La natura non conosce rifiuti, intesi come materiali che non possano venir costruttivamente assorbiti e riutilizzati in qualche altro posto nel sistema naturale, ora o in futuro. I rifiuti pertanto rappresentano una delle principali pressioni create sull’ambiente dall’uomo e soprattutto dalle sue organizzazioni più industrializzate. L’utilizzo poco efficiente delle risorse naturali ha portato come principale conseguenza la creazione di grandi quantitativi di materiali non più riutilizzabili né dai sistemi industriali, né da quelli naturali e si sono accumulati creando nel tempo notevoli problemi ed inquinamenti. Con il passare del tempo e con il diffondersi di una sempre maggiore consapevolezza dei problemi derivanti dalla produzione e dalla gestione dei rifiuti è nata l’esigenza di regolamentare con strategie, norme e piani i flussi di materiali in uscita dai nostri sistemi produttivi e dalle nostre case, cercando di prevenirne la produzione e la pericolosità e cercando di gestirli, una volta prodotti, privilegiando il recupero allo smaltimento.
Prima di passare ad un'analisi dettagliata del sistema sanzionatorio in materia di rifiuti, è indispensabile affrontare le problematiche inerenti alla definizione stessa di rifiuto. E’ evidente come il corretto inquadramento della nozione di rifiuto sia di fondamentale importanza per l’individuazione delle sostanze che devono sottostare alle disposizioni in materia. Secondo la definizione che viene ricalcata nell'art. 183 comma 1 (definizioni) del Testo Unico sull'Ambiente, deve intendersi rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A della parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi". Dalla lettura della definizione si ricava che l’elemento centrale della definizione di rifiuto è contenuta nell’ultima parte, laddove viene fatto riferimento alla condotta del detentore ed al significato da attribuire al termine“disfarsi”. La definizione di rifiuti rimane quindi fondata, come con il precedente Decreto “Ronchi”, sul concetto di “disfarsi”, che costituisce una condizione necessaria e sufficiente perché un oggetto, un bene o un materiale sia classificato come rifiuto. L’individuazione del significato e della portata di tale azione ha determinato, nel tempo, un acceso di battito giurisprudenziale e dottrinario mai sopito e destinato a suscitare analogo interesse.
Le incertezze nell’individuazione dell’ambito di operatività della definizione di rifiuto, hanno determinato il formarsi di due diversi approcci interpretativi, il primo dei quali privilegia il dato soggettivo (dato dal fatto che il proprietario si sia disfatto dell'oggetto, o che abbia deciso di farlo o vi sia tenuto), mentre il secondo valorizza quello oggettivo (consistente nell'inserimento nell'elenco di cui all'allegato A). Secondo la «teoria soggettiva» della nozione di rifiuto viene, in un certo senso, attribuita preminenza alla volontà del detentore del rifiuto circa la sua destinazione, mentre la «nozione oggettiva» si fonda su una valutazione obiettiva della condotta del detentore o di un obbligo cui lo stesso comunque è tenuto.
In pratica secondo la prima teoria è rifiuto ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base alla sua personale scelta mentre, per la seconda, l’individuazione di una sostanza come rifiuto prescinde dalla volontà del singolo, rcavandosi da dati obiettivi. La nozione oggettiva di rifiuto, in linea peraltro con la giurisprudenza comunitaria e nazionale, propende quindi per un concetto ampio di rifiuto, fondato su risultanze oggettive e non sull’intenzione del detentore (Cass. Sez. III n. 31011 del 18 giugno 2002, Zatti).
A differenza della legislazione previgente (Decreto Ronchi), il nuovo testo Unico Ambientale in sostanza esclude dal concetto di "rifiuto" le materie prime secondarie e i sottoprodotti valorizzabili come combustibili[1] [1].
Un'ultima precisazione assume rilevanza ai fini della nostra disamina, ed attiene all'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti rispetto a quella che abbiamo sopra analizzato sull'inquinamento idrico. Nella vigenza del Decreto Ronchi e della Legge Merli, la Suprema Corte aveva chiarito che "in tema di smaltimento di rifiuti la definizione di rifiuto come qualunque sostanza che rientri nelle categorie comprese nel catalogo dei rifiuti, e della quale il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi, comprende anche i rifiuti allo stato liquido. Pertanto l'abbandono incontrollato sul suolo o l'immissione nelle acque superficiali o sotterranee di rifiuti allo stato liquido compresi nel catalogo dei rifiuti e' punito ai sensi dell'art. 50 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, mentre lo scarico di acque reflue non comprese in questo catalogo continua ad essere soggetto alla disciplina della legge 10 maggio 1976 n. 319". Sulla base del medesimo criterio si dovranno ritenere ora applicabili, in casi analoghi, le norme del testo Unico dell'Ambiente rispettivamente in materia di inquinamento idrico (sopra analizzate), ovvero in tema di rifiuti.
[1] [1] Non sono rifiuti i sottoprodotti e le materie prime seconde (MPS), così definiti:
In attesa dell’emanazione del decreto del Ministero dell’Ambiente le caratteristiche dei materiali devono essere conformi alle autorizzazioni vigenti rilasciate ai sensi degli artt. 208, 209 e 210 del D.Lgs.152/06 in accordo con il D.M. 05/02/98 così come modificato dal D.M. 186/06, il D.M. 161/02 e il D.M. 269/05.
Il Decreto legislativo 152/06 determina, nell’art. 184, come modificato dall’art. 11 del D.Lgs. 205/2010, una classificazione dei rifiuti che, sostanzialmente, ricalca quella già contemplata dal “decreto Ronchi”. Una prima fondamentale distinzione è effettuata, in in base alla «origine», tra "rifiuti urbani" e "rifiuti speciali" che possono, a loro volta distinguersi, in base alle «caratteristiche di pericolosità», in "rifiuti pericolosi" e "non pericolosi".
Da ciò consegue che tanto i rifiuti urbani (ad eccezione dei rifiuti domestici che pure ne fanno parte) quanto i rifiuti speciali possono essere qualificati pericolosi e non pericolosi.
La gestione integrata dei rifiuti urbani è di competenza dei Comuni che partecipano obbligatoriamente alle Autorità d’Ambito Territoriali Ottimali. Gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) sono suddivisioni del territorio regionale individuate al fine di superare l’originaria frammentazione in Autorità di Bacino per la gestione dei rifiuti, e di ottimizzare il servizio in termini di raccolta, trasporto e destinazione finale dei rifiuti.
Negli ultimi anni, i rifiuti speciali hanno assunto una rilevanza sempre maggiore in relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al progredire dello sviluppo industriale, della produzione di beni, merci, processi di consumo, e alle politiche di miglioramento degli standard ambientali. È ormai consolidata la consapevolezza che una corretta gestione dei rifiuti può consentire oltre alla tutela delle condizioni ambientali e della salute, anche il recupero di materie prime secondarie e di energia.
I Rifiuti pericolosi sono, nfine, individuato come tali da penultimo comma dell’art. 184 D.lgs. 152/06 che specifica: “Sono pericolosi i rifiuti non domestici indicati espressamente come tali, con apposito asterisco nell’elenco di cui all’Allegato D alla parte quarta del citato decreto, sulla base degli Allegati G, H e I alla medesima parte quarta” in applicazione del “nuovo CER” (catalogo europeo dei rifiuti). In tale elenco alcune tipologie di rifiuti sono classificate come pericolose o non pericolose fin dall’origine, mentre per altre la pericolosità dipende dalla concentrazione di sostanze pericolose e/o metalli pesanti presenti nel rifiuto. [2] [1]
Per "sostanza pericolosa" si intende qualsiasi sostanza classificata come pericolosa ai sensi della direttiva 67/548/CEE e successive modifiche: questa classificazione è soggetta ad aggiornamenti, in quanto la ricerca e le conoscenze in questo campo sono in continua evoluzione.
I rifiuti si distinguono, in base alle caratteristiche di pericolosità, in «rifiuti non pericolosi» e «rifiuti pericolosi». Sono pericolosi ai sensi della decisione 2000/532/CE, se presentano una o più delle seguenti caratteristiche di pericolosità:
Per definire le caratteristiche di pericolo da H3 a H8, H10 e H11 sono stati stabiliti i "limiti di riferimento" (art. 2 della Decisione 200/532/CE e successive modifiche), ossia dei valori di concentrazione delle sostanze contenute nel rifiuto, superati i quali il rifiuto è classificato come pericoloso, mentre per le caratteristiche H1, H2, H9; H12, H13 e H14 mancano i criteri di riferimento sia a livello comunitario che nazionale.
Alcuni rifiuti sono classificati come pericolosi già dall'origine e contrassegnati da un "asterisco"a fianco del codice CER, riguardo all’attività che li ha prodotti; per altre tipologie si fa riferimento alla concentrazione di sostanze pericolose da determinarsi mediante opportuna verifica analitica.
[1] [1]L’assimilazione viene disposta con regolamento comunale ai sensi dell’art. 198 comma 2, lettera g) secondo la determinazione (di competenza statale) dei criteri qualitativi e quali-quantitativi, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali assimilati. Non possono essere, di norma, asimilati ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei ba e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico.
[2] [1]I "metalli pesanti" sono antimonio, arsenico, cadmio, cromo (VI), rame, piombo, mercurio, nichel, selenio, tellurio, tallio e stagno: possono essere presenti sia puri che, combinati con altri alementi, in composti chimici.
I produttori e i detentori dei rifiuti, ai sensi dell’art. 188 del D.lgs. 152/06, sono obbligati a consegnare i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad un soggetto che effettui le operazioni di recupero o smaltimento. Inoltre, nel medesimo articolo è definita la responsabilità del detentore dei rifiuti sul corretto recupero o smaltimento. Questa termina nel momento in cui il detentore dei rifiuti li consegna al servizio pubblico di raccolta o, nel caso di conferimento a soggetti autorizzati, riceve la quarta copia del formulario di identificazione del rifiuto controfirmato e datato dal destinatario del rifiuto stesso entro il termine di tre mesi dal data di consegna al trasportatore.
Il potere da parte del Sindaco di ricorrere ad ordinanze contingibili ed urgenti può essere legittimamente esercitato soltanto quando si versa in una situazione di eccezionale ed urgente necessità, e ciò giustifica il ricorso ad una sanzione penale, e non solo amministrativa, in caso di inottemperanza all'ordinanza sindacale.
Infine il predetto articolo stabilisce che in caso di sentenza di condanna, anche se emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto stabilito nelle sopraccitata ordinanza sindacale o nell'obbligo non eseguiti. Questa disposizione è chiaramente finalizzata a garantire che la sentenza di condanna raggiunga l'obiettivo di assicurare l'effettivo recupero dell'ambiente inquinato e l'eliminazione del danno provocato dal reato.
L'art. 256 del Testo Unico sull'Ambiente, punisce l'attività di gestione di rifiuti non autorizzata. In base al predetto articolo "chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione,iscrizione o comunicazione" è punito: con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da 2.600 a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
L'autorizzazione é necessaria sia per le operazioni di smaltimento sia per quelle di recupero, e non hanno alcun valore le autorizzazioni successive in sanatoria, le quali non hanno il potere di disciplinare i fatti ad esse antecedenti.
In particolare, l'art. 208 del testo Unico stabilisce che: "i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda é altresi allegata la comunicazione del progetto all'autorita' competente ai predetti fini".
Entro trenta giorni dal ricevimento della predetta domanda, la Regione individua il responsabile del procedimento e convoca apposita conferenza di servizi cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle Autorità d'ambito e degli enti locali interessati. Alla conferenza è invitato a partecipare, con preavviso di almeno venti giorni, anche il richiedente l'autorizzazione o un suo rappresentante al fine di acquisire documenti, informazioni e chiarimenti.
Entro novanta giorni dalla sua convocazione, la Conferenza di servizi:
Entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della conferenza di servizi e sulla base delle risultanze della stessa, la regione, in caso di valutazione positiva, approva il progetto e autorizza la realizzazione e la gestione dell'impianto. L'approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità urgenza ed indifferibilità dei lavori.
L'autorizzazione detta le opportune condizioni e prescrizioni, chiarendo:
La predetta autorizzazione è concessa per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile. A tale fine, almeno 180 (centottanta) giorni prima della scadenza dell'autorizzazione, deve essere presentata apposita domanda alla regione che decide prima della scadenza dell'autorizzazione stessa. In ogni caso l'attività può essere proseguita fino alla decisione espressa, previa estensione delle garanzie finanziarie prestate.
Quando, a seguito di controlli successivi all'avviamento degli impianti, questi non risultino conformi all'autorizzazione, ovvero non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nella stessa autorizzazione, quest'ultima è sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi. Decorso tale termine senza che il titolare abbia adempiuto a quanto disposto nell'atto di diffida, l'autorizzazione è revocata.
Il predetto art. 208 del testo Unico stabilisce, inoltre, che l'autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni di cui alla legge n. 84/1994 e di cui al D. lgs. 182/2003 di attuazione della direttiva 2000/59/CE sui rifiuti prodotti sulle navi e dalle altre disposizioni previste in materia dalla normativa vigente. Nel caso di trasporto transfrontaliero di rifiuti, l'autorizzazione delle operazioni di imbarco e di sbarco è disciplinata dai regolamenti comunitari che regolano la materia, dagli accordi bilaterali di cui all'articolo 19 del regolamento CEE n. 259/93 (vedi la regolamentazione dei rifiuti nelle aree portuali).
Le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate nel luogo di produzione dei rifiuti stessi non necessitano della predetta autorizzazione, ma, in base ad una procedura semplificata prevista dall'art. 215, possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla competente Sezione regionale dell'Albo nazionale dei gestori ambientali istituito dal precedente art. 212. Anche in tale caso, tuttavia, qualora la Sezione regionale del predetto Albo accerti il mancato rispetto delle norme tecniche da parte del gestore dell'impianto di smaltimento, essa propone alla Provincia di disporre, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare la propria attivita' alla normativa vigente.
Una particolare ipotesi di violazione del divieto di autorizzazione è contenuta nel terzo comma dell'art. 256, che sanziona la realizzazione e gestione di discarica abusiva: "Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro. Si applica la pena dell'arresto da uno a tre anni e dell'ammenda da 5.200 euro a 52.000 euro se la discarica è destinata,anche in parte,allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell'art.444 del c.p.p. consegue la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi".
Secondo la Corte di Cassazione, ci si trova di fronte alla realizzazione di discarica abusiva tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti (Cass. Sez. III, sent. n. 4260 del 15 aprile 1991).
L'art. 257 del Testo Unico, come modificato dal d.lgs. 8 novembre 1997 n. 389, stabilisce che: "Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente".
Difatti, a norma dell'art. 242 del Testo Unico, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento deve mettere in opera immediatamente, e comunque non oltre ventiquattro ore, le misure necessarie di prevenzione e deve svolgere, nelle zone interessate dalla contaminazione, un'indagine preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento. All'esito di tale indagine, ove il responsabile dell'inquinamento accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, deve provvedere al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione.
Qualora, invece, la predetta indagine preliminare accerti l'avvenuto superamento delle CSC, il responsabile dell'inquinamento deve darne immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate, e nei successivi trenta giorni deve presentare alle predette amministrazioni, nonchè alla regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione. Entro i trenta giorni successivi la regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative, e sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). Qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l'approvazione del documento dell'analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento. Qualora invece gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito e' superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile deve sottoporre alla regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito. La regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento. Nel caso di caratterizzazione, bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale di siti con attività in esercizio, la regione, fatto salvo l'obbligo di garantire la tutela della salute pubblica e dell'ambiente, in sede di approvazione del progetto assicura che i suddetti interventi siano articolati in modo tale da risultare compatibili con la prosecuzione della attività.
Il secondo comma dell'art. 257 del Testo Unico prevede che "si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da 5.200 euro a 52.000 euro se l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose".
Il terzo comma prevede che con la sentenza di condanna per le predette contravvenzioni, o con la decisione emessa ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. "il beneficio della sospensione condizionale della pena puo' essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale". Tale previsione conferma che la ratio della norma non è tanto quella di garantire il puntuale adempimento della procedura di bonifica, ma soprattutto quella di difendere e salvaguardare l'ambiente dall'inquinamento.
Il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) nato nel 2009 su iniziativa del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è un sistema informatico gestito dal Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente finalizzato a semplificare le procedure e gli adempimenti amministrativi per la gestione dei rifiuti e a combattere il traffico illecito e lo smaltimento illegale. Il Sistema permette l’informatizzazione dell’intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani e modifica completamente il modello di identificazione, registrazione e denuncia dei rifiuti, prevedendo l’iscrizione obbligatoria di specifiche categorie di soggetti individuati dal Decreto ministeriale del 17 dicembre 2009.
Il 14 gennaio 2010 è entrato in vigore il nuovo Sistema Informatico di Tracciabilità dei Rifiuti, previsto dal Decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 17/12/2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13/01/2010. La gestione informatica della documentazione sostituisce la tenuta dei registri di carico e scarico (area Registro Cronologico della scheda Sistri), l'emissione dei formulari (area Movimentazione del Rifiuto della scheda Sistri) e prevede, a partire dal 2011, l'abolizione del MUD.
Il tracciamento informatico del percorso dei rifiuti permette un maggior controllo della movimentazione degli stessi. L'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale si realizza tramite l'uso di dispositivi USB personalizzati per ogni sede che produce o gestisce rifiuti e per ogni veicolo a motore che li trasporta. Il dispositivo USB è una chiavetta con firma elettronica che permette l'accesso in sicurezza al sistema informatico Sistri per la trasmissione dei dati e delle informazioni memorizzandole sul dispositivo stesso. Ciascun dispositivo USB può contenere fino ad un massimo di tre certificati elettronici che corrispondono alle firme elettroniche delle persone fisiche individuate come "delegati" durante la procedura di iscrizione al Sistri. Per ogni veicolo a motore adibito al trasporto dei rifiuti oltre alla dotazione di un dispositivo USB è prevista l'installazione di una black box (scatola nera) con la funzione di seguire e verificare il percorso dei rifiuti speciali in tempo reale dal momento in cui sono caricati sul veicolo fino alla destinazione finale.
Il decreto che istituisce e disciplina il SISTRI individua i soggetti (detti operatori) e le attività di produzione, gestione e trasporto di rifiuti (categorie di iscrizione) coinvolte nel processo di informatizzazione e ne definisce le modalità di iscrizione, obbligatoria o facoltativa, secondo determinate tempistiche. In particolare, i seguenti soggetti sono obbligati ad effettuare la registrazione:
Links:
[1] http://www.nonnodondolo.it/../1/edit%2322