Il procedimento penale è essenzialmente la dialettica conflittuale tra il diritto di libertà dell’inquisito e la pretesa punitiva dello Stato. Il modello accusatorio astratto contempla la presunzione di non colpevolezza dell’inquisito (art. 27. Comma 2 Cost.), sicché prima della sentenza irrevocabile di condanna dovrebbero essere inammissibili meccanismi limitativi o privativi della libertà personale dell’inquisito, innocente in forza di legge.
II modelli accusatori positivi, tuttavia, in varia misura, consentono la limitazione anticipata dello stato di libertà, con misure cautelari, per:
Il Codice di rito prevede:
Le misure cautelari possono essere raggruppate in misure “coercitive”, che sono, in vario modo, privative o limitative della libertà di locomozione, ed in misure “interdittive”, che si limitano ad intaccare talune facoltà giuridiche o diritti, ma non incidono sulla libertà dell’individuo. Come quelle personali, anche le misure cautelari reali (sequestro preventivo e sequestro conservativo) hanno natura solo giurisdizionale.
In particolare, l’arresto in flagranza e il fermo di indiziato di delitto rappresentano i tipici provvedimenti provvisori (misure pre-cautelari) limitativi della libertà personale. cui possono procedere, in caso di necessità e urgenza, Autorità diverse dal Giudice (Pubblico Ministero e Polizia Giudiziaria). Entrambe le misure di polizia giudiziaria mirano a realizzare, in casi eccezionali e di urgenza (art. 13, comma 3 Cost.), una funzione anticipatrice delle corrispondenti misure cautelari custodiali riservate poi al Giudice, ed hanno, quindi, rispetto ad esse, un ruolo pre-cautelare, anche cronologicamente.
Le misure cautelari giurisdizionali hanno per presupposto una delle tre tipiche funzioni cautelari: pericolo di «inquinamento delle prove», «pericolo di fuga» o «pericolo per esigenze di difesa sociale» (art. 274).
Tuttavia è da ritenere che tali parametri siano tutti presuntivi della sussistenza di esigenze cautelari. Conferma se ne trae dalla previsione dell’obbligo del Pubblico Ministero di rimettere in libertà l’arrestato e il fermato quando non ravvisi esigenze cautelari (art. 121 disp. att.). D’altra parte, il fermo e l’arresto, aventi durata massima di 96 ore, possono essere tramutati in misure cautelari personali, solo se sussistono esigenze, appunto, cautelari (art.391 c.5).
La differenza saliente tra arresto e fermo, è il requisito della flagranza del reato: questa occorre per l’arresto, ma non per il fermo.
Una generale riconsiderazione s'impone in materia di misure restrittive e limitative della libertà personale. Secondo l'articolo 13 della Costituzione, la libertà personale è inviolabile e non è ammessa forma alcuna di detenzione, d’ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
Tuttavia, in casi eccezionali di necessità e di urgenza, indicati tassativamente, possono essere adottati provvedimenti provvisori da Autorità diverse dal Giudice, che devono essere, però, comunicati entro 48 (quarantotto) ore all'Autorità Giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48 (quarantotto) ore, s’intendono revocati e privi di ogni effetto.
Tale norma-base ha ricevuto un'articolata disciplina attuativa dal Codice di procedura penale, con connotazioni più garantiste rispetto all'abrogato Codice del 1930 e delle successive modificazioni ad esso apportate. Ma anche rispetto alla disciplina comune, inefficace dal 24 ottobre 1989, il Codice penale militare di pace, presentava in materia marcati tratti differenziali rimessi all'esame della Corte costituzionale[1] [1] [1].
Secondo l'art. 308. 1 comma, c.p.m.p., le persone che esercitano le funzioni di polizia giudiziaria militare "devono procedere o far procedere all'arresto di chiunque è colto in flagranza di un reato militare, punibile con pena detentiva o con pena più grave". Tale norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 503 del 26 ottobre, pubblicata il 15 novembre 1989, perché in stridente ed inconciliabile contrasto con i principi generali in materia di restrizioni della libertà personale, ricavabili dall'art. 13 della Costituzione giudiziaria militare in materia di detenzione, trova nel dettato costituzionale, come sole eccezioni consentite, i casi di necessità e di urgenza, oggetto di tassativa previsione legislativa.
A fronte di tale quadro di riferimento, l'art. 308 c.p.m.p. presentava una sfera derogatoria talmente ampia da collocarsi agli antipodi di ciò che s'intende per eccezionalità, tanto da tradursi, immotivatamente, in criterio assoluto e onnicomprensivo.
Con il venire meno della disposizione, alla determinazione dei casi di arresto in flagranza per reati militari soccorrono gli articoli 380 e 381 c.p.p.[2] [2], applicabili in virtù del rinvio generale sopra indicato (art. 261 c.p.m.p.), che disciplina le ipotesi in cui l'adozione dei suddetti provvedimenti provvisori, da parte della Polizia Giudiziaria è, rispettivamente, obbligatoria o facoltativa.
La nozione di "flagranza" è data dall'articolo 382 c.p.p.: è in stato di flagranza chi viene colto nell'atto di commettere un reato (flagranza in senso proprio) o chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone, ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (casi di quasi flagranza). Nei reati permanenti (ad esempio, quelli d'assenza dal servizio), lo stato di flagranza dura fino a quando non è cessata la permanenza.
[1] [3] [3] La Corte Costituzionale è intervenuta due volte nella materia in titolo: la prima volta, con sentenza n. 74/85, la Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 309 c.p.m.p., che conferiva al Comandante di Corpo la potestà di adottare la c.d. “detenzione in via disciplinare” fuori dei casi di flagranza e in assenza di ordine o mandato di cattura, senza prevedere particolari limitazioni, per il Comandante stesso, in ordine alla durata del provvedimento di detenzione. La Corte, poi, è tornata sull’argomento con la sentenza n. 503/89, dichiarando l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 308, 1° comma, c.p.m.p., che imponeva all’Ufficiale di p.g.m. l’obbligo di procedere ad arresto nella flagranza di qualsiasi reato militare. E’ in stato di flagranza colui che viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero, subito dopo il reato, è inseguito dalla Polizia Giudiziaria o viene colto con cose o tracce da cui traspaia la commissione del reato (=quasi flagranza). Entrambe le sentenze poggiano sulla violazione dell’art. 13 della Costituzione. Esso afferma che l’adozione di provvedimenti cautelari di restrizione della libertà personale da parte della Polizia Giudiziaria deve aversi solo in casi di necessità ed urgenza tassativamente indicati dalla legge, fermo restando l’obbligo di comunicazione all’Autorità Giudiziaria entro 48 ore e la convalida degli stessi provvedimenti entro le successive 48 ore. Abrogato, quindi, lo specifico istituto penale militare dell’arresto in flagranza, sono le disposizioni degli artt. 380 e 381 del c.p.p. a determinare i casi di arresto obbligatorio o facoltativo, in flagranza per i reati militari commessi dai militari. Fuori dei casi di flagranza, si può applicare, ai militari autori di reati militari, il fermo di Polizia Giudiziaria, previsto dall’art. 384 c.p.p., che determina anche tutte le condizioni legittimanti il fermo stesso.
[2] [4] [4] Nel caso di arresto facoltativo deve esistere la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:
a) gravità del fatto (luogo, causali, danno provocato, mezzi utilizzati, modalità dell’azione);
b) pericolosità del soggetto (precedenti penali, condotta successiva al reato, condotta di vita individuale).
Singolare nel nostro sistema processuale è l’obbligatorietà per la Polizia Giudiziaria di procedere, in determinate ipotesi, all’arresto, mentre il Giudice ha sempre discrezionalità nella emissione iniziale, nelle stesse ipotesi, della corrispondente misura cautelare custodiale, sicché l’indagato che riesca a sfuggire all’esecuzione dell’arresto obbligatorio di P.G. può anche non essere assoggettato dal Giudice alla analoga misura giurisdizionale. L’apparente contraddizione è spiegata dalla normale immediatezza di intervento della Polizia Giudiziaria rispetto al fatto-reato, che giustificherebbe in ogni caso la immediata e drastica reazione pre-cautelare e, quindi l’automatico arresto in flagranza.
► L' arresto obbligatorio configura un tipico potere-dovere per le persone che esercitano le funzioni di polizia giudiziaria, comune e/o militare, e si fonda sulla necessità di provvedere alle esigenze di difesa sociale per i reati che sono compresi nella tipologia dell'articolo 380 c.p.p.. L'arresto è stabilito per reato non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 5 (cinque) anni o nel massimo a 20 (venti) anni, nonché per altri delitti tassativamente indicati nella disposizione citata. E' da aggiungere che quando ricorre una di tali ipotesi, ai sensi dell'art. 383 c.p.p. (facoltà d'arresto da parte dei privati), ogni persona è autorizzata a procedere all'arresto in flagranza, purché non si tratti di reati soggetti a condizioni di punibilità e/o procedibilità, come la querela o la richiesta di procedimento. La persona che ha eseguito l'arresto deve, senza ritardo, consegnare l'arrestato e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria, la quale redige il verbale della consegna e ne rilascia copia.
Riassumendo:
|
► L' arresto facoltativo in flagranza di reati comuni ricorre nei casi previsti dall'articolo 381 c.p.p,: reato non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a 3 (tre) anni ovvero colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 (cinque) anni. Si prescinde da tali limiti di pena per i reati indicati nel secondo comma della disposizione (peculato mediante profitto dell'errore altrui, corruzione, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, lesione personale, furto ecc.), quando ricorre la necessità di interrompere l'attività criminosa. Ma in tutti i casi sopra indicati, con riferimento sia alle pene edittali sia alla tipologia considerata, occorre anche l'esistenza di precisi presupposti: la gravità dell’atto o la pericolosità del soggetto.
Riassumendo:
|
A fattor comune dell'arresto obbligatorio e di quello facoltativo si applica il secondo comma dell'articolo 308 c.p.m.p., non investito dalla declaratoria d'illegittimità costituzionale sopra indicata: occorre compilare processo verbale dell'eseguito arresto e porre l'arrestato immediatamente a disposizione del Procuratore Militare della Repubblica, custodendolo, preferibilmente, in luogo militare.
E’ da segnalare, inoltre, che l'applicazione dell'articolo 383 c.p.p. (facoltà d’arresto da parte dei privati) si rivela utile soprattutto nei casi di gravi reati comuni commessi in ambito militare, rispetto ai quali i Comandanti di corpo, di distaccamento o di posto delle Forze armate non sono legittimati alle funzioni di polizia giudiziaria (tranne, ovviamente, che si tratti d'Ufficiali, Sottufficiali o Graduati dell'Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza, ecc.).
Altro provvedimento provvisorio, che può essere eseguito dalla Polizia Giudiziaria, è costituito dal "fermo di indiziato di delitto", previsto dall'articolo 384 c.p.p..Esso può ritenersi applicabile anche per i reati militari per il venir meno dell'articolo 309 c.p.m.p. (che vietava l'arresto fuori dai casi di flagranza e poneva il divieto del fermo), a seguito della declaratoria di illegittimità della disposizione, da parte della Corte costituzionale, con la sentenza n. 74 del 19 marzo 1985.
Secondo l'indicata disposizione comune, prima che il Pubblico Ministero abbia assunto la direzione delle indagini, gli Ufficiati e gli Agenti di polizia giudiziaria procedono al fermo della persona gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 2 (due) anni e superiore nel massimo a 6 (sei) anni, ovvero di un delitto concernente le armi da guerra e gli esplosivi.
La Polizia Giudiziaria procede inoltre al fermo di propria iniziativa qualora sopravvengano specifici elementi che rendano fondato il pericolo che l'indiziato stia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del Pubblico Ministero.
Va precisato, in via preliminare, che il Comandante di Corpo, come U.P.G.M., potrà procedere direttamente al fermo in presenza di reato militare commesso da un militare prima che il Procuratore Militare abbia assunto la direzione delle indagini (nel qual caso è il Procuratore a disporre il fermo).
Debbono, comunque, ricorrere tutte le condizioni legittimanti il fermo, e cioè:
Non sono, quindi, sufficienti indizi vaghi o notizie superficiali riportate.
Il Comandante di Corpo, in caso di arresto o di fermo, è tenuto ad una serie di adempimenti:
Entro le 48 ore dall’arresto o dal fermo, il Procuratore Militare, qualora riconosca fondato il provvedimento, richiede la convalida al Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.).
In presenza di reato comune, ad eccezione dei reati connessi alla detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, pur sussistendo tutti i requisiti, il Comandante non potrà eseguire l’arresto o il fermo, poiché in tali casi non può esercitare funzioni di polizia giudizizria ordinaria.
Egli deve limitarsi a trasmettere la “notizia del reato” (cioè, la denuncia) all’Autorità Giudiziaria competente, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., ferma restando la necessità, nei casi più gravi, di fare intervenire tempestivamente la Polizia Giudiziaria Ordinaria (primi fra tutti, i Carabinieri a disposizione dell’A.M.) per eventuali provvedimenti cautelari d’urgenza.
L'arresto o il fermo non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima. ovvero in presenza di una causa di non punibilità (es. legittima difesa, uso legittimo delle armi, stato di necessità).
Se risulta evidente che l'arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge o se non interviene la convalida entro 96 ore, la liberazione è disposta, prima dell'intervento del P.M., dalla stessa persona che ha effettuato l'atto.
Data l'estrema delicatezza della materia, è necessario mettersi in contatto per le vie brevi con la Procura Militare competente per avere direttive in materia e, in caso di difficoltà, richiedere la consulenza dei Carabinieri.
Mancano, infatti alto stato necessarie disposizioni di più preciso raccordo con le disposizioni comuni, sì che le anzidette misure restrittive devono applicarsi mediante operazioni di difficile ortopedia interpretativa. E stato sottoposto all'esame del Parlamento un disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 17 novembre del 1988, concernente la delega legislativa al Governo per l'emanazione del nuovo Codice penale militare di pace. Due "direttive", previste in tale progetto, attengono specificatamente alla parte procedurale: una riguarda l'uniformità del processo penale militare al processo penale comune nelle parti in cui la specialità dell'ordinamento o della materia non suggerisca l'opportunità di una diversa disciplina; l'altra propone il riesame delle disposizioni concernenti la polizia giudiziaria militare, prevedendo la possibilità di istituire “Sezioni” di polizia giudiziaria militare, in modo da sollevare i Comandanti di corpo dalle funzioni predette. Ma, com'è evidente, tutto ciò concerne il futuro: oggi si applica l'art. 301 c.p.m.p., che comporta gli adempimenti sopra indicati.
A fronte del principio secondo il quale la perseguibilità dei reati, comuni o militari, è obbligatoria, mediante l'esercizio dell'azione penale, si collocano una serie di "istituti derogatori", che costituiscono condizioni di punibilità e/o di procedibilità (artt. 336-344 c.p.p.):
Nell'ambito della legge penale militare assume particolare rilievo la “richiesta di procedimento”, prevista dall'art. 260 c.p.m.p., mentre non trovano espressa previsione la querela e l'istanza della persona offesa, ritenute estranee allo speciale sistema.
Tali atti - che in questa sede si fornisce una meramente trattazione - non possono essere confusi con la comunicazione di reato (=Informativa) e con la denuncia ad opera di un Pubblico Ufficiale o di un privato, che costituiscono mere manifestazioni di conoscenza.
► La Querela (art. 336 e segg. c.p.p., è la dichiarazione, raccolta in un atto o resa oralmente, con il quale la persona offesa dal reato oppure un suo legale rappresentante manifesta la volontà che si proceda ad un fatto previsto dalla legge come reato (fa richiesta di punizione). La richiesta di punizione assume rilevanza nei soli casi in cui la legge penale subordina la punibilità del reato alla volontà dell’offeso (reati procedibili a querela).
In ordine alle formalità di presentazione, la dichiarazione di querela può essere proposta per iscritto in carta non bollata o anche oralmente alla P.G.[1] [5] [5]o anche al P.M.. In quest’ultimo caso viene redatto processo verbale, che va sottoscritto anche dal querelante o dal procuratore speciale (munito di mandato rilasciato per atto pubblico o scrittura privata autenticata da allegare alla querela). Può anche essere spedita in piego raccomandato, per posta ma in tal caso la sottoscrizione deve essere autenticata.
Per esigenza di certezza in ordine alla provenienza dell’atto, va sempre identificato dal Pubblico Ufficiale il soggetto che propone, rimette o accetta la remissione di querela. Il soggetto legittimato a proporla è la persona offesa o legale rappresentante dell’ente o associazione. Se la persona offesa è un minore degli anni 14 o inferma di mente, la querela è presentata dall’esercente la potestà dei genitori, dal tutore ovvero da un curatore speciale all’uopo nominato dal Giudice su richiesta del P.M. (art.121 c.p. e 338).
In ordine al termine, il diritto di querela va proposto, entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato[2] [6] [6],altrimenti è priva di effetti. Il termine è di 6 mesi quando si tratta di delitti contro la libertà sessuale[3] [7](violenza sessuale) o atti sessuali con minorenne.
Il diritto di querela si estingue per:
In quanto disponibile, la querela può essere rimessa dopo la sua presentazione (art. 380) ovvero essere oggetto di rinuncia prima della sua presentazione (art. 339). Nel caso di reati perseguibili a querela di parte, in mancanza della querela, che può sopravvenire (entro tre mesi), possono essere compiuti "solo atti di indagine preliminari" necessari per assicurare le fonti di prova (art. 346 c.p.p.).
La remissione di querela è la dichiarazione (scritta o orale) con la quale la persona offesa dal reato (=querelante) o chi la rappresenta propone la revoca della querela precedentemente proposta. Per essere efficace (e produrre la estinzione del reato), la remissione deve essere "accettata" dal querelato. Poiché la persona querelata (=autore del reato) ha interesse, se innocente, a dimostrare, attraverso il processo, la sua completa estraneità al fatto-reato che le è stato addebitato nella querela, la remissione di questa non produce effetto se il querelato la ha tacitamente od espressamente ricusata: vale a dire se alla remissione non è seguita la sua accettazione. Le spese del procedimento sono a carico al querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (art. 13 Legge 25.6.1999, n. 205)- La remissione non è consentita per i delitti contro la libertà sessuale. In tale ipotesi, quindi la querela, una volta proposta, non può essere più revocata. Anche per la querela non è richiesta l’adozione di alcuna formula sacramentale purché in essa risulti con sufficienza chiarezza la volontà del querelante.
► La Istanza (art. 341 c.p.p.) consiste nella domanda con la quale il privato, persona offesa, chiede che si proceda contro i responsabili di taluni reati comuni (non politici) commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero che, se fossero stati commessi nel territorio dello Stato sarebbero perseguibili di ufficio. La mancanza dell’istanza di procedimento precluderebbe l’instaurarsi del procedimento penale: essa realizza, infatti, una condizione di procedibilità L’istanza segue le forme di proposizione della querela: come questa non è legata all’uso di formule sacramentali e può essere diretta anche contro ignoti.
Come la querela, l’istanza di procedimento può essere presentata al Pubblico Ministero o alla Polizia Giudiziaria o anche ad un Agente consolare all’estero, sempre entro tre mesi dalla ricezione della notizia del fatto-reato ed entro tre anni dalla presenza dell’autore a cui il fatto è addebitato sul territorio dello Stato. A differenza della querela, è irrevocabile. Suo contenuto essenziale è la manifestazione di volontà punitiva in ordine ad un determinato fatto-reato, anche se sommariamente indicato.
► La Richiesta di procedimento (art. 342), è come la querela e l’istanza, consiste anch’essa in una manifestazione di volontà punitiva, e si estende di diritto a tutti i responsabili. E’ un atto (amministrativo e discrezionale) con il quale l’Autorità pubblica (generalmente il Ministro di Giustizia e nell’ipotesi dell’art. 260 comma 1 e 2 c.p.m.p., il Ministro dal quale il militare dipende o il comandante del corpo), elimina, spinto da opportunità politiche, un ostacolo procedurale permettendo così il perseguimento di determinati reati commessi all’estero dal cittadino o dallo straniero.
In ordine alla forma, la Pubblica Autorità (in genere il Ministro di Giustizia) redige richiesta scritta, fatta pervenire direttamente al P.M., e non anche ad un Ufficiale di P.G. Tale richiesta deve essere sottoscritta personalmente da Ministro o da funzionario da lui delegato (Cass. 23.5.1994) e formulata, come la querela e l’istanza di procedimento, entro tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato, a pena di inefficacia.
Non è consentita rinunzia, preventiva o successiva, in quanto la richiesta è irrevocabile (art. 120 c.p.).
[1] [8] [8] Eccezionalmente, in caso di flagranza di delitto che impone o consente l’arresto (artt. 380 co.3 e 381 co.3), la querela può essere proposta (anche con dichiarazione orale) a un Agente di P.G. (anziché a un Pubblico Ufficiale) presente nel luogo. Della dichiarazione di querela va dato atto nel verbale di arresto.
[2] [9] Costante è l’affermazione per cui per notizia del fatto che costituisce reato, ai fini della decorrenza del termine per proporre querela, deve intendersi la piena conoscenza di tutti gli elementi indispensabili per la valutazione dell’esistenza del reato, cioè la notizia completa, diretta, precisa e certa del reato stesso; pertanto uno stato soggettivo di sospetto e di dubbio inordine alla sussistenza del reato non è sufficiente per far decorrere i termini per la presentazione della querela (Cass. 30.10.1982)
Il Comandante di corpo ha il potere discrezionale, circa il perseguimento della via disciplinare o di quella penale davanti al Giudice militare, per le fattispecie di reati militari punibili con un massimo di 6 mesi di reclusione (art. 260 c.p.m.p.), in quanto spetta al suo insindacabile giudizio decidere le modalità con cui punire i reati meno gravi. La mancata richiesta di procedimento, nei casi in fattispecie, determina l’archiviazione dei procedimenti penali avviati dalla Procura Militare in base alla sola segnalazione di reato.
Non è preclusa la richiesta di procedimento penale da parte del Comandante di corpo quando, per lo stesso fatto, sia già stata inflitta la sanzione disciplinare della "consegna di rigore" (Sent. N. 406/2000, Corte Costituzionale). Infatti, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la consegna di rigore non ha un contenuto afflittivo omologo alla sanzione penale in quanto, lungi dal concretare una misura restrittiva della libertà personale, essa si traduce in un mero obbligo giuridico di rimanere, fino a 15 giorni, entro un apposito spazio militare o nel proprio alloggio.
La richiesta di procedimento è atto di natura processuale e pertanto è sottratta all’applicazione dell’art. 3 della Legge n. 241/90 (non è richiesta “la motivazione”) ed è irrevocabile (art. 129 c.p.).
La titolarità per la proposizione della richiesta è duplice:
► il Ministro da cui il militare dipende per reati militari espressamente indicati
► il Comandante di corpo o di altro Ente superiore per i reati di danneggiamento di edifìci militari e di distruzione o deterioramento di cose mobili militari e per tutti gli altri reati militari per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi-
In particolare, la richiesta di procedimento è un “atto amministrativo” che il Comandante di corpo pone in essere nei confronti del Procuratore Militare della Repubblica, per esprimere delle valutazioni di carattere discrezionale in merito all’avvio di un procedimento penale militare, a carico di un militare alle proprie dipendenze. In altri termini, il Comandante di Corpo ha la facoltà, attribuitagli dalla legge penale militare, di far continuare in sede penale l’istruzione di un fatto-reato.
Ma questo non vale, come anzidetto, per tutti i reati militari, bensì solo per quelli la cui pena edittale non superi nel massimo i 6 (sei) mesi.
La natura giuridica della richiesta di procedimento è molto controversa: la dottrina prevalente ritiene comunque che essa sia un atto amministrativo (e non processuale) che ha effetti sul processo penale militare. Data la sua natura amministrativa, la richiesta di procedimento è “condizione di procedibilità” e nel contempo manifestazione di volontà. I suo caratteri sono: discrezionalità e irrevocabilità.
Il termine di presentazione è quello di 1 (uno) mese dal giorno in cui l’Autorità ha avuto notizia del fatto.
La richiesta di procedimento non va confusa con la denuncia, cioè con la comunicazione di reato (che comunque va fatta, e con immediatezza, come vuole la legge). Anche se il Comandante decida di procedere solo disciplinarmente, deve darne ugualmente comunicazione alla Procura Militare.
In definitiva, possiamo dire che la richiesta di procedimento si applica a quei reati militari (definiti da alcuni “minori”) che, a causa della scarsa rilevanza dell’interesse militare leso, sono perseguiti penalmente solo a richiesta dal Comandante di Corpo, che si avvale della facoltà prevista dall’art. 260 c.p.m.p. In tali casi il Comandante di corpo (con esclusione del Comandante di distaccamento o di posto) ha la facoltà discrezionale (ma discrezionalità non equivale a capriccio o arbitrio) di limitare nell'ambito disciplinare la repressione difatti aventi modesta lesività. La pena che deve essere considerata ai fìni dell'applicazione dell'istituto è quella edittale, senza tener conto dell'aumento o della diminuzione derivanti da circostanze aggravanti o attenuanti, salvo che, per effetto della circostanza, 1a pena sia determinata dalla legge in modo autonomo.
La “richiesta” deve essere presentata per iscritto e sottoscritta (pertanto non è valida se proposta a mezzo fonogramma) entro 1 (un mese) dalla commissione del fatto di reato o dalla data in cui il Comandante ne è venuto a conoscenza.
Essa è irrevocabile e si estende a tutti coloro che hanno commesso il reato.
Anche nel caso in cui non si ritiene di presentare richiesta, sussiste l'obbligo della comunicazione di reato. Non sono previste formule precise ed inderogabili, purché risulti palese la volontà di chiedere l'instaurazione di un procedimento penale per un fatto, anziché perseguirlo solo in via disciplinare.
E sufficiente scrivere:
….."Avvalendomi della facoltà prevista dall'ari. 260 c.p.m.p., chiedo (o non chiedo) che si proceda penalmente a carico di... per il reato di... e per tutti i reati militari ravvisabili nel fatto e perseguibili a richiesta”. |
L’ art. 15, comma 3°, della legge n. 382/78 prevede che “in caso di necessità ed urgenza il Comandante di Corpo può disporre, a titolo precauzionale, l’immediata adozione di provvedimenti provvisori, della durata massima di 48 ore, in attesa che venga definita la sanzione disciplinare”.
Ciò stante, la Procura Generale Militare presso la Corte di Cassazione, con un suo autorevole e specifico intervento, ha chiarito ed evidenziato la correttezza di provvedimenti disciplinari cautelari del Comandante nei casi in cui, pur mancando i rigidi presupposti legittimanti l’arresto o il fermo, il reato (comune o militare) commesso dal militare sia di gravità e rilevanza tali da giustificare ampiamente l’opportunità di una tempestiva “misura” di carattere provvisorio.
Al riguardo, la Procura Generale Militare ha citato, come esempio, il grave caso dell’omicidio tra pari grado che, essendo reato comune (il C.P.M.P., infatti, considera e punisce come reato militare solo l’omicidio dell’inferiore e quello del superiore), non rientra tra le fattispecie per le quali il Comandante agisce in veste di Ufficiale di Polizia Giudiziaria, con facoltà di arresto o fermo.
Infatti - come precisato dalla stessa Procura Generale - le misure disciplinari prese dal Comandante ai sensi dell’art. 15 L. 382/78 non violano l’art. 13 Cost., in quanto limitate ad un massimo di 48 ore, e non contrastano neppure con il principio della sospensione disciplinare in pendenza dell’azione penale, in quanto la commissione di un reato giustifica comunque l’inizio di un procedimento disciplinare di corpo, nel qual caso, prima dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria, è consentita l’adozione dei necessari ed urgenti provvedimenti provvisori (fermo restando il divieto di adottare sanzioni definitive).
Ovviamente, trattandosi di fatto-reato, il Comandante deve fare immediato comunicazione (=rapporto) alla competente Autorità Giudiziaria, che interviene subito e pone in essere a tutte le attività di sua pertinenza.
Al termine del procedimento penale, sarà ripreso e concluso l’esame disciplinare sospeso con l’intervento dell’Autorità Giudiziaria.
Links:
[1] http://www.nonnodondolo.it/node/1701/edit#_ftn1
[2] http://www.nonnodondolo.it/node/1701/edit#_ftn2
[3] http://www.nonnodondolo.it/node/1701/edit#_ftnref1
[4] http://www.nonnodondolo.it/node/1701/edit#_ftnref2
[5] http://www.nonnodondolo.it/node/1702/edit#_ftn1
[6] http://www.nonnodondolo.it/node/1702/edit#_ftn2
[7] http://www.nonnodondolo.it/node/1702/edit#_ftn3
[8] http://www.nonnodondolo.it/node/1702/edit#_ftnref1
[9] http://www.nonnodondolo.it/node/1702/edit#_ftnref2