L’uso legittimo delle armi o di altro mezzo di coazione fisica

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L’art. 53 c.p. stabilisce che non è punibile il «Pubblico Ufficiale (appartenente alla forza pubblica e autorizzato a far uso delle armi e degli altri mezzi di coazione fisica) quando al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica (sfollagente, cani, idranti, gas lacrimogeni), quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità».

Sono presupposti essenziali: 

  1. sono in corso una violenza o una resistenza (uno dei delitti indicati dall’art. 53 c.p.: strage, naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata, sequestro di persona);
  2. il pubblico ufficiale agisce al fine di adempiere un dovere;
  3. l’uso delle armi o dei mezzi di coazione fisica è necessario e proporzionato. 
  • Si pensi ad esempio, al caso un autotrasportatore che oltraggia senza alcuna manifestazione di violenza, il comandante di una forza militare per la repressione di gravi reati in territorio siciliano che lo ha fermato per il previsto controllo dei documenti. Il comandante non può far uso legittimo di armi, ma non può far uso neppure di altri e meno offensivi strumenti di coazione fisica. L’art. 53 c.p., consente infatti l’impiego della forza fisica solo in presenza di alcuni reati ovvero di violenza o resistenza. Il mezzo deve essere, cioè, sempre necessario e proporzionato. 

  

Tuttavia, non sempre il militare è un pubblico ufficiale: da ciò la necessità di estendere a lui, espressamente, quando si tratta di adempiere un dovere di servizio, questa causa di giustificazione, applicabile non solo ai reati militari ma anche ai reati comuni. 

  • Ad esempio, al caso di coazione fisica operata nei confronti di militare che resiste, attivamente o passivamente, all’esecuzione di un ordine di cattura ovvero militare che interviene per impedire che un altro militare faccia saltare con la dinamite un deposito di munizioni.

Se egli è in servizio di sentinella, il suo intervento, diretto a respingere una violenza nell’adempimento di un dovere, costituisce uso legittimo delle armi; se egli non è di servizio, il suo intervento, diretto ad impedire un fatto che comprometterebbe la sicurezza del posto, si inquadra tra i casi particolari di necessità militare. 

L’art. 41 c.p.m.p. - introdotte le indispensabili modificazioni terminologiche (=militare e sevizio sostituiti rispettivamente a pubblico ufficiale, e ufficio) - configura l’istituto dell’uso legittimo delle armi ricalcando con relativa fedeltà l’art. 53 c.p.e dichiarando che: «non è punibile il militare, che, a fine di adempiere un suo dovere di servizio, fa uso, ovvero ordina di far uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza

La legge determina gli altri casi, nei quali il militare è autorizzato a usare le armi o altro mezzo di coazione fisica». 

Come è noto, la scriminante in questione riguarda non soltanto l’uso delle armi, ma anche l’uso di qualsiasi mezzo do coazione fisica: sfollagente, getti d’acqua lanciati con idranti, gas lacrimogeni, uso della forza fisica per immobilizzare una persona, ricorso alle bombe stordenti, carosello di auto per disperdere un assembramento, ecc. I requisiti generali di questa causa di giustificazione consistono nella necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio o del servizio militare.

L’art. 53, 1° comma, nella modificazione introdotta dalla legge 22 maggio 1975, n. 152, precisa che la scriminante opera anche nel caso di necessità di impedire la consumazione di delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona. 

Dall’analisi comparativa dell’ultimo comma dell’art. 41 c.p.m.p. e dell’art. 53 c.p. si rileva come la legge si riservi a determinare gli altri casi, nei quali il militare è autorizzato a usare le armi o altro mezzo di coazione fisica. Ciò significa che possono esistere casi nei quali non ricorre il presupposto generale della «necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza», ma nei quali è ugualmente scriminato l’uso delle armi da parte del militare (o da parte del pubblico ufficiale). 

Trattasi di casi che sono tassativamente previsti dalla legge e sono riconducibili al 3° comma dell’art. 41 c.p.m.p., quali ad esempio: 

► il caso di cui alla legge 4 marzo 1958 n. 100sull’uso delle armi da parte dei militari e degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria in servizio di frontiera e in zona di vigilanza” che stabilisce: 

• art. 1 - E’ vietato fare uso delle armi contro le persone da parte dei militari e degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria in servizio di repressione del contrabbando in zona di vigilanza doganale, come determinato dalle vigenti disposizioni, fatta eccezione per i casi previsti dagli artt. 52, 53 primo comma e 54 del Codice Penale e quando:

a) il contrabbandiere sia armato palesemente.

b) il contrabbando sia compiuto in tempo di notte

c) i contrabbandieri agiscano raggruppati in non meno di tre persone. 

• art. 2 - E’ vietato far uso delle armi, anche nelle ipotesi previste nelle lettere a) b) e c) dell’art.1 quando il contrabbandiere si dà alla fuga ed abbandona il carico. 

• art. 3 - L’uso delle armi non è vietato contro gli autoveicoli e gli altri mezzi di trasporto veloci quando i conducenti non ottemperino all’intimazione di fermo e i militari non abbiano la possibilità di raggiungerli. 

• art. 4 - Nel caso di militari che operino non isolati in servizio, l’ordine di far fuoco deve essere dato dal militare che ha il comando. 

• art. 5 - L’uso delle armi ,nei casi in cui non è vietato a norma degli articoli precedenti deve essere preceduto da intimazione a voce o col gesto e dalla esplosione di almeno due colpi in aria. 

• art. 6 - L’uso delle armi non è vietato quando il contrabbando sia compiuto con imbarcazioni nella zona di vigilanza doganale marittima e i capitani non ottemperino alle intimazioni di fermo, date con l’esplosione di almeno tre colpi in aria  e, di notte, con segnalazioni luminose. 

  • Ad esempio, i militari e gli Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziaria in servizio di repressione del contrabbando in zona di vigilanza doganale, contro un contrabbandiere che sia armato palesemente o contro contrabbandieri che agiscono raggruppati in non meno di tre persone:

Il dovere non è quello di sparare, ma quello di reprimere il contrabbando in zona di vigilanza doganale: per attuare tale repressione il militare può far uso delle armi in ipotesi tassative. 

► il caso di cui all’art. 158 T.U.L.P.S., che riguarda “l’impedimento di passaggi abusivi attraverso valichi di frontiera non autorizzati” ed integrato dall’art. 2 della legge 18 aprile 1940 n. 494. 

art. 158 TULPS - E’ autorizzato l’uso delle armi, quando sia necessario, per impedire i passaggi abusivi attraverso i valichi di frontiera non autorizzati 

art. 2 L. 494/40 – Agli effetti dell’applicazione dell’art. 158 T:U. leggi P.S., i predetti militari (in servizio di vigilanza alle frontiere) quando scorgono persone che tentano di oltrepassare clandestinamente la linea di frontiera, debbono intimare l’ALT con ogni mezzo idoneo a manifestare l’intimazione.

Contro le persone cui l’intimazione è fatta, che persistano nel tentativo di varcare la frontiera, il militare in servizio di vigilanza può fare uso delle armi. 

► il caso di cui all’art. 41 legge 26 luglio 1975 n. 354, che riguarda l’impiego della forza fisica all’interno degli stabilimenti di pena per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per vincere resistenze.