Il dolo è la forma più grave e più frequente che assume la «volontà colpevole» del soggetto attivo del reato (art. 42 comma 2 c.p.).
Quando agisce con dolo il soggetto agente «prevede» e «vuole» sia la condotta che l’evento dai quali la legge fa dipendere l’esistenza del reato stesso. Il che significa che egli si ribella pienamente e completamente al precetto ossia al comando o al divieto contenuto nella norma penale.
In particolare il delitto è doloso (o secondo l’intenzione) "quando l’evento dannoso o pericoloso che è il risultato dell’azione o omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza di un delitto, è dal soggetto agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione (art. 43 c.p.)". Contrariamente a quanto previsto dall’Ordinamento per la colpa e per la preterintenzione (sono punibili solo nei casi espressamente previsti dalla legge), il dolo è l’elemento costitutivo del fatto illecito ed è la forma più grave in cui quest’ultimo può realizzarsi. Il reato è quindi doloso quando il soggetto agente ha piena coscienza e volontà delle proprie azioni (piena consapevolezza dello stesso).
Nella struttura del dolo si individuano, pertanto, due "elementi":
L’esistenza del dolo deve essere accertata o provata dall’accusa (Pubblico Ministero) analizzando tutte le circostanze esterne (materiali e psicologiche) nelle quali il soggetto ha tenuto la condotta. L’autore del reato non può essere condannato a titolo di dolo né quando la prova del dolo manca né quando essa è contraddittoria o insufficiente.
In particolare, si considerano «voluti» tutti i risultati che costituiscono lo scopo (o gli scopi) per cui il soggetto ha operato (dolo diretto), nonché anche tutti quei risultati che sono possibili conseguenze della condotta dell’Agente dal momento che questi (ponendo in essere la condotta criminale) ha accettato implicitamente il rischio che tali risultati si verificassero (dolo indiretto o eventuale).
Nell’esempio fatto in precedenza il diportista era animato da dolo diretto. Egli ha infatti indirizzato la prora dell’unità contro il sub con l’intenzione – realizzata – di ucciderlo.
Il dolo si può distinguere in dolo «diretto» (o intenzionale), che è la più grave forma di dolo e si verifica quando il soggetto agente assume un comportamento corrispondente a quello voluto e rappresentatosi; è invece «indiretto» (o enventuale) quando da parte del soggetto agente vi è la consapevolezza che il proprio comportamento potrebbe sfociare in un fatto illecito (cioè a dire allorché il risultato della condotta, pur rappresentato, non è stato dal soggetto agente intenzionalmente o direttamente voluto).
Peraltro, nell’ambito del dolo "indiretto o eventuale" si distingue:
Nella commissione dei reati ricorrono differenti tipologie di dolo oltre a quello diretto e indiretto:
Il dolo generico (è il cd. dolo tipico e si ha quando l’agente vuole realizzare la condotta tipica incriminata dalla norma, es. omicidio) e specifico (si ha quando alla previsione e alla volontà si aggiunge il perseguimento di un fine ulteriore, es. arricchimento in caso di furto).
Il dolo di danno (il soggetto agente provoca un danno a un bene tutelato giuridicamente) e di pericolo (il soggetto ha l’intenzione di danneggiare o minacciare il bene protetto dalla norma);
Il dolo iniziale (il dolo sussiste solo nel momento iniziale della condotta criminosa), concomitante (il dolo persiste anche durante lo svolgimento della condotta criminosa) e successivo (il dolo si manifesta solo dopo il compimento di una certa condotta non dolosa).
A seconda dell’intensità, del dolo si può distinguere la premeditazione o reato di proposito (si verifica quando il colpevole cura nei minimi particolari i dettagli dell’esecuzione del reato) e il reato da impeto (si verifica quando la decisione di commettere un reato è del tutto improvvisa).
Il dolo é «generico», quando è sufficiente, per la punizione, che l’autore voglia l’evento, senza che abbia alcuna rilevanza il «motivo» per cui compie il fatto.
Da quanto si è esposto emerge che il dolo è generico quando basta che sia voluto il fatto descritto dalla norma incriminatrice e non occorre indagare sul fine perseguito dal soggetto agente.
Il dolo è «specifico», quando la legge prevede che un fatto possa essere punito solo se è compiuto per un determinato fine o uno scopo particolare (=movente), anche se questo non viene realizzato.
Dal dolo occorre, quindi, tenere nettamente distinto il «movente» del reato, ossia il motivo per cui il soggetto agente compie il fatto criminoso.
Il "dolo" è la volontà dell’autore di un reato di tenere una data condotta e di provocare un dato evento; il "movente", altro non è che la ragione intima o il motivo per cui il soggetto compie il reato, ed è normalmente irrilevante ai fini della sussistenza del reato.
Talvolta il movente può essere considerato elemento essenziale del reato. Ciò accade quando la norma prevede che un certo fatto possa essere punito solo se compiuto per un determinato fine.
In tali casi il movente, chiaramente delineato dal legislatore (si pensi all’espressione: «... al solo scopo di danneggiare la cosa altrui...» nel delitto di danneggiamento seguito da incendio previsto dall’art. 424 c.p.), diviene elemento costitutivo del reato.
Di conseguenza il dolo che sorregge siffatti reati assume, come si è detto, il nome di dolo specifico, perché si arricchisce della particolare suindicata discrezionalità del volere.
Si noti infine, che la nozione di «strage» nell’esempio esposto in precedenza è diversa dalla nozione comune. La strage in senso tecnico non è infatti l’uccisione violenta di un gran numero di persone, ma solo la condotta posta in essere per mettere in pericolo la vita di un numero indeterminato di persone.
Essa sussiste, perciò, anche se la morte delle persone non avviene. Se avviene, il reato è però punito con l’ergastolo anziché con la reclusione: ergastolo se cagiona la morte di una sola persona, reclusione non inferiore ad anni 15 negli altri casi.
Il delitto di strage viene commesso infatti da chi, fuori dei casi previsti dall’art. 285 c.p., al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità.
L’elemento materiale del delitto si concreta nel compimento di atti (violenti) aventi obiettivamente l’idoneità a creare pericolo alla vita ed alla integrità fisica della collettività. Rientrano nell’ampia previsione legislativa le esplosioni, gli spari, le emissioni di gas tossici, ecc.
Nella forma semplice la strage è reato di pericolo, nelle forme aggravate, invece, é reato di danno. Poiché il delitto in esame è il classico delitto di attentato (si consuma, infatti, col semplice compimento degli atti aventi l’idoneità a porre in pericolo la pubblica incolumità e non è richiesto alcun evento ulteriore), esso non ammette il tentativo.
Il dolo del delitto in esame è dolo specifico; non basta, cioè, che il soggetto abbia voluto compiere gli atti diretti a porre in pericolo la pubblica incolumità, ma occorre che tali atti siano stati eseguiti al fine di uccidere, ossia con l’intenzione di attentare alla vita di una o più persone.
► Dolo di danno e di pericolo
Il dolo di «danno» si ha se il soggetto agente ha voluto effettivamente ledere il bene protetto dalla norma
Il dolo di «pericolo» si ha se il soggetto agente ha voluto soltanto minacciare il bene.
► Dolo di impeto
Ricorre quando il delitto è il risultato di una decisione improvvisa e viene subito eseguito, senza nessun intervallo tra il momento conoscitivo e il momento volitivo.
► Dolo di proposito
Si ha allorché trascorre un certo lasso di tempo tra il sorgere dell’idea criminosa e la sua attuazione concreta.
Una specie del dolo di proposito è, secondo la dottrina prevalente, la «premeditazione», prevista come circostanza aggravante dell’omicidio e delle lesioni personali (artt. 577, n. 3 e 585 c.p.).
Perché questa aggravante sussista si richiede che tra la decisione di uccidere e la sua attuazione sia trascorso un apprezzabile periodo di tempo e che il proposito di uccidere sia perdurato nell’animo del soggetto agente durante tutto tale periodo.
La premeditazione consiste, quindi, in un «proposito omicida costante nel tempo». Essa può essere accertata caso per caso e tenendo conto dei molteplici fattori che hanno caratterizzato o preceduto la condotta criminosa.
Generalmente sono «indice» di premeditazione:
► Dolo iniziale, concomitante e successivo
Il dolo «iniziale» è quello che sussiste solo nel momento iniziale dell’azione od omissione.
Il dolo «concomitante» è quello che accompagna lo svolgimento dell’intera condotta.
Il dolo «successivo» è quello che si manifesta dopo il compimento della condotta (non dolosa) idonea a provocare l’evento.