In tale categoria rientrano tutti quei fatti che ostacolano l’attività dello Stato diretta ad assicurare l’ordine e la tranquillità pubblica.
L’ordine e il buon assetto ed il regolare andamento della vita sociale; la tranquillità pubblica – che rappresenta l’aspetto soggettivo dell’ordine – è la serenità d’animo che deriva al popolo dalla assenza di motivi di allarme, di commozione, di molestia.
► Inosservanza dei provvedimenti da parte dell'Autorità (art. 650 c.p.)
Commette il reato di cui all’art. 650 c.p., chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o d'igiene.
Oggetto specifico è la tutela dell’interesse all’osservanza individuale dei provvedimenti dati per il mantenimento dell’ordine pubblico genericamente considerato.
Si tratta di una norma penale in bianco ed a carattere ausiliario (opera cioè solo se l’inosservanza del provvedimento dell’Autorità non è punita da un’altra norma penale).
La condotta consiste nel non osservare un provvedimento (dell’Autorità amministrativa o dell’Autorità giudiziaria) dato legalmente (=provvedimento legittimo: vale a dire emesso dall’Autorità competente e con forme – anche orali – previsti dalle leggi) per una delle seguenti tassative ragioni:
Il reato non sussiste se il provvedimento non è congruamente motivato. In particolare, nel caso dei «biglietti di convocazione» utilizzati dalle Forze di polizia (ed anche dalla Capitaneria di Porto), la persona convocata deve essere posta in condizione di conoscere quantomeno le ragioni generali per le quali è stata chiamata.
► Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale (art. 651 c.p.)
Commette il reato di cui all’art. 651 c.p., chiunque richiesto da un Pubblico Ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali.
Occorre accertare che il Pubblico Ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, abbia richiesto al soggetto di dare le proprie generalità; o che il soggetto abbia manifestato in qualunque modo, ma chiaramente, di non voler rispondere alla richiesta; ovvero che il soggetto abbia voluto non aderire alla richiesta, sapendo che il richiedente era un nell’esercizio delle sue funzioni o non sapendolo per un suo errore colposo.
Il rifiuto di fornire la prova delle proprie generalità "non costituisce questa contravvenzione" allorquando il soggetto declina le proprie generalità a voce, rifiutando di esibire il documento di identità (artt. 4 e 157 T.U.L.P.S.).
Il reato sussiste anche nel caso che, "dopo il rifiuto" il soggetto fornisca spontaneamente le generalità (Cass. 23 febbraio 1985, Cardinato).
Se il soggetto, invece di tacere, declina generalità false, commette il delitto di cui all’art. 496 c.p.