.
L’avviso della conclusione delle indagini "contiene":
a) di presentare memorie;
b) di produrre documenti;
c) di depositare documentazione relativa alle investigazioni difensive;
d) di chiedere al P.M. di compiere atti di indagine;
e) di presentarsi per rilasciare dichiarazioni;
f) di chiedere di essere sottoposto a interrogatorio
[1] L’art. 415 bis c.p.p. è stato introdotto dall’art. 17 co. 2 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 c.d. Legge Carotti, dal nome del relatore alla camera dei Deputati ed entrata in vigore il 3 gennaio 2000.
[2] L’interrogatorio al quale l’indagato può richiedere di essere sottoposto acquista un più pregnante ed autentico significato ai fini dell’esercizio della funzione difensiva, in quanto reso alla luce del bagaglio di conoscenze e della consapevolezza della vicenda processuale che derivano dalla previa consultazione ella documentazione relativa alle indagini espletate.
Il Giudice può esercitare la "funzione giurisdizionale" solo se un organo dello Stato (il Pubblico Ministero) gli formula la richiesta di decidere su una accusa (imputazione) mossa a carico di un soggetto (imputato). E' mediante tale richiesta che il P.M. esercita l'azione penale.
Il P.M. deve esercitare l'«azione penale» quando, al termine delle indagini preliminari, svolte con l'ausilio della Polizia Giudiziaria, ritiene di aver acquisito elementi idonei a sostenere l'accusa di fronte al Giudice.
Nel nostro sistema, il P.M. non può dunque decidere a sua discrezione se esercitare o meno l'azione penale. La sua decisione deve tener conto solo dell'interesse all'osservanza della legge e non può essere condizionata da interferenze esterne, da ragioni di opportunità (anche politica), da circostanze occasionali (collegate alla particolarità del fatto o del suo autore) o, infine, dalla necessità di far prevalere interessi particolari.
Il momento iniziale dell'esercizio dell'azione penale coincide con la formulazione dell'imputazione (es. redazione della richiesta di rinvio a giudizio) e non con quello della sua conseguente comunicazione, che di norma avviene mediante notifica (es. notifica della richiesta suindicata). La cognizione è, quindi, sempre successiva al momento in cui si assume la qualità di imputato e cioè al momento della formazione dell'atto di vocatio in jus.