Con la nuova formulazione, introdotta dall’art. 16 della legge 26 aprile 1990, l’attuale art. 328 comma 1 c.p. punisce una condotta di rifiuto dell’atto d’ufficio.
Non è richiesta, quindi, la semplice omissione ma un’omissione qualificata da una manifestazione di volontà contraria al compimento dell’atto che potrà essere espressa (quando il soggetto tenuto ha dichiarato di non voler agire) o tacita (quando egli sia rimasto inerte alle sollecitazioni rivoltegli). E’ inoltre necessario che l’atto «per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo».
Quanto all’ipotesi prevista al secondo comma dell’art. 328, commette tale delitto il Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, fuori dei casi previsti dal primo comma, entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.
La condotta punita è, in questo caso, l’omissione, e cioè il mancato compimento dell’atto dovuto.